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la musica fa bene

piccolo manuale di storia, principi e strumenti della musicoterapia

Renato De Michele – © 2018

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la musica fa bene
piccolo manuale di storia, principi e strumenti della musicoterapia
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Guida ad uso esclusivo degli studenti della Scuola Triennale di Gesualdo (Av) – © 2018.

Questa raccolta di studi rappresenta una sorta di viaggio all‟interno di quel tempo che ha preceduto
la fondazione della disciplina alla metà del secolo scorso, per poi addentrarsi nella situazione attuale
italiana, europea e mondiale. Il viaggio prosegue poi in direzione dei principi basilari della musico-
terapia che da questa storia sono scaturiti e degli strumenti musicali utilizzati, visti da vicino, fino
ad indagarli nella loro essenza relazionale, nella loro „anima‟.

È stato come rispondere alla domanda: ma dove, come e quando è venuta fuori questa disciplina?

RENATO DE MICHELE
Musicista, Musicoterapista, Supervisore.

Nasce a Foggia nel 1948


Presidente dell‟AIReM (Ass. Ital. Registro Musicoterapisti).
Direttore Scuola Triennale di Musicoterapia di Gesualdo (Av) dal 2017.
Stretto collaboratore di Gianluigi di Franco, si è diplomato all‟ISFOM di Napoli nel 1991 con supervisione di
Tony Wigram a Londra nel 1992-1993. Docente e supervisore presso l‟ISFOM (1991-2008).
Diploma di Magister e Supervisore di Musicoterapia all‟Istituto „Benenzon‟ di Buenos Aires, 2008.
Ha maturato un‟esperienza più che trentennale (dal 1983) nel settore musicoterapico e nel privato sociale in va-
rie realtà sociosanitarie di Napoli (ASL Napoli 1 Centro), ma principalmente in Salute Mentale (1983-2017)
e nelle Dipendenze da sostanze e da gioco (1998-2017).
Ha supervisionato progetti di Musicoterapia in varie città (Napoli, Foggia, Catanzaro, L‟Aquila).
Docente in numerosi corsi di musicoterapia e nei Conservatori di Napoli, Foggia, Matera.
Ha fatto parte della WFMT, Federazione Mondiale di Musicoterapia (membro della Commissione Pratica Clini-
ca, 2008-2011).
Ha al suo attivo 3 volumi di musicoterapia, 7 di contenuto artistico e oltre 60 pubblicazioni scientifiche.

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Il testo è depositato e tutelato. È vietata la riproduzione, le fotocopie e la diffusione non autorizzata dall’Autore.
In copertina: Exploratorium (www.emaproject.eu; foto di Annemies Tamboer), riproduzioni di strumenti musicali primitivi.
Napoli – 2018

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la musica fa bene
piccolo manuale di storia, principi e strumenti della musicoterapia
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INDICE

5 CAP. 1 – MUSICA E BENESSERE NELLA STORIA


Alle origini della Musicoterapia
Gli aspetti psicoanalitici e le condotte

16 CAP. 2 – GLI STUDI SULLA PERCEZIONE SONORO-MUSICALE


La percezione uditiva
La percezione presso la scuola cognitivista
Verso una prospettiva musicoterapica. Il sonoro-musicale nell'indagine psicoanalitica

27 CAP. 3 – LA MUSICOTERAPIA
Musica ed emozioni
Musica come terapia o musica in terapia?
I principi della musicoterapia
I modelli di riferimento
Il setting in musicoterapia
Limiti del termine „musicoterapia‟
Il musicoterapista
Come documentiamo un caso clinico?
Livelli e tecniche di intervento

41 CAP. 4 – GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA TERAPIA


Suoni e sonorità. Strumenti musicali e oggetti sonori
Il musicista, il proprio strumento, gli strumenti musicali della terapia
Lo strumento musicale ha una forma e una voce
L‟accordatura
Lo strumento ha una voce e un corpo: ma… lo strumento musicale ha un‟anima?

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47 CAP. 5 – IL SUONO E GLI STRUMENTI
Il suono: frequenza, intensità, armonici, timbro
Gli strumenti musicali
Lo strumentario Orff
Il pianoforte
Gli strumenti popolari
Gli strumenti impropri
Le sonorità dell‟ambiente
I fattori del condizionamento sonoro
La voce e la complessità della comunicazione
Il corpo
Entrando nella stanza di MT
Il problema dei materiali da usare. Consigli e precauzioni
La percezione e le risposte
Bolle di suoni. Ancora sull‟intensità sonora
Uso comunicazionale degli strumenti
I „vertici‟ della lettura e dell‟osservazione: cosa osservare? cosa riportare?
Come riportare? I segni, il riporto grafico
L‟ascolto: rapporto segnale/rumore
Un cenno sull‟analisi dell‟informazione sonora. La scheda delle „7W‟

65 CAP. 6 – BREVE STORIA DELLA MUSICOTERAPIA IN ITALIA


Gli albori
La Scuola Napoletana
I primi Corsi di Formazione
Breve storia sui tentativi di riconoscimento della Musicoterapia

74 CAP. 7 – LA CONFEDERAZIONE EUROPEA DI MUSICOTERAPIA (EMTC)

78 CAP. 8 – LA FEDERAZIONE MONDIALE DI MUSICOTERAPIA (WFMT)

83 BIBLIOGRAFIA

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CAPITOLO 1
MUSICA E BENESSERE NELLA STORIA
Alle origini della Musicoterapia
Una data di nascita della disciplina non può essere individuata con precisione, se non a
partire dalla presa di coscienza della necessità di definire i limiti epistemologici in relazio-
ne ai suoi ambiti applicativi, e questa senz‟altro possiamo collocarla a partire dalla prima
metà del secolo scorso, il XX.
Le tracce precedenti narrano di documentazioni frammentarie riferibili genericamen-
te agli effetti benefici indotti dalla musica: documenti di tipo filosofico, narrativo, poetico,
pittorico, scultoreo, e, in epoca preistorica, anche di tipo archeologico e strumentale.
In aiuto alla ricerca degli usi terapeutici della musica nelle epoche più antiche e prei-
storiche, interviene anche l'antropologia della musica che, se anche applicata per le popo-
lazioni odierne, scava nei territori archetipici delle usanze popolari e delle manifestazioni
in vigore nelle residue popolazioni tribali ancora sopravvissute all‟invasione del moderno
sviluppo urbanistico globale. Molto infatti dipenderà dallo studio dei fenomeni culturali e
musicali per come ingenui questi si sono presentati agli occhi dei primi storici indagatori
di queste popolazioni.
Quel che di sicuro possiamo dire (v. anche lo splendido studio Antropologia della mu-
sica di ALAN P. MERRIAM, Sellerio ed., Palermo 1983) è che più indietro nel tempo e nello
sviluppo dell‟umanità si indaga, più diventano evanescenti i confini dell‟esperienza sono-
ra, prima ancora che della „musica‟, con gli altri aspetti della dura vita esistenziale, quali la
guarigione, la ritualità, la sessualità, la trasmissione delle conoscenze, la difesa, i conflitti
tribali, la sopravvivenza, il rapporto con la natura e i suoi elementi, l‟eterna lotta con la vi-
ta e la morte.
Un periodo preistorico che potremmo definire suoni di lotta per la sopravvivenza.
Da quest‟unicum costituito da un quotidiano vivere fenomenico può essere isolata, a
partire dalla fine dell‟ultima glaciazione1, la figura dello „sciamano‟, o „mago-stregone‟, co-
me figura carismatica che, ponendosi „al di sopra‟ degli altri membri della tribù, viene ri-
conosciuta come intermediario col mondo degli spiriti, della natura e dei morti, in un rap-
porto ancorato ad un immanente animismo fuso con la realtà circostante. Il passaggio vi-
ta/morte viene vissuto come trapasso tra due mondi entrambi terreni, ma l‟uno visibile e
tangibile, l‟altro invisibile, ma espressivo-sonoro e altrettanto presente.
Chiameremo questa fase: magico-evocativa.
La musica è costituita in maniera preponderante dall‟esperienza ritmica e da quella
vocale ad imitazione delle „voci‟ della natura, intesa come voce delle anime.
Gli strumenti che vengono utilizzati per primi sono vissuti e pensati essi stessi come
„voci‟ di spiriti e dotati anch‟essi di anima e di vita propri, con tutta la devozione e il ri-
spetto dovuti. „Anima‟ e „voce‟ sono un tutt‟uno. Non di rado, tamburi e vielle venivano –
fino a poco tempo fa, e sempre tra le popolazioni allo stato primordiale –, spesso costruiti
con pelle, ossa, budelli e altri organi, non solo degli animali, ma spesso degli stessi defunti.

1 Nel paleolitico superiore, 10.000-9.000 anni fa, con la nascita dei primi stanziamenti stabili e delle
prime economie agricole, dotate di relativo surplus alimentare.

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Di questo modo di intendere la „voce‟, anima immanente, rimane traccia, ad esempio,
nel senso lato dei termini linguistici indicanti, appunto, il termine „voce‟, come nel temine
latino „vox‟, come indicatore, appunto, non solo di voce come produzione sonora
dell‟apparato fonatorio, ma in maniera più vasta e comprensiva, come suono che è testi-
monianza di „anima‟, di „natura‟, di „suoni dell‟universo‟, di „esistenza‟.
Dal punto di vista archeologico, molti di questi strumenti musicali, purtroppo, sono
di difficile individuazione in mezzo agli altri reperti, in quanto facilmente deteriorabili.
Fra questi, in epoca prevalentemente alto paleolitica e neolitica (25.000/6.000 anni fa), si
sono potuti individuare strumenti in osso, principalmente fischietti e rombi.
L‟esperienza musicale si è riscontrata, in ogni caso, in tutte le popolazioni umane nel
mondo di qualunque origine e continentalità.
Data l‟unitarietà della concezione del mondo e dell‟esperienza sensibile, è facile im-
maginare e accettare come le esperienze di guarigione e di auspicio di salute si siano sicu-
ramente avvalse attivamente dell‟esperienza sonora, intesa come richiamo dell‟anima vita-
le. Lo dimostrano i rituali ancora riscontrabili nelle prime testimonianze filmate delle po-
polazioni aborigene dell‟America amazzonica e dell‟Africa interna.
Interessanti sono anche alcuni racconti riguardanti qualcuna di queste tribù: in parti-
colare una del Madagascar nella quale il missionario inglese JAMES SIBREE nel 1870 ebbe
modo di osservare una guarigione di due bambine attraverso un rituale basato su musica e
danza.
L‟aspetto animistico è ancora presente nelle popolazioni arcaiche. Ma non solo in
queste. Per tanti versi, sebbene ampiamente superati dal punto di vista ontologico e filolo-
gico, tali aspetti si presentano, è bene ricordarlo e sottolinearlo con forza, anche in odierni
momenti della nostra stessa vita quotidiana, tanto più in quella di un musicista, o di artisti
in generale. Tali aspetti, nella sfera emotiva, si possono manifestare, ad esempio, con com-
portamenti rituali, ossessivi, o semplicemente con affettività legate a contesti ambientali,
verso oggetti, verso strumenti espressivi, verso foto, immagini, icone, fino ad aspetti visio-
nari e, nella sfera patologica, ai deliri, alle allucinazioni visive e uditive, alle „voci‟.

L‟aspetto identitario del sonoro. La musica „funzionale‟


Con l‟inizio delle testimonianze scritte, con l‟inizio della storia, l‟esperienza sonora si af-
faccia all‟interno dei documenti e delle pitture antiche a corredo della ritualità connessa al-
le antiche religioni, ma anche al canto dei poeti-aedi e dei loro dei [OMERO, ORFEO, DIONI-
SO, PAN, APOLLO, ad es.]. Anche all‟interno di queste testimonianze, la presenza della mu-
sica si avverte come esperienza poetico-ritmica associata alla narrazione di miti e leggende
(aedi) che si rifanno a forti esperienze archetipiche. La musica diventa, con gli inni e le odi,
veicolo dell‟etica (morale e religione), dell‟epica (storia e miti) e delle norme di comporta-
mento collettivo (leggi e misure sociali).
Si stratifica e consolida una memoria sonora identitaria, come in tutte le odierne e-
sperienze dell‟autentico folclore popolare, e si può cominciare a parlare, con la diversifica-
zione fra cultura e religione, di uso „funzionale‟ e collettivo della musica: ovvero con uno
scopo attivo all‟interno del contesto in cui si esprime, che si fa veicolo di tradizioni, di gua-
rigione, di calendari, di propiziazione del raccolto, di lavoro, di memoria collettiva, di ap-
partenenza ad un‟etnia, di acculturazione della gioventù, di sessualità e corteggiamento,
di addormentamento e così via.

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Qui però si avvertono le prime tracce di distinzione fra l‟aspetto „estetico‟ e quello
„funzionale‟. Questa espansione dell‟uso diverso da quello funzionale, nasce con
l‟instaurarsi delle caste aristocratiche, con l‟aumento e l‟immagazzinamento delle scorte
alimentari, con relativa tranquillità della sopravvivenza vitale che consentiva alla rendita
parassitaria di „produrre‟ cultura estetica a vantaggio di una classe rispetto all‟altra (vedi
culture minoica e micenea, egizia, ad es.). L‟estetica, in questa fase protostorica, è propor-
zionale alla distanza dalle necessità materiali della classe che la esprime. L‟affrancamento
dalle necessità materiali favorisce l‟allungamento del ciclo vitale dei suoi membri e deter-
mina, tra l‟altro, la nascita dei miti di longevità, o di eternità, degli dei, degli eroi e dei
saggi. Uomini e dei, ad esempio, spesso si accoppiano fra loro e fanno figli: i cosiddetti
semi-dei e demoni. A sua volta, tale longevità veniva spesso, e a torto, associata all‟otium
dovuto allo schiavismo e alla posizione sociale, e da questa estesa a tutte le attività esteti-
co-artistiche che tale condizione poneva in essere. Il canto sublime, il canto degli dei, le ar-
pe, le lire, gli aulòs sono tutti strumenti entrati a far parte della mitologia occidentale, così
come in quella orientale a suffragio di un effetto riguardante l‟innalzamento dell‟anima e
del benessere spirituale dalla mera materialità, laddove gli strumenti altri, il tamburo, il
tamburello, i sonagli, i campanelli, i pifferi, i flauti, uniti al movimento e ai suoi ritmi po-
dalici, alla danza, alla „EUPHROSYNE‟ [la „lieta‟ fra le TRE GRAZIE; insieme a TALIA la „fioren-
te„ e ad AGLAIA la „splendida‟], all‟estasi, alla trance, tendono alla materialità, alla sessuali-
tà, alla parte „funzionale‟ dell‟espressione musicale, al neg-otium, alla quotidianità.
In Oriente CONFUCIO testimonia che i filosofi cinesi pensavano più o meno la stessa
cosa: «Il godimento della musica forma l‟armonia interiore».
Fra gli antichi Egizi il mondo è originato dal grido del dio THOT, e la musica possiede
un potere legato alla fertilità della donna.
Diverse tecniche di meditazione tibetana e indiana sono fondate sulla musica e sul
canto di mantra.
Il mito di Pan e di Orfeo, come quello di Dioniso e di Apollo, sono lotte, in fondo, tra
materia e spirito, tra popolo e aristocrazia, dove a vincere sono sempre gli „spiriti alti‟,
quelli che poi sanno anche scrivere delle loro vittorie e sanno documentarle con l‟arte e le
storie.
La nascita della filosofia testimonia, fra le varie „facce‟ del mondo, anche quella lega-
ta alla musica.
PITAGORA (VI sec. a.C.) studia e verifica che le successioni di note e gli armonici sono
frutto di rapporti numerici precisi. Teorizza come l‟esperienza dell'armonia dei numeri e
delle frequenze abbia un suo corrispettivo nell‟intelletto, il quale recepisce queste frequen-
ze in quegli stessi rapporti e ne viene condizionato.
PLATONE (V-IV sec. a.C) raccomanda la musica e la danza per i timori e le angosce
fobiche: ”... la musica non è stata data all'uomo solo per lusingare i propri sensi, ma anche per
calmare i tormenti dell'anima e i movimenti che tenta un corpo pieno di imperfezioni”. Gli aspetti
benefici della musica sono legati all‟innalzamento spirituale e al rapimento estatico.
ARISTOTELE (IV sec. a.C.), all‟interno del suo Liceo, reputa la musica uno studio ob-
bligatorio affinché l‟uomo non ne cada vittima. Aristotele parla dell'autentico valore medi-
co della musica nelle emozioni incontrollate e le attribuisce un effetto benefico a livello di
catarsi.
Studio ancora più approfondito lo fa PLUTARCO (I-II sec. d.C.) nello sconosciuto Sulla

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Musica dove analizza ogni modo greco associandolo ad un modo di fare e ad una civiltà
attica, dove il modo frigio, attribuito agli spartani, possiede uno stile aggressivo.
Parallelamente agli aspetti filosofici già si va strutturando e consolidando una mito-
logia „terrena‟ allargata ai rituali di guarigione. Purtroppo non conosciamo tali rituali, ma
solo che questi vengono effettuati frequentemente. Si tratta di riti con musiche di strumen-
ti vari, melodici e ritmici, forse anche armonici, le cui caratteristiche potrebbero solamente
essere intuite, non documentate.
SANT‟AGOSTINO (IV secolo d.C.), “unico dei Padri della Chiesa ad affrontare la musica e
l'estetica musicale sul piano formale”,2 nel trattato De Musica scrive che la musica resta un
rumore insignificante fino al momento in cui tocca lo spirito.
CELIO AURELIANO (V sec. d.C.) racconta che gli antichi curavano parti dolorose del
corpo con l'influsso del suono, soprattutto se si cantava su quelle parti in modo che il bri-
vido risultante dalla percussione dell'aria recasse loro sollievo.
BOEZIO (VII d.C.) nel suo trattato De Institutione Musica, testo obbligatorio all‟interno
del corso di studi per l'„Universitas Quadrivium‟ per gli studenti di medicina, fissa quattro
“pochi, ma concisi, assunti teorici (Gouk, 2000; Horden, 2000):
1. Il sistema di vibrazioni armoniche, secondo la teoria platonica, è una riflessione microcosmi-
ca delle vibrazioni e delle proporzioni numeriche che si trovano nel macrocosmo, ad esempio
nei periodi di rivoluzione dei pianeti e dei corpi celesti – oppure dello „Spirito del Mondo‟.
2. Per la teoria medica dei quattro fluidi corporei (la cosiddetta medicina umorale, o patologia)
la salute si basa sull‟equilibrio tra i fluidi/umori, cioè i disturbi della mente umana (malattie
mentali) hanno un‟origine somatica e l‟equilibrio degli umori può essere influenzato dalle
vibrazioni della musica.
3. La dottrina dell‟ethos sostiene che la musica in diversi modi possiede proprietà e potenziali-
tà specifiche per influenzare la mente umana.
4. La coscienza (la mente) può aiutare o danneggiare la salute e la musica può, attraverso una
mente sensibile, influenzare l‟individuo seguendo determinati principi.”3

“… Per secoli e in maniera trasversale rispetto ai disaccordi di carattere religioso e filosofico,


la musica è stata considerata un fenomeno a tre livelli, gli stessi livelli che riscopriamo o ridefiniamo
oggi in un contesto scientifico moderno.
La filosofia della musica medievale (dopo Boezio) ha operato una chiara distinzione tra:
- Musica mundana: il livello spirituale, la musica come principio metafisico e sentiero per
l‟esperienza di verità universali più profonde.
- Musica humana: il livello dello spirito o della mente nel quale si dispiega il potenziale mo-
rale ed etico della musica. Non stiamo ancora parlando della dimensione sensoriale della
musica, ma della sua potenzialità di influenzare la mente in una direzione positiva aprendo-
la alla dimensione etica.
- Musica instrumentalis: il livello fisico del corpo nel quale la musica (strumentale o vocale)
risuona e può essere udita dagli esseri umani. Se considerata da una prospettiva dal basso

2GINO STEFANI, in L'etica musicale di S. Agostino, in Jucunda Laudatio, Rassegna Gregoriana, Fondazione
Giorgio Cini, Venezia, 1968.
3 In WIGRAM et AL., Guida Generale alla Musicoterapia, pg. 2, v. bibl.

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verso l‟alto, l‟esperienza della musica costituisce una precondizione, una „porta‟ per
l‟esperienza ai livelli più alti”.4

Derivano dalle teorie di Boezio metafore come quella dell‟accordatura, riportate


all‟interno della didattica per descrivere quella condizione di immersione profonda
nell‟esperienza sonora per la quale occorre dimenticare se stessi nella musica. Potremmo an-
che prendere in prestito questa immagine per la condotta del buon musicoterapista verso
il paziente, all‟interno del meccanismo di empatia.
Le teorie di Boezio, basate su quelle di Pitagora, permeano la musica e la valutazione
dei suoi meccanismi fino ai secoli XVII, XVIII e XIX. La storia della musica ci riporta solo
componimenti da cui trarre possibili analisi a posteriori sull‟estetica in essi contenuta.
Questo ci fa comunque capire come gli effetti della musica sull‟animo umano dovettero
essere dati per scontati almeno fino a quell‟epoca. Non si hanno, infatti, notizie di studi
sulle implicazioni terapeutiche o comportamentali della musica per gli interi medioevo e
rinascimento, fino al XVII secolo, epoca in cui le discipline mediche imboccano un indiriz-
zo sempre più scientifico, ma spesso relegando e schernendo le potenzialità terapeutiche
della musica. È così che la natura e l‟analisi sugli effetti del fenomeno sonoro si avvicina-
no, però, alle sorti e agli studi della psicologia della musica.
Tra la fine del 1600 e il 1700, nella teorizzazione della affektenlehre5 o teoria degli affetti,
riferibile alla teoria greca dell‟ethos, autori come RENEÉ DESCARTES (o CARTESIO, 1596-1650),
ATHANASIUS KIRCHER (1601-1680) e JOHAN MATTHESON (1681-1764), riaffermano i concetti
di legami ed effetti della musica sull‟uomo, più che dei suoi aspetti matematici.
Descartes, nel suo Compendium musicae6, del 1618 ma pubblicato postumo nel 1650,
tenta di inquadrare la musica come attività della psiche umana in relazione all'affettività,
affrontando l‟Estetica musicale in termini di acustica e di psicologia.
Kircher7, teorico della musica e scienziato tedesco, riprendendo Boezio, elabora nuo-
ve ipotesi teorico-musicali su aspetti più matematici. Fonda il concetto di Musica Pathetica
basato su una propria catalogazione di metri poetici e di figure retorico-musicali. La musi-
ca può avere influenza sul „carattere‟ umano e può variare in base alla tipologia dei vari
stili musicali. “L‟animo – secondo Kircher – presenta un certo carattere che dipende dal tempe-
ramento innato di ogni individuo, e perciò il musicista, su questa base, è portato a un tipo di com-
posizione piuttosto che a un altro. Quindi vi è una varietà di composizioni quasi altrettanto grande
che la varietà dei temperamenti riscontrabile negli individui”8. Quindi avanza interessanti ipo-
tesi sugli effetti medico-terapeutici della musica accendendo l‟attenzione sul fenomeno del
Tarantolismo.
Rappresentante della teoria degli affetti, Mattheson, successivo a Kircher, partendo
dai concetti cartesiani sulla sfera psicologica e sulla produzione e fruizione della musica,
tenta di classificare precise corrispondenze tra elementi musicali e specifici sentimenti.

4
Ibidem, pg. 8.
5 DEUMM, Il lessico, vol. II, pg. 163, voce Estetica musicale.
6 Ibidem.
7 Enciclopedia della Musica, Garzanti, Torino, rist. 2002, pg. 446.
8 DEUMM, Ibidem, pg. 163.

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La „teoria degli affetti‟ si amplia durante l‟età barocca verso veri e propri codici e
modelli interpretativi. Studi e ricerche sulle dinamiche affettive e cognitive di desideri e
comportamenti musicali nell‟uomo si sviluppano in modo sempre più scientifico, supe-
rando quello meramente intuitivo.
Nella seconda metà del 1800 cominciano le prime ricerche nell'ambito della psicoacu-
stica, epistemologicamente confinante con i campi disciplinari di acustica e fisiologia
dell'udito.
Nei secoli XIX e XX la psicologia si va affermando sempre più come scienza a sé stan-
te, che analizza e studia la psiche dell‟individuo attraverso l'osservazione del comportamen-
to e dei suoi processi, come unico dato oggettivo di osservazione. Provengono dalla psico-
logia nuovi input per le ricerche sui comportamenti musicali. L‟elemento dell‟osservazione en-
tra in gioco al di sopra di tutto, e determina un importante momento di svolta nelle cono-
scenze scientifiche sugli effetti della musica.
M. PAUL FRAISSE, psicologo francese autore fra gli altri del volume Psicologia del ritmo,
in Psychologie expérimentale così si esprime: “Il metodo sperimentale misura l‟abisso che separa
lo speculativo dallo scientifico”9. Si procede ad un‟opera di raccolta e interpretazione di dati
empirico-comportamentistici in contesti musicali.
Importante l‟opera di H. VON HELMOLTZ10, fisiologo-fisico e matematico tedesco, Le-
hre von den Tonempfindungen (Teoria delle sensazioni sonore come fondamento della teoria musi-
cale, 1863), dove affronta le norme secondo cui il timbro, la consonanza e la dissonanza
vengono articolati rispetto ai limiti della percezione uditiva umana. In quest‟opera Hel-
moltz dà grande importanza ai processi fisici e fisiologici, più che psicologici, ma offre il
„la‟ ad un‟indagine gestaltica della percezione musicale.
Successivamente, CARL STUMPF11, filosofo e psicologo tedesco, pubblica in due volu-
mi Tonipsychologie (Psicologia musicale, 1883-1890). Nei suoi studi Stumpf sottolinea l'impor-
tanza della coscienza e della percezione. Riformula il concetto di percezione, non più inte-
sa come somma additiva degli elementi minimi12 che la costituiscono ma come una totalità13
di sensazioni. Dunque si passa dalla considerazione che tende a parcellizzare la globalità
del frammento musicale, alla considerazione della totalità sia della sensazioni che dell'e-
vento musicale14.
CHRISTIAN VON EHRENFELS, filosofo e psicologo austriaco, pubblica nel 1890 Uber Ge-
staltqualitaten (Sulle qualità gestaltiche), sulle qualità percettive dell'individuo rispetto ad un
evento musicale, precorrendo la Gestalt. Inoltre, lo studio di quest‟opera, riguarda il feno-
meno di conservazione della identità di una melodia, anche in presenza di una trasposizio-
ne in altre tonalità, ricercando le caratteristiche proprie della struttura melodica e andando
oltre l‟individuazione della peculiarità delle note a sé stanti.
Secondo i principali studiosi della Gestalt, KURT KOFFKA, WOLFGANG KÖHLER e MAX
WERTHEIMER, la percezione uditiva accoglie i dati sensoriali in modo strutturato, secondo

9 In ANDRÉ AMAR in La Psicologia Moderna, Sansoni, Firenze, 1968, pg. 510.


10 HELGA DE LA MOTTE-HABER, Psicologia della Musica, Discanto Ed., Rastignano (Bologna), 1982, pg. 4.
11 Ibidem, pg. 5.
12 Ibidem.
13 Ibidem.
14 JOHN A. SLOBODA, La mente musicale, Ed. Il Mulino, Bologna, trad. 1988, pg. 8.

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leggi specifiche, come per altre percezioni, di prossimità, di buona formazione ecc.. La va-
lutazione delle risposte a singoli stimoli è inefficace, in quanto la percezione assimila il
singolo fenomeno nell'ambito di quel tutto per il quale queste risposte assumono il signifi-
cato.
Queste premesse favoriscono il passaggio alla psicologia della GESTALT, o della forma,
nuova corrente della psicologia contemporanea del tempo, nata in Germania intorno al
1912, e che si diffonde in Europa e in America, mentre in quest‟ultima è in atto la fase evo-
lutiva del behaviorismo, in netto contrasto con questa. Il behaviorismo si rifiuta di ricono-
scere l‟aspetto soggettivo determinato dalla coscienza dell‟individuo nell‟ambito della psi-
cologia scientifica, limitandosi a considerare soltanto il rapporto stimolo-risposta in funzio-
ne di ciò che si manifesta esteriormente.
Köhler, psicologo tedesco allievo di Stumpf, contesta l'atteggiamento di quegli psico-
logi che rilevano soltanto l'aspetto quantitativo e definibile entro una scala di parametri:
“La teoria meccanica del sistema nervoso è incapace di rendere conto della natura dell'esperienza
sensoriale. In questa sfera, tutto invece spinge verso una teoria che pone l'accento sui fattori dina-
mici più che sulle condizioni imposte dall‟anatomia”15.
Successivamente, ERNST KURTH sviluppa la teoria delle esperienze di totalità16 nella sua
opera Musikpsychologie, passando dalla teoria della Gestalt al concetto di esperienza vissuta,
basata sui concetti di forza ed energia (energia cinetica e potenziale17), corrispondente a ten-
sioni e distensioni psichiche in corrispondenza di peculiarità melodiche, ritmiche e armo-
niche di una melodia. Per Kurth la totalità è data dalla peculiarità che un insieme di espe-
rienze determinano, a seconda dei processi immediati psichici, dei quali va considerata la lo-
ro qualità e non la quantità18. Nella sua teoria non accetta il postulato di costanza, secondo
cui la totalità di esperienze non può godere della proprietà biunivoca tra l‟aspetto psichico
e quello fisico-psicofisiologico.
Ma secondo RENEÉ WELLEK oltre alla totalità dell‟esperienza vissuta va considerata
anche la predisposizione al musicale, che successivamente amplierà con il concetto sul ta-
lento musicale.
Intorno agli anni trenta negli USA si afferma il behaviorismo, fondato da JOHN WA-
TSON, agli inizi del XX secolo, che sostituisce l‟oggetto di osservazione nei processi percet-
tivi, sino a questo momento preso in analisi, con l‟oggetto relativo all‟osservazione del
comportamento.
A partire dalla seconda metà del 1800, per circa un cinquantennio, sulla scena euro-
peo, la Germania riveste un ruolo da protagonista, soprattutto nel campo della psicologia
della musica, con innumerevoli pubblicazioni, con ricche disquisizioni e con vari tentativi
di spiegare le dinamiche, i significati e le valenze della musica tonale e delle sue regole.
GINO STEFANI in un suo scritto – dopo un primo barlume dato dal nuovo input, au-
spicando un iter diverso da quello della psicoacustica – osserva che anche la teoria della
Gestalt si scontra con la „Nuova musica‟, in cui il concetto di forma risulta inapplicabile.

15 Ibidem.
16 H. DE LA MOTTE-HABER, op. cit., pg. 5.
17 Enciclopedia della musica di G. Ricordi, op. cit., pgg. 497-498.
18 H. DE LA MOTTE-HABER, op. cit., pg. 5.

