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A.A.

2013-2014

PROF. DE ROSA E DE CARO

CALVANESE Gemma
CAMPIDOGLIO Erica
CAPPELLETTI Toni
COLANERI Francesca
CRISTOFANO Gloria
DE TURRIS Serena
MAIELLO Angela
RADDI Silvia

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SEZIONE 1

 Anatomia patologica…………………………………………………………..pag. 4
 La nascita del metodo………………………………….……..……..……….pag. 5
 Autopsia ………………………………….………………………………...…..….pag. 6
 Analisi di preparati bioptici o di campioni chirurgici.………..….pag. 11
 Esame intraoperatorio .…………………………………..………….…..….pag. 22
 Tecniche ancillari…………………………………….……………….….....….pag. 26
 Citologia………………………………………………….…………….………..….pag. 41
 Infiammazione ……………………………………………………...……….….pag. 45
 Danno cellulare…………………………………………………….….……..….pag. 50
 Calcificazioni……………………………………………………………….…..….pag. 59
 Anomalie della crescita…………………………………………………...….pag. 60
 Neoplasie………………………………………………………………………..….pag. 75

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ANATOMIA PATOLOGICA
L’anatomia patologica è una branca specialistica della medicina che studia le modificazioni indotte dallo
stato di malattia negli organi, nei tessuti e nelle cellule. Vorrebbe interpretare e spiegare sintomi e malattie
sulla base dell’alterazione morfologica. Ci sono molte possibilità e molti approcci a questo problema.
L’approccio più complesso ma oggi diventato relativamente raro è l’autopsia. Un altro approccio è
un’applicazione diagnostica puramente selettiva che si fa esaminando un campione bioptico o chirurgico,
formulando una diagnosi che ha le sue implicazioni di tipo prognostico e terapeutico (mi devo fermare là?
Devo andare avanti? Che cosa devo fare? Che notizie posso ricavare da questo frammento bioptico che
possano essere utili all’inquadramento terapeutico del paziente?)

DISCIPLINA MORFOLOGICA: DISCIPLINA DIAGNOSTICA:

mediante valutazione in quanto in ambito clinico,


macroscopica, microscopica, svolge un ruolo fondamentale
ultrastrutturale ed per la pianificazione di eventuali
immunoistochimica terapie mediche e/o chirurgiche

Per molti medici non aggiornati l’anatomia patologica è rimasta una disciplina morfologica. Questa però è
una disciplina diagnostica e quindi una disciplina medica. Non è una branca di laboratorio “qualunque”
perché implica un’azione diretta ed una responsabilità anche medico-legale molto pesante.

Che cosa può fare l’anatomia patologica?

1. Riconoscimento del processo patologico in atto (infezione, malattia degenerativa, neoplasia).


A livello cutaneo si può prendere una lesione bollosa per stabilire se è pemfigo o una lesione nevica
per stabilire se è un neo o un melanoma; si può stabilire se c’è amiloidosi.
Connesso con questo è l’identificazione della causa o etiologia e valutazione dell’entità del danno
prodotto (quanto è grande un tumore, quanto è esteso un processo infiammatorio, se questo
processo infiammatorio è da un agente infettivo specifico)
2. Stadi azione malattia. Non vale solo per i tumori ma anche di altre patologie (epatiti, nefriti o MICI).
Stadiare significa dare alla malattia una posizione: se è in fase attiva o passiva, live – moderata –
grave.
3. Valutazione possibilità evolutive della malattia (identificazione fattori prognostici). Si va da cose
relativamente semplici (per esempio, gradare un tumore) a cose più complesse (sapere se un
carcinoma mammario esprime o no recettori per estrogeni o progesterone o ha l’Erb2, quanto è il
suo indice di proliferazione calcolato con c77). Un altro esempio è dato dai melanomi: in questo
caso la prima cosa che si fa, e forse anche la più importante, è misurarlo. Un melanoma di
dimensioni inferiori al millimetro ha una prognosi relativamente facile, un melanoma tra 1 e 2 mm
una prognosi intermedia, un melanoma che supera i 4 mm una prognosi grave.
4. Identificazione di alterazioni molecolari specifiche (rilevanti per prognosi e utilizzo di terapie
selettive). Esempio sono Erb2 nel carcinoma mammario, k-Ras nel carcinoma del colon-retto. il
profilo biomolecolare della neoplasia è in genere espressione di aggressività e quindi di diffusione.

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LA NASCITA DEL METODO
La storia è relativamente antica. Molti termini derivano dalla medicina greca e questo già ci fa
comprendere come sia una disciplina molto antica. La medicina alessandrina fu forse una delle più
importanti nel campo dell’anatomia patologica.

La canonizzazione della disciplina, però, si ebbe probabilmente tra cinquecento e


seicento:

1543, Vesalius, De humanis corporis fabrica. Era un testo più di anatomia ma metteva
anche informazioni sulle patologie.

1632, Rembrant, Leçon d'anatomie du docteur Tulp

C’era sicuramente grande attenzione da parte soprattutto degli uomini di cultura (un esempio per tutti,
Leonardo da Vinci) per lo studio anatomico.

Contestualmente, nella stessa epoca, venne ipotizzata la


possibilità di ingrandire e osservare le cose più piccole.
Nacque la cosiddetta micrografia. Robert Hooke per primo
costruì un microscopio (1665) che, come principio, è
esattamente lo stesso di quello moderno. Prevede un oculare,
che senza prismi quindi direttamente passa attraverso una
serie di lenti che ingrandiscono; poi c’è un obiettivo e una
fonte di luce (fatta da candele) che veniva proiettata su uno
specchietto, il quale concentrava il fascio luminoso su un
piattino portaoggetti. Si analizzavano frammenti piccolissimi

tagliati con dei rasoi affilatissimi.

Di fondamentale importanza fu l’impostazione data da


Morgagni. Egli scrisse il primo testo in cui attraverso una
serie di casi autoptici cercò di fare una correlazione tra
malattie e riscontri patologici. Così ha descritto anche la
cirrosi alcolica, che appunto porta il suo nome (cirrosi di
Morgagni-Laennec). Egli effettuava le autopsie nel
famoso teatro anatomico di Padova pubblicamente.

Proprio Morgagni creò quello che ancora oggi è definito il


METODO ANATOMO – PATOLOGICO. È uguale al metodo che si ha con i pazienti. Consta di 4 fasi:
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1 – 2 : ANALISI

 Acquisizione ed analisi dei dati clinici (possono essere ricavati dalla cartella clinica del paziente o da
una buona modulistica di accompagnamento al campione bioptico), studio di campioni bioptici,
citologici e istologici
 Esecuzione autopsia

3 – 4 : SINTESI:

 Formulazione diagnosi anatomo-patologica


 Epicrisi (analisi combinata di dati anatomo-clinici)

Morgagni indicò un’altra cosa importantissima: “ in medicina nessun caso è sovrapponibile ad un altro e
tutti hanno bisogno di un’interpretazione più o meno complessa che li riconduca a prototipo”.come in una
stanza non ci sono due persone uguali, così non sarà mai possibile trovare due complessi patologici uguali.
Ogni caso va valutato ed interpretato alla luce di analisi bioptiche, citologiche, istologiche ed autoptiche che
mirino a raggiungere una diagnosi quanto più vicina possibile alla verità.

AUTOPSIA (o ESAME POST-MORTEM)


La pratica autoptica ha avuto un fenomeno di decrescita. È un po’ diversa la frequenza con cui si fanno le
autopsie nelle varie regioni d’Italia, è questione di mentalità: gli austro-ungarici hanno meno problemi a
farla e difatti la città in cui si fanno più autopsie ancora oggi è Trieste. I triestini sono abituati a chiedere
l’autopsia anche di quelli che muoiono in casa. Un’altra città dove se ne fanno ancora abbastanza è Padova,
non a caso dove Morgagni ha creato la scuola.

Il termine deriva dal greco (autos-stesso e opsia-vista) e letteralmente vuol dire “che vede con i propri
occhi”. Ma più correttamente si definisce: un esame macroscopico (fatto ad occhio nudo) e dissezione di
corpo e relativi organi dopo la morte per determinare le cause, le modalità ed eventualmente i mezzi che
l’hanno prodotta; inoltre per comprovare l’efficacia di una terapia, per chiarire eventuali dubbi che il
medico si è posto mentre il paziente era in vita, per informare le famiglie su possibili malattie genetiche,
infettive e ambientali.

L’autopsia è una pratica messa molto in discussione. Il vero motivo è che da un lato una maggioranza degli
anatomo-patologici non la gradiscono molto, dall’altro le famiglie delle persone defunte non l’accettano.
Inoltre, oggi tra PET, RMN, TAC, esami di laboratorio c’è una mole di dati in possesso del medico curante
che consentirebbe un approccio diagnostico.

Oggi l’autopsia ha soprattutto un’utilità medico-legale. Muore uno, non si sa perché e il giudice predispone
l’autopsia. Il 90% dei famigliari di pazienti morti in ospedale denuncia la struttura e si fa l’autopsia.

Nei paesi un po’ più acculturati l’autopsia ha ben altro scopo: è il migliore indicatore della qualità
dell’assistenza fornita.

Se viene ricoverato un soggetto di sesso maschile di 90 anni per tosse, si fanno tutti gli accertamenti
possibili ed immaginabili e si vede un nodulo polmonare interpretato come ascesso che giustifica la febbre
elevata ed altri sintomi, un’aorta dilatata per aterosclerosi, una prostata ingrandita per iperplasia, il lobo
tiroideo destro più grande del sinistro, costrizione di uno dei forami vertebrali. Il soggetto muore perché ha

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90 anni. L’autopsia, in questo caso, serve per confermare che aveva effettivamente una l’ascesso
polmonare, l’iperplasia prostatica, un nodulo tiroideo, dilatazione aortica. Se il riscontro diagnostico dà la
collimazione tra quanto è stato postulato in vita e quanto osservato post mortem, si evince che quel
nosocomio offre una buona assistenza perchè la forbice tra quello che si era pensato e quello che si è
trovato è stretta. Se, invece, facendo l’autopsia il nodulo polmonare risulta un cancro, il nodulo tiroideo
non c’è, se l’iperplasia prostatica era data da una falsa immagine, il paziente moriva lo stesso, però la
forbice in questo caso è ampissima, e l’assistenza fornita è ovviamente scarsa.

L’esecuzione di un numero di autopsie non elevato fatto a soggetti deceduti in ospedale e assistiti in
ospedale è un indicatore utilissimo per valutare il tipo di assistenza in un dato ospedale. È evidente che
questa pratica imporrebbe una cultura che purtroppo non si possiede, che non è inveterata nelle
popolazioni italiane ed in particolare nelle popolazioni centromeridionali, dove l’autopsia rimane
un’eccezione a meno che non succeda un qualche guaio (per esempio, infezione H1N1).

Esistono due autopsie:

 AUTOPSIA MEDICO- LEGALE : ha lo scopo di chiarire la natura della morte in casi in cui ci sono
implicazioni penali o civili, riguardanti tanto le cause della scomparsa quanto le circostanze in cui
queste si sono verificate.
È fatta su imposizione del magistrato ed è obbligatoria anche in caso di opposizione dei famigliari. È
una disposizione di legge. Ha anche un significato medico, per esempio se il paziente muore dopo
ricovero in ospedale. In genere viene richiesta l’autopsia se non si sa proprio cosa può essere
successo, oppure in caso di morti violente (sparati, pugnalati, traumatizzati) o per i deceduti a casa
(es. la vecchietta che per sette giorni non rispondeva alla figlia, alla nipote etc. viene trovata
morta). In questi ultimi casi non si effettua sempre l’autopsia ma solo se c’è un sospetto, altrimenti
basta l’esame esterno. Un altro caso in cui si fa l’autopsia è il suicidio anche in questo caso non è
obbligatoria: si fa per stabilire se c’è stato uso di stupefacenti o altre cose da determinare.
Riassumendo, le indicazioni sono:
 Morte immediata di paziente al suo ingresso in ospedale
 Morti violente
 Morti per cause sconosciute o sospette (rientra in questo gruppo il sospetto utilizzo di
stupefacenti)
 Suicidi (se si sospetta la simulazione)

Nelle autopsie medico-legali è sempre richiesta l’epoca della morte., specialmente se si tratta di
morti rinvenuti dopo giorni o comunque di decessi non avvenuti in ospedale dove la data è
annotata sulla cartella

 AUTOPSIA CLINICA (o RISCONTRO DIAGNOSTICO) ha lo scopo di chiarire la causa della scomparsa e


accertare la presenza di circostanze che l’han prodotta, in una parola constatare sulla causa e
valutare se le osservazioni fatte dal punto di vista clinico sono corrette.
Si parla di:
 autopsie perinatali fatte su feti non a termine di peso superiore a 500g e feti a termine fino a 7
giorni di vita;
 Autopsie pediatriche su neonati con più di sette giorni di vita fino a 15 anni
 autopsie dell’adulto

In generale si fanno molte autopsie perinatali perche c’è grande interesse da parte delle famiglie e degli
ostetrici di sapere se ci sono danni di tipo genetico, non necessariamente quelli noti. Con le ecografie oggi
le malformazioni maggiori si vedono, quelle che non si vedono sono le malformazioni minori o piccoli danni
che possono essere evidenziati solo con il procedimento autoptico. Servono per inquadrare una successiva
gravidanza, per stabilire un’affezione placentare o genetica.
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Oggi si parla anche di un’autopsia biochimica, nel senso che si possono ricavare dai tessuti oltre che
indicazioni morfologiche anche valutazioni dal punto di vista biochimico.

La fasi dell’autopsia:

1. ESAME ESTERNO: descrizione delle caratteristiche somatiche, dei fenomeni cadaverici, eventuali
alterazioni dei processi morbosi
Sempre per quel problema di tipo anamnesi, alcune informazioni possono essere ricavate dalla
osservazione semplice: colore cute, presenza di macchie prostatiche e così via.
Per esempio, in un soggetto deceduto nelle ultime 24-48 ore in cui si trova un’abnorme dilatazione
addominale, si può ipotizzare una fermentazione batterica anomala.
2. APERTURA ED EVISCERAZIONE :osservazione e possibilmente documentazione in tempo reale di
organi toracici, poi addominali nel loro insieme,poi scatola cranica. Ci sono varie tecniche: Virchow,
Ghon, Lentille.
3. DESCRIZIONE: l’elencazione sistematica delle alterazioni morfologiche (che si vedono ad occhio
nudo o con l’ausilio di una lente d’ingrandimento) riscontrate con documentazione fotografica a cui
segue una diagnosi anatomopatologica basata su dati macroscopici (diagnosi di probabilità) e
microscopici (diagnosi un po’ più certa). L’ideale in un’autopsia è che il settore abbia un microfono
collegato e che contemporaneamente a quando effettua l’autopsia registri su un supporto
magnetico quello che osserva. Oggi c’è un vantaggio ulteriore con la fotografia digitale. RICORDA:
20% (si può arrivare a 25%) delle autopsie non arriva a diagnosi univoca!
4. EPICRISI: rappresenta l’interpretazione complessiva dell’autopsia e si effettua stabilendo un nesso
logico tra le varie alterazioni morfologiche rilevate. Ritornando a Morgagni, egli vide moltissime
cirrosi e moltissimi soggetti morire per emorragia da varici esofagee, soprattutto notò che le varici
esofagee non si verificavano in soggetti non cirrotici. Si mise pertanto a studiare l’albero portale e
scoprì le anastomosi tra i due circoli.

Esempi in immagini di reperti autoptici:

 l’emorragia sub aracnoidea massiva con un’osservazione alla TAC probabilmente si vede, ma
un’emorragia cerebrale puntiforme in un soggetto che ha una rickettsiosi aggressiva resistente non
è cosi facile a osservarsi senza autopsia; le emorragie puntiformi sono altamente sospette di
encefaliti;

 I famosi mesoteliomi in cui il polmone è praticamente


incarcerato, circondato da una massa fibrosa che è di
pertinenza della pleura che si presenta mostruosamente
inspessita. In questi soggetti sono state trovate le fibre di
asbesto; è questo l’esempio forse più palese di quanto
l’autopsia posso influire sulla diagnosi, sulla prognosi e sulla
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storia della patologia. A Trieste, una cinquantina di anni fa, si incominciò a notare un numero
relativamente più alto di un raro tumore del torace che è il mesotelioma, una cotenna bianca che
circonda e comprime il parenchima polmonare. Non fu
difficile associare la patologia ai lavoratori dei cantieri
navali ed in particolare ai coibentatori che mettevano
l’amianto sopra i tetti dei ponti delle navi per
impermealizzarli, quindi erano quelli che avevano
lavorato con l’amianto, non quelli che avevano lavorato
ai motori o quelli che avevano altre mansioni. L’asbesto
con i suoi filamenti si posizione nella zona sub pleurica e
induce sia carcinoma polmonare sia ed in particolare il
mesotelioma. Il problema è stato anche esagerato: una
lastra di amianto integra non provoca alcun danno. Il problema è se l’amianto viene trattato, cioè
viene sbriciolato. Dove bisogna togliere l’amianto, va fatto con tutte le precauzioni necessarie per
non liberare fibre di asbesto nell’aria. Si preferisce, se possibile, il contenimento, ovvero la
copertura.

 soggetto trovato morto in ambiente manicomiale, verosimilmente suicidio: garza in trachea;

 la teniasi provoca un’anemia massiva (Hb a 5-6 g). È causata da vermi


che si albergano nel tratto duodenale o digiunale e che possono
indurre quadri patologici un tempo noti in Italia. Oggi il
riconoscimento è più difficile perché la patologia è stata per lungo
tempo assente dal nostro paese e sta facendo la propria ricomparsa a
causa degli imponenti flussi migratori dal nord africa.

 leucemia linfatica. Questa patologia nella fase terminale colpisce più


del 50% degli organi e quindi può dare manifestazioni a livello di altri
sistemi. Le patologie date dalla leucemia linfatica si classificano in
dirette e indirette. Per esempio, la leucemia linfatica cronica
danneggia il midollo nella sua interezza. Occupando il midollo finisce
per provocare una perdita progressiva di piastrine e si può così
morire di emorragia gastrica: questo è un esempio di patologia
indiretta.

 ulcere duodenali

in conclusione, quello che bisogna avere ben chiaro è che il processo autoptico ha un senso medico-legale,
un senso di valutazione della qualità dell’assistenza e può avere anche un significato preventivo (per
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esempio, mesotelioma o SARS; per individuare la SARS, infatti, uno dei migliori patologi al mondo, Chang,
partì da prelievi fatti su pazienti con polmonite interstiziale).

RISCONTRO DIAGNOSTICO FETO – NEONATALE


I passaggi fondamentali di queste autopsie sono praticamente gli stessi dell’autopsia dell’adulto, sebbene
l’esame esterno sia completato dalla misurazione di alcuni segmenti corporei e dal loro confronto con
tabelle antropometriche standard relative ad età gestazionale o extrauterina.

Nelle autopsia perinatale sono molto integrati i dati antropometrici (circonferenza della testa, lunghezza
dei segmenti corporei e loro rapporti). Questi sono molto importanti nel caso per esempio di deficit legati a
insufficienza di circolo placentare. Questo ha ripercussioni sullo sviluppo del feto che può avere una
crescita compatibile per esempio con la trentacinquesima settimana pur trovandosi alla quarantesima, con
tutte le conseguenze che ne possono venire.

Indicazioni:

 sospetto di una sindrome mal formativa a trasmissione ereditaria. Non è più la regola perché con
l’ecografia un malformato non nasce più o nasce per volontà dei genitori. Ricerca di malformazioni
“sofisticate”: dotti di Botallo eccessivamente dilatati, malformazione di qualche setto.
 Ricerca di piccole malformazioni: non quelle incompatibili con la vita o parzialmente compatibili, ma
piccole malformazioni che danno piccoli sintomi e quindi un quadro sindromico che può spingere la
ricerca stessa.

Da non dimenticare, inoltre, quando si fa un’autopsia perinatale è di


chiedere cosa si è trovato nella placenta perchè molte delle cause di
una morte perinatale son dovute a danno placentare. La placenta è
uno dei capitoli principi dell’autopsia perinatale.

Alterazione placentare è causa o concausa del 70% delle morti feto-


neonatali.

Va ispezionata la membrana, il funicolo, il disco placentare e va fatto l’esame citologico.

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ANALISI DI PRELIEVI BIOPTICI O DI CAMPIONI CHIRURGICI.
Rappresenta la pratica di tutti i giorni.

Grossomodo questa pratica è nata nel 1860. Il libro cardine è Die Cellular Phatologie di
Virchow pubblicato nel 1858. Egli ipotizzò che per ogni sintomo e per ogni malattia
dovesse esserci una base cellulare. Partendo dal presupposto che di fatto tutte le
malattie avessero come base un danno cellulare, egli cercava tale danno più che
interessarsi alla causa che l’aveva indotto. Sostanzialmente affermava che bisognava
prima individuare il danno e poi da questo risalire alla causa.

Egli affermò che la cellula è l’unita funzionale di tutti i tessuti viventi e che le
modificazioni patologiche sono l’espressione di modificazioni avvenute a livello delle
singole cellule. Oggi questa affermazione sembra banale ma prima di lui nessuno lo
aveva capito.

Proprio in quegli anni gli psichiatri crearono un capitolo che era la medicina organicista contro la medicina
non organicista. La medicina organicista, quella a cui appartengono gli anatomopatologi, afferma che la
malattia è espressione, e quindi deve avere, un danno cellulare. Quella non organicista pone invece che le
malattie possano essere anche date dal contesto, fondamentalmente trova applicazione in campo
psichiatrico. Oggi però sappiamo che ci sono alterazioni morfologiche nell’Alzheimer, nelle schizofrenie,
cioè si è arrivati a trovare che c’è base patologica per quasi tutte le malattie.

Tralasciando questo, Virchow è quello che di fatto ha creato la diagnosi al microscopio, ha dato avvio
all’indagine istologica.

Una delle sue frasi famose, che oggi è tornata in auge, è “i tumori nascono a margine delle infiammazioni”:
oggi sappiamo che la rettocolite ulcerosa, l’ulcera gastrica, le stomiti recidivanti sono tutti fattori
predisponenti all’insorgenza di tumori.

Virchow l’ha creata in Europa ma quella che è la vera patologia diagnostica è di natura americana. La vera
rivoluzione fu l’avvento della Surgical Pathology (patologia chirurgica), ovvero quella patologia che si
applica su pezzi chirurgici o che si ottiene comunque a seguito di una tecnica chirurgica. Si è segnato così il
passaggio da un’analisi esclusivamente retrospettiva su cadavere ad un’analisi prospettica su vivo.
Prospettico vuol dire che si fa diagnosi e intervento terapeutico in vivo, quindi l’anatomia patologica
assume un ruolo dinamico, attivo ed essenziale.

Nel 1890 il dottor Halsted introdusse la mastectomia radicale. L’esame istologico spettava poi al suo
patologo il dottor Luing (che ha dato il nome al sarcoma di Luing). Fu introdotto così l’esame
intraoperatorio.

Mentre in USA la surgical pathology si andava affermando, in Europa si ebbe una stroncatura. La sorte volle
che il nipote del Kaiser Guglielmo e nipote della regina Vittoria, ebbe una diagnosi istologica sbagliata da
Virchow e da un suo allievo. Non gli diagnosticarono un carcinoma della laringe di cui morì. Era una forma
di carcinoma squamoso che si può diagnosticare solo dopo sei, sette biopsie perché è costituita da tessuto
cosi ben differenziato che non si pensa al cancro. Il Kaiser e la regina Vittoria vietarono nelle due nazioni più
avanzate dell’epoca, Inghilterra e Prussia, l’applicazione di metodiche morfologiche e quindi si andò a
traino fino agli anni ’30, anni in cui si ricominciarono a fare, con una certa diffusione, le pratiche bioptiche.

Il gap ha trovato difficoltà ad essere superato e forse solo dopo gli anni ’50 si è andato appianando. Adesso
si può dire che l’intervallo è terminato, ma la tradizione ha lasciato il suo segno.

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Quando si parla di una diagnosi istologica è evidente come sia vero un vecchio detto “sotto il microscopio si
vede ciò che si sa, quello che non si sa non si vede”. Il merito di chi ha scoperto nuove malattie sta proprio
nel fatto che di fronte al nuovo non si è scoraggiato, ma ha cercato di capire cose che non si capivano. Ha
ragione quindi molte malattie sono note con l’eponimo ( la malattia di von Reklinghausen o
neurofibromatosi multipla;la malattia di Paget; il linfoma di Hodgkin; il linfoma di Burkitt).

La diagnosi istologica richiede un metodo di apprendimento e sapere le possibili diagnosi differenziali.


Bisogna riconoscere le alterazioni morfologiche e poi fare la sintesi. Fondamentale è avere una buona
metodologia, che parte da una buona cultura e da buoni criteri tecnici e morfologici.

La diagnosi istologica può fare tante cose: identificare patologia, stadiarla e indicare prognosi.

PROCESSAZIONE
La visita medica si fa con anamnesi, ispezione, palpazione, percussione, auscultazione ed odorazione. Il
metodo in anatomia patologica ovviamente non può prevedere l’anamnesi (nè l’autopsia nè il pezzo
istologico parlano). In teoria dovrebbero parlare i medici che inviano il campione e che dovrebbe essere
correlato dai dati clinici pertinenti all’indagine che vanno chiedendo. Non è sempre così: i dati spesso
mancano o non sono sufficienti.

Poi c’è l’esame obiettivo. Abbiamo la descrizione macroscopica (equivalente dell’ispezione) e la valutazione
della consistenza dell’organo (equivalente alla palpazione). La percussione non si fa. L’auscultazione si fa
nell’autopsia, per esempio si può valutare il crepitio polmonare. Avendo direttamente l’organo non servono
modi indiretti per valutare l’aria nel polmone o il battito cardiaco.

Quindi abbiamo:

 la descrizione macroscopica, si fa quando arriva l’organo o parte di esso fresco. Ma se arriva un


piccolo campione, questo è già fissato.
 Fissazione e campionamento la fissazione è il primo step importante. Per campionamento si
intende l’esecuzione di una serie di prelievi non più spessi o larghi di 3 mm, altrimenti la fissazione
non riuscirebbe bene. Sono tappe tecniche obbligatorie che devono essere fatte bene perche una
buona diagnosi pretende un buon procedimento tecnico e possibilmente anche un buon patologo.
 Pro cessazione e inclusione in paraffina
 Allestimento vetrini (taglio e colorazione)
 Osservazione microscopica
 Diagnosi

OSSERVAZIONE MACROSCOPICA
Gli obiettivi sono:

 Descrivere correttamente ed esattamente il materiale inviato: dimensione del campione,


localizzazione, aspetto, colore, dimensione della lesione ed eventuali rapporti con strutture vicine
 Selezionare dettagliatamente le aree dedicate a studi microscopici (campionamento)

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Facciamo un esempio…..

Arriva un campione dalla dermatologia: Mario Rossi che e nato a…, che fa per mestiere il carpentiere etc.
etc. e che presenta una lesione pigmentata.

Le notizie cliniche sono: lesione pigmentata di natura da determinare.

Nella scheda c’e una parte posteriore nella quale si dice che quella lesione è nata due mesi fa ed e cresciuta
rapidamente oppure ci dice che questa lesione stava là da dieci anni, però negli ultimi tempi e aumentata
fortemente di dimensioni e si è scurita oppure questa lesione stava là da dieci anni, però questo signore se
l’è graffiata e ha perso un po’ di sangue.

Ci sono tre cose importanti:

 nel primo caso questa lesione è nata e cresciuta in due mesi,


 nel secondo stava là da dieci anni, però all’improvviso ha iniziato a crescere,
 nel terzo se l’è tolta per un fatto occasionale.

Dal punto di vista istologico è una lesione pigmentata:

 nel primo caso è un melanoma, forse senza neanche bisogno di andarlo a vedere, perchè una
lesione pigmentata che cresce tanto in due mesi non è benigna, a prescindere.
 Nel secondo caso, se stava là da dieci anni potrebbe essere un nevo in trasformazione, ma non
necessariamente è diventato un melanoma
 nell’ultimo caso è probabile che mi trovo di fronte ad una lesione che era li da vent’anni, non era
successo niente,però se l’è tolto

In tutti i casi si hanno delle informazioni cliniche che possono indirizzare la diagnosi.

A maggior ragione sarebbe importante che scrivessero precedenti famigliari di melanoma per esempio.

Bisogna fare quindi l’analisi macroscopica: losanga cutanea di 4x2,5cm data da una lesione pigmentata un
po’ irregolare. Ha un piccolo promontorio in alto. Non simmetrica.

La lesione è asportata con una biopsia ampia: lesione pigmentata, rilevata, che deforma la silhouette
dell’epidermide. Interessa la porzione più superficiale del derma reticolare, lascia intatto l’ipoderma. Ha
consistenza leggermente maggiore dei tessuti circostanti.

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CAMPIONAMENTO

1. BIOPSIE

Fondamentalmente possiamo avere due tipi di biopsie:

 Escissionale: è asportata tutta la lesione con una rima di tessuto normale (funzione diagnostica e
terapeutica). Si usa per lesioni di piccole dimensioni e lesioni cutanee.
 Incisionale: è asportata solo una parte della lesione (strettamente diagnostica). Si usa per lesioni
grandi o dei tessuti molli. È meno traumatica.

Ovviamente l’utilizzo dell’una o dell’altra metodica va vagliato caso per caso!! È vero che nelle lesioni
cutanee si preferisce l’escissionale, ma è vero anche che se ci si trova davanti una lesione cutanee molto
estesa sulla guancia, anziché sfregiare la paziente,si fa una biopsia incisionale per determinare la natura
della lesione e solo quando si hanno i risultati ci si regola sulla modalità terapeutica.

Il rischio della tecnica incisionale è che si può asportare un pezzo di tessuto non sufficiente per la diagnosi o
un campione che può trarre in inganno. Per capirci si può pensare alla rappresentazione della pizza
margherita. Se di questa prendo un trancio, dico che è una margherita e deduco che è tutta una margherita.
Se,invece, è una quattro stagioni posso comunque prendere la parte con la margherita e dire che è una
margherita, ma margherita non è, perche c’è altro. Il limite è che si può non capitare nell’area diagnostica,
si può rischiare di non fare una diagnosi corretta. Non è un rischio frequente. Oggi questo è parzialmente
superato perchè molte biopsie incisionali o varianti di biopsie incisionali vengono fatte sotto un controllo
visivo, cioè sotto scopia. Inoltre si può fare una mappatura della lesione con prelievi multipli. Questa è la
grande differenza tra escissionale ed incisionale: nell’escissionale ovviamente non si corre mai questo
rischio.

Quindi:

 Biopsia incisionale parte rappresentativa della lesione


Esempio è la biopsia cutanea per punzone. Si prendono delle specie
di trapani cavi e si portano via dei dischi intercute. Si usa sia in
campo oncologico, sia e soprattutto in campo dermatologico non
oncologico. Questo si fa se uno ha una dermatite esfoliativa o
psoriasi o pseudopsoriasi. In pratica si prende una parte del tutto
scegliendo la parte probabilmente più significativa.
 Biopsia escissionale intera lesione
iprefscS

si preferisce dove possibile perché è intervento diagnostico e


terapeutico.

All’incirca fra il 10 e il 15% del materiale che va in laboratorio è


costituito da biopsie cutanee che sono escissionali quando si tratta di
neviche, basaliomi o epiteliomi cutanei e sono invece incisionali in
tutto il campo assai vasto di dermatologia non neoplastica, quindi
quella che è legata agli eczemi, al Lupus, al lichen e via dicendo.

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Una variante di biopsia escissionale è quella endoscopica. Si può togliere un polipo con una specie di cappio
sotto controllo visivo.

Le biopsie si possono classificare anche in:

 Chirurgiche
 Endoscopiche

Le biopsie endoscopiche sono quelle che hanno subito negli anni la più grande ed ampia diffusione. Prima
le biopsie endoscopiche facevano paura. Per es. per la biopsia endoscopica dei bronchi si usava un
endoscopio rigido, un tubo d’acciaio cavo con al termine una lampadina che si infilava proprio come un
mangiatore di spade. Non si muoveva il broncoscopio ma il soggetto per far sì che questo tubo dopo la
trachea entrasse nel bronco. Oggi ci sono i microscopi a fibre ottiche che si muovono con una relativa
agilità. Si arriva ad esplorare anche i bronchi di terzo livello. E lo stesso era per la laringoscopia, la
cistoscopia, le pancreoscopie, le colonscopie, le steroscopie e le uretroscopie. Non solo si fanno su
soggetti adulti, ma tutte queste attrezzature hanno un impiego anche in campo pediatrico, quindi c’è stata
una miniaturizzazione delle attrezzature. Ecco perchè le biopsie endoscopiche hanno subito una crescita
esponenziale e costituiscono dal 50 al 75% del materiale fornito.

Ventimila pazienti che fanno esami istologici arrivano nel reparto del Prof e dieci- dodicimila citologici
all’anno, quindi trentamila all’anno. Sembrano pochi, ma facendo un’osservazione pratica si capisce che
non è così: in Molise ci sono 3 ospedali Campobasso, Isernia e Termoli e la popolazione totale si aggira
intorno ai trecentomila. Posto che si faccia lo stesso numero di esami, di tutti i tipi, ventimila all’anno, in
dieci anni sono duecentomila esami, il che significa che i due terzi della popolazione e soggetta a esami
istologici. Non è proprio così perche molti si fanno più di un esame l’anno mentre alcuni nessuno. Tuttavia
possiamo dire che nell’arco di dieci anni un terzo della popolazione può essersi sottoposta a esame
istologico che è pur sempre una tecnica traumatica rispetto al semplice prelievo di sangue.

L’esame endoscopico è diventato routine nel distretto gastroenterico; poi ci sono le tecniche
laparoscopiche, cioè si può entrare nel mediastino, nelle pleure, nel peritoneo senza più bisogno di fare
aperture chirurgiche. Si possono fare anche biopsie escissionali in endoscopia (x esempio, un polipo si può
togliere anche per via endoscopica con la mucosectomia).

Importante ricordare che le biopsie endoscopiche sono varianti della biopsia incisionale e hanno
determinato negli ultimi anni un aumento esponenziale del numero di biopsie effettuate!!!

N.B. Un vetrino è 2,5cmx10. È evidente quindi che un campione di mucosa gastrica, per esempio, può
essere al massimo di forse 2mm. Nel campione del colon multiplo si fanno 4-5 frammenti da 2mm. È ovvio
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che si vede una parte per il tutto, se il campionamento è fatto male quindi si avrà materiale da osservare,
ma non diagnostico. Più di una volta capita di chiedere una seconda biopsia.

SONO VARIANTI DI BIOPSIA INCISIONALE TUTTE LE BIOPSIE CHE POSSONO ESSERE FATTE PER VIA
ENDOSCOPICA.

Altre varianti di biopsie incisionali sono le biopsie per ago, agobiopsie. Non bisogna confondere le biopsie
con ago con l’agoaspirazione.

È un prelievo eseguito con aghi di “grosso” calibro (14-20 gauge)che permettono di ottenere un
“cilindretto”di tessuto idoneo ad un esame istopatologico. È una metodica di indagine diagnostica elettiva
per alcuni organi come fegato, prostata, midollo osseo e reni (attualmente si estende ad altri organi).

Si infila un ago di grosso calibro cavo, in genere sotto guida ecografica o talvolta TC, in un organo per
prelevare uno o più cilindri di tessuto, cilindretti vermiformi di dimensioni 1x10 mm. Si usa elettivamente in
3 distretti:

 Fegato: se colpito da patologia infiammatoria sarà uniformemente e totalmente coinvolto, allora su


un frustolo di fegato si può fare diagnosi di epatite con caratterizzazione e criteri evolutivi, vedendo
se è già cirrosi. Nello stesso fegato si può fare prelievo su nodulo che può essere primitivo o
metastatico.
 Prostata: la biopsia prostatica si è diffusa probabilmente a causa della forse pericolosa diffusione
del test del PSA che ha dimostrato in una vasta parte della popolazione maschile un’elevazione non
marcata, non totalmente significativa. Tanto per essere chiari si fanno le biopsie per ago fino a 12-
16-24 nella stessa seduta, si chiamano biopsie a saturazione che si fanno nel lobo dx in alto, in
mezzo e in fuori, lobo sx in alto, in mezzo, in fuori, la parte mediana, le parti apicali etc. etc. Si
ottengono tanti vermetti che possono essere messi singolarmente o in cassette di inclusione.
 Rene: non tanto per patologia oncologica quanto per quella infiammatoria.

I vantaggi di questa tecnica sono:

 Relativa scarsa invasività


 Possibilità di riconoscere architettura tissutale e sue eventuali alterazioni (PIU’ IMPORTANTE!)
 Possibilità di eseguire biopsie multiple

Mentre la citologia valuta le mutazioni nucleari e citoplasmatiche legate alla malattia, l’istologia va a vedere
l’architettura tissutale che è più importante in alcuni tumori (per esempio,
quello prostatico).

Un capitolo dove si sta diffondendo è il MAMMOTOME. È biopsia x ago che


si effettua su parenchima mammario.

La BOM è la biopsia osteomidollare, spesso sono biopsie più sottili e servono


per la stadiazione dei linfomi, per la valutazione di eventuali malattie
ematologiche, per il sospetto di una metastasi.

2. CAMPIONI CHIRURGICI

Si ottengono quando si fa una resezione ablativa di una lesione (totale o parziale).

Esempi sono isterectomia, utero esportato per carcinoma, splenectomia, tumore oculare.

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Un pezzo operatorio è rappresentato di solito da un organo intero o da una parte significativa di esso
asportato chirurgicamente a scopo terapeutico (spesso è preceduto da biopsia). Si tratta in genere di
strutture complesse dove è fondamentale osservare l’architettura anatomica e gli eventuali rapporti tra le
varie parti che lo compongono.

Mentre le biopsie vanno sempre fissate, è preferibile sempre che i pezzi operatori vengano inviati al
servizio del laboratorio di anatomia patologica freschi. ovviamente bisogna cercare di farli pervenire nel
minor tempo possibile e nel caso usare il sottovuoto che permette la conservazione per tre giorni. questo
perché la fissazione blocca i fenomeni autolitici ma conferisce una consistenza ed un colore omogeneo
(tutte le parti diventano anelastiche e grigie). Il che comporta l’impossibilità di fare il riconoscimento
macroscopico.

In un rene non fissato si vede bene la corticale, la midollare, l’ilo, si


riconosce l’uretere, si può individuare un nodulo grigiastro- giallastro che
deforma in piccola parte la silhouette dell’organo. In un rene del genere si
possono fare i prelievi (3 prelievi in quello che sospetto essere un tumore
renale, uno che mi fa da ponte tra il tumore e il parenchima renale, una
serie di prelievi o un unico prelievo per vedere se l’ilo e libero dato che
carcinoma a cellule renali è un tumore che va verso la vena renale e la può
trombizzare e proseguire nella cava fino al cuore).

Ripetendo il campionamento consiste nel fare dei prelievi. Le tecnica


organo per organo sono standardizzate e correlate al rilievo
macroscopico.

FISSAZIONE
La prima tappa è la fissazione: la metodica o meglio quell’insieme di metodiche che concorrono a far si che
si abbia un margine quanto più possibile fedele a quello che era in vita di quel tessuto e che non si abbia
alterazione della dislocazione delle sostanze o dei rapporti cellulari fra tipi di tessuto diversi.

La fissazione è una pratica antica. Già l’imbalsamazione è considerata fissazione.


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Serve sostanzialmente per impedire il prosieguo dei processi autolitici, della necrosi, che cominciano nel
momento stesso in cui faccio un prelievo bioptico. Bisogna ricordare, infatti, che come si sottrae la
componente ematica al tessuto automaticamente comincia l’autolisi. Ovviamente l’autolisi non si instaura
immediatamente. Per esempio, il rene viene espiantato e conservato in frigo a 4° fino al giorno dopo
quando è portato in laboratorio. Se ci fossero dispositivi per la messa sottovuoto, la fissazione potrebbe
essere procrastinata. Diverso è il discorso per i piccoli frammenti, in cui il processo autolitico inizia
istantaneamente e quindi la fissazione deve essere immediata.

Ricapitolando:

 Lo scopo è concorrere alla produzione di un’immagine il più fedele possibile alla realtà nelle
strutture istologiche.
 Consiste nell’arresto dei processi autolitici.
 Il tempo utile per una buona fissazione varia a seconda dei tessuti da fissare, poiché diversa è la
loro resistenza a processi trasformativi in rapporto a strutture, ricchezza di enzimi e quantità di
sangue. Si va da tessuti a massima resistenza, come cute, osso e tessuto fibroso,a quelli a minima
resistenza, come tessuto nervoso e mucosa gastrointestinale.

È un passaggio fondamentale perchè una cattiva fissazione è una condanna non solo per il preparato e ma
anche per il medico o il tecnico che non ha fatto una buona fissazione. Se ad un anatomopatologo viene
fuori una biopsia che è stata mal fissata quindi non diagnostica, se è buono scrive che il preparato ha
subito degli artefatti da fissazione (senza dire di chi è stata la colpa) sennò scrive che il campione è in
condizioni subottimali di fissazione. A quel punto se ad es. era un neo che non è più possibile esaminare, il
paziente fa causa non al patologo, ma al tecnico.

Quindi la fissazione è l’unica preoccupazione, soprattutto perché è l’unica fase che può essere fatta anche
al di fuori del laboratorio di anatomia patologica. Si può fare negli studi privati, nelle sale operatorie.

UNA REGOLA PER TUTTI: prima si fissa meglio è!!!

Il tempo della fissazione non deve essere troppo, né troppo poco. La velocità di fissazione in genere è
0,8mm all’ora.

Bisogna sempre tenere in considerazione che il campione va fissato in una quantità di liquido fissativo
adeguata. Ci deve essere un rapporto tra pezzo e fissativo, che di solito è 1:20 ma anche 1:10. Sangue e
liquidi diluiscono il fissativo, i fissativi, quindi, devono essere fatti bene. Questo ovviamente riguarda i
fissativi chimici, che sono per così dire quelli storici. Tuttavia esista anche una FISSAZIONE FISICA.I fissativi
fisici sono metodi più che materiali e sono fondamentalmente o il calore o il freddo.

Il calore è poco usato, l’uso del freddo è essenziale ed è in sostanza la riproduzione in campo medico di
quello che si fa nella conservazione degli alimenti. I cibi surgelati sono fissati per un certo periodo di tempo.
Il principio del congelamento è che si formino dei microcristalli di ghiaccio che di fatto congelano e fissano il
tessuto. La surgelazione impedisce la rottura delle fibre muscolari, impedisce che nel decongelamento se si
sono formati i microcristalli questi non si rompono. Nel congelamento lento si formano dei macrocristalli, si
rompono i filamenti e si perdono le proteine. Il processo deve essere quanto più rapido possibile in modo
da determinare la formazione di MICROCRISTALLI che non rompono le strutture cellulari.

Queste tecniche “a freddo” si usano per due scopi:

1) Le banche di tessuti dove si conservano sangue, derivati, tessuti per future indicazioni;

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2) Si usa il congelamento per le frozen section, per l’esame intraoperatorio, quello che viene fatto facendo
sezioni mentre l’ammalato sta sul tavolo operatorio e quindi deve essere fatto piuttosto rapidamente.

Il congelamento dei campioni nella storia è stato molto importante. L’AIDS fu propagato da uno stuart che
contagiò 950 persone di ambo i sessi. Questo si è scoperto perché la sua compagnia aerea faceva un
prelievo di sangue a tutti i dipendenti. Tali campioni venivano congelati e quindi fu possibile controllarli e
vedere da quanto tempo questo soggetto era malato.

Per completezza, bisogna citare:

 fissazione al calore per esempio in microbiologia con la colorazione di gram. Il vetrino viene
flambato, passato sulla fiamma.
 Se prendete una goccia di sangue e la mettete su uno striscio e la lasciate all’aria quella si chiama
fissazione all’aria.

I FISSATIVI CHIMICI sono diversi; soprattutto nell’Ottocento e in parte nel Novecento moltissimi si sono
impegnati a creare una serie di fissativi chimici.

Possono essere sostanze semplici o miscele di sostanze (fissativi complessi/composti).

In anatomia patologica il principale fissativo è la FORMALINA diluita al 10% e tamponata a pH 7 o un po’ di


più. Il termine “al 10%” è un termine usuale ma non precisamente corretto perché la soluzione madre non
è al 100% ma al 40%. Di fatto, quindi, la fissazione al 10% è una fissazione al 4%.

La formalina è irritante, potrebbe risultare cancerogena. Fissa tutto, però fissa con una certa lentezza
perchè non coagula, non dissolve i lipidi, penetra allo 0,8mm. Fa un processo di reticolazione che è come
una sorta di cristallizzazione all’interno dei tessuti che consente di conservare la forma dei tessuti. Il
problema è che per alcuni tipi di tessuto la formalina non va bene.

Ricapitolando, i vantaggi della formalina sono:

 Non coagula, non dà coagulazione citoplasma


 Non dissolve lipidi
 Ha alta penetrazione (0.8 mm/h)
 RETICOLAZIONE: stabilisce la formazione di ponti aldeidici tra le proteine del tessuto fissandole
nella posizione originale.

In casi di emergenza si può e si deve utilizzare l’ALCOOL. Questo però coagula il citoplasma e dissolve i
lipidi.

I vecchi musei anatomici avevano gli organi messi sotto spirito. Tanti anni fa quando uno veniva operato di
appendicite non si esaminava l’appendice, ma si consegnava l’appendice alla famiglia, come sorta di ricordo
dentro ad una provetta contenente alcool e se se lo conservavano bene rimaneva li.

L’alcool è stato abbandonato come sostanza semplice perchè coatta, disidrata. Il nucleo si coatta, diventa
più scuro perché concentra la sua cromatina e il citoplasma diventa più retratto, si dissolvono le membrane
per dissoluzione dei lipidi. Si formano artefatti da fissazione. Oggi è stato abbandonato, ma in caso di
emergenza lo si usa.

N.B. formalina e alcool sono fissativi ma anche disinfettanti. Ciò non vuol dire, come si riteneva in passato,
che tutti i disinfettanti sono fissativi!!!!

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Il problema è che per alcuni tipi di tessuto la formalina non va bene.

Per esempio, nelle le biopsie testicolari (quelle che vengono fatte per fertilità, non per tumore), bisogna
evitare che la linea germinale (voi vi ricordate esser fatta da spermatogoni di primo e secondo ordine,
spermatociti di primo ordine, spermatociti di secondo ordine, spermatidi e spermatozoi, questa linea e
tenuta insieme da sottilissimi propaggini che vanno dal rivestimento delle cellule di Sertoli che vanno alla
base a cui si attaccano queste cellule) venga a contatto con la formalina. Se io prendo una biopsia del
testicolo e la metto nella formalina le cellule spermatidi e spermatozoi che sono agli estremi in
quell’ambiente acquoso se ne vanno. Allora per fissare una biopsia testicolare bisogna usare un fissativo
più veloce della formalina e che mi impedisce questo distacco. Si usano allora miscele di fissativi.

I tessuti linfonodali vanni fissati in EP5 o in alternativa in formalina, mai in alcool. Alla stessa maniera come
prima si deve fissare un campione del SNC, anche in questo caso si usano miscele di fissativi.

La formalina è un fissativo semplice, l’alcool è un fissativo semplice, gli altri fissativi sono complessi perché
hanno una base di formalina o acido formico (prima si usava l’acido picrico che adesso è vietato). In alcuni
tessuti la fissazione con formalina non è adeguata. Per il 95% dei casi è più che adeguata.

La fissazione in formalina ha le sue controindicazioni. Se un frammento è fissato in formalina e se questa


viene rabboccata, non viene esposta al sole, quindi non si fa evaporare, abbiamo che un prolungato
soggiorno in formalina può interferire con eventuali colorazioni di immunoistochimica.

L’ideale è fissare tra 6 e 24h, fino a 72h succede poco o niente, se dopo 72h avviene una reazione
immunoistochimica non buona ed è possibile che sia legata alla fissazione.

L’effetto della fissazione in formalina purtroppo è che tutto diventa grigio. Ecco il motivo per cui un pezzo
operatorio va mandato fresco, anche dopo 24ore, perché in organo fissato diviene più difficile scorgere
dove fare i prelievi.

Un altro grosso vantaggio però è che la formalina fissa e indurisce, permettendo si fare piccoli prelievi
mirati. È ovvio che se arriva una biopsia di un neo si include in un unico blocchetto, ma se arriva un utero si
fa un campionamento mirato. Ci sono delle procedure standard, ma io nel caso di un utero dove ci sono
leiomiomi (macchie biancastre osservabili) devo fare due prelievi di questi leiomiomi. L’utero in primis è
aperto a libro in modo da vederne la cavità. Si fu il prelievo sia della parete uterina che del leiomioma. Il
campione sarà all’incirca un paio di cm di lunghezza per 3mm di spessore. Il prelievo è multiple e prenderà
la cavità, la cervice, l’ovaio dx e l’ovaio sx. Questo è il campionamento standard. Se si vede qualcosa in più,
per es. una vegetazione polipoide all’interno, si possono fare prelievi aggiuntivi usando i numeri A1-A7.

INCLUSIONE E TAGLIO
Dopo campionamento e fissazione, si deve tagliare questo tessuto. Per quanto si sia indurito non è ancora
in condizioni di essere tagliato perché elastico. Si devono ottenere delle sezioni di 4-6 micron. Bisogna
quindi includere questo tessuto in una sostanza che consenta di fare un blocco che poi può essere portato
sotto il microtomo. Le sostanze che si usano sono la paraffina o resine sintetiche paraffino simili. Si usa la
paraffina perché ha bassissimo gradiente di temperatura, ovvero che è liquida ad una temperatura
relativamente bassa e quindi non danneggia i tessuti ed è solida ad una temperatura relativamente elevata
come quella ambientale. La paraffina è come la cera, ha la caratteristica di fondere ad una temperatura
relativamente bassa (60°) e di solidificare ad una temperatura relativamente alta. In questo modo non
danneggia il tessuto. Il risultato è il blocco di paraffina o blocco di inclusione.

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La prima cosa da fare è svuotare il tessuto di tutta l’acqua che ne costituisce il 70-90%. La tecnica con cui
ciò si ottiene è la disidratazione in alcool. Si fa una scala crescente di alcool che porta via tutta l’acqua. A
questo punto è come se ci trovassimo di fronte una spugna. Se si mette una sostanza in grado di permearne
i buchi, si può creare una stretta integrazione tra tessuto e sostanze che sono andate a solubilizzarlo.

Allora in una prima fase si fa la disidratazione, poi si diafanizza con lo xilolo (un solvente) per renderlo
ancora più pulito nei buchi che si sono creati e infine si fa una permeazione con paraffina a 56°.

Il blocco costituito da paraffina e tessuto permette di procedere al


taglio fatto dall’ “affettatrice” (=microtomo) che darà sezioni di 4-
6micron.

L’inclusione in paraffina, in sostanza, ci dà la possibilità di tagliare a


sezioni di 4-6 micron, ovvero la possibilità di ottenere un
monostrato di cellule.

Una sezione istologica è spessa 4-6 micron. Poiché la cellula più


grande del nostro organismo è il globulo rosso che e 8x2, se faccio
un taglio a 4 micron lo taglio a meta. Lo spessore di 4-6 micron è stato scelto proprio perché permette di
spaccare a metà meta quasi tutte le cellule, quindi di fatto esce un monostrato cellulare.

I microtomi sono diventati sempre più sofisticati ed elettronici, tuttavia mantiene grande importanza la
mano del tecnico. Questa è la limitazione e la fortuna dell’anatomia patologica: l’intervento umano è
ancora indispensabile rispetto ad altre pratiche laboratoristiche dove l’uomo non deve fare altro che
controllare le macchine. In anatomia patologica, invece, l’uomo interviene nell’osservazione, nel
campionamento, nel taglio, nella stenditura delle sezioni che si fa ancora cosi. Anche se si sono potute
automatizzare alcune parti del processo, la cosa più importante resta l’osservazione microscopica per la
diagnostica.

COLORAZIONE

Quindi si include, si tagli, si monta su vetrino e si dovrebbe colorare.

La sezione ottenuto, però, è piena di paraffina. Per poter colorare è prima necessario rimuoverla.
L’eliminazione della paraffina si ottiene con un’altra serie di alcool.

Di colorazioni ce ne sono tante. La colorazione madre, quella di battaglia che si fa nel 90% delle diagnosi ed
è d’orientamento per l’altro 10% è l’ematossilina-eosina. Questa si basa su un principio molto semplice:
l’eosina è un colorante acido quindi va a colorare fondamentalmente i citoplasmi di un colore rosa (la
tonalità è estremamente variabile in base al contenuto in sostanze basiche). È fondamentalmente una
reazione tra sostanze acide e sostanze basiche. Quanto più la sostanza è basica tanto più si colorerà di rosa
scuro. Il nucleo,fatto di acidi, verrò colorato invece da sostanze basiche, ovvero l’ematossilina che si ricava
dall’haematoxylum campechianum. Questa conferisce un colore blu.

In generale i coloranti si classificano in:

 Basici – ematossilina
 Acidi – eosina
 Neutri – giemsa
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 Indifferenti

OSSERVAZIONE MICROSCOPICA

Per osservazione microscopica si intende l’osservazione al microscopio ottico di sezioni traslucide


opportunamente colorate.

Fatti i campioni si può passare al rilievo microscopico. Sarebbe bello


poter passare dal campionamento direttamente all’osservazione, ma non
è cosi. Ci sono tutta una serie di tappe tecniche (viste in precedenza) che
consentono di arrivare ad un preparato osservabile.

Il microscopio ha più o meno lo stesso funzionamento di quello di Hooke.

Al posto della fiammella, il sistema di illuminazione è dato da una fonte


luminosa opposta all’osservatore, il quale guarda all’interno di una
coppia di oculari. Questi oculari hanno di per sé un ingrandimento fisso
(mediamente è x10).

attraverso una serie di prismi, gli oculari permettono la visualizzazione di


quanto si trova sul tavolino portaoggetti, ovvero del vetrino, che viene
illuminato da sotto attraverso una serie di prismi e di sistemi ottici che
condensano e trasmettono la luce.

Il vetrino si può osservare con più obiettivi, cambiabili attraverso una manopola che prende il nome di
revolver di obiettivi. Gli obiettivi possono essere da 4, 10, 20, 40, 60, 100.

La moltiplicazione tra l’oculare che è fisso e l’obiettivo ci dà l’ingrandimento a cui osserviamo.

INGRANDIMENTO METODO INFORMAZIONI


1 Occhio Grandezza e forma tessuti, colore
e dimensione lesioni
<40 Microscopia e dissezione Architettura mucosa, per
esempio, in una biopsia della
mucosa digiunale
25-250 Microscopio ottico Architettura tissutale della cute,
eventuale differenziazione
cellulare e infiltrati infiammatori
250-1000 Microscopio ottico Dettaglio citologico, attività
mitotica, eventuali agenti
patogeni
>1000 Microscopio elettronico Microrganismi

L’aspetto pratico e questo: quando si guarda con piccolo ingrandimento 10x4(=40) o 10x2,5(=25), si ha una
visione panoramica. Avere una visione panoramica di una biopsia cutanea, per esempio, ci fa rendere conto
che su un’epidermide con il disegno di creste e papille c’è un’area rilevata, di colore blu (per una maggiore
presenza di nuclei).

A piccolo ingrandimento si può decidere di andare a guardare un’area piuttosto che un’altra. Si può, per
esempio, vedere meglio la cheratinizzazione o cellule che crescono nell’epidermide o nidi giunzionali.

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Con un ulteriore sforzo si può scendere ancora di più in quell’area perdendo però qualcosa. Secondo un
principio fisico, infatti, aumentando l’ingrandimento il campo di visione si restringe.

L’osservazione microscopica deve sempre partire da una visione panoramica, bisogna mirare dove andare a
guardare e si può fare soltanto a piccolo ingrandimento. Inoltre, molte cellule diventano atipiche quando
vengono viste con il 60 o il 100. Se, invece, vengono viste a piccolo ingrandimento è molto diverso. È una
sequenza logica.

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ESAME INTRAOPERATORIO
Viene richiesto dal chirurgo durante un intervento al fine di porre o di confermare una diagnosi che orienti
il proseguo dell’atto operatorio o di valutare l’adeguatezza del campione. Si usa soprattutto per la
valutazione dei margini chirurgici.

L’esame intraoperatorio è quello che si fa quando l’ammalato sta sul letto. Ha avuto un momento di gloria
estrema all’inizio ed intorno agli anni ’70-80 del secolo scorso. Un poco alla volta si è ridimensionato o
meglio ha cambiato almeno in parte i suoi scopi originali. Questa pratica è nata per fare la diagnosi
benigno/maligno in modo che il chirurgo potesse procedere con l’asportazione. La mammella è stato
l’esempio più clamoroso, ma in realtà si potrebbe fare su tutti i tessuti. La diagnosi intraoperatoria nasce
proprio con Halstad e Luing e la mastectomia radicale. Il chirurgo voleva sapere se si trovava davanti ad un
tumore maligno o benigno.

L’esame intraoperatorio viene fatto per confermare una diagnosi, per consentire un migliore orientamento,
per una valutazione dell’adeguatezza dei margini etc.

Oggi si usa un sistema che mantiene il campione a -20 o -25° . C’è un microtomo dove però il blocchetto di
inclusione viene ottenuto per immersione in una sostanza rapidamente congelante. Si ottiene come un
blocchetto di ghiaccio, un po’ più friabile. Si effettua il taglio con delle lame simili a quelle del microtomo
normale. Quindi, il campione è congelato in un mezzo adeguato, processato con criostato e le sezioni (4-5
micron di spessore) sono colorate con l’ematossilina- eosina.

Questo è un esame che si deve fare in un quarto d’ora. Ne deriva ovviamente che qualitativamente non
sarà eccellente, dal momento che per fare un preparato istologico ci vogliono da un minimo di 24-48 ore ad
un massimo di 72-96 ore. La qualità del preparato istologico contenuto in estemporanea non è la stessa che
si ottiene su un preparato routinariamente processato.

Anche in Italia si è arrivati a fare dei programmi di screening. Si fa la mammografia ad una popolazione
femminile dopo i 30-35anni che permette di trovare delle lesioni sempre più piccole, ovvero lesioni di 3-
4mm. Facendo questi programmi di screening si è scoperto che il numero dei carcinomi in situ è aumentato
dal 5% al 30%. Se questi sono i fatti, quando si asporta un pezzo di alcuni cm di tessuto mammario bisogna
trovare una lesione di 2-3mm e vedere se è in situ o è invasivo. Nelle strutture più qualificate si fa l’esame
intraoperatorio non sul tessuto, ma sui margini per vedere se sono integri o meno, per stabilire a
prescindere se c’è benignità/malignità.

Se prima si esaminavano masse mammarie di 2cm, dove forse non ci voleva neanche l’esame istologico per
capire che era un cancro oggi la sensibilità dell’esame che era arrivata al 99% e scesa al 93% nelle mani dei
più esperti al mondo, quelli del Memorial Hospital di New York. Quindi ha avuto un decremento di
attendibilità, compensato però da un ampliamento delle sue applicazioni perché fondamentalmente oggi
non serve soltanto o solo a fare la diagnosi benigno/maligno, ma guida all’intervento terapeutico.

L’affidabilità rimane buona ma è calata perché le lesioni sono sempre più piccole!

Prima nei carcinomi della lingua si faceva una escissione ( emiglossectomia o una glossectomia totale) che
comportava non solo non parlare, ma anche e soprattutto non mangiare e non deglutire. Oggi si fa una
biopsia conservativa, cioè se ne prende una piccola parte e si fanno una serie di prelievi tutt’attorno per
fare un esame eventualmente intraoperatorio per sapere se quei margini sono liberi.

L’intraoperatoria istologica in alcuni distretti come il SNC non si fa perchè si è visto che la resa tissutale è
scarsa. Quindi sull’esame intraoperatorio bisogna stare con i piedi per terra. Se ne fanno circa 500 l’anno,

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nel caso in cui c’è effettivamente un dubbio diagnostico su una lesione che sia macroscopicamente
evidenziabile. Va fatta soprattutto per la guida all’intervento per l’individuazione dei margini, per accertare
che abbiamo preso tessuto diagnostico da esaminare successivamente.

La diagnosi deve essere sempre confermata da sezioni definitive. Grossomodo l’errore diagnostico del 5% è
ancora accettabile. In campo oncologico, si può avere errore nel senso sia di falsi positivi (si afferma che è
cancro ma non è vero) che falsi negativi (è cancro ma in realtà non c’è). La tendenza in questo 5% sono falsi
negativi, è una questione di prudenza.

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TECNICHE ANCILLARI

Biopsia Pezzo operatorio

Descrizione
macroscopica

Campionamento

Fissazione

Pro cessazione e inclusione

Allestimento vetrini
Microscopia elettronica
Osservazione microscopica
Istochimica

Immunoistochimica

Tecniche ancillari Immunofluorescenza

Citofluorimetria
DIAGNOSI
Biologia molecolare

In sintesi quello che abbiamo fatto fino ad adesso e una valutazione di quello che si può fare di fronte ad
una biopsia o ad un campione operatorio.

RIASSUMENDO: La biopsia deve avere come prima tappa contestualmente una descrizione macroscopica,
ovviamente quando si può fare. Obbligatoria è la descrizione macroscopica del pezzo operatorio a cui fa
seguito il campionamento e contestualmente, o dopo, la fissazione. Dopo c’è una processazione in cui si usa
la paraffina, l’allestimento dei vetrini attraverso il taglio e la colorazione e poi c’e l’osservazione
microscopica. Quest’ultima deve comportare la formulazione di una diagnosi.

Pero è evidente che se è vero che l’ematossilina- eosina, la madre di tutte le colorazioni, consente un
approccio diagnostico in una buona percentuale di casi,diciamo l’80%, nel rimanente 20% dei casi o perchè
si vuole conferma o perchè è indispensabile per fare questa diagnosi si deve ricorrere a delle tecniche
cosiddette ancillari, usate nella diagnostica anatomica.

Queste tecniche ancillari sono:

 La microscopia elettronica
 l’istochimica
 l’immunoistochimica
 l’immunofluorescenza
 la citofluorimetria
26
 l’analisi d’immagine
 la biologia molecolare

Come si son sviluppate e perchè servono queste tecniche è indispensabile sapere.

L’applicazione delle tecniche di microscopia elettronica comincia all’incirca negli anni ’50. Negli anni ’40
nacque l’istochimica e poi nel 1970 l’applicazione dell’immunoistochimica. Poi sono arrvate la PCR, la
decodifica dei MicroArray, la proteomica etc.. Dal 1950 ad oggi il numero dei preparati istologici osservati in
tutto il mondo si è moltiplicato in una maniera esponenziale, siamo passati da 10 a 150, quindici volte di più
anche perché è diventata prassi esaminare pressoché tutto ciò che viene tolto.

ISTOCHIMICA

Le tecniche istochimiche sono delle modalità attraverso le quali si cerca di dimostrare la presenza di
componenti cellulari o di prodotti cellulari intracitoplasmatici ( a dire il vero, anche extracitoplasmatici).

Si possono evidenziare:

 enzimi
 lipidi
 proteine
 GAGs
 Metalli
 Carboidrati

Il vantaggio di queste tecniche è quella di mettere in evidenza strutture particolari.

ESEMPI:

1. Se vediamo un fegato in cui con l’ematossilina- eosina vediamo che ci sta infiammazione, ci sta una
certa fibrosi, ma e una fibrosi che sembrerebbe localizzata intorno alle vene centrolobulari o negli
spazi portali o ancora vene centrolobulari, e ancora portali. Si intuisce che ci sta una specie di
fibrosi e flogosi intorno all’area, ma se noi facciamo una colorazione con il Rosso Sirio che mette in
evidenza la presenza di tessuto fibrotico nell’ambito della cirrosi quelle immagini che si intuivano
diventano immagini complete e potete vedere delle immagini in cui ci sono questi noduli totali o
semilunari che documentano in maniera inequivocabile la presenza di una cirrosi micronodulare.
2. Il Lupus eritematoso, malattia comune causata dalla precipitazione di complessi antigene-anticorpi
a livello della membrana del glomerulo renale e dell’endotelio, da vasculite. Nella forma Sistemica
c’è eritema a farfalla a livello cutaneo. C’è un’altra forma di Lupus, quello Eritematoso Discoide, che
è la forma cutanea localizzata dove c’è la precipitazione di
anticorpi a livello della membrana basale. In fondo il Lupus è
un tipico esempio di malattia da infiammazione
membranosa, anche al di sotto dell’endotelio cardiaco che
con tutta la sua morfogenesi porterà all’endocardite di
Libman-Sacks. A livello cutaneo la colorazione del PAS
documenta questo Lupus Discoide con un ispessimento netto
della membrana basale che è legato proprio al fatto che i
complessi antigene- anticorpo precipitano a quel livello.
Quindi quando noi abbiamo difficoltà nel fare una diagnosi di
27
Lupus Discoide o Sistemico o Cutaneo la colorazione con il PAS può essere di grande aiuto, può
essere efficace.
3. La struttura normale di tutti i vasi prevede che ci sia l’endotelio, la lamina elastica interna, la tonaca
muscolare e l’avventizia. Con l’ematossilina-eosina
queste tre strutture non si vedono alla perfezione,
ma facendo una tricromica si vedrà che la tonaca
muscolare si colora in mattone chiaro, la lamina
elastica in nero (dà anche l’immagine elastica, cioè
quella contratta) e infine l’avventizia appare
costituita in parte da tessuto fibroso rosso e in parte
da tessuto elastico nero. È chiaro che partendo da
questo noi capiremo che tutte le modifiche che si
verificano a livello subendocardico che incomincia
coll’aterosclerosi che stacca i foglietti dell’endocardio, innesca il processo di trombosi, causerà una
riduzione di volume per la formazione di uno pseudo- trombo e d’altro canto il processo andrà a
scardinare la lamina elastica interna e si approfondirà verso la muscolare.
4. Questo allineamento di cellule come se fossero soldati da una parte e dall’altra lo si trova in una
ghiandola. Dentro c’e tutto l’epitelio di rivestimento cilindrico del colon. Il materiale che sta dentro
è apparentemente rosaceo o vuoto e muco. La domanda non è capire cosa c’è nella ghiandola
perchè sappiamo che le ghiandole del colon sono ghiandole mucosecernenti. Bisogna capire cos’è il
materiale all’esterno. Può assomigliare a questo che c’è negli istiociti con un nucleo centrale e
accumulo di questo materiale. Io voglio capire se questo è muco perchè se è muco può significare
qualcosa. Allora posso fare una colorazione Alcian in cui il muco si colora di blu. Questo vi
confermerà che sia il contenuto della ghiandola, sia la porzione che sta fuori della ghiandola è
muco. L’accumulo di muco nella lamina propria di una struttura può significare che vicino c’è un
carcinoma mucinoso che produce muco, ma non ci sono le cellule del carcinoma, quindi ci può
essere un sospetto di una patologia ben più grave di quella che si può apprezzare in questo vetrino,
ma devo dimostrare cos’è.

5. Alla stessa maniera io posso vedere una biopsia cutanea dove vedo
l’epidermide, la famosa rete basket e nel derma un residuo di
ghiandola e poi una popolazione costituita da numerosi elementi
tondi, ovalari ammassati. Sull’ematossilina-eosina non sono in grado
di dire niente su che cosa sono, ma se quel collega bravo che ha
fatto la biopsia mi dice che sospetta una mastocitosi, lesione che si
può vedere nei bambini e negli adulti e che può accompagnare le
leucemie o manifestarsi con una sintomatologia pruriginosa, ed io
faccio un bleu di toluidina quelle cellule che stavano qua si colorano
metacromaticamente in rosso e allora io so che queste cellule sono
dei mastociti e quindi confermo il sospetto diagnostico che mi ha
dato.
6. Questa invece è una istoplasmosi, però con l’ematossilina-eosina io
non riesco a vederli proprio questi istoplasmi, dei corpuscoletti
aggregati tra loro, li posso sospettare. Tenete conto che questi sono elementi linfoidi, poi ci sono in
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mezzo elementi plasmacellulari, ci sono granulociti i cui nuclei si possono confondere anche con
queste strutture, gli istiociti, plasmacellule, fibroblasti, di tutti i generi. In tutto questo caos per
capire che si tratta di istoplasmosi ci vuole la mano di Dio, però se faccio una colorazione col
Giemsa quei piccoli granuli tendono a colorarsi, ma meglio ancora se faccio una colorazione
Grocott (argentica), ma soprattutto se faccio un bellissimo PAS e quelle spore si colorano
magnificamente in rosa mi confermano il sospetto che io tenevo di questa malattia.

7. reticolo di un fegato apparentemente normale. Facendo una colorazione per il ferro si può provare
la presenza di emocromatosi.

8. colorazione tricromica si può fare dei rami dell’arteria o delle vene polmonare e questo mi
dimostra l’ispessimento della parete che si può verificare nei
vasi del polmone che giustificano quei quadri di cuore
polmonare cronico dove c’è difficoltà nello scambio perchè
c’è stato ispessimento della parete dei vasi che si trasmette
fino alle ultime diramazioni. Voi sapete benissimo che la
parete dell’alveolo deve essere di una sottigliezza
straordinaria per favorire lo scambio, quindi qualunque
ispessimento della parete del vaso dà difficoltà dello
scambio gassoso a livello dell’alveolo polmonare.

9. In questo caso si usa la colorazione Ziehl-Neelsen tipica


dei bacilli acido-alcool. Qui in particolare si cerca il
Mycobacterium Avium. Queste colorazioni avevano avuto
un primo periodo di fortuna quando Koch descrisse la
tubercolosi, ma hanno trovato la loro gloria quando ha
esordito l’AIDS perchè molte infezioni in aggiunta all’AIDS
erano mantenute dal Mycobacterium Avium e da
Mycobacterium Terrae. Di micobatteri ce ne sono diversi:
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quelli marini che danno un’infezione che caratteristicamente colpisce il braccio dallo mano fino al
gomito; quelli tubercolari; il Mycobacterium bovis che dà la tubercolosi da latte, sconosciuta dopo
la pastorizzazione, ma esistente dove si consuma il latte non pastorizzato; micobatteriosi atipiche
cosiddette che danno spesso localizzazioni cutanee; il Mycobacterium Leprae che dà la lebbra. E
queste sono le colorazioni istochimiche.
10. Tra le sostanze più indagate, spesso invano, abbiamo i depositi di amiloide, tipici delle amiloidosi.
Le amiloidosi rappresentano una spia di un processo degenerativo che possiede molte origini, ma
un'unica fine morfologica, cioè la formazione di una sostanza ialina. I depositi di amiloide possono
essere evidenziati in maniera aspecifica utilizzando la colorazione ematossilina-eosina, che li tinge
di un rosa chiaro. Per mettere però meglio in evidenza questi depositi, bisogna andare a colorare il
tessuto con un particolare colorante: il rosso Congo. I depositi di amiloide assumeranno così un
colorito rosso pallido. Ciò non basta però. Potremmo confonderci con sostanze pseudoamiloidi,
ovvero sostanze ialine di vario tipo che si accumulano nei tessuti. Per distinguere un'amiloide da un
deposito di pseudo amiloide allora si effettua l'osservazione al microscopio a luce polarizzata.
Questo tipo di microscopia sfrutta il fenomeno di diffrazione della luce attraverso un prisma. Se il
deposito che stiamo osservando è davvero amiloide, le placche saranno visibili con un disegno
caratteristico, come un cielo stellato che
si colora di verde e di giallo. Solo in
quest'ultimo caso si potrà fare diagnosi di
amiloidosi. Ci sono diverse malattie dov'è
presente l'amiloide. Ormai si parla di 7-8
tipi. Ad ogni modo, l'amiloide
rappresenta l'esito di processi
degenerativi, tant'è vero che si ritrova
anche in alcune patologie come il morbo
di Alzheimer. Oggi quando si sospetta la
presenza di amiloide, si effettua una biopsia a livello del grasso periombelicale poiché si è visto che
il 30% - 50% dei soggetti portatori di amiloide presenta l'accumulo proprio nei vasi e nello stroma di
questo distretto.

IMMUNOISTOCHIMICA
L’immunoistochimica consente di identificare e localizzare specifici
antigeni tessutali in preparazioni istologiche, citologiche e liquidi sierosi.
Sfrutta l’immunoreattività degli anticorpi verso uno specifico antigene in
associazione ad un sistema di rivelazione di tipo colorimetrico.

La tecnica è nata intorno agli anni Settanta. Quando nacque, c'erano


solamente 6-7 lavori che ne parlavano. Poco dopo, si pubblicavano in
media da 0 a 20 lavori all'anno. Oggi se ne fanno non meno di 10/20 mila
all'anno, sempre accompagnati dalla diagnosi immunoistochimica; tant'è
che oggi la pratica è diventata routinaria e indispensabile.
L'immunoistochimica ha un valore enorme nella diagnostica istologica perché consente di identificare
strutture e antigeni tissutali in preparazioni istologiche, citologiche, nei liquidi e un po' ovunque. Con le
colorazioni istologiche normali si evidenziano il nucleo, il citoplasma, sostanze particolari e strutture
normalmente esistenti. Se però si vuole identificare l'istogenesi di una lesione, cioè da dove viene,
soprattutto se si parla di una lesione neoplastica, con le colorazioni ci si può fare solamente un'idea
generale. Il nostro scopo è di sapere se un tessuto patologico è epiteliale, mesenchimale, linfoide, nervoso.
(RICORDA: Per patologico si intende un tumore che ha perso la capacità di differenziare; spesso si parla di
anaplasia, che implicitamente vuol dire assenza di differenziazione - vedremo che questa definizione è in
30
realtà scorretta). Se un tumore non è differenziato, per capire da dove viene, si può disporre una batteria di
immunoistochimica con la quale si utilizzano anticorpi rivolti contro antigeni tissutali. La reazione antigene-
anticorpo che si viene a verificare, dimostra l'esistenza dell'antigene.

Supponiamo di avere un tumore a piccole cellule come il sarcoma. I sarcomi si dividono in quattro tipologie:
a piccole cellule, a grandi cellule, a cellule fusate e a cellule pleiomorfe. Se però mi trovo di fronte a un
tumore con piccole cellule linfocito-simili potrebbe essere: un linfoma (cioè fatto di elementi linfoidi); un
sarcoma (es. sarcoma di Ewing); un melanoma a piccole cellule; un carcinoma a piccole cellule; un tumore
neuroendocrino a piccole cellule. Abbiamo almeno 5 possibilità, forse qualcuna in più.

Prima si poteva dire: è un tumore che sta nell'osso, è di un ragazzo giovane, quindi è probabile che si tratti
di un sarcoma di Ewing. A questo punto per convalidare l'ipotesi si faceva una colorazione con il PAS. Anche
nel caso in cui essa risultasse positiva, non si aveva la certezza assoluta della diagnosi. Adesso,
approfittando di questa tecnica, si può iniziare una specie di algoritmo. Tenendo presente che il tumore
può essere epiteliale, mesenchimale e linfoide, possiamo trovarci in diverse condizioni:

1. Se un tumore è epiteliale, come tale deve esprimere le citocheratine, costituenti base del
citoplasma delle cellule dell'epitelio. Si effettua dunque una reazione contro le citocheratine.
Contestualmente si fa una reazione contro la vimentina, che è il costituente stabile tissutale del
mesenchima e LCA (antigene leucocitario comune) che è un costituente stabile delle cellule della
linea linfoide. Esce positiva la citocheratina: allora è un CARCINOMA. Può uscire anche positiva la
vimentina, non cambia. Uscirà negativo però LCA. Questo non basta: bisogna capire che tipo di
carcinoma è. Per esempio può essere un carcinoma neuroendocrino. Continuerò e farò i marcatori
dei tessuti neuroendocrini che sono: sinaptofisina e cromogranina, comuni a tutti i tumori
neuroendocrini e a tutti i tessuti neuroendocrini. Prendiamo ad esempio le insule pancreatiche:
sono tutte positive. Man mano allora si definisce il quadro clinico.
2. La citocheratina è negativa, la vimentina può essere uscita positiva, è uscito positivo l'LCA. Allora è
un TUMORE DELLA SERIE LINFOIDE. Non è finita. Adesso si deve stabilire se è di tipo B, T, nullo ecc.
Sempre attraverso una serie di reazioni istochimiche si arriverà a una di queste definizioni.
3. La citocheratina è uscita negativa, l'LCA è negativo, è uscita positiva la vimentina. Allora può essere
un SARCOMA. Si faranno un'altra serie di marcatori es. S100, CD99. Se esce positivo l'S100 è
probabile che sia un melanoma a piccole cellule. Per dimostrare che è un melanoma si fanno altri
marcatori specifici.