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Non meno importanti sono le motivazioni di carattere storico, relative al nazismo,
che hanno costretto molti rappresentanti della Gestalt a lasciare la Germania per gli USA.
Uno dei primi test ad opera di CARL EMIL SEASHORE cerca di valutare le attitudini
musicali; successivamente ve ne sono altri di vario genere, come quelli di tipo proiettivo. I
risultati erano ambìti anche da altri campi: quello psicologico e pedagogico.
Tra i primi paesi a produrre una copiosa serie di ricerche, vi sono quelli dell‟America
Settentrionale (USA e Canada), imperniate sui principi del neopositivismo, dell'operazioni-
smo e più specificatamente quelli del funzionalismo e del behaviorismo.
Altrettanto interessante e cospicua è la pubblicazione di numerose riviste specializza-
te e di volumi soprattutto negli anni ‟80 del secolo scorso.
In Inghilterra19, tra il 1980 e il 1981, PIERRE SHAEFFER compie un esperimento per rile-
vare e studiare l‟esecuzione dei pianisti mediante l‟utilizzo di un pianoforte a coda „prepa-
rato‟ con delle fotocellule sensorie e con circuiti elettronici. Altrettanto realizza JOHN SLO-
BODA con gli stessi materiali, ma con finalità diverse, ossia verificare come i pianisti riesca-
no a trasmettere all‟ascoltatore il metro di un brano mediante differenti elementi presenti
nell‟evento musicale e costitutivi di un‟esecuzione.
Nei Paesi Bassi20 si assiste all‟approfondimento dell‟ambito della psicoacustica;
l‟orientamento teorico e metodologico può essere considerato in linea con quello america-
no e anglosassone. Nel 1976 REINIER PLOMP effettua degli studi sui concetti di dissonanza e
consonanza sensoriali, rilevando la posizione che le fondamentali e gli armonici detengo-
no all‟interno a al di fuori di una stessa „banda critica‟. Una distanza sarà sensorialmente
consonante se gli elementi sopra citati apparterranno a bande critiche differenti, al contra-
rio sarà sensorialmente dissonante. Altrettanto interessanti sono le ricerche approntate per
dimostrare, mutuando i principî della Gestalt nel campo musicale, che esistono gli effetti
di continuità anche nella percezione uditiva.
Rispetto ai concetti di dissonanza e consonanza, particolare è l‟esperimento condotto
da HANS BORCHGREVINK21 nel 1982, nei paesi nordici, in Norvegia, consistente nel sotto-
porre dei ratti albini all‟ascolto della triade maggiore e di un accordo dissonante. I ratti,
abbassando due leve, collegate con effetti sonori, con una azionano la consonanza, con
l‟altra la dissonanza; in seguito a ripetuti ascolti i ratti dimostrano di preferire la conso-
nanza. Va precisato che all‟interno dell‟esperimento non sono state utilizzate le ricompen-
se e non è stato sviluppato l‟allenamento. Borchgrevink indica che nei mammiferi potreb-
be esistere una „innata‟ preferenza per la consonanza.
Di notevole interesse è un altro esperimento, questa volta condotto da Borchgrevink
sull‟essere umano, che riguarda l‟attivazione cerebrale dei due emisferi durante la produ-
zione del linguaggio parlato e del canto come evento musicale: soggetti affetti da epilessia
unilaterale vengono sottoposti ad anestesia locale prima di un emisfero, poi dell‟altro. È
risultato che, quando l‟emisfero destro è anestetizzato, il paziente non riesce a mantenere
le intonazioni e le altezze di una canzone a lui nota, ma non riusce a conservare il ritmo,

19 ALF GRABIELSSON in La Psicologia della Musica in Europa ed in Italia, a cura di GINO STEFANI e FRANCA
FERRARI, Ed. Clueb, Bologna, 1986 ed ampliata, pg. 31.
20 Ibidem, pg. 32.
21 Ibidem, pg. 37.

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mentre gli aspetti del linguaggio parlato, quali la prosodia e la consapevolezza dei signifi-
cati, restano immutati.
Successivamente, durante l‟anestetizzazione dell‟emisfero sinistro, il paziente non
era in grado né di produrre e comprendere attraverso il linguaggio parlato, tanto meno di
cantare. Va precisato che questo esperimento è stato effettuato su soggetti destrimani. Al
termine si evince che all‟emisfero sinistro sono deputate le percezioni, la produzione del
linguaggio in tutti i suoi aspetti prosodici, il ritmo musicale e la facoltà del canto, mentre,
all‟emisfero destro, sono deputate le funzioni che regolano l‟altezza e l‟intonazione
all‟interno di un canto.
Interessante e di genuina fattura è l‟esperimento condotto da CARL NIELSEN22 nel
1983 in Danimarca, riguardante la tensione espressa durante l‟ascolto di due brani musica-
li, applicato su due gruppi di persone, dei quali uno musicalmente esperto, l‟altro inesper-
to. Già precedentemente erano state affrontate le dinamiche che determinano i vari tipi di
ascolto gestaltico, olistico e del „process oriented‟ orientato verso il processo. È stato dimo-
strato che il gruppo esperto, ad un primo ascolto ha recepito in modo olistico, mentre il se-
condo gruppo, mediante il „process oriented‟, durante il secondo ascolto di uno stesso
brano, ha dimostrato di attivare un ascolto gestaltico.
Restando nell‟ambito degli studi in cui è presente l‟ascolto, Nielsen23, nel 1982, in
Svezia, ha cercato di individuare le modalità espressive delle emozioni attraverso la musi-
ca e come queste possano intersecarsi con gli elementi propri della struttura musicale. I
soggetti sottoposti all‟ascolto si sono espressi secondo categorie di aggettivi, facendone
emergere tre coppie, due delle quali, gaiezza/tristezza, tensione/rilassamento, sono risultate
uguali a quelle emerse in un altro esperimento precedente. L‟iter di questo esperimento è
andato oltre, poiché ha posto l‟attenzione sulle possibilità di indagare “come i vari disordini
mentali possono influenzare l‟esperienza della musica”.
Secondo Nielsen: “tra i pazienti psicotici, gli schizofrenici considerano la musica chiara-
mente 'attraente‟, mentre i maniaci e i depressi la valutano come decisamente triste. Tra i pazienti
neurotici, i depressi esperivano la musica come „malinconica e disgustosa‟, mentre gli ossessivi esa-
geravano la „tensione‟. I neurotici isterici variavano nella loro esperienza della „tensione‟, ma trova-
vano tutti i pezzi di musica „allegri e attraenti‟. L‟ansietà era associata a valutazioni neutrali della
„tensione‟ e della „guerra‟ e ad alti valori di „disgusto‟. Uno studio particolare ha rilevato che la ve-
locità è cruciale per l‟esperienza emotiva della musica nei pazienti maniaci”.
In Francia nel campo della ricerca in psicologia della musica, bisogna segnalare il la-
voro di ROBERT FRANCÉS24. La prima pubblicazione fu „La perception de la musique‟ che se-
gna l‟inizio del cammino di interessanti studi e ricerche della „scuola francese‟.
Tra le prime problematiche affrontate da Francés vi è quella della percezione musica-
le rispetto alla teoria della forma. Egli perviene a due conclusioni: nella prima ipotesi af-
ferma che la percezione non opera secondo le leggi della forma, bensì attraverso delle di-
sposizioni acquisite con cospicui e peculiari ascolti, che possono entrare nell‟educazione e
nell‟acculturazione, o in funzione di apprendimenti anteriori; nella seconda sostiene che
colui che ascolta, nella identificazione dei modelli espressivi all‟interno di una forma sono-

22 Ibidem, pg. 35.


23 Ibidem, pg. 40.
24 MICHEL IMBERTY in La Psicologia della Musica in Europa ed in Italia, op. cit., pg. 51-52.

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ra, mette in gioco le proprie caratteristiche e atteggiamenti sociali che i comportamenti ri-
petitivi e costanti della percezione implicano, ma senza poter giungere ad una individua-
zione specifica che può scaturire dall‟educazione e dalla acculturazione.
Si può dunque evincere che maggiore sarà l‟età di un individuo e maggiore sarà il
suo livello di acculturazione, di conseguenza diventa più difficile delineare il confine tra
un sistema percettivo condizionato dall‟acculturazione e un sistema percettivo dall'identi-
tà più genuina.
A tal proposito, MICHEL IMBERTY nel 1969, in una sua pubblicazione, mostrò che
l‟acculturazione tonale nei bambini si determina tra i sette e i dodici anni, sia in funzione
del contesto circostante, che delle capacità percettive ed intellettuali del bambino. Inoltre
va considerato, per una maggiore comprensione, che lo sviluppo del sistema percettivo
non lo si acquisisce subito o globalmente, bensì si ipotizzano dei decentramenti temporali en-
tro i primi dieci anni, che sono immuni all‟educazione ricevuta.
La seconda affermazione fatta da Imberty ipotizza l‟esistenza di universali musicali, o
„sistemi melodici‟, determinati da principi propri della percezione e della cognizione, che
sono comuni in tutte le civiltà e che sono precedenti allo sviluppo del senso tonale, dal
momento che nel bambino si riscontrano difficoltà nell‟interazione con l‟aspetto armonico,
molto presente nel sistema tonale classico.
A tal proposito, nel 1982 egli dimostra attraverso materiali raccolti, che le produzioni
melodiche infantili improvvisate o relative a schemi melodici memorizzati, si basano su di
un intervallo-perno di quarta o di quinta, in cui la tensione polarizzata tra i due suoni costi-
tutivi dello stesso intervallo, provocano l‟elemento ritmico e intensivo, che a volte può su
di esso prevalere e quindi porre in secondo piano l‟aspetto delle altezze.
Attraverso ciò Imberty presume una “anteriorità genetica della percezione melodica, pre-
senza di strutture melodiche arcaiche nella produzione infantile”25.

Gli aspetti psicoanalitici e le condotte


Nell‟ambito psicoanalitico, lo stesso SIGMUND FREUD afferma che la musica può essere
considerata come un atto creativo di sublimazione della pulsione sessuale.
Successivamente, con FRANCO FORNARI si è passati ad una rivisitazione del concetto
secondo cui gli aspetti evocativi o le reazioni agli stimoli musicali sono da considerarsi le-
gati all‟esperienza intrauterina.
Altrettanto interessanti sono le teorie ipotizzate in campo antropologico sociale, in cui
affluiscono quella dell‟etnologia musicale e quella della sociologia musicale. Nella prima si te-
orizza l‟esistenza di uno „schema interno‟26 appreso e relativo ad ogni contesto culturale, at-
traverso il quale si articolano le attività d‟espressione e ricezione della musica; nella se-
conda emerge soprattutto il concetto espresso da THEODOR W. ADORNO, che rileva la rela-
zione esistente tra l‟evento musicale e la realtà circostante dove è espresso, e quindi pro-
dotto e fruito.
In campo musicoterapico, la musica è considerata e applicata per le sue valenze co-
municative che favoriscono la relazione. Attraverso la comunicazione sonora, le resistenze
difensive cadono con maggiore facilità poiché difficilmente controllabili rispetto ad altri

25 Ibidem, pg. 62.


26 Ibidem, pg. 735.

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linguaggi verbali e non verbali, di conseguenza i contenuti emotivi possono emergere in
modo più fluido.
Le modalità di applicazione utilizzate, possono essere sia di tipo attivo che passivo.
Ci sembra interessante riportare un concetto espresso da JOHANNELLA TAFURI e che
ancora oggi non è stato considerato in modo approfondito, in quanto gran parte delle ri-
cerche sperimentali, effettuate nel campo della psicologia delle musica, sono state realizza-
te nell‟ambito di contesti colti occidentali. Come ella stessa afferma “Prima di affrontare i
contributi che la psicologia offre allo sviluppo della percezione musicale è necessario cercare di in-
tendersi sul concetto di „musica‟ […]”27. In realtà il termine „musica‟ così come noi „colti occi-
dentali‟ lo intendiamo, in altre culture non è affatto esistente e, in altre ancora, contiene
diversi significati, in parte riconducibili all‟evento sonoro musicale, ma inglobato, pertanto
non scindibile, ad esempio dall‟espressività corporea che si traduce in vere e proprie dan-
ze.
Gli elementi, quali soprattutto ritmo e melodia, che nella nostra cultura concorrono a
configurare e a decretare un evento sonoro come musicale, in altre culture potrebbero non
essere presenti, oppure diversamente articolati. Anche il concetto di tonalità deve essere
inquadrato dal punto di vista del contesto socioculturale di appartenenza. Non esiste dun-
que una „musica‟ che di per sé possa contenere „l‟oggetto‟ determinante specifiche reazioni
comportamentali, culturali o emotive, bensì ogni musica assumerà particolare valore se-
mantico e simbolico quando corrisponderà all‟ISO28, ovvero all‟identità sonoro-musicale
del fruitore, in cui convergono vari elementi di natura culturale, ma anche gestaltica e uni-
versale. Il fruitore potrà dunque riconoscersi e potrà interagire, oltre che con modalità che
fanno riferimento al suo contesto culturale, anche esclusivamente sulla base di comporta-
menti che FRANÇOIS DELALANDE definisce condotte musicali, ossia comportamenti finalizzati
che nel caso specifico soddisfano un sentimento di piacere. “[…] Tanto più dissimili sono gli
stili da un‟epoca all‟altra, da un continente all'altro, tanto più si somigliano le condotte musicali.
Sempre e ovunque si individuano queste tre grandi caratteristiche delle pratiche etichettate come
„musica‟: una abilità senso-motoria, una dimensione simbolica che vi si sovrappone ed una forma di
gioco combinatorio […]”29.
Non può esistere una pratica sonoro-musicale, che sia essa esecutiva o di ascolto, che
non coinvolga simultaneamente i tre livelli generali: cognitivo, motorio e affettivo, in cui si
potrebbe verificare la prevalenza di uno sull‟altro.

27 JOHANNELLA TAFURI, Psicologia genetica della musica, Bulzoni Editore, Roma, 1991, pg. 7.
28 ROLANDO O. BENENZON, Manuale di Musicoterapia, Borla, Roma, 1984, pgg. 46-55.
29 J. TAFURI, op. cit., pg. 10.

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CAPITOLO 2
GLI STUDI SULLA PERCEZIONE SONORO-MUSICALE
Gli esseri viventi pluricellulari sono dotati di tessuti specializzati attraverso i quali posso-
no recepire la realtà circostante e, soprattutto negli animali e nell‟uomo, sono organizzati
in organi di senso, ciascuno con finalità specifiche a tradurre lo stimolo ricevuto mediante
le cinque sensorialità: vista, udito, tatto, olfatto, gusto.
I processi sensoriali, oltre a costituire il canale e la forma più immediata per
l‟organismo nel fruire di tutto ciò che lo circonda, sono alla base della percezione.
Nell‟atto percettivo si possono individuare delle caratteristiche quali, l‟essere primiti-
vo ed immediato („non intellettuale e riflesso‟), oggettivo (relativo ad uno stimolo esterno ri-
spetto a chi percepisce), globale ed unitario (non è pura eccitazione puntuale).30
I fattori che intervengono nel processo della percezione sono di tipo sia fisiologico
che psichico: con i primi si ha un adattamento dei recettori sensoriali alle stimolazioni, e
trasmissione delle eccitazioni alla corteccia cerebrale; mentre con quelli psichici si ha
l‟elaborazione dei dati sensoriali che vengono percepiti, selezionati ed organizzati nell‟atto
percettivo.
La percezione, dunque, è data da una serie di attività psicologiche, mediante le quali
vengono organizzate le informazioni che il soggetto riceve dall‟esterno grazie ai processi
sensoriali e che, per inferenze, giunge alla conoscenza. Nella percezione si delinea un rap-
porto tra il soggetto e l‟oggetto, ma è sempre la soggettività dell‟individuo che, con le pro-
prie caratteristiche, attua l‟atto percettivo. Dunque, la percezione non è soltanto fenomeno
sensoriale, bensì un comportamento psicologico relativo soprattutto alla memoria ed ai
processi di apprendimento, dove l‟esperienza personale e sociale giocano un ruolo fonda-
mentale nel determinare „l‟individualità‟, contribuendo all‟elaborazione dei dati in modo
sempre diverso. Infatti ad alcuni oggetti, costumi, tradizioni, ecc., non vengono riconosciu-
ti significati unici dai vari popoli, ma ciascun simbolo o evento verrà percepito con un va-
lore che corrisponderà al sistema di riferimento proprio dell‟individuo.31
Essa non ha la finalità specifica di fornirci una copia mentale dell‟oggetto esterno at-
traverso il semplice assemblamento dei dati sensoriali e mnemonici, ma determina una e-
laborazione interna, nell‟ambito della nostra „prospettiva mentale‟32, pertanto in essa predomi-
neranno le condizioni esterne al soggetto, anche se i condizionamenti interni assumeranno
un importante ruolo. Infatti, nella percezione sono presenti elementi come il ruolo dell‟Io, i
bisogni organici, l‟effetto di ricompense e punizioni, lo stato affettivo, l‟abitudine, il carat-
tere, il processo motivazionale attivo, gli interessi che alimentano il processo attentivo ed il
background culturale.
Nella formulazione del concetto di percezione, molti studiosi hanno espresso pareri
discordanti sulla definizione della „sensazione‟. Per gli appartenenti all‟orientamento fisio-
logico, la sensazione o sensibilità è data dai dati rilevati dai processi sensoriali in presenza

30 RENZO CANESTRARI, Psicologia generale dello sviluppo, Ed. Clueb, Bologna, 1984, pg. 141.
31 FRANCESCO DELLI SANTI in Dispensa Psicologica della Percezione e della Memeoria, relativa al corso trien-
nale di musicoterapia, Conservatorio U. Giordano di Foggia, a.a. 2002-2003.
32 Ibidem.

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di uno stimolo esterno e la percezione è un processo costituito ed articolato da più sensa-
zioni.
Mentre secondo la teoria della Gestalt tra la percezione e la sensazione si può indivi-
duare una distinzione in ambito neurologico, da un punto di vista psicologico non può
non essere dotata di significato, poiché articolata con un comportamento psichico, e quindi
il confine tra percezione e sensorialità o sensazione non è definibile. Per i teorici della Ge-
stalt, dunque, la sensazione è un dato fisiologico, ma che non può essere scisso dalla per-
cezione e non può psicologicamente essere esaminato, poiché la realtà che circonda l‟uomo
si presenta, ad esso, in forma unitaria, con strutture o forme che hanno uno specifico signi-
ficato staccato da uno sfondo indifferenziato. I gestaltisti, attraverso varie ricerche sperimen-
tali sono pervenuti a delle leggi che regolano l‟organizzazione del campo percettivo, quale
elemento unitario, la cui totalità possiede qualità che vanno al di là della semplice somma
delle parti. Tra le varie leggi33 ricordiamo quella della pregnanza, secondo cui la qualità del-
la forma sarà „buona‟ se condizioni di simmetria, regolarità e semplicità saranno opportu-
namente presenti; la legge della vicinanza, secondo cui gli elementi del campo percettivo
che tra essi sono più vicini tendono ad essere percepiti in forma unitaria rispetto agli altri
più distanti; vi sono ancora la legge della somiglianza, della continuità e della chiusura.

La percezione uditiva
Secondo le leggi percettive gestaltiche esiste una costanza della grandezza e della forma
anche nella percezione dei suoni; questa ipotesi è comprovata dall‟esperienza uditiva in
cui si ha il mantenimento della costanza del volume del suono, per sui un suono il cui vo-
lume è variabile viene percepito come se fosse in movimento. Il famoso fenomeno acustico
denominato „effetto Doppler‟ ci dimostra come la percezione del volume di un suono varia
a seconda del suo avvicinarsi o allontanarsi, dall‟incrementarsi o dal diminuire
dell‟intensità, unitamente ai vari andamenti che il suono può assumere avvicinandosi o di-
stanziandosi dal nostro udito: „crescente‟, „calante‟34.
La legge gestaltica della costanza della forma trova un sua permanenza nel mante-
nimento del riconoscimento soggettiva di una struttura musicale, che rimane invariata nel-
la riproduzione pur presentando livelli ampi di distorsione.
Ciò che maggiormente ricopre importanza nella percezione uditiva è l‟aspetto tem-
porale: la sequenza temporale degli stimoli sonori viene infatti a strutturarsi in un insieme
caratterizzato dal ritmo, e da qualità come l‟armonia, la cadenza e la consonanza.
La disposizione temporale dei suoni e gli intervalli tonali, in particolare, sono in gra-
do di fornire stimolazioni tali da indurre reazioni motorie ritmiche e variazioni del tono
affettivo nell‟uomo.
È sicuramente in un passato molto più lontano che possiamo riscontrare le prime
concezioni, riguardanti le influenze della musica sull‟uomo, soprattutto risalendo alla ci-
viltà Greca che riconosce alla musica particolari valenze e ne individua, nel sistema moda-
le, un aspetto simbolico e funzionale. Queste concezioni continuano tuttora ad essere mo-
tivo di indagine e di speculazioni, ma in un‟ottica traslata, nel „nostro‟ sistema musicale

33 Ibidem.
34 R. CANESTRARI, op. cit., pg. 161.

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(occidentale). Così come i Greci attribuivano particolari funzioni ed effetti a specifici modi,
così noi oggi valutiamo gli effetti e le funzioni che i modi maggiore e minore determinano.
Gli studi sulla percezione della musica che nell‟iter della psicologia della musica ne
hanno costituito il punto di partenza, vedono la loro nascita ed evoluzione nei principi e
nei modelli propri della psicologia sperimentale.
Le prime pubblicazioni con le quali è possibile delineare l‟avvio di un percorso di
studi da un carattere più organico, sono state quelle di PAUL FRAISSE, Les structures rythmi-
ques [1956] e di Robert Francès, La perception de la musique [1958], ma non ne rappresentano
in assoluto il vero principio35. Come in ogni corrente, di carattere umanistico o scientifico,
anche l‟esordio degli studi sulla percezione della musica, avvenuto intorno alla fine del
1800, è stato caratterizzato da una serie di controversie, e determinate da due differenti
posizioni, di cui in una poggia su basi concettuali relative all'introspezionismo dove ancora
si avverte l'influenza ed il vecchio legame alla filosofia, mentre nella seconda si sviluppano
aspetti legati soprattutto al campo della psicoacustica.
I primi laboratori vengono fondati a Lipsia da WILHELM WUNDT36 nel 1879, che orien-
terà gran parte del suo lavoro sulla ricerca degli elementi propri della coscienza.
Nonostante gli aspetti della mente, che ormai rientrano nelle categorie di elementi
che possono essere indagati in modo sperimentale, risulta comunque difficile effettuare
degli studi sulla percezione musicale mediante la tecnica introspettiva, basata sull'autos-
servazione degli aspetti della coscienza da parte dello stesso individuo preso in esame e,
nel caso specifico riguarda la quantificazione dei rapporti fra sensazione e coscienza. I li-
miti di questa tecnica – dovuti all‟impossibilità del soggetto di esprimersi in modo del tut-
to imparziale, ed inoltre alle circoscritte possibilità offerte dal linguaggio verbale per poter
tradurre con precisione le sensazioni provate, relative ad uno specifico dato o evento –
diedero luogo a pochi risultati.
Sarà grazie a studiosi come ERNST HEINRICH WEBER e GUSTAV FECHNER37 che inco-
minceranno ad affermarsi concetti più oggettivi. Weber rileva che le differenze non ven-
gono percepite in quanto assolute, ma in quanto legate ad una relatività. In seguito Fe-
chner proseguì questo lavoro approfondendo in modo sistematico la relazione tra stimola-
zione fisica e sensazione soggettiva che questa determina, il tutto mediante osservazioni
quantitative. Ne è risultato che l‟aumento della sensazione è parallela all'aumento della
stimolazione fisica, rispetto a qualsiasi parametro musicale (intensità, durata, altezza, ecc.)
venga preso in considerazione.
Importanti sviluppi si avranno con Helmoltz38 che affronterà lo studio della conso-
nanza e della dissonanza con cui determinerà la sua „teoria della risonanza‟ o teoria sulla
percezione delle altezze. Egli afferma che la vibrazione per simpatia di cellule nervose
specifiche è dovuta alla vibrazione esterna che il timpano trasmette alla catena degli ossi-
cini dell‟orecchio medio, da cui poi giungono alla membrana basilare a livello
dell‟orecchio interno. Dunque, secondo Helmoltz la tecnica introspettiva è poco congrua

35 IRÈNE DELIEGE, La percezione della musica in Enciclopedia della Musica, vol. II, Il Sapere Musicale, Ei-
naudi, Torino, 2002, pg. 305.
36 Ibidem, pg. 306.
37 Ibidem, pg. 307.
38 Ibidem, pg. 308.

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per giungere alla trasformazione del dato sensoriale in dato percettivo. Rispetto a ciò egli
espone la sua teoria delle „inferenze inconsce‟39 attraverso la quale “[…] Egli presenta la per-
cezione come un atto creativo: l‟individuo costruisce le proprie percezioni a partire dalla sensazio-
ne registrata, con un sistema di deduzione (o inferenze) effettuate inconsciamente sulla base delle
proprie esperienze e conoscenze anteriori. […]”40. Da ciò si può comprendere come questa po-
sizione che vede la percezione scaturita da „inferenze inconsce‟, urti con il metodo intro-
spettivo che per sua oggettiva natura non può accedere ai fenomeni dell‟inconscio. Ma
Helmoltz non sarà l‟unico a esternare il proprio disappunto rispetto alla tecnica introspet-
tiva, altri come Stumpf, C. von Ehrenfels, K. Kofka ed altri ancora della corrente della Ge-
stalt. Di notevole interesse è il concetto di fusione che in questo periodo emerge, non solo
per quanto esprime ma anche perché in esso sono presenti le premesse relative ai contenu-
ti della scuola gestaltica. Secondo il concetto di fusione, il soggetto, un tutto, un insieme di
suoni simultanei – che non vengono percepiti come se ne diventassero un unico suono,
bensì ciascun suono – entrerà in relazione con gli altri del tutto senza perdere le sue pecu-
liarità identificative.
Anche il behaviorismo esterna la sua posizione rispetto agli studi che si occupano degli
aspetti della coscienza. Il contesto del behaviorismo nasce su posizioni ben diverse e con fi-
nalità orientate soprattutto a trarre immediati e tangibili risultati che potessero essere utili
alla società. Conoscere come e quanto la musica possa determinare dei cambiamenti sul
comportamento umano costituisce l‟obiettivo principale del behaviorismo. Importanti risul-
tati sono stati ottenuti in ambiti specifici dove la musica è stata utilizzata in modo funzio-
nale: in alcuni luoghi di lavoro ha fatto registrare apprezzabili miglioramenti e nei luoghi
pubblici di vendita ne ha favorito gli introiti. Nell‟ambito di questa corrente vi è una rivisi-
tazione, da parte di EDWARD TOLMAN (1896-1959), dello schema Stimolo-Risposta tra i quali
inserisce una variabile intermedia I, che dà luogo ad una rimessa in gioco degli aspetti
mentali, tanto contrastati nella tecnica introspettiva. Egli attraverso uno studio sui ratti ha
scoperto che la loro modalità di apprendere non era limitata alla ripetitività di sequenze
motorie, ma nell‟esperimento durante il quale i ratti dovevano trovare una ricompensa a-
limentare all‟interno di un labirinto, questi mettevano in gioco delle varianti che, secondo
Tolman, implicavano una rappresentazione mentale, dunque delle capacità psicologiche
di elaborare dei dati. Da qui il suo concetto di cognitive maps [Tolman, 1948] ossia schema
mentale scaturito dall‟elaborazione che il soggetto compie rispetto alle informazioni ricet-
tive. Traslando nell‟ambito della percezione della musica egli ipotizza la costituzione di
una linea mentale, attraverso la quale durante l‟ascolto possiamo rilevare degli indizi ossia
elementi di riferimento41.
Gran parte della teoria Gestalt nell‟ambito della percezione ha sviluppato delle pro-
prie leggi e soprattutto per quanto riguarda la percezione visiva. Molte modalità utilizzate
per l‟analisi della percezione visiva sono state mutuate per analizzare l‟organizzazione
della percezione dell‟ascolto. Rispetto alla percezione visiva, in quella auditiva vi è un gap
che è dato dal fattore temporale: i tempi necessari per fruire di un‟opera d‟arte sono deci-
samente minori rispetto a quelli necessari per fruire di un‟opera musicale, pertanto la per-

39 Ibidem.
40 Ibidem.
41 Ibidem, pg. 311.

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cezione del „tutto‟ potrebbe esserne limitata. Di contro, secondo Fraisse, esiste un piccolo
lasso temporale che egli definisce „presente psicologico‟42 attraverso il quale è possibile or-
ganizzare, durante l‟ascolto, le sequenze sonore appena ascoltate e che di conseguenza si
determini una relazione tra queste e le successive che via via si ascolteranno.
Da questo ascolto si percepirà il ritmo e quindi l‟evento musicale nella sua totalità.

La percezione presso la scuola cognitivista


Altrettanto interessanti sono stati i contributi dal cognitivismo i cui studi hanno riguardato
principalmente la struttura ed il funzionamento dei processi mentali.
Nell‟ambito della percezione musicale i cognitivisti hanno sviluppato due filoni di ri-
cerca, in uno hanno approfondito lo sviluppo delle modalità percettive rispetto agli ele-
menti cardinali intorno ai quali si struttura il nostro sistema musicale (occidentale-
temperato) al fine di rilevare come e quanto il soggetto abbia appreso dal suo contesto so-
noro-ambientale. Va ricordato, a tal proposito che i suddetti studi sono stati effettuati con-
siderando soltanto la musica occidentale.
Nel secondo filone confluiscono gli studi derivanti dall‟impronta gestaltica e i cui o-
biettivi riguardano la spiegazione su come l‟aspetto cognitivo operi durante la struttura-
zione di sequenze melodiche e come si giunge alla strutturazione della forma, mediante
raggruppamenti, nonché alla rappresentazione mentale della forma musicale.
In ultima analisi tra le ricerche più recenti ve ne sono alcune che riguardano le emo-
zioni suscitate dall‟ascolto.
Per quanto riguarda gli studi, compresi nel primo filone, risultano di notevole inte-
resse quelli elaborati da M. Imberty43 il cui oggetto è stato di scoprire come avviene il pro-
cesso di acculturazione musicale durante l‟infanzia. Egli ha scoperto che il periodo entro il
quale avviene tale sviluppo è tra i sei e i dodici anni, e che quindi, in realtà, nei sistemi
percettivi non è verificata l‟esistenza innata delle funzioni tonali. È all‟età di otto anni che
il bambino comincia ad esplicitare con più determinazione un certo discernimento tra
l‟elemento melodico ed il relativo accompagnamento armonico, e incomincia a familiariz-
zare con la cadenza perfetta.
Verso i dieci anni il processo di acculturazione diviene più definito ed elementi come
la cadenza perfetta o elementi melodici estranei ad una specifica linea melodica, risultano
più consapevoli. Il bambino mostra un apprezzabile individuazione dei cambiamenti mo-
dali e delle modulazioni alle tonalità lontane. Successivamente, entro i dodici, si assisterà
ad un ulteriore consolidamento di queste competenze, piuttosto che ad un accrescimento
delle suddette. In tutto ciò va sottolineato la grande importanza del contesto socio-
culturale-ambientale e scolastico che, nello sviluppo della percezione musicale del bambi-
no assume un ruolo centrale.
Anche sull‟età adulta sono state condotte delle ricerche, per evincere il grado di im-
pregnazione delle strutture tonali. Queste ricerche sono state effettuate negli anni Ottanta
ad opera di CAROL L. KRUMHANSL e relativa équipe, dalle quali è emerso quanto segue: i
soggetti erano in grado di individuare all'interno della tonalità, i suoni dell'accordo di to-
nica, come tra i principali e più coerenti al contesto melodico e, naturalmente erano in gra-

42 Ibidem, pg. 313.


43 MICHEL IMBERTY in La Psicologia della Musica in Europa ed in Italia, op. cit., pg. 314.

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do di individuare i cromatismi come incoerenti rispetto al suddetto contesto tonale e me-
lodico. Inoltre i soggetti in esame, anche non musicisti, erano in grado di distinguere la
differenza tra le modulazioni ai toni vicini e lontani44.
Per cercare di comprendere come da un punto di vista cognitivo si potesse giungere
alla percezione della forma musicale, sono stati compiuti dei lavori attraverso i quali sono
state riscontrate delle vere e proprie modalità o categorie che consentono al soggetto di ef-
fettuare l‟ascolto astraendo specifiche caratteristiche musicali. Molti test sono stati orga-
nizzati secondo i principi della Gestalt (di prossimità, similarità, raggruppamento ecc.),
dai quali si è potuto evincere che, durante l‟ascolto, il soggetto percepisce l‟evento melodi-
co mediante raggruppamento e confronto degli elementi simili, come la ripetizione della
tonica, la presenza della cadenza perfetta e delle modulazioni: da ciò si evince anche la
presenza di una memoria della melodia che favorisce il discernimento tra due melodie, di
cui una è la variazione ritmico-melodica dell‟altra.
Per poter effettuare un raggruppamento di qualsiasi genere, è necessaria la presenza
di uno dei principi basilari della Gestalt, la percezione della differenze, sia essa visiva, audi-
tiva o di altro genere, a cui è legato il principio della percezione del medesimo.
Nonostante la percezione del ritmo venga organizzata secondo i suddetti principi, e-
siste la componente soggettiva che rende peculiare e soggettiva tale percezione. Ne è illu-
minante, a tal proposito, l‟esperimento condotto da WILHELM WUNDT45 che, attraverso la
somministrazione di battiti di metronomo, poté rilevare come ciascun soggetto apportasse
delle differenze mediante accentuazioni, anche in presenza di battiti regolari: i raggrup-
pamenti emersi sono risultati essere di due o tre suoni.
Nel 1983 gli studiosi FRED LERDAHL E RAY JACKENDOFF46 si occupano dell'individua-
zione degli elementi che durante l‟evento musicale ne scandiscono la sequenza temporale,
generando l‟accentuazione nell‟organizzazione ritmica. I suddetti elementi possono essere
rappresentati da pause, cambi di intensità, di registro, di timbro ecc.. Secondo Lerdahl e
Jackendoff costituiscono delle regole che determinano il „cambiamento‟ e che prendono il
nome di preferenziali. Anche queste, come nell‟esempio di Wundt, sono comunque sogget-
tive, quindi possono anche essere escluse dall‟atto percettivo. Le regole preferenziali che
maggiormente fanno rilevare il cambiamento e favoriscono l‟operazione di raggruppa-
mento sono: il cambio di densità sonora, soprattutto nel crescendo, e il cambio dell‟armonia.
Dalle varie ricerche è emerso che le risposte tra gli adulti musicisti e non musicisti sono
molto sovrapponibili, ciò induce a ipotizzare che alla base della percezione del ritmo mu-
sicale più che essere presente, ed influire, la pregnazione, l‟acculturazione inconsapevole, e
la formazione specifica, vi sono i processi della percezione, che interagiscono in modo an-
che indipendente e automatico. Comprendere determinati automatismi mette in discus-
sione la considerazione della percezione ritmica come elemento innato o acquisito. Recenti
ricerche hanno dimostrato che, come nell‟adulto, il bambino di un anno d‟età già possiede
la capacità di raggruppare mediante alcune delle regole preferenziali, soprattutto quelle
macro.