Con una sequenza antigene anticorpo si può arrivare così a una diagnosi. Questo può essere fondamentale
nello studio delle metastasi e nell'etichettatura di un tumore perché è ben diversa la terapia che si fa per un
carcinoma neuroendocrino rispetto a un linfoma a piccole cellule, a un sarcoma dei tessuti molli ed altre
cose. L'istochimica è fondamentale inoltre per trovare una terapia adatta. Man mano che si va avanti,
l'immunoistochimica ha cambiato le sorti dei tumori.

Nei carcinomi della mammella, che sono il primo tumore nel sesso femminile, non è possibile fare una
diagnosi che non dica che ci sono i recettori per gli estrogeni, quelli per il progesterone, l'indice di
immunomarcatura e il famoso fattore di crescita NEU. Dire solamente che è un carcinoma duttale
infiltrante equivale a non dire niente.

ESECUZIONE : La tecnica avviene grazie a una reazione del tipo antigene-anticorpo. Una delle tecniche
che si usava in precedenza era rappresentata dall'immunofluorescenza. Anch'essa prevede la reazione
antigene-anticorpo, ma presenta due limiti fondamentali:

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1. L'immunofluorescenza si applica a
tessuti freschi, cioè non fissati. In
anatomia patologica, però, si lavora
sempre su materiale fissato.
L'immunoistochimica quindi
rappresenta una tecnica molto più
utile poiché si esegue su campioni
fissati e inclusi in paraffina. Addirittura
con l'immunoistochimica sono stati
studiati preparati di campioni degli
inizi del Novecento. Il motivo è molto
facile: se l'antigene si è conservato,
l'anticorpo è in grado di legarsi.

2. L'immunofluorescenza è fugace
perché la reazione con fluorocromo
dura per poco tempo. La reazione che
si viene a creare è quindi instabile,
cioè non si conserva sul vetrino.
Bisogna pertanto fotografarla poiché,
se non lo si fa, non si possono aver
prove di quello che c'era.

Nell'immunoistochimica non si predilige una reazione cosiddetta diretta (cioè in cui i reagenti sono
rappresentati unicamente dall'antigene e un solo l'anticorpo) poiché il segnale emesso è in genere
estremamente debole (non si vedrebbe all'immunofluorescenza). Si preferisce pertanto il metodo
indiretto: un anticorpo primario si lega all'antigene, dopodiché si introducono più anticorpi secondari. Essi
si legano all'anticorpo primario e polimerizzano. Gli anticorpi secondari possiedono un colorante che può
essere evidenziato tramite appositi sistemi di rilevazione.

La tecnica che attualmente viene adoperata si basa sul fatto che il legame antigene-anticorpo viene
associato ad una reazione di amplificazione attraverso il sistema avidina-biotina. Quindi, anche se si hanno
poche copie di antigene, o perché la cellula era indifferenziata, o perché si è avuta una perdita di
informazione nel processo di fissazione, con l'amplificazione di segnale il tutto viene messo meglio in
evidenza. Generalmente, il sistema avidina-biotina-perossidasi è quello che viene maggiormente utilizzato.
Queste procedure, che prima erano empiriche e manuali, oggi vengono eseguite da macchine predisposte
dal personale. Queste controllano strettamente la temperatura: possono mantenerla costante o
aumentarla se necessario. Il sistema di amplificazione più usato, infatti, è proprio il calore. Esso provoca un
rilascio della struttura tissutale smascherando piccole quantità di antigene contenuto nelle cellule. Ciò
rende possibile la reazione.

APPLICAZIONI PRATICHE: Questo nell'immagine in basso a sinistra è un follicolo linfoide normale


popolato da linfociti B. Si effettua una reazione immunoistochimica. Per poter evidenziare i linfociti B, si
possono usare una serie di marcatori come il CD20 che è un marcatore tipico. Il centro germinativo si
colorerà di rosso se io userò un sistema di rilevazione basato sulla fosfatasi alcalina (al centro); si colorerà
di marrone scuro se si usa il sistema perossidasi-antiperossidasi (in basso a destra). Entrambe le reazioni
testimoniano che si tratta di un centro germinativo costituito da elementi linfoidi di tipo B. In mezzo a
queste cellule, però, ce ne sono alcune che non si sono colorate: le cellule T. Avrò quindi la controfigura
della reazione. I pochi elementi di tipo T che possono anche essere evidenziati tramite colorazione con CD3.

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Vediamo degli altri esempi. Questo a destra è un
pancreas. Nel pancreas ci sono le insule di Langherans
che secernono insulina, glucagone, VIP, GIP e via
dicendo. Per evidenziare le insule posso fare una
colorazione aspecifica con la cromogranina o la
sinaptofsina, marcatori aspecifici diretti contro le
cellule neuroendocrine. In condizioni fisiologiche, si può
anche evidenziare la componente che secerne
glucagone (ved. Immagine a dx), insulina, GIP o VIP. Se
abbiamo una neoplasia delle Insule di Langherans, uno
dei tanti tumori neuroendocrini, è importante sapere se
secerne o meno glucagone, insulina, GIP, VIP.

Le applicazioni diagnostiche, quindi, sono:

1. Identificazione del PROFILO IMMUNOFENOTIPICO in campo oncologico.


Il profilo immunofenotipico sta a indicare le varie caratteristiche di un tumore. Per esempio questo
è un tumore a piccole cellule, positivo a immunocolorazione con citocheratina, quindi è un
carcinoma. A questo punto si deve fare il suo profilo: positivo a cromogranina e sinaptofisina, quindi
è un tumore neuroendocrino. Teoricamente potrei anche andare avanti, ma ciò quasi mai è
necessario: es. c'è un carcinoma neuroendocrino che secerne glucagone. Tutto questo vale per la
diagnosi differenziale. La diagnosi differenziale però non nasce da una sola determinazione, ma da
un algoritmo che si applica e prevede l'impiego di più anticorpi perché noi non stiamo partendo da
una cellula di cui sappiamo l'origine, ma da una cellula neoplastica. Per esempio: possiamo trovare
un tumore sottoforma di cellule sfaldate in un peritoneo di un soggetto. Come al solito si partirà
facendo una colorazione per la calretinina per vedere se queste cellule sono di origine mesoteliale
e poi si applicheranno tutta una serie di altre indagini. Oltre alla calretinina possiamo ricercare
anche la citocheratina, ma non servirebbe a niente perché le cellule mesenchimali sono
citocheratina-positive; lo stesso vale per l'EMA. Per questo dobbiamo ricercare altre molecole: ad
esempio la vimentina. Infatti, le cellule mesoteliali sono positive per: calretinina, citocheratina e
vimentina. Altro esempio. Un carcinoma nell'ovaio che abbia dato metastasi nel peritoneo
difficilmente è positivo per la vimentina. Posso aggiungere però altri marcatori per l'ovaio come il
VT1.
2. Determinazione dello STATO FUNZIONALE delle cellule neoplastiche.
Purtroppo, oggigiorno c'è una grande diffusione di infezioni da HPV (Human Papilloma Virus).
Proprio per questo, in alcune regioni si stanno varando programmi di vaccinazione. Quando c'è
un'infezione da HPV si va a innescare un processo displastico, quindi di progressiva trasformazione.
Le cellule displastiche, rispetto a quelle normali, sono molto più sensibili ai meccanismi di
proliferazione cellulare. Si identifica la presenza del papilloma facendo una colorazione con un
marcatore della proliferazione cellulare quale ki67. In condizioni fisiologiche, il ki67 sarà limitato
agli stati basali poiché qui ci sono le cellule capaci di attività proliferativa. In una lesione HPV
correlata, questa immunomarcatura per ki67 si estende agli stati superiori perché le cellule che
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hanno proliferato dal basso verso l'alto mantengono capacità mitotiche. Questo consente di dirci se
la displasia è evolutiva o meno, quindi lo stato funzionale. Questo discorso non vale solo per la
cervice uterina, ma anche per i tumori neuroendocrini, per la mammella e in generale per tutti i
tumori.
3. Identificazione di MICROMETASTASI.
Ormai famosa è la tecnica del linfonodo sentinella, cioè quello che viene asportato chirurgicamente
perché è il primo anatomicamente vicino al sito di tumore. Supponiamo di avere un tumore nel
quadrante supero-esterno della mammella. A questo punto si mettono in atto una serie di tecniche
radiologiche mirate ad identificare il primo linfonodo drenante. La logica ci dice che se quello è il
primo linfonodo, cioè la sentinella, è il primo che riceverà o avvisterà le cellule tumorali.
Oggi, per un carcinoma della mammella, ma anche per un melanoma e altre patologie si sta
ipotizzando di rimuovere chirurgicamente solamente il linfonodo sentinella anziché eseguire lo
svuotamento dell'ascella. In particolare, una volta identificato il linfonodo, si va a vedere se al suo
interno ci sono o meno metastasi. Se ci sono, bisogna svuotare tutta l'ascella. Se invece non ce ne
sono, allora vuol dire che la probabilità che questo tumore abbia dato metastasi a distanza è molto
bassa. Per vedere le micrometastasi, che possono misurare 0,2 mm di diametro o addirittura essere
rappresentate da una singola cellula, non basta più la classica ematossilina eosina, ma sono
necessarie anche metodiche immunoistochimiche. Ad esempio, supponiamo di avere un linfonodo
di un soggetto operato di carcinoma della mammella con al suo interno due nidi sospetti per essere
sede di metastasi. Se facendo la citocheratina a parte, cioè un marcatore cellulare usuale, viene
fuori che la metastasi è certa, questo mi consente di procedere nell'iter diagnostico.
4. Individuazione di ANOMALIE D' ESPRESSIONE PROTEICA conseguenti ad un'alterata espressione
genica.
Questo concetto è applicabile ad alcuni, ma non a tutti i tipi di tumore. C'è un tumore raro del
tratto gastroenterico che prende il nome di Gastro Intestinal Stromal Tumor (GIST). È un tumore
non frequente che può trovarsi nello stomaco, nell'intestino, o anche in altre sedi. Il GIST possiede
un marcatore specifico, scoperto dal Prof. Carlo Capello dell'università di Pavia. Si tratta del c-kit. Il
c-kit non solo ci aiuta a fare la diagnosi, ma ci consente anche di effettuare una terapia molto
efficace con una sostanza che si chiama Glivec. Ci sono stati casi di persone con disseminazioni
diffuse del peritoneo per GIST che, dopo essere risultati positivi al c-kit e aver iniziato la terapia
specifica, sono guariti completamente. Purtroppo però, col tempo, i tumori si sono vendicati: molti
di quei pazienti che avevano subito una guarigione totale, nel corso di 10-15 anni hanno sviluppato
nuovamente la neoplasia. La cosa positiva è che il GIST resta sensibile alla terapia. Resta il fatto che
questo è un tumore molto più frequente di quanto si possa immaginare; raro, ma non infrequente.
5. Marcatori prognostici e predittivi
Oggi è impensabile trattare un carcinoma della mammella se non si
conosce il suo assetto recettoriale. Sostanzialmente si vanno a rilevare
quelli che sono i recettori per gli estrogeni, i recettori per il
progesterone ed altre molecole. Tra di esse, viene eseguita di norma
la ricerca per ki67 che ci consente di andare a vedere quanto
proliferano percentualmente le cellule che stiamo studiando.
Successivamente si fa la ricerca per un altro marcatore: il Neu, anche
chiamato Cerb. I peggiori carcinomi della mammella, fatta qualche
eccezione, sono quelli chiamati triplo-negativi. Questa tipologia di
neoplasia risulta negativa ai recettori per gli estrogeni, a quelli per il
progesterone e a Cerb. Sono tumori molto aggressivi perché non
rispondono né alla terapia con gli estrogeni, né a quella con il
progesterone. Cerb, inoltre, rappresenta un fattore prognostico negativo. Tuttavia, chi possiede la
positività per il Cerb (o Neu) può fare la terapia. Si tratta di una delle poche terapie molecolari che
è stata effettuata con grandi risultati. Tutto ciò è identificabile anche attraverso metodi
immunoistochimici.
6. Identificazione di proteine virali nelle cellule infette

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Oggi, una delle cose più interessanti, è che possiamo effettuare delle identificazioni di particelle e
proteine virali attraverso le indagini immunoistochimiche. Per esempio, prendiamo il sarcoma di
Kaposi. Questa è una patologia abbastanza diffusa anche nel sud Italia che si manifesta in corso di
AIDS, ma che è relativamente frequente anche nei soggetti anziani. Nel sarcoma di Kaposi si
manifesta una positività franca per HHV8. Oggi quasi sempre la diagnosi si fa con la sola morfologia,
ma spesso si richiede anche il confronto dei risultati.

MICROSCOPIA ELETTRONICA

L'immunoistochimica ha sostituito quasi completamente un'altra


indagine prima molto in auge: la microscopia elettronica.

Per fare una buona analisi al microscopio elettronico, bisogna saperlo


prima. Infatti, la fissazione dei frammenti per la microscopia
elettronica non viene fatta usualmente in formalina, ma si adoperano
fissativi molto più veloci. La microscopia elettronica va a studiare
sostanzialmente le strutture sub cellulari, che, guarda caso, sono
proprio le sostanze che si degenerano per prime. Se quindi si vuole
ottenere una microscopia elettronica perfetta, si deve fare una
fissazione velocissima. Poiché abbiamo studiato che la formalina fissa
in 0,8-1 mm all'ora, si devono fare dei prelievi piccolissimi della
dimensione di circa 1 mm x 1 mm e usare un fissativo quattro volte
più veloce della formalina. Poiché il fissativo agisce da tutti i lati,
tempo 10 - 15minuti, forse meno, si fissa tutto il preparato. Non
dobbiamo dimenticare però che si tratta di un frammento da 1 mm x 1 mm! Se già vogliamo analizzare un
tumore da 2 cm, allora ci iniziamo a rendere conto delle difficoltà legate alla tecnica. Questo è il primo
problema. Si può aggirare questo problema parzialmente. Dal materiale fissato in formalina si può tentare
una fissazione di recupero ma ciò si può fare solamente per analizzare strutture grossolane, che non hanno
una particolare importanza, che non vengono distrutte. Con la fissazione di recupero, insomma, viene
meno il particolare dell'immagine.

Da ciò già si inizia a comprendere perché l'immunoistochimica abbia avuto la meglio. Supponiamo di dover
distinguere un tumore epiteliale da uno mesenchimale. Facendo l'immunoistochimica con citocheratina da
un lato, e vimentina dall'altro, con 40 euro abbiamo risolto il problema. Volendo utilizzare invece la
microscopia di recupero, per differenziare una cellula epiteliale rispetto a una mesenchimale bisogna
procedere alla ricerca delle gap junction. Le cellule epiteliali infatti si legano tra loro attraverso ponti
intercellulari. Le spine rappresentano quelli più famosi. Con la microscopia elettronica si perdeva molto
tempo a cercare le gap junctions in frammenti da 1 mm. Quindi era processo difficile, lungo e faticoso. Con
l'immunoistochimica è tutto più semplice.

Le applicazioni della microscopia elettronica sono rimaste:

 In alcune forme di biopsia renale;


 In pochissime neoplasie di incerta istogenesi;
 Nelle biopsie dei nervi periferici e muscolari;
 Nelle malattie d'accumulo;

Abbiamo tagliato il campione, colorato il vetrino con ematossilina eosina e l'abbiamo fissato.
Se io volessi esaminare questo vetrino al microscopio elettronico dovrei fare tanti quadratini

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di piccole dimensioni (1x1 mm). Dato che si effettuano sezioni da 2,5 x 10 cm (ved. Immagine al lato), ci
vorrebbero centinaia di quadratini per coprire un'intera sezione. Per lo studio in microscopia elettronica,
ogni campione va tagliato con l'ultramicrotomo; non basta il microtomo perché occorrono delle fettine
sottilissime (0,5-1 micron).

La struttura del microscopio elettronico è molto complessa. Esso è costituito da un enorme tubo
sottovuoto in cui è presente una sorgente di elettroni. Gli elettroni, sparati dall'alto, vanno a cadere sopra
al vetrino e impressionano un'immagine fotografica in bianco e nero che viene rilevata dal computer.

La microscopia elettronica può essere utilizzata nello studio morfologico dei vasi.
Questa è una bellissima immagine di un aorta riprodotta da un sistema di
microscopia elettronica a scansione. Nella microscopia elettronica a scansione
(SEM), al contrario della microscopia elettronica diretta, l'immagine non è
bidimensionale, ma si ottiene una valutazione quasi tridimensionale delle
strutture.

Tuttavia, una delle cose più utili della microscopia elettronica è proprio l'identificazione di virus. In realtà, il
microscopio elettronico viene adoperato per il riconoscimento di strutture subcellulari, quindi si presta
perfettamente a questo scopo. Vi sono state numerose epidemie come la SARS e l'H1N1 in cui le prime
indagini sono state fatte proprio con il microscopio elettronico. Una volta identificato il virus, esso viene
coltivato ed isolato, viene tracciato il profilo immunologico e da quel momento in poi il virus è identificabile
anche tramite semplici rilevazioni laboratoristiche ed istochimiche. Lo stesso procedimento può essere
attuato anche per altri virus come l'HPV8, l'Herpes e l'HIV. Concludendo, noi andiamo ad utilizzare il
microscopio elettronico solamente quando abbiamo un'epidemia da virus non noto.

La microscopia elettronica ha anche altre applicazioni. Possiamo vedere anche i granuli di neurosecrezione
nelle cellule neuroendocrine, ma non conviene perché il procedimento è lungo e dispendioso. La stessa
indagine può essere fatta più agevolmente attraverso metodiche istochimiche. Se ad esempio si aveva il
sospetto che un tumore fosse un melanoma, si andavano a ricercare al microscopio elettronico i
melanosomi. Oggi la diagnosi si fa con l'immunoistochimica, andando a utilizzare l's100, la vimentina o
hmv45. Si risparmia così molto tempo e si ottiene una diagnosi più tempestiva. Il microscopio elettronico,
inoltre, detiene il primato nell'identificazione della discinesia ciliare primitiva.

Tutt'oggi, però, il microscopio elettronico è indispensabile in campi non medici. Ad esempio, si applica a
proposito delle nanotecnologie, nell'ingegneria dei chip, nella costruzione dei componenti di un telefonino,
e così via. La microscopia elettronica qui è utilissima perché consente di eseguire anche le operazioni di
saldatura e di osservazione. Oltretutto, si utilizza anche nella metallurgia per lo studio delle leghe più
resistenti e più leggere.

IMMUNOFLUORESCENZA

La tecnica si esegue utilizzando anticorpi diretti contro antigeni tissutali legati ad un fluorocromo, cioè a
una sostanza fluorescente. La reazione è fugace, motivo per cui questa si fotografa e si conserva.
L’immunoistochimica ha di fatto soppiantato quasi in tutti i campi le tecniche di
immunofluorescenza. Ci sono, tuttavia, delle applicazioni rimaste confinate
all’immunofluorescenza:

 Nelle BIOPSIE CUTANEE, in tutte le malattie di natura bollosa (es.


pemfigo, pemfigoide, dermatite erpetiforme, porfirie cutanee tarde,

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malattie vescicolobollose). Qui l'immunofluorescenza ha l'importante ruolo di evidenziare il tipo di
reazione e il tipo di immunoglobuline (IgG, IgM, presenza di catene κ, presenza di complemento). In
questi casi l’uso dell’immunofluorescenza e in particolare di IgG e IgM permette di valutare la
distribuzione del complemento: sul tetto della bolla, sul pavimento della bolla, nello spessore
dell’epitelio che sta sopra la bolla, nello spessore dell’epitelio che sta affianco alla bolla e con tutte
altre varianti consentono di poter fare una diagnosi tra malattie che sono molto simili tra di loro
qualche altra.
 BIOPSIE RENALI, perché la maggior parte delle patologie renali non
neoplastiche non degenerative sono su base autoimmune. Pensiamo ad
esempio al lupus eritematoso sistemico. L'immunofluorescenza si fa
quando si vuole mettere in evidenza un glomerulo malato. In questa
immagine si può vedere la differenza tra la colorazione istologica del
glomerulo, che ne mette in risalto il tessuto fibroso, colorato di rosso a
confronto con l'immunofluorescenza. Nella prima immagine si
evidenzia una componente glomerulare fortemente fibrosa con scarsa
componente cellulare. La componente fibrosa assume aspetto ialino. Se
il glomerulo si evidenzia con l'immunofluorescenza, allora vuol dire che
è avvenuta la precipitazione di una reazione antigene-anticorpo lungo
tutta la membrana basale. Questo aspetto può essere evidenziato anche
con il PAS. Con l'immunofluorescenza la reazione è più bella, ma fugace.
 PATOLOGIE DI NATURA IMMUNITARIA.

Limiti dell’immunofluorescenza:

 Bisogna avere un microscopio a immunofluorescenza che ci consente di leggere il segnale


luminoso.
 L’immunofluorescenza non è eterna. La reazione si perde perché il fluorocromo ha una sua vita.
Per questo la reazione è paragonabile ad un bel fuoco d'artificio. La luce dura solamente pochi
secondi: per conservare la documentazione bisogna fotografarla.

TECNICHE D'IMMAGINE

L'analisi d'immagine, sia statica che dinamica, è basata su tecnica spettrofotometrica rielaborata al
computer. Essa consente la fine valutazione oggettiva delle caratteristiche morfometriche cellulari
(perimetro, area, regolarità di profilo, etc.) e la misurazione del contenuto nucleare di DNA (DNA-ploidia),
nonché della frazione proliferante cellulare (fase S). Tutti questi parametri possono essere utili nella
valutazione del comportamento biologico delle neoplasie.

Le tecniche di immagine sono state in auge per molto tempo. Si partiva dal presupposto che mediante
questo tipo di tecnica si potesse misurare il contenuto di DNA delle cellule. Una cellula maligna infatti, non
ha necessariamente un corredo anaeuploide ma all'interno del tessuto tumorale ci può essere un
guazzabuglio di cellule: euploidi, anaeuploidi, poliploidi. L'analisi tissutale cerca di essere applicata
attraverso dei sistemi computerizzati per calcolare il diametro, il contorno cellulare, la densità dei nuclei
cellulari e così via. Da questo si estrapola un diagramma che ci dovrebbe dimostrare la presenza di una
popolazione monoclonale o policlonale.

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CITOFLUORIMETRIA

La citofluorimetria è un'analisi di immagine non statica che ha avuto un notevole sviluppo con
l'applicazione di tecniche computerizzate. Essa consente l’analisi di popolazioni cellulari complesse
attraverso la quantificazione contemporanea di numerosi parametri fisici e molecolari della popolazione
cellulare. La cosa importante in questa tecnica, sta nell'utilizzo di campioni vitali che devono trovarsi in
sospensione.

Facciamo il caso di un aspirato linfonodale. Si prende quest'aspirato e le cellule prelevate vengono


suddivise per effettuare varie metodiche d'indagine: una parte di cellule si spalma su vetrino per
l'osservazione microscopica e una parte si sospende dentro un contenitore. Quest'ultima viene
successivamente ripartita in quattro distinti contenitori. Le cellule vengono diluite e poi vengono aggiunte
quattro tipologie di anticorpi (es. CD17, CD19, CD20, non ha importanza). Ciascuna di queste provette poi si
inserisce nel citofluorimetro. Esso è formato da un tubo stretto attraverso il quale le cellule passano
incolonnate una ad una. A questo tubo sono applicati dei sistemi emettenti onde a determinate ampiezze
che colpiscono le cellule e rimbalzano secondo uno schema. Essendo le cellule fluorescenti, questo
“rimbalzo” viene captato da un sistema ottico automatico e viene rielaborato dal computer che stabilisce la
percentuale di cellule in quella popolazione in base a quelle che si sono legate ad un anticorpo piuttosto
che ad un altro. Abbiamo detto che una cellula era marcata con il CD10, una con il CD19, e così via. Questo
vuol dire che le CD10 daranno un segnale, le CD19 un altro, le CD25 un altro ancora e così via. Risultato: si
otterranno un citogramma o un istogramma elaborati dal computer.

Dal diagramma si possono ottenere importanti informazioni.


Si può comprendere se una cellula è follicolare oppure se esse
hanno una restrizione per κ o λ. Lo schema accanto ci mostra
una popolazione policlonale, ciò è legato al fatto che il
linfonodo analizzato non è sede di linfoma. Ciò aiuta
moltissimo a fare diagnosi. Questa tecnica ha applicazioni
limitate, ma in campo ematologico ha un'importanza
rilevantissima. Una grande applicazione è la ricerca dei
linfomi. Attraverso il citogramma, infatti, si possono
evidenziare le diverse popolazioni cellulari. In questo modo si
può stabilire con buon approssimazione se la popolazione è
clonale o no. È importante sottolineare che una popolazione
clonale non è necessariamente neoplastica: è probabile, ma
non è sicuro. Quando facendo l’aspirato ci si trova di fronte a
un tappeto di elementi linfoidi piccoli e monotoni, anche senza grandi atipie, con restrizione per κ elevata,
allora ci si trova di fronte a un linfoma. Bisogna però tener presente che si tratta sempre di tecniche
ancillari cioè che devono fornire un supporto alla decisione finale.

BIOLOGIA MOLECOLARE

La diagnosi molecolare delle malattie e la possibilità di rilevare alterazioni genetiche in modo preciso ha
sicuramente rivoluzionato la ricerca medica. Ormai sempre più tecniche di biologia molecolare sono state
perfezionate anche per l'analisi dei tessuti inclusi in paraffina, aumentando la loro utilità clinica.

Le tecniche molecolari oggi più utilizzate consentono lo studio tanto della struttura che dell’espressione
genica:

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• PCR Analisi del DNA mmm
(per studiare la
• SOUTHERN-BLOT struttura genica)
• IBRIDAZIONE in SITU/FISH
• RT-PCR Analisi dell'RNA (per studiare
• NORTHERN-BLOT l'espressione genica)

Tra queste tecniche, la PCR è la più nota. La più utilizzata in anatomia patologica è l'ibridazione in situ, un
po' meno si utilizza la FISH. Il problema delle metodiche molecolari però è dato dal fatto che esse vengono
applicate al DNA o RNA estratto da un tessuto, ma il tessuto non si vede più. Al suo posto avremo un
diagramma. L'unica che conserva una certa parentela con una struttura organica cellulare è la tecnica di
ibridizzazione in situ o fluorescente (FISH).

La FISH è una tecnica che utilizza sonde di DNA marcate con fluorocromi per evidenziare anomalie
numeriche o strutturali dei cromosomi nei nuclei di cellule isolate o all’interno di tessuti. Le sonde si legano
in modo estremamente selettivo ad alcune specifiche regioni del cromosoma. La FISH può essere eseguita
per vari scopi. Ad esempio, è utilizzata per rilevare anomalie cromosomiche numeriche. Attraverso il
riconoscimento di sequenze di DNA satellite cromosomico aspecifico, la FISH riesce a evidenziare le
sequenze più numerose e quelle che sono delete. La delezione e la traslocazione, a dire la verità, si vedono
con l'esame di anomalie strutturali in cui si utilizzano sonde che riconoscono un locus specifico, e quindi
sequenze specifiche.

Quindi, ricapitolando, si evidenziano:

 Anomalie cromosomiche numeriche vengono evidenziate utilizzando sonde che riconoscono


sequenze di DNA satellite, cromosoma specifiche, presenti in copie multiple in sede centromerica.
 Anomalie strutturali (traslocazioni, delezioni, amplificazioni) vengono evidenziate utilizzando sonde
con sequenze locus-specifiche che riconoscono sequenze presenti in singola copia sul cromosoma.

La fish presenta tutta una serie di vantaggi e di svantaggi:

VANTAGGI LIMITI

elevata sensibilità e risoluzione perdita dei dettagli morfologici

rapidità di esecuzione auto fluorescenza

possibilità di effettuare valutazioni rapido decadimento del segnale


contemporanee di due o più marcatori,
utilizzando sonde marcate con
fluorocromi diversi

Questa tecnica trova molte applicazioni:

• leucemie linfatiche croniche B: trisomia 12 (30%)


• linfoma mantellare: t(11;14)
• oligodendroglioma: del(1p) e del(19q)
• carcinoma mammario: amplificazione del gene HER2 (25-30%)

La terapia molecolare di un carcinoma della mammella HER2 positivo viene tra i 20 e i 40 mila euro a ciclo e
se ne fanno diversi cicli. Per iniziare i cicli bisogna essere certi che quella signora abbia il Neu altrimenti la

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terapia è inutile. Quando si fa l'approccio, per prima cosa si fa una determinazione immunoistochimica di c-
erb e si determina un punteggio, uno score che va da 0 a 4:

 SCORE 0: il soggetto non ha alcuna positività della membrana citoplasmatica al Neu. Non si effettua
alcun tipo di terapia.
 SCORE 1: c'è una leggera sensibilità di membrana. Non si effettua la terapia.
 SCORE 2: la positività di membrana non è spiccata. Dopo la determinazione istochimica, si effettua la
FISH e si va a vedere se c'è amplificazione del segnale. Nel caso esso ci sia la paziente viene sottoposta
alla terapia, se non c'è amplificazione, invece, essa non viene ammessa ai cicli di trattamento.
 SCORE 3: spiccata sensibilità di membrana al Neu. La paziente è immediatamente ammessa al
trattamento.

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CITOLOGIA
La citologia è lo studio della singola cellula, non organizzata a formare un tessuto.

E’ definita come un’arte e una scienza perché ci sono dei parametri precisi da rispettare per fare una
diagnosi cito-patologica. Ma la rigorosa osservanza di questi parametri spesso da sola non basta perché
nella formulazione di una diagnosi c’è una quota di indefinito, di non quantizzabile che è sintesi
dell’esperienza dell’osservatore, della sensibilità di chi osserva, di una serie di percorsi visivi già fatti ma che
non sono esprimibili. Ci sono degli strisci dei campioni citologici assolutamente negativi in cui nessuno dei
parametri di cui parleremo sono presenti, eppure non c’è niente di oggettivo ma qualcosa non convince: è
una sensazione non spiegabile. Analogamente ci sono dei casi che sembrano francamente neoplastici ma
c’è qualcosa che non convince; quindi facciamo altre indagini e spesso arriviamo a conclusioni
assolutamente diverse da quelle di partenza.

Ruolo citologia:

1. identificazione delle cellule: la citologia è chiamata a distinguere tra benigno e maligno. Questo
non è il compito più difficile perché di solito le cellule hanno un aspetto così bizzarro ed anomalo
per volume e forma da essere riconosciute facilmente sullo striscio, difficilmente passano
inosservate.
2. Identificazione delle lesioni. Il processo di tumorogenesi è molto lungo: c’è una fase detta di
induzione che potrebbe durare anche 15-20 anni durante la quale il tumore è come se si preparasse
passando dalla condizione di precancerosi alla lesione precancerosa fino al cancro vero e proprio.
Poi c’è una fase in cui il tumore si manifesta che dura da 1 a 5 anni e infine c’è la fase di
metastatizzazione che dura da 1 a 5 anni. Se sommiamo questi intervalli di tempo ci accorgiamo
che stiamo parlando di tempi lunghissimi. E’ importantissimo andare a cogliere quelle modificazioni
che compaiono nella fase di induzione, vale a dire quando possiamo ancora interferire sul processo
di tumorogensi dal punto di vista terapeutico: questo è molto difficile e costituisce il core della
medicina preventiva. Poiché queste alterazioni sono molto sfumate ci vuole tutta l’esperienza
dell’osservatore per cogliere la diversità rispetto al normale. Una volta che abbiamo identificato il
cancro o una lesione precancerosa la citologia riesce ad osservarla e non solo a definire una
gradazione (lieve, moderata, grave) ma anche la genesi patogena sulla base della sola indagine
morfologica, cioè è possibile visualizzare su uno striscio batteri, funghi, parassiti senza dover
necessariamente ricorrere all’esame microbiologico. Quindi alcuni agenti patogeni sono ben
distinguibili sui preparati citologici.
3. Identificazione di lesioni infiammatorie.
4. Valutazione della storia naturale della lesione. Ogni tumore ha la sua storia. La domanda del
paziente è “quanto tempo mi rimane da vivere?”. Ma questa è una domanda a cui nessuno può
rispondere esattamente perché ci sono troppi fattori tra cui la risposta individuale, l’ambiente ecc
che influenzano il comportamento biologico del tumore. Con la citologia è possibile seguire la storia
naturale di un tumore in quel paziente. Esempio: donna operata di carcinoma della cervice uterina,
con dei semplici pap-test quindi semplici citologici saremo in grado di stabilire qual è la storia
naturale di quel tumore in quella donna per sapere se recidiva, dopo quanto tempo e se dà
metastasi a distanza.

Vantaggi:

 I prelievi sono semplici, poco invasivi e ripetibili.


 Anche economicamente convenienti.
 Ben accetto dal paziente

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 Raggiunge siti inaccessibili alla biopsia. C’è un unico sito dove l’istopatologia e la citologia si
fondono, un unico organo che poi vedremo qual è
 la rapidità. La processazione dei campioni per l’istopatologia è lunga e richiede dei tempi
tecnici. Normalmente le risposte si consegnano dopo 15 giorni anche se in realtà i tempi effetti
sono più brevi: 24-48ore per la maggior parte dei campioni e 4-5 giorni per i pezzi operatori e i
campioni più grandi. Questo scarto di tempo è dovuto al fatto che i laboratori di anatomia
patologica sono di solito centralizzati, con le sale operatorie e con i reparti. In teoria ogni
giorno in tutte le sale operatorie alla fine di ogni intervento chirurgico il campione fresco
dovrebbe essere portato in anatomia patologica ma di solito la consegna è lenta, spesso
bisettimanale. Ci sono molti tempi morti, dopodiché il medico in 4-5 giorni completa l’esame
del campione, formula la diagnosi e il referto viene trascritto al computer. L’interlocutore non
è mai il paziente ma la clinica che ha inviato il campione. I referti giacciono
nell’amministrazione del laboratorio per giorni prima che qualcuno della clinica li venga a
ritirare. A causa dei ritardi a monte e a valle i tempi passano da 4-5 giorni a 15. Lo stato
d’animo di chi aspetta i risultati di questi esami è molto particolare. Nella citologia bastano 2-3
minuti perché il preparato sia pronto per la lettura ed inoltre questi esami possono essere fatti
in posti dove l’istologico non arriva proprio.

Non si fa sempre l’esame citologico perché il compito della citologia è quello di anticipare con ottima
approssimazione (90%) la diagnosi sovrana e l’unica con valenza medico-legale che è quella isto-patologica.
Se su un Pap-test faccio diagnosi di cancro nessun ginecologo si sognerebbe di fare un’isterectomia sulla
base del mio esame citologico. Si stabilisce l’intervento solo quando la biopsia è positiva. Lo stesso discorso
vale per la radiologia: le diagnosi radiologiche a tutti i livelli sono solo orientative.

Ci sono 2 grossi piloni in cui dividere la citologia: esfoliativa e aspirativa.

- CITOLOGIA ESFOLIATIVA

Studia le cellule che desquamano: può essere spontanea, semi spontanea e provocata.

C’è solo un esempio di citologia esfoliativa spontanea in cui si raccolgono cellule che sfaldano
continuamente ed è l’URINA. In ogni campione di urina ci sono in sospensione cellule uroteliali vitali che ci
consentono lo studio di vescica e ureteri. La cute non va bene perché si tratta di cellule morte.

Molti altri come l’espettorato sono esempi di citologia esfoliativa semispontanea perché sono cellule che
sfaldano ma hanno bisogno di un escamotage (es: insegnare al paziente come espettorare per evitare la
contaminazione salivare).

Infine la citologia esfoliativa provocata è quella che utilizza degli strumenti che facilitano la naturale
esfoliazione, in larga parte questi sono endoscopici (gastroscopia, broncoscopia,…).

Gli endoscopi sono strumenti a fibra ottica, in dotazione in genere questi hanno una piccola pinza da
biopsia usata in un esame bioptico per ottenere le cosiddette biopsie endoscopiche e c’è poi un sistema per
un prelievo citologico che può essere di diversi tipi:

1. washing (lavaggio) consiste nell’introdurre attraverso il gastroscopio/broncoscopio soluzione


fisiologica sotto una certa pressione, sotto questo getto le cellule si sfaldano e poiché nei sistemi in
dotazione dell’endoscopio c’è un sistema a circuito chiuso, il liquido immesso viene poi prelevato.
Quindi immettiamo fisiologica e troveremo fisiologica con cellule sfaldate. Questa tecnica del
lavaggio è poco usata perché la cellularità che si ottiene è bassa, cioè si ottengono poche cellule.
2. brushing o spazzolamento, in dotazione dell’endoscopio oltre alla pinza piccola c’è una piccolissima
spazzola; l’endoscopista fa le sue biopsie endoscopiche poi rotola la spazzolina sulla lesione
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dopodiché pinza e spazzolina rientrano nella guaina e quando lo strumento è fuori dal paziente
questa spazzolina viene srotolata su un vetrino per cui le cellule che vi erano adese rimangono
stese sul vetrino. Questa è la tecnica più utilizzata perché la resa è migliore.
3. C’è anche un’altra modalità di prelievo per la citologia esfoliativa provocata che si fa a livello delle
lesioni cutanee o delle lesioni mucose, per esempio cavo orale. Questa modalità viene detta
scraping che significa letteralmente grattamento. In genere le lesioni cutanee e delle mucose sono
lesioni ulcerate con grossa infiammazione, quindi se andiamo a grattare delicatamente il materiale
che giungerà all’osservazione non è idoneo perché troverò detriti cellulari, necrosi ed elementi
cellulari. Questo è l’unico esempio di citologia invasiva!
Ci sono due criteri irrinunciabili: il paziente DEVE avvertire dolore e la lesione DEVE sanguinare. Il
sanguinamento è importante perché significa che il prelievo è stato fatto a livello di aree vitali
irrorate. Come si gratta? Con il dorso di una lama di bisturi che è affilato ma non tagliente.
Dopodiché si fa uno striscio.

- CITOLOGIA ASPIRATIVA

È detto anche detta ago aspirato o FNAB (acronimo di fine needle aspiration biopsy, biopsia aspirativa per
ago sottile).

L’ago è molto sottile e provvisto di una pistola che serve a creare il vuoto all’interno dello stantuffo della
siringa. Si fa alla mammella, alla tiroide e ai linfonodi. Lo può fare il patologo ma anche il clinico o il
radiologo. L’operatore fissa tra le due dita il nodulo perché mammella, tiroide e linfonodi sono per lo più
organi palpabili. E’ errato pensare che l’ago aspirato serva solo all’aspirazione di lesioni cistiche, si utilizza
anche per lesioni solide. Se il paziente ha un nodulo polmonare periferico esiste l’ago aspirato del polmone
ma deve essere eco guidato. Quando un organo non è palpabile o la lesione è molto piccola la citologia si
esegue in maniera eco-guidata.

Nell’acronimo la B che sta per biopsy spesso è ambigua perché esiste un altro prelievo di tipo istologico che
si chiamo ago biopsia. La differenza tra i due è che l’ago aspirato innanzitutto mammotome =metodica
è un prelievo citologico ed ha modalità di trattamento e tempi di stereotassica per lesioni
processazione della citologia; invece l’ago biopsia porta alla formazione di profonde, è una biopsia
cilindretti, frustoli di tessuto che sono preparati istologici per modalità e della mammella
tempi di processazione. Il calibro dei due aghi è molto differente. Inoltre
mentre l’ago aspirato si può fare in tutti i distretti, l’ago biopsia si fa solo in 4
organi: fegato, rene (più che per indagini istologiche, per motivi funzionali), prostata e midollo osseo (la
biopsia osteomidollare che si fa a livello della cresta iliaca). L’ago aspirato è una tecnica assolutamente
sicura perché come dimostra la letteratura scientifica dato il calibro dell’ago e il vuoto contenuto nello
stantuffo della siringa tramite la pistola è impossibile per leggi fisiche la disseminazione di liquidi.

CARATTERISTICHE CITOLOGICHE MALIGNE

Caratteristiche delle cellule maligne

 N/C aumentato
 grandezza, forma abnormi, con volumi molto superiori o molto inferiori alla norma
 Minore coesività
 Tendenza a conservare la funzione cellulare
 Quadro mitotico atipico
 Nucleolazione
 Variazione della differenziazione cellulare

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Le cellule maligne hanno un rapporto nucleo-citoplasma a favore del nucleo, hanno un nucleo più grande
del citoplasma, nella cellula normale il rapporto nucleo-citoplasma varia da1:4- 1:6. Le cellule maligne
presentano un nucleo più grande del citoplasma, hanno uno spiccato pleomorfismo nucleare con nuclei
abnormi con incisure e si vede molto bene il nucleolo infatti si dice che è prominente. Questo rapporto
arriva a 1 cioè il nucleo si eguaglia al citoplasma e nello striscio saranno visibili e vengono chiamate cellule a
nucleo nudo. Inoltre in base al numero di incisure le cellule possono essere dette a trifoglio ( con due
incisure), a quadrifoglio (con tre incisure). Le cellule maligne tendono a dissociarsi con rischio di
metastatizzazione.

Inoltre le cellule maligne possono avere anche il citoplasma occupato da vacuoli, per cui sono cellule
secernenti cilindriche, quindi tendono a conservare la loro funzione di partenza pur essendo differenziate

Il tumore è una massa che cresce con una proliferazione incessante delle cellule presentano una serie di
mitosi cellulare. Nei tumori possono essere presente delle mitosi a scoppio dove la cellula subisce uno vero
scoppio proliferativo del nucleo. Nella cellule maligne sono presenti più nucleoli che variano per numero
forma e dimensioni e sono per lo più prominenti. All’interno di queste cellule possono essere presenti
pseudonucleoli che non è un nucleolo ma un’ invaginazione del citoplasma sottostante nel nucleo della
cellule maligna che è forato, questa formazione compare nel ca duttale della mammella, ca papillare della
tiroide, glioblastoma multiforme ( più maligno tra i gliomi), melanoma maligno. Tra questi quattro
scartiamo il glioblastoma poiché da raramente metastasi e il ca duttale della mammella in quanto la
diagnosi è piuttosto agevole. Ritrovare una formazione metastatica linfonodale con il pseudonucleolo in
questi due casi non sono utili per diagnosi differenziale.

Per il melanoma : va in diagnosi differenziale clinicamente con un neo, esistono dei melanomi apigmentati,
oppure melanomi che crescono sotto il letto ungueale, a livello del cuoio capelluto, e danno metastasi ma
non vengono trovati. Il ca papillare della tiroide può dare una metastasi linfonodale dieci anni prima della
comparsa del tumore. (IMPORTANTE!!!).

La conoscenza di eventuali reperti patologici è importante per fare una corretta diagnosi, infatti nel 30% dei
casi c’è una discrepanza tra ciò che dice il patologo e ciò che capisce il clinico. Inoltre è importante la
corretta compilazione delle schede di accompagnamento dei reperti istologici e citologici, poiché ci
possono essere eventuali errori di diagnosi. Ad esempio nei pazienti asmatici sono presenti dei reperti
nell’espettorato detti corpi di creola e se la patologia del paziente non viene segnalata all’anatomopatologo
si fa diagnosi di adenocarcinoma.

Artefatti tecnici, qualità del prelievo sono elementi importanti per una corretta diagnosi.

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INFIAMMAZIONE
L’infiammazione è la risposta del tessuto vivente ad un insulto. In particolare, è una risposta che parte
dal tessuto connettivo vascolarizzato. L'epitelio infatti non è vascolarizzato, la risposta viene data dal
connettivo vascolarizzato. C'è un strettissima correlazione tra infiammazione, immunità e riparazione
tissutale.

Il processo infiammatorio è stato descritto in maniera rudimentale in un bambino egizio nel 3000 a.C.
Quattro dei cinque parametri dell’infiammazione (rubor, tumor, dolor, calor) sono stati definiti da Celso nel
primo secolo dopo Cristo. Per l'ultimo punto, cioè la "functio laesa" dobbiamo arrivare a Virchow, nel 1851.

Abbiamo già detto che esiste una stretta correlazione tra infiammazione, immunità e riparazione. E’bene
ricordare che ci sono due tipi di immunità:

1. Immunità innata (o naturale)


2. Immunità adattativa.

L’immunità innata è la prima che interviene, è sempre disponibile. È importante ricordare gli elementi di
questo tipo di immunità:

1. Barriere fisiche (cute, epiteli che rivestono le mucose);


2. Cellule capaci di attività fagocitica (i macrofagi);
3. Sostanze capaci di indurre la lisi dei patogeni

L’immunità adattativa, costituita da meccanismi più evoluti, insorge in un secondo momento,


generalmente quando c’è stato un fallimento dell’immunità naturale. I costituenti dell’immunità adattativa
sono: i linfociti B e T.

Vi sono due tipologie di cause infiammatorie:

1. CAUSE ESOGENE: traumi meccanici, cause fisiche (es. temperatura, radiazioni), chimiche e biologiche.

2. CAUSE ENDOGENE:

 Ipossia / anossia, cioè il mancato apporto di ossigeno;


 Cause immunitarie, quindi formazione di complessi antigene – anticorpo come quelli che si
formano nelle malattie autoimmuni;
 Sostanze chimiche prodotte dal corpo stesso (es. HCl può provocare lesioni a livello della mucosa
gastrica);
 Prodotti del catabolismo di alcune sostanze (per esempio l’accumulo di cristalli di urato nella
gotta).

INFIAMMAZIONE ACUTA
L’infiammazione acuta è quindi la risposta precoce ad un danno. Può durare da poche ore a pochi giorni ed
è caratterizzata da:

1. Modificazioni vascolari;
2. Essudazione;
3. Migrazione delle cellule.

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L'elemento centrale dell'infiammazione acuta è rappresentato dai neutrofili.

Nell’infiammazione acuta c’è una fase transitoria, che non sempre peraltro è presente, di vasocostrizione,
seguita da una fase sempre presente di vasodilatazione. La dilatazione dei vasi comporta un aumento del
flusso ematico e della permeabilità vasale con formazione di trasudato. In questa prima fase, l'aumento di
pressione non provoca alcuna alterazione della parete vascolare e si ha una fuoriuscita di trasudato,
definito ultrafiltrato di plasma. Nella seconda fase, si ha un'alterazione della permeabilità vascolare. Le
grosse macromolecole proteiche passano attraverso la parete del vaso e il trasudato si trasforma in
essudato. Per convenzione, il trasudato e l'essudato hanno diverso peso specifico definito inferiore a 1012
per il trasudato, superiore a 1012 per l'essudato. Si tratta però di un cut-off assolutamente arbitrario.

La parete di un vaso è tappezzata da cellule endoteliali.


Le cellule endoteliali sono a stretto contatto tra loro,
senza soluzioni di continuo. Tuttavia, le cellule
endoteliali hanno la capacità di contrarsi creando degli
spazi, ovvero delle soluzioni di continuità. Qui passano
le macromolecole proteiche nella formazione
dell'essudato e, successivamente, i neutrofili nel corso
dell'infiammazione al livello cellulare.(Nell'immagine al
lato si può vedere l'aspetto dell'endotelio).

Questa in basso è un'immagine al microscopio


elettronico. È il lume di un vaso e ogni macchia scura che si vede è un globulo rosso. Queste sono due cellule
endoteliali che si sono contratte. La membrana nucleare, assieme a quella citoplasmatica, appare contratta.
Poiché nel vaso erano state inoculate delle particelle di carbone, queste sostanze particolate passano
all'esterno dal vaso attraverso la soluzione di continuità che si è venuta a creare tra le cellule endoteliali
contratte".

Ci sono vari tipi morfologici di essudato:

1. Essudato sieroso composto da poche cellule, ricco in polisaccaridi. Si presenta trasparente, dall’aspetto
molto simile a quello dell’acqua. Si forma nel soggetto affetto da raffreddore in fase iniziale (quando cola il
naso o nelle vescicole cutanee);

2. Essudato catarrale. È molto denso, viscoso e contiene molte cellule. È tipico del soggetto affetto da
raffreddore in fase conclamata.

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3. Essudato siero – fibrinoso. È costituito da depositi di fibrina. Essi si depositano generalmente nel cuore,
in seguito a una pericardite legata a malattia reumatica. Nella pericardite con essudato siero-fibrinoso, su
tutta la superficie del cuore, quindi a livello del pericardio, si depositano fiocchi bianchi di fibrina che vanno
ad incarcerare tutto il cuore. Il muscolo cardiaco assume il cosiddetto "aspetto a pane e burro" perché
sembra una fetta di pane spalmata col burro.

4. Essudato purulento: ricco di pus, come quello di un foruncolo. Il pus è formato da neutrofili e detriti
cellulari.

5. Essudato emorragico, ovvero ricco di sangue.

I NEUTROFILI normalmente si trovano all’interno del torrente ematico, al centro del vaso.
Nell'infiammazione acuta c’è una prima fase in cui questi
neutrofili cominciano a migrare verso la parete del vaso: è la
cosiddetta fase di marginazione. Successivamente, i
neutrofili aderiscono alle pareti del vaso e si ha una prima
fase di rotolamento. Sembra che il neutrofilo rimbalzi perché
si stabiliscono legami blandi con la parete endoteliale.
Successivamente, i legami divengono stabili e si ha la fase di
pavimentazione in cui c'è l'adesione del neutrofilo alle cellule
endoteliali (attraverso proteine come ELAM-1 ed ICAM-1). A
questo punto, i neutrofili devono passare e lo fanno
attraverso lo spazio lasciato libero da due cellule endoteliali
contratte. Si ha appunto quella che viene definita diapedesi.

Durante il processo di migrazione, il neutrofilo emette prima una sorta di


pseudopodo e poi “si tira appresso” il resto del corpo. Questo movimento è legato
a un diverso assemblaggio dei filamenti di actina del citoscheletro. I neutrofili riescono a dirigersi verso la
sorgente del danno attraverso un processo di migrazione unidirezionale che si svolge secondo un gradiente
chimico. Il processo prende il nome di chemotassi. Le sostanze che inducono questo fenomeno sono
componenti batterici, prodotti del sistema del complemento o prodotti del metabolismo dell'acido
arachidonico. La particella, per essere riconosciuta dal macrofago, deve essere opsonizzata. Per cui ci
devono essere le opsonine. Dopodiché, si crea questo legame di tipo recettoriale con l'antigene, avviene
l'inglobamento della particella estranea fonte di danno e questa particella viene poi inclusa nelle vescicole
lisosomiali con la formazione del fago-lisosoma. A questo punto, la particella estranea viene digerita a
livello delle vescicole lisosomiali attraverso meccanismi ossigeno dipendenti o ossigeno indipendenti. I
neutrofili, dopo tutto questo, vanno incontro a morte per apoptosi e vengono fagocitati o dai neutrofili, o
vengono eliminati attraverso i linfatici. Questo tipo di eliminazione spiega perché se un soggetto ha una
tonsillite o un mal di gola presenta un ingrossamento dei linfonodi laterocervicali.

I tipi morfologici dell'infiammazione sono:

 Infiammazione suppurativa: c'è una necrosi colliquativa o liquefattiva dovuta all'azione di enzimi
proteolitici o di germi piogeni. Questi batteri provocano la formazione di pus come quella che avviene
in un foruncolo o in un ascesso.
 Infiammazione sierosa: quando c'è un essudato liquido, come nelle ustioni.
 Infiammazione catarrale. C'è un essudato catarrale con ipersecrezione mucosa a livello degli epiteli.
 Infiammazione fibrinosa o siero-fibrinosa: è una conseguenza della malattia reumatica. Interessa
generalmente le sierose (pericardio, pleura e peritoneo).
 Infiammazione pseudo-membranosa: è una complicanza della difterite. Sembra che si formi una
membrana, ma è solamente un accumulo di muco e di fibrina su tessuto necrotico; cioè non ci sono
epiteli.
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L'infiammazione può avere vari esiti. Si può avere la completa risoluzione quando il danno è lieve. Può
accadere invece che il trauma sia più esteso e che interessi una grossa porzione di tessuto per cui interviene
il processo di organizzazione e riparazione che culmina con la cicatrizzazione. Ancora, si può avere la
formazione di un ascesso cioè un' infiammazione circoscritta da una capsula di fibroblasti e un core formato
da neutrofili e detriti cellulari. Infine, possiamo avere la cronicizzazione dell'infiammazione.

L'INFIAMMAZIONE CRONICA

Essa può essere la conseguenza di un'infiammazione acuta non guarita. L'infiammazione cronica è
contraddistinta da:

 Presenza di cellule mononucleate;


 Distruzione tissutale ad opera dei prodotti delle cellule infiammatorie;
 Riparazione tissutale con neoangiogenesi (cioè produzione di vasi neoformati);
 Produzione di fibroblasti (che portano alla produzione di tessuto connettivo
e alla fibrosi).

L'elemento centrale dell'infiammazione cronica è il macrofago. Al microscopio


elettronico , i macrofagi appaiono con il tipico nucleo ad aspetto reniforme. Le
cellule che compaiono nell'infiammazione cronica sono macrofagi attivati, cioè
sottoposti a una serie di stimoli che si devono presentare in una determinata
sequenza.

Le cellule coinvolte nell'infiammazione cronica sono:

1. GRANULOCITI EOSINOFILI. Su tutti i libri d'istologia c'è scritto che per


riconoscere un eosinofilo bisogna distinguere le granulazioni. Questa
non è la verità; al microscopio non si vede un bel niente. Possiamo
riconoscere gli eosinofili perché hanno un nucleo bilobato. Se il
nucleo è polilobato, cioè composto da tre o quattro lobi, allora si
tratta di un neutrofilo.
2. PLASMACELLULE. Le plasmacellule caratteristicamente si riconoscono
perché hanno un nucleo eccentrico, cioè spostato alla periferia, ed un
citoplasma denso eosinofilo cioè che ha affinità per l'eosina (rosa). Le
plasmacellule caratteristicamente hanno una disposizione della
cromatina che viene detta "a ruota di carro" o "a lancette di orologio".
Le cellule maligne, costituite sempre da plasmacellule trasformate,
costituiscono tumori noti come plasmacitomi. Le plasmacellule non
sono ben definibili sulla semplice colorazione ematossilina-eosina. Per
quanto riguarda le cellule maligne, invece, si può dire solamente che
hanno il nucleo allungato e il citoplasma vacuolizzato.
3. LINFOCITI. Sono cellule con un nucleo rotondeggiante ipercromico. Il
citoplasma è pressochè assente, o meglio, non visibile. Nei linfociti il
rapporto nucleo-citoplasma è vicino all'unità.
4. MAST–CELLS (o mast-cellen o cellule chiare) che producono
principalmente l’istamina. si possono visualizzare meglio se colorate
con il blu di toluidina (colorazione metacromatica). Esse infatti sono
cellule che presentano la caratteristica della metacromasia, ovvero
hanno un citoplasma in cui si possono visualizzare
contemporaneamente granulazioni azzurre e rosse. Questo vuol dire
metacromatico: che riesce a visualizzare contemporaneamente la
presenza di due colorazioni. I tumori maligni che derivano dai
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mastociti si chiamano mastocitomi. Sono tumori rarissimi nell'uomo ma rappresentano la causa più
frequente di morte nei cani (70%), non sappiamo perché.I
5. MACROFAGI derivano dai monociti che, come i neutrofili, sono al centro del vaso. I monociti
vengono richiamati dal torrente ematico, passano attraverso la parete del vaso e si trasformano in
macrofagi. La differenza tra monociti e macrofagi sta non tanto nel fatto che i monociti possono
ancora dividersi, ma nella durata di vita media. Un monocita ha infatti una vita media di ore, il
macrofago vive settimane, addirittura qualche mese. I macrofagi vengono reclutati dai vasi, escono,
si dividono e restano in vita per molto più tempo.

Ci sono due tipi di infiammazione cronica dal punto di vista morfologico: una è l'infiammazione cronica
interstiziale, caratterizzata dalla presenza di elementi infiammatori nello stroma dei tessuti. L'altra, quella
più presente e significativa, è l'infiammazione granulomatosa legata alla presenza di granulomi.

L'eziologia dell'infiammazione granulomatosa è varia:

 Eziologia sconosciuta. Basti pensare ad alcuni casi come la malattia di Crohn o la sarcoidosi.
 Infezioni legate a funghi, batteri o parassiti in senso lato.
 Una particella estranea, sia organica che inorganica. Tra le particelle organiche abbiamo i pollini o le
spore dei funghi; tra quelle inorganiche abbiamo: silice, asbesto, talco, berillio, oli in generale e così
via. Facciamo il conto che si infili nel piede una spina di riccio e non riusciate a rimuoverla. Dopo un po'
si forma un granuloma da corpo estraneo che si organizza intorno alla spina di riccio.

Questo è lo schema che è alla base della formazione dei granulomi. Abbiamo visto che ci può essere un
danno legato a cause organiche o inorganiche. Resta il fatto che l'organismo non è riuscito a digerire
l'agente patogeno. Ciò vuol dire che il meccanismo di infiammazione acuta in risposta al danno non è stato
efficace. A questo punto si forma quello che viene definito granuloma.

 Cellule epitelioidi
Costituito da:
 Linfociti T
GRANULOMA
 Cellule giganti plurinucleate

In realtà, un granuloma è formato da corpi estranei che si legano ai linfociti T. il complesso linfocita T -
antigene attiva i macrofagi. I macrofagi attivati assumono una forma simile a quella delle cellule epiteliali e
vengono chiamate cellule epitelioidi. Assomigliano, ma non sono cellule epiteliali. Nel granuloma, quindi,
noi avremo cellule epitelioidi, Linfociti T in genere posti a mantello (cioè alla periferia dei granulomi) e
cellule giganti. Le cellule giganti sono molto grandi e plurinucleate. Hanno un diametro che arriva a 40-50
micron e possono contenere fino a 50 nuclei. Tra le lesioni granulomatose, quella per definizione più
importante è la tubercolosi.

La prof mostra un'immagine: "Questo è un vaso. Lo si capisce dalle


emazie. Anche per le emazie non pensate di vedere perfettamente la
forma biconcava, ma noi vediamo delle macchie giallo-arancio. Queste
cellule giganti sono organizzate intorno a un materiale amorfo. Amorfo
vuol dire materiale non vitale, ma strutturato. Questo è filo di sutura. Il
filo di sutura, inteso come corpo estraneo, in genere ha una reazione
infiammatoria con la formazione di un granuloma". Nell'immagine a lato
potete notare la presenza di due granulomi.

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DANNO CELLULARE
La cellula è un microcosmo in continua comunicazione con l’ambiente CELLULA
esterno. Tale comunicazione però avviene entro limiti molto ristretti. Se c’è
un danno cellulare, c’è un insulto, la prima cosa che la cellulale cerca di
fare è ADATTARSI.
ADATTAMENTO
Le più usuali forme di adattamento cellulare sono quattro: l’ipertrofia,
l’iperplasia, l’atrofia e la metaplasia.

DANNO

MORTE CELLULARE

L’ipertrofia è l’aumento del volume di un organo o di un tessuto per aumento del volume delle singole
cellule. È tutto l’organo che aumenta. L’esempio classico di ipertrofia sono le masse muscolari enormi,
esuberanti dei culturisti. L’aumento muscolare non è dovuto ad un aumento del numero delle fibrocellule
muscolari quanto piuttosto ad un aumento del volume delle singole cellule che costituiscono il muscolo.

L’ipotrofia o l’atrofia è la diminuzione del volume di un organo per diminuzione del volume delle singole
cellule. Esempio classico è un arto ingessato. Quando si toglie il gesso, l’arto appare ridotto di volume e di
dimensioni proprio perché è diminuito il volume delle singole cellule. Nei pazienti terminali si ha addirittura
una riduzione del volume dei cardiomiociti, per cui tutto il cuore appare ipertrofico- atrofico.

L’iperplasia è l’aumento del volume e delle dimensioni di un organo per aumento numerico delle cellule che
lo costituiscono. RICORDA: sono tutte forme di adattamento cellulare che non hanno niente a che fare con
processi precancerosi, sono adattamenti fisiologici!!! Nel caso di iperplasia però si parla di una forma
fisiologica (per esempio la mammella durante la gravidanza o l’allattamento) ed un forma patologica,
perche può dare un effetto massa che induce patologia (per esempio la prostata aumentando di volume fa
massa e dà dei problemi legati alla minzione come se fosse una patologia, pur non essendolo).

La metaplasia è la trasformazione di un tipo di cellula differenziata in un altro tipo di cellula altrettanto


differenziata. Non ha niente a che vedere con processi precancerosi o con neoplasie.

Esempio classico è quello che si verifica a livello della mucosa respiratoria dei fumatori. A livello dei bronchi
l’epitelio è cilindrico ciliato semplice. Le ciglia servono a rimuovere il muco in cui è imprigionato tutto il
materiale particolato che deriva da agenti estranei e che viene a contatto con i bronchi. Quindi le ciglia si
muovono ritmicamente e consentono l’eliminazione di questo materiale.

Esiste una malattia congenita che si chiama sindrome delle ciglia immobili. È una malattia genetica che
comporta l’immobilità delle ciglia. I soggetti affetti da questa sindrome, sin da piccolissimi, sviluppano
bronchiti recidivanti, poi polmoniti recidivanti fino ad annegare letteralmente in un lago, un mare di muco
perchè non riescono ad eliminarlo.

Il fumo di sigaretta rappresenta uno stimolo metaplastico. A rigor di logica un epitelio monostratificato è
meno resistente di uno pluristratificato. L’epitelio bronchiale reagisce, quindi, all’insulto trasformandosi da
un epitelio delicato ad un epitelio più resistente. È pertanto sempre un epitelio ma differenziato in maniera

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differente. Il problema è che l’epitelio pavimentoso stratificato metaplastico è sprovvisto di ciglia. La
funzione ciliare non è svolta e l’epitelio è incapace di allontanare il muco. Si ha quel ristagno di muco e
quella tosse che tipicamente è legata alle abitudini di vita dei fumatori.

Un altro tipo di metaplasia classica è l’esofago di barrett. L’epitelio esofageo reagisce all’insulto dell’acidità
gastrica trasformandosi in un epitelio cilindrico. Sembra un nonsenso perché si passa da un epitelio
pluristratificato come quello dell’esofago ad un epitelio cilindrico; in questo caso la spiegazione risiede nel
fatto che è un epitelio più abituato ai succhi gastrici.

Diciamo che la cellula si adatta, ma fino ad un certo punto. Se l’insulto persiste, la cellula può essere
danneggiata. Si instaura un vero e proprio danno cellulare.

Esistono due tipi di danno:

1. Reversibile, dal quale si può tornare indietro, cioè una volta che è allontanata la fonte del danno si
ha il ripristino della situazione precedente;si ha una condizione degenerativa;
2. Irreversibile, una condizione di non ritorno. Si instaura quando superato un certo punto non è
possibile ripristinare le condizioni precedenti. Porta a morte cellulare.

Non è ancora noto quale sia il punto di passaggio per cui si va dal danno reversibile a quello irreversibile.
Non si conosce nemmeno il sito biochimico responsabile di questa trasformazione.

Le cause di danno cellulare più frequentio sono:

1) l’ipossia, ovvero la mancanza di ossigeno ad un tessuto. L’ipossia è una conseguenza dell’ischemia.


I due termini vengono spesso sovrapposti, ma hanno significati diversi, una è la causa, l’altra la
conseguenza. Quindi la causa più frequente di ipossia è l’ischemia ma ci sono anche altre cause:
anemie, disturbi circolatori e respiratori, emorragia, intossicazione da monossido di carbonio
(l’emoglobina lega più facilmente il monossido di carbonio, viene trasformata in
carbossiemoglobina e non riesce più a legare l’ossigeno)
2) Agenti fisici:radiazioni, caldo-freddo, traumi, elettricità
3) Agenti chimici: a parte quello che comunemente si pensa possano esser causa di danno chimico
come radicali liberi,farmaci, acidi e basi forti, ci sono quelle che prima venivano catalogate come
sostanze tossiche e nocive, per esempio i veleni, ma qualunque sostanza chimica anche quella
apparentemente più innocua, per esempio il glucosio. RICORDA quando si parla di danno chimico
questo può essere indotto da qualunque sostanza chimica alla concentrazione inadeguata.
4) Agenti biologici: per gli agenti biologici si va dai submicroscopici virus ai parassiti, dagli elminti ai
protozoi, batteri, funghi.
5) Cause immunologiche: C’è il grosso capitolo delle malattie autoimmuni.
6) Cause genetiche, anche qua c’è un’ampia varietà che va da situazioni sindromiche come ad
esempio la sindrome di Down (il bambino down ha un impatto immediato perchè
macroscopicamente e fenotipicamente si vede subito) ad alterazioni genetiche capaci di indurre
danno cellulare in cui c’è per esempio la sostituzione di un singolo amminoacido, come per
esempio nell’anemia falciforme. Il danno genetico, quindi, è quanto mai variabile.

N.B.

La MALFORMAZIONE è un difetto a carico di un organo o tessuto da alterato sviluppo,in genere


congenito.

La ROTTURA, invece, è un danno nello sviluppo di un organo che si è formato normalmente.

La SEQUENZA è un danno che innesca una catena di alterazioni nello stesso distretto.
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La SINDROME è un quadro clinico che deriva dal danno genetico in un organo che innesca una serie a
catena di conseguenze in distretti anche a distanza.
7) Cause nutrizionali: iponutrizione ma anche l’obesità e l’ipernutrizione

DANNO CELLULARE REVERSIBILE


C’è la possibilità di un ritorno.

Le alterazioni morfologiche che interessano l’anatomia patologica che riguardano il danno cellulare
reversibile sono:

 il rigonfiamento cellulare
 la degenerazione grassa o steatosi.

RIGONFIAMENTO CELLULARE

Quando si instaura un danno cellulare di qualunque natura la prima cosa che si verifica è l’aumento della
concentrazione citosolica degli ioni calcio. Questo avviene o perchè entrano più ioni calcio dall’esterno o
perchè se ne liberano di più dai mitocondri. Questa aumentata concentrazione di ioni calcio innesca
quattro sistemi enzimatici che sono:

 le fosfolipasi, cioè degli enzimi che attaccano i fosfolipidi come tali, quindi ci sarà un danno di
membrana;
 proteasi, enzimi che attaccano le proteine sia di membrana sia, e soprattutto, del citoscheletro,
quindi ci sarà alterazione della forma della cellula;
 endonucleasi, enzimi che attaccano il DNA, quindi danno genetico ;
 le ATPasi, enzimi che vanno a degradare l’ATP. La pompa Na+/K+ è una pompa ATP mediata.
Quando c’è un danno cellulare e vengono attivate le ATPasi diminuisce il numero di molecole di
ATP disponibili. Il che significa che la pompa non funziona bene, che aumenta la concentrazione di
Na+ all’interno della cellula e quindi si ha richiamo di acqua. La cellula si gonfia (=rigonfiamento
cellulare). Quindi il rigonfiamento cellulare è dovuto all’azione dell’ATPasi che rendono mal
funzionante la pompa sodio/potassio. In caso di rigonfiamento cellulare possiamo osservare uno
scollamento delle membrane plasmatiche proprio perchè le cellule sono rigonfie ed inizia lo
scollamento, quindi una ridotta adesione intercellulare.

Nel rigonfiamento cellulare si verificano:

 modificazioni macroscopiche: pallore, aumento di peso, turgore


 modificazioni istologiche: vacuolizzazione

Sinonimi per indicare o un aspetto particolare del processo o legati a situazioni eziopatogenetiche differenti
sono:

 Rigonfiamento Torbido: è dovuto a disfunzione mitocondriale


senza che ci sia un danno grave ed irreversibile dell’equilibrio energetico. Si
chiama torbido perchè le cellule sembrano sporche, come rivestite da
polvere. Si verifica quando c’è ipertrofia o
intossicazione.
 Degenerazione vacuolare perchè ci
sono dei vacuoli a contenuto idrico. La causa è l’ asfissia cronica. La
degenerazione vacuolare in genere si descrive a carico di fegato,
rene, cuore;

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 Degenerazione idropica, con cellule piene d’acqua. Si ha per stasi venosa, intossicazione o
infiammazione sierosa (quando c’è quasi esclusivamente ultrafiltrato plasmatico, con poche cellule
e poche macromolecole)

I vacuoli possono essere o molto grandi o intermedi o microvacuoli. Quello che è importante è che l’aspetto
funzionale della cellula è assolutamente conservato. La presenza di questi vacuoli non altera l’aspetto
funzionale della cellula. Sono cellule la cui funzionalità rimane assolutamente integra.

MODIFICAZIONE GRASSA O STEATOSI

È un aumento del contenuto dei lipidi all’interno delle cellule. È dovuta alla presenza di uno squilibrio tra
produzione e mobilizzazione dei lipidi. Il processo di mobilizzazione dei lipidi è un processo estremamente
complesso.

L’organo in cui avviene il metabolismo dei lipidi è prevalentemente il fegato. I lipidi entrano nel fegato
come lipidi ed escono dal fegato come lipoproteine. Questi lipidi possono essere esterificati a colesterolo o
possono formare corpi chetonici. Tutti questi sono una serie di step quanto mai complessi. Basta che ci sia
un’alterazione in uno qualunque di questi step perchè i lipidi si accumulino.

Le la sede principale è il fegato ma si può osservare anche in cuore e


muscolo. Il fegato aumenta di volume, arrivando a pesare fino a 5-
6kg. Un fegato normale è rosso color vinaccia. Un fegato steatosico
è giallo ed è assolutamente unto al tatto. Osservando con un
microscopio ad un ingrandimento di poche volte il colore del fegato
in origine è localmente conservato, ma il parenchima epatico e
completamente scompaginato da questi lipidi accumulati che
conferiscono il colore giallo. L’accumulo dei lipidi appare giallo.
Inoltre al tatto risulta untuoso.

Per quanto riguarda la patogenesi i difetti possono essere moltissimi: ci interessa solo ricordare che
l’alterazione in uno qualunque degli step del metabolismo lipidico può provocare la steatosi. Analogamente
le cause sono varie, da ricordare che quella più frequente è l’alcolismo, inteso come assunzione continua,
costante e protratta nel tempo anche di piccole quantità di alcool. Non ci si riferisce al bicchiere di vino ai
pasti, ma a chi assume anche con continuità dosi ridotte di superalcolici. Sempre più frequentemente si
riscontrano casi di steatosi epatica in soggetti assolutamente giovanissimi.

Cause di steatosi:

 Carenze alimentari
 Carenza di ossigeno
 Eccesso alimetare
 Eccessiva mobilizzazione lipidica
 Intossicazione esogena
 Intossicazione edogena
 Sindromi endocrine
 Alcolismo
 Rx e chirurgia epatica

Già all’osservazione al microscopio di un lobulo epatico, dalla disposizione dei vacuoli citoplasmatici
contenenti lipidi ci si può fare un’idea della causa di questa steatosi. Se i vacuoli son disposti alla periferia
del lobulo la causa in genere è tossica, per esempio in una intossicazione da fosforo; se le gocciole lipidiche

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stanno in posizione centro lobulare anche qua la causa è d’intossicazione per esempio da Amanida
Phalloides, il fungo più velenoso che esiste, o da CCl4; se la disposizione è pan lobulare, cioè estesa a tutto il
lobulo sotto forma di microvacuoli o gocce miste, la causa è alcolica.

Non solo il fegato è interessato. Si può avere steatosi anche a carico del cuore che non diventa tutto giallo,
ma assume un aspetto che viene detto tigrato perchè ci sono delle fasce giallastre di lipidi alternate a
bande di color rosso vinaccia.

Nel rigonfiamento cellulare, il citoplasma è vacuolizzato e all’interno c’è l’acqua. Nella staatosi ci sono
vacuoli contenenti lipidi. Al microscopio nelle preparazioni con l’ematossilina-eosina non si può distinguere
tra contenuto idrico e lipidico: otticamente vuoti sono gli uni e gli altri vacuoli. Occorre ricorrere
colorazioni istochimiche per l’individuazione dei lipidi, come per esempio SUDAN III, OilRD-0 e soprattutto
PAS.

DANNO CELLULARE IRREVERSIBILE

Se il danno persiste oltre un certo limite, il danno diventa irreversibile.

Non si sa quale sia il limite oltre il quale si passa ad una condizione di non ritorno, in cui il danno non si può
più modificare e si va incontro a morte cellulare. Certo è che la morte di una cellula non avviene
all’improvviso, ma viene preceduta da una condizione di lenta agonia che si chiama necrobiosi.

Le cause di morte cellulare sono le stesse del danno cellulare.

Esistono due tipi di morte cellulare: la necrosi e l’apoptosi.

NECROSI

La necrosi, in genere, è un evento che colpisce più cellule contigue. Queste cellule contigue possono andare
incontro a morte cellulare più o meno contemporaneamente. Questa morte che interessa più cellule
contigue viene detta necrosi tissutale ed e un evento cardine in tutta la patogenesi.

Esistono cinque tipi di necrosi: coagulativa, colliquativa, caseosa, steatonecrosi e gangrenosa. I due tipi di
necrosi fondamentali sono la coagulativa e la colliquativa. Nel processo di necrosi viene alterato l’equilibrio
tra attività degli enzimi autolitici e denaturazione delle proteine. In basa a come varia tale equilibrio si
hanno i diversi tipi di necrosi.

Nella necrosi colliquativa si ha la prevalenza degli enzimi autolitici, per cui il tessuto viene digerito e al
posto del tessuto compare un infiltrato infiammatorio. Si ha nel caso di ischemia cerebrale
(RICORDA!!!Tutte le volte che c’è un’ischemia la necrosi è coagulativa, fa eccezione l’encefalo) o tutte le
volte che c’è un’infezione batterica focale. Si chiama cosi perchè il tessuto appare rammollito, sciolto e non
è possibile riconoscerne la struttura.

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Nella necrosi coagulativa prevale la denaturazione delle proteine. Gli enzimi autolitici, che in fin dei conti
sono proteine, vengono inattivati. In questo caso il tessuto conserva la propria architettura, anche se
progressivamente le cellule perdono la loro identità, cioè non si riconosce più il nucleo. Si chiama necrosi
coagulativa, perchè il tessuto appare coagulato, sotto gelatina (un po’ trasparente), si riconosce ancora il
tessuto, ma è come se fosse rappreso. Si verifica tutte le volte che c’è un’ischemia e tutte le volte che c’è
un danno chimico. Le cellule diventano opache, perdono il nucleo e per un certo tempo persistono delle
ombre cellulari. Le cellule non muoiono contemporaneamente, ecco perchè persiste la struttura. Questo
processo di morte cellulare non è sincrono per cui nell’ambito di un tessuto con necrosi coagulativa
troveremo cellule in cui il nucleo è scomparso, quindi ombre cellulari ma anche cellule in cui il nucleo sta
per scomparire e cellule in cui il nucleo è perfettamente conservato e si riconosce ancora il nucleo.

La necrosi caseosa (simile al formaggio fresco, tipo ricotta) si riscontra nella tubercolosi. Non è un tipo di
necrosi distintiva, ma deriva dalla combinazione contemporanea di necrosi coagulativa e colliquativa.

La steatonecrosi è un tipo di necrosi che si instaura in seguito ad un danno pancreatico acuto, cioè in corso
di pancreatite acuta fulminante. Dagli acini e dai dotti del pancreas danneggiato si liberano le lipasi che
vanno ad attaccare gli adipociti non solo del pancreas, ma anche degli organi vicini. Dagli adipociti
danneggiati si liberano acidi grassi che vanno a reagire con gli ioni calcio presenti nel tessuto secondo una
reazione chimica che va sotto il nome di saponificazione o formazione dei saponi di calcio. I saponi di calcio
si vedono ad occhio nudo come depositi di una sostanza bianca di aspetto gessoso. Al microscopio si
vedono delle chiazze bianche.

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La necrosi gangrenosa si verifica nei pazienti diabetici generalmente a livello degli arti inferiori o meglio
delle estremità. Anche questa non è a se stante, deriva dalla combinazione coagulativa e colliquativa, ma
non in contemporanea. C’è prima una fase di necrosi coagulativa che è detta fase secca, cui segue poi una
fase di necrosi colliquativa con distruzione del tessuto ed ulcerazione che viene detta fase umida. Il viraggio
avviene per sovrinfezione batterica.