44 Ibidem, pg. 315.


45 Ibidem, pg. 319.
46 Ibidem.

LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 21


Verso una prospettiva musicoterapica. Il sonoro-musicale nell'indagine psicoanalitica
Attraverso gli esperimenti, le ricerche e le teorie elaborati nell‟ambito della psicologia della
musica presi in considerazione, abbiamo cercato di mettere in luce alcuni aspetti indicativi
della concreta e scientifica esistenza delle risposte che testimoniano le particolari relazioni
esistenti tra l‟uomo e l‟esperienza musicale.
Questo tipo di relazione più primitiva, può essere sì modulata dal condizionamento
socio-culturale ed ambientale, ma comunque è alle origini delle esperienze sonoro-
musicali di tutti gli uomini. E soprattutto, arricchisce, insieme ad altri linguaggi non ver-
bali, la possibilità di comunicare, pur essendo un linguaggio fondamentalmente astratto,
in quanto nell'ambito ristretto delle culture, sia da un punto di vista sociale ed anche intel-
lettuale, viene investito di simbolismi, la cui condivisione favorisce la relazione tra sé e
l‟altro.
Il linguaggio sonoro-musicale consta di un livello riferito al significante, laddove in-
tendiamo il segno con cui esso viene espresso ed un livello di significato, in cui trapela il
senso della comunicazione sotteso al significante in maniera molto più coerente e slaten-
tizzata rispetto al linguaggio parlato. Il gap tra significante e significato nel linguaggio so-
noro- musicale è molto vicino all‟unità, secondo molti studi, contrariamente al linguaggio
parlato dove, tuttavia, l‟aspetto sovrasegmentale costituisce un aspetto facilitatore della
comunicazione.
Durante il divenire di un‟esperienza sonora emergono gli aspetti non verbali, che
possono essere indicativi del livello di gradimento, i quali successivamente in un feedback
verbale relativo all'ascolto o all'esecuzione appena effettuati possono risultare discordanti
con quanto il soggetto ha manifestato durante l'esperienza.
Il gap, pertanto, si rileva proprio in questa mancata sovrapponibilità degli aspetti in-
consapevolmente manifestati e quelli verbalmente dichiarati. Gli aspetti non consapevoli,
di chiara natura emotiva, non sono altro che i referenti del nostro inconscio, quale concetto
già presente in ambito filosofico, ma non cartesiano, a partire da LEIBNIZ47 e che successi-
vamente è stato ampiamente sviluppato da FREUD, tanto da costituirne il punto di parten-
za per la sua teoria psicoanalitica. Rispetto alla concezione della musica da parte di Freud,
vi è MICHEL IMBERTY48 che ha espresso una sua analisi, andando anche oltre con proprie ri-
flessioni riguardanti direttamente il rapporto uomo-musica, considerando soprattutto
l‟aspetto inconscio dell‟uomo.
Imberty afferma che Freud nei suoi scritti non ha mai espresso alcuna riflessione che
riguardasse la musica, nonostante egli abbia vissuto in un particolare periodo musicale,
nel quale si esaurisce la fase del romanticismo (Brahms, Strauss) e comincia la dodecafonia
con Schönberg, Webern e Berg. Freud si pone in una condizione di freddo distacco, cosi
come Imberty rileva citando, all'inizio del Mosè49: Le opere d'arte esercitano tuttavia una forte
influenza su di me, specialmente la letteratura e le arti plastiche, più raramente la pittura. Sono sta-
to indotto perciò ad indugiare a lungo di fronte ad esse quando mi se n'è presentata l'occasione, con
l'intento di capire a modo mio, cioè di rendermi conto per qual via producono i loro effetti. Nel caso

47 U. GALIMBERTI, op. cit.


48 MICHEL IMBERTY, La musica e l'incoscio, in Enciclopedia della Musica, op. cit.
49 Ibidem, pg. 335.

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in cui ciò non mi riesce, come per esempio per la musica, sono quasi incapace di godimento. Una di-
sposizione razionalistica o forse analitica si oppone in me a ch'io mi lasci commuovere senza sapere
perché e da che cosa [1913].
Secondo Imberty la musica per Freud costituisce quasi un tabù, perché non è un lin-
guaggio interpretabile, così come quello dei sogni, e quindi dell‟inconscio, e non ha refe-
renzialità simbolica come quella mediata dal linguaggio verbale. Al linguaggio musicale
non è possibile applicare un codice interpretativo “poiché esso è espressione diretta di
un‟emozione di cui non si possono determinare le cause: ecco ciò che intralcia Freud”50.
Un altro elemento che Freud non riesce ad assimilare nella sua ottica è la concezione
del tempo, in quanto i processi dell‟inconscio sono atemporali. Freud, osservando il com-
portamento dei bambini, rileva che all‟interno di alcuni giochi che consistono nel fare ap-
parire o sparire un oggetto – attraverso cui cercare di superare l‟assenza della madre –, vi
sono delle azioni che il bambino compie in modo ripetitivo, ma soprattutto provando ogni
volta particolare piacere. Sarà poi successivamente DANIEL STERN51 [1977] ad approfondire
le riflessioni sulle azioni ripetitive dei bambini e sul concetto di tempo. Per Stern la ripeti-
zione di un evento non è mai esattamente uguale all‟originale poiché in ogni ripetizione è
sempre presente la variazione, e soltanto in caso di patologia vi potrà essere la ripetizione
identica all‟originale.
La ripetizione in musica, in forma creativa mediante la variazione dello sviluppo, è
tra gli elementi più noti delle forme competitive, ma che Freud nella musica non ha rileva-
to; di contro, rispetto alla ripetizione dei comportamenti, ha osservato che la ripetizione dà
luogo ad una regolarità che ne favorisce, da parte del soggetto, l‟anticipazione e quindi il
controllo dell‟evento nel tempo. Successivamente, secondo Imberty, Freud mette in rela-
zione la quantità del tempo con la qualità del tempo in cui il bambino attua il suo gioco:
questi supera l‟angoscia scaturita dalla perdita o assenza del suo oggetto, la madre, attra-
verso lo scorrere del tempo scandito e riempito dalle azioni che si ripetono nel tempo. La
regolarità all‟interno della ripetizione è data dal continuo alternarsi di tensione che scaturi-
sce dall‟attesa di soddisfacimento del desiderio, e di distensione che si attua poi col ripetersi
dell‟evento. La successione di tensione/distensione52 determina e configura un tempo inizia-
le, ed una primitiva esperienza di perdita dell‟oggetto.
A differenza di Freud, Stern individua nella ripetizione le prime forme di socializza-
zione tra il bambino e la madre. Durante i primi mesi di vita la madre adotta naturalmente
delle modalità comportamentali in cui gestualità e voce (giochi vocalici) si muovono sulla
ripetitività di pattern ludici, attraverso i quali entra in relazione con il bambino. Questi
pattern costituiscono la prima fonte di apprendimento, socializzazione e primaria forma di
affettività di cui riesce a fruire. Questi si basano sulla ripetizione con ritmo regolare53 (cicli-
cità dell‟evento), da cui scaturisce un tempo prevedibile che ne favorisce l'adattamento alle
continue variazioni implicite, e che gli consentono di relazionarsi con la madre. Secondo
Imberty l‟origine e lo sviluppo dell'emozione risiede proprio nella regolarità che scaturisce

50 Ibidem, pg. 336.


51 Ibidem, pg. 337.
52 Ibidem.
53 Ibidem, pgg. 336-339.

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dall'alternanza di tensione e distensione, quindi di soddisfazione e insoddisfazione del de-
siderio di conservare l'oggetto.
Imberty ipotizza l‟esistenza di una connessione tra la „cognizione musicale‟, l'espe-
rienza affettiva e la ripetizione. Attraverso la ripetizione il bambino comincia a strutturare
il tempo insieme al divenire dell‟emotività, utile in età successiva a sostenere l‟esperienza
musicale. Dalla ripetizione il bambino trae enorme giovamento, soprattutto se costituita da
buone variazioni che gli consentano di conservare i punti di riferimento e identificare, così,
l‟evento originale. Nel caso la variazione sia poco chiara da annullare l‟effetto della ripeti-
zione, per il bambino scatterà l‟angoscia dell‟inatteso, perderà il senso della regolarità a
causa degli elementi tra loro disorganizzati, regnerà il disordine ed il senso della perdita54.
La strutturazione dei tempi: il tempo nell‟uomo e il tempo nella musica costituiscono
i punti di partenza per un ulteriore approfondimento delle sue riflessioni, che indagano
sulle relazioni tra le esperienze formative dell‟uomo, soprattutto psichiche ed emotive, e la
strutturazione degli eventi musicali considerati anche nel loro aspetto formale.
Partendo dal concetto di involucro sonoro del Sé, DIDIER ANZIEU [1976] afferma che
questo rappresenta la forma primordiale della ripetizione che definisce eco55.
In ambito psicoanalitico, il Sé rappresenta la prima forma di personalità relativa ad
una propria individualità. Nell‟involucro sonoro del Sé, l‟individuo ancora non ha co-
scienza del proprio Io, che è altro, rispetto ad un‟altra individualità. In questa particolare
condizione egli riesce a recepire la corrispondenza, attraverso il suo corpo, tra stimoli e
sensazioni da questi essi suscitati ed inoltre ad autoreferenziali rispetto al Sé, seppure an-
cora indifferenziato. Di conseguenza, nel cogliere la corrispondenza tra stimoli e sensazio-
ni, egli ne coglie la specificità dovuta al fatto di essere legati: riuscirà a mantenere questa
condizione soltanto contenendoli in uno „spazio‟ o „involucro contenitore‟ che comincian-
do gradatamente a relazionarsi con la sua realtà circostante, compirà le sue prime espe-
rienze, che andranno a cementare il Sé. Queste prime esperienze, così come affermano vari
studiosi, sono soprattutto di tipo sonoro, dove confluiscono i suoni del suo corpo e quelle
della realtà circostante in cui non è presente la differenza tra quella esterna e quella inter-
na: ecco perché il primo involucro del Sé è un involucro sonoro, pertanto musicale. Inoltre,
l‟involucro è atemporale e, da un punto di vista spaziale, indefinito poiché per il bambino
non vi è confine tra realtà interna ed esterna. Successivamente sarà la voce materna a fissa-
re il primo punto di riferimento per il bambino. Il ruolo della madre assurge ad una vera e
propria funzione di specchio sonoro che riflettendo dall‟esterno le espressioni del bambino
ne rinforzerà la strutturazione del Sé in continua formazione.
Questo tipo di esperienza vocale esperita dalla madre su e con il bambino, secondo
Imberty, si determinerà l‟eco che stabilirà il primo legame psichico all‟interno di un invo-
lucro dove le esperienze sonore sono contenute in uno spazio, ma senza che tra esse vi
siano relazioni di reciprocità. Nel divenire dell‟eco prodotto dalla madre e per il bambino
rappresentativo della propria, egli percepisce la caratteristica della durata in cui si inco-
mincia ad attuare la variazione.
La valenza dell‟eco materna è data da una relazione tra il bambino e il mondo e, nella
dimensione dello sviluppo psichico, secondo Imberty, è collocabile in un tempo transiziona-

54 Ibidem, pg. 339.


55 Ibidem.

LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 24


le56 relativo a quel lasso tempo situato tra l‟assenza della strutturazione temporale, pecu-
liarità dell‟involucro stesso, e il divenire della realtà circostante. Prendendo spunto dal si-
gnificato di oggetti e fenomeni transizionali teorizzati da DONALD WINNICOTT57 [1971], egli
identifica nell‟eco materna un tempo transizionale che può avere la stessa funzione
dell‟oggetto transizionale.
L‟oggetto e il fenomeno transizionale pur non facendo più parte, da un punto di vista
organico e psichico, del bambino questi li percepisce ancora come interni a se stesso. Que-
sta modalità percettiva consente al bambino di sopperire all‟angoscia determinata dal pro-
cesso di differenziamento tra Sé e la madre58. Secondo Imberty parallelamente accade nel
fenomeno che egli definisce tempo transizionale, ossia un tempo in cui attraverso l‟eco ma-
terna può avvenire la fusione tra atemporalità e tempo esterno, tra passato arcaico e futu-
ro, tra assenza e ritrovata presenza dell‟oggetto-madre, dove l‟angoscia della perdita lut-
tuosa non ha luogo.
Un‟altra importante valutazione che Imberty compie sulla possibile trasversalità, tra
un aspetto evolutivo della formazione del Sé e l‟espressività di una struttura di un evento
musicale, riguarda il concetto di ambivalenza. Riprendendo il concetto di ambivalenza for-
mulato da MELANIE KLEIN59 [1955;1957] egli rileva come questo si manifesti in musica.
Secondo Klein60 nell‟evoluzione della strutturazione della personalità una tappa im-
portante è quella in cui il bambino scoprendo le sensazioni di piacere e dispiacere (nei
primi 3 o 4 mesi di vita) vive, inconsciamente, la sua realtà circostante divisa in parti buo-
ne e cattive: questa è la fase della scissione che Klein identifica in posizione paranoide-
schizoide. Con la scissione si ha la perdita di quei primi legami che il bambino aveva co-
minciato a stabilire attraverso l‟eco materna61. Il superamento di questa fase sarà data
dall‟accettazione della coesistenza, in una stessa realtà, di parti buone e parti cattive.
Dall‟accettazione scaturirà l‟ambivalenza psichica (tra il 4° e 9° mese di vita) che pro-
durrà una reazione denominata dalla Klein angoscia depressiva, necessaria per lo sviluppo
dell‟Io. L‟angoscia depressiva è fondamentalmente costituita dalla paura che le parti buo-
ne si trasformano in cattive e dal senso di colpa per aver provato cattivi sentimenti nei
confronti delle figure precedentemente ritenute buone.
Secondo Klein si avrà un buon sviluppo della personalità se nella vita del bambino si
verificheranno soprattutto esperienze positive che favoriranno la tappa dell‟ambivalenza e
quindi la capacità di stabilire dei legami tra le sue esperienze emotive e la realtà circostante.
Nel caso contrario sarà difficile che il bambino riesca a stabilire dei legami, quindi in lui vi
sarà uno degli elementi privi di reciprocità, maturerà degli atteggiamenti difensivi e di ne-
gazione delle parti cattive, escludendole dalla sua considerazione, affinché si possa costru-
ire un oggetto „immaginario‟ buono. Di conseguenza vi sarà anche l‟identificazione proiettiva

56 Ibidem, pg. 341.


57 Ibidem.
58 L. DOZZA, I. LOIODICE, Pedagogia e psicologia, Ed. Laterza, Bari, 1994, pg. 277-283.
59 MICHEL IMBERTY, La musica e l'incoscio, in Enciclopedia della Musica, op. cit., pg. 343.
60 GIANPAOLO PIERRI, Compendio di psichiatria, Casa Edit Ambrosiana, Mialno, 1993, pgg. 132-139.
61 MICHEL IMBERTY, La musica e l'incoscio, in Enciclopedia della Musica, op. cit., pg. 343.

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attraverso cui proteggerà le sue parti buone proiettandole sull‟oggetto immaginario buo-
no.62
Secondo Imberty la rappresentazione del tempo esistenziale dell‟uomo in musica
può essere letta attraverso i concetti pocanzi citati di ambivalenza e legami: durante il corso
dell‟intera vita dell‟uomo, il tempo esistenziale è vissuto come uno „spazio‟ che fatalmente
un giorno terminerà. In questo spazio l‟ambivalenza è sempre presente, con le continue e
cicliche accettazioni e negazioni di „parti‟ o „eventi‟. Con la consapevolezza del tempo che
trascorre e dell‟esistenza di un limite definitivo, l‟uomo cerca di autopreservarsi rinfor-
zando le parti positive per allontanare da sé l‟idea „dell'invecchiamento e della morte‟.
L‟eventuale rifiuto dell'ambivalenza “equivale ad una negazione della durata, ad una dife-
sa dell'angoscia della distruzione e della morte, e produce un tempo paradossale, un tempo del pre-
sente senza passato né avvenire”.63
Il percorso tracciato da Imberty per offrire una chiave di lettura sia su alcuni processi
musicali, sia del sostrato universale di alcuni elementi musicali presenti in tutte le culture,
attraverso concetti psicoanalitici, fa pensare all‟esistenza di una musica dell‟uomo, più che
una musica per l‟uomo.
La sovrapponibilità tra i concetti psicoanalitici e la modalità del fare musica
dell‟uomo, insieme ai luoghi dai quali essa scaturisce, danno l‟idea che la musica, più che
essere un altro linguaggio, sia il linguaggio arcaico che, in parte, inconsciamente continui
ad esistere senza mai essersi fermato, anche in seguito alla comparsa del linguaggio verba-
le e, cosa più importante, seppure con dei limiti, continua ad essere condiviso con altri.
Altrettanto interessante è l‟ottica che il linguaggio, parallelamente ai concetti psicoa-
nalitici, viene ad assumere; ossia quello di essere referenziale dell‟emotività e soprattutto
di quella inconscia, ed inoltre di assolvere ai bisogni primari di amore e dolore attraverso i
quali l‟uomo psichicamente si nutre ed evolve.

62 G. PIERRI, op. cit., pgg. 132-139.


63 MICHEL IMBERTY, La musica e l'inconscio, in Enciclopedia della Musica, op. cit., pg. 345.

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CAPITOLO 3
LA MUSICOTERAPIA 64
Musica ed emozioni
“Creare, eseguire ed ascoltare musica è stato un bisogno primario degli esseri viventi per secoli”65.
Così si esprime TONY WIGRAM in una sua dispensa universitaria, quando introduce la va-
lenza terapeutica che la musica ha in sé, poiché essa è in grado di fornire un canale privi-
legiato, in quanto avvicinabile in modo naturale e spontaneo da tutti, per poter esprimere
la propria emotività.
La musica è, inoltre, uno dei fenomeni naturali più complessi, dato che comprende
aspetti comunicativi ed artistici che sono peculiari dell‟uomo.
Essa è presente e stratificata in vari livelli sociali e culturali, attraverso una dimen-
sione in cui l‟uomo può esprimere il proprio mondo interiore, individuale, e, allo stesso
tempo, stabilire delle connessioni con la realtà esterna.
È una dimensione in cui si definiscono. in modo naturale e libero, aspetti, significati e
simboli condivisibili.
L‟ascolto di un brano musicale favorisce la condivisione di un simbolo, di sentimenti,
di emozioni, e che può avere varie funzioni di puro godimento estetico, catartico, evocati-
vo, distensivo o eccitante ecc.
Da un punto di vista sociale, spesso ha assunto valori e funzioni ben precise, a partire
da quelli di ordine religioso sino a quelli socio-politici. Un esempio è la musica blues, con
le blue notes, ossia le note dal carattere triste. Con questa musica il popolo africano esterna-
va la sofferenza della schiavitù. Così come nel noto periodo storico delle proteste sociali
del 1968, in cui si svilupparono numerose contestazioni giovanili che hanno segnato un'e-
poca, anche qui con la musica e soprattutto con il canto i giovani esternavano le loro ribel-
lioni.
Attraverso la musica e il canto l‟uomo può esprimersi durante l‟intero arco della sua
vita, in quanto questi due elementi possono essere diversamente presenti in funzione delle
varie età, dei vari bisogni dell‟uomo e nei vari contesti in cui egli vive.
Nei gruppi tribali, generalmente, la musica insieme alla danza, vengono investite da
significati vari come: l‟identificazione nel proprio clan di appartenenza e la trasmissione
delle tradizioni culturali alle generazioni successive.
Possiamo dunque concludere che la musica è una pratica umana altamente socializ-
zante, che consente di comunicare anche e soprattutto in una dimensione di confine in cui
vi è l‟inesprimibile dovuto ai limiti del linguaggio verbale, nel quale non sempre si posso-
no trovare significanti sovrapponibili ai veri significati o contenuti, derivanti dai sentimen-
ti e dalla vasta gamma d‟emozioni che l‟uomo è in grado di provare.
Proprio perché la musica può essere considerata un prolungamento dell‟espressività
corporea, emotiva, sociale e culturale dell'uomo, essa a seconda del luogo in cui viene e-
spressa o meglio a seconda delle caratteristiche socio-culturali dell'uomo espressore, sarà
intesa, definita ed espressa in funzione delle proprie modalità di funzione e produzione.

64
D‟ora in poi il termine „musicoterapia‟ potrà comparire nella forma abbreviata: „MT‟.
65 TONY WIGRAM, Dispensa di musicoterapia, 2003, pg. 11.

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Vi sono culture, come quelle africane, in cui il modo di intenderla e definirla è diffe-
rente rispetto al nostro (colto): la musica lì rappresenta l‟insieme di suoni, movimenti dan-
zati e vocalità in un unico evento; mentre è molto raro, quasi inesistente, che venga espres-
sa soltanto attraverso uno solo dei parametri di quest‟olismo cosmico primordiale. È so-
prattutto un momento di grande convivialità sociale.
Ascoltare le musiche degli altri ed osservare i comportamenti musicali dell'uomo può
aiutarci a comprendere alcuni tratti della sua personalità, del suo mondo interiore e delle
sue modalità relazionali, in quanto segni delle dinamiche psicosociali operanti all'interno
dei processi musicali.

Musica come terapia o musica in terapia?


La musica avendo per sua natura una comunicatività intrinseca, per le ragioni preceden-
temente espresse, di conseguenza possiede grandi potenzialità di addurre ed indurre in-
formazioni sensoriali, percettive, emotive, simboliche oggettive rispetto ad un contesto
condiviso, e astratte perché il linguaggio musicale è fondamentalmente astratto. Può as-
sumere significati specifici quando l‟investimento, di qualsiasi genere esso sia, viene con-
diviso.
La musica per l‟uomo rappresenta il linguaggio non verbale, rispetto a quello pittori-
co, poetico, scultoreo ecc. più immediato per esprimere se stesso. È proprio da questo pre-
supposto che la musicoterapia trae le sue origini e la sua forza terapeutica.
L‟idea di curare l‟uomo con i suoni e con la musica non è certo storia recente anzi po-
tremmo affermare che sia secolare. Subito dopo aver scoperto la forza comunicativa del
suono, l‟uomo ne ha scoperto le sensazioni piacevoli e spiacevoli che questo potesse de-
terminare in lui; da qui il lungo decorso verso la scoperta di un profondo e latente rappor-
to tra il Sé e la musica e la musica tra il Sé e l‟altro.
In quasi tutte le culture si è sviluppato il concetto della musica come agente curativo,
ma soltanto verso la seconda metà del 1800 si incomincia sperimentalmente ad indagare
sugli effetti che la musica produce e induce sull‟uomo. La musicoterapia, partendo da basi
scientifiche a carattere sia psicologico che psicodinamico (analitico), attraverso metodolo-
gie ben specifiche nelle quali i suoni e la musica sono i fattori operanti, interviene
sull‟uomo per favorire dei cambiamenti positivi.
Secondo la definizione di Kenneth E. Bruscia: La musicoterapia è un processo sistematico
di intervento ove il terapeuta aiuta il cliente a migliorare il proprio stato di salute, utilizzando le e-
sperienze musicali ed i rapporti che si sviluppano attraverso di esse come forze dinamiche del cam-
biamento66.
Il processo che avviene all‟interno di una relazione musicoterapica è dato da una serie
di eventi che ha luogo in un tempo e in uno spazio che possono essere sia musicali che non
musicali. Tale processo potrà essere evolutivo, artistico o creativo, scientifico e interpersonale: ta-
luni aspetti prevarranno su altri in funzione della specificità dei bisogni del paziente. Inol-
tre il processo è sistematico poiché finalizzato, organizzato e regolare. La relazione che si stabili-
sce all‟interno dello spazio musicoterapico è determinato da interventi musicali finalizzati
e scaturiti, da attente osservazioni che il terapista compie sui comportamenti soprattutto
musicali e anche non musicali del paziente.

66 KENNETH E. BRUSCIA, Definire la musicoterapia, Ed. Gli Archetti, Roma, 1989, pg. 47.

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Nell‟intervento confluiscono l‟azione della musica e quella del terapista e, secondo il
distinguo fatto da Bruscia67 [1987], la musica può essere utilizzata come terapia e in terapia.
Rispettivamente, nel primo caso il cambiamento terapeutico è direttamente determinato
dalle caratteristiche intrinseche della musica, dove il terapeuta ha la funzione di orientare
l‟esperienza al fine di sostenere il paziente ad avere una buona relazione con l‟evento mu-
sicale; nel secondo caso, la musica in terapia è funzionale a stabilire una relazione più di-
retta tra paziente e terapista, attraverso la quale quest‟ultimo, in primis, con la musica può
agire il cambiamento.
In musicoterapia gli obiettivi del cambiamento terapeutico sono fisiologici, psicofisiologici,
sensomotori, percettivi, cognitivi, comportamentali, musicali, emozionali, comunicativi, interperso-
nali e creativi68. Per attuare la terapia nella quale si possono individuare tre momenti fon-
damentali: accertamento, trattamento e valutazione; prescindere da uno di questi momenti si-
gnificherebbe perdere la valenza e l‟energia della musicoterapia.
Durante il Congresso Mondiale tenutosi a Washington nel 1999, sono stati ricono-
sciuti cinque modelli musicoterapicamente validi e condivisibili [v. par. successivo]. Cia-
scun modello fa riferimento ad un tipo di orientamento specifico come: umanistico, nel
quale la musica viene utilizzata soprattutto in modo creativo ed improvvisativo; cognitivo
comportamentale, in cui il suono viene utilizzato come stimolo per determinare una reazio-
ne e si prefigge di intervenire sugli aspetti legati all‟attenzione; psicodinamico, nel quale il
suono è il focus della relazione, che ne stabilisce la qualità, l‟essenza e soprattutto il mezzo
attraverso il quale si attua il cambiamento. I concetti di riferimento possono essere quelli
freudiani, junghiani, bioenergetici, gestaltici, ecc.. A seconda del modello potranno essere
o non essere presi in considerazione alcuni dei sopra citati concetti.69
Gli orientamenti in Italia fanno riferimento un po‟ a tutti i modelli indicati. Tuttavia,
il modello più diffuso appare quello psicodinamico, che si rifà ai principi del modello Be-
nenzon, basato sui due concetti fondamentali di identità sonora e oggetto intermediario.
Il concetto di ISO è quello derivante in primis dalle osservazioni cliniche di Altshuler,
poi da Rolando O. Benenzon. L‟Iso rappresenta l‟identità sonora di ciascun individuo de-
terminata da una impregnazione che ha inizio nella vita intrauterina e prosegue durante il
corso dell‟intera vita, ed è costituita dai “nostri archetipi sonori, il nostro vissuto sonoro intra-
uterino e il nostro vissuto sonoro della nascita, dell‟infanzia fino alla nostra età attuale”70.
È un bagaglio sonoro che vive nell‟inconscio, nel quale si configurano specifiche ca-
ratteristiche sonore in continuo movimento e in una condizione atemporale. In esso sono
sempre presenti sia elementi del passato, sia del presente. Scoprire l‟Iso di un paziente si-
gnifica poter comunicare direttamente con la sua dimensione emotiva più profonda, dove
sono radicate le origini psicodinamiche, dei suoi nodi problematici. Secondo Benenzon, in-
fatti, è possibile ottimizzare la relazione terapeutica se gli Iso relativi a paziente e terapista
trovano una buona modalità di interazione, quindi se sono ben armonizzati.

67 Ibidem, pg. 50.


68 Ibidem, pg. 67.
69 GIANLUIGI DI FRANCO, Le voci dell'emozione, Ismez/Onlus, Roma, 2001, pgg. 58-59.
70 R.O. BENENZON, op. cit., pg. 46.

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Altro concetto importante è quello di oggetto intermediario: “L‟oggetto intermediario è
quell‟oggetto-strumento che permette di agganciare la realtà dell‟altro con una modalità „a ponte‟ e
di poter poi articolare un potenziale dialogo sonoro”71.
Tale concetto prende spunto dai lavori di Winnicott, precedentemente citati, in rela-
zione all'oggetto transizionale. Egli designava quell‟oggetto materiale che ha un valore
grandissimo per il lattante e per il bambino, specie al momento di addormentarsi, ad e-
sempio un lembo di una coperta, una ninna-nanna, un orso di peluche.
Il ricorso a oggetti che rappresentano lo stare insieme con la mamma, può essere tra-
sposto su di un piano musicoterapico come la ricerca di una situazione di contenimento da
parte del paziente, soprattutto in un momento iniziale della relazione.
La scelta di un oggetto intermediario, può favorire, a questo livello, l‟instaurarsi di una
condizione di holding, laddove il paziente avverte un ambiente protetto nel quale potersi
esprimere liberamente, superando anche alcune sue resistenze createsi all‟interno di una
sua situazione di disagio legata alla patologia e stratificatesi in veri e propri nodi proble-
matici. In altri casi l‟oggetto intermediario può favorire la slatentizzazione delle proprie
emozioni con il superamento di inibizioni messe in atto da semplici meccanismi di dife-
sa.72 Come l‟oggetto transizionale favorisce la transizione, cioè passaggio dalla prima rela-
zione orale con la madre a una vera relazione oggettuale, ossia una relazione in cui il bam-
bino riconosce la madre come esterna a sé e può rappresentarla simbolicamente, l‟oggetto
intermediario favorisce il passaggio da un tipo di relazione prettamente fusionale, di cui il
paziente avverte il bisogno in prima istanza, ad una più socializzante. In questo caso il ri-
conoscimento dell‟Altro da sé indurrà il paziente alla fruizione e alla produzione del lin-
guaggio analogico del sonoro-musicale portandolo gradualmente ad un tipo di comunica-
zione orientato alla relazionalità.
Questo è possibile soltanto nel qui ed ora, in un contesto in cui si sia instaurata una
relazione empatica, caratterizzata da un piano di condivisione reciproca attraverso il suo-
no, per analogia con i suoi simboli, le sue funzioni ed i significati ad esso sottesi.
Per questo motivo, la comunicazione in musicoterapia, la capacità da parte del tera-
pista di mettere in atto un tipo di comunicazione che, muovendosi non più su di un ver-
sante digitale, proprio della comunicazione lineare biunivoca peculiare del linguaggio
verbale, ma su di uno analogico, assuma una connotazione che DI FRANCO definisce „comu-
nicazione a stella‟73, per le caratteristiche di polidirezionalità dei messaggi di cui è veicolo, il
cui contenuto spesso risulta non convenzionale e bizzarro.
Oltre all‟oggetto intermediario nella relazione terapeutica, soprattutto quella che av-
viene in un contesto gruppale, è possibile individuare la presenza dell'oggetto integratore,
cioè di uno strumento prevalente sugli altri e in grado, nella sua connotazione di leader, di
assorbire in sé le dinamiche del gruppo. Lo definisce, infatti, Benenzon: “[…] lo strumento
musicale che in un gruppo di musicoterapia prevale sugli altri strumenti e assorbe in sé la dinamica
del legame tra i pazienti del gruppo e il terapeuta […]”.74

71 G. DI FRANCO, op. cit., pg. 68. Il concetto di oggetto intermediario è però di Benenzon.
72 R.O. BENENZON, op. cit., pg. 60.
73 GIANLUIGI DI FRANCO, op.cit.
74 R.O. BENENZON, op. cit., pg. 60.