APOPTOSI
L’altra forma di morte cellulare è l’apoptosi. È la morte programmata della cellula. Interessa una singola
cellula (non un tessuto!!!) ed è un evento geneticamente determinato.

I geni più frequentemente coinvolti nel processo sono:

 P53: un oncosoppressore definito guardiano del genoma.


 BAX: collegato a p53 in quanto ne potenzia l’azione
 Bcl2

I primi due sono ad azione proapoptotica, mentre il terzo è un antiapoptotico.

Il processo apoptotico si osserva bene al microscopio elettronico. Inizialmente si ha condensazione della


cromatina che si deposita lungo la membrana cellulare. Il nucleo si frammenta e intorno ad ogni frammento
va un po’ di citoplasma. Questo frammento di nucleo circondato dal citoplasma va a costituire quella che si
chiama gemma (o bozza) apoptotica, che ancora non si è staccata dalla cellula, ma forma una specie di
bubbone, di gettone ancora incluso a livello cellulare. Successivamente queste gemme apoptotiche si
staccano e si formano quelli che si chiamano corpi apoptotici. I corpi apoptotici vengono fagocitati dai
macrofagi.

La frammentazione nucleare può essere anche dedotta, diciamo, da immagini suggestive al microscopio
ottico per cui posso anche prevedere questa frammentazione nucleare al microscopio ottico o per lo meno
ipotizzare che possa esserci, ma la vera diagnosi morfologica la si fa all’ultrastruttura.

Oltre a questa apoptosi classico, ne esistono altri tipi. Questi processi sono stati studiati prevalentemente a
livello dell’encefalo. Per capire questi processi bisogna fare riferimento alla fisiopatologia di tumorogenesi e
metastatizzazione, quando l’ultimo step è la localizzazione a livello della cellula.

Le cellule normali, per esempio dell’epitelio, stanno sistemate l’una vicina all’altra. Supponiamo che ci sia
uno stimolo mutageno su una di queste cellule e una di queste da normale diventa una cellula trasformata,
con delle modificazioni a livello cellulare (sostanzialmenteè la cellula che dà origine alla crescita tumorale).

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Questa cellula inizia a proliferare in maniera incontrollata e si forma un agglomerato di cellule maligne, cioè
un tumore.

Una metastasi è la comparsa di un tumore a distanza dalla sede di origine. La complicanza della
tumorogenesi è appunto la capacità di metastatizzare. Per fare ciò le cellule devono entrare nel circolo
ematico o linfatico. Questo processo, che si chiama intravasazione, non avviene senza neoangiogenesi, cioè
la formazione di nuovi vasi capillari. Questi capillari che si formano non sono perfettamente normali ma
hanno delle modificazioni a livello delle cellule endoteliali. L’endotelio che tappezza questi nuovi vasi è
fenestrato, cioè ha delle aree dove non c’è continuità e che quindi permette il passaggio di cellule.
Attraverso queste fenestrature passano le cellule maligne per raggiungere il torrente ematico o linfatico.
Quindi dopo l’angiogenesi c’è l’invasione e il trasporto nei vasi ematici o linfatici.

A questo punto c’è un primo arresto a livello del letto capillare perchè spesso queste cellule maligne sono
di dimensioni superiori al calibro dei capillari e quindi non passano. Si fermano per ragioni puramente
meccaniche. Quelle che passano, però, arrivano direttamente nella circolazione arteriosa.

Parlando della metastatizzazione a livello dell’encefalo, c’è a questo punto un secondo arresto nel letto
capillare dei vasi del SNC dovuto alla barriera ematoencefalica. Tale barriera però in alcuni punti è
permeabile; qui le cellule, dopo un periodo in cui sono quei scienti o dormienti, dal quale si risvegliano non
si sa come né perché, riescono a penetrare nell’encefalo e dare originead una metastasi.

Spesso l’encefalo rappresenta lo step ultimo nel processo di tumorogenesi. In genere i pazienti con
metastasi cerebrali sono pazienti terminali proprio perchè l’encefalo è considerata una sede nobile.

Tornando indietro alle nostre cellule normali. Queste cellule amano “stare le une vicine alle altre” e “stare
con i piedi per terra”, ovvero ancorate alla membrana basale. Supponiamo ci sia un insulto, un danno
mutageno. Negli Stati Uniti hanno calcolato che andiamo incontro a circa tremila insulti mutageni al giorno,
ma per fortuna non si sviluppano tremila tumori al giorno. Questo perché la cellula trasformata prima di
iniziare a proliferare si stacca dalla membrana basale, ma non appena si stacca dalla membrana basale va
incontro ad una forma di apoptosi mediata dalle caspasi che prende il nome di anoikis. L’anoikis è una
forma di apoptosi che si innesca quando la cellula si stacca dalla membrana basale. Il termine deriva dal
greco ed intende la condizione dei barboni, dei senza fissa dimora. È stata chiamata in questo modo “senza
casa” proprio perchè colpisce le cellule senza casa, cioè che hanno perso i contatti con la casa,
rappresentata dalla membrana basale. Questa anoikis si può verificare in uno qualunque degli step visti
precedentemente. Quindi è sempre attiva. Se questo meccanismo funzionasse sempre come dovrebbe
saremmo liberi dai tumori. Una quota di cellule però sfugge a questo contorllo. Si è andati alla ricerca del
meccanismo capace di contrastare l’anoikis ed è stato trovato un fattore che si chiama TrKB, una
neurotropina capace di sopprimere il processo.

Ricordando che l’anoikis è una forma di apoptosi mediata dalle caspasi, TrKB blocca la cellula che non va più
incontro ad apoptosi (quindi la cellula trasformata rimane attiva), se è presente il recettore
tirosininchinasico di TrKB. Questo fattore può essere saggiato con una semplice metodica di
immunoistochimica.

Se io ricevo un tumore dalla chirurgia per es., un tumore maligno e faccio un saggio su questo tumore, per
vedere l’espressione immunofenotipica, faccio l’immunoistochimica per vedere l’espressione di questo
fattore TrKB utilizzando degli anticorpi monoclonali che sono comunemente in commercio e trovo questo
fattore overespresso, posso dare delle indicazioni al chirurgo. L’overespressione di questo fattore implica
che il tumore è molto aggressivo ed ha un grande potenziale metastatizzante.

Il fattore TrKB è poco espresso nelle cellule normali, può essere espresso in concentrazioni normali nelle
cellule tumorali, nei tumori maligni è maggiormente espresso, quando è overespresso i tumori vanno
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ancora peggio, hanno una prognosi assolutamente infausta. Ma anche la cellula normale può esprimere
questo fattore. Tra l’altro nel primo lavoro fatto hanno preso delle cellule normali che esprimevano questo
fattore TrKB e l’hanno inoculato in un topo. Hanno messo in condizione questo ratto di vivere brevissimo
tempo in condizioni di tumorogenesi spinta, ad es. soggetti a radiazioni. Queste cellule da normali sono
diventate neoplastiche in tempi rapidi.

Il processo di apoptosi non è,quindi, legato solo a processi patologici: è vero che è importante nel processo
di tumorogenesi perchè elimina le cellule danneggiate, ma è anche un processo fisiologico che interviene
per esempio nel corso dell’embriologia e nell’embriogenesi quando c’e bisogno di una rigenerazione
tessutale, quindi questo processo e valido anche nel tessuto non necessariamente neoplastico.

Ancore più recentemente hanno trovato che l’azione di questo recettore viene potenziata dal legame con
un fattore di crescita che si chiama BDGF (brain derived growth factor). Questo potrebbe rendere
spiegazione del fatto che la metastasi a livello cerebrale è un evento terminale data la produzione di
questo fattore di crescita che va a potenziare l’azione del TrKB in quella sede.

Nel 2007 è stata documentata un’altra forma ancora di apoptosi da una serie di ricercatori di Boston, i
quali han documentato fotograficamente di come ci sia una terza forma di apoptosi, di cui si sa ancora
molto poco, per cui la cellula sana va a fagocitare la cellula trasformata con un processo di cannibalismo, di
interiorizzazione, di internalizzazione. Questo caso di apoptosi di cui si sa ancora poco viene chiamata
entosis.

In conclusione, per ora si conoscono tre forme di apoptosi (quella tradizionale, l’anoikis e l’entosis). La
recente scoperta delle ultime due forme ha, però, aperto molti filoni di ricerca e non si sa quali saranno i
risultati. Nessuno sa quante se ne scopriranno.

DIFFERENZA NECROSI – APOPTOSI

APOPTOSI NECROSI
Geneticamente determinata Processo accidentale, passivo
Processo attivo Causa perdita della struttura e funzione cellulare
dopo insulti ambientali (ischemia, danno termico e
meccanico, ecc)
Coinvolta nella morfogenesi, nel mantenimento Nessuna funzione regolatrice di sviluppo e/o
delle normali dimensioni degli organi e processi fisiologici
nell’eliminazione di cellule danneggiate

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CALCIFICAZIONI
Nei tessuti si possono trovare calcificazioni, ovvero accumuli di sali. Prevalentemente si parla di calcio, ma
si possono trovare anche altri minerali come il ferro e il magnesio. Le calcificazioni possono essere presenti
in parecchi processi patologici (intracellulari o extracellulari). Spesso possono esser una spia che ci deve
mettere in guardia sulla eventuale presenza di un tumore. Accompagnano talvolta alcune neoplasie come il
carcinoma duttale della mammella, il carcinoma dell’ovaio, il carcinoma della tiroide. A volte, una
mammografia con calcificazioni, anche senza la visualizzazione di un nodulo, può essere di per sé sospetta e
può rendere imperativo il ricorso ad ulteriori indagini. La calcificazione può andare incontro a un processo
di ossificazione. A volte, come nel caso dell'aterosclerosi, una calcificazione a livello della placca
ateromasica provoca delle disfunzioni organiche.

Esistono due tipi di calcificazione:

1. Le CALCIFICAZIONI DISTROFICHE sono quelle che si verificano in


tessuti che erano andati incontro a necrosi. Il caso più eclatante è quello
della tubercolosi. Il complesso primario è un processo autolimitante che
va incontro a calcificazione. Molti soggetti, soprattutto ventenni, sono
venuti e vengono a contatto con il bacillo tubercolare e si forma il
complesso primario. Esso può rimanere tale anche per tutta la vita,
quindi è espressione di un contatto con un bacillo tubercolare, non di
contrazione della malattia. Prima, soprattutto quando era obbligatorio il
servizio militare, il complesso primario veniva evidenziato all'RX diretta del torace dove si vedeva questa
spruzzata di calcificazioni. Facendo il dosaggio del calcio sierico in pazienti che hanno calcificazioni
distrofiche la calcemia è normale, cioè questi pazienti non hanno aumento del calcio sierico.

2. Le CALCIFICAZIONI METASTATICHE. La metastasi è la comparsa di un tumore a distanza rispetto al sito


primitivo di insorgenza di un tumore. Queste calcificazioni sono così definite perché avvengono in tessuti
sani, non in tessuti dove prima c'era stato un processo necrotico. Sembra quasi la comparsa di metastasi in
tessuti sani a distanza. Facendo la calcemia a questi pazienti, essi mostrano ipercalcemia, cioè c'è un
aumento notevole del calcio sierico. Tutto si può verificare solamente in
tre condizioni:

1. Nell’iperparatiroidismo primario. Aumenta le secrezione del


PTH che attiva gli osteoclasti. Dato che il metabolismo dell'osso
è legato a un equilibrio tra attività osteoblastica ed attività
osteoclastica, prevalendo l'attività degli osteoclasti, l'osso viene
eroso e il calcio finisce nel sangue. Quindi si ha un deposito di
calcio in tessuti prima sani.
2. Nell'intossicazione da vitamina D;
3. In campo oncologico, in un tumore che da metastasi ossee.
Precisamente metastasi osteolitiche. Ci sono anche metastasi
osteogenetiche cioè da accumulo di calcio. Tumori alla prostata e
alla mammella danno metastasi ossee. La prostata le da
prevalentemente a livello dei corpi vertebrali, con formazione di
aree osteolitiche. Il calcio eroso finisce in circolo e si accumula in tessuti precedentemente sani.

Per distinguere con quale calcificazione abbiamo a che fare, basta analizzare la calcemia. Se la calcemia è
normale saranno lesioni distrofiche, se c'è ipercalcemia saranno metastatiche. Nell'immagine possiamo
vedere una calcificazione sottoforma di accumulo di sostanza amorfa che compare sia all'interno del
citoplasma delle cellule, sia all'esterno (quindi extracellulare).
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ANOMALIE DELLA CRESCITA
Le anomalie della crescita cellulare, molto sinteticamente, si possono suddividere in tre grandi categorie a
scopo didattico:

1. Anomalie quantitative;
2. Anomalie qualitative (o anomalie del processo di differenziazione cellulare).
3. Anomalia di tipo sia qualitativo che quantitativo. Costituisce la base delle neoplasie.
Noi possiamo avere due tipi di anomalie quantitative: quelle in difetto e quelle in eccesso. Tra quelle in
eccesso abbiamo le ipertrofie e le iperplasie. Tra quelle in difetto abbiamo le atrofie o le aplasie. Un
esempio di anomalie quantitative in difetto è rappresentato dalle agenesie, cioè la mancanza di un organo.
Oggi la maggior parte delle anomalie in eccesso o in difetto si evidenzia durante la vita intrauterina
attraverso l'ecografia. Questo autorizza un intervento di tipo abortivo. Mentre però iperplasie, ipertrofie,
atrofie e aplasie possono essere acquisite, quindi espressione dell'adattamento a stimoli esterni, le lesioni
ipoplastiche, quelle agenetiche, sono su base fondamentalmente congenita (questo vuol dire che
congenitamente c'è stato uno sviluppo insufficiente o assenza di sviluppo).
Una delle anomalie della differenziazione cellulare più diffuse è l'esofago di Barrett. È un esempio classico
di metaplasia perché vede la presenza di mucosa gastrica in sede ectopica. Lo stesso dicasi per la neoplasia
al surrene.
ANOMALIE QUANTITATIVE
ANOMALIE QUANTITATIVE:
IN ECCESSO
 IPERTROFIE: aumento di volume delle singole cellule
ADATTAMENTO A STIMOLI
 IPERPLASIE: aumento del numero delle cellule
IN DIFETTO ESTERNI
• ATROFIA, APLASIA (acquisite)
• IPOPLASIA, AGENESIA (congenite)

Se vogliamo un attimo pensare a ciò che accade nella vita di tutti i giorni, il processo che provoca la
comparsa di un fenomeno aplastico o iperplastico lo abbiamo provato tutti quanti. Per dirne una: le donne
in età fertile ogni 28 giorni hanno un ciclo. Durante il ciclo hanno una perdita di sangue che non è
indifferente. A quella perdita di sangue segue una fisiologica risposta del midollo che aumenta le cellule per
produrre i globuli rossi. È un'iperplasia? Sì. In caso di emorragia, se si sopravvive, in due giorni il midollo
ricostituisce la quantità di sangue perso che può arrivare fino a 500 cc.
Ma nel corso della nostra vita, in un distretto banale come il cavo orale possiamo andare incontro a una
serie di fenomeni. La maggior parte di noi ha una mucosa normale cioè rosea formata da epitelio
squamoso non cheratinizzato. Quest'epitelio è molto sottile e consente di vedere in trasparenza il plesso
vascolare. La mucosa di un soggetto anziano sarà già più rossa, più lucida, più riflettente. Fisiologicamente
va incontro ad atrofia e quindi quella mucosa, da rosa e bella che era, può diventare più rossa e più liscia.
Chi fuma o chi fa la suzione continuativa (esistono dei tic nervosi che si manifestano di notte e provocano
un traumatismo continuo sulla mucosa orale) va incontro a fenomeni di iperplasia, ovvero fenomeni
d’ispessimento dell'epitelio della mucosa che deve resistere (adattarsi) a stress meccanici continui come la
suzione o più semplicemente un dente mal posto, a una carie che ha provocato processo infettivo.

Fisiologico Iperplasia Atrofia

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Atrofia fisiologica si può avere ancora nel distretto genitale femminile con la menopausa. La mucosa
vaginale e quella vulvare possono andare incontro a relative modificazioni.
Chiunque ha un callo: è un fenomeno di iperplasia perché c'è un aumento dell'epitelio di rivestimento nella
zona di traumatismo, quindi un adattamento allo stimolo fisiologico. I fenomeni sono sotto gli occhi tutti i
giorni e giustificano ogni tipo di patologia.
La più famosa delle atrofie, e quella che viene studiata di più, è quella che si verifica nella malattia di
Alzheimer. Questi sono due cervelli messi a confronto di persone dello stesso sesso, dello stesso peso e
della stessa altezza. Sui libri troverete scritta un' ipotesi antica che il cervello degli uomini pesa di più e
quello delle donne di meno. Era una verità non totale, perché nei due sessi abbiamo fondamentalmente
uno sviluppo diverso. Si vede che il cervello normale ha il disegno delle creste e delle circonvoluzioni
trofico, i solchi sono relativamente stretti, mentre le circonvoluzioni sono discretamente turgide. Un
cervello atrofico possiede solchi dilatati tra di loro e circonvoluzioni con aspetto meno turgido. Il complesso
dell'atrofia consentirà di vedere che mentre i lobi posteriori di un soggetto normale coprono il cervelletto,
in un soggetto con atrofia ciò non avviene. Questa stessa immagine si vedrà con una TAC, addirittura con
una TAC - PET che evidenzia anche il consumo di glucosio nelle circonvoluzioni di un soggetto normale
rispetto a un soggetto con Alzheimer.
Questa è un'ipoplasia renale. Un rene è normale, l'altro è ridotto a 1/3 - 1/4; insomma, non si è proprio
sviluppato. La maggior parte delle ipoplasie renali si verifica perché non si sviluppa il corrispondente vaso
arterioso (es. arteria renale). È una delle poche ipoplasie che si può vedere perché in tutte le patologie che
colpiscono organi pari, l'organo residuo ha una potenzialità vicariante forte. È l'unico caso in cui la
legislazione prevede che l'aborto terapeutico possa essere evitato.
Parlando del fisiologico, questo è il destino dell'ovaio in un soggetto di 50-55 anni,
quindi in menopausa (immagine in alto). In basso, invece, è l'ovaio di un soggetto
di 12-13 anni che non ha avuto nemmeno un menarca, quindi nemmeno
un'ovulazione. La differenza è notevole: quello in basso ha una superficie liscia ed
è molto più grande. Quello in alto ha una superficie cerebriforme; sembra di
vedere un cervello: solchi e circonvoluzioni. Al di sotto ci sono la tuba e il
legamento ovarico. Questo vuol dire che l'ovaio è andato incontro a una riduzione
di volume e a una modifica del suo aspetto. A furia di avere ovulazioni, quindi
esplosioni sulla superficie e retrazioni cicatriziali, è diventato un ovaio atrofico o
scleroatrofico.
Possiamo avere tanti altri fenomeni di ipoplasia come quella riguardante il lobo destro del fegato,
anch'esso ovviamente, compatibile con la vita.
Da sempre i tessuti sono stati classificati in labili, stabili e perenni. Con l'avvento delle cellule staminali,
questa classificazione ha avuto qualche ripensamento. Si definiscono tessuti perenni quei tessuti che hanno
raggiunto una tale sofisticazione e differenziazione che non hanno più capacità replicative, a meno che non
si riescano ad attivare le cellule staminali. Tessuti perenni sono il tessuto muscolare e quello nervoso. È un
dato di fatto, purtroppo, che un danno a questi tessuti ha come conseguenza la mancata rigenerazione.
Ecco perchè il danno ischemico che si verifichi a livello del SN o a livello del sistema cardiaco, nella maggior
parte dei casi, non può essere riparato. Viceversa, tessuti che hanno una forte capacità replicativa, come
midollo osseo e mucosa del tratto gastro-enterico, sono definiti labili. Facciamo un esempio. I soggetti con
colera muoiono di disidratazione in seguito a una diarrea acquosa che si manifesta con 10-20 scariche al
giorno. Si viene a creare così uno squilibro idroelettrolitico. Se tramite terapia parenterale si va a
mantenere o ripristinare l'equilibrio idro-salino, dopo la fase acuta della malattia che dura 5-7 giorni, la
mucosa intestinale rigenera completamente, senza alcun danno (restitutio ad integrum). Nel cervello basta
un po' di ischemia per lasciare un danno che resta permanente. Nel tubo digerente, al contrario, possiamo
avere la perdita completa della mucosa e il suo rifacimento. Tant'è che proprio sfruttando questa capacità
noi possiamo fare trapianti di midollo; volendo, potremmo anche rimuovere completamente il midollo
perché quello che trapiantiamo è in grado di colonizzare nella stessa maniera.
in questi tessuti si può andare incontro ad ipertrofia. Chiunque può andare incontro ad ipertrofia
ventricolare sinistra a causa di fenomeni ipertensivi o per un piccolo difetto di chiusura delle valvole

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cardiache, anche congenito. Anche i soggetti che praticano body building sviluppano un'ipertrofia che in
alcuni casi può risultare addirittura dannosa. L'ipertrofia causa due fenomeni, soprattutto nel cuore:

1 - Provoca un aumento di volume per aumento di singole cellule. Ciò da un aumento di peso. Il circolo
delle coronarie quindi deve nutrire un cuore che anziché pesare 200-250 g. arriva a 300-350-400 g. Prima
conseguenza: aumenta il fabbisogno energetico. Se il cuore ha un danno aterosclerotico collaterale, allora
si può dedurre che i soggetti che hanno il cuore ipertrofico hanno un rischio di infarto del miocardio più
elevato di quello del soggetto normale.

2 - L'ipertrofia cardiaca è legata all'ipertrofia delle singole


fibrocellule muscolari. Definiamo fibrocellule quelle del
tessuto muscolare liscio, fibre quelle del muscolo striato. Il
cuore però è un ibrido: ha una muscolatura involontaria con
striature trasversali tipiche della muscolatura striata. I filamenti
di actomiosina scivolano tra di loro fino a quando non si
staccano gli uni dagli altri. Quando si ha un'ipertrofia esagerata,
quindi un allungamento della fibra cardiaca in maniera
allucinante, i filamenti di actomiosina si staccano e perdono la
loro capacità di contrazione. L'ipertrofia è quindi l'anticamera
di un'insufficienza contrattile.

Questa che sembra una banalità sovraintende due cose: un maggior rischio di andare incontro a un
fenomeno ischemico e l'aumentata probabilità di avere un'insufficienza cardiaca per perdita della capacità
contrattile delle fibre muscolari. Ecco perché si combatte l'ipertrofia a lungo termine o perché si
sostituiscono le valvole insufficienti. Un cuore troppo grande è a tutti gli effetti un cuore atonico.

ANOMALIE QUALITATIVE

Anomalie qualitative sono: displasia e metaplasia.

A proposito della METAPLASIA, troverete scritto che ci sono casi in cui si ha la trasformazione di un epitelio
di tipo differenziato in un altro. Troverete anche scritto che si classificano una metaplasia squamosa e una
cilindrica, ma ce ne sono anche altre. Voi dovete correggere. Non si deve dire epitelio. Si deve dire: è
conosciuta meglio a livello dei tessuti epiteliali, ma in realtà la metaplasia è una modificazione che si
vede nei tessuti non epiteliali, anche mesenchimali.

La definizione di DISPLASIA invece è disturbo della differenziazione cellulare che può essere di basso o
alto grado ma non arriva alla completa anaplasia. Praticamente, per alcuni il termine anaplasia è sinonimo
di tumore maligno; assenza totale di differenziazione significa senza ombra di dubbio presenza di un
tumore maligno. Qui lasciamo un punto interrogativo perché torneremo sul termine di anaplasia.

Schematizzando:

METAPLASIA DISPLASIA

È una condizione in cui si ha la Tutti i disturbi della differenziazione


trasformazione di un tipo di epitelio* cellulare che possono essere di basso
differenziato in un altro o alto grado, ma che comunque non
arrivano alla completa anaplasia
• Metaplasia squamosa
(“totale indifferenziazione”)
• Metaplasia cilindrica
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*si può e si deve dire anche tessuto
?
METAPLASIA

Come abbiamo visto prima, quando si parla di epitelio si parla di METAPLASIA SQUAMOSA O CILINDRICA.
La metaplasia squamosa è un meccanismo di riparazione e di adattamento cellulare dove si sostituisce un
epitelio poco resistente con un epitelio molto più resistente, appunto quello squamoso.

Ad esempio, nel canale cervicale dell'utero, alla giunzione dell'orificio uterino esterno con il canale
cervicale, normalmente c'è un epitelio cilindrico muco-secernente. Il parto, le infezioni, i ripetuti rapporti
sessuali modificano il pH o la flora, oppure semplicemente provocano lo slabbramento di quello che si
verifica nell'ostio uterino, quindi il trascinamento verso l'esterno della mucosa endocervicale. Si ha quindi
un epitelio cilindrico poco resistente dove arriva fisiologicamente o parafisiologicamente una sostituzione
con un epitelio molto più resistente che è l'epitelio squamoso. Tant'è che vedere una biopsia della cervice
senza metaplasia squamosa è più l'eccezione che la regola.

In una colecisti in cui ci siano calcoli o infiammazione costante o in cui persistano entrambe le condizioni,
l'epitelio cilindrico muco-secernente della colecisti, in alcuni casi può e deve andare incontro a un
fenomeno di metaplasia.

In passato si potevano avere esempi di metaplasia squamosa nella pelvi o nella vescica per la presenza di
calcoli, per l'uso di cateteri , o per infezioni persistenti.

Infine, in soggetti che fumano, ma anche in quelli che non fumano, si ha la metaplasia squamosa
nell'epitelio cilindrico pseudostratificato bronchiale. Il fumo, le infiammazioni e le bronchiti croniche sono
tutte condizioni scatenanti.

Quello che bisogna tener presente è che


la metaplasia non è un fenomeno che si
verifica immediatamente. La metaplasia
è un processo progressivo: si parte da
un epitelio normale, poi si ha una
PROSOPLASIA o una METAPLASIA
INCOMPLETA, dove cioè strati di
epitelio squamoso si interpongono tra la
membrana basale e lo strato di epitelio
cilindrico. Infine, si ha la METAPLASIA
COMPLETA quando dall'epitelio cilindrico si passa a quello squamoso. Ci vuole tempo e ci sono tappe
successive nello stesso distretto. Può succedere che in alcune aree cominci il processo, in qualche area sia
già terminato ed in qualche altra area si trovi a metà (non è sincrono!!)

Passiamo ad un esempio pratico: nell'epitelio cilindrico


muco-secernente della mucosa uterina, le cellule epiteliali
hanno la forma a flute dello champagne. Si vede il calice
stretto con il nucleo posato verso la base. Nella metaplasia
incompleta iniziale le cellule basali proliferano e si forma
qualche gruppo cellulare che sta avviando la metaplasia; ci
sono ancora le cellule mucosecernenti. Nella metaplasia
avanzata, quasi completa, si vedono cellule squamose,
basali e muco-secernenti. Le cellule squamose sono arrivate
quasi in superficie. Si vedono ghiandole normali e ghiandole
dov'è avvenuta una metaplasia squamosa completa.

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Il microscopio elettronico a scansione ci fa capire bene cosa vuol dire
metaplasia e adattamento. Questa è un'immagine presa a livello della
cervice uterina. Qua vediamo l'epitelio cilindrico. Queste in superficie sono
gocce di secreto di muco e questo invece è l'epitelio squamoso. È un
epitelio esternamente più resistente di quanto non sia questo fragile
epitelio cilindrico che trapassa tra l'uno e l'altro. Si vede la transizione tra
forma completa e incompleta. L'aspetto squamoso è più resistente ai
traumi o agli insulti, però perde la sua funzione. Si può paragonare
addirittura alle strade romane, con tessere disposte a formare questo
mosaico irregolare.

La metaplasia non è di per sé alterazione atipica, ma fisiologica o


parafisiologica. È la perdita di funzione che comporta l'anomalia. Perdere le
ciglia, caratteristica fondamentale che consente all'epitelio bronchiale l'espulsione all'indietro di eventuali
sostanze estranee, è un fatto grave. La protezione da sostanze oncogene non si ha più.

Anche nella vescica si può avere una metaplasia squamosa(ricordiamo che l’epitelio vescicale è un epitelio
di transizione). Nelle donne prende il nome di metaplasia squamosa vaginal type perché assomiglia
all'epitelio della vagina e si trova spesso nel trigono vescicale. Nell'uomo, invece compaiono delle vere e
proprie chiazze biancastre: le leucoplachie. Ci sono altri tipi di metaplasia squamosa che possono verificarsi
nell'endometrio, nei dotti delle ghiandole salivari dove c'è la calcolosi di queste e così via.

Esiste anche una METAPLASIA CILINDRICA. Si verifica quando si sostituisce l'epitelio cilindrico con un altro
epitelio cilindrico di diversa tipologia. Però è importante ricordare che noi non sostituiamo niente! Tutta
l'alterazione e le sue conseguenze derivano dalla modificazione delle cellule basali. Quello che noi vediamo
è semplicemente un riflesso di ciò che è avvenuto nelle cellule basali. Là sono cambiate le informazioni e
quelle informazioni si sono trasformate in segnali diversi che i meccanismi di differenziazione hanno indotto
nelle cellule.

Per cui, noi possiamo avere che in un epitelio intestinale,


o meglio, nell'epitelio cilindrico dello stomaco, si verifichi
un fenomeno di metaplasia cilindrica: ad un epitelio
cilindrico gastrico si sostituisce un epitelio cilindrico di
tipo intestinale. È definita volgarmente metaplasia
intestinale. È una delle chiavi di diagnosi della malattia di
Barret: per fare una diagnosi morfologica, bisogna trovare
la presenza di neoplasia cilindrica intestinale. Non basta
vedere una mucosa esofagea in continuazione con quella
gastrica perché anche in un'ernia da scivolamento
avviene la stessa cosa. La metaplasia intestinale non è
assolutamente atipica, ma non è piacevole da avere.
Soprattutto se diffusa, essa rappresenta per alcuni
soggetti più di una semplice metaplasia.

C'è una malattia che colpisce purtroppo il 30-40% della popolazione femminile e che si chiama mastopatia
fibrocistica. Si formano delle cisti all'interno dell'epitelio duttale della mammella che può subire una
metaplasia apocrina e, nel peggiore dei casi, dar luogo ad una metaplasia
apocrina della mammella.

Anche una metaplasia ossea del tessuto adiposo può verificarsi per varie
motivazioni: nella vecchiaia, nei lipomi di vecchia data, nel tessuto adiposo
post-trauma o per una serie di circostanze. Questo ci dimostra che anche
64
nell'ambito dei tessuti non epiteliali possiamo avere la sostituzione totale o parziale di un tessuto con uno
di un altro tipo (QUINDI NON è VERO CHE LA METAPLASIA RIGUARDA SOLO IL TESSUTO EPITELIALE!)

Tessuto fibroso all’interno di un’articolazione comporta la comparsa di


anchilosi. Esistono molti soggetti che soffrono di disturbi articolari di questo
tipo. Negli anziani si verifica per senescenza, ma insorge anche per usura o per
continuità. Si tratta sempre di metaplasia. Le conseguenze sono, per esempio,
che le dita non si muovono più o iniziano a muoversi con molta difficoltà. Lo
stesso vale per tutte le articolazioni. È chiaro perciò che estendendo il
fenomeno di metaplasia ai tessuti non epiteliali, ci troviamo di fronte a un
capitolo molto vasto.

DISPLASIA ED EVOLUZIONI

Papanicolaou è stato il padre della diagnosi precoce dei tumori della cervice uterina, inventore del pap test.
Avrebbe meritato probabilmente un premio Nobel. Nel 1943, Papanicolaou stava discutendo con Ober, un
suo collega, a proposito delle cellule degli strisci della cosiddetta classe terza. Papanicolaou, infatti,
immaginava di suddividere gli strisci dei Pap test in cinque classi (CLASSI DI PAPANICOLAU):

 Classe 1: Cellule normali;


 Classe 2: Forme infiammatorie;
 Classe 3: Cellule sospette;
 Classe 4: Carcinoma in situ;
 Classe 5: Carcinoma invasivo.

Gli strisci della classe 3, quindi, non fanno parte di quelle cancerose, ma
sono qualcosa di precedente. Inizialmente, Papanicolaou, chiamò queste
cellule discheratosiche. Il termine, però, non era adatto a definire tali
cellule perché l’epitelio di rivestimento squamoso della cervice o quello
che si ottiene per metaplasia in effetti non cheratinizza. La cute
cheratinizza ma, (salvo in alcuni casi in cui si parla di leucoplachie della
cervice uterina) di certo la cervice uterina non va incontro a
cheratinizzazione. Allora si propose di utilizzare il termine discariotiche
che vuol dire letteralmente "dal nucleo anomalo". Queste cellule però
non possedevano solamente alterazioni cellulari, ma anche alterazioni
citoplasmatiche. Papanicolaou propose dunque di chiamare le cellule in oggetto con il termine
“displastiche” che vuol dire con formazione anomala. Questo fu dunque un termine di compromesso e così
nacque la parola displasia, una parola in realtà non etimologicamente corretta. Displasia significa infatti
MALFORMAZIONE (è qualcosa che ricorda malattie congenite: pensiamo ad esempio alla displasia
congenita dell’anca o alla displasia neuro ectodermica). In questo caso però è stata applicata variamente,
ma rende bene l'idea, cioè un processo che, come già detto in precedenza, non va verso la completa
indifferenziazione.

Nel 1953 Reagan parlò di displasia come di IPERPLASIA EPITELIALE ATIPICA. La definizione era corretta ma non del tutto, nel senso che quasi
sempre il processo di displasia è accompagnato da un quadro di proliferazione iperplastica ma non sempre perché possono esserci anche delle
displasie (per esempio della cute) accompagnate ad atrofia. Nel 1961 si cercò di trovare una definizione tra displasia e carcinoma in situ,
specialmente quello della cervice uterina, ma non solo, perché già da allora si era visto che la displasia andava incontro ad una serie di
modificazioni che poi alla fine conducevano a quello che allora si chiamava CARCINOMA IN SITU. Concludendo possiamo definire la displasia
come un processo di vario grado che non arriva alla completa anaplasia, ovvero totale indifferenziazione.

65
Se prendiamo una Cinquecento, possiamo avere che la
macchina normale si riconosce benissimo, quella un poco
ammaccata ha perso un po' di differenziazione
(potremmo parlare di displasia lieve) ma si riconosce
ancora bene. Poi possiamo avere una displasia moderata

e riconosciamo ancora la Cinquecento, successivamente


possiamo avere una displasia grave, laddove riconoscere
la Cinquecento è decisamente difficile ma ancora
possibile. Infine, abbiamo l'assenza completa di
differenziazione che corrisponde a prendere questa
Cinquecento, metterla in una pressa e ridurla ad un cubo
di ferro. A questo punto sarà impossibile riconoscere la
nostra automobile. Il concetto di anaplasia potrebbe quindi, volendo esemplificare, corrispondere ad un
cubo di ferro. Nella maggior parte dei casi per fortuna non si arriva a questo, nel processo displastico si può
giungere alla displasia grave ma qualche cosa si riconosce ancora, questa totale indifferenziazione è
complessa sia da immaginare che da raggiungere.

Detto questo, ci dobbiamo rendere conto che queste sono delle modificazioni architetturali e strutturali
spia, più che di un'anomalia, di un processo di progressiva sdifferenziazione. Se una cellula presenta la
completa assenza di differenziazione, ciò corrisponde alla impossibilità di riconoscerla. Se una cosa ha perso
cioè tutte le sue caratteristiche, è diventata indifferenziata, è irriconoscibile. Anaplasia NON è sinonimo di
neoplasia maligna, significa semplicemente assenza di differenziazione. E’comunque un termine
complicato, da usare con molta cautela.

Esistono carcinomi squamosi (o epidermoidi o spino cellulari) che producono abbondante cheratina, tant'è
vero che formano le cosiddette perle cornee. È evidente che non possiamo definire questo tumore
anaplastico perché esso produce cheratina in quantità abbondante, ma se lo applichiamo a termini come
displasia e progressione, possiamo ancora dargli un significato. Questo tumore viene chiamato squamo
cellulare perché nella maggior parte dei casi assomiglia alle cellule spinose o comunque al tessuto di
rivestimento squamoso, sia esso della cute, del cavo orale, della vagina, della cervice, dei bronchi e di altre
sedi. Se questo tumore si riconosce così bene e se noi diciamo che l’anaplasia è la responsabile della totale
indifferenziazione, è evidente che anaplasia e neoplasia non coincidono.

Se c'è un adenocarcinoma vuol dire un tumore che fa ghiandole, ma se fa ghiandole NON può essere
anaplastico! Io posso avere un carcinoma indifferenziato dove di ghiandole non ne vedo e non vedo
nemmeno aspetti squamosi. Quello è un carcinoma anaplastico. Il semplice fatto di chiamare un tumore
adenocarcinoma vuol dire che vedo le ghiandole. Allora, se dobbiamo applicare il concetto di anaplasia lo
applicheremo, ma non come equivalente. Lo applicherei per dire che nella progressiva sdifferenziazione
posso vedere che morfologicamente si può facilmente riconoscere il tessuto, lo si può riconoscere un po'
meno, si può avere molta difficoltà a sapere di cosa si tratta o non riuscire a distinguere più niente.

SINONIMI DEL TERMINE DISPLASIA: Esistono molti sinonimi del termine displasia. Facciamo qualche
esempio.

 IPERPLASIA EPITELIALE ATIPICA, espressione fondamentalmente corretta ma, come menzionato


precedentemente, non del tutto esatta. Questa espressione introduce il criterio che è “atipica” senza
dire che è maligna. Noi possiamo avere displasie senza iperplasia, che al contrario sono atrofiche.
Facciamo l'esempio delle cheratosi attiniche atrofiche del viso in cui si verifica una riduzione dello
spessore dell'epidermide.
 PRECANCEROSI. Potremmo accettare questo termine, ma non si tratta di una definizione morfologica
bensì una di natura funzionale, clinica.
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 METAPLASIA ATIPICA. Possiamo utilizzare questo termine nella cervice uterina, ma potremmo avere
anche delle displasie senza metaplasia. Ad esempio le lesioni displastiche del cavo orale non hanno
bisogno della metaplasia, nascono per fatti loro.
 LESIONE FRONTIERA BORDERLINE. È la stessa cosa di precancerosi.
 ANAPLASIA EPITELIALE. Assolutamente da evitare.