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Partendo da questi due concetti, l‟approccio si caratterizza per la matrice di stampo
analitico-psicodinamico: grande importanza assumono i concetti di empatia, transfert e con-
trotransfert.
Una modalità privilegiata di esternazione dell‟emotività attraverso il linguaggio so-
noro-musicale risiede nell‟espressione della voce, come mezzo espressivo privilegiato
nell'uomo.
La vocalità costituisce il primo ascolto musicale che l‟uomo vive esperienzialmente sin
dal periodo intrauterino. In questo ascolto comincia a cogliere i primi elementi sonori di
una comunicazione, quelli espressi dalla madre. Infatti nella fase intrauterina dell‟uomo, la
madre svolge, secondo Stern, la funzione di specchio sonoro, in cui il bambino avverte la
risonanza elementi sonori che costituiscono u involucro protettivo. Questa voce-eco rap-
presenta per il bambino il primo legame psichico dove gli elementi sono vissuti in maniera
confusa in quanto tra essi manca un legame di reciprocità, ma la percezione avviene in
maniera globale. Questa è dunque la prima esperienza sonoro musicale che il bambino vi-
ve, legata precisamente al fattore della vocalità della madre che egli percepisce come eco e
come ripetizione.
Successivamente, nei primi mesi di vita, questa funzione verrà ampliata da operazio-
ni in cui il bambino comincerà a produrre suoni vocali sostenuti dalla madre che ne ri-
specchierà gli elementi, fornendo una sorta di „eco‟.75 Questo costituisce per il bambino un
riscontro alla propria espressione che viene così rinforzata ed incentivata in una prospetti-
va di sviluppo della capacità.
Questo dato fa riflettere su quanto sia centrale, all‟interno di un rapporto musicote-
rapico, l‟incentivazione dell‟espressività attraverso l'uso della voce
“[…] Se per „voce‟ intendiamo quel fenomeno acustico realizzabile con l‟utilizzo dell‟apparato
fonatorio e con il contributo di tutta la struttura muscolare e osteoarticolare del corpo umano e per
„vocalità‟ l‟intero „range‟ delle possibilità espressive della voce, per i suoi aspetti verbali e per quelli
non verbali, il rapporto fra i due definisce un potenziale bilanciamento delle capacità espressive del
soggetto […]”76.
La vocalità protesa all‟espressività melodica, in questo senso, mette in evidenza come
il suo fine non risieda necessariamente in una produzione e fruizione di carattere estetico,
ma rappresenti l‟essenza dell‟emotività in tutte le sue possibili rappresentazioni.

I principi della Musicoterapia 77


Durante il congresso mondiale di Musicoterapia tenutosi a Seoul, Corea del Sud, nel
luglio 2011, la WFMT (Federazione Mondiale di Musicoterapia) ha approvato la definizione
di musicoterapia:
La Musicoterapia è l'uso professionale della musica e dei suoi elementi come intervento in
ambienti medici, educativi e comunitari con individui, gruppi, famiglie o comunità che cer-
cano di ottimizzare la loro qualità di vita e migliorare la salute e il benessere fisico, sociale,

75 MICHEL IMBERTY, La musica e l'incoscio, in Enciclopedia della Musica, op. cit., pg. 336.
76 G. DI FRANCO, op. cit., pg. 46.
77 Dispensa tratta e aggiornata dal volume a cura di RENATO DE MICHELE, ELENA DE ROSA, FFFortissi-
mo. La musica dei bambini. Più forte di ogni terremoto!!!, progetto di ricerca-aiuto nelle scuole medie di
L‟Aquila aa.ss. 2010/11 e 2011/12, Cap.1 p.15-23, © ISMEZ Ed., Roma 2012. Diritti riservati.

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comunicativo, emotivo, intellettuale e spirituale. Ricerca, pratica, educazione e formazione
clinica in musicoterapia sono basati su standard professionali in relazione ai contesti cultu-
rali, sociali e politici.

Questa definizione rimarca la serie costitutiva del trattamento musicoterapico:


operatore  suoni/musica  persona/e  benessere
che rimanda ad un processo temporale di intervento con i suoni, per consentire migliora-
menti significativi nelle persone in termini di salute e benessere. Ma la definizione rimarca
anche la professionalità dell‟operatore, che necessita di una formazione specifica vincolata
alle caratteristiche peculiari di ciascun contesto culturale, sociale e politico.
La definizione ha sostituito la precedente del 1996 [WFMT, Amburgo, 1996)]:
“La musicoterapia è l‟uso della musica e/o dei suoi elementi (suono, ritmo, melodia e armonia) per opera di un
musicoterapista qualificato, in rapporto individuale o di gruppo, all‟interno di un processo definito, per facili-
tare e promuovere la comunicazione, le relazioni, l‟apprendimento, la mobilizzazione, l‟espressione, l'organiz-
zazione ed altri obiettivi terapeutici degni di rilievo nella prospettiva di assolvere i bisogni fisici, emotivi, men-
tali, sociali e cognitivi.
La musicoterapia si pone come scopi di sviluppare potenziali e/o riabilitare funzioni dell‟individuo in modo che
egli possa ottenere una migliore integrazione sul piano intrapersonale e/o interpersonale e, conseguentemente,
una migliore qualità della vita attraverso la prevenzione, la riabilitazione o la terapia”.

La musicoterapia si muove in ambiti clinici, preventivi e, a più livelli, riabilitativi; i-


noltre, si rivolge ai problemi dell‟età evolutiva, così come di quella adulta e della terza età;
ma è anche utilizzata come sguardo particolare sulla „sofferenza quotidiana‟, su quel „male
di vivere‟ che spesso accompagna, e a volte pervade, i nostri giorni (nevrosi, ansia, stress,
difficoltà relazionali). La „terapia dei suoni‟ può rappresentare un «baluardo di difesa contro
tutti gli aspetti negativi della postmodernità».78
La musica è comunicazione tout-court. Fare musica vuol dire sperimentarsi con un
linguaggio universale (la musica è ormai plebiscitariamente riconosciuta tale), senza il
problema del possesso, o meno, di particolari competenze musicali acquisite. Comunicare
con i suoni è – a partire dagli scarabocchi sonori, dalle stonature, fino alla drammatizza-
zione, alle storie cantate e suonate, alle rappresentazioni – sentire e far sentire la propria
voce, la propria emozione, la propria voglia di essere con gli altri. È riscoprire la musica
non solo come fenomeno di comunicazione universale interpersonale, bensì in quanto
strumento di riflessione intrapersonale e di crescita, verso quell‟empowerment fatto non so-
lo di rinforzo delle proprie capacità elaborative e di autonomia, ma fatto anche di fiducia
nelle proprie possibilità espressive. Poiché non sono in gioco le competenze musicali, ma
le sonorità che l‟individuo riesce ad esprimere secondo le sue potenzialità, anche il pazien-
te più regredito è messo in condizione di relazionarsi.
La musicoterapia offre lo spazio protetto (il setting),79 nel quale cercare all‟interno di
sé, mediante il gioco e la regressione guidata, ciò che „prima non esisteva‟, espresso attra-
verso i suoni, per comunicare e confermare la nostra esistenza nel mondo. La prima esi-
genza, quindi, è quella di rivolgersi ai bisogni e ai problemi della persona attraverso la mu-
sica. Non è quella di promuovere o perpetuare la musica come forma artistica fine a se

78 ROLANDO O. BENENZON, VIOLETA DE GAINZA H., GABRIELA WAGNER, La nuova musicoterapia. Tradu-
zione di ANNALISA SASSANO, Roma, Il Minotauro, 1997 (Phoenix), p. 9.
79 Il concetto di setting fa riferimento alla definizione che WINNICOTT [v. par. dedicato al setting in MT].

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stessa. Come dice CLAUS BANG: «Lo scopo del musicoterapista è centrato sul paziente, e non par-
te dalla musica».80 In musicoterapia si sceglie o si crea la musica per la sua potenzialità te-
rapeutica, riabilitativa, preventiva o clinica, finalizzata all‟utilità e all‟interesse della per-
sona; e solo in ultima analisi per i suoi aspetti estetici o artistici.
Nella musicoterapia (MT), sulla base della definizione della WFMT, si individuano
due fondamentali modalità applicative: la MT attiva, e la MT recettiva.81
- La Mt attiva utilizza la comunicazione sonora (interazione paziente-terapista per il
tramite di strumenti musicali) per intessere una relazione efficace con finalità più
strettamente preventiva, e/o terapeutica, e/o riabilitativa.
- La MT recettiva utilizza l‟ascolto come strumento per indurre variazioni nello stato
d‟umore (o nei comportamenti) della persona e, dove possibile, per instaurare una
relazione dialogica e verbale.

I modelli di riferimento
Per completezza, riportiamo i principali modelli utilizzati in musicoterapia. Questi sono
stati definiti durante il IX CONGRESSO MONDIALE DI MT (Washington, 1999), e sono:
1) Modello BENENZON – ROLANDO O. BENENZON, Argentina.
Si basa sul concetto di ISO (identità sonora). Secondo questo modello, di stampo psicoanaliti-
co con successivi risvolti psicodinamici, la musicoterapia può essere definita in due modi: 1)
Si considera l‟aspetto „scientifico‟, occupandosi dello studio e della ricerca del complesso
suono-essere umano con obiettivi diagnostici e terapeutici. 2) L‟altra considera l‟aspetto „te-
rapeutico‟, secondo il quale la MT è una disciplina paramedica che utilizza il suono, la musi-
ca e il movimento per provocare effetti regressivi e aprire canali di comunicazione, con
l‟obiettivo di attivare, per loro tramite, il processo di socializzazione e di inserimento sociale,
inteso nel piccolo e nel medio gruppo di pari.
2) Modello NORDOFF-ROBBINS – PAUL NORDOFF e CLIVE ROBBINS, USA.
La musicoterapia creativa, da loro pensata, è un approccio alla terapia individuale e di grup-
po basato sull‟improvvisazione. I due, rispettivamente musicista e insegnante di sostegno,
hanno lavorato insieme, nella seconda metà del secolo scorso, in équipe clinica per diciassette
anni trattando bambini handicappati affetti da varie menomazioni e problemi. Nordoff e
Robbins definirono il loro approccio «creativo» perché il terapista „crea‟ musica, situazioni e
sequenze terapeutiche. La musica viene usata perciò come terapia piuttosto che in terapia.
3) Modello AOM (Mt Orientata Analiticamente) – MARY PRIESTLEY, Inghilterra.
La musicoterapia orientata analiticamente, di stampo junghiano, è un modello basato
sull‟improvvisazione. Viene definito come l‟uso delle parole e delle improvvisazioni di mu-
sica simbolica da parte del terapista e del paziente allo scopo di esplorare la vita interiore del
paziente e fornirgli la predisposizione alla crescita. Un elemento caratteristico di tale
modello è che l‟improvvisazione del paziente è spesso stimolata e guidata da titoli pro-
grammatici. Il metodo è stato originariamente creato per pazienti adulti ed è stato u-
tilizzato per una vasta gamma di disturbi psicologici; in seguito, parte del lavoro è
stata anche orientata ai bambini.
4) Metodo GIM (Immaginario Guidato e Musica) – HELEN BONNY, USA.

80 CLAUS BANG, Un mondo di suono e musica, in Music and health, edited by EVEN RUUD, Oslo, Norsk Mu-
sikforlag, 1986, p. 20.
81
Ai primordi, la musicoterapia recettiva era chiamata „passiva‟, termine abbandonato per ovvi motivi.

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Il metodo GIM è un approccio psicoanalitico alla musicoterapia in cui un apposito programma
di musica classica viene utilizzato per suscitare l‟evolversi di esperienze interiori. La musica
facilita un dialogo continuo con l‟inconscio e il terapeuta offre il necessario sostegno dialo-
gando attivamente con l‟ascoltatore durante l‟intera seduta. Il compito del terapeuta è di inco-
raggiare la concentrazione man mano che emergono emozioni, immagini sensoriali, sensazioni
fisiche, ricordi e pensieri. La musica e il terapeuta sono in questo caso coterapeuti sostenendo,
rispecchiando e facilitando l‟esperienza creativa.
5) Modello BMT (Musicoterapia Comportamentale) – CLIFF MADSEN, USA.
Si riferisce direttamente all‟epistemologia comportamentista nordamericana che tiene con-
to dell‟uso del suono come stimolo che possa intervenire sul sintomo specifico. Si riferisce al
concetto di s-r (stimolo-risposta), in cui si utilizza «la musica per aumentare o modificare i
comportamenti adattivi (o adatti) e per estinguere comportamenti poco adattivi (o inadat-
ti)».82
6) Modello della Libera Improvvisazione – JULIETTE ALVIN, UK.
Sebbene non ufficialmente codificato, perché l‟Autrice era scomparsa prima della ca-
talogazione mondiale, a questi cinque va doverosamente aggiunto il suo modello.
Questo si può definire come “L‟uso controllato della musica nel trattamento, nella riabili-
tazione, nell‟educazione e nella formazione di adulti e bambini affetti da disordini fisici, men-
tali o emotivi”.83 È basato sull‟assunto di base dell‟Autrice: “La musica è una creazione
dell‟uomo e, pertanto, l‟uomo può vedere se stesso nella musica che crea.” La musica è intesa
come spazio potenziale per una libera espressione.

Attualmente i modelli, diversamente applicati, danno vita a una nutrita serie di o-


rientamenti e tecniche sul territorio nazionale italiano, ma anche su quelli internazionali,
che seguono, di volta in volta, indirizzi pedagogici o clinici.

Metodologia della musicoterapia [paragrafo estratto da G. DI FRANCO, Le voci dell‟emozione, v. bibl.]


Per metodologia si intende una serie di procedure diversificate caratterizzanti il fare
musicoterapia, con serie di eventi tesi all'esplicitazione delle varie funzioni richieste. Può
esserci una metodologia, in un modello, che fa riferimento ad una epistemologia.
Per tecnica intendiamo la modalità specifica di utilizzare il linguaggio musicale a sco-
po terapeutico; essa corrisponde cioè a come la musica viene organizzata e agita; possiamo
quindi avere la tecnica dell'ascolto, la tecnica dell'uso del pianoforte a coda, l'improvvisa-
zione monotematica, la drammatizzazione sonora, la composizione di canzoni, ecc.
Concetto olistico. Si intende per concetto olistico di musicoterapia l'uso del suono per
abbracciare in maniera globale la problematica del soggetto/paziente, intravedendo in lui
l‟interezza del suo essere persona. Per poi orientarsi, all'interno del percorso evolutivo del
trattamento, più specificamente sulla problematica clinica presentata.
Concetto di multidisciplinarietà. In musicoterapia si parla quasi sempre di approccio
multidisciplinare, allorquando ci si riferisce all'uso di conoscenze che derivano non uni-
camente dall'ambito musicale, ma anche da quello medico e psicologico.

82 KENNETH E. BRUSCIA, Definire la musicoterapia. Percorso epistemologico di una disciplina e di una profes-
sione. Traduzione di FRANCESCO BOLINI, Roma, ISMEZ, 1993, p. 92.
83
JULIETTE ALVIN, Music therapy, (revised edition), John Claire Books, London 1975, pg. 22.

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L'ambito musicale è inteso non tanto come competenza musicale che è di per sé un
prerequisito senza il quale non si può accedere ad una formazione in musicoterapia, ma
come aspetti di lavoro sopra e attraverso la competenza musicale, per conferire un forte
valore propedeutico all'uso della musica per contesti, dove la necessità manifestata sia di
tipo macroscopicamente terapeutica.
L'ambito medico è inteso per gli aspetti di conoscenza che devono essere presenti in un
musicoterapista soprattutto circa gli aspetti sintomatologici, che caratterizzano le patologie
trattabili ed inoltre per una conoscenza della terminologia utile ad una comprensione, che
è necessario che si determini all'interno di un equipe di lavoro, in particolare quando in
essa operano figure dagli strumenti e dai linguaggi diversi. Inoltre serve per approfondire,
in alcuni casi specifici, dove la musicoterapia è ancora collocata sul piano della sperimen-
tazione e della ricerca, le componenti di ordine eziopatogenetico e di tipo meccanismo d'a-
zione che determinano le manifestazioni patologiche, per capire come all'interno di tali
meccanismi l'uso della musica possa avere una sua collocazione.
Anche l'ambito psicologico è inteso nel senso che possa essere garantita una conoscen-
za terminologica, che vada ad arricchire la possibilità di argomentare su alcuni punti cen-
trali, che caratterizzano l'approccio musicoterapeutico: quindi, il riferimento è ad episte-
mologie diverse, di stampo psicologico, che devono essere studiate e conosciute; in parti-
colare, ad esempio, alla conoscenza di alcuni concetti base, come meccanismi di difesa,
emozioni, memoria, transfert e controtransfert, relazione, attenzione, senso-percezione ecc.

Il setting in musicoterapia
Il concetto di setting fa riferimento alla definizione che WINNICOTT dà della situazione
psicoanalitica tradizionale, laddove viene indicato come un insieme di regole che permet-
tono lo strutturarsi della relazione terapeuta/paziente e come una configurazione riguar-
dante tempo e spazio [Winnicott, v. bibl.]. Nella sua descrizione, Winnicott non definisce so-
lo un livello fisico del setting, ma anche uno mentale.
Oltre alla corporeità e presenza fisica, l‟operatore mette a disposizione la capacità di
comprendere, di contenere gli stati d‟animo dell‟altro, e di trasformare i pensieri del pa-
ziente in emozioni comunicabili [ibidem]. In musicoterapia, pertanto, il setting rappresenta
l‟ambiente e il rapporto che viene creato nella relazione tra musicoterapista e paziente o
gruppo; è lo spazio fisico e mentale, il „luogo protetto‟ dove si svolge il trattamento musi-
coterapico e costituisce una parte importante di ogni seduta, le cui modificazioni provoca-
no cambiamenti nella condotta e nel comportamento dei pazienti. «Il setting fa parte della
consegna di un contesto non-verbale […]. Il setting può essere costituito dallo studio di musicote-
rapia propriamente detto. Però può anche stabilirsi all‟aperto nella natura e nell‟acqua» [BENEN-
ZON, DE GAINZA, WAGNER, La nuova musicoterapia, p. 15].

Limiti del termine ‘musicoterapia’


Il termine „musicoterapia‟ (dai termini: musica + terapia), la tecnica dell‟uso dei suoni
per il benessere della persona, ha originato spesso dei fraintendimenti, quasi fosse una di-
sciplina esclusivamente sanitaria e relegata, quindi, all‟utilizzo in contesti clinici. Il suo uti-
lizzo, viceversa, con normodotati, per il miglioramento della comunicazione nei gruppi, in
contesti scolastici, di prevenzione, di socializzazione psicosociale, di riabilitazione e inte-

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grazione delle diversità, ad esempio, hanno da molto tempo dimostrato le ampie potenzia-
lità della tecnica anche in ambiti non necessariamente sanitarizzati.
Un nuovo termine per indicare la disciplina, al posto di „musicoterapia‟, è una que-
stione non da poco. Ci si deve confrontare con i contesti internazionali dove questa viene
individuata come „Music therapy‟, e come tale si è affermata e strutturata spesso all'inter-
no delle Università di tutto il mondo. Se tuttavia, nel termine, non è possibile chiarire del
tutto i limiti epistemologici, come le differenti strategie operative, nello stesso modo non si
può e non si deve negare l‟esistenza di aspetti etici generali irrinunciabili che regolamen-
tano la pratica musicoterapica e la formazione dell‟operatore coinvolto.

Il musicoterapista
In molti paesi del mondo (USA, Argentina, Australia, Danimarca, Paesi scandinavi, in
particolare) la formazione viene affidata a corsi universitari di laurea quinquennale. In al-
tri paesi la formazione si limita a corsi triennali (Bachelor). In altri ancora sono presenti solo
Master universitari, o di corsi triennali non riconosciuti a livello pubblico.
In Italia, il musicoterapista è una figura professionale dotata di specifiche competen-
ze, sebbene non ancora riconosciuta a livello governativo.84 È un professionista formato in
musicoterapia attraverso Corsi di Formazione generalmente triennali.85
È bene avere programmi di formazione [in musicoterapia, ndr] che offrano specializ-
zazioni in aree specifiche, ma vi deve essere un comune livello base concordato, un con-
cordato numero minimo di ore di studio in musica, psicologia, metodologia e terapia.
Inoltre, è importante avere un minimo numero di ore di pratica clinica supervisionata.86

Per quanto concerne l‟uso del termine „musicoterapista‟ e di quello di „musicotera-


peuta‟ occorre precisare che «[…] una linea di demarcazione viene posta dalle leggi vigenti in I-
talia per dividere gli interventi effettuati da „terapeuti‟ da quelli effettuati da „terapisti‟, in quanto i
primi sono di stretta competenza di laureati in medicina e/o psicologia con successiva formazione in
psicoterapia, mentre i secondi riguardano operatori specialisti nell‟ambito riabilitativo (logopedisti,
fisioterapisti, etc.)».87
La definizione di „musicoterapia‟ pone l‟attenzione sull‟operatore e sulla qualità della
sua formazione. Questa implica, inevitabilmente, osservazioni in merito ai risvolti deonto-
logici, per le caratteristiche umane e relazionali che coinvolgono il suo lavoro. Nella nostra
idea di pratica musicoterapica ci riferiamo sempre al musicoterapista specializzato. La par-
tecipazione attiva nel fare musica per il benessere rappresenta, infatti, la modalità preva-
lente con la quale i musicoterapisti vengono formati.
Il musicoterapista non è un docente di musica, non è un animatore di comunità, non
è un tecnico della riabilitazione, non è semplicemente un musicista. Egli è un professioni-

84 V. il paragrafo successivo: Breve storia sui tentativi di riconoscimento della Musicoterapia in Italia.
85 Cfr. il paragrafo [omonimo, riportato appresso] dedicato ai Corsi di formazione in Italia curato da
Gianluigi di Franco in TONY WIGRAM – INGE NYGAARD PEDERSEN – LARS OLE BONDE, Guida generale alla
musicoterapia. Teoria, pratica clinica, ricerca e formazione, Ismez, Roma, 2003, pp. 268-269.
86 TONY WIGRAM, Riconoscimento del ruolo professionale del musicoterapista. Un processo europeo, in Musico-
terapia in Italia. Scuola, handicap, salute mentale, a cura di GIANLUIGI DI FRANCO e RENATO DE MICHELE, Na-
poli, Idelson, 1995, pp. XXV-XXVII.
87 GABRIELLA GIORDANELLA PERILLI, Premessa, in BRUSCIA, Definire la musicoterapia, p. 8.

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sta qualificato, sottoposto a una formazione pluridisciplinare opportuna che gli consente
di acquisire gli strumenti idonei per l‟intervento delicato che lo aspetta con la persona; i-
noltre deve aver compiuto un lavoro su se stesso, ovvero aver utilizzato le esperienze for-
mative come training personale per mettere a frutto le capacità di comunicazione e intera-
zione utilmente finalizzate alla musicoterapia.
Le competenze di base del musicoterapista88 si possono riassumere in:
- Empatia  Entrare nell‟Altro;
- Osservazione  Guardare / guardarsi;
- Valutazione  Com-prendere.
In riferimento alla sua etimologia, la capacità di empatia è quella che il musicoterapi-
sta ha di sentire la sofferenza dell‟Altro dentro di sé e di soffrire con il soggetto attraverso il so-
noro, sciogliendo le rigidità e le resistenze collegate a questo meccanismo.
Per osservazione si intende la capacità di rilevare sia gli aspetti sonoro/musicali emer-
genti nella relazione, sia le relative modifiche del comportamento.
Per valutazione si intende la capacità di raccolta delle osservazioni e di vaglio del per-
corso evolutivo effettuato nella relazione secondo un‟ottica quantitativa e/o qualitativa.

Come documentiamo un caso clinico?


Quelle che seguono sono indicazioni relative ad una descrizione (forse „ideale‟) di un
caso clinico in musicoterapia da parte di un musicoterapista all‟incontro iniziale con la/le
persona/-e da prendere in carico. Sono relative alle notizie per un „buon‟ riporto, utili al
lettore addetto ai lavori (nei vari contesti: clinico, pedagogico, formativo) per meglio far
comprendere le tecniche e le metodologie utilizzate, e farsene, così, un‟idea la più possibile
corretta e vicina alla realtà operativa del percorso concluso ed all‟iter seguito.
Quest‟elaborato nasce nel febbraio 2006, dopo un confronto dell‟Autore con Rolando
O. Benenzon in merito al tema della formalizzazione dei riporti in Supervisione.

MODALITÀ DEL RIPORTO


L‟ESPOSIZIONE DEL CASO dovrà seguire le indicazioni successive che dovranno essere raggruppate nelle
seguenti sezioni:
A. MUSICOTERAPISTA/I e OSSERVATORI: nome e cognome, breve curriculum (di max. 2 righe: titoli essenziali, i-
stituzione principale di lavoro, studente, supervisore, o altro) delle figure impegnate.
B. TITOLO del caso (v. item 1.1) ed eventuale sottotitolo più esplicativo.
C. RIASSUNTO (di una decina di righe, v. item 1.1).
D. IL PAZIENTE (sigla e rispetto dell‟anonimato; v. items 1.2 – 1.3 – 1.4 e clusters 2. – 3.).
E. RISORSE (istituzione, contrattualità, strumenti e setting; items da 1.5 a 1.9).
F. METODOLOGIA (clusters da 4. a 9.).
G. TRATTAMENTO (clusters 9 bis. a 11.).
H. VALUTAZIONE (clusters 12. a 13.).
I. CONCLUSIONI e prospettive (clusters 14. – 15.).
Importante: Nel riportare i dati all‟interno delle sezioni su esposte, è gradito un carattere discorsivo e lineare. In ogni
caso il terapista dovrà riportare gli elementi presenti nella griglia numerata di seguito (ma senza il relativo riporto della
numerazione di item e cluster, qui numerati per motivi di facile consultazione). Questo per non privare la descrizione
degli elementi necessari alla contestualizzazione da parte del lettore, pur lasciando un carattere narrativo alla storia.

88 GIANLUIGI DI FRANCO, Le voci dell'emozione: verso una pragmatica della musica come terapia, ISMEZ, Roma
2001.

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IPOTESI DI TRATTAMENTO
Griglia indicativa degli elementi da contemplare nel riporto
1. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA e formulazione-presentazione dell‟intervento di MT
1.1. Titolo e Sommario.
È buona norma pensare ad un breve titolo riassuntivo dell‟esperienza, che sia sintetico, interessante
e che effettivamente introduca al tema [p.es.: “G.: un bambino che non vuol cantare”]. È anche im-
portante far precedere la descrizione del caso clinico con un sommario in cui si descrivono il caso, i
tempi e le procedure utilizzate.
1.2. Descrizione del paziente e della sua patologia. Storia clinico-anamnestica.
Descrivere il paziente individuato: sigla del nome, la sua età e la patologia diagnosticata al momento
dell‟invio. A questo faccia seguito una descrizione della famiglia d‟origine e una breve storia clinica.
Se è stato possibile, riportare anche il rapporto con le esperienze sonore pregresse.
1.3. Considerare il Contesto, gli Attori.
Descrivere il contesto fisico in cui il paziente è immerso e col quale è continuamente in interazione
negli altri momenti della sua vita di relazione [zona di provenienza, abitazione, servizi potenzialmente
fruibili, lontananza dal centro, rischi sociali del territorio, etc.].
Di fondamentale importanza è, poi, la descrizione degli „stakeholders‟ della terapia, e cioè di tutti gli
attori interessati a vari livelli (in positivo o in negativo) alla vita del paziente (familiari, amici, pari,
accompagnatori, insegnanti, parroco, medici, psicologi, altri terapisti, etc.).
1.4. Perché quel/quei paziente/i [specificarne la tipologia].
1.5. In quale istituzione si va ad operare [città, dislocazione urbana, tipologia del servizio, utenza, raggiungibilità
del luogo di terapia, sia per il paziente sia per il terapista].
Qui ci si deve dilungare sulle caratteristiche relative alla struttura di riferimento, ai servizi offerti, al-
la platea di riferimento, ai convenzionamenti, agli accreditamenti, etc..
1.6. Le risorse disponibili nell‟istituzione e caratteristiche [strumentario, stanza, rapporti con personale medico, psi-
cologi, infermieri, tirocinanti, etc...].
1.7. Le risorse del territorio [Enti locali, Enti privati, associazionismo onlus, privato sociale, altre realtà e loro carat-
teristiche e significatività].
1.8. Il setting: frequenza, durata previste per gli incontri (mattina, pomeriggio: come e perché).
1.9. Il personale co-terapeutico ed il tipo di osservazione (video; osservatore; altro modo di riporto del „qui ed ora‟).
2. RIPORTO ANAMNESTICO-DIAGNOSTICO del caso clinico [Assessment – 1]
2.1. Modalità del primo contatto [chi invia; come e perché, e su quale diagnosi].
2.2. Analisi della domanda: chi è il richiedente [raccolta dei dati anamnestici generali, aspettative, bisogni del pa-
ziente ed eventuale ridefinizione della domanda].
2.3. La famiglia del paziente: a) atteggiamento e aspettative; b) „presenza‟ e compliance; c) modalità del riporto del
paziente in famiglia del vissuto musicoterapico.
2.4. Rapporto clinico con altre figure di diretto riferimento terapeutico [terapeuti, psicoterapeuti, infermieri, équipe,
altre figure].
2.5. Valutazione complessiva dell‟holding (costituito dall‟insieme di tutti i soggetti collaborativi implicati nel pro-
cesso evolutivo).
3. MOTIVAZIONI DELLA SCELTA AD INTERVENIRE CON LA MUSICOTERAPIA, [Assessment – 2] sulla scia di:
3.1. Anamnesi sonora e tipo di inquadramento sonoro/musicale [test sonoro].
3.2. Tipo di terapia: a breve e/o lungo termine, individuale o gruppale.
3.3. Obiettivi terapeutici minimi [di tipo preventivo, riabilitativo, terapeutico, …].
3.4. Livelli di direttività e di contenimento possibili.
3.5. Metodo adoperato o utilizzabile: ricettivo (ascolto, rilassamento, immaginario guidato, ...) e/o attivo (improvvi-
sazione con strumenti musicali, pianoforte, composizione, ...), o altra metodica.
3.6. Tecniche: rispecchiamento, imitazione, variazione, improvvisazione, coping, matching, role playing, altro.
LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 38
3.7. Strumentario, materiali sonori e risorse disponibili.
4. LETTERATURA SUL TEMA [consultazione degli studi su analoghi casi clinici].
5. INDICAZIONE DEL RIFERIMENTO TEORICO, della Metodologia e dei Criteri di Valutazione seguiti [ruoli dei
conduttori implicati nella terapia (terapista, coterapista, osservatore-osservazione)].
6. FORMULAZIONE DELLE PREVISIONI [obiettivi in funzione dei tempi].
7. PREPARAZIONE DEGLI SCHEMI OPERATIVI [interviste, questionari, tecniche, protocolli di seduta, di osservazione,
altro].
8. FASE DI INQUADRAMENTO [Assessment conclusivo - 3, dichiarando eventuali o necessarie ridefinizioni in
progress].
9. COMPILAZIONE, ORGANIZZAZIONE E ANALISI QUANTITATIVA DEI DATI [sulle intenzioni di lavoro, sul metodo e
su come si intende procedere]. Comunicazioni all‟équipe e ai familiari per il consenso.

TRATTAMENTO
9bis. COMPILAZIONE, ORGANIZZAZIONE E ANALISI QUANTITATIVA DEI DATI [presentazione effettiva, riporto grafi-
co e trasversale anche rispetto alla periodicità della valutazione in itinere con specificazione della presenza o meno di
Supervisione didattica, di Tutoraggio, di Supervisione clinica del Servizio].
10. DESCRIZIONE DEL PERCORSO.
La terapia può essere elaborata e preparata (come esplicitato chiaramente, con relative motivazioni,
in fase iniziale di  Ipotesi di trattamento) in uno dei seguenti modi:
a) per singole sedute e in maniera discorsiva (sconsigliato),
b) per valutazione quali-quantitativa trasversale di ciascuna variabile (o scheda) osservata,
c) per gruppi di sedute (ogni numero fisso di sedute),
d) per fasi della terapia (basato sui cambiamenti rilevanti).
11. ANDAMENTO DELLA RELAZIONE E DELLA PROCESSUALITÀ dell‟intervento [emotività espresse, natura della re-
lazione ed investimenti affettivi], tramite un‟analisi dei riporti delle sedute. È la parte più importante del lavoro
e richiede costanza e metodo, rigorosi e coscienziosi.

VALUTAZIONE [al termine delle sedute]


12. INTERPRETAZIONE DEI DATI [discorsiva] Elaborazione del risultato principale, con osservazioni, valutazio-
ne documentale quali/quantitativa dello stato e dell‟avvenuto progresso della relazione musicoterapica.
Vanno considerati qui – e con estrema sincerità intellettuale, etica professionale e correttezza deontologica –
gli eventuali dubbi sull‟efficacia complessiva, ed i motivi per cui si sono dovute trascurare alcune variabili o
non si siano potuti considerare tali o tal altri dati.
13. Riporto di EVENTUALI COMPLICAZIONI, ELEMENTI NEGATIVI E/O INSUCCESSI, totali o parziali, del percorso
musicoterapico. Devono essere evidenziati eventuali ELEMENTI PREDITTIVI che potrebbero essere utili ad ana-
loghe esperienze future, proprie o di altri terapisti.

CONCLUSIONI
14. CONCLUSIONI (agganciate agli obiettivi iniziali) e riflessioni a cui eventualmente aggiungere considera-
zioni approfondite sul significato del percorso con il Supervisore e/o Tutor.
15. PROSPETTIVE FUTURE DEL CASO dopo la naturale conclusione della terapia ed eventuali follow-up previsti,
(ovvero quali controlli successivi, e a distanza di quanto tempo ognuno).

LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 39


Livelli e tecniche di intervento
Livelli e ambiti
Gli elementi sui quali è possibile lavorare con le tecniche di musicoterapia, specie in
ambito scolastico, fanno riferimento ad alcuni ambiti operativi fondamentali:
- cognitivo; - emotivo-affettivo;
- comunicativo; - corporeo e senso-motorio.
L‟approccio è attuabile con tecniche musicali di tipo ludico-espressivo. Ciascuna di
queste ha lo scopo di far emergere le dinamiche comunicative, emotive, di apprendimento,
di mobilità corporea e, non ultimo, lo sviluppo delle risorse creative di ciascuno dei parte-
cipanti. Le attività debbono sempre avere un carattere di gioco.

Tecniche musicali prevalentemente utilizzate


- ascolto finalizzato;
- musica e movimento;
- lavoro sulla struttura „canzone‟ (songwriting);89
- variazione/improvvisazione;
- drammatizzazione sonora.
Dal punto di vista delle produzioni sonore, queste avvengono generalmente in rispo-
sta agli orientamenti metodologico-espressivi seguiti dai musicoterapisti. Questi si posso-
no sostanziare di varie forme d‟intervento sulle dinamiche sonoro-musicali.
Forme sonoro-musicali
- imitazione;
- imitazione con microvariazioni;
- rispecchiamento;
- variazione/improvvisazione;
- dialogo sonoro (botta-risposta / sovrapposizione);
- coralità;
- verbalizzazione.

Va precisato che le tecniche utilizzate in musicoterapia sono molto più articolate di


queste esposte. Ben 64 tecniche di intervento sono state descritte e discusse da K. Bruscia
all‟interno del volume Modelli di improvvisazione in musicoterapia [pg. 554 sgg., v. bibl.].

89 Cfr. FELICITY BAKER – TONY WIGRAM, Songwriting. Metodi, tecniche e applicazioni cliniche per clinici, edu-
catori e studenti di musicoterapia. Trad. A. De Vivo, Roma, ISMEZ, 2008 (Gli Archetti).

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CAPITOLO 4
GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA TERAPIA
Suoni e sonorità. Strumenti musicali e oggetti sonori
Gli strumenti sonori della Musicoterapia, quando questa tecnica viene utilizzata in manie-
ra tale da favorire l‟interazione con la persona che si ha di fronte, sono dei particolari og-
getti che danno la possibilità ad un paziente di „parlare‟ con una voce altra; di farsi sentire
senza timore di essere contrariati; di poter coniugare lo spazio intorno a sé; di poter fare
„casino‟ senza nessuno che gli dica “la smetti? mi fai venire il mal di testa!”; di poter final-
mente liberare il proprio corpo nella danza; di poter creare un gioco; di poter ascoltarsi e
autocompiacersi; ... con tante altre „possibilità di…‟.
In tutto questo, per la persona che ci sarà di fronte e per noi stessi, il suono non è al-
tro che un mezzo, un‟area, un tempo e uno spazio propri – e sottolineo „propri‟ – in cui a-
gire e magari essere rispecchiati da noi che gli stiamo di fronte.
In questo processo di appropriazione vi sono già gli elementi che ci permetteranno di
avvicinare la relazione fra noi e le persone affidateci ad una dimensione unica e particola-
re.
I suoni che da uno strumento vengono emessi, in questo modo, dovranno essere con-
siderati la voce di un bisogno particolare della persona, che sceglie di venire alla luce in
quel modo.
Ma i suoni non sono solo quelli degli strumenti fatti apposta per emettere suoni e
nient‟altro. Sono anche quelli che ci vengono dagli oggetti del quotidiano, o dalla propria
voce, intesa come vocalità. Sono i suoni degli strumenti autocostruiti. Sono i suoni
dell‟ambiente imitati e riprodotti con altri strumenti.
In qualche misura mi piace pensare che uno strumento musicale sia una zattera che
permettere di passare dal mondo dell‟inespresso a quello della creatività, del gioco, della
condivisione, della liberazione.
Strumento, quindi, come mezzo di attraversamento da un colore all‟altro della pro-
pria personalità.
Non c‟è bambino che non si muova quando canta o ascolta musica, non c‟è ragazzo o
adulto che all‟ascolto di jingles o melodie particolarmente gradite, non si attivi con tambu-
rellamenti di dita o con battiti del piede.
Proviamo a scuotere, stando in piedi, una semplice coppia di maracas. Riusciamo a
stare immobili nel farlo? Dobbiamo per forza dondolare!
Per forza? Ma nessuno ci obbliga a farlo!
E allora, il movimento è parte integrante del far musica.
E la musica è parte integrante del nostro corpo.
Pensiamo non solo al nostro cuore che pulsa e che ci ha fornito la prima base ritmica,
ma all‟atto del camminare, del respirare, del mangiare.
Si afferma che la musica è l‟arte dei suoni.
E il corpo? Dov‟è il corpo?
E gli antichi? E la musica popolare – sempre prodotta in funzione di qualcosa e non
per l‟estetica in sé – non è forse musica? Non sarebbe musica ciò che non viene prodotto
per i fini dell‟arte? O, forse, il concetto di arte non contiene tutte le forme della musica?

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Queste sono tutte domande oziose, che, tra l‟altro, perdono significato davanti ad
un‟affermazione del genere: “Per me, oggi, la nona sinfonia di Beethoven è rumore!”. Può
sembrare sacrilega, ma se proviene da un musicista che sta componendo il finale di un
pezzo, il suo significato, contestualizzato, è perfettamente corrispondente alla verità.
Qualunque grande musica, in determinate circostanze quindi, può divenire rumore,
ma di contro, qualunque rumore può far parte di una grande musica.
Il concetto di „rumore‟ va osservato, allora, sotto due aspetti separati.
Un aspetto tecnico: il rumore ha un‟oscillazione irregolare, non ha una frequenza rico-
noscibile, ma entra comunque a far parte della musica, prima ancora della terapia.
Un‟organizzazione dei suoni, delle sonorità, non è mai rumore.
Un aspetto soggettivo/comunicazionale: tutti i suoni possono essere considerati rumore
se disturbano la comunicazione del momento.
Il rumore, in senso tecnico, ha molto a che fare con il concetto di sonorità. Questa è in
senso generale un evento sonoro che prescinde sia dalla sua quantità che dalla sua qualità.
Allora, tanto più in terapia, il termine musica per noi deve assumere un significato re-
lativo, non assoluto. Esso deve essere sempre calato nel contesto in cui viene realizzata
l‟organizzazione dei suoni.
In questi termini, anche una scarna produzione di un paziente tetraplegico, ad esem-
pio, può essere considerata frutto di una meditata e faticosa costruzione sonora; e questo a
prescindere dal risultato effettivo in termini estetici (ma anche quest‟ultimo termine: che
significa realmente?) ed in termini più strettamente musicali (ai musicologi: riuscite final-
mente a darci un‟esatta definizione di „musica‟?).
Per questo, ai terapisti consigliamo la relativizzazione e la soggettivizzazione del concet-
to di far musica. Non nel senso che ogni terapista può dare una propria definizione di
„musica‟, ma, al contrario, di considerare il prodotto sonoro in funzione dell‟intenzione
della persona da cui proviene e della nostra interpretazione. Nel senso, insomma, di „inte-
sa‟ posta a fondamento della relazione, in cui il gesto sonoro preceda (e prescinda da) qua-
lunque definizione del termine „musica‟.
Sarà adesso più facilmente comprensibile come la costruzione estetica, in terapia, è
quasi perfettamente inutile (a meno di non volerla considerare una semplice tappa della
comunicazione), e se la si pone come obiettivo, essa è quasi sicuramente un falso obiettivo.
Solo nei casi in cui il processo terapeutico è avanzato in termini riabilitativi, si può pensare
al „prodotto‟ estetico come ulteriore tappa di crescita dell‟intervento.
Ancora più pericolosa è poi la somministrazione passiva (intendo ascolto passivo, non
partecipato) di generi musicali preconfezionati, che, anche se sedicenti rilassanti, ancorché
„miracolosamente‟ guaritori (v. effetto Mozart), finirebbero per determinare, fra gli altri di-
sastri, una conferma degli standard estetici che, alla lunga, allontanano la persona dalla
possibilità di creare con strumenti sonori la „propria‟ musica, la „propria‟ organizzazione
delle sonorità; e tale allontanamento si realizza, cosa grave per un terapista, tramite un pe-
sante condizionamento in negativo nei confronti di una presunta „normalità‟ fatta di tona-
lismo e di melodie modali, che sancisce ulteriormente il divario, in termini di diversità so-
ciale, tra il sofferente „qui dentro‟ e la società „là fuori‟.
La musica concreta del secondo „900 si è in qualche modo avvicinata ai nostri lidi con
sonorità provenienti dal mondo dell‟ambiente circostante. Sebbene frutto di una seria ri-
cerca, sono pur sempre prodotti estetici e possono essere considerati al più come punto di

LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 42


riferimento in termini di decodifica e di aiuto interpretativo in relazione alla frammenta-
zione e/o alla complessità psicologica di talune patologie a cui ci riferiamo. In relazione
poi agli strumenti del far musica, queste proposte possono anche essere prese come sugge-
rimenti per l‟utilizzo di strumenti, sonorità e modalità organizzative ed esecutive partico-
lari. Non vanno però assolutamente prese come pezzi d‟ascolto passivo, se non per moti-
vati obiettivi frutto di una seria e controllata progettualità terapeutica.

Il musicista, il proprio strumento, gli strumenti musicali della terapia


Gli strumenti musicali sono elementi centrali nella relazione musicoterapica.
Lo strumento musicale è l‟elemento mediatore del rapporto fra terapista e paziente, e
per prima cosa va esaminato il rapporto emozionale fra sé e il proprio strumento musicale.
Va innanzitutto detto che l‟approccio del musicista classico con il proprio strumento
musicale non è sempre piacevole. Tale approccio passa spesso attraverso anni e anni di
studio in Conservatorio, per strade obbligate da percorrere, senza grandi spazi concessi al-
la propria emotività, e men che meno alla propria creatività. Lo spartito deve essere rispet-
tato dalla A alla Z; per questo dobbiamo essere dei bravi esecutori della volontà
dell‟autore, tutt‟al più mediata attraverso quella del direttore d‟orchestra. La volontà di
noi musicisti non conta, non può e non deve contare; altrimenti si finisce per „interpretare‟
lo spartito, cosa che è concessa, pare, solo ai grandi. Questa posizione è funzionale ad un
apparato orchestrale che dovrà eseguire nella maniera più fedele la produzione degli auto-
ri classici. Giocare con gli strumenti, divertirsi per il loro tramite non è previsto, anzi, è
vietatissimo.
Questa posizione non può non giocare un ruolo determinante nel rapporto del musi-
cista con il proprio strumento. Può esserci, e c‟è, molto di amore e molto di odio in questo
rapporto. C‟è da dire anche che tra l‟amore e l‟odio c‟è tutto un ventaglio di emozioni, di
colori, giocati nella storia di questo rapporto.
Capita più spesso di quanto non si creda che un musicista classico non esprima emo-
zioni, perché educato da sempre ad esprimere emozioni altrui, o, al più, la propria bravu-
ra, finendo, al momento della relazione con un paziente, per esprimere tutt‟altro.
Il primo scoglio da affrontare, nell‟esperienza musicoterapica è, quindi, un consape-
vole, emotivo, „sano‟ e creativo rapporto con il nostro strumento musicale.
Rispetto al resto degli strumenti che entreranno a far parte della terapia – che si tratti
dello strumentario Orff, o di strumenti folkloristici, o autocostruiti, o classici, o provenienti
da oggetti della vita quotidiana –, con loro si metteranno in gioco addirittura altre parti, a
volta sconosciute, della sfera emotiva, spesso vivendole per la prima volta insieme agli
stessi pazienti. E questa emotività dovremo giocarcela sempre e comunque, persino in pre-
senza dell‟indifferenza.
Se uno strumento musicale inevitabilmente, a partire dai propri strumenti preferiti, è
oggetto delle nostre emozioni, prima ancora che luogo di sentimenti, allora tanto più i pa-
zienti considereranno gli strumenti, sia quelli semplicissimi che quelli complessi, nello
stesso modo. E così, col tempo, i pazienti finiranno per maturare emozioni prima, e un loro
modo di comunicare attraverso di essi poi, proprio come il musicista ha fatto durante il
corso della propria storia con il proprio strumento. Ma loro, i pazienti, non passeranno,
come ha fatto il musicista, attraverso quella fase di alfabetizzazione rispetto

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all‟acquisizione di una competenza musicale. In questo, i pazienti sono „fortunati‟ rispetto
al musicista. E noi siamo, in un certo qual modo, „castrati‟ rispetto a loro.
La prima „difesa‟ che un musicista innalza nei confronti delle emozioni in gioco con
un „incompetente‟, come può esserlo un paziente, è la „performance‟ del proprio „saper fa-
re‟ musica, della propria competenza. Esempio: un paziente entra, il terapista comincia a
suonare e a far divertire il paziente, pensando con questo di „guarirlo‟. Il paziente, dopo il
primo gradimento, si chiude pian piano in un angolo, si incista, peggiorando la propria
condizione.
Dobbiamo, in questo, fare anche i conti col narcisismo del musicista, all‟interno di
questo rapporto „difensivo‟ che spesso il musicista ha nei confronti dell‟uso della tecnica
strumentale. „Difensivo‟ perché spesso l‟abilità del musicista, del tecnico della musica, è
quella di nascondere, dietro al proprio „saper fare‟, tutte le proprie emozioni. La „perfor-
mance‟ nasconde, al contrario della creatività, l‟autocompiacimento delle prestazioni, o,
nei momenti di difficoltà creativa, il ricorrere a soluzioni tecnicamente preconfezionate,
ma anaffettive.
Va fatto un lavoro parallelo, sulle emozioni e sulla competenza affinché quest‟ultima
non rappresenti una sorta di schermo, ma un modo, un canale, attraverso cui poter espri-
mere le nostre potenzialità creative.

Lo strumento musicale ha una forma e una voce


Lo strumento musicale è, ci insegnano, un oggetto „pensato‟ e realizzato per produrre suo-
ni e/o sonorità.
Lo strumento musicale ha una forma (corpo, aspetto, estetica), e una voce (suo-
no/sonorità, timbro, ritmicità).
La forma degli strumenti musicali è la più varia. Può ricordare molti oggetti e simboli
della realtà fenomenica. Le forme principali del corpo di uno strumento hanno a che fare
con grandezze del tipo: lunghezza, superficie, volume (cavità). Mentre gli elementi vibran-
ti sono costituiti generalmente da: lamine, corde, membrane, corpo stesso dello strumento.
Avremo modo di ritornare sul significato della forma e sulla simbologia degli stru-
menti musicali in maniera più approfondita. Per ora basti ricordare, dal punto di vista et-
noantropologico, che le loro forme hanno molto a che fare con la sessualità (il maschile e il
femminile), con i quattro elementi (Fuoco, Aria, Terra, Acqua), con l‟animismo (vita, mor-
te, notte, giorno, paura, coraggio, ritualità, propiziazione, guarigione) e con gli archetipi
connessi a tutti questi elementi.

L’accordatura
Uno strumento musicale deve essere ben accordato. Questa è la regola. Ma bisogna rap-
portare sempre tale regola all‟obiettivo da perseguire. Di fatto, la perfezione o
l‟imperfezione dell‟accordatura di uno strumento musicale possono entrambe far parte
dell‟agito sonoro in un determinato contesto.
Esempio 1: un‟esecuzione classica richiede la perfetta accordatura degli strumenti.
Esempio 2: una banda di paese può essere maggiormente comunicativa se i suoi
strumenti non sono perfettamente accordati.

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L‟accordatura di uno strumento musicale rimanda immediatamente all‟ascolto e al
pregiudizio estetico di chi ascolta il suono di quello strumento. La congruenza e/o
l‟incongruenza delle sonorità derivano molto dalle aspettative di chi sta loro di fronte. Gli
strumenti musicali non sono mai più congruenti quanto la disponibilità di chi li ascolta.
All‟interno di un setting di musicoterapia, comunque, è la regola che gli agiti sonori
prescindano sempre da un‟adeguatezza ritmica, melodica, armonica. Occorre sempre ri-
cordare che le stonature e le aritmie sono di casa.

Lo strumento ha una voce e un corpo: ma… lo strumento musicale ha un’anima?


Certo, saremmo completamente folli se pensassimo che un oggetto, qualunque og-
getto, nasconda „realmente‟ un‟anima in sé.
Già l‟esistenza di un‟anima è scientificamente indimostrabile negli uomini, figuria-
moci quella dell‟anima in uno strumento musicale.
Abbiamo accennato all‟animismo. Ebbene, nella stragrande maggioranza delle popo-
lazioni dedite all‟animismo (animismo = credere che la natura sia permeata di spiriti beni-
gni o maligni che la animano), è tacitamente data per scontata l‟esistenza di un‟anima nel-
lo – anzi, „dello‟ – strumento musicale. In esso vi può essere uno spirito di un guerriero, di
un defunto, di uno sciamano, di un animale, etc..
E nell‟uomo cosiddetto „civile‟? È lontano da tutto ciò? Sembrerebbe di sì. Però …
Succede che spesso i pazienti investono parte delle proprie emozioni „come se‟ negli
strumenti musicali fosse presente un‟anima, o, perlomeno, una propria proiezione.
Ma non sono solo i pazienti a viverli così, e i musicisti lo sanno bene.
Bisogna considerare, ad esempio, che in uno strumento musicale c‟è l‟intenzione del
costruttore. Tale volontà è lì dentro, cristallizzata nella forma e nella qualità del suo suono,
e lì rimane finché lo strumento vive. Un vero liutaio vorrebbe, in cuor suo, sempre essere
presente ad ogni uso del „proprio‟ strumento; già, perché il liutaio vive ogni strumento
come una propria creatura. Ogni strumento da lui costruito è „figlio suo‟.
E nell‟oggetto non rimane cristallizzata solo la volontà del costruttore, ma anche la
volontà di tutti i costruttori precedenti, e, quindi, la cultura – occidentale od orientale che
sia – che sottostà alla forma, al suono, al ruolo di questo nell‟organizzazione degli altri
strumenti a cui può relazionarsi. Perché va considerato anche il fatto che uno strumento
„comunica‟ con gli altri strumenti già all‟interno delle proprie caratteristiche sonore con la
mediazione, e nella cultura quindi, di chi li organizza. Ciascuno degli strumenti gioca il
proprio ruolo comunicativo e la propria relazionalità sonora.
C‟è, inoltre, una sorta di „contratto‟ tra chi produce lo strumento e chi lo suona. Da
parte del produttore si promette il massimo in relazione alle risorse (prezzo) che
l‟acquirente è disposto a investire; chi compra cerca il massimo che lo strumento possa
produrre in termini di suoni.
La forma, inoltre, dello strumento ha una propria memoria. Le forme in generale
hanno una loro memoria, intese come intenzione teleologica e culturale di chi le ha pro-
dotte. Una memoria che proviene anche dall'‟esterno‟, ossia da una sorta di selezione natu-
rale delle forme; una selezione dettata dalle loro potenzialità: timbrica, espressiva, evoca-
tiva, estetica, di movimento, di funzionalità, ecc..
E neanche i musicisti sono esenti da questi aspetti, per così dire, animistici.
Pensiamo per un attimo all‟affettività investita nel „proprio‟ strumento musicale.

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Un violinista non poggerà mai a terra il violino se non c‟è un morbido panno ad ac-
coglierlo; così come il pianista chiuderà sempre accuratamente il pianoforte dopo l‟uso.
C‟è da considerare la ritrosia a far suonare il proprio strumento ad altri. C‟è analoga ritro-
sia, ancora, a vendere il proprio strumento. Se poi si rompe, si rompe qualcosa dentro di
noi. Si soffre persino a vedere lo strumento d‟altri rompersi.
Cosa ci fa amare e „rispettare‟ il nostro strumento, se non l‟idea che abbia un‟anima?
Il rapporto del musicista con il proprio strumento ricorda molto da vicino quello del
comandante con la propria imbarcazione. Sedimentata dentro l‟oggetto c‟è buona parte
della stessa storia personale del musicista, dei suoi sudori, delle lacrime, dei pianti, delle
soddisfazioni, delle gioie, della sua stessa identità. L‟oggetto viene considerato oggetto „a-
nimato‟, appunto, spesso considerato anche molto più che anima-le, fino a poter osservare
lo strutturarsi di sentimenti di tipo materno.
Si tratta di quella stessa affettività che viene espressa, ad esempio, verso i luoghi e le
cose, come l‟attaccamento alla propria terra, ai luoghi della propria infanzia, alla propria
casa, ai propri oggetti. Avvertiamo quasi le pareti di casa lamentarsi delle „assenze‟ di per-
sone un tempo presenti. L‟organizzazione stessa dei nostri spazi „è‟ la nostra presenza.
Da un punto di vista musicoterapico, anche se affermare che „uno strumento musica-
le ha un‟anima‟ è da folli, è meglio dare per scontato che lo strumento musicale abbia
un‟anima, perché questa „follia‟ reca con sé una verità più vera, in termini di relazionalità,
di quella portata dalla parte razionale del nostro essere. Allora la comunicazione tra tera-
pista e pazienti per il tramite degli strumenti musicali risente, prima ancora del contatto
reale nel setting, di tutto questo volume di potenziale „relazionalità‟.
Da questo punto di vista, l‟animismo delle antiche popolazioni sopravvive in noi (e ci
aiuta nella comprensione) più di quanto la scienza da un lato, e le religioni monoteiste
dall‟altro, siano disposte ad ammettere.

Gli strumenti musicali, rispetto a tanti altri strumenti di terapia, posseggono il van-
taggio di essere „sociali‟ nel loro essere mediatori di una comunicazione sonora, di tra-
smettere calore, cultura, seduttività, intuibilità, emotività.
Questa pre-comunicazione, ovvero questa predisposizione ad un terreno comune per
la relazione, fa degli strumenti musicali, in particolare quelli destinati alla terapia, il luogo
su cui si andrà ad imperniare il fulcro della nostra relazione col paziente.
Se la lettura dell‟oggetto significante „strumento musicale‟ è condizionata dalla no-
stra relazione con esso, secondo tutto quello che finora si è detto, allora tanto più la „lettu-
ra‟ dei significanti sonori, intesi come gesti sonori dei pazienti, andranno letti a vari livelli
di significato (meta-livelli).
Ma questo farà parte della storia che maturerà nelle esperienze agite, oltre che nello
studio delle varie teorie della musicoterapia e dei suoi casi clinici.

LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 46


CAPITOLO 5
IL SUONO E GLI STRUMENTI
Il suono: frequenza, intensità, armonici, timbro
Una superficie vibrante (fig. 1) tra due punti A e B produce un fenomeno di compressione e
rarefazione dell'aria per un certo numero di volte al secondo nell‟ambiente circostante. Tale
fenomeno si espande nell‟aria alla velocità di circa 330-340 metri al secondo. Se noi foto-
grafiamo questa situazione dopo un secondo, il numero di volte in cui si è compressa l‟aria
ci fornisce la frequenza dell‟oscillazione, misurata in hertz (Hz) o cicli/sec., che in musica
viene definita altezza. La forza della compressione, viene definita intensità del suono (v.
anche cap.II).
Una corda - ma anche qualunque strumento musicale e qualunque oggetto del mon-
do reale - non vibra mai con un‟oscillazione pura (ad andamento sinusoidale), bensì con
andamento irregolare.
Per comprendere il fenomeno occorre dire innanzitutto che i modi di oscillazione di
una corda possono essere vari, ma comunque legati ad un principio fondamentale: le oscil-
lazioni associate ad una qualunque vibrazione possono essere solo dei multipli interi posi-
tivi della frequenza fondamentale.
Così ad una frequenza, mettiamo di 110 hz (La1), saranno associate (associate = che
vibrano contemporaneamente alla fondamentale) le frequenze di 220 Hz, 330 Hz, 440 Hz,
550 Hz..., tutte multiple intere positive della fondamentale. Tali frequenze vengono defini-
te „armonici‟ (o frequenze armoniche, o solo armoniche) e numerate in modo tale che il
primo armonico viene considerato la nota fondamentale (nell‟esempio di sopra: 1° arm. =
110 Hz, 2° arm. = 220 Hz, 3° arm. = 330 Hz, ecc.). In teoria, gli armonici possono essere in-
finiti, ma, in pratica verranno percepiti solo quelli, ovviamente, inferiori ai 20.000 hz. Na-
turalmente, le frequenze superiori al 1° armonico non saranno riconoscibili tanto quanto la
fondamentale, ma saranno percepite diversamente, in quanto generalmente minore è il li-
vello di energia sonora che su di esse si distribuisce. Tale diversa percezione degli armoni-
ci è quella che si definisce come timbro di uno strumento, ossia quello che ci permette di
riconoscere il tipo di fonte sonora, di discriminare se la nota proviene da un flauto o da un
violino, se si tratta di un rumore metallico o di uno prodotto da un legno. In sostanza, la
percezione della fondamentale può definirsi quantitativa, quella degli armonici qualitativa.
I suoni, in base alla frequenza, si definiscono grossolanamente in:
- gravi o bassi, se di frequenza inferiore ai 150-200 Hz circa;
- medi, se compresi fra i 150-200 e i 700-800 Hz circa;
- acuti o alti, se superano gli 800 Hz.
I suoni di frequenza inferiore ai 20 Hz si definiscono infrasuoni, mentre quelli supe-
riori ai 20.000 Hz ultrasuoni.

Gli strumenti musicali


Una definizione di strumento musicale è tanto difficile quanto definire la musica stessa.
Del resto, possiamo facilmente constatare come con qualunque oggetto sia possibile gene-
rare un suono od una semplice cellula ritmica. Così, come nella didattica musicale è prefe-
ribile quanto prima introdurre il concetto di sonorità, di gran lunga più capiente di quello

LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 47


di suono, così nel campo degli strumenti musicali è preferibile rifarsi al concetto di oggetto
sonoro. Pur tuttavia, è necessario fornire dei riferimenti obbligati per quel che riguarda la
classificazione degli strumenti musicali a cui svariati autori si rifanno.
Una fra le più adoperate classificazioni è quella riferibile a C. Sachs e a M.E. von
Hornbostel (1914 e successive modifiche fino al 1940). Tale classificazione prevede la ripar-
tizione in cinque categorie fondamentali, con vari sottogruppi:

1. Idiofoni (suono prodotto dalla vibrazione del corpo stesso dello strumento musicale).
1.a. Ad urto: cimbali, piatti, nacchere.
1.b. A scuotimento: sonagli, sistri, raganelle, maracas.
1.c. A sfregamento: armonica a bicchieri, legnetti intagliati, guïro.
1.d. A pizzico: scacciapensieri, tamburi a lingue di legno.
1.e. A percussione: triangolo, gong, campane, xilofono, vibrafono.

2. Membranofoni (suono originato dalla vibrazione di una o più membrane tese).


Si possono suddividere in:
2.a. tamburi tubolari: Congas, Djembé, Bongos, Bonghetti, rullante, Grancassa,
Timpano...
La cassa di risonanza di questi tamburi presenta una varietà di forme tubola-
ri, di altezza generalmente maggiore del diametro. Possono avere la pelle ad
una estremità o ad entrambe. Possono essere attivati con le mani, con bac-
chette, con mazzuoli.

2.b. tamburi a cornice: Tamburello, Ocean Drum, Tammorra...


In questa famiglia di membranofoni, la membrana è tesa su un telaio tondo o
quadrato, poco profondo. Si tengono con una mano e si percuotono con
l‟altra. Possono essere monopelle o bipelle.

3. Aerofoni (suono prodotto dalla vibrazione di colonne d‟aria).


3.a. A bocca: flauto dolce, flauto traverso, flauto di Pan, ottavino, ocarina, fi-
schietti, ecc.
3.b. Ad ancia semplice: clarinetto, saxofono, corno di bassetto.
3.c. Ad ancia doppia: oboe, bombarda, corno inglese, fagotto, controfagotto, cia-
ramella, heckelphon, sarrusofono, cromorno
3.d. A bocchino: trombe, tromboni, corni, flicorni, tube, cornette a pistoni.
3.e. A serbatoio d‟aria: organo, armonio, fisarmonica, cornamusa, zampogna.

4. Cordofoni (suono prodotto dalla vibrazione di una o più corde tese).


4.a. A corde pizzicate: citara, lira, arpa, salterio, liuto, arciliuto, tiorba, chitarrone,
colascione, mandola, mandolino, banjo, chitarra, balalaika, cetra, vihuela,
clavicembalo, spinetta, virginale.
4.b. A corde percosse: pianoforte, salterio tedesco, pantaleon, clavicordo, autopia-
no.
4.c. A corde strofinate: violino e famiglia, crotta primitiva, ribeca, giga, viella, an-
tiche viole, lira da braccio e lira da gamba.

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5. Elettrofoni (suono prodotto per via elettroacustica).
5.a. Ad oscillatori: trautonium, onde Martenot, novachord.
5.b. A generatori elettromeccanici: organo Hammond, piano Rhodes.
5.c. Semielettronici: chitarre elettriche, mandolini, banjos.
5.d. Elettronici(*): Organi elettronici, batterie elettroniche, sintetizzatori elettroni-
ci.
5.e. Digitali(*): VHO-VFO, piano midi, sintetizzatori digitali, generatori a com-
puter.
(*) Questi ultimi due sottogruppi sono stati da me aggiunti per un minimo dove-
roso aggiornamento.

Altre classificazioni sono state proposte, come quella molto interessante di ANDRÉ
SCHAEFFNER nel volume Origine degli strumenti musicali (Sellerio, Palermo, 1987). Preferisco
tuttavia non addentrarmi, anche perché tali classificazioni, sebbene utili allo studioso di
etnomusicologia per una sistemazione organica, non risultano versatili e precise. È diffici-
le, ad esempio, classificare correttamente il tamburo a lingua (membranofono o idiofono?)
o, ancora, lo scacciapensieri (marranzano). Né una corretta identificazione di uno strumen-
to potrà farci fare un passo in più rispetto alla comprensione „comunicazionale‟ del suo
uso. Per non parlare degli „oggetti sonori‟ dell‟ambiente. Prendiamo, dunque, per buona la
classificazione sopra suggerita senza andare, per quel che ci riguarda, tanto per il sottile.

I materiali: il legno, le membrane, il metallo


In linea generale, va ricordato che:
- Strumenti grandi producono frequenze (suoni) gravi (basse);
- Strumenti piccoli producono frequenze acute (alte);
- Strumenti in legno producono generalmente frequenze medio-gravi;
- Strumenti metallici producono generalmente frequenze medio-acute;
- Strumenti membranofoni producono generalmente frequenze medio-gravi.

Lo strumentario Orff
È un‟insieme di strumenti creati dal musicista CARL ORFF intorno agli anni ‟50 destinati i-
nizialmente ad esecuzioni radiofoniche, ed utilizzati in seguito, per la loro semplicità
d‟uso, a fini didattici e, successivamente, terapeutici.
Vi sono tra essi strumenti idiofoni, membranofoni, cordofoni.
L‟intuibilità d‟uso, i timbri intensi, la robustezza, la leggerezza, sono alcune tra le ca-
ratteristiche più interessanti di questo strumentario, che si presta ad un infinito numero di
applicazioni: nella prevenzione, in ambito scolastico e in una vasta gamma di patologie.