Lasciamo il termine displasia ricordandoci che nella progressione che va dal normale al patologico, noi
abbiamo il normale, poi abbiamo cellule che possono essere anormali ma che non hanno alcun significato
di precancerosi, le cellule precancerose e infine quelle cancerose (ved. schema seguente)

Invasione

NORMALE ANORMALE NON LESIONE CANCRO


PRECANCEROSA PRECANCEROSA

Invasione
Un esempio è la cellula del trofoblasto. Sembra una cellula maligna: ha un nucleo gigante, ipercromico,
irregolare, con citoplasma irregolare, ha anche la capacità di annidarsi all'interno del miometrio per andare
a costituire la componente placentare. Tuttavia nessuno andrebbe a dire che si tratta di una cellula
maligna.

Se andiamo a studiare le cellule della anemia da carenza di vitamina B12 o di folati, cellule chiamate
megaloblasti perché l’anemia produce delle trasformazioni a livello cellulare che conducono alla
formazione di megaloblasti, queste sono cellule che appaiono maligne eppure nessuno può dire che sono
cellule neoplastiche poiché rappresentano in realtà una conseguenza della carenza vitaminica.

C'è un grande capitolo quindi che comprende atipie senza alcun significato. Questo è un concetto che si
applica naturalmente alle lesioni di natura epiteliale e non a quelle mesenchimali. Ciò perché il concetto di
invasione prevede l'esistenza di una barriera. Tra l'epitelio, il corion, il derma o cosa volete voi esiste un
limite dato dalla membrana basale. Irregolare, ma esiste. Cosa che al contrario non c'è tra le cellule
dell'osso, del tessuto fibroso o degli adipociti. Il concetto di invasione è intrinseco nelle lesioni
mesenchimali maligne perchè come nascono non hanno bisogno di superare alcuna barriera. Sono già nel
contesto del tessuto stromale.

Da un punto di vista morfologico la cellula displastica si appalesa attraverso una proliferazione con
variazioni di:

 Forma;
 Dimensioni;
 Capacità tintoriali (nucleari e citoplasmatiche);
 Orientamento.

Riporto un esempio. Un muro di mattoni lo posso costruire in varie maniere: i mattoni possono essere
uguali, avere la stessa forma, lo stesso colore, essere disposti ordinatamente uno sopra l'altro oppure
possono essere di diverso colore e dimensione con orientamento irregolare. Il muro lo si costruisce lo stesso,
ma non è la stessa cosa. È displastico. Ha avuto mattoni che sono di varia dimensione, forma, volume,
orientamento.

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In realtà, la sequenza displasia - carcinoma non era riconosciuta. C'era una concezione duale della malattia.
Secondo qualcuno c'era l'idea che la displasia fosse reversibile, il carcinoma in situ no.

Un epitelio normale è formato da:

 Cellule basali, con molto nucleo e relativamente poco citoplasma;


 Cellule parabasali;
 Cellule intermedie;
 Cellule superficiali.

Durante il processo di differenziazione cellulare, le cellule basali, relativamente piccole e con un rapporto
nucleo/citoplasma a favore del nucleo, salgono in superficie. Man mano il nucleo diventa sempre più
piccolo ed il citoplasma diventa sempre più abbondante. Il nucleo poi va incontro a quel fenomeno che si
chiama picnosi, che conduce queste cellule superficiali, di fatto morte, ad un naturale sfaldamento. Ciò vale
per tutti gli epiteli di rivestimento (cute, cavo orale, vagina, esofago,...).

Quando si innesca il processo displastico, iniziano a svilupparsi delle cellule che ricordano quelle dello
strato basale: molto nucleo e poco citoplasma. Tutto sommato, la formazione di cellule superficiali ad
ombrello (si può dire così per le cellule in superficie con nucleo picnotico) viene mantenuta. In una displasia
lieve o molto lieve, le cellule displastiche sono in profondità mentre quelle che maturano mantengono la
capacità di formare gli strati più superficiali.

L'anomalia sta nel fatto che le cellule superficiali si portano dietro le conseguenze di queste anomalie
nucleari. Il dottor Papanicolaou ebbe questa grande intuizione: con lo striscio andava a raccogliere le cellule
che sono in superficie. Dalle alterazioni sempre maggiori che lui vedeva in queste cellule superficiali,
riusciva a comprendere se ci si trovava di fronte ad una displasia lieve, moderata o severa.

Quando invece si fa la biopsia, si riesce a vedere il tessuto in tutto il proprio spessore e si riesce a
distinguere una lesione displastica o meno. Si vede addirittura la progressione delle cellule maligne verso lo
strato superficiale.

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Schematizzando:

1. EPITELIO NORMALE: Vediamo cellule basali; parabasali; intermedie e superficiali.


2. DISPLASIA LIEVE: Vediamo cellule basali e parabasali con nuclei anormali che si riflettono su quelli
in superficie. Per convenzione si dice che occupa 1/3 dello spessore dell'intero tessuto.
3. DISPLASIA MODERATA: Ha occupato circa 2/3 dello spessore. Ci sono sempre delle anomalie nei
nuclei più superficiali, quelli che sfaldano. A questo livello le anomalie sono diventate notevoli, si
trovano a tutta altezza, si riscontrano mitosi negli strati intermedi ed addirittura verso la superficie,
tuttavia ancora negli strati più superficiali c’è una certa tendenza alla differenziazione che si rende
palese con un certo grado di appiattimento dei nuclei in superficie.
4. DISPLASIA GRAVE: Uno dei “segreti” per riconoscere questo grado di displasia è che se ci sono
mitosi negli strati intermedi ed in quelli superficiali, la displasia è grave perchè le mitosi negli epiteli
normalmente stanno nello strato basale o tutt’al più negli strati parabasali. Trovare mitosi negli
strati soprastanti quello parabasale vuol dire evidenziare che a questo livello sono arrivate cellule
poco differenziate, cellule che stanno subendo quel severo processo di sdifferenziazione che può
portare alla trasformazione delle stesse.
5. CARCINOMA IN SITU.
6. CARCINOMA MICROINVASIVO E INVASIVO

La tappa dopo la displasia è il carcinoma in situ. In questa tappa, l’epitelio di rivestimento non presenta
alcun segno di differenziazione per l’intero spessore, in assenza di invasione. La solita concezione duale. In
tutto lo spessore dell'epitelio ci sono cellule poco differenziate e ci sono mitosi fino agli strati superficiali.
Volendo essere puntigliosi, si può ricercare dove c'è totale indifferenziazione o se c'è segno di qualche
secrezione. C'è anche chi riteneva di poter differenziare un carcinoma in situ da una displasia grave da
parametri come la parziale conservazione della polarità cellulare; la persistenza di maturazione superficiale
e l'assenza di invasione dello stroma. Ragionando in termini pratici, invece, se io mi sveglio ottimista dico
che è una displasia grave, se sto storto dico che è un carcinoma in situ.

Questo concetto dualista fu sostituito nel '69 dal concetto di NEOPLASIA INTRAEPITELIALE CERVICALE
(CIN), tenuto in considerazione fino agli anni '90. Il CIN, anziché considerare gli stadi (displasia lieve,
displasia moderata, displasia severa, carcinoma in situ e carcinoma invasivo), unisce i concetti di displasia
grave e carcinoma in situ. Entrambi vengono raggruppati in quello che è lo stadio CIN3. Il CIN però non è
nato per questo scopo: gli autori infatti sostenevano che quando si innescava il processo di trasformazione,
e cioè quello che si appalesava con la sostituzione successiva, era già una proliferazione che aveva carattere
neoplastico. Il che significa, in poche parole, che quando si innesca il processo questo sarà già una neoplasia

69
Come si può vedere dalla figura in alto, ci sono vari gradi: normale, CIN1, CIN2, CIN3, carcinoma invasivo. Il
CIN è un concetto unificante rispetto al sistema duale displasia/carcinoma in situ. Se comincia la
trasformazione, secondo i fautori del CIN, essa è progressiva e implacabile. Il concetto di CIN è stato
applicato alla vagina, alla vulva, al cavo orale ed ovunque ci sia un carcinoma in situ.

Come al solito c'erano quelli a favore del CIN e quelli contrari. Giustamente, ognuno portava casi a sostegno
della propria teoria. La prova certa non si poteva avere perchè questi studi sarebbero stati molto difficili.
Per fare uno studio serio, avrebbero dovuto prendere pazienti con una diagnosi citologica e possibilmente
anche istologica di displasia lieve o moderata e avrebbero dovuto sottoporle
Altri tipi di neoplasia intra -
a biopsie periodiche. Da come si può intuire, però, ciò non è fattibile. epiteliale
Vennero effettuati vari studi retrospettivi, ma non si venne mai a capo del
problema. Ci furono insomma molte discussioni. Oggi abbiamo scoperto però  CIN: cervice
che esistono due tipi di CIN uguali ma che sono biologicamente diversi.  VaIN: vagina
Questo è un fatto fondamentale. Oggi sappiamo finalmente che è così.  VIN: vulva
 OIN: cavo orale
Questo vuol dire che si possono avere modificazioni displastiche o, se volete,
 LIN: laringe
dei CIN capaci di progredire e altri non capaci di progredire o con scarsa
capacità di progressione.

È acclarato cosa accade all'interno della cervice: l'infezione da HPV è alla base di questa trasformazione
neoplastica. Nel 1844, un medico Rigoni Sterni notò che all'epoca, a Verona, il carcinoma della cervice
uterina era molto frequente tra le prostitute, ma non tra le suore. Ciò venne messo in rapporto ai regimi di
vita. Questa osservazione andò nel dimenticatoio per riaffacciarsi più volte, ma con più evidenza nella
guerra di Corea. La guerra di Corea si è svolta negli anni Cinquanta. I soldati americani che combattevano in
Corea, venivano mandati a riposare nel Sud-Est asiatico in paesi come la Thailandia e la Birmania. Qui c'era
un mercato di prostituzione che quindi favoriva i rapporti non protetti. Questi soldati dettero origine a
un'epidemia di condilomi e ciò venne messo in rapporto a una trasmissione virale dei maschi, che in seguito
avevano infettato le donne.

Oggi noi sappiamo che per quanto riguarda la


cervice uterina, l'incidenza delle malattie
neoplastiche del cavo orale per HPV, sta
diventando quasi totale nei soggetti giovani di
ambedue i sessi, mentre prima era netta
l'incidenza maschile. Secondo i dati raccolti nel
2001, nel mondo si verificavano circa 470.000
nuovi casi /anno di cancro della cervice con una
mortalità pari a 233.400 casi. All'incirca metà
ammalati e metà morti. È una percentuale
altissima. In Italia era del 2-5%. Oggi
probabilmente l'incidenza è aumentata. Ci sono
malati anche in Italia, ma non muoiono più
perché grazie al Pap-test viene scoperta
precocemente la presenza di lesioni. Tant'è vero che andando a vedere i casi per 100 mila abitanti, essi
sono aumentati in India, nel sud est asiatico e in Africa. In Italia ci sono 5000 casi mentre la mortalità è pari
a 764 casi, cioè al 15%.

Esistono un'infinità di ceppi di HPV. I più noti sono: 6,11,16,18,31,33 ma ce ne sono anche altri. È
importante ricordare che i virus del papilloma si dividono in ceppi a basso rischio e ceppi ad alto rischio.
Quando una persona si infetta, o con un virus ad alto rischio, o con uno ad alto rischio, il concetto non
cambia. L'HPV raggiunge lo strato episomiale delle cellule basali e da inizio alla propria replicazione. Forma
quindi tutti i componenti necessari: acidi nucleici (in questo caso DNA), capsidi, virioni, ecc. Non è detto
però che il virus si integri nel DNA. Quindi, anche se una cervice normale ha un'infezione da HPV ad alto
70
rischio, può avere la possibilità di avere una clearance da parte del sistema immunitario. Quindi il virus
provoca una coilocitosi, cioè una modificazione tipica delle cellule infette.

Coilocitosi: termine che indica la presenza di coilociti, cellule epiteliali pavimentose a forma di rotonda o navicolare, con nucleo centrale
bilobato, ipercromico o picnotico (senza struttura regolare), attorniato da un alone regolare, che separa il nucleo dalla membrana nucleare. Fa
parte della anomalie cellulari che si possono riscontrare durante la lettura di uno striscio colpocitologico (comunemente detto Pap-test), ma non
rappresenta una lesione precancerosa. È solo un segno indiretto dell'infezione del Virus del Papilloma Umano (HPV), agente eziologico dei
condilomi e del cancro della cervice uterina.

Fin qui è uguale sia per i ceppi ad alto rischio, sia per quelli a basso rischio. A questo punto avviene che la
prima infezione si estrinseca con anomalie citologiche lievi, ma può anche regredire. Se nella peggiore delle
ipotesi l'HPV ad alto rischio persiste, si ha l'integrazione del genoma virale all'interno del nucleo cellulare e
si formano lesioni preinvasive che possono provocare carcinogenesi. Ecco dimostrato che avevano ragione
sia coloro che sostenevano il CIN, sia quelli che non approvavano la teoria. Concludendo, possiamo dire che
ci sono delle lesioni da HPV capaci di progressione neoplastica in quanto legati all'infezione da a virus ad
alto rischio (questi sono i CIN che progredivano)e lesioni legate a infezioni a basso rischio o a infezioni da
hpv che ha subito una clearance immunitaria. Questo è il diagramma:

Infezione da HPV ad Persistenza HPV ad alto


alto rischio rischio

CERVICE EPITELIO CON INFEZIONE DA LESIONI PREINVASIVE:


NORMALE HPV L-SIL/ H-SIL

ANOMALIE CITOLOGICHE
LIEVI CARCINOMA
INVASIVO

Regressione

Noi possiamo avere quindi varie possibilità: cellule di riserva infettate, modificazioni displastiche (es.
condiloma immaturo), epitelio metaplastico, infezione delle ghiandole,... La cosa importante è sapere però
che la sequenza è legata ad un virus e che quindi si possono fare campagne di vaccinazione. Ai termini visti
in precedenza (displasia lieve, moderata, severa, carcinoma in situ o CIN1, CIN2, CIN3) se ne sono affiancati
in citologia altri due:

71
1. LESIONE L-SIL (L sta per low) o lesione epiteliale intrasquamosa di basso grado. Corrisponde al CIN1.
2. LESIONE H-SIL (H sta per high) o lesione epiteliale intrasquamosa di alto grado. Corrisponde a CIN2 e
CIN3.

Per il CIN1 si fa solo sorveglianza attiva; si ripete il citologico con una frequenza maggiore perchè si sa che
una buona percentuale di casi regredisce. Il CIN2 e il CIN3 invece vanno trattati (ad es. con la
vaporizzazione), perchè per quelli non c'è risoluzione.

Un'altra delle sequenze che fa vedere chiaramente la


displasia è quella che porta all'adenomatosi del colon.
Questa è una biopsia di un polipo adenomatoso del colon.
Qui si riconoscono le ghiandole, differenziabili perché
producono muco. Se c'è un processo di progressiva
sdifferenziazione, esse andranno a produrre sempre meno
muco, che pian piano si ridurrà a gocce. Uno degli aspetti
che posso vedere è la progressiva sdifferenziazione che mi
consente di parlare di displasia anche nelle lesioni
adenomatose del colon. Nelle sezioni istologiche si
evidenzia la bassa presenza di muco e la comparsa di mitosi
anche al di sopra degli strati basali e parabasali. C'è anche un ispessimento dell'epitelio di rivestimento
formato da cellule sempre più nucleolate, fino alla totale scomparsa di muco. Anche qui si può avere una
displasia lieve, moderata, grave, ma anche un carcinoma in situ che probabilmente non vedrò perché si
evidenzierà direttamente la displasia. Anche nella sequenza adenoma - carcinoma io ho le progressive fasi
della sdifferenziazione cellulare.

Tutto questo presuppone che si siano verificate quelle tappe successive, della teoria clonale progressiva,
per cui significa che si ha una prima mutazione dopo la quale si ha una selezione clonale sulla quale avviene
una seconda mutazione; queste cellule proliferano un’altra volta e si ha una terza mutazione, che può
essere legata all’apoptosi, al p53, alle caderine, ecc e poi si ha una quarta mutazione. Quando interviene il
processo di displasia e quindi si appalesa morfologicamente ci siamo già trovati di fronte a un processo che
ha subìto 4 o almeno 3 mutazioni. Nel futuro scopriamo che prendendo uno striscio della cervice uterina
possiamo vedere la presenza della mutazione.

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Nei meccanismi di trasformazione neoplastica interviene un tale coacervo di fattori che l’identificazione di
uno sarebbe l’ideale ma non è così. Per capirci, la infezione da HPV è una condizione che sicuramente
predispone nei casi di virus ad alto rischio alla trasformazione neoplastica, ma c’è solo il 40% di probabilità
che si trasformi in cancro perché intervengono fattori immunitari, condizioni socio-economiche,
molteplicità di infezioni, l’uso di alcol e il fumo; i quali attivano o disattivano i meccanismi di controllo della
crescita cellulare o dell’apoptosi. L’infezione è una condizione necessaria ma non sufficiente.

Ricordando che nelle immagini molto blu vuol dire molto nucleo, siamo di
fronte ad un carcinoma avanzato della cervice uterina (immagine a sinistra).
Da un lato interessa più della metà della parete uterina e dall’altro è tanto
ma molto meno della metà dello spessore
della parete.

Possiamo avere displasia lieve, moderata,


severa, carcinoma in situ, cin1, cin2 e
displasia grave, e carcinoma in situ
insieme(cin3).

Dopo cin3 viene lo sfondamento di quella “Maginot” che è la linea basale,


linea di resistenza forte presente ovunque ci sono due livelli (cute, esofago,
vagina). Dopo tutto quel processo che ha portato alla trasformazione
neoplastica intraepiteliale avvengono una serie di meccanismi che
favoriscono lo sfondamento. E’ da ricordare che il processo di trasformazione in situ può durare da 2 a 20-
25 anni nella cervice uterina, come nella mammella. Dopo che ha sfondato la barriera costituita dalla
membrana basale, comincia gradualmente a sfondare la parete mandando una linguetta e poi più linguette
di tessuto e dà quello che viene chiamato un carcinoma microinvasivo: significa che è un tumore che ha
iniziato a infiltrare la membrana basale e lo stroma che è al di sotto. Nella cervice uterina un carcinoma
microinvasivo è un carcinoma che infiltra meno o uguale a 3mm, che non è poco. Questa regola dei 3mm
vale per tutti i tumori che insorgono in un epitelio che o è squamoso o diventa squamoso per metaplasia.

RIASSUMENDO E PUNTUALIZZANDO: si definiscono carcinomi microinvasivi tutti i casi in cui l’infiltrazione


dello stroma è minimo (< 3 mm).

E’ importante stabilire lo spessore d’infiltrazione perché la prognosi tra un carcinoma in situ e uno
microinvasivo, cioè che infiltra poco, è strettamente correlata. La prognosi di un carcinoma microinvasivo (o
inizialmente invasivo), dovunque esso sia, nel 95-98% dei casi è uguale a quella di un carcinoma in situ. La
possibilità di avere metastasi è del 3-5%. L’invasione infatti comporta che ci possa essere diffusione per via
ematica o per via linfatica. La microinvasione può essere minima e probabilmente non darà metastasi, ma
non è detto.

Quando supera i 3mm ed invade ampiamente lo stroma è chiamato carcinoma infiltrante. A questo punto
più ampia è l’infiltrazione e peggiore è la prognosi; vedremo che anche la stadiazione dei tumori maligni si
basa su questo criterio di estensione, misurando in millimetri o in rapporto alle sedi anatomiche. Il
carcinoma della mammella si misura in mm perché lo si può fare radiologicamente, ecograficamente o sul
pezzo; invece il carcinoma dello stomaco si misura osservando la mucosa, muscolaris mucosa,
sottomucosa, tonaca muscolare e sierosa. Quindi non si misura ma si calcola sulla base delle strutture
progressivamente interessate. Un carcinoma infiltrante si vede ad occhio nudo, a differenza del carcinoma
in situ e di quello microinvasivo che hanno bisogno di una lente.

Prima abbiamo parlato di carcinoma microinvasivo squamoso, esiste anche il carcinoma microinvasivo
ghiandolare cioè un adenocarcinoma microinvasivo.

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Le ghiandole normali si è soliti disegnarle verticali e dritte, ma quando facciamo la biopsia per sezione
vediamo soltanto il profilo della ghiandola tagliata trasversalmente. Quando comincia il processo di
displasia nella ghiandola, che assume un contorno irregolare perché caccia qualche
prolungamento/deformazione ameboide e all’interno l’epitelio comincia a proliferare e progressivamente si
differenzia e perde la capacità di fare muco e secernere sostanze, vediamo ghiandole di dimensioni
differenti all’interno delle quali è iniziato a proliferare epitelio atipico. La ghiandola diventa sempre più
brutta, più allungata, più stellata, molto più estesa. Nell’immagine della biopsia il rosso rappresenta la
membrana basale, nel carcinoma in situ il rosso è conservato. Un adenocarcinoma è chiamato così perché
fa ghiandole, cioè un bottone ghiandolare si stacca ed è provvisto da una pseudomembrana ghiandolare;
quindi è difficile da distinguere rispetto a un carcinoma in situ. Una valutazione precisa dell’infiltrazione o
meno di una struttura ghiandolare è difficile. Se c’è fibrosi vuol dire che infiltra, ma se non c’è come spesso
succede come faccio? Per gli adenocarcinomi il concetto di microinvasione si estende arrivando alla
definizione di early cancer ghiandolare, in particolare nello stomaco. L’early gastric cancer, in senso
patologico stretto, è un adenocarcinoma che non ha superato la barriera della muscolaris mucosa, ossia la
sottile banda di tessuto muscolare presente in tutte le mucose del tratto gastroenterico. Quindi è infiltrante
ma è poco infiltrante. Invece da un punto di vista chirurgico l’early gastric cancer è un adenocarcinoma che
ha superato la muscolaris mucosa ma non la sottomucosa. In ogni caso non stiamo più parlando di un
adenocarcinoma microinvasivo ma di un carcinoma iniziale che anatomicamente mettiamo in relazione o
alla muscolaris mucosae o alla sottomucosa. Tutto questo è perché quando sono ghiandole non riesco a
vedere dove infiltra.

74
NEOPLASIE
STORIA

Sono stati diagnosticati tumori risalenti a molte migliaia di anni fa, esempi di sarcomi osteogenici o
osteosarcomi che producono osso. Nel papiro di Ebbers ci sono documentazioni di neoplasie e anche di
metodiche chirurgiche con le quali erano trattate, come la neurochirurgia trans nasale. I tumori quindi sono
sempre esistiti anche nell’antichità, tuttavia essendo malattie che si manifestano con il sopraggiungere
dell’età in passato non erano molto frequenti essendo la vita media molto bassa e le malattie infettive
molto frequenti. Galeno fece la prima descrizione scientifica della neoplasia facendo la distinzione
primordiale tra tumore benigno e tumore maligno. Egli fu il primo a utilizzare i termini polipo e cancro: per
polipo si intende la testa dell’animale che è liscia e morbida; al contrario con il termine di cancro si
intendeva ciò che veniva fuori da un granchio, ossia un core centrale duro e una serie di diramazioni come
le chele di un granchio che infiltravano il tessuto circostante conferendo non solo la durezza ma anche la
diminuita spostabilità della lesione (es: carcinoma duttale infiltrante della mammella).

EPIDEMIOLOGIA
Attualmente se vediamo le statistiche (Istat, 2007) si nota come le malattie oncologiche rappresentino il
28% delle cause di morte in Italia e se diamo uno sguardo ai grafici di come tutte le tipologie di tumori si
manifestano nel corso del tempo, notiamo tumori in fase crescente e altri tumori invece rimasti stabili
(tumori cerebrali). Sono aumentati i tumori dell’ovaio e dell’utero e il melanoma ha subìto un aumento del
30% sia negli uomini che nelle donne. Molto interessante è vedere come sia aumentata l’incidenza per
alcuni tumori e sia invece diminuita per altri come la vescica, inoltre bisogna costatare che anche se
l’incidenza di alcuni tumori è aumentata l’indice di mortalità è diminuito. Questo perché da una parte
l’attività di screening è sempre più approfondita e poi perché le varie forme di terapia che si adottano oggi
hanno ridotto l’indice di mortalità.

L’incidenza sembra più alta nel sesso maschile, come per i linfomi e il cancro all’esofago; probabilmente è
dovuto ad aumento della vita media.

Studiando il carcinoma del fegato si è visto che ci sono aree in Italia come Napoli dove ci sono più di 40 casi
per 100000 abitanti e ciò è dovuto alla diffusione di HCV che provoca prima epatite cronica e poi la cirrosi,
questa viene curata ma è favorita l’insorgenza del cancro. Stessa cosa per cirrosi da alcolismo, dopo la
cirrosi ci sono dei noduli neoformati che vanno facilmente incontro a mutazioni e displasia.

DEFINIZIONE

La neoplasia è una massa tissutale abnorme con crescita eccessiva e incoordinata rispetto ai tessuti
circostanti, che non cessa di svilupparsi neanche quando lo stimolo, non sempre conosciuto, che l’ha
causata termina.

Questa definizione nasce per differenziare la neoplasia dalla controparte: l’iperplasia. Riguardo
quest’ultima noi avremo un ispessimento o crescita abnorme del tessuto, tuttavia l’eliminazione dello
stimolo che genera l’iperplasia determina una regressione della massa, un ritorno alla normalità del
tessuto.

Il gozzo è un esempio di iperplasia, nasce sulla base di carenza di iodio con aumento di TSH che bombarda
la tiroide; la tiroide bombardata va incontro a iperplasia che porta a esaurimento funzionale, altre porzioni
diventano iperplastiche, si formano i noduli che poi diventano cistici. La terapia consiste nella

75
somministrazione di tiroxina per mettere a riposo il TSH che non bombarda più la tiroide, quindi il gozzo o si
ferma o comunque si stabilizza. La donna ha spesso iperplasia dell’endometrio dovuta ad estrogeni, è un
fenomeno quasi fisiologico nella fase perimenopausale perché finiscono le ovulazioni, non c’è più
progesterone e rimangono gli estrogeni che causano iperplasia. Poi quando si va in menopausa finiscono
anche gli estrogeni e l’iperplasia scompare, oppure si somministra progesterone per compensare gli
estrogeni e si risolve comunque. Nell’uomo c’è l’iperplasia adenomatosa della prostata, da cui è affetta
grande parte della popolazione; la quale può comportare incontinenza ma facendo terapia compensatoria
l’iperplasia va incontro a importante riduzione. Per i tumori anche conoscendo la causa ed eliminandola la
neoplasia non scompare (es: tumore papillifero della tiroide che non scompare con somministrazione di
tiroxina). Se tento di eradicare infezione da HPV con un farmaco, ammettendone l’esistenza, dopo che si è
integrato con il genoma della cellula non posso fare più niente perché ormai la mutazione è avvenuta e il
processo neoplastico può procedere.

Può succedere che su fenomeni iperplastici si verifichino mutazioni clonali che vanno incontro a
trasformazione neoplastica successiva formando un adenocarcinoma. Può avvenire, ad esempio, in una
donna con iperplasia dell’endometrio non trattata che vada incontro ad adenocarcinoma. Succede che dalla
popolazione policlonale si ha un fenomeno di iniziazione dei singoli elementi, una proliferazione
monoclonale, un’ulteriore mutazione che comporta una trasformazione maligna e da questa un’altra
mutazione ancora che dà origine a una popolazione monoclonale neoplastica.

La diagnosi di tumore si può supporre su una radiografia, pensare da un punto di vista clinico; ma la
conferma è sempre morfologica!

CLASSIFICAZIONE
E’ molto più semplice descrivere i tumori che definirli in quanto soprattutto nei tumori benigni le differenze
rispetto al tessuto normale circostante sono più quantitative che qualitative.

Se guardiamo questa slide vediamo la presenza di un polipo con al di sotto la mucosa


endometriale del polipo. Alla punta il polipo è emorragico, quindi dà come segno clinico
la metrorragia. Questa immagine dimostra come non vi sia significativa differenza
strutturale tra la morfologia di un polipo e quella della mucosa sottostante, in altre
parole la differenza è solo quantitativa e non qualitativa.

La classificazione è un ibrido di termini su

- ISTOGENESI (tessuto originario: epiteliale/mesenchimale e poi


squamoso/vescicale/ghiandolare/fibroso/adiposo)
- FUNZIONE
- SEDE DI ORIGINE
- COMPORTAMENTO CLINICO
- NUMEROSI EPONIMI (nomi di chi ha descritto la malattia).

La classificazione più grande viene fatta tra probabilmente benigni e probabilmente maligni. Si nota però
che non vi è una comprensiva e completa classificazione dei tumori, ciò perché è presente un tale numero
di tumori che non permette una indicazione globale. Ciò che siamo però riusciti a classificare per bene sono
i vari sottotipi di ogni tumore, ai quali per ognuno è stato dedicato un opuscoletto che analizza le varie
forme: si chiamano “blue book” e sono editi dall’OMS.

La migliore CLASSIFICAZIONE delle malattie è quella EZIOLOGICA poiché se io conosco la causa, conosco
anche il tipo di malattia (es: malattie infettive); tuttavia questo tipo di correlazione con i tumori non è così
diretta. Vi sono alcuni esempi nei quali vi è una sorta di correlazione tra malattia e agente eziologico.
76
 Nel Maltoma Gastrico eradicando l’helicobacter pylori si riduce il maltoma.
 Stessa cosa nel carcinoma epatocellulare che è correlato al virus HCV e HBV.
 Il tumore del rinofaringe è correlato all’EBV
 Il Sarcoma di Kaposi è correlato al virus HHV8
 Il carcinoma della cervice uterina ha una stretta correlazione con il virus HPV.
 La Schistosomiasi è un elmintiasi e i soggetti che vanno a fare il bagno in acque contaminate, come
quelle del Nilo, hanno parassitosi della vescica che può indurre l’insorgenza di un carcinoma
squamoso vescicale, proprio per via meccanica. Ciò avveniva anche nei soggetti ai quali veniva
inserito catetere vescicale in seguito ad iperplasia della prostata invece di operarli.
 Le fibre di asbesto danno origina al mesotelioma
 Più genericamente l’uso di tabacco e alcool favorisce l’insorgenza di carcinoma polmonare e
carcinoma pancreatico.

All’elenco possiamo aggiungere anche le radiazioni gamma per l’insorgenza di alcuni tumori e in particolare
di malattie ematologiche e leucemie ma anche del carcinoma della tiroide (quello che si è verificato a
Chernobyl).

Tuttavia per tumori come quello del colon, stomaco, retto,esofago e leucemie purtroppo scopriamo che vi
è una correlazione statistica con alcuni fattori di rischio ma il rapporto causa e effetto non è automatico. Ad
esempio il tabagismo è un fattore di rischio per molti tipi di tumori, tranne per il cancro al colon-retto dove
intervengono altri fattori come l’attività fisica e l’obesità. Quindi nonostante i grandi passi avanti fatti oggi
nello individuare le cause di tumore , fare una classificazione eziologica è poco utile; molto più importante è
eseguire una corretta ed accurata diagnosi. Ad esempio, se riscontriamo maltoma gastrico superficiale con
la sola diagnosi possiamo decidere di eradicare H. Pylori senza sottoporre il paziente a intervento
chirurgico.

Passiamo alla CLASSIFICAZIONE ISTOGENETICA. sui libri è di solito ridotta alla distinzione tra epiteliale e
mesenchimale ma è scorretto. Un’attenta classificazione istogenetica distingue:

 tumori derivanti dalla cresta neurale ( tumori melanocitici, della cresta neurale primitiva, del
sistema nervoso periferico )
 tumori germinali (che possono essere differenziati o primordiali, tipici dell’ovaio e del testicolo)
 tumori del mesoderma (da mesoderma primitivo, sub-celomico, celomico e mesenchimale)
 tumori dal trofoblasto (corio carcinoma, pseudo tumore trofoblastico , tumore del sito placentare)
 tumori derivanti dal neuro ectoderma (da tubo neurale e neuro ectoderma primitivo)
 tumori originati dall’endoderma/ectoderma (tumori epiteliali che possono essere di superficie,
parenchimali, endocrini, dell’endoderma ectoderma primitivo e tumori odontogenici).

Scolasticamente definiamo i tumori come epiteliali, mesenchimali o embrionali.

BENIGNI MALIGNI
EPITELIALI Adenomi Adenocarcinoma

Papillomi Carcinoma squamoso


MESENCHIMALI Leiomioma Leiomiosarcoma

Rabdomioma Rabdomiosarcoma

Lipoma Liposarcoma

Fibroma Fibrosarcoma
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EMBRIONALI -blastoma -blastoma

Il leiomioma è un tumore benigno della muscolatura liscia. Tipica sede del leiomioma è l’utero. E’ un
tumore frequente che volgarmente è chiamato fibroma uterino. Colpisce il 40% della popolazione
femminile e il 10% di questo diventa clinicamente evidente. Inoltre ne esistono diversi tipi (cellulare,
linfoide, epitelioide, vascolare, simplastico, pleomorfo e altre). Si può notare come la classificazione fatta
sopra sia molta riassuntiva perché esistono moltissimi sottotipi. Di leiosarcoma esistono almeno 5 varianti.
(Classico,epitelioide, mixoide, pleomorfo)

Esiste anche una CLASSIFICAZIONE PER TIPO

TIPI
SEMPLICI Sono costituiti da una solo componente cellulare.
MISTI Sono costituiti da più componenti cellulari ma derivano da unica cellula.

Es: ghiandole salivari con cellule mio epiteliali la cui neoplasia può dare origine sia a
cellule epiteliali che mesenchimali.
GERMINALI Possono avere tutte le componenti cellulari perché nascono da una cellula germinale
totipotente, quindi possono formare tessuti epiteliali, mesenchimali ed ecto-
endodermali. possiamo trovare osso,cute, polmone, tessuto nervoso e così via. Sono
detti TERATOMI, sono tipici dell’ovaio.

Ancora si può fare una CLASSIFICAZIONE PER COMPORTAMENTO BIOLOGICO

La classificazione dei tumori può essere stilata in base alla distinzione tra benigno e maligno.

Tuttavia tale distinzione ha tante sfumature. Per essere ancor più precisi possiamo sottoclassificare la prima
distinzione affermando che i tumori possono avere

 una malignità solamente locale, cioè sono incapaci di dare metastasi a distanza che è la
caratteristica principe dei tumori maligni; e hanno capacità di recidiva in sede. Es: carcinoma
basocellulare della cute, molto frequente ma senza metastasi.
 malignità indefinita/incerta. Sono i tumori detti borderline. Un esempio è il classico tumore
dell’ovaio ma con malignità non definibile. Se viene fatta una diagnosi precisa di questi tumori, 9 su
10 si comportano come tumori benigni. E’ stata introdotta questa categoria perché ci sono tumori
che devono essere considerati tali, ma anche perché i patologi possono trovarsi di fronte a tumori
di cui non riescono a definire la malignità e classificandoli come borderline si mettono a riparo da
problemi di tipo medico-legale.
 Lesioni pre-cancerose, precursori morfologici di cancro e carcinomi in situ. Questi sono carcinomi,
hanno tutti stimmate di malignità, istologiche o citologiche, ma non sono capaci di dare metastasi.
 Infine c’è un altro capitolo di lesioni che sembrano tumori, in quanto crescono più rapidamente
dei tessuti circostanti e hanno caratteristiche morfologiche che possono far pensare a un tumore,
ma in realtà sono l’esasperazione di fenomeni quasi fisiologici. Questi vengono chiamati
PSEUDOTUMORI. Generalmente questo tipo di problema si genera sulle superfici ossee contigue
alla pelle. Se io faccio la biopsia di un callo osseo dove c’è tessuto osseo in proliferazione io troverò
osteoblasti proliferanti, di grosse dimensioni, con grande nucleo, grande nucleolo e con attività di
sintesi marcata; pertanto se per assurdo io faccio la biopsia senza che il clinico mi dice che quello è
un callo osseo, io anatomopatologo potrei dare tranquillamente diagnosi di osteosarcoma. Mentre
è solo un callo osseo iperproliferante che deforma la siluette dell’osso che risulterà ispessito.
Fanno parte di questa categoria i cheloidi, presenti sulle braccia di coloro che hanno fatto la
vaccinazione antivaiolo, cioè cicatrici ipertrofiche risultato di una reazione fibroblastica o mio
fibroblastica che viene come conseguenza di meccanismi di cicatrizzazione senza controllo. Tali
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processi vanno oltre i loro limiti senza bloccarsi. Stesso discorso vale per le fasciti che si verificano
nei tessuti molli.

Solo per capire, nella classificazione dei blue book dei tumori dell’apparato genitale femminile nel capitolo
riguardante i tumori della vagina, che è un organo semplicissimo in quanto costituito solo da mucosa,
sottomucosa e tonaca parietale, sono presenti tutti questi tumori: squamosi con i precursori, intraepiteliali,
benigni, ghiandolari con gli adenocarcinomi, altri tumori epiteliali, mesenchimali compresi il sarcoma e il
leiomiosarcoma, misti, melanocitici, linfatici, metastatici, pseudo tumori.

Tornando a tumori benigni e maligni, c’è una grande differenza tra tipologie di tumori differenti.
Addirittura ci sono tumori benigni capaci di dare metastasi anche se sono molto rari, ad esempio esiste un
leiomioma metastatizzante perché fa metastasi nel polmone.

In conclusione, l’idea che dobbiamo avere è che ci sono nell’ambito delle categorie di tumori benigni e
maligni un’aggressività e una benignità diversa tra due tipi.

CRITERI CLINICO – MORFOLOGICI DI BENIGNITA’ E MALIGNITA’

 Dimensioni
 Rapida crescita
 margini

Normalmente un tumore benigno è un tumore di piccole dimensioni, che cresce lentamente e con margini
lisci. Invece un tumore maligno ha grandi dimensioni, cresce rapidamente e ha margini infiltrativi.

La prima cosa è l’osservazione: come faccio a sapere se un tumore è di grandi o piccole dimensioni?