Caratteristiche peculiari per la comunicazione


nelle modalità d‟approccio:
- non creano pregiudizio, sono strumenti „aperti‟, non „chiusi‟ alla competenza;
- hanno valore seduttivo per forme, timbri, materiali;
- stanno bene insieme;
- possono suonarsi contemporaneamente;

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- sono facili al trasporto (non eccessivamente pesanti);

nelle possibilità espressive:


- producono suoni in un‟ampia gamma di altezze e timbri;
- sono intuitivi e facili nelle modalità di esecuzione;
- favoriscono l‟espressione e l‟estroversione;
- consentono il movimento e l‟uso della voce;
- consentono la riproduzione di molte delle sonorità dell‟ambiente;

nella relazione:
- fanno vivere le sonorità in modo attivo;
- favoriscono la vicinanza fisica (strumento-persona; persona-persona);
- consentono la costruzione di un contesto del „come se‟;
- favoriscono l‟espressione di bisogni primari (angosce, desideri...);
- consentono di vivere attivamente il proprio spazio-tempo.

Fra essi si annoverano più comunemente:


- piastre sonore di legno: contralto, soprano, basso, contrabbasso;
- piastre sonore di metallo: contralto, soprano, basso;
- metallofoni diatonici, cromatici;
- xilofoni diatonici, cromatici;
- glockenspiel;
- salteri;
- timpani;
- tamburelli, tamburelli baschi;
- bongos;
- piatti oscillanti e non;
- corone di campanelli;
- sonagli;
- piattini;
- sistri;
- triangoli;
- legnetti;
- nacchere;
- blocchi sonori di legno;
- guïro;
- blocchi templari;
- maracas e tubi a scuotimento;
- ..........

Rimandiamo all‟ottimo volume di GIOVANNI PIAZZA, Musica a scuola con lo strumenta-


rio Orff, la descrizione di svariate esperienze possibili con tali strumenti.

Il pianoforte

LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 50


In MT molto utilizzato è il pianoforte, specialmente quello a coda. Questo strumento è alla
base di fondamentali scuole di pensiero musicoterapico. Viene utilizzato:
- per l‟interazione diretta e ravvicinata con il paziente (il quale sta seduto a fianco del
terapista suonando e cantando con lui);
- unito con altri strumenti musicali (tipo Orff, Sonor, Honsui per la terapia): situazio-
ne in cui il terapista lavora con il piano ed un coterapista con i pazienti;
- sfruttando il piano armonico superiore come base d‟appoggio per il paziente (gene-
ralmente ipoacusico) che ne percepisce con il corpo le vibrazioni.
Il pianoforte, è utile ricordarlo, copre, in pratica, tutta la gamma degli strumenti mu-
sicali e dell‟udibile, se si considerano anche i suoni armonici associati (l‟udito va dai 15 ai
20.000 Hz; il pianoforte, senza gli armonici, va dai 27,5 ai 4.186 Hz - v. Tabella 2).

Tabella 2. Le 88 frequenze (tasti) di un pianoforte (in Hertz)


LA SIb SI DO REb RE MIb MI FA SOLb SOL LAb
LA# DO# RE# FA# SOL#
27.50 29.14 30.87 32.70 34.65 36.71 38.89 41.20 43.65 46.25 49.00 51.91
55.00 58.27 61.74 65.41 69.30 73.42 77.78 82.41 87.31 92.50 98.00 103.83
110.00 116.54 123.47 130.81 138.59 146.83 155.56 164.81 174.61 185.00 196.00 207.65
220.00 233.08 246.94 261.63 277.18 293.66 311.13 329.63 349.23 369.99 392.00 415.30
440.00 466.16 493.88 523.25 554.37 587.33 622.25 659.26 698.46 739.99 783.99 830.61
880.00 932.33 987.77 1046.50 1108.73 1174.66 1244.51 1318.51 1396.91 1479.98 1567.98 1661.22
1760.00 1864.66 1975.53 2093.00 2217.46 2349.32 2489.02 2637.02 2793.83 2959.96 3135.96 3322.44
3520.00 3729.31 3951.07 4186.01

Gli strumenti popolari


Altri strumenti di origine popolare possono essere immessi per l‟adesione al contesto tra-
dizionale locale e per la facilitazione dell‟impostazione relazionale.
Gli strumenti popolari rimandano anche a ciò che noi chiamiamo „identità sonora‟ o
ISO. Rolando O. Benenzon individuò e perfezionò tale concetto molto diffusamente, fino a
farlo diventare un modello interpretativo universalmente riconosciuto (cfr. par. La Musico-
terapia). Come ampiamente ribadito, l‟ISO fa riferimento: all‟universalità di alcuni suoni (I-
SO UNIVERSALE: acqua, battito cardiaco, fuoco, suoni della natura), all‟imprinting sonoro (ISO
GESTALTICO: particolare approccio di ciascun individuo con il suono), allo scambio sonoro
con l‟ambiente circostante e con l‟Altro (ISO COMPLEMENTARE), all‟interazione e
all‟appartenenza alle sonorità di un gruppo o un‟etnia (ISO GRUPPALE).

Gli strumenti impropri


Gli strumenti musicali sono oggetti specificamente creati per la produzione di musica e
per la comunicazione sonora. Ma non solo, e non necessariamente, con essi è possibile
produrre qualcosa di musicale. Possiamo, ad esempio, produrre un ritmo con qualunque
oggetto a disposizione. Un po‟ meno possiamo con essi produrre una melodia. Ma se la
musica è organizzazione delle sonorità, e se tali sonorità possono provenire anche dagli
oggetti circostanti, allora si può produrre musica e comunicazione sonora in maniera an-
che molto semplice.
Tuttavia non si deve scivolare nella facile deduzione che per fare musicoterapia non
sia necessario avere a disposizione strumentari particolari. Lo strumento musicale per la
terapia, oltre a produrre sonorità definite, è anche oggetto di investimento affettivo, e,

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quindi, va raccomandata di contro la più ampia disponibilità di strumenti musicali
all‟interno della stanza di MT.
L‟integrazione con strumenti folkloristici, autocostruiti, provenienti e adattati
dall‟ambiente, va intesa come ampliamento delle possibilità creative nella ricerca delle so-
norità. Si possono ricavare strumenti impropri, ad esempio, dalle SUPERFICI di tavoli, fine-
stre, sedie, ante di armadi; bacchette da schiumarole, mestoli, spolverini, penne, posate.
Oppure dalle CAVITÀ: secchi e cestini, barattoli, pentole, scatoli, bicchieri di carta, scatole
metalliche di biscotti. Inoltre, coperchi, grattugie, chitarre per pasta, coperchi di penne,
pettini, spazzolini, corde elastiche da bagagliaio, mollette per i panni, noccioline, pacchi di
pasta, e tanti altri oggetti, possono essere utilizzati senza difficoltà e con qualche elemento
coreografico aggiuntivo di creatività per completare lo strumentario musicale di MT.
I principi sopra indicati di cavità e superficie sono stati suggeriti e analizzati ottima-
mente da Schaeffner [v. bibl.]. Qualunque strumento musicale (anche quelli autocostruiti)
rispecchia almeno una di queste due caratteristiche fondamentali: la cavità permette la ri-
sonanza e l‟amplificazione del suono, la superficie permette la vibrazione dell‟intero corpo
dello strumento.

Le sonorità dell’ambiente
L‟ambiente circostante fornisce di per sé molte sonorità quasi sempre disorganizzate: traf-
fico, richiami, campanelli, strilli e urla, porte che si aprono o sbattono, il vento che soffia
attraverso gli infissi, lo starnuto, la tosse, il singhiozzo, la pioggia, il tuono, l‟acqua che
scorre, il sospiro, la risata. Tutte sonorità che è possibile in qualche modo organizzare con
registrazioni, imitazioni vocali o strumentali. In questo modo è possibile utilizzare anche
queste fonti come strumenti, in senso lato s‟intende, che possono fornire spunti preziosi
per l‟integrazione delle sonorità in terapia. È possibile, inoltre, recuperare sonorità anche
dal patrimonio individuale del paziente.
A puro titolo di elencazione di queste ultime possibili sonorità da poter recuperare,
voglio suggerire appresso alcuni fattori di condizionamento sonoro che sono frutto di un
mio particolare lavoro ad integrazione di quello già compiuto da Benenzon nel suo Manua-
le di musicoterapia [v. bibl.]. Qui il termine „condizionamento‟ non va inteso nell‟accezione
negativa con il quale viene normalmente utilizzato, bensì in un senso neutrale sospensivo
di ogni giudizio di valore.

I fattori del condizionamento sonoro


FATTORI UNIVERSALI
. prenatali (battito cardiaco, rumori intestinali, voce della madre)
. silenzio
. suoni universali (acqua, fuoco, foglie, vento, tuono, pioggia)
FATTORI CULTURALI
. folklore (ninne-nanne, balli, lavoro, celebrazioni, etc.)
. sonorità dei dialetti
. circolazione musicale e ceto di appartenenza
. musica mass-mediata
. discoteche
. ritmi e suoni culturalmente condivisi, stili musicali

LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 52


. spot pubblicitari
. regole sociali attraverso la musica (il mito)
. la sonorità del proprio nome (suono per l‟identità)
. la sonorità di parole ricorrenti nei rapporti interpersonali
. le sonorità di massa (stadio, concerti, cortei, inni, marce, sigle, etc.)
. ricerca transculturale della sonorità del linguaggio (poesia, canzoni, testi teatrali,
prosa)
. capacità di scelta dei generi musicali
. livello di acculturazione musicale, musicologica e critica
. impressionismo e/o espressionismo delle sonorità agite
. modi di appropriazione del musicale (ascolto attivo, ascolto passivo)
FATTORI FISIOLOGICI E DA RUMORE
. allucinazioni acustiche (memoria, sogno, passato sonoro)
. sensory deprivation (fischi alle orecchie per eccessivo silenzio, affettività verso i ru-
mori e i pieni sonori)
. capacità di discriminazione uditiva (direzione, fonte, intensità, timbro, altezza)
. effetti elettronici sulle sonorità (drogaggio)
. sonorità della propria voce (inflessione volontaria e involontaria)
. traffico (inquinamento acustico)
. livelli di sordità
FATTORI INTERATTIVI
. capacità di produzione di suoni („esserci‟)
. capacità di riproduzione (imitazione, „orecchio‟ musicale)
. scambio di sonorità con l‟ambiente familiare (appartenenza)
. scambio di sonorità con l‟ambiente lavorativo (essere per)
. codici acustici (campanello, bussare alla porta - suoni „per altro‟)
. discriminazione fra codici e suoni (linguaggio, capacità di ri-conoscere le sonorità
del verbale)
. capacità di decodifica non verbale
. simbolizzazione degli strumenti musicali (traslazione del corpo e/o dei fattori emo-
tivi e affettivi sugli strumenti)
FATTORI EMOTIVI
. suoni per esprimersi (musica per... commuoversi, piangere, ridere, etc.)
. il gioco con le sonorità
. espressioni sonore di innamoramento
. suoni per volare con la fantasia (estraniamento)
. suoni per l‟estasi
. suoni e ritmi per la trance
. suoni per la paura
. suoni per l‟enfasi emotiva (v. colonne sonore)

Tale elenco, sebbene meditato, non vuole essere assolutamente esaustivo di tutti i
possibili fattori sonori condizionanti, bensì intende fornire una panoramica che testimoni
l‟ampiezza del campo sonoro esperibile all‟interno di un‟interazione sonora tra persone.

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La voce e la complessità della comunicazione
Lo strumento forse più complesso e articolato di tutti è indubbiamente la voce umana.
Questa non è affatto uno strumento „secondario‟. La voce può a buona ragione essere con-
siderata un‟eccezione alla definizione di oggetto costruito esclusivamente per la musica.
Al suo apparire, per l‟orecchio umano, tutti gli altri strumenti vanno in sottofondo,
sia che la voce appaia come solista, sia che intervenga in un coro discreto, e va quindi con-
siderata come strumento prevalentemente „leader‟.
Distinguiamo in essa la vocalità e la verbalità, ossia la sonorità dell‟emissione vocale
e i suoi significanti logico-semantici. È molto importante distinguerne i due aspetti. La so-
norità ha a che vedere con l‟emotività; la verbalità con la razionalità. La complessità che lo
strumento voce pone in essere all‟interno della comunicazione è, per questa ragione, di
un‟evidenza lapalissiana.
In MT la vocalità ha un significato centrale, dal momento che ad essa si fa riferimento
in numerose tecniche di relazione sonora (drammatizzazione, richiamo, canto, imitazione,
rispecchiamento sonoro, etc.).
Ma con la voce non si comunica solamente con l‟altro da sé. Un classico koan della re-
ligione Zen recita „se due mani che si urtano emettono un suono, qual è il suono di una mano so-
la?‟ La metafora sottesa è evidentemente quella della comunicazione.
Bisognerebbe allora che un buon musicoterapista si chiedesse: con quale voce (con
quale vocalità, con quali suoni, con quali strumenti) comunico con me stesso, prima ancora
che con l‟altro? E che cosa mi comunico? È piacevole comunicare, suonare con me stesso?

Il corpo
Altro strumento importante che occorre citare è il nostro corpo. Con il corpo si comunica,
oltre che con la gestualità e con il modo di apparire, con i suoni che con esso si possono
emettere. Infatti, possiamo produrre una quantità impensabile di sonorità con il nostro
corpo, più di quante generalmente non si creda.
A solo titolo di esempio, voglio citare [v. Tabella L‟umanofono‟] quel che è emerso da
un‟attivazione proposta in un setting di MT in un centro contro le Dipendenze [R. DE MI-
CHELE, R. MATTO, Ser.T. 50 ASL Napoli 1, 1999]. Si trattava di creare con il corpo, voce
compresa, quanti più suoni possibile a turno e in cerchio, riproducendoli dal vivo. Ne è
uscito fuori un divertente gioco da cui è scaturito un elenco di circa 130 sonorità corporali
che abbiamo voluto chiamare l‟‟Umanofono‟.
Li abbiamo successivamente suddivisi in: 1. Suoni di TESTA; 2. Suoni di TRONCO e
con ARTI SUPERIORI; 3. Suoni di BACINO e con ARTI INFERIORI.

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Entrando nella stanza di MT
In un laboratorio (setting) di MT, per quanto detto fin qui, occorre fare in modo:
- che vi siano strumenti di tutte le dimensioni;
- che vi siano strumenti di varie tipologie: ritmici, melodici, armonici;
- che siano di diverso materiale (legno, metallo, pelle);
- che coprano il più ampio spettro di frequenze;
- che siano ricchi dal punto di vista timbrico;
- che appartengano ad uno strumentario per la terapia o per la didattica, e, comunque,
siano di buona fattura;
- che siano di uso semplice ed intuibile;
- che siano numerosi (e accoppiabili, quando possibile - ad es. 2 triangoli, 2 coppie di
maracas, 2 coppie di legnetti, 2 tamburelli, ecc., per favorire un eventuale dialogo di
coppia);
- che quelli melodici siano ben accordati tra loro (ad es.: è opportuno scegliere le serie di
piastre su base cromatica, naturale o pentatonica [in base alle capacità del/i pazien-
te/i]; o magari in varie ottave, ma sulla stessa serie di note);
- che siano selezionati in funzione dei pazienti (tipo di patologia, età, o altro);
- che vi siano mazzuoli adeguati, leggeri ed in numero più che sufficiente;
- che strumenti e mazzuoli non siano ragionevolmente pericolosi (non appuntiti, non af-
filati, non spigolosi, non fragili, non lesionati, non ingeribili, non di vetro).

Il problema dei materiali da usare. Consigli e precauzioni


Qualora ci si intenda avvalere di strumentini autocostruiti, si ricordino queste fondamen-
tali norme, alcune delle quali, peraltro, già ricordate sopra:
- non utilizzare mai materiali pericolosi (vetro, piccole biglie, monete) per non incorrere
in spiacevoli incidenti, come la rottura di vetri, l‟ingestione di piccoli oggetti, le sci-
volate accidentali;
- non utilizzare mai materiali molto pesanti;
- negli strumenti a corda cercare di evitare le corde metalliche (meglio utilizzare quelle
di nylon);
- meglio evitare gli strumentini troppo fragili (ad es.: il riso nel bicchiere di plastica),
questo per il rischio di far distrarre inutilmente il paziente in caso di rottura;
- non costruire strumenti troppo complessi, sia dal punto di vista dei materiali che da
quello della competenza musicale: questo per non scoraggiare eccessivamente le
possibilità del paziente.

La percezione e le risposte
Sebbene il problema della percezione non sia un argomento di stretta competenza del mu-
sicoterapista, tuttavia occorre fornire alcuni elementi che si trovano, per così dire, al confi-
ne con le altre discipline, quali quella medica e quella psicologica.
La percezione del ritmo, dell‟intensità, del timbro dell‟altezza e di tutte quelle carat-
teristiche sonore proprie di una esecuzione vanno individuate in questa sede, per poi esse-
re trattate ed escusse in altra.
Il ritmo è una di quelle caratteristiche dell‟esecuzione che, nella sua immediatezza, la
rende comunicativa ed interagibile. Esso è in pratica un messaggio del tipo: „Io sono qui,

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se vuoi, puoi venire con me, basta assecondarmi‟. È l‟immediato termometro rilevatore
della capacità comunicativa di un individuo (all‟interno di un setting di MT, naturalmen-
te).
La percezione di un ritmo da parte del recettore può, secondo PAUL FRAISSE [v. bibl.],
generare vari livelli di risposta: Percettiva, Motoria, Emotiva.
La risposta percettiva indica:
- capacità di discriminazione delle „forme‟ sonore;
- riconoscimento del messaggio sonoro in quanto tale.
La risposta motoria denota:
- una sincronizzazione senso-motoria (con movimento di piedi, mani, testa o con oscil-
lazioni del corpo: dondolio.
La risposta affettiva indica:
- capacità di riproduzione delle „forme‟ sonore (imitazione);
- mantenimento delle forme (identificazione);
- capacità di variazione e gioco (creatività).

Il timbro, per la sua caratteristica qualitativa, provvede a fornire maggiormente indi-


cazioni sul temperamento della persona che li produce e li sceglie. Analogamente, a livello
di percezione, induce una decodifica non solo di tipo semantico, ma soprattutto di tipo
emotivo. Vi possono essere sonorità dolci, aspre, profonde, secche, leggere, dure e così via.
L‟altezza dei suoni, in chi percepisce, può indurre vari stati reattivi, a seconda dei rit-
mi, dei timbri, dell‟intensità ad essa associati. Suoni acuti possono offrire sensazioni infan-
tili o movimenti leggeri, laddove suoni gravi possono generare sensi di panico o, ad esem-
pio, spingere verso movimenti primitivi.
L‟intensità del suono – ossia il „volume‟, la forza – ci fornisce notizie sullo stato emo-
tivo e di tensione nel „qui ed ora‟ dell‟individuo .A livello percettivo l‟intensità alta delle
sonorità produce generalmente fastidio, legato sia all‟eventuale superamento della soglia
acustica del dolore, sia al fastidio di non poter entrare nella comunicazione. Viceversa, chi
produce a livelli alti di intensità non sempre si rende conto del fastidio che provoca in chi
gli è intorno, denotando, quindi, una scarsa capacità ad ascoltare l‟altro.

Bolle di suoni. Ancora sull’intensità sonora


Nel corso della pratica clinica, ci si può venire spesso a trovare in situazioni critiche relati-
ve all‟intensità delle produzioni sonore, sia in terapie con singoli pazienti che in gruppi. Il
terapista esperto conosce bene la problematica relativa alle intensità e a alla decodifica dei
modi di comunicare con gli strumenti della terapia. Produzioni sonore che si trovano ai
limiti della sofferenza acustica, come dall‟altro lato situazioni di intensità „eccessivamente‟
discrete, portano spesso a decodifiche estreme: aggressività, sfogo, chiusura, timidezza,
autismo, ipoacusie, ADHD, aspetti caratteriali, ecc.
Viceversa, il problema della decodifica di tali comportamenti - mai univoca - mostra
a volte una soluzione semplice, altre volte più complessa.
Molto comodo e semplificante, a questo proposito, può rivelarsi il concetto che qui
ufficialmente introduco di „braccio sonoro‟.
Nella comunicazione verbale, l‟intensità sonora media della nostra voce viene impo-
stata generalmente in maniera tale da coprire la distanza minima vitale fra gli individui in

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relazione fra loro, quella di un braccio (60-120 cm.). Analogamente potremmo definire il
„braccio sonoro‟ come la distanza fisica in cui l‟intensità dell‟agito sonoro è utile a mettersi
in comunicazione con l‟individuo prossimo. Il braccio sonoro, quindi, non è qui inteso co-
me una distanza assoluta o media (non misurabile, quindi), ma, anzi, relativa alla distanza
dell‟altro ed in funzione di essa.
Al di là e al di qua di questa distanza le sonorità potremmo definirle come forti o
come deboli, e, quindi, anch‟esse in maniera relativa.
Ora immaginiamo di ruotare con le braccia aperte tutt‟intorno a noi: tale sfera imma-
giniamola come spazio minimo vitale di cui ciascuno di noi ha bisogno per sentirsi a pro-
prio agio, senza la sensazione di essere invaso. Questa sfera, da un punto di vista acustico,
porta naturalmente ad un secondo concetto: quello di „bolla sonora‟, inteso come lo spazio
discriminante fra l‟interno e l‟intorno sonoro di un individuo, posto al suo centro, in relazio-
ne all‟individuo prossimo. Anche il volume di questo spazio non è individuabile in manie-
ra assoluta, ma in relazione all‟altro.
Un‟efficace comunicazione sonora può avvenire solo in presenza di una membrana
morbida di tale bolla (associata alla morbidità del ricevente, ovviamente), in cui la rigidità
venga misurata in base alla modulazione delle intensità, intesa come flusso sonoro per-
pendicolare a tale bolla che fonda un processo comunicazionale fra soggetti diversi. Men-
tre, in presenza di una rigidità di tale membrana, intesa come intensità sonora statica e
monotona, si impediscono tali flussi venendosi ad instaurare un processo solo interno, o
un processo solo di superficie, esterno (tautologico e rinforzante la chiusura), a seconda
delle intensità in gioco nel qui ed ora della comunicazione.
Immaginiamo subito come tale concetto possa essere sviluppato ed esteso al campo
transculturale nella decodifica dei fenomeni di trance, o in quelli del condizionamento so-
noro negli ambienti sociali ad alta intensità acustica.

Uso comunicazionale degli strumenti


La comunicazione che si instaura in un setting di musicoterapia necessita di guardare agli
strumenti musicali a disposizione in una veste comunicazionale, che imprime loro un mo-
do di „essere usati‟ funzionale ad almeno due livelli di comunicazione: uno musicale,
l‟altro relazionale. Si introduce qui, in sintesi, ad una visione dinamica dell‟oggetto-
strumento musicale che per il musicoterapista è alla base del porsi in relazione con l‟altro.
Innanzitutto è necessario porsi una domanda cruciale: “Può un gesto sonoro, da solo e
in quanto tale, essere definito «sano» o «malato»?”
Un suono è un suono, e nulla al suo interno può darci traccia in assoluto dello stato
di salute dell‟individuo che lo ha prodotto, se non attraverso l‟analisi di più gesti sonori.
Ma, forse, neanche allora. Insomma, non si può riconoscere la patologia a partire da una
semplice registrazione delle sonorità prodotte dal paziente.
Bisogna, allora, immediatamente dire che il gesto sonoro non può in alcun modo essere
decontestualizzato dallo stato comportamentale e comunicativo più generale della persona con la
quale si interagisce.
Gli strumenti musicali, inoltre, possono essere usati, dal punto di vista della comuni-
cazione, con varie modalità, e ciascuna di queste non singolarmente valutabile.
Se è vero che un suono è semplicemente un suono, e che dal suo semplice manife-
starsi non è immediatamente diagnosticabile uno stato di patologia, allora è anche vero

LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 58


che esistono e vanno valutati anche degli altri elementi i quali, associati alla produzione
sonora ci aiutano ad inquadrare il contesto comunicazionale in cui si colloca l‟evento sono-
ro. Tali aspetti non sono a loro volta a sé stanti, ma sono espressione dell‟unità fondamen-
tale della persona (v. olismo).
Il porsi, il relazionarsi con l‟oggetto sonoro e con l‟oggetto-suono, questi sono ele-
menti che concorrono a definire in quale modo si esprime l‟evento comunicazionale.
L‟uso interattivo dello strumento emerge, ad esempio, da come la persona tocca lo
strumento, o da come lo suona, o dall‟intensità sonora, o da quante mani utilizza, dall‟uso
della vocalità e della verbalizzazione, dalla postura, dallo sguardo, dalla mimica facciale
e/o del corpo, ...e così via. I modi „non-verbali‟ della comunicazione, insomma, non pos-
sono non essere contestualmente valutati per meglio comprendere gli aspetti della rela-
zione comunicativa.

La „modalità oggettuale‟
Uno dei „modi‟ di approcciare lo strumento è quello del come il paziente afferra e
suona lo strumento. Se, cioè, lo prende per il verso proprio e se lo suona propriamente. Ad
esempio, cercare di suonare un tamburello percuotendo la membrana con le unghie è un
modo improprio di usare gli strumenti, come ancora il suonare il triangolo con un maz-
zuolo felpato.
A prescindere dalla creatività o dall‟inesperienza nell‟uso degli strumenti che queste
modalità possono far trasparire o ne possono essere connotate, usiamo definire il modo di
approcciare lo strumento come „modalità oggettuale‟ del dato paziente verso lo strumento.

I ‘vertici’ della lettura e dell’osservazione: cosa osservare? cosa riportare?


Il riporto, ancorché scritto, degli eventi sonori in una seduta può essere un‟ardua impresa
che vale la pena incominciare ad affrontare.
Innanzitutto, devo rimarcare che in questa sede intendo mettere a fuoco i soli aspetti
legati agli eventi sonori, lasciando fuori tutti quelli legati all‟interpretazione emotiva che li
sottendono.
Il ruolo dell‟osservatore o, meglio, la funzione dell‟osservazione, deve essere riserva-
to a persone che siano in grado di analizzare gli eventi sonori da un punto di vista musico-
terapico, secondo vertici di lettura previamente definiti e concordati con il terapista, ed in
funzione, prevalentemente, degli obiettivi di seduta.
Ci sono vari ordini di problemi da risolvere in un riporto del „qui ed ora‟ relativo agli
eventi sonori di una seduta, quali, ad esempio:
1. Chi sta suonando?
2. Quando si incomincia e quando si termina?
3. Verso chi si suona?
4. Come ci si esprime sia sonoramente (dinamica; ad es.: pp, p, mf, f, ff, o andamento
grafico), che negli altri aspetti della comunicazione non verbale?
5. Dove si suona (disposizione spaziale)?
6. Quali strumenti vengono usati (e quali non usati, eventualmente)?
7. Cosa si suona (ritmi, melodie, armonie; ma anche aritmie, rumori, dissonanze)?
8. Quanti stanno suonando insieme e in quali momenti (contemporaneità delle pro-
duzioni)?

LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 59


9. Quante sono le fasi che la produzione sonora di quella data seduta ha attraversato?

1. Chi sta suonando?


È opportuno, all‟interno di un riporto annotare la persona che sta producendo, indi-
candola magari con una lettera iniziale, o anche solo una lettera fra quelle iniziali
dell‟alfabeto (maiuscole), avendo cura di riservare la stessa lettera sempre per la stessa
persona (ricordarsi che nei riporti destinati ad esposizioni al pubblico non vanno indicati i
nomi dei pazienti, se non con dei nomi inventati o, anche, con le sole iniziali). Da evitare il
raddoppio delle iniziali (ad es.: A per Andrea, ma anche per Antonio), o l‟uso della lettera
T (riservata, generalmente al terapista).

2. Quando si incomincia e quando si termina?


È buona regola annotare l‟istante di inizio di ogni data azione sonora per varie ragio-
ni, e fra queste:
- non si può mai dedurre la durata di una produzione al momento del suo esordio, se
non annotandone l‟inizio e la fine, questo sia per la produzione individuale che per quella
di gruppo, che per quella dell‟intera seduta;
- solo appuntando l‟inizio di ogni produzione si possono rilevare le risposte (più o
meno adeguate) degli altri e le eventuali interazioni prima-dopo-insieme;
- annotando la durata delle singole produzioni è più semplice compiere operazioni
„trasversali‟ di confronto fra sedute diverse.

3. Verso chi si suona?


Se il paziente suona in risposta ad un‟altra produzione, ovvero inizia la propria „pen-
sando‟ ad un‟altra persona del setting, questo va annotato. Anche se il paziente produce
senza rivolgersi ad alcuno in particolare, ciò ha la sua importanza ai fini di una valutazio-
ne in termini di comunicazione.

4. Come ci si esprime sia sonoramente (dinamica; ad es.: pp, p, mf, f, ff, o andamento grafico), che
negli altri aspetti della comunicazione non verbale?
Questa è la parte più descrittiva fra i vertici qui indicati. In esso rientrano la modalità
oggettuale, l‟approccio con il corpo allo strumento, le sonorità scelte, la capacità di speri-
mentare e sperimentarsi, la dinamica sonora, la capacità di proposta e di risposta sonore.
Anche altri „vertici‟ devono finire sotto tiro in questo item, come quelli relativi ad al-
tri aspetti della comunicazione non verbale, per quanto detto all‟inizio nella premessa di
questa trattazione. Tali gesti non verbali, infatti, generano quel contesto in cui la patologia
si definisce e caratterizza, e dei quali vanno monitorizzati tutti i cambiamenti.
Di questi gesti non verbali voglio qui fornire un elenco puramente indicativo:
. Postura;
. Orientamento reciproco, mobilità e gestione dello spazio;
. Sguardo, mimica facciale;
. Mimica corporea, drammatizzazione;
. Ridondanze comportamentali del singolo e/o del gruppo;
. Rituali di gruppo;
. Ossessività gestuali dei singoli;

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. Alleanze;
. Ruoli assunti.

5. Dove si suona (disposizione spaziale)?


L‟uso dello spazio a disposizione, i movimenti, vicino a (o lontano da) chi.
Quest‟osservazione andrebbe meglio accompagnata con un tipo di riporto grafico-spaziale
delle varie situazioni che si vengono a creare durante e dopo gli spostamenti nel setting.

6. Quali strumenti vengono usati (e quali non usati, eventualmente)?


Andrebbero annotati non solo gli strumenti scelti, ma anche quelli (ove possibile,
magari a fine seduta) non usati. Da rilevare anche gli strumenti contesi, o anche scambiati,
fra i presenti.

7. Cosa si suona (ritmi, melodie, armonie; ma anche aritmie, rumori, dissonanze)?


Si avrà cura di annotare tutte le più importanti cellule, sia ritmiche che melodiche,
emerse. Gli elementi armonici sono più rari, perché necessitano di maggiore competenza,
ma non sono da escludere.

8. Quanti stanno suonando insieme e in quali momenti (contemporaneità delle produzioni)?


L‟elemento più complesso da riportare è decisamente questo. Il difficile sta nel saper
cogliere contemporaneamente tutte i più importanti momenti di produzione collettiva,
riuscendo a tenere sotto osservazione più persone che producono, per quanto tempo e con
quali modalità. Ciò presuppone una buona capacità di osservazione e di esperienza musi-
coterapica.

9. Quante sono le fasi che la produzione sonora di quella data seduta ha attraversato?
Una buona norma di osservazione è il riporto per „fasi‟ delle sedute. Ossia la capacità
di coglierne i momenti salienti in unità temporalmente definite e unitariamente caratteriz-
zate da un determinato andamento sonoro o da episodi specifici che siano dotati di un ini-
zio e di una fine.

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Come riportare? I segni, il riporto grafico
Un riporto degli eventi sonori di una seduta deve avere determinate caratteristiche. In-
nanzitutto deve poter esprimere, in maniera quanto più dettagliata, l‟andamento di ciò che
avviene in una seduta. Il dettaglio non deve riguardare tanto l‟interpretazione del gesto
(cosa che spetta al terapista, non all‟osservatore), quanto lo specifico della spazio-
temporalità, delle modalità, delle comunicazioni non verbali in genere, secondo vertici
stabiliti preventivamente.
È opportuno schematizzare gli eventi secondo modalità che possono anche essere in-
dividuali e soggettive, ma che, in ogni caso, assolvano ai punti indicati in precedenza.
La schematizzazione può procedere anche per simboli stilizzati, il che obbedisce sia
alla necessità di ridurre il tempo destinato alla loro descrizione ortografica, sia ad una faci-
litazione della successiva lettura operabile per immagini.