Nella prima immagine è presente un tumore di grande dimensioni ma di natura benigna (leiomioma) e nella
seconda un tumore di piccole dimensioni ma dall’aspetto necrotico e dal carattere maligno
(leiomiosarcoma). Quindi per interpretare le dimensioni di una massa neoplastica bisogna capire quali sono
i tempi di crescita. Esempio: donna va dal ginecologo che individua lesione solida di 4cm dall’aspetto
omogeneo, prima di sottoporla a intervento chirurgico di asportazione la si invita a tornare a controllo dopo
3 mesi. Se trascorso tale periodo la massa risulta di 8cm quindi notevolmente aumentata la si considera
grande e in rapida crescita e si decide di asportarla. Inoltre un tumore che cresce tanto ma non porta segni
di necrosi ed emorragia perché trascina con se lo stroma sottostante vuol dire che è cresciuto lentamente,
al contrario di un tumore con evidente necrosi .

Nei noduli la crescita espansiva è di solito segno di benignità, la crescita infiltrativa è generalmente, ma non
sempre, sinonimo di malignità.

La crescita lenta nella pancia, o anche nell’encefalo, consente un adattamento, per questo è possibile
trovare soggetti con tumori di 30-40kg che sono cresciuti durante gli anni consentendo agli organi di
adattarsi alla loro presenza. Questi tumori possono avere sintomi minimi o più evidenti. Un leiomioma
79
dell’utero, quando raggiunge una certa dimensione, dato che impedisce la corretta contrazione della parete
può provocare metrorragia, ma uno dei sintomi più caratteristici è che premendo sul pavimento pelvico ed
indebolendolo, il soggetto in seguito a starnuto o a colpo di tosse più violento perde piccoli quantitativi di
urine: incontinenza per compressione.

I tumori benigni possono anche secernere molecole bioattive: ad esempio gli adenomi ipofisari sono la
principale causa di infertilità di coppia perché secernono prolattina. I tumori intrainsulari pancreatici
secernono tanto grandi quantità di peptide vaso attivo intestinale da provocare il cosiddetto colera
pancreatico, cioè diarrea inarrestabile che non si riesce a contenere perché sono tumori di 2-3mm anche se
benigni. Inoltre ci sono tumori di natura benigna che causano danno nella sede in cui si trovano: per
esempio i tumori che insorgono vicino al chiasma ottico rendono i soggetti ciechi. Ci possono essere anche
tumori benigni in grado di causare emorragia intralesionale con aumento improvviso di volume della
lesione che fa pensare a trasformazione maligna ma non lo è.

I tumori maligni hanno capacità di crescita rapida, capacità di invasione locale ma soprattutto la capacità di
metastatizzare. Per valutare la crescita rapida, come detto prima, bisognerebbe conoscere il punto di
partenza, ciò spesso non è possibile e allora si va a guardare l’espressione fenotipica del fenomeno
neoplastico.

Un tumore cresce in maniera diversa se insorge in un organo parenchimatoso (encefalo, mammella,


polmone, …), in organi cavi o piatti (cavità uterina, tratto gastroenterico, …e cute) e in un organo pieno.
Quando il tumore nasce in un organo solido crescerà sotto forma di nodulo, nodulo espansivo in caso di
tumore benigno e infiltrativo se maligno.

Sui libri c’è scritto che i tumori benigni sono capsulati, non è vero! Pochissimi tumori benigni hanno la
capsula; è corretto dire che i tumori benigni sono circoscritti e a crescita espansiva e la pseudo capsula che
li riveste è fatta dall’organismo e non dalla neoplasia. (la capsula vera è quella fatta dal tumore) Peraltro
non è vero che quando sono capsulati sono sempre benigni. Nella tiroide esiste un’eccezione alla regola: c’è
un carcinoma follicolare capsulo-invasivo nel senso che il tumore ha la capsula e la infiltra. Se invece un
tumore nasce in un organo cavo può avere un tipo di crescita comune sia alle forme benigne che a quelle
maligne ossia la crescita esofitica, detta anche papillare, polipoide,… nella vescica, nella cute, nella laringe e
via dicendo si riscontrano molti casi di papillomi, carcinomi vegetanti, polipi peduncolati e polipi sessili (cioè
con base di impianto stretta o larga), adenomi fibulari e adenomi tubulo fibulari. Più la crescita è esofitica
meglio è perché un tumore che cerca la superficie e infiltra poco la parete ha una prognosi sicuramente più
favorevole. Questo tumore quando è maligno può avere una crescita infiltrativa a placca o una crescita
ulcerativa o ancora crescita ulcero-vegetante che presenta vegetazioni sui bordi.

Esempio: i tumori della colecisti sono adenocarcinomi ma possono essere anche carcinomi squamosi. E la
crescita può essere esofitica , endofitica, vegetante o ulcerativa; la prognosi sarà tanto peggiore quanta più
parete è stata infiltrata, fino al coinvolgimento del fegato.

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In conclusione i criteri differenziali per
classificare un tumore sono

- Crescita
- Mitosi
- Cromatina nucleare
- Differenziazione (nei maligni è
scarsa)
- Crescita locale
- Capsula
- Distruzione tessutale (presente nei
maligni)
- Invasione vascolare (presente nei
maligni)
- Metastasi (presente nei maligni)
- Effetti sull’ospite (poco significativi
nei benigni, importanti nei maligni).

Ovviamente ci sono delle eccezioni. Ciò che


abbiamo detto vale nel 70% dei casi.

STRUTTURA DELLE NEOPLASIE


I tumori sono fatti come gli organi, nel senso che hanno una componente parenchimale che è quella
costituita dalle cellule neoplastiche proliferanti e la componente importantissima costituita dallo stroma di
supporto (tessuto connettivo, vasi ematici e linfatici). C’è un solo organo nel nostro organismo dove non c’è
stroma ed è il cristallino, e non sono mai stati descritti tumori del cristallino perché l’interazione stroma-
componente parenchimale è indispensabile. Quando il tumore cresce lentamente, la componente
parenchimale e lo stroma crescono insieme omogeneamente. Quando la crescita è rapida si formano aree
di necrosi ed emorragia visibili non solo dal punto di vista anatomo-patologico ma anche endoscopico e
strumentale.

Funzioni dello stroma:

1. Supporto
2. Vascolarizzazione.
3. Aspetto macroscopico e consistenza (es. aspetto labirintico dei tumori border-line dell’ovaio). Lo
stroma può essere talmente marcato che può conferire ad esempio nella mammella consistenza
lapidea della neoformazione mammaria. Da qui possiamo affermare come lo stroma sia
responsabile anche della consistenza. Lo stroma è di fatto il supporto logistico al tumore. Può
provocare ostruzione ad esempio nel colon.

Lo stroma è importantissimo perché consente ai tumori maligni di fare metastasi. L’interazione tra stroma e
tessuto ha delle ripercussioni dal punto di vista osservazionale anche per formazioni microscopiche.
Esempio di cercive uterina dove si vede mucosa rosa (epitelio squamoso non cheratinizzato che fa vedere il
letto vascolare sottostante), muso di tinca ossia orefizio uterino esterno in soggetto che ha partorito,
immagine normale. Se inietto i vasi di questa lesione si vede che i plessi vascolari sub-epiteliali si
anastomizzano tra di loro, ecco perché vediamo un rosa omogeneo. Quello grigio è l’epitelio di
rivestimento e sotto ci sono i vasi che si anastomizzano tra di loro. Nella seconda immagine è sempre una
cervice ma ci sono aree biancastre ed emorragia, dalla base alla superficie ha proliferato una componente
cellulare che non si differenzia dal basso verso l’alto: è una displasia gravissima. Data la displasia i vasi non
si anastomizzano tra di loro per questo l’aspetto della cervice è differente. L’anastomosi molto più
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irregolare di questi vasi avviene addirittura in superficie. Per lesioni in situ o microinvasive ho delle
immagini che mi danno la possibilità di fare direttamente diagnosi, anche per lesioni iniziali.

METASTASI

Le metastasi possono andare ai linfonodi o agli


organi. I linfonodi svolgono nell’ambito dei
tumori maligni la stessa funzione che hanno
nelle infezioni. Un carcinoma della tonsilla
molto probabilmente darà metastasi o a un
linfonodo sottomandibolare o a uno
laterocervicale. Quindi il tumore metastatizza
o per via linfatica o per via ematica, quella
linfatica vale molto di più per gli epiteliali che
per i mesenchimali. Quella d’organo segue di
norma le vie anatomiche con alcune eccezioni.

Il tumore può dare metastasi anche per impianto diretto: metastasi per contiguità. Contiguità significa che
un tumore es. dello stomaco raggiunge la mucosa, sottomucosa fino alla sierosa e, come affacciandosi da
un balcone,si tuffa nel peritoneo dove le cellule si impiantano. Così fa anche il tumore dell’ovaio. Il tumore
di Krukenberg è un tumore dello stomaco che dà direttamente metastasi bilaterali sulle ovaie, allo stesso
modo le sue cellule per diffusione inseminano i tessuti circostanti. Questo tipo di metastatizzazione non
avverrà né per via linfatica né per via ematica ma per contiguità. Poi ci sono tumori come il carcinoma Baso-
cellulare, che recidiva nonostante vengano appartenente asportati per via chirurgica, questo perché il sito
di contatto tra la guaina e i nervi rappresenta un punto di debolezza: locus minori resistenzae.

- VIA EMATICA

Tutti i tumori, di qualunque sede, eccettuati quelli del tratto gastroenterico, hanno come possibilità di
metastasi il polmone perché tutto il sistema venoso periferico va direttamente al polmone passando per il
cuore destro. Gli organi dell’apparato gastroenterico sono invece tributari del fegato attraverso il sistema
portale. I tumori del polmone invece possono dare metastasi ovunque passando per il cuore sinistro.
Purtroppo essendo tumori maligni, questa regola ha delle integrazioni: ci sono tumori che saltano il
polmone e il filtro polmonare e vanno in alcuni organi e distretti ben precisi.

il carcinoma della mammella viene drenato a livello dei linfonodi ma in una certa percentuale dei casi
purtroppo senza dare metastasi linfonodali dà metastasi per via sistemica cioè usando la via ematica;
potrebbe andare al cuore ma il suo principale bersaglio è l’apparato scheletrico, quindi metastasi ossee.
Infatti non si opera mai una donna per carcinoma della mammella senza aver fatto prima una scintigrafia
ossea. Anche il tumore della prostata dà metastasi a livello osseo ma ciò dipende dal fatto che c’è uno
shunt venoso tra le vene del plesso prostatico e quelle del distretto osseo lombare. Quindi possiamo
parlare di tropismo, simile al tropismo virale per il quale un enterovirus come quello della poliomielite può
dare paralisi a livello spinale. Le metastasi che oltrepassano il filtro polmonare si dirigono a

1. Ossa (organo più grande)


2. Fegato (organo pieno di sangue)
3. Cervello (organo più irrorato).

Ci sono eccezioni alla regola: come la milza! E’ l’organo dove avviene il passaggio più ampio di sangue
eppure non è mai bersaglio di metastasi, evidentemente perché ci sono condizioni locali che non
consentono. Ci sono anche tumori tanto aggressivi da essere in grado di dare metastasi in organi dove

82
solitamente ciò non avviene: i muscoli ed in particolare il cuore che con contrazione non permette alle
cellule di attecchire. Ma ci sono 2 tumori in grado di dare metastasi al cuore:

 Carcinoma a piccole cellule del polmone


 Melanoma maligno.
- VIA LINFATICA

Il linfonodo sentinella è il primo linfonodo che incontrano i linfatici di drenaggio.

L’idea del linfonodo sentinella è stata introdotta dal prof. Morson che la ipotizzò per primo nello studio sul
melanoma. Egli capì che sarebbe stato possibile individuare studiando i linfonodi del distretto interessato
dal tumore la presenza di eventuali cellule tumorali che avessero lasciato la sede di origine. In particolare
quando parliamo di studio dei linfonodi sentinella intendiamo il primo, il secondo, il terzo linfonodo che si
trova sulla via di drenaggio linfatica e che molto probabilmente può essere interessato dal transito di cellule
tumorali di un distretto a monte. In passato per individuare la presenza di cellule tumorali all’interno del
linfonodo si utilizzavano coloranti come il “Tripam Blue” che si immettevano nel sito dal quale era stato
eradicato il tumore e il primo linfonodo che si colorava di blue era il linfonodo sentinella. Se il linfonodo è
“libero” io posso ipotizzare che non vi è stato transito di cellule tumorali e quindi non vi sarà produzione di
metastasi. Tale verità è largamente condivisa ma non totalmente, poiché ci sono casi di melanoma in cui le
cellule tumorali in transito nella via linfatica possono “eludere o ignorare il linfonodo”, dando metastasi per
via ematica. E’ giusto dire però che l’analisi del linfonodo sentinella ha portato enormi effetti positivi nella
diagnosi oncologica. Dal punto di vista tecnico, sarà doveroso compito dell’anatomopatologo effettuare
nello studio al vetrino del linfonodo prelevato, almeno sei sezioni del campione di uno spessore almeno di 2
millimetri ciascuna, visto che le micro metastasi possono collocarsi all’interno di uno spessore tessutale
dell’ordine di pochi millimetri.

Tuttavia se in passato non venivano considerate metastasi le cellule tumorali isolate, oggi le stesse vengono
considerate metastasi e le colorazioni istologiche non si avvalgono unicamente degli storici coloranti
Eosina-Ematossilina ma anche delle più recenti tecniche di immunoistochimica. Tutto ciò in virtù del fatto
che le cellule del melanoma posso nascondersi tra le cellule istiocitarie, tra gli endoteli di rivestimento o tra
i linfociti. In generale possiamo affermare che se il linfonodo sarà negativo dopo interventi di
immunoistochimica come citocheratina Pan o citocheratina 19 (questo nel caso della mammella), con
molta affidabilità possiamo affermare che il tumore potrà avere una buona prognosi.

L’applicazione principe di questa tecnica è per il melanoma cutaneo e il carcinoma della mammella. Negli
altri distretti i vasi linfatici si anastomizzano e non è possibile individuare un solo linfonodo sentinella.

GRADING E STADING TUMORALE

Da sempre ci si è posti il problema di gradare i tumori cioè di predire il comportamento clinico sulla base di
aspetti morfologici e questo soprattutto per i tumori maligni. Contestualmente ci si è posti anche il
problema dello staging ossia di predire la prognosi di una neoplasia, maligna in particolare, sulla base
dell’estensione della lesione, cioè se quest’ultima è estesa oltre al sito di partenza o localizzata.

In ultimo abbiamo nuove metodiche che sono i marcatori biomolecolari che hanno un notevole impatto
sulla prognosi ma soprattutto sulla terapia.

- GRADING
Tornando al grading, sappiamo che parlare di anaplasia vuol dire parlare assenza di differenziazione di un
tumore e molti ritengono che anaplasia è sinonimo di neoplasia però in realtà questo concetto va preso con

83
le pinze in quanto i tumori in molti casi, in qualche maniera, differenziano e questa loro differenziazione è
utile per classificarli. (Es.: Carcinoma spinocellulare lo riconosco perché produce cheratina e ha le spine cioè
i desmosomi)

Nel 1932 il dottor Brokers prese una serie di carcinomi del labbro, che sono tutti carcinomi squamosi, e li
bioptizzò e si chiese quanto somigliavano al tessuto originario cioè quanta cheratina producevano, quante
cellule con spine avevano e arrivò alla conclusione che si possono avere tumori in cui più del 75% delle
cellule producono cheratina o hanno ponti intercellulari, poi tra 75% e 50%,poi tra 50% e 25% e infine sotto
il 25%. La progressiva perdita di aspetti di differenziazione in senso squamoso indicava una perdita di
differenziazione. Allora egli pensò che poteva fare una correlazione e ipotizzò 4 gradi di tumori:

 Grado 1: medio differenziato


 Grado 2: meno differenziato
 Grado 3: ancora meno differenziato
 Grado 4: scarsamente differenziato

Siccome egli aveva a disposizione anche gli indici di sopravvivenza correlò il grado di differenziazione delle
neoplasie alla sopravvivenza ed osservò che in realtà le forme medio differenziate erano legate ad una
maggiore sopravvivenza. Questo concetto successivamente fu sviluppato ed esistono oggi dei sistemi di
grading universali che sono quelli dell’Organizzazione mondiale della Sanità , però in alcuni casi si utilizzano
diversi sistemi come accade per la vescica ed i linfomi. Appunto per questo i Blu Book riportano distretto
per distretto la classificazione ed il sistema di grading che in alcuni distretti, come è stato già detto, è
speciale, come nel caso della prostata.

In passato ci sono stati molti sistemi di grading. Ad esempio nel 1983 il patologo svedese Broders propose
un grading per i carcinomi della laringe e prese 8 parametri: 4 legati alla popolazione tumorale e 4 legati
alla interazione ospite-tumore e ad ognuno di questi si dava uno score da 1 a 4 quindi il peggiore dei tumori
aveva score 32 mentre il più “buono” 8 ed in mezzo c’era una montagna di roba e questo non andava bene.

Infatti un sistema di grading deve essere:

 Riproducibile : il sistema di grading deve avere parametri tali da evitare che allo stesso vetrino visto
a Napoli e a Campobasso vengano assegnati due punteggi diversi. I criteri devono essere applicabili
ubiquitariamente.
 Significativo a fini prognostici.
 Economico e quindi facile a farsi.

Dagli anni Ottanta nacquero tantissimi sistemi di grading, ma il problema che c’era e un po’ c’è ancora è la
soggettività e per ovviare a ciò c’è il sistema di Brokers che li suddivide in 4 gradi ed ancora viene applicato
in alcune strutture e poi quello della WHO che viene comunemente adottato da tutti.

Su che si basa quest’ultimo?

 Organizzazione cioè su quanto questo tumore maligno assomiglia al tessuto di origine e quindi ne
conserva struttura e funzione
 Indice mitotico: entità e tipo di mitosi
 Tipo di crescita
 Necrosi

Le ultime 3 caratteristiche sono strettamente correlate tra di loro perché se un tumore è molto
differenziato, per esempio un carcinoma squamoso che tende a fare molta cheratina non avrà nè alto

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indice di proliferazione né molta necrosi, essendo la necrosi legata strettamente alla velocità di crescita
dello stroma, quindi se il tumore cresce molto veloce e dunque ha un alto indice di mitosi si ha discrepanza
tra quantità di tumore che cresce e stroma di supporto che è poco e perciò c’è necrosi. Quindi la prima cosa
da vedere è quanto il tumore assomiglia al tessuto di partenza. Riguardo il tipo di crescita abbiamo che un
tumore che cresce velocemente ha una crescita infiltrativa nei confronti dei tessuti circostanti mentre uno
che cresce lentamente ha una crescita di tipo espansivo o espansivo-infiltrativo.

DIFFERENZIAZIONE: E’ il grado di somiglianza tra le cellule neoplastiche e cellule normali da cui derivano,
includendo sia caratteri morfologici che funzionali. Un esempio è dato dal tumore del colon che nasce su
cellule adenomatose e ha come caratteristica la perdita di muco , quindi un’adenocarcinoma è un tumore
differenziato quando fa molte ghiandole così come un carcinoma spinocellulare è ben differenziato quando
fa molte perle cornee.

Tumore che produce una montagna di cheratina con perle cornee


rosa.C’è una sorta di scalino che sono le spine tra una cellula e l’altra e
sono un po’ dappertutto e questo significa che è un tumore ben
differenziato.

Man mano che si perde la cheratina e si ha necrosi ed attività mitotica si perde la differenziazione fino ad
arrivare ai tumori anaplastici. Da ricordare che la necrosi tumorale è tipicamente coagulativa.

Il problema del grading come abbiamo già detto è la soggettività. Dire differenziato o non differenziato è
relativamente facile, il problema è tutto ciò che c’è in mezzo.

Esempio: studi sui carcinomi squamocellulari della laringe fatti da diversi patologi di diverse nazionalità.

Tra la patologa madrilena ed il patologo di Bari avevamo notevoli variazioni nei carcinomi differenziati
mentre negli altri gradi le variazioni erano poco significative, però unendo il grado 1 con il 2 i valori erano
molto vicini. L’approccio attuale è quindi considerare le forme ben differenziate e moderetamente
differenziate insieme e a parte la scarsamente differenziata.

- STAGING

Supponendo di avere un carcinoma ben differenziato del labbro di 2 cm di diametro ed un altro


scarsamente differenziato di 0,5 cm li posso comparare? La risposta è no perché il confronto deve essere
adeguato, cosa che spesso in passato non accadeva, in quanto ci si basava solo sul grading ed ecco perché
nasce lo Staging .L’aggressività istologica di un tumore deve essere sempre commisurata al suo stadio
perché è evidente che un tumore ben differenziato allo stadio avanzato andrà peggio rispetto ad uno non
differenziato ma di stadio non avanzato.

Staging vuol dire stabilire l’estensione della neoplasia rispetto alla sede di partenza se ha dato invasione
linfonodale regionale e la presenza di metastasi a distanza quindi parleremo di un sistema di stadiazione
TMN dove:

 T sta per dimensioni o estensione del tumore


 N sta per invasione linfonodale
85
 M sta per metastasi a distanza

Esistono diversi tipi di stadiazione:

 Clinica
 Chirurgica
 Patologia

Un esempio di quella clinica è la stadiazione di un linfoma che sappiamo basarsi in base al numero e alla
sede dei linfonodi coinvolti e lo faccio attraverso esami radiografici (TAC, radiografia).

Per quella chirurgica possiamo pensare sempre ad un linfoma e vogliamo sapere se ha invaso in midollo e
questo ovviamente non possiamo vederlo con esami strumentali quindi dobbiamo fare una biopsia quindi
la stadiazione sarà chirurgica e patologica, infatti quando la stadiazione è chirurgica diventa anche
patologica perché nel momento in cui si preleva qualcosa poi lo si analizza anche.

Ancora possiamo pensare ad una donna con nodulo alla mammella che è stato aspirato e che ha avuto
diagnosi di carcinoma e che quindi deve procedere all’intervento. Prima dell’operazione però si fanno tutta
una serie di esami, ad esempio scintigrafia ossea, una radiografia del polmone per vedere se la malattia è
localizzata o ci sono metastasi, dopodiché si fa l’intervento e si fa il linfonodo sentinella, se questo esce
negativo non si fa più niente. In questo caso combino una stadiazione clinica, una chirurgica ed una
patologica. Dunque se gli esami strumentali risultano negativi ed anche il linfonodo sentinella è negativo
allora avrò un N=0 e un M=0, se viceversa trovavo macchie nel polmone e nel cervello metastasi e linfonodi
palpabili già alla visita allora si avrà un N=1/2 e un M=1/2( a seconda del numero di metastasi).

La verità è che dal TMN devono uscire tanti gruppi di stadi(di solito 3) per i tumori, accorpando varie
categorie di T, varie categorie di N e varie categorie di M per avere una prognosi ma soprattutto una
terapia adeguata allo stadio.

Gli scopi dello staging sono:

 Fornire elementi prognostici


 Aiutare il clinico nella scelta terapeutica
 Facilitare la valutazione dei risultati terapeutici
 Facilitare lo scambio di informazioni tra i vari centri oncologici

A proposito dell’ultimo punto si può pensare alla classificazione dei linfomi che è stata fatta mettendo
insieme 6 gruppi di casistiche:3 Nordamericane e 3 europee e per ognuna di queste ci doveva essere una
diagnosi istologica e una stadiazione e poi il risultato del trattamento terapeutico che poi doveva essere
comunicato agli altri gruppi partecipanti quindi il problema è che per avere casistiche numerose e buone si
devono avere parametri omogenei di valutazione.

COME SI FA LO STAGING?

Il valore T può essere di ben 7 tipi:T0,Tx,Tis,T1,T2,T3,T4.

Esempi: Trovo le metastasi ma non il tumore primitivo: ad esempio si toglie un linfonodo laterocervicale ad
un individuo e si trova una metastasi da melanoma però il melanoma non lo trovo, potrebbe essere
regredito o essere viscerale e allora sarà un Tx. Oppure si fa un trattamento del carcinoma alla mammella
con radioterapia e poi si fa l’intervento ma se il chirurgo non trova carcinoma allora potrebbe essere sia un
T0 che un Tx.

86
Un tumore cresce in rapporto alla sua sede, ad esempio in un parenchima ha una crescita espansiva-
infiltrativa ed in questo caso lo posso misurare.

 Tis : Carcinoma in situ


 T1 : misura 1-2 cm
 T2: misura 4-5 cm
 T3 : misura oltre 5 cm
 T4: Tumore di qualunque dimensione che esce dal suo compartimento.(Per capirci il tumore può
anche occupare tutta questa stanza ma se varca la porta diventa un T4). Pertanto un tumore alla
mammella se invade il Muscolo Grande Pettorale o il derma sarà un T4 . Questo spesso ha generato
confusione perché un piccolo tumore veniva classificato come T1 mentre in realtà si trattava di uno
T4 e questo andava ovviamente a discapito della prognosi.

Nella mammella, nel rene, nell’encefalo, nel fegato, nel testicolo, ovunque c’è la possibilità di misurare il
tumore in cm o mm, si usa esprimere la grandezza del tumore in T. Dove ciò non è possibile, ad esempio in
un organo cavo come la vescica abbiamo un Tis che è un carcinoma in situ che interessa solo l’urotelio senza
superare la membrana basale , poi abbiamo tumori papillari non invasivi e poi tumori papillari e non
papillari invasivi e mano a mano che avanzano dal sottomucosa alla prima parte tonaca muscolare alla
seconda parte della tonaca muscolare fino ad arrivare al grasso saranno rispettivamente classificati come
T1 T2 T3a ,T3b. Se superano il grasso e vanno ad aderire al colon o alla prostata (nell’uomo ovviamente)
saranno T4. Quindi in base all’estensione cambia il T.L’N invece cambia poco perché è o N=0 o N=1 in base a
se sono linfonodi locoregionali o più stazioni dei linfonodi locoregionali a essere coinvolti.

Importante è la T. Se ho ad esempio una serie di tumori della mammella in cui l’N e l’M sono pari a 0 e
varia la T assumendo valori di 1,2,3, essendo tutti questi tumori accomunati dal denominatore N=0 e M=0
allora saranno tutti inglobati nello stadio 1.Mentre il T4N0M0 è nello stadio 2 insieme ai tumori aventi T pari
a 1,2,3, M pari a 0 ma N pari a 1, quindi l’essere uscito dal compartimento fa uscire di stadio anche in
assenza di metastasi. Lo stadio non è sempre lo stesso. A tal proposito possiamo fare rifermento al
melanoma per il quale parametro prognostico più importante è il suo spessore, perché un melanoma sotto
al mm pure invasivo ha una prognosi buona, uno con uno spessore tra 1mm e 2 mm ha una prognosi
discreta ed uno tra 2 e 4 mm ha una prognosi cattiva ed infine una sopra i 4mm ha una prognosi pessima.
Al contrario un liposarcoma retroperitoneale può arrivare a 20 kg ed avere una prognosi migliore rispetto
ad un melanoma di soli 4mm. La stadiazione deve dunque tener presente in ogni caso di alcune peculiarità
tipiche della neoplasia che stiamo studiando.

- PARAMETRI BIOMOLECOLARI

Ricordiamo solo che quando si fa la diagnosi di linfoma si va a vedere l’immunomarcatura con Ki67 ed i
linfomi di basso grado hanno un indice di immunomarcatura basso mentre un linfoma di alto grado ha un
indice di immunomarcatura quasi del 100%. Ovviamente queste differenze diimmunomarcatura
rispecchiano differenze prognostiche. Pensando a tal proposito al carcinoma alla mammella abbiamo
prognosi diverse se le cellule neoplastiche producono estrogeni o progesterone perché questo è un segno
indiretto di maggiore differenziazione e quindi di migliori prospettive terapeutiche. Nuovi scenari sono
legati a p53 che se è evidenziata è legata ad un tumore di alto grado perché p53 è legato ad un evento
terminale.

PREVENZIONE IN ONCOLOGIA
Si distingue una prevenzione primaria e una secondaria.

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Prevenzione primaria significa eliminare sia i fattori di rischio sia quelli che vengono definiti agenti
patogeni. Non pensando solo ai tumori, la prevenzione primaria migliore per il virus del vaiolo è fare il
vaccino contro il vaiolo, oggi non si fa perché è stato debellato; stessa cosa per la poliomielite. Un altro
esempio di prevenzione primaria: sapendo che il ciclo riproduttivo dello schizonte che provoca la malaria si
verifica negli Anopheles che sono zanzare che vivono benissimo nelle paludi, la bonifica delle paludi ha
fatto scomparire la malaria; è stato eliminato non l’agente ma il vettore. Si può fare in campo oncologico?
E’ difficile! Ci sono una serie di fattori, tra i quali l’inquinamento ambientale da cui nessuno è immune. Ad
esempio Isernia ha un tasso di diossina che è il doppio di quello di Parma, dove notoriamente è alto il tasso
d’inquinamento; probabilmente ciò è dovuto all’uso che è stato fatto nelle zone agricole di pesticidi e
sostanze inquinanti. Un esempio di prevenzione primaria in campo oncologico riguarda la cervice uterina: le
vaccinazioni per HPV alle bambine di 11 anni, cioè prima di aver avuto un rapporto sessuale, spera di poter
dare una copertura della malattia molto alta. Un altro esempio è dato da tutte le misure preventive messe
in atto dai radiologi e dai tecnici (piastrina per vedere la dosimetria dei raggi, i grembiuli con le protezioni di
piombo,…).

La prevenzione secondaria è basata sulla diagnosi precoce. L’intervento terapeutico deve essere limitato e
dare concrete speranze di guarigione. Teoricamente si può fare ovunque, perché sono tantissime le
condizioni precancerose. (“La principale condizione precancerosa è la vita”). Una condizione precancerosa
per eccellenza sono le ustioni, in particolare quelle su larga superficie. Ma quante persone sviluppano un
cancro dopo un ustione? Un numero molto basso.

Andiamo ora a sviluppare l’individuazione di tre concetti


fondamentali:

1. Condizioni precancerose
2. Lesioni precancerose
3. Carcinoma

La differenza tra lesione precancerosa e condizione precancerosa è che mentre la seconda ha una
probabilità di circa uno su 30 di diventare un carcinoma, il 20% delle lesioni precancerose danno neoplasia;
inoltre la lesione presenta una stimmate morfologica (cioè la modificazione displastica).

Quindi la condizione precancerosa è una situazione anatomo-clinica che in un numero percentualmente


basso di casi precede l’insorgenza del cancro, invece la lesione precancerosa è quella che dà origine a una
modificazione displastica.

ESEMPI DI CONDIZIONI PRECANCEROSE

 GASTRITE CRONICA ATROFICA


 CHERATOSI ATTINICA
 LEUCOPLACHIA
 CHERATOSI VULVA
 CHERATOSI LARINGEA
 USTIONI

Ad esempio, se in una gastrite cronica atrofica insorge una displasia allora diventa una lesione
precancerosa. Stessa cosa per la cheratosi attinica che consiste in ispessimenti cheratosici dell’epitelio di
rivestimento che si verificano sul viso e sulle zone fotoesposte soprattutto nelle persone anziane. La
leucoplachia è una chiazza bianca che si verifica nel cavo orale, è possibile trovarla vicino a un dente mal
posto, in persone che fanno la suzione, che si morsicano, che fumano. Quando la leucoplachia si abbina a
displasia diventa una lesione precancerosa. Una leucoplachia pericolosa è sub-linguale, ha aspetto troppo

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porcellanaceo, è irregolare, è disarmonica e disomogenea (c’è una legge della medicina che associa ciò che
è omogeneo e armonico alla benignità e ciò che non lo è alla malignità) ed è grande.

La cheratosi attinica beuenoide, cioè con atipia intraepiteliale, è l’equivalente di un carcinoma epiteliale.
Essendo un carcinoma in situ della cute il 100% di queste lesioni ha prognosi benigna.

Il vero problema è che per vedere se c’è una displasia bisogna fare una biopsia; e non si può fare una
biopsia in tutti i pazienti affetti da queste patologie! Dobbiamo scegliere di farla solo nei pazienti
clinicamente sospetti.

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SEZIONE 2

Linfadeniti e linfomi…………………………………………………....….pag. 92
Polmone………………………………………………………………………..….pag. 108
Apparato gastro-intestinale …………………………………..……..pag. 125
Rene …………..……………………………………………………………….…….pag. 143
Vescica……………………………………………………………………….....….pag. 156
Apparato genitale femminile …………………………………....….pag. 160
Mammella………………………………………………………….………….….pag. 200
Sistema endocrino…………………………………………………..…..….pag. 217
Cute………………………………………………………………………………..….pag. 225
Sistema nervoso centrale…………………………………………...….pag. 230

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LINFOADENITI E LINFOMI
STRUTTURA DEL LINFONODO

Ciascun linfonodo è avvolto da una capsula connettivale, che invia sepimenti all’interno; gli spazi corticali e
midollari sono occupati dal reticolo, linfociti e altre cellule libere, seni linfatici, vasi sanguigni e nervi.

Il reticolo (formato dalle fibre reticolari, argirofile, e da cellule reticolari munite di prolungamenti che si
accompagnano alle fibre reticolari nel loro decorso) forma una rete a maglie strette tesa negli spazi limitati
dalla capsula e dalle trabecole. Nelle maglie sono contenuti linfociti, plasmacellule e macrofagi.

Gli ammassi di linfociti formano, nella parte centrale, i cordoni midollari (costituiti prevalentemente da
linfociti B) e nella porzione esterna della corticale, corteccia esterna, noduli o follicoli linfatici primari
(linfociti B, per lo più vergini, o inattive) e secondari (aventi un centro germinativo, che è caratterizzato da
colorazione istologica chiara, contiene cellule B attivate ed è circondato da cellule B vergini). Nelle porzioni
al confine con la midollare, area paracorticale, è presente tessuto linfatico diffuso formato dai linfociti T. La
capsula è attraversata da vasi linfatici afferenti. Il linfonodo si svuota in un vaso linfatico efferente, che
emerge dall’ilo del linfonodo. I vasi afferenti si mettono in comunicazione con quelli efferenti tramite un
sistema di capillari linfatici dilatati e intercomunicanti, seni linfatici, che in successione sono seni
sottocapsulari o marginali, seni corticali, che passano tra i noduli linfatici, e seni midollari, decorrenti tra i
cordoni midollari. I linfociti T e B si localizzano in aree distinte del parenchima: le zone paracorticali sono
aree T-dipendenti; i follicoli della corticale e i cordoni della midollare sono aree B-dipendenti.

LINFOADENITE

La linfadenite è un processo infiammatorio, acuto o cronico, che occorre in genere in risposta a una varietà
di stimoli, per la maggioranza infettivi, ma, in misura minore, anche autoimmuni, o di ipersensibilità a
farmaci.

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Le linfoadeniti possono essere a loro volta distinte in acute, croniche e a eziologia incerta.

 Le linfoadeniti a eziologia incerta sono rarissime (es: Malattia di Castleman, Malattia di Kikuchi,
Malattia di Rosai-Dorfman) e sono caratterizzate da tipici segni patognomonici.
 Le linfoadeniti acute sono in linea generale aspecifiche, si caratterizzano per l’infiltrato
granulocitario (i granulociti sono le cellule dell’infiammazione acuta) e per un’attivazione blastica
delle aree paracorticali.
 Le linfoadeniti croniche, le più diffuse, si suddividono in specifiche e non specifiche. Le non
specifiche determinano iperplasia follicolare, o iperplasia diffusa, o iperplasia sinusale, o iperplasia
mista (per iperplasia mista è da intendersi l’iperplasia di alcune zone, come i follicoli, i seni, o più
zone contemporaneamente).

LINFOADENOPATIE ACUTE

In genere, in corso di linfoadenite acuta si ha ingrossamento linfonodale, (LINFOADENOMEGALIA) che


insorge rapidamente, con quadro suppurativo (ascesso, con eventuali focolai confluenti), predominanza di
granulociti neutrofili, specialmente se l’eziologia è attribuibile a Staphylococcus aureus o Yersinia.
Caratteristiche tipiche: istiocitosi dei seni, diffusa infiltrazione dei linfonodi da parte di neutrofili, con
formazione di microascessi e necrosi (dovuta proprio alla crescita rapida dei neutrofili).

Immagine, quadro tipico di linfoadenite acuta: predominanza di cellule dell’infiammazione acuta, i


neutrofili, che hanno un nucleo caratteristico, poco riconoscibili le strutture classiche del linfonodo, piccolo
microascesso, un aggregato simil-nodulare costituito da cellule dell’infiammazione.

LINFOADENOPATIE CRONICHE

Le specifiche, cioè quelle dovute a un agente eziologico specifico, si dividono in granulomatose o non
granulomatose.

Per le granulomatose ricordiamo:

 tubercolosi
 sarcoidosi
 graffio di gatto
 linfogranuloma venereo.

Per le non granulomatose ricordiamo:

 Toxoplasma
 HIV
 Epstein Barr Virus.

Pertanto, nel 63% dei casi osservo una linfoadenite non specifica, cioè osservo linfoadenomegalia, ma non
riesco a risalire alla causa.

Nel 37% ho linfoadenopatia o linfoadenite specifica, di queste la più diffusa è quella da Toxoplasma, 10%
mononucleosi infettiva, 9% tubercolosi, 4% altre cause.

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Alcuni esempi:

 L’artrite reumatoide o la sifilide possono determinare iperplasia follicolare o plasmacitosi.


 Mononucleosi e Toxoplasma ,iperplasia linfoide della zona T e B.
 Hiv e Lues ,iperplasia follicolare e plasmacitosi.
 Anche conseguentemente a vaccino si può avere iperplasia follicolare.
 La malattia di Rosai-Dorfman produce classicamente istiocitosi dei seni.

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LINFADENOPATIE BATTERICA

Le linfoadeniti batteriche specifiche sono caratterizzate da un quadro morfologico distintivo, che in alcuni
casi può essere addirittura patognomonico. Si distinguono in NON GRANULOMATOSE e
GRANULOMATOSE.

Le granulomatose si caratterizzano per la presenza di granulomi, aggregati di cellule istiocitarie con


morfologia simil-epiteliale.

Le LINFOADENITI GRANULOMATOSE si distinguono in NECROTIZZANTI e NON NECROTIZZANTI, (a seconda


che nel centro del granuloma ci sia o meno necrosi).