L’ascolto: rapporto segnale/rumore


Ascoltare l‟altro vuol dire in qualche modo sintonizzarsi sulla sua produzione sonora pro-
ducendo risposte adeguate allo stimolo. L‟orecchio è, istante per istante, bombardato da
numerosi stimoli. Se dovesse prestare a tutti la stessa importanza, l‟individuo si trovereb-
be presto nella impossibilità materiale di poter rispondere adeguatamente ad essi. Per no-
stra fortuna l‟orecchio possiede una sua capacità di discriminazione e di relativa selezione
della fonte sonora da ascoltare. „Sentire‟ ed „ascoltare‟ acquisiscono così un diverso signifi-
cato, l'uno contenitivo dell'altro. L‟ascolto è la capacità di selezionare ciò che si sente (se-
gnale). La rimanente parte di ciò che si sente vogliamo qui definirla, anche se si trattasse di
ottima musica, come „rumore‟, cioè come qualcosa che può dar fastidio alla ricezione del
segnale a cui si vorrebbe prestare attenzione.
Più alto è il rumore, minore è la capacità di selezione del segnale. Si parlerà dunque
di rapporto segnale/rumore (s/n: signal/noise): cattivo se il segnale è scarsamente interpretabile
per effetto del rumore, e buono se, invece, il segnale è interpretabile nonostante il rumore.
I musicisti, si deve aggiungere, sono particolarmente allenati alla capacità di distin-
zione delle fonti sonore, riuscendo più di altri a riconoscere fraseggi di singoli strumenti
musicali anche all‟interno di esecuzioni complesse. I non musicisti non si cruccino: non è
mai capitato loro di seguire il discorso di una persona posta di fronte, anche in presenza di
forti rumori o fra altra gente vociante? La discriminazione della fonte non segue solo i ca-
nali della potenza sonora, ma anche quella, ad esempio, della discriminazione timbrica;
per questo l‟orecchio può sintonizzarsi anche solo sulla produzione di quel particolare
timbro (di voce o di strumento) ascoltato.

Un cenno sull’analisi dell’informazione sonora


Lo studioso di analisi dell‟informazione HAROLD D. LASSWELL nel 1948 introdusse la regola
delle 5W (who = chi, what = cosa, when = quando, where = dove, why = perché) la quale a-
veva lo scopo di indicare al giornalista la strada migliore per poter garantire la completez-
za dell‟informazione. Questa regola rappresenta ancor oggi per il giornalista un punto di
riferimento per la redazione di un articolo.
In realtà, nel riporto dei dati in una lettura del setting di musicoterapia suggerisco che
ci si può avvalere di una regola simile, con l‟aggiunta di altre 2W (whom to = a chi, which
instrument = quale strumento).

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Personalmente, mi avvalgo da anni di una mia scheda personale (o „delle 7W‟) già
presentata al I Congresso Nazionale di MT (Ercolano, 4-5 giugno 1994).90
Si tratta, voglio sottolinearlo, di una scheda personale, ancora migliorabile, che non
vuole assolutamente offrire una modalità definitiva di riporto del „qui ed ora‟, ma che ha il
solo scopo di sintetizzare e ricordare al terapista, da parte di un osservatore compilante,
gli elementi più importanti emersi in seduta.
L‟analisi degli eventi sonori, oltre che nel „qui ed ora‟ necessita dell‟altra osservazio-
ne, quella del/dei terapista/i, con il cui contributo si può giungere ad un riporto degli e-
lementi comunicazionali nel loro complesso.

90
La „scheda delle 7W‟, è riportata nel volume di G. di Franco e R. De Michele (a cura di) Musicoterapia in Ita-
lia, pg. 185, Idelson, Napoli, 1995.

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CAPITOLO 6
BREVE STORIA DELLA MUSICOTERAPIA IN ITALIA 91
Gli albori
La storia della musicoterapia in Italia cominciò negli anni settanta con la prima occa-
sione per un confronto nazionale alla CONFERENZA DI BOLOGNA nel 1973, che diede
l‟impulso per la nascita, nel 1975, dell‟A.I.S.MT., – Ass. Ital. Studi di Musicoterapia, Pres.
GIOVANNA MUTTI, Vicepres. GIANLUIGI DI FRANCO –, prima associazione di musicoterapia
a carattere nazionale. Fu l‟A.I.S.MT. ad organizzare, nel 1985, il Congresso Mondiale di
Musicoterapia a Genova, che vide la nascita della Federazione Mondiale di Musicoterapia
(WFMT).
Intanto, NORA CERVI – direttrice nel 1981 del Corso di Musica del C.E.P. (Centro di
Educazione Permanente) Pro Civitate Christiana di Assisi – inaugurò, con un gruppo di col-
laboratori e come esperimento, il primo CORSO DI FORMAZIONE IN MUSICOTERAPIA.
Fu durante questi primi anni che il dibattito sugli aspetti di multidisciplinarità della
musicoterapia divenne molto caldo, sull‟approccio naïf, sulla „componente essenziale‟,
piuttosto che sul „modello‟ di riferimento più appropriato o sull'‟ambito di applicazione‟.
All‟idea che esistesse una sola „musicoterapia‟, si affiancarono gradatamente durante
il corso degli anni molte altre possibili ed efficaci „musicoterapie‟.
In quegli anni numerosi fattori contribuirono allo sviluppo della disciplina nell'area
della pratica e come in quella della teoria. Da un lato il numero crescente di professionisti
formati cominciò a diffonderla in nuove aree applicative e a renderla nota ad altre catego-
rie professionali con differenti aree di conoscenza, con le quali fu capace di confrontarsi.
Dall'altro fu il più intenso contatto con i suoi rappresentanti in Europa e America che con-
tribuì ad arricchire la conoscenza e i riferimenti teorici, anche grazie all'aumento di testi
tradotti, come gli scritti, le lezioni e le supervisioni di JULIETTE ALVIN, CLAUS BANG, RO-
LANDO O. BENENZON, KENNETH BRUSCIA, LESLIE BUNT, EDITH LECOURT, PAUL NORDOFF &
CLIVE ROBBINS, MARY PRIESTLEY, TONY WIGRAM.
Da evidenziare è l‟enorme sforzo editoriale prodotto dalla casa editrice ISMEZ di
Roma con l‟apporto e lo stimolo di MARINA CARLONI e di GIANLUIGI DI FRANCO.
La musicoterapia divenne una pratica sempre più visibile nel paese e i musicoterapi-
sti cominciarono a presentarla e a farla apprezzare in vari team socio-educativi, riabilitati-
vi e terapeutici.
A questa prima generazione pionieristica italiana, oltre a quelli citati, appartengono
nomi di studiosi e di musicoterapeuti come ROBERTO BELLAVIGNA, GIORDANO BIANCHI, EN-
RICO BRANCA, FLAVIA CAMERA, GIULIA CREMASCHI TROVESI, ROMEO DELLA BELLA, RENATO
DE MICHELE, ELENA DE ROSA, DIANA FACCHINI, DENNIS GAITA, GABRIELLA GIORDANELLA
PERILLI, STEFANIA GUERRA LISI, L. MATTEO LORENZETTI, GERARDO MANAROLO, STEFANO
MARTINI, GIUSEPPA PISTORIO, PIERLUIGI POSTACCHINI, ROLANDO PROIETTI MANCINI, ALFREDO
RAGLIO, PIO ENRICO RICCI BITTI, LILIANA ROSSI PRITONI, FAUSTO RUSSO, MAURO SCARDOVEL-
LI, GINO STEFANI, GIAN LUIGI ZUCCHINI.

91
Le linee storiche sono state qui notevolmente ampliate a partire dal breve profilo storico delineato in
una relazione di FERDINANDO SUVINI, già Vice-Presidente EMTC, alla stessa Confederazione.

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Nel sommovimento causato da tanto sviluppo gli operatori più responsabili avverti-
rono il bisogno di regolamentare la professione per proteggerla contro la proliferazione di
figure improbabili e di difendersi come figure professionali. Le prime associazioni comin-
ciarono a sorgere, anche con obiettivi di promozione culturale della disciplina, per riunire
gruppi di professionisti a livello locale per un maggior confronto all‟interno della discipli-
na il cui riconoscimento ufficiale era per molti il principale obiettivo, figura, quella del
musicoterapista, che spesso doveva essere provvisoriamente contenuta in ruoli professio-
nali più generali o differenti per poterla introdurre nei vari contesti di lavoro.
A valle del I Congresso italiano di Musicoterapia ad Ercolano [1994, ad opera di G. DI
FRANCO E R. DE MICHELE, v. atti raccolti nel loro volume Musicoterapia in Italia, Idelson,
Napoli 1995] le varie Associazioni regionali, la cui importanza era cresciuta considerevol-
mente, decisero di collaborare, sotto la spinta di G. di Franco e T. Wigram, per formare la
CONF.I.A.M. (Confederazione Italiana Associazioni di Musicoterapia, Napoli 1994), con
l‟obiettivo di includere e coordinare le iniziative poste in essere sempre di più in Italia. Ta-
le spinta propositiva della CONF.I.A.M. si è però affievolita nel tempo, lasciando purtroppo
la formazione in Italia ancora priva di un‟unità nei programmi formativi.
Non secondario è stato l‟apporto, dagli anni ‟90, del sito italiano mtonline.it, curato da
PAOLO ALBERTO CANEVA, che ha messo in comunicazione per vari anni il mondo della Mt.
Le iniziative in Italia, però, sono proseguite ugualmente e possono oggi essere rag-
gruppate nelle seguenti aree: Formazione, Informazione e dialogo, Educativa, Clinica e Ricerca.
Nell‟Area della Formazione, è dato positivo che le Scuole di Conservatorio, così come
le Università del Nord, del Centro e del Sud Italia, stanno iniziando ad organizzare Corsi
di Formazione – nel contesto delle loro istituzioni – aprendo così opportunità in forma di
Bienni, Trienni e Master in Musicoterapia.
Informazione e dialogo: sono continuamente promossi convegni, giornate di studio,
conferenze e pubblicazioni a livello nazionale. In questo senso i Congresso italiani di Mu-
sicoterapia assumono particolare importanza. Furono, infatti organizzati ogni due anni, a
partire dal 1994, i Congressi di Ercolano 1994, Portoferraio 1995, Torino 1997, Firenze 1999,
Napoli 2001 (Congresso Europeo dell‟EMTC), Rimini 2003, e via via altri, che hanno con-
sentito un dialogo e un confronto interni sviluppatisi attraverso le varie posizioni e ap-
procci della pratica che andavano affacciandosi sulla scena arricchendo notevolmente la
musicoterapia nel nostro paese. Questi Congressi hanno anche rappresentato un'opportu-
nità per diffondere pubblicazioni provenienti sia dalla scena internazionale sia dalle linee
di pensiero accennate e che andavano prendendo corpo sempre più chiaramente.

La Scuola Napoletana
Con le parole del suo fondatore, GIANLUIGI DI FRANCO – pioniere indiscusso della musico-
terapia italiana, scomparso nel 2005 –, riportiamo il senso dell‟esperienza formativa napo-
letana da lui fondata e portata avanti fino al 2005 e che ha dato origine a innumerevoli e-
sperienze in Italia, non solo nel Sud ma anche a livello nazionale e internazionale.
I brani qui riportati sono stati estrapolati dal volume, edito a sua cura, La Scuola Na-
poletana, un Modello per la Formazione in Musicoterapia, ISFOM, Napoli, 2002, pgg. 7-9.
“(…) In occasione del 9° Congresso Mondiale di Musicoterapia (Washington, Dic. ‟99), è sta-
to fatto un grosso passo avanti dalla comunità internazionale di musicoterapia allorquando sono

LA MUSICA FA BENE – RDM ©2018 Pagina 66


stati celebrati i 5 modelli di riferimento, che costituiscono la base del corpo disciplinare della musi-
coterapia.
(…) Chi non si inquadra direttamente o indirettamente in questi Modelli in maniera dichiara-
ta, può certamente fare cosa buona, ma per essere conosciuto/riconosciuto dalla comunità dovrà ne-
cessariamente con questi confrontarsi.
Ovviamente a questi Modelli, soprattutto negli ultimi venti anni [prima del 2002, ndR],
molti si sono ispirati, alcuni seguendo in maniera precisa gli input originari ed altri modificandoli e
quindi introducendo su quei punti di vista ulteriori chiavi di lettura e accezioni tecniche.
Tutto questo retroterra ha implicato, come sempre succede per delle „nuove discipline‟, la ne-
cessità in aree geografiche diverse di creare punti di riferimento per la informazione e la forma-
zione.
(…) Questo è un po‟ il percorso che è stato fatto a Napoli dal 1986 in poi, a seguito delle espe-
rienze pionieristiche condotte dal sottoscritto a partire dal 1978 sul versante autoesperienziale ed
applicativo, allorquando avendo ricevuto l‟appoggio di Flavia Camera (psicologa) e Fausto Russo
(psichiatra), entrambi con competenze musicali diversificate, è stato creato il C.R.M. (Centro Ricer-
che di Musicoterapia). Tale realtà associativa ha stimolato per tre anni il territorio affinché ci potes-
sero essere delle risposte a conforto di ulteriori progetti ed iniziative. Questa è l‟epoca in cui molti
operatori, incrociati in esperienze internazionali, hanno cominciato a visitare la nostra città per at-
tività finalizzate ad un piano conoscitivo della materia, tra gli altri cito Rolando Benenzon, che ave-
vo incontrato a Parigi nel 1983 in occasione del Congresso Internazionale promosso da Edith Le-
court e con cui ebbi da subito un „feeling‟ positivo.
A seguito di tali iniziative, nel 1989, si è creato un primo gruppo di operatori provenienti da
aree diverse, che hanno reso possibile l‟idea di organizzare un‟attività di formazione, inizialmente
pensata come un anno propedeutico e poi come vera e propria Scuola di Formazione Triennale.”
In questo primo anno “(…) è stato proposto un organigramma didattico con un chiaro ap-
proccio multidisciplinare, che desse importanza ad una finalità di stampo psicopedagogico, ma so-
prattutto ad una prospettiva di tipo terapeutico-riabilitativo. In tal senso, infatti, erano state propo-
ste 4 aree di approfondimento: Area Medica, Psicologica, Musicale e Musicoterapica. In particolare,
dal primo gruppo emersero, e collaborarono poi fattivamente alla definizione del progetto, operatori
che non casualmente oggi fanno ancora parte del corpo didattico della Scuola: RENATO DE MICHELE
(musicista), ELENA DE ROSA (psicologa) e DIANA FACCHINI (musicista, musicologa).”
I tre docenti indicati qui da di Franco erano provenienti ciascuno da tre storie paralle-
le: De Michele, musicista, dal settore della riabilitazione psichiatrica dove operava dal 1983
con attività musicali rivolte ai pazienti; De Rosa da pregresse esperienze canoro musicali
in ambito sanitario dal 1985; Facchini come insegnante di musica in scuole elementari e
medie di Napoli, e dal 1986 con esperienze di musicoterapia verso studenti a rischio.
“La Scuola ha poi maturato dal 1996 una sua autonomia istituzionale, definendosi all‟interno
di una egida istituzionale che è l‟ISFOM (Istituto Formazione Musicoterapisti).
Lo schema didattico di questa Scuola, ormai operante continuativamente dal 1989, si ispira ai
seguenti aspetti base:
• in termini strettamente musicoterapeutici, al modello Benenzon e a tutte le modificazioni dal
sottoscritto veicolate e documentate nelle pubblicazioni relative;
• in termini strettamente epistemologici, alla psicoanalisi freudiana e post-freudiana collegata
anche all‟ipotesi della messa in gioco di sé nella relazione sonoro-musicale, che implica un pro-
cesso conoscitivo delle proprie potenzialità; da tale base si definisce un'apertura alla conoscenza
di altri modelli (in particolare quello sistemico-relazionale e l'approccio junghiano);

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• in termini strettamente musicali, ad un lavoro centralmente focalizzato su capacità improvvisa-
tive nel qui ed ora, massimamente derivate da esperienze/competenze musicali accademiche e
prevalentemente antiaccademiche, estese ad uno strumentario rappresentativo delle varie fami-
glie con una importanza particolare data alla vocalità come mezzo di espressione delle emozioni.
(…) L‟esperienza della crescita è garantita, oggi, da un gruppo „interno‟ storico di operatori
che, provenienti da aree diverse, oltre a conoscere la musicoterapia, la applicano, e da un gruppo „e-
sterno‟ di operatori di livello internazionale che nel tempo ci hanno portato le loro esperienze, parte
dei quali episodicamente, altri in maniera strutturata per un periodo di tempo come Edith Lecourt e
Cheryl Dileo, altri stabilmente dall‟inizio come Rolando O. Benenzon e Tony Wigram.
(…) il processo che ha caratterizzato il gruppo di lavoro dal sottoscritto guidato ha delineato
un vero e proprio Modello Didattico, che si è aperto sempre di più anche verso l‟esterno. In partico-
lare si cita l‟esperienza episodica ma importante del Corso Triennale tenutosi presso l‟A.I.A.S. di
Cosenza fra il ‟96 e il ‟99 (…); tale Corso è stato il primo, e fino ad ora l‟unico, incentrato sui un
bando di concorso per le docenze, aperto a tutte le Associazioni aderenti alla CONFIAM.
(…) tale Modello Didattico è stato ed è alla base del Corso Triennale varato prima sperimen-
talmente, supportato dall‟ISMEZ (Istituto Sviluppo Musicale del Mezzogiorno) e ospitato dal Con-
servatorio „U. Giordano‟ di Foggia, ed oggi riconosciuto dal Ministero dell‟Università e della Ricer-
ca Scientifica con la collaborazione della Facoltà di Medicina. In particolare vorrei in questo caso ci-
tare alcune figure centrali che hanno favorito questo percorso dal punto di vista della sensibilità
umana, culturale e istituzionale; mi riferisco a Marina Carloni, attuale Presidente dell‟ISMEZ, a
Mario Rucci, Direttore del Conservatorio e a Dino De Palma, Coordinatore del Corso.
Negli anni della sua esistenza hanno frequentato la Scuola allievi e musicoterapisti di altri pa-
esi (Germania, Brasile, Inghilterra) per periodi di tirocinio con supervisione in Musicoterapia.
Negli anni hanno frequentato (…) la Scuola musicisti (…) quali: Mario Castiglia, Brunella
Selo (collaborazioni con Roberto De Simone), Antonio Fraioli, (violinista „Spaccanapoli‟), Fausto
Mesolella (chitarrista „Avion Travel‟), Donatella Abignente, Asmara Sasso, Pietro Vitiello
(„Ensemble Vocale di Napoli‟), e altri.
(…) la Scuola è citata nella pubblicazione „Directory of Music Therapy Training Courses
1996 World-wide‟, a cura di D. Erdonmez, WFMT, 1996.”

I primi Corsi di Formazione 92


Corsi collegati alla F.I.M.
 Bari, Corso di Musicoterapia di quattro anni presso l‟Istituto Smaldone
 Monza, Corso di Musicoterapia organizzato dall‟associazione „Musica Prima‟, con
sede presso l‟AIAS
 Napoli, Corso organizzato dalla CIELLEA Minerva s.r.l.
 Bolzano, Corso organizzato dal CESFOR (non iscritto alla F.I.M.)
Corsi collegati alla CONFIAM
 Genova ANFFAS
 Rivarolo (To) ANFFAS
 Bologna CEFIG
 Milano CEMB
 Assisi CEP
 Firenze CETOM

92
È qui riportato l‟intero paragrafo 6.7 della Guida generale alla Musicoterapia, 2002, pg. 268-269, v. bibl.

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 Lecco Coop. „La linea dell‟Arco‟
 Roma Glass-Harmonica
 Saronno IAL-APIM
 Bologna La Musica Interna
 Roma Scuola Artiterapie e Psicoterapie espressive

Corsi collegati all‟AIReM (Registro MT)


 Napoli ISFOM
 Gesualdo (Av) Scuola Triennale di Musicoterapia 93
 Palermo C.R. e S.P.P.

Corso Sperimentale Triennale di Formazione in Musicoterapia


 Foggia ISMEZ Istituto Nazionale per lo Sviluppo Musicale nel Mezzo-
giorno /Onlus Conservatorio Statale di Musica „U. Giordano‟, di Foggia
Questo Corso nel 2003 ha ottenuto dal Ministero per l‟Università e la Ricerca
Scientifica il riconoscimento di Diploma Accademico di I livello, nell‟ambito
delle Nuove Sperimentazioni (v. Riforma dei Conservatori). Il triennio 2000-2003 si
è avvalso della collaborazione della Facoltà di Medicina dell‟Università degli Studi
di Foggia, dell‟Assessorato alla P.I. e alla Cultura e dell‟Amministrazione Provin-
ciale di Foggia.

Le indicazioni sopra riportate sono formulate nell‟intento di fornire un'informazio-


ne macroscopica dei Corsi di Formazione nati e sviluppatisi sotto l‟egida di Istituzioni
„ombrello‟; le informazioni circa i corsi F.I.M. sono state richieste e fornite dal suo presi-
dente Giulia Cremaschi Trovesi; le informazioni relative ai Corsi CONFIAM sono state ri-
chieste agli interessati ma non sono state fornite, pertanto quelle indicate sono state recu-
perate dal sito relativo.
Chiaramente i Corsi sopra indicati non sono esaustivi di una realtà italiana molto
variegata e in parte deregolamentata, nel senso che la formazione in musicoterapia è og-
getto di interesse e posizioni diverse. Sul piano degli Enti Ministeriali preposti non esiste
ancora una regolamentazione definitiva su chi, come e dove la formazione debba essere
fatta e, soprattutto, non è stato ancora definito un profilo professionale per quanti eserci-
tano questa attività, così come in altri paesi europei.
Comunque, a partire dal primo Corso di Foggia, che ottenne nel 2003 il riconosci-
mento di Diploma di Laurea, si è aperta una breccia nel MIUR e da allora si sono potuti
svolgere vari Bienni di Formazione, Master di Alta Formazione, e Corsi Triennali di For-
mazione in Conservatori di Musica di varie città (Pescara, L‟Aquila, Verona, Matera).

Accanto a queste organizzazioni „ufficiali‟ sono sorte tante altre Associazioni, Scuole
e Corsi – alcuni attivi, altri cessati – in tutte le Regioni d‟Italia. Il panorama è davvero va-
sto e ciascuna delle realtà possiede una sua storia particolare, che sarebbe davvero troppo
complicato riportare in questa sede.
Da un calcolo sommario, il numero di musicoterapisti in Italia, al 2018, dovrebbe ag-
girarsi intorno ai seimila operatori, con varia formazione personale e provenienza.

93 Non presente nel riporto originale: è stata aggiunta dall‟Autore.

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Breve storia sui tentativi di riconoscimento della Musicoterapia 94
Continuando a citare Gianluigi di Franco, dello stesso volume [La Scuola Napoletana…,
pgg. 19-21] riportiamo un‟interessante pagina sulla storia dell‟iter per il riconoscimento
della professione e della formazione in musicoterapia.
“Si può dire che da quando la musicoterapia è nata in Italia, e cioè dal 1976 circa, si parla di
riconoscimento della formazione e di un inquadramento relativo delle figure professionali corri-
spondenti.
C‟è bisogno di dire che tale tensione è stata in una prima fase portata avanti in maniera pio-
nieristica, con entusiasmo, ma anche spesso con quei limiti che sono insiti ad un movimento in cre-
scita, che non riesce a definire i margini della sua portata. In altri termini il „chi fa da sé fa per tre‟ è
stato un po‟ la regola iniziale, che però nel tempo non ha dato grossi risultati sul piano generale; da
qui la frammentazione di un „movimento‟ di base sempre cercato e quasi mai trovato.
Affermo ciò anche a fronte dell‟esperienza di Vicepresidente dell‟A.I.S.Mt.”
Ma, non essendoci riconoscimento universitario “(…) gli interessi localistici, quindi, dei
vari „gruppi‟ hanno prevalso sulle componenti originarie sicuramente più collegate all‟interesse e
alla passione profuse all‟inizio.
Poiché la Formazione in musicoterapia in Italia è partita ad opera di realtà prevalentemente a
carattere privato, (…) da una parte [si] spinge in avanti, dall‟altro [si] tende a frenare zavorrando
le naturali inevitabili richieste che sempre di più vengono sollevate da una base, fatta di allievi po-
tenziali operatori di musicoterapia.
Di certo sul piano Regionale alcuni gruppi hanno ottenuto dei risultati o con gli Assessorati
alla Formazione Professionale con la Legge 845/78 (la Scuola del CEMB di Milano e del Ce.To.M.
di Firenze, ad esempio) oppure da un‟altra parte il Corso Sperimentale promosso dall‟ISMEZ (Isti-
tuto Sviluppo Musicale del Mezzogiorno) riconosciuto poi dal Ministero dell‟Università e della Ri-
cerca Scientifica presso il Conservatorio „U. Giordano‟ di Foggia, secondo la normativa 508/99.”
Quest‟ultimo Corso di Foggia fu poi seguito da un altro Triennio (con diploma di
Laurea triennale) e, nel 2008, da un successivo Master di Alta Formazione.
“(…) In altri paesi, dove la musicoterapia come formazione e figura professionale è ricono-
sciuta e inquadrata da svariati anni, quasi sempre l‟istituzione di riferimento è di tipo musicale;
vorrei fare degli esempi in tal senso:
· Dipartimento di Musica dell‟Università di Filadelfia.
· Istituto di Musicologia di Oslo.
· Dipartimento di Musica dell‟Università di Aalborg.
· Guildhall School di Londra.
· Lemmensinstituut di Leuven.
L‟istituzione musicale stabilisce partnership con altri istituti, prevalentemente del campus
universitario, che gestiscono l‟insegnamento di quelle materie di natura non prettamente musicale.
Quindi la figura dell‟operatore di musicoterapia è relativa a qualcuno che proviene da una
formazione musicale, fa una formazione in musicoterapia, e professionalmente si qualifica come
„music therapist‟. Se noi traducessimo questo termine in italiano ci troveremmo di fronte alla parola
musicoterapista. Anche su questo piano, però, in Italia le cose si sono complicate, articolando il sen-

94
Oltre che dal volume di G. di Franco, si fa riferimento ad un paragrafo su FFFortissimo. La musica dei
bambini. Più forte di ogni terremoto!!!, a cura di R. De Michele e Elena De Rosa, ISMEZ, Roma 2012, pg. 19.

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so democratico delle posizioni, ma anche inficiando una omogeneizzazione del movimento a fronte
di un riconoscimento.
Si è cominciato a discutere su termini diversi per indicare l‟operatore di musicoterapia quali
musicoterapista / musicoterapeuta. Senza entrare in maniera approfondita nella questione, in
maniera propositiva mi serve dire che se la musicoterapia è una „nuova disciplina‟ conosciu-
ta/riconosciuta in campo internazionale, ed in particolare nella Unione Europea, di cui anche
l‟Italia fa parte, la figura base dell‟operatore di musicoterapia, e quella del „musicoterapista‟; cioè co-
lui che possa operare in ambito psicopedagogico e terapeutico riabilitativo con un livello di autono-
mia gestionale delle tecniche, ma deontologicamente ricondotto ad una diagnosi clinica formulata da
un clinico, e nei confronti della quale fornire un aggiornamento del suo operato. Tale figura sarebbe
equiparabile a quelle già previste dall‟ordinamento sanitario di logopedista e psicomotricista.
Il termine musicoterapeuta si riferirebbe, seguendo l‟etimologia della parola, evidentemente
ad un terapeuta eventualmente specializzato anche in ambito musicale/musicoterapeutico. Qui c‟è
un po‟ l‟inghippo. Se per il Servizio Sanitario Nazionale il terapeuta oggi è il medico o lo psicologo,
questo significherebbe che anche il musicista specializzato in musicoterapia dovrebbe essere accredi-
tato come terapeuta, comportando questo uno sforzo e pressioni nei confronti di una realtà profes-
sionale molto ben consolidata, che potrebbe solo essere ben accogliente nei confronti di „nuove figu-
re‟, che possano completare il quadro dei potenziali professionali in un‟ottica socio-sanitaria (v. an-
che „nuovi profili‟ rif. Sanitaria 833/78), che non sostituirsi ad essi stessi.
In particolare, poi, la dizione musicoterapeuta potrebbe anche solo riguardare uno psicote-
rapeuta specializzato in musicoterapia; il che vorrebbe dire creare e far accreditare una scuola di psi-
coterapia musicale [v. anche il par. La musicoterapia, nel cap. 3; ndR].
Altra cosa è il livello più avanzato di formazione. (…)”

Numerosi, quindi, e a più riprese, sono stati in Italia i tentativi di riconoscimento del-
la professione di „musicoterapista‟, fin dalla sua nascita, ma fino a oggi infruttuosi.
Ecco qui elencate le principali PROPOSTE DI LEGGE NAZIONALI nel corso degli anni:
- Proposta di Legge, XI Legislatura, on. Bottini, n. 2698 del 25.5.1993: Norme per favorire gli interventi di
musicoterapia per bambini handicappati.
- Proposta di Legge, XII Legislatura, on. Sbarbati, n. 544 del 18.5.1994: Norme per favorire gli interventi di
musicoterapia per bambini handicappati.
- Proposta di Legge, XII Legislatura, on. Calderoli, n. 884 del 7.7.1994: Norme per la formazione dei musi-
coterapeuti.
- Proposta di Legge, XIII Legislatura, on. Sbarbati, n. 673 del 10.5.1996: Norme per favorire gli interventi
di musicoterapia per bambini handicappati.
- Proposta di Legge, XIII Legislatura, on. Delfino, n. 4048 del 25.7.1997: Disposizioni in materia di forma-
zione e di riconoscimento professionale dei musicoterapisti.
- Proposta di Legge, XIII Legislatura, sen. Duva, n. 4000 del 4.5.1999: Norme per la specializzazione in
musicoterapia.
- Proposta di Legge, XVI Legislatura, on. Scilipoti, n. 3761 del 11 Ottobre 2010: Disciplina della musico-
terapia e istituzione della figura professionale del musicoterapista.
- Disegno di Legge, XVI Legislatura, sen. Tancredi, Fleres e Burgaretta Aparo, n. 2713, 4.5.2011: Istitu-
zione della figura professionale del musicoterapeuta.
- Proposta di Legge, XVI Legislatura, on. Sbrollini, Binetti, Brandolini, Marco Carra, D‟Incecco, Gava,
Ginoble, Murer, Narducci, Olivieri, Zampa, n. 5143 del 19.4.2012: Disciplina dell‟esercizio della musico-
terapia.
- Proposta di Legge, XVII Legislatura, sen. Federica Chiavarolin, n. 1293 del 6.2.2014: Istituzione della
figura professionale del musicoterapeuta.

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Altrettanti tentativi si sono attuati in varie Regioni d‟Italia.
La situazione attuale, comunque, è in movimento. Si è appena varata una riforma
delle professioni (legge 4/13), e approvato il d.d.l. cosiddetto 'Lorenzin' del 23.12.2017 (di
cui si attendono i decreti attuativi), ma, per quanto riguarda la specifica disciplina, molto
ruota intorno alla natura sanitaria, piuttosto che preventiva, sociale e psicopedagogica del-
le sue applicazioni, da cui discende la difficoltà di attribuirne la competenza ai vari Mini-
steri. Una strada potrebbe essere quella che potrebbe inquadrare il Musicoterapista come
uno di quei profili dell‟area „di interesse sanitario‟, così definite nella Legge 1 Febbraio
2006 n.43 (art.1 comma 2, che integra le previsioni di cui alla Legge 10 Agosto 2000 n. 251
art. 1 comma 3/b, e di cui al Decreto del Ministro della Sanità 29 Marzo 2001).
Per adesso, la strada seguita dai musicoterapisti è quella di una sorta di riconosci-
mento interno della professione per il tramite di un autocontrollo della qualità (criteri U-
NI, v. appresso), secondo le linee-guida sulle professioni indicate dalla UE e dalla EMTC
(Confederazione Europea di Musicoterapia).
Informazioni sulla Norma UNI 11592 (ott-2015) per le Arti Terapie
La Legge n. 4 del 14 gennaio 2013, ‟Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini e
collegi‟, è stata promulgata per disciplinare le professioni non regolamentate (come la professio-
ne di musicoterapista) che prevedono “[…] attività economica, anche organizzata, volta alla prestazio-
ne di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intel-
lettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti
iscritti in albi o elenchi ai sensi dell‟art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e
dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.” (art. 1,
comma 2).
La Legge prevede che tali professionisti possano costituirsi in “[…] associazioni a carattere profes-
sionale di natura privatistica, fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva,
con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, a-
gevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.” (art. 2, comma 1).
Allo stesso tempo, la Legge prevede che tali professionisti possano autoregolamentarsi anche
indipendentemente dall‟adesione alle associazioni professionali citate nell‟art. 2.
In particolare, l‟articolo 6 sulla ‟Autoregolamentazione volontaria‟ prevede:
“1. La presente legge promuove l‟autoregolamentazione volontaria e la qualificazione dell‟attività dei sog-
getti che esercitano le professioni di cui all‟art. 1, anche indipendentemente dall‟adesione degli stessi ad
una delle associazioni di cui all‟art. 2.
2. La qualificazione della prestazione professionale si basa sulla conformità della medesima a norme tecni-
che UNI ISO, UNI EN ISO, UNI EN e UNI, di seguito denominate «normativa tecnica UNI» [….]
3. I requisiti, le competenze, le modalità di esercizio dell‟attività e le modalità di comunicazione verso
l‟utente individuate dalla normativa tecnica UNI costituiscono principi e criteri generali che disciplinano
l‟esercizio autoregolamentato della singola attività professionale e ne assicurano la qualificazione.” […]
Per autoregolamentarsi i professionisti possono quindi elaborare innanzitutto le „norme tecniche
UNI‟ specifiche per ogni categoria professionale, e, in base a quelle, ottenere una certificazione
da enti di certificazione accreditati.
L‟Art 9 sulla „Certificazione di conformità a norme tecniche UNI‟, infatti, riporta:
“1. Le associazioni professionali di cui all‟art. 2 e le forme aggregative di cui all‟art. 3 collaborano
all‟elaborazione della normativa tecnica UNI relativa alle singole attività professionali, attraverso la par-
tecipazione ai lavori degli specifici organi tecnici o inviando all‟ente di normazione i propri contributi nel-
la fase dell‟inchiesta pubblica, al fine di garantire la massima consensualità, democraticità e trasparenza.
Le medesime associazioni possono promuovere la costituzione di organismi di certificazione della confor-
mità per i settori di competenza, nel rispetto dei requisiti di indipendenza, imparzialità e professionalità
previsti per tali organismi dalla normativa vigente e garantiti dall‟accreditamento di cui al comma 2.

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2. Gli organismi di certificazione accreditati dall‟organismo unico nazionale di accreditamento ai sensi del
regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, possono rila-
sciare, su richiesta del singolo professionista anche non iscritto ad alcuna associazione, il certificato di
conformità alla norma tecnica UNI definita per la singola professione.”
In base a quanto stabilito da questa Legge, i rappresentati di varie associazioni professionali e
congregazioni di categoria delle diverse Arti Terapie (Musicoterapia, Arteterapia, Danzaterapia,
Teatro Terapia, Drammaterapia) hanno costituito un gruppo di lavoro presso l‟UNI ed elabora-
to una specifica Norma UNI 11592, ‟Attività professionali non regolamentate – Figure professionali
operanti nel campo delle Arti Terapie – Requisiti di conoscenza, abilità e competenza‟ che è sta-
ta pubblicata nell‟ottobre 2015.
Tale Norma è scaricabile, a pagamento, sul sito dell‟UNI. La Norma non è infatti divulgabile, né
per intero né per singole parti.
La Norma definisce “[…]le conoscenze, le abilità e le competenze […] e definisce i compiti del profes-
sionista delle arti terapie raggruppandoli in sei passaggi essenziali. Gli arte terapeuti devono infatti saper
accogliere, analizzare e comprendere le richieste di intervento che vengono loro rivolte, progettare inter-
venti specifici, negoziare il contratto, realizzare e portare a conclusione l‟intervento, valutarne l‟esito, la-
vorare in contesti e in equipe multi-professionali” (dal sito UNI).
La Norma entra nel merito delle singole specifiche competenze necessarie per ciascuno dei sud-
detti compiti. La Norma inoltre entra nel merito del percorso formativo del professionista delle
Arti Terapie, stabilendo alcuni criteri fondamentali, in termini quantitativi e qualitativi, e, quin-
di, i criteri di accesso alla professione.
Si è realizzata, quindi, in Italia l‟istituzione di registri nazionali dei professionisti del-
la musicoterapia che garantiscono l‟adozione di un codice deontologico della professione,
di precisi requisiti per la formazione, di un esame d‟accesso, di un elenco degli iscritti, di
criteri di aggiornamento continuo nella professione.
I professionisti della musicoterapia in Italia si raccolgono oggi nei REGISTRI che assol-
vono i criteri appena indicati e che sono iscritti ufficialmente alla EMTC. Questi sono at-
tualmente riconosciuti anche dalla EMTC, e sono: AIM (2002, pres. MARIAGRAZIA BARONI);
AIREM (2003, pres. RENATO DE MICHELE); FIM (1998, pres. GIULIA CREMASCHI TROVESI); IL
PUNTO DI SVOLTA (pres. ROBERTO GHIOZZI).95 Ciascuna di queste associazioni sta svolgendo
un‟intensa attività sul territorio per accrescere la quantità di proposte di musicoterapia e,
cosa più importante, la loro qualità nel nostro Paese.
È costituita a Roma un‟associazione, la CUM, Comitato Unitario Musicoterapisti. Que-
sta raccoglie numerosi professionisti della musicoterapia e si è posta, come obiettivo prin-
cipale, il riconoscimento ufficiale della professione.
Le Associazioni professionali sono sotto osservazione degli organi governativi al fine
di ottenere che il riconoscimento professionale sia applicabile alle Associazioni professio-
nali di categoria.

95 Per la storia va detto che un‟altra associazione, la SPIM, Scuola di Psicoterapia Integrata e Musicote-
rapia (Roma, pres. Gabriella G. Perilli), era accreditata come Registro di Musicoterapia, fino al 2007.

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CAPITOLO 7
LA CONFEDERAZIONE EUROPEA DI MUSICOTERAPIA - EMTC
[dal sito: emtc-eu.com]. Traduzione italiana e integrazioni al testo inglese: Renato De Michele

L‟EMTC, European Music Therapy Confederation, è stata fondata nel 1991 come forum per lo
scambio fra musicoterapisti in Europa. Il suo primo nome fu European Music Therapy Com-
mittee (poi trasformato, alla fine del 2004, in „Confederation‟).
L‟EMTC è una confederazione delle associazioni di professionisti della musicotera-
pia, che lavora attivamente per promuovere il più alto sviluppo della pratica professionale
in Europa, e per accrescere scambi e collaborazioni fra i paesi membri.
L‟obiettivo generale dell‟EMTC è di strutturare il mutuo rispetto, comprensione e
scambio fra musicoterapisti in Europa.
La EMTC fu fondata nel 1990, come luogo di scambio fra i musicoterapisti in Euro-
pa. Da quel momento si sono svolte regolari riunioni durante le conferenze, all‟interno di
piccoli gruppi di lavoro e attraverso scambi epistolari elettronici. Anche se le basi teoriche,
i metodi e i concetti nei corsi di formazione di musicoterapia sono diversi all'interno di
ciascun paese, lo scopo complessivo dell'EMTC è di curare il rispetto reciproco, la com-
prensione e lo scambio.
Noi consideriamo opportuno curare e migliorare attivamente la cooperazione inter-
nazionale ad un livello più operativo, e perciò più influente. Questo è essenziale per l'ulte-
riore sviluppo della professione nel mondo. La consistenza di un alto livello professionale
e di pratica è vitale, in modo da conservare individualità di approccio, filosofia e specializ-
zazione.

Situazione attuale
In maggio 2004 l'EMTC ottenne lo status di AISBL (Onlus) ufficiale a livello UE a Bruxel-
les, come associazione professionale internazionale senza scopo di lucro, secondo la legge
belga. Questo EMTC nuovo ha uno Statuto, un Regolamento ed un Codice Etico. È gover-
nato da un'infrastruttura amministrativa consistente in un Consiglio Direttivo composto
da Presidente e tre Vicepresidenti (Nord, Centro e Sud Europa), un Segretario Generale e
Tesoriere.

Paesi membri EMTC


All‟interno della EMTC i Paesi membri hanno ciascuno un solo rappresentante. Questo
rappresentante è votato dalle associazioni-membri (le associazioni professionali) all'inter-
no di ogni paese). Il rappresentante di paese è responsabile verso le associazioni nazionali
membri dell'EMTC.
Oggi, l‟EMTC include musicoterapisti da tutti i 27 paesi della UE, da paesi di can-
didato di EU in Europa Orientale e Centrale. Paesi membro sono attualmente: AUSTRIA,
BELGIO, BULGARIA, REPUBBLICA CECA, DANIMARCA, ESTONIA, FINLANDIA, FRANCIA, GERMA-
NIA, GRECIA, UNGHERIA, ISLANDA, ITALIA, LETTONIA, LITUANIA, LUSSEMBURGO, OLANDA,
NORVEGIA, POLONIA, PORTOGALLO, ROMANIA, SLOVENIA, SPAGNA, SVEZIA, SVIZZERA, REGNO
UNITO, SERBIA, TURCHIA, ISRAELE (membro osservatore).

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Conferenze europee
Ogni tre anni l'EMTC organizza una Conferenza europea - un forum per lo scambio pro-
fessionale con un focus clinico, professionale e di ricerca. Questi importanti eventi hanno
preso avvio da una conferenza iniziale nel Regno Unito nel 1989, e hanno proseguito come
segue:
1992: Spagna (Vitoria-Gasteiz)
1995: Danimarca (Aalborg)
1998: Belgio (Leuven)
2001: Italia (Napoli)
2004: Finlandia (Jyväskylä)
2007: Olanda (Eindhoven)
2010: Spagna (Cadice)
2013: Norvegia (Oslo)
2016: Austria (Vienna)
2019: Danimarca (Aalborg)

Il Registro Europeo di Musicoterapia (EMTR).


L'attuale obbiettivo più importante per l'EMTC è il Registro Europeo di Musicoterapia
(EMTR). Stiamo creando la struttura dell'EMTR tramite la commissione di registrazione e
la collaborazione con i membri. Il nostro obiettivo è pilotare l'EMTR nel 2010 e renderlo
operativo nel 2011-2012.
Nel futuro l‟EMTC continuerà ad lavorare attivamente per promuovere l'ulteriore
sviluppo della pratica professionale in Europa, e di favorire scambi e la collaborazioni tra i
paesi membri.
Una priorità corrente e futura è l‟allestimento del Registro Europeo di Musicotera-
pia (EMTR), uno sviluppo che collegato ai più alti standard dei livelli di istruzione „bache-
lor‟ e „master‟ (p.es. questo accreditamento standard è richiesto dall'UE, secondo il Trattato
di Bologna). A questo momento vi sono 60 corsi di formazione ufficiali in tutta Europa: 19
nel Sud, 22 nel Centro e 19 nel Nord. 30 di questi sono accreditati a MA (master), con 11 su
livello di Laurea di primo grado BA (bachelor). L‟EMTR vuole perciò supportare sia la
pratica professionale in ogni paese, sia avere ricadute positive sul lavoro futuro. Questo è
un momento favorevole per la musicoterapia in Europa e per l'EMTC.

Breve storia dell’EMTC


Ecco di seguito una veduta d'insieme breve della storia dell'EMTC, con una presentazione
delle conferenze europee dell‟EMTC, riunioni generali e membri.
Fin da 1990 l'EMTC si sviluppò a partire da un gruppo di lavoro, fino ad un‟AISBL
(Associazione Internazionale Senza Fine di Lucro).
Anche per l‟EMTC forniamo le indicazioni dei suoi primi anni di vita fino al 2018.

Membri passati del Consiglio Direttivo dell’EMTC, Conferenze e Assemblee Generali


1994-1998. TONY WIGRAM fu eletto presidente del gruppo di lavoro pionieristico che portò
poi ad un funzionamento più strutturato ed alla creazione dell‟EMTC.

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1998. Leuven, Belgio. Conferenza Furono eletti un Presidente e 2 Vice-presidenti. Per la
prima volta fu adottato un principio di triumvirato.
Presidente: GIANLUIGI DI FRANCO (1998-2001)
Vice-Presidente: GRO TRONDALEN (1998-2004)
Vice-Presidente: JOS DE BACKER (1998-2002)

2000. Ma`ale Hahamisha, Israele: Pre-Conferenza.

2001. Napoli, Italia. Conferenza Europea ed Assemblea Generale


Presidente: JOS DE BACKER
Secretario Generale: MONIKA NÖCKER-RIBAUPIERRE
Vice-Presidente: GRO TRONDALEN
Vice-Presidente: REGINA HALMER-STEIN (2001-2005)

2003. Meielisalp, Svizzera. Pre-Conference

2004. Jyväskylä, Finlandia. Conferenza Europea ed Assemblea Generale


L‟EMTC è ufficialmente registrata come AISBL. Lo statuto stabilisce che: “È stata fondata
un‟associazione non-profit, chiamata European Music Therapy Confederation. Quest'associa-
zione è stata fondata secondo le leggi del Belgio il 2 maggio 2004.”
Presidente: JOS DE BACKER
Segretaria Generale: MONIKA NÖCKER-RIBAUPIERRE
Tesoriera: JULIE SUTTON
Vice-Presidente Regionale, Nord: JAAKKO ERKKILA
Vice-Presidente Regionale, Centro: REGINA HALMER-STEIN
Vice-Presidente Regionale, Sud: TERESA LEITE

2005. Bologna, Italia. Assemblea Generale


Consiglio Direttivo: invariato
Vice-Presidenti Regionali: nuove elezioni
Nord: JAAKKO ERKKILA
Centro: HEIDI FAUSCH
Sud: FEDINANDO SUVINI

2006. Vitoria-Gasteiz, Spagna. Assemblea Generale

2007. Eindhoven, Olanda. Conferenza Europea ed Assemblea Generale


Consiglio: ri-eletto

2008. Nantes, France. Assemblea Generale


Adottati cambiamenti per i titoli dei membri del Consiglio Direttivo. Istituzioni belghe in-
formate del cambiamento di statuto.
Consiglio Direttivo: Presidente, Vice-Presidente, Segretario Generale, Vice-
Presidente Tesoriere.
I Vice-Presidenti Regionali diventano Coordinatori Regionali dei Paesi.

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2009. Vienna, Austria. Assemblea Generale
Un nuovo Consiglio Direttivo è eletto per un periodo transitorio
Presidente: HANNE METTE RIDDER
Vice-Presidente Secretario Generale: ADRIENNE LERNER
Vice-Presidente Tesoriere: FERDINANDO SUVINI
Coordinatori Regionali dei Paesi: invariati

2010. Cadice, Spagna. Conferenza Europea ed Assemblea Generale


Presidente: HANNE METTE RIDDER rimpiazza JOS DE BACKER (2002-2010)
Vice-Presidente Secretario Generale: ADRIENNE LERNER rimpiazza MONIKA NÖCKER-
RIBAUPIERRE (2001-2010)
Vice-Presidente Tesoriere: FERDINANDO SUVINI rimpiazza JULIE SUTTON (2004-2010)
Coordinatore Regionale Paesi del Nord: KERSTIN DYBLIE ERDAL rimpiazza JAAKKO
ERKKILA (2004-2010)
Coordinatore Regionale Paesi del Centro: HEIDI FAUSCH (since 2005)
Coordinatore Regionale Paesi del Sud: STEFANO NAVONE rimpiazza FERDINANDO
SUVINI (2005-2010)

2011. Vienna, Austria. Assemblea Generale

2012. Tallin, Estonia. Assemblea Generale

2013. Oslo, Norvegia. Conferenza Europea, Assemblea Generale e


9° Congresso EMTC, 7-10 Agosto

2014. Lssemburgo. Assemblea Generale

2015. Würzburg, Germania. Assemblea Generale

2016. Vienna, Austria. Conferenza Europea, Assemblea Generale e


10° Congresso EMTC, 5-9 Luglio

2018. Trapani, Italia. Assemblea Generale Europea e Conferenza Internazionale,


3-5 Maggio

2019. Aalborg, Danimarca. Prossima Assemblea Generale e


Prossimo 11° Congresso EMTC

Attuale rappresentante italiana all‟EMTC (2018): ELIDE SCARLATA (AIM).

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CAPITOLO 8
LA FEDERAZIONE MONDIALE DI MUSICOTERAPIA – WFMT
[notizie dal sito www.wfmt.info. Trad. R. De Michele, già Membro della Comm. Pratica Clinica WFMT, 2008-2011]

Struttura e Storia
La Federazione Mondiale di Musicoterapia (WFMT – WORLD FEDERATION OF MUSIC THE-
RAPY Inc.) è un‟organizzazione internazionale che raccoglie associazioni di musicoterapia e
singoli individui interessati ed attivi nello sviluppo globale e nella promozione della mu-
sicoterapia attraverso lo scambio professionale, la collaborazione e l‟azione. Fondata nel
1985 a Genova, Italia, è l‟unica organizzazione professionale mondiale che rappresenta la
musicoterapia in molte aree del globo.
I membri della Federazione son organizzazioni di musicoterapia, Corsi di formazio-
ne, musicoterapisti e persone associate per la musicoterapia. La WFMT conta oggi (2010)
un totale di 48 membri (v. dopo), da tutto il mondo: 27 organizzazioni-membro, 19 mem-
bri individuali, 1 patrono, 2 membri onorari a vita. La WFMT è un organismo internazio-
nale, con Dirigenti, Capicommissione, Rappresentanti regionali per l‟Africa, l‟America La-
tina, il Nord America, il Sud-Est Asiatico, l‟Australia/Nuova Zelanda, l‟Europa, il Medi-
terraneo Orientale, il Pacifico Occidentale (Asia).
La WFMT incoraggia i suoi membri a contribuire e partecipare ai progetti avviati, ma
propone anche nuove aree progettuali in cui la WFMT può essere coinvolta. Se voi e le vo-
stre organizzazioni desiderate sostenere gli sforzi dei Capi delle Commissioni, siete prega-
ti di contattarli. Risultanze di progetti dei precedenti Responsabili possono essere trovate
negli archivi.
La Membership (Presidente attuale MELISSA MERCADAL-BROTONS, 2017-2020) permet-
te di accedere alle più recenti informazioni sugli eventi sulla musicoterapia nel mondo, in-
cludendo conferenze, simposi, e Congresso Mondiale.
È stato realizzato nel 2008 un sito per la WFMT: www.wfmt.info.
Come membri della WFMT si diviene parte di un interessante insieme internazionale
di musicoterapisti, clinici e ricercatori. Attraverso l‟appartenenza si ha accesso ai contatti
in molti paesi, così come l‟opportunità di avere una parola nello sviluppo della musicote-
rapia a livello internazionale. Soprattutto si parteciperà allo sviluppo internazionale della
disciplina attraverso il contributo all‟organismo internazionale.

Scambio informazioni
Il sito della WFMT (www.wfmt.info) fornisce informazioni sulle attività della Federazione,
le sue associazioni-membro, e sulle organizzazioni internazionali. Vi sono pubblicati pro-
getti occasionali, report, e atti di conferenze.

Documenti addizionali della WFMT ( sito: www.wfmt.info)


- WFMT Constitution (Statuto della WFMT, Rev. 2008)
- WFMT Bylaws (Regolamento WFMT, Rev. 2008)

Visione
Migliorare salute e benessere di individui e popoli attraverso interventi con la musica.

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Mission
La WFMT si dedica alla promozione e allo sviluppo internazionale della musicoterapia
come arte e scienza. La Federazione sostiene lo sviluppo globale della pratica clinica, della
formazione, e della ricerca per dimostrare il suo impatto e il suo contributo alla società.

Valori
Noi crediamo...
che l‟educazione, la salute ed il benessere sono diritti fondamentali dell‟individuo.
Noi patrociniamo...
l‟uso della musica per promuovere l‟uguaglianza e la giustizia sociale.
Noi sosteniamo...
un consesso globale della musicoterapia che includa diversi retroterra sociali e cultu-
rali, etnie, razze, generi, orientamenti sessuali e diverse abilità.
Noi incoraggiamo...
la comunicazione attraverso la musica come fondamento di apprendimento e di cre-
scita della nostra professione.
Noi crediamo...
che la musica abbia il potere di ricomporre e promuovere il benessere.

Scopi
1. Agire come Organizzazione internazionale per la professione della musicoterapia;
2. Promuovere lo scambio di informazioni sulla musicoterapia;
3. Tenere congressi internazionali;
4. Identificare caratteristiche di somiglianza e distinzione nelle teorie e nelle pratiche
della musicoterapia nel mondo;
5. Stabilire e mantenere linee-guida per la pratica dei musicoterapisti;
6. Stabilire e mantenere linee-guida per l‟educazione e la formazione dei musicotera-
pisti;
7. Stabilire e mantenere linee-guida per la condotta etica dei musicoterapisti;
8. Stabilire e mantenere linee-guida per la registrazione dei musicoterapisti;
9. Promuovere tutti gli aspetti di ricerca in musicoterapia e stabilire e mantenere le re-
lative linee-guida;
10. Promuovere la cooperazione internazionale fra le associazioni di musicoterapia, fra
musicoterapisti, e fra loro ed altri gruppi professionali correlati;
11. Promuovere il riconoscimento ufficiale della musicoterapia come professione nelle
varie legislazioni governative e/o organismi regolamentari;
12. Promuovere, stabilire e mantenere pubblicazioni di musicoterapia.

Attività
I Congressi Internazionali
I Congressi della WFMT (dal 1990 in poi) si tengono ogni tre anni. Professionisti della Mu-
sicoterapia ed esperti in campi correlati, da tutto il mondo si raccolgono al Congresso per
condividere idee, esperienze, tendenze, e risultati della ricerca. Tradizionalmente, Il Con-
gresso Mondiale è ospitato da un membro della WFMT unitamente ad una delle organiz-
zazioni locali. Il luogo del Congresso è determinato da un lavoro di sostegno da parte del-

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la WFMT. La Federazione compie uno sforzo per far sì che il luogo dei Congressi si alterni
nelle varie regioni del mondo. I membri della WFMT che vogliano ospitare un Congresso
Mondiale contattano la Segreteria richiedendo ragguagli per la proposta. I Congressi pre-
cedenti si sono svolti a:
1. Parigi, Francia (1974).
2. Buenos Aires, Argentina (1976).
3. Puerto Rico (1981).
4. Parigi, Francia (1983, in due diversi congressi a Marzo e Luglio)
5. Genova, Italia (1985) [Fondazione della WFMT. Presidente: ROLANDO OMAR BE-
NENZON, Argentina].
6. Rio de Janeiro, Brasile (1990) [Presidente: RUTH BRIGHT, Australia].
7. Vitoria-Gasteiz, Spagna (1993) [Presidente: CHERYL DI LEO, USA, I Congresso
WFMT].
8. Amburgo, Germania (1996) [Presidente: TONY WIGRAM, Inghilterra].
9. Washington D.C., USA (1999) [Presidente: DENISE GROCKE, Australia].
10. Oxford, Inghilterra (2002) [Presidente: SUZANNE HANSER, USA].
11. Brisbane, Australia (2005) [Presidente: GABRIELA WAGNER, Argentina].
12. Buenos Aires, Argentina (2008) [Presidente: PETRA KERN, USA].
13. Seoul, South Korea Luglio (2011) [Presidente: BYUNGCHUEL CHOI, S. Korea (2011-
2012); ANNIE HEIDERSCHEIT, USA (2012-2014)].
14. Vienna, Austria, 2014 [Presidente: AMY CLEMENTS-CORTÈS (2014-2017)].
15. Canada [Presidente: MELISSA MERCADAL-BROTONS (2017-2020)].
16. Johannesbourg, Rep. Sud Africa, 2020.

Commissioni
La Federazione Mondiale oggi (2008) include le seguenti otto Commissioni presiedute da
altrettante personalità, che lavorano su progetti riferiti ai fini e agli obiettivi di ciascuna
Commissione:
- Commissione Didattica, Formazione e Registri.
- Commissione Pratica Clinica
- Commissione Ricerca ed Etica
- Commissione Accreditamento e Certificazione
- Commissione Pubblicazioni
- Commissione Interventi sulle Crisi Globali
- Commissione Pubbliche Relazioni
Cui si aggiunge un Organizzatore del Congresso Mondiale successivo.

Ci sembra ora importante riportare la storia dei Congressi della WFMT nei suoi pri-
mi anni di storia, almeno fino al 2005.

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I primi anni di storia della WFMT attraverso i suoi Congressi e le personalità
La Federazione Mondiale di Musicoterapia fu formalmente costituita nel 1985 a Genova
(Italia). Fra i membri fondatori della WFMT c‟erano musicoterapisti da Argentina, Italia,
USA, Brasile ed Inghilterra. La WFMT ha uno statuto non-profit negli USA.
Il 1° Congresso Mondiale di Musicoterapia fu organizzato a Parigi (Francia, 1974) da
Edith Lecourt.
Il seme per lo sviluppo della Federazione Mondiale di Musicoterapia fu gettato al 2°
Congresso Mondiale di Musicoterapia a Buenos Aires (Argentina) nel 1976. Un gruppo di
musicoterapisti Americani, Europei, e Sudamericani si incontrarono e cominciarono a po-
tenziare l‟unità e gli standard nell‟arena internazionale della musicoterapia.
Nel 1981, la Dr. BARBARA HESSER, che vide questi semi crescere verso qualche forma
di associazione internazionale, organizzò il 3° Congresso internazionale negli Stati Uniti.
JACQUES JOST e HENRI GERMANY introdussero la prima proposta ufficiale per una Fe-
derazione Mondiale di Musicoterapia al 4° Congresso Mondiale di Musicoterapia a Parigi
(Francia) nel marzo 1983. Lì un gruppo rappresentativo di molte nazioni cercò di trovare
una strada veloce. C‟era una forte carica di entusiasmo, ma nessuna idea chiara su cosa a-
vrebbe dovuto fare un‟organizzazione del genere, e su come si sarebbe dovuta strutturare.
TONY WIGRAM, Presidente dell‟Associazione dei Musicoterapisti Professionisti in Gran
Bretagna, propose che quelli che avevano dimostrato il maggior interesse avrebbero for-
mato una task force per delineare gli obiettivi e la strada per una Federazione Mondiale di
Musicoterapia. Lo psichiatra argentino internazionalmente riconosciuto, ROLANDO OMAR
BENENZON fu invitato a dirigere questo gruppo, che includeva RUTH BRIGHT dall‟Australia,
HENRY GERMANY dalla Francia, HEINRICH OTTO MOLL dalla Germania, ed una musicotera-
pista dal Regno Unito, BARBARA HESSER che aveva cominciato a curare e pubblicare
l‟International Newsletter.
Ma fu infine nel 1985 a Genova, Italia, al 5° Congresso Mondiale, che la World Fede-
ration of Music Therapy fu formalmente istituita, e il summenzionato gruppo di lavoro
subì una metamorfosi in una Commissione con il primo Presidente WFMT Dr. ROLANDO
BENENZON, la Prof. GIOVANNA MUTTI (organizzatrice del Congresso) dall‟Italia come Se-
gretaria, la Dr. BARBARA HESSER dagli USA, CLEMENTINA NASTARI dal Brasile, ed AMELIA
OLDFIELD dall‟Inghilterra.
A Rio de Janeiro, Brasile (1990), si tenne il 6° Congresso Mondiale. Furono eletti
RUTH BRIGHT dall‟Australia, secondo Presidente WFMT, la Dr. CHERYL DILEO dagli USA, il
Dr. LESLIE BUNT dal Regno Unito, la Dr. DENISE GROCKE (-ERDONMEZ) dall‟Australia, la Dr.
LIA REJANE dal Brasile, PATXI DEL CAMPO dalla Spagna, il Dr. JOSEPH MORENO dagli USA.
La Costituzione, il Regolamento e la strutturazione in Commissioni furono stabilite
nel 1993 al 7° Congresso Mondiale a Vitoria-Gasteiz, in Spagna (il primo interamente or-
ganizzato dalla WFMT), e la Dr. CHERYL DILEO divenne la terza Presidente della WFMT,
con un Consiglio che includeva il Dr. TONY WIGRAM dalla Danimarca e il Dr. HANS-
HELMUT DECKER-VOIGT dalla Germania.
Nel 1996, all‟8° Congresso Mondiale ad Amburgo, Germania, il Dr. TONY WIGRAM fu
eletto Presidente della WFMT. Il Consiglio eletto includeva DIEGO SHAPIRA e Ms. GABRIELA
WAGNER dall‟Argentina, la Dr. DENISE GROCKE dall‟Australia, Mr. GIANLUIGI DI FRANCO
dall’Italia, Mr. XHANG HONG YI dalla China, e Mr. PATXI DEL CAMPO dalla Spagna. Le
Commissioni furono considerevolmente ampliate per includere esperti da molte regioni

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del mondo, e furono invitati a partecipare alla divulgazione delle informazioni i coordina-
tori regionali. A seguito di questo, il Dr. VARGA dall‟Ungheria ed il Dr. HINOHARA dal
Giappone parteciparono al Consiglio come rappresentanti regionali.
Al 9° Congresso Mondiale di Musicoterapia a Washington D.C, nel 1999, la Dr. DENI-
SE GROCKE, Australia, fu eletta Presidente della WFMT. Il nuovo Consiglio includeva Ms.
GABRIELA WAGNER dall‟Argentina, la Dr. BARBARA WHEELER dagli USA, la Dr. LIA REJANE,
dal Brasile, JANE EDWARDS dall‟Australia, e LISA SUMMER dagli USA, successivamente rim-
piazzata dalla Dr. SUZANNE HANSER dagli USA. Questo Consiglio lavorò in Musicoterapia
specialmente sulla documentazione degli standard della Didattica, della Formazione, e
della Registrazione dei Membri della WFMT.
Nel 2002, al 10° Congresso Mondiale di Musicoterapia ad Oxford (UK), fu eletta Pre-
sidente la Dr. SUZANNE HANSER dagli USA. Il Consiglio includeva la Dr. CHERYL DILEO da-
gli USA (WFMT Business Manager); la Dr. JAYNE STANDLEY, USA (Segretaria/ Tesoriere),
NIGEL HARTLEY, UK (Commissione Pratica Clinica), la Dr. CORNELIA IZENBERG-GRZEDA,
Canada (Commissione su Didattica, Formazione & Accreditamento), la Dr. JANE EDWARDS,
Irlanda (Commissione sull‟Accreditamento Governativo), Mr. MARCOS VIDRET, Argentina
(Commissione sulle Pubblicazioni), il Dr. DAVID ALDRIDGE, Germania (Commissione sulla
Ricerca e sull‟Etica), il Dr. JÖRG FACHNER, Germania (Coordinatore sito Web), e Ms. SUSAN
COULL, Australia (organizzatore dell‟11° Congresso Mondiale a Brisbane, Australia).
All‟11° Congresso Mondiale di Musicoterapia a Brisbane, Australia, nel 2005, Ms.
GABRIELA WAGNER dall‟Argentina fu eletta Presidente della WFMT. Il nuovo Consiglio in-
cludeva la Dr. SUZANNE HANSER, USA (Past President), la Dr. PETRA KERN, USA/Canada
(Segretaria/ Tesoriere), Dr. CHERYL DILEO, USA (WFMT Business Manger), Dr. NOBUKO
SAJI, Japan (Commissione Pratica Clinica), Dr. SANDI CURTIS, Canada (Commissione su Di-
dattica, Formazione & Registrazione) che si ritirò nel 2006, a favore della Dr. PATRICIA SAB-
BATELLA, Spagna, che fu insediata dal Consiglio nell‟Agosto del 2007. Ms. SUSAN COULL,
Australia (Commissione sull‟Accreditamento Governativo), Ms. MAYRA HUGO, Uruguay
(Commissione sulle Pubblicazioni), Dr. DAVID ALDRIDGE, Germany (Commissione sulla
Ricerca e sull‟Etica), Ms. LUCANNE MAGILL, Canada/USA (Commissione sugli Interventi
nelle Crisi Globali), Dr. JÖRG FACHNER, Germania (Coordinatore sito Web), e la Presidente
WAGNER, che si assunse il compito di organizzare e presiedere il 12° Congresso Mondiale
di Musicoterapia a Buenos Aires, Argentina (2008).

Membri onorari a vita


Dr. ROLANDO BENENZON (Argentina, dal 2008);
Dr. DAVID ALDRIDGE (Germany, dal 2011);
Dr. RUTH BRIGHT (Australia, dal 2014);
Dr. BARBARA WHEELER (USA, dal 2017).

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