La necrosi caseosa è classica del granuloma tubercolare, la necrosi ascessuale è tipica invece del
linfogranuloma venereo, della Malattia da Graffio di Gatto e dell’infezione da Yersinia.

Se ho un granuloma con necrosi caseosa, sospetto immediatamente infezione tubercolare, ma devo


comunque utilizzare lo Ziehl-Neelsen, che è specifico per il micobatterio. quando c’è un’infezione
tubercolare, i linfonodi maggiormente interessati sono mediastinici, sopraclaveari, laterocervicali, perchè
rappresentano la via di efflusso più diretta dal polmone.

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Immagine: linfonodo con i classici linfociti, con nucleo ipertrofico, monomorfi;

noto anche cellule diverse: cellule epiteliodi, cellule epitelioidi multinucleate tipo Langhans, e poi necrosi. A
più forte ingrandimento, vediamo un granuloma necrotizzante con necrosi eosinofila, bordato da un vallo di
cellule istiocitarie epitelioidi con presenza di cellule di Langhans, aspetto quasi patognomonico. Ulteriore
ingrandimento: vallo di cellule epitelioidi, necrosi caseosa. N.B.: sono cellule istiocitarie, non epitelioidi.
Ulteriore ingrandimento, si nota cellula di Langhans, nuclei con aspetto sinciziale, colorazione necessaria
Ziehl-Neelsen.

Le non necrotizzanti non presentano nè necrosi caseosa nè ascessuale; è visibile il solo granuloma. Cause:
virus, batteri, funghi, materiale estraneo, che può produrre anche intense reazioni infiammatorie con quota
di cellule giganti.

LINFOADENOPATIE VIRALI

Il prototipo di linfoadenopatia virale è la mononucleosi infettiva; colpisce generalmente adolescenti e


giovani adulti, determina febbre, faringite, linfoadenite con linfocitosi; il linfonodo perde quasi
completamente la propria architettura, si ha coinvolgimento della milza; la diagnosi laboratoristica.
Linfonodi prevalentemente colpiti: laterocervicali.

Immagine: osservare il follicolo, specie la zona paracorticale; l’architettura del linfonodo è completamente
sovvertita, presenza di vasi, cellule di media dimensione; vedo IMMUNOBLASTI (immunoblasto o
linfoblasto: precursore immaturo, NUCLEOLATO, del linfocita, grandi dimensioni, nucleo grande,
citoplasma più evidente); può essere plurinucleato, il nucleo appare rotondo con qualche bozzatura;
assomiglia alla cellula di Reed- Sternberg.

La linfadenite da HIV attraversa più fasi; nella prima fase predomina un’iperplasia dei centri follicolari con
riduzione della zona del mantello; in un secondo momento c’è la distruzione regressiva degli stessi follicoli.
I linfociti T tendono a colonizzare dall’esterno i centri germinativi.

LINFOADENITI DA FUNGHI:

Criptococcosi; necessaria la diagnosi istochimica per determinare la presenza di spore o ife. Per le
criptococcosi si usa Pas o Impregnazione Argentica secondo Gomori.

LINFOADENITI DA PROTOZOI

esempio tipico è TOXOPLASMOSI; molto diffusa negli USA. Interessa prevalentemente i linfonodi
retrocervicali, si caratterizza dal punto di vista morfologico per la presenza di centri germinativi reattivi,
cluster di cellule epitelioidi intra e perifollicolari, e cellule mococitoidi (cellule di piccola taglia con
caratteristiche particolari). Non troviamo necrosi, nè granuloma, nè fibrosi, nè neutrofili; anche in questo
caso la diagnosi è pervalentemente sierologica (anticorpi).

IMMAGINE: Quadro microscopico: lesione simil-nodulare; i linfociti sono blu, le cellule epitelioidi sono rosa,
vediamo tante cellule rosa che infiltrano; UN LINFOCITA NORMALE è IPERCROMICO, DI PICCOLA TAGLIA;
NEI LINFOMI (che verranno trattati successivamente), IN BASE ALLA TAGLIA DELLE CELLULE CHE OSSERVO,
CARATTERIZZO IL TIPO DI LINFOMA E LA PROGNOSI.

Quindi è importante chiarire cosa si intende per ELEMENTO DI PICCOLA, MEDIA E GRANDE TAGLIA. L’unità
di misura è data dall’eritrocita; piccola taglia: uguale al globulo rosso; media taglia: 3 o 4 volte; ulteriori
dimensioni: grande taglia.

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Riassumendo, ogni granuloma ha caratteristiche peculiari!!!

 MALATTIA DA GRAFFIO DI GATTO: agente eziologico: BARTONELLA; è caratterizzata da: granulomi


serpiginosi con necrosi basofila e presenza di neutrofili.
 LINFOGRANULOMA VENEREO: agente eziologico: CHLAMYDIA TRACHOMATIS; granulomi con
necrosi stellariforme,
 SARCOIDOSI: granulomi simil-tubercolari, manca tuttavia la zona centrale di necrosi caseosa.
 GRANULOMA TUBERCOLARE: necrosi caseosa con presenza di cellule di Langhans.
 TOXOPLASMOSI : iperplasia dei follicoli e follicolisi.
 MONONUCLEOSI: espansione delle aree paracorticali con IMMUNOBLASTI.

LINFOADENOPATIE AD EZIOLOGIA IGNOTA

Le Malattie di Kikuchi e Rosai-Dorfman sono estremamente rare.

 Kikuchi: si caratterizza per linfoadenopatia laterocervicale o sopraclaveare; sono maggiormente


interessate le donne; età media di insorgenza: 30 anni; produce linfoadenopatia necrotizzante;
troviamo elementi CD8+ attivati, cellule definite plasmacitoidi, e quote istiocitarie.

 Rosai Dorfman: prevalentemente linfonodi laterocervicali, ma interessa nel 40% sedi


extralinfonodali; età media di insorgenza: 20 anni; si caratterizza per una marcata dilatazione dei
seni con quota istiocitaria, decorso benigno, pochi casi diventano cronici o evolvono.

LINFOMI
Gruppo di neoplasie complesse che derivano dall’espansione clonale di una determinata popolazione di
linfociti (T o B).

La grande maggioranza (85-90%) delle neoplasie linfoidi origina dalle cellule B, mentre la gran parte dei casi
restanti è costituita da tumori a cellule T; solo raramente si originano tumori di origine NK.

Ulteriore e più famosa classificazione: Linfomi di Hodgkin e Linfomi non Hodgkin.

Il linfoma di Hodgkin è generalmente un linfoma B.

I LNH, a seconda della cellula da cui origina l’espansione clonale, si dividono in LNH T o B.

Tuttavia, non esistono solo linfomi a classificazione nodale, esistono anche linfomi extranodali, che, ad
esempio, si localizzano a livello della cute (la seconda sede extranodale, con linfomi prevalentemente T,
non B). La micosi fungoide ne è il prototipo.

La localizzazione extranodale più frequente è il tratto gastrointestinale.

Oggi si tende a stratificare i linfomi in base a caratteristiche come età, patogeni, differenze etniche, ecc...
perchè questi fattori influenzano significativamente la prognosi.

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Se classifico per età, noto che alcuni tipi di linfomi che risultano rari nell’età adulta sono molto diffusi nei
bambini e negli adolescenti:

 linfoma follicolare pediatrico,


 linfoma della zona marginale pediatrico,
 linfoma hydroa vacciniforme (molto diffuso nel Sudamerica, colpisce i bambini, mortale, produce
una caratteristica lesione al volto),
 linfoma EBV correlato,
 linfoma diffuso a grandi cellule, non necessariamente pediatrico, ma dell’anziano, molto aggressivo.

Per differenze etniche, le popolazioni più colpite sono le caucasiche, meno colpiti gli indiani.

Ulteriore classificazione viene effettuata in base ai patogeni. La Borrelia è endemica in Austria, Germania e
Trentino; quindi è molto probabile che in queste zone linfomi marginali siano associati a Borrelia. In Italia,
HCV è piuttosto diffuso; linfomi della zona marginale sono associati a questo virus; LINFOMA DI BURKITT:
scoperto nei bambini nella popolazione equatoriale.

La diagnosi morfologica è determinante nel definire la prognosi.

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EPIDEMIOLOGIA

il LH al di sotto dei 20 anni è estremamente più diffuso, quindi è una patologia dei giovani adulti, il LNH
colpisce prevalentemente adulti che hanno superato i 50. Un discorso a parte è dato dai linfomi pediatrici. I
maschi sono leggermente più colpiti rispetto alle femmine.

CLINICA

Dal punto di vista clinico, si hanno linfoadenomegalia, epatosplenomegalia, febbre, calo ponderale, astenia,
sintomi da coinvolgimento di organi, (questo soprattutto per i linfomi extranodali).

PATOGENESI MOLECOLARE

 il linfoma follicolare ha la classica traslocazione t(14,18), che crea il gene di fusione BCL2-IgH;
 il linfoma di Burkitt è caratterizzato dalla traslocazione t(8;14), t(8;22), traslocazioni che interessano
c-MYC e i loci Ig;
 il linfoma mantellare, t(11;14), che crea il gene di fusione Ciclina D1-IgH.

Queste traslocazioni producono una proteina “autonoma”, e possono anticipare il risultato della biologia
molecolare venendo testati nell’immunoistochimica; poi eseguo la prova con la biologia molecolare.

LINFOMI EXTRANODALI

Nei linfomi nodali ed extranodali si possono avere B e T, o anche Hodgkin e non Hodgkin.

I linfomi extranodali sono il 20-30%; le sedi maggiormente colpite sono il tratto gastroenterico, cute,
sistema nervoso e testicoli. Tra i linfomi particolari nominiamo il MALT, ovvero linfoma associato al tessuto
linfoide della mucosa gastrica.

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CLASSIFICAZIONE
In passato era molto in voga una classificazione puramente morfologica dei linfomi; oggi è assodato che la
morfologia ha scarso valore se non associata alla clinica e alla prognosi; la classificazione morfologica dà
scarse indicazioni sulla prognosi.

Il linfoma di Hodgkin è separato da tutte le altre forme, che costituiscono i linfomi non Hodgkin.

Attualmente il sistema classificativo usato è il WHO del 2008, che utilizza caratteristiche morfologiche,
immunofenotipiche, genotipiche e cliniche per dividere le neoplasie linfoidi in cinque ampie categorie:

1. NEOPLASIE DEI PRECURSORI B CELLULARI: linfoma/leucemia linfoblastica acuta a cellule B (B-ALL);


2. NEOPLASIA DELLE CELLULE B PERIFERICHE:

 leucemia linfocitica cronica/linfoma a piccoli linfociti


 leucemia prolinfocitica a cellule B
 linfoma linfoplasmacitico
 linfoma nodale e splenico della zona marginale
 linfoma extranodale della zona marginale
 linfoma mantellare
 linfoma follicolare
 linfoma della zona marginale
 leucemia a cellule capellute
 plasmocitoma/mieloma plasmacellulare
 linfoma diffuso a grandi cellule B
 linfoma di Burkitt;

100
3. NEOPLASIE DEI PRECURSORI T CELLULARI: linfoma/leucemia linfoblastica acuta a cellule T (T-ALL);
4. NEOPLASIE DELLE CELLULE T E NK PERIFERICHE (alcuni tipi):

 leucemia a cellule NK
 leucemia/linfoma a cellule T dell’adulto
 leucemia prolinfocitica a cellule T

5. LINFOMA DI HODGKIN: sottotipi classici: sclerosi nodulare, cellularità mista, ricco in linfociti,
deplezione linfocitaria; prevalenza linfocitaria (vedi anche oltre).

Più diffusi sono: I LINFOMI A GRANDI CELLULE B, I LINFOMI FOLLICOLARI, E LINFOMA MARGINALE; DIFFUSO
A GRANDI CELLULE B, FOLLICOLARE B, MALT B.

GRADING e STAGING
il grading per i linfomi è poco adoperato, mentre lo staging è estremamente importante; il diaframma fa da
spartiacque.

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Spesso nei linfomi “indolenti” si fa la terapia del follow-up, cioè si attende lo sviluppo; nel caso dei
marginali si può addirittura usare antibiotico; l’aggressivo lo si tratta, molto aggressivo, si cerca di trattarlo.

MATURAZIONE LINFOCITI

L’espansione clonale di una cellula (risposta immunologica in cui i linfociti stimolati da un antigene
proliferano, amplificando la popolazione di cellule responsive) parte da un singolo elemento; a seconda
della cellula da cui origina, si ha un tipo diverso di linfoma.

Il linfocita B maturo è la plasmacellula; in successione avremo plasmacitoma, mieloma (nell’espansione


clonale)

Il linfocita B del centro germinativo non ha ancora acquisito la capacità di secernere gammaglobuline.

Le “stem cell” e “cancer stem cell” costituiscono il fulcro di ogni neoplasia. (Esempio) Ho una lesione
nodulare alla mammella di 2 cm, posso affermare che 1,99 cm è rappresentato da “bulky tumor”, cellule
neoplastiche che fanno massa e su cui noi agiamo con la chemioterapia, mentre 0,01 cm dalle cancer stem
cell, che hanno la capacità di automantenersi, ma anche la capacità, una volta differenziate, di rigenerare il
tumore; pertanto, se voglio generare un tumore in un topo, sono sufficienti le cancer stem cell.

E’ fondamentale, per tutti i tipi di linfomi, capire a che stadio di maturazione del linfocita è avvenuta
l’espansione clonale; più precoce è l’espansione, più le cellule sono anaplastiche e aggressive.

102
LINFOMI NH A CELLULE B

LINFOMA FOLLICOLARE

è la più frequente forma di LNH indolente negli USA e rappresenta il 40% dei LNH. Il tumore probabilmente
insorge dalle cellule B dei centri germinativi; interessa soggetti di età media 59 anni; M/F: 1/1,7; oltre ai
linfonodi, possono essere interessati anche altri organi, come midollo osseo e fegato (evenienza rara).

Per il follicolare si effettua un grading, da 1 a 3.

E’ strettamente associato a traslocazioni cromosomiche, soprattutto t(14;18), che coinvolgono BCL2. Le


cellule neoplastiche somigliano molto alle normali cellule B dei centri germinativi che esprimono CD19,
CD20, CD10, Ig di superficie e BCL6. A differenza del linfoma a cellule mantellari, CD5 non è espresso. BCL2
è espresso in più del 90% dei casi, a differenza delle normali cellule B dei centri germinativi.

Sopravvivenza media 8-10 anni; è possibile la trasformazione in un linfoma a grandi cellule B, che ha
prognosi peggiore.

(Con riferimento all’immagine) Il linfoma follicolare è così definito perchè assomiglia molto al normale
linfonodo con follicoli, con la differenza che in questo caso i follicoli si espandono e si popolano di cellule
neoplastiche; il pattern di crescita è per lo più nodulare o nodulare diffuso.

Sono presenti due tipi principali di cellule in proporzioni variabili: 1)piccole cellule con contorno nucleare
irregolare, o clivato, e scarso citoplasma definiti CENTROCITI; 2)cellule più grandi con cromatina nucleare
dispersa, diversi nucleoli e modeste quantità di citoplasma, i CENTROBLASTI.

L’attività proliferativa è un marker di neoplasia, e indica quante cellule in questo determinato momento
stanno proliferando; si effettua con un marker immunoistochimico, KI67.

Più è alto il profilo proliferativo, più la neoplasia è aggressiva; ad esempio, i linfonodi reattivi hanno un Ki67
positivo, segno di una forte stimolazione antigenica; il linfoma in questione ha un modesto grado di
proliferazione, di conseguenza il Ki67 è basso.

LINFOMA MARGINALE
Questa categoria comprende un gruppo eterogeneo di tumori a cellule B che insorgono nei linfonodi, nella
milza o in altri tessuti extranodali. Costituisce il 7% dei linfomi NH; i tumori extranodali sono indicati come
MALT o “maltomi”; picco 61 anni.

Si osserva la proliferazione eterogenea di piccoli linfociti nella zona marginale, con aggressione della
componente mucosa e dei centri germinativi dei follicoli secondari.

E’ indolente nella maggioranza dei casi; spesso regredisce con il trattamento antibiotico per infezione da
H.Pylori nello stomaco, per Borrelia in genitali e orecchio.

IMMAGINE: base a parete ialinizzata; linfociti B di piccola taglia, come nel follicolare (monomorfi, con
cromatina addensati e nucleoli incospicui), con la differenza che in questo caso l’infiltrato è diffuso e non si
creano veri follicoli; si possono eventualmente trovare strutture simil-follicolari, ma ovviamente non sono
neoplastiche e gli elementi cellulari le infiltrano, distruggendole.

103
Immunofenotipo (DISCORSO MOLTO CONTORTO): CD20 e CD79 come per il follicolare; CD10 e Bcl6
negativi, a differenza del precedente; se CD20 , CD79, CD10 e Bcl6 sono positivi, il linfoma è follicolare; se
CD20 e CD79 sono positivi ma BCL6 è negativo, non è detto che sia marginale, perchè ci sono altri linfomi
per i quali si considerano questi stessi antigeni; quindi si procede controllando CD23 e CD5.

Le possibili traslocazioni cromosomiche per il marginale sono t(11;18), (14;18) o (1;14); queste traslocazioni
regolano positivamente l’espressione e la funzione di BCL10 o MALT1.

LINFOMA A PICCOLI LINFOCITI B

(da considerare insieme alla LEUCEMIA LINFOCITICA CRONICA)

linfoma a lenta crescita, sempre indolente, infiltrato diffuso costituito da piccoli linfociti monomorfi; la
malattia è diffusa al momento della diagnosi e può localizzarsi anche nel midollo osseo o nella milza, tant’è
che linfoma a piccoli linfociti e leucemia linfocitica cronica sono diversi momenti di una stessa patologia e
differiscono solo per il grado di linfocitosi periferica.

Cellula di origine: linfocita B maturo, espressione di CD5, che è un marker tipicamente T, ma qui ha
un’espressione paradossa.

Nel 5% dei casi evolve in un linfoma diffuso a grandi cellule, la sindrome di Richter.

E’ molto simile al marginale, linfociti piccoli, infatti la taglia del linfocita è comparabile a quella del globulo
rosso; il linfonodo è obliterato dalla popolazione di cellule neoplastiche, nucleo rotondo, cromatina
dispersa, non c’è citoplasma.

Immunofenotipo: le cellule tumorali esprimono i tipici marker B cellulari CD19 e CD20, ma anche CD23 e
CD5. La ciclina D1 è negativa in questo caso, se fosse positiva sarebbe un mantellare.

LINFOMA DIFFUSO A GRANDI CELLULE B


è la più frequente forma di LNH. Quanto più è precoce lo stadio cellulare di origine, tanto più è aggressivo.
Al momento della diagnosi si presenta in genere come malattia sistemica, al terzo o quarto stadio; Astenia
e dimagrimento.

Caratteristiche tipiche sono le dimensioni relativamente grandi (generalmente quattro o cinque volte il
diametro di un piccolo linfocita) e un quadro di accrescimento diffuso.

Cellula di origine: linfocita B maturo (centroblastico, centroblastico-centrocitico B-immunoblastico)

Proliferazione diffusa di cellule di grande taglia, con uno o più nucleoli e citoplasma scarso; presenza di nidi
separati da setti; alto indice mitotico; risponde bene alla terapia, questo però non vuol dire che il
comportamento biologico sia positivo.

Immunofenotipo: CD20, CD19, CD22 positivi, con espressione variabile dei marcatori delle cellule B dei
centri germinativi come CD10 e BCL6. La diagnosi è morfologica; possono essere distinti in GERMINAL
CENTER TYPE, se prendono origine dal centro germinativo, oppure in ACTIVATED DISTAL TYPE.

LINFOMA DI BURKITT

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viene descritto per la prima volta nel 1958 da Burkitt, nei bambini dell’Africa Equatoriale, e produce una
tipica lesione al volto. Nel 1961, viene fatta la correlazione col quadro istologico, e si parla di linfoma di
Burkitt, estremamente aggressivo.

Tre forme di malattia: una endemica, associata all’EBV; una forma sporadica; una forma associata all’HIV.

Proliferazione diffusa di cellule di grandezza intermedia, con nucleo rotondo-ovalare, cromatina dispersa,
nucleoli evidenti, citoplasma basofilo, aspetto a cielo stellato, elevatissimo indice mitotico, KI 67 al 100%.
Contiene infatti numerose cellule apoptotiche, i cui residui sono fagocitati da macrofagi; questi macrofagi
hanno un abbondante citoplasma chiaro, responsabile dell’aspetto a cielo stellato.

Due varianti morfologiche addizionali:

 forma atipica o pleomorfa, con cellule più ampie;


 forma plasmacitoide, con nuclei eccentrici ed immunoglobuline citoplasmatiche.

La maggior parte delle neoplasie si manifesta in sedi extranodali; infatti il linfoma di Burkitt endemico si
presenta spesso come una massa che interessa la mandibola e mostra una particolare predilezione per gli
organi addominali, in particolare reni, ovaie e ghiandole surrenali.

Nel 95% dei casi si associa ad infezione da HPV, ad HIV nel 40%.

RIASSUMENDO: se CD20 è +, HO LINFOMA A CELLULE B; CD20 è infatti condiviso da numerose neoplasie: ad


esempio, leucemia linfocitica cronica e linfoma a piccoli linfociti (anche CD5), linfoma follicolare, linfoma
diffuso a grandi cellule B, linfoma di Burkitt, linfoma mantellare (in genere anche CD5); faccio la ciclina d1,
se questa è positiva, è un linfoma a cellule mantellari.

Quindi, se invece il CD5 è negativo, escludo sia mantellare che leucemia a piccole cellule, e devo considerare
in primo luogo marginale e follicolare; CD10 è positivo, follicolare; CD10 negativo, marginale....

Per quanto riguarda il Burkitt, si tratta di neoplasie a cellule B mature, CD19, CD20, CD10 e BCL6, un
fenotipo in linea con un’origine dalle cellule B dei centri germinativi. A differenza di altri tumori con origine
dai centri germinativi, il Burkitt non esprime quasi mai BCL2.

LINFOMI NH A CELLULE T

Analogamente ai B, è necessario risalire allo stadio maturativo della cellula di origine.

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Molti dei linfomi le cui cellule mostrano un fenotipo simile alle cellule T mature sono difficilmente
classificabili e sono stati pertanto raggruppati nella generica categoria diagnostica “LINFOMA A CELLULE T
PERIFERICHE, NON SPECIFICATO”.

Trattato separatamente è il LINFOMA ANAPLASTICO A GRANDI CELLULE (ALK POSITIVO)

LINFOMA ANAPLASTICO A GRANDI CELLULE (ALCL)


Proliferazione di cellule di grande taglia, con nuclei indentati o lobati.

FENOTIPO T (cioè si marca con i tipici marker T) o NULL (cioè ha perso i suddetti marker) o si marca solo per
CD30+

Più maschi che femmine.

Espressione della proteina ALK t(2;5) o varianti, tipica dei bambini o giovani adulti.

Grandi cellule anaplastiche, nucleo polilobato; background polimorfo di granulociti eosinofili e/o neutrofili
e istiociti. Alcune cellule contengono nuclei a ferro di cavallo e abbondante citoplasma. Numerose mitosi.

Immunofenotipo: ALK positivo nel 60, 80%; CD30+; per quanto riguarda i marker T, a volte negativizzano
CD2 e CD3, mentre CD4 solitamente rimane positivo.

LINFOMA DI HODGKIN (LH)


Il LH comprende un gruppo di neoplasie linfoidi che differiscono dai LNH in diversi aspetti.

Mentre i LNH insorgono frequentemente in sedi extranodali e si diffondono in modo spesso imprevedibile,
il LH insorge in un singolo linfonodo o in una catena linfonodale e si diffonde dapprima ai tessuti linfoidi
anatomicamente contigui. Per questa ragione, la stadiazione del LH è molto più importante che non nei
LNH.

Inoltre, il LH presenta particolari caratteristiche morfologiche. E’ caratterizzato dalla presenza di cellule


neoplastiche giganti dette cellule di Reed-Sternberg , che derivano per lo più dalle cellule B dei centri
germinativi o post-centri germinativi, e rilasciano fattori che inducono l’accumulo di linfociti reattivi,
macrofagi e granulociti che tipicamente compongono più del 90% delle cellule della massa tumorale.
Proprio la produzione di citochine è responsabile dei sintomi sistemici all’esordio, riscontrabili nel 40% dei
casi.

Incidenza massima nella seconda decade di vita (possibile correlazione con l’infezione da EBV). L’età media
alla diagnosi è di 32 anni. E’ una delle neoplasie più frequenti nei giovani adulti e negli adolescenti, ma
insorge anche negli anziani. E’ potenzialmente curabile nella maggioranza dei casi.

Esordio linfonodale; le aree più frequentemente colpite sono le diramazioni del dotto toracico:
sopraclaveari, laterocervicali, mediastiniche. Sintomi locali: la sede più coinvolta è quella mediastinica
(turgore delle giugulare, tosse secca, dispnea, disfagia).

La classificazione corrente riconosce 5 sottotipi di LH:

 sclerosi nodulare
 cellularità mista
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 ricco in linfociti
 deplezione linfocitaria
 prevalenza linfocitaria

Nei primi quattro, le cellule di Reed-Sternberg hanno un analogo immunofenotipo; questi sottotipi sono
accorpati insieme come forme classiche di LH.

Nel LH a prevalenza linfocitaria, le cellule di Reed-Sternberg hanno un caratteristico immunofenotipo B


cellulare, distinto da quello dei sottotipi classici di LH.

L’identificazione delle cellule di Reed-Sternberg e delle loro varianti è essenziale per la diagnosi. Sono
cellule grandi (> 45 micron di diametro), con nuclei multipli o con singolo nucleo polilobato (spesso doppio
nucleo), ciascuno con un ampio nucleolo. Citoplasma abbondante. La diagnosi di LH dipende quindi
dall’individuazione delle cellule di Reed-Sternberg in un appropriato background di cellule infiammatorie
non neoplastiche.

Differenza tra le cellule di Hodgkin e Reed-Sternberg: sono identiche con la sola differenza che quelle di R.S.
hanno in genere doppio nucleo.

La forma più frequente è quella nodulare (65-70% dei casi).

107
POLMONE
I polmoni sono suddivisi in segmenti e la patologia
polmonare (degenerativa, neoplastica e infiammatoria) è
segmentaria o plurisegmentaria.

ISTOLOGIA

L’unità funzionale del polmone, il lobulo polmonare, è


composta dal bronchiolo respiratorio e da tutte quelle
strutture ad esso connesse (condotti alveolari, atri che
danno ingresso nei sacchi alveolari, alveoli). Nell’interstizio
troviamo nervi, vasi linfatici e una piccola quota di tessuto
connettivo, vasi sanguigni, linfonodi. C’è il capillare, cellule
endoteliali, zona di scambio tra la componente ossigenata
e non ossigenata, nell’alveolo troviamo pneumociti di I e di
II tipo, nell’interstizio fibroblasti. Importante è la
composizione della parete alveolare: epitelio, membrana
basale, spazio interstiziale, membrana basale capillare e l’endotelio capillare.

I vasi polmonari si vedono solo se congesti. Di fatto, però, è quasi impossibile vedere un polmone non
congesto dal momento che quasi tutti i decessi avvengono per arresto cardiocircolatorio, il quale provoca
obbligatoriamente congestione.

PATOLOGIA NON NEOPLASTICA

- MALATTIA DELLE MEMBRANE IALINE

È una malattia connatale. Prima della nascita i polmoni sono ripiene di un liquido che contiene cloro,
proteine, muco e surfactante prodotto dalle cellule alveolari di secondo tipo. Alla nascita il liquido viene
riassorbito e il surfactante rimane depositato sulle cellule alveolari a formare uno strato sottile di
rivestimento fosfolipidico. Nella respirazione il surfactante evita il collasso degli alveoli durante
l’espirazione (è una questione di tensione superficiale). Meccanismo opposto succede proprio in questa
patologia dove il polmone assume un aspetto pseudoghiandolare con alveoli piccoli la cui superficie interna
è rivestita da questo film di materiale proteico rosaceo che è detto membrana ialina. È tipico dei neonati
prematuri, ma anche dei diabetici. Può essere causa prematura di morte per insufficienza respiratoria acuta
connatale.

- MALFORMAZIONI

I polmoni possono essere soggetti a malformazioni che si suddividono in forme semplici e complesse,
compatibili o meno con la vita. Possono essere soggetti come qualsiasi altro organo a agenesie, ipoplasie.
Possiamo avere aplasia o polmone cistico.

Assume grande importanza il sequestro polmonare, patologia che molto spesso viene scambiato per un
tumore. Consiste nella presenza di aree di parenchima polmonare prive di rapporti con le vie aeree e con la
rete circolatoria dell’arteria polmonare. Questo sequestro è nutrito da vasi che in genere sono anomali e
che originano dall’arteria bronchiale o direttamente dall’aorta, e assumono un aspetto solido e cistico. Si
possono distinguere diverse forme:

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 intralobari basali e postero-laterali
 extralobari

Sono in genere più frequenti a destra e in sede mediastinica. Viene fatta una diagnosi di neoplasia
polmonare poiché il sequestro si presenta come una massa.

Altra patologia che colpisce sia il polmone che il mediastino è la formazione di cisti (foregut cysts). Queste
si sviluppano da anomali distacchi dell’intestino primitivo. Si possono avere cisti rivestite da epitelio
cilindrico mucoso con villi di superficie e sono dette broncogene, oppure possiamo avere cisti esofagee
rivestite da epitelio squamoso.

- SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO ACUTO

Oggi considerata una patologia grave soprattutto per bambini ed anziani. Le cause possono essere:

 Infezioni (sepsi, polmoniti, aspirazione materiali digestivo tipico dei bambini ma anche degli anziani
e di quelli che hanno subito un glossectomia parziale)
 Agenti fisici-traumi (contusioni come la rottura delle coste, annegamento, fratture perché possono
cusare un’embolizzazione acuta a livello polmonare, ustioni perché causano un danno termico a
tutto l’apparato respiratorio)
 Agenti irritanti inalati (tossici, fumo, gas)
 Malattie ematologiche (trasfusione ,CID)
 Pancreatite, uremia, reazione da ipersensibilità

Patogenesi

 Compromissione dei versanti epiteliali ed endoteliale alveolari


 Sbilanciamento tra fattori distruttivi e protettivi
 Attivazione via NFκB
 Necrosi epiteliale ed edema delle membrane

La mortalità è molto alta, fino al 60%. È una malattia frequente in Italia ed è spesso causa di morte nei
soggetti di età avanzata, ma è più frequente nei paesi poco sviluppati.

Fattori prognostici sono: età avanzata, sepsi diffusa, insufficienza respiratoria.

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Aspetti microscopici: danno endoteliale-epiteliale con sfaldamento dell’endotelio a livello degli alveoli,
trasudazione e deposizione di proteine che causa la formazione di pseudomembrane ialine simili a quelle
che si possono trovare a livello degli alveoli, naturalmente si ha una grave interferenza ed inibizione degli
scambi gassosi e come conseguenza la morte del soggetto.

RICAPITOLANDO: presenza nell’alveolo di accumuli di fibrina, ispessimento nell’interstizio, con marcata


congestione dei vasi con danno della struttura dell’epitelio-endotelio che impedisce lo scambio gassoso e
causa la morte del soggetto.

- ATELECTASIA

Consiste nella mancata espansione del parenchima polmonare o collasso alveolare. Possiamo avere:

 Forme attive - ostruttive - da riassorbimento della componente gassose degli alveoli che
conducono ad un’atelectasia segmentaria o lobare del polmone
 Forme passive - non-ostruttive - legate a versamento pleurico o pneumotorace (da
compressione), a sindrome da distress (adesiva), a cicatrizzazione in seguita a polmoniti, traumi.

Può essere monolaterale o bilaterale, totale o localizzata (lobare, segmentale, lobulare).

La struttura del parenchima polmonare viene conservata anche se alcuni alveoli si vedono meglio di altri,
perché in alcuni possiamo avere il collabimento delle pareti alveolari. Una delle principali conseguenza di
questa patologia è l’infezione, per via del collasso alvolare (atelectasiastasiinfezione).

- INFARTO POLMONARE

Non è un’eventualità molto frequente per la presenza di circolazione doppia. Molto spesso è associato a
trombo-embolia dell’arteria polmonare. È dovuto ad occlusioni vascolari e può verificarsi a qualsiasi livello
del distretto vascolare con blocco circolatorio.

Macroscopicamente si presenta come una piramide di tessuto congesto con base subpleurica e apice
rivolto verso l’ilo polmonare.

Si riconoscono 4 fasi nell’evoluzione della lesione:

1. Congestione intensa accompagnata da edema intralveolare


2. Dopo 24 h si ha una delimitazione dell’area più netta rispetto al parenchima
3. Dopo 48 h si presenta la necrosi
4. Risoluzione dell’infarto con una fibrosi e di conseguenza si presenterà una retrazione a livello
dell’organo in 7-10 giorni

L’infarto del polmone è di colore rosso essendo il polmone molto vascolarizzato, però in alcuni casi
possiamo avere un infarto bianco riferito ad un distretto vascolare polmonare già precedentemente
compromesso per diverse cause

- BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA (BPCO)

 Broncoectasia: la sede della patologia è il bronco, causa dilatazione e cicatrizzazione del bronco,
è dovuta ad infezione gravi e persistenti, sintomi sono tosse, escreato purulento e febbre.
 Enfisema: la sede della patologia è l’acino, causa dilatazione e distruzione della parete, è dovuto
principalmente al fumo ed agli inquinanti atmosferici, sintomo principale è la dispnea.

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 Asma: la sede della patologia è il bronco, causa iperplasia del muscolo liscio (che normalmente è
“virtuale”), presenza di muco, le cause sono immunologiche, sintomi respiro sibilante, tosse.
 Bronchite cronica: sede della patologia è il bronco, causa iperplasia delle ghiandole mucose e
ipersecrezione , dovuta a fumo e inquinanti atmosferici, sintomi sono tosse ed escreato
nummulare che si ha principalmente di mattina dopo la fase di stasi notturna ed è detta toilette
mattutina bronchiale.

TERMINE SEDE PATOLOGIA EZIOLOGIA SEGNI/SINTOMI


Bronchiectasia Bronco Dilatazione/cicatrizzazione Infezioni gravi e Tosse, escreato
persistenti purulento, febbre
Enfisema Acino Dilatazione/distruzione Fumo, inquinanti Dispnea
Bronchite cronica Bronco Iperplasia ghiandolare e Fumo, inquinanti Tosse, escreato
ipersecrezione
Asma Bronco Iperplasia del muscolo Cause Respiro sibilante,
liscio, muco, immunologiche tosse, dispnea
infiammazione

RICORDA: non sono quadri completamente isolati tra loro!

BRONCHIECTASIA

Può essere congenita (per meiopragia, infrequente) o acquisita, localizzata/estesa, sacciforme/cilindrica. È


frequentemente secondaria a flogosi che può determinare cedimento della parete bronchiale.

Nel lume è presente muco e pus, può guarire dal pus ma va incontro ad un fenomeno di cicatrizzazione. Ed
è proprio la presenza di muco-pus che causa tosse, escreato ma soprattutto febbre. La parete alveolare è
sottile, presenta ulcere ed è infiammata.

La distribuzione può essere estesa e interessare due polmoni, più colpiti segmenti apicali.

ENFISEMA

Patologia necrotica-degenerativa caratterizzata


da abnorme dilatazione degli spazi alveolari e
distruzione della parete degli alveolari.

Le cause sono il fumo e il deficit congenito di


alfa 1-antitripsina. Quello causato da fumo si
chiama enfisema centroacinare, mentre quello
causato dal deficit di alfa1 antitripsina è un
enfisema panlobulare. Possiamo inoltre avere
una forma para settale.

Tutto si riduce al deficit di alfa 1 antitripsina, in


quanto in presenza di questo deficit abbiamo l’attivazione dell’elastasi del neutrofilo, danni tissutali,
attivazione dell’elastasi e della metalloproteasi del macrofago, distruzione del tessuto elastico intercalato ai
setti e formazione della bolla enfisematosa. Nell’enfisema da fumo abbiamo la messa in circolo di nicotina
con la liberazione dei radicali liberi di ossigeno, inattivazione delle antiproteasi, attivazione dell’elastasi e di
conseguenza aumento dell’elastasi dei neutrofili, danno tissutale, distruzione dei setti e formazione della
bolla enfisematosa.

La complicanza principale di questa patologia è l’insufficienza respiratoria che può essere causata da:
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a) Riduzione della superficie utile allo scambio respiratorio
b) Formazione di bolle sottopleuriche e la loro conseguente rottura può portare a pneumotorace
c) Sovrapposizione di processi infiammatori e infettivi che complicano un quadro patologico già
compromesso

Di conseguenza possiamo avere un enfisema, bronchite e bronchiolite, sovrapposizione di processi


infiammatori e infettivi, con il soggetto che utilizza 1/3 o la metà della superficie disponibile degli alveoli.

Microscopicamente avremo ampi spazi aerei otticamente vuoti derivanti dalla fusione degli alveoli dopo la
rottura dei setti.

- INFEZIONE e FLOGOSI

La classificazione può essere di tre tipi:

1. Clinica per insorgenza


2. Eziologica
3. Morfologica/istologica

BRONCHITI E TRACHEITI

1. ACUTE

Sono patologie infiammatorie che seguono un specifico decorso: sierosa, siero puriginosa, fibrinosa, fibrino
purulenta, purulenta, purulenta emorragica, necrotizzante. Queste patologie vanno dallo stadio catarrale a
quello ulcerativo passando per le tappe intermedie in dipendenza dall’ entità e dalla gravità del processo,
dalla presenza o meno di piccoli aspetti broncoectasici. Da qui poi le patologie diventano ulcerative
soprattutto nei soggetti intubati per lungo tempo.

2. CRONICHE

Più note sono le bronchiti e le tracheiti croniche, che sono l’evoluzione dei quadri acuti o sono causate da
agenti irritanti protratti.

Nelle bronchiti croniche troviamo un ispessimento della lamina propria per infiltrato ricco di linfociti e
plasmacellule e associato a questo c’è un’ iperplasia della componente ghiandolare mucosa con aumento
sia del numero delle ghiandole sia dell’epitelio di rivestimento proprio di quest’ultime. A questo quadro si
aggiunge la stenosi del lume bronchiale, causando problemi a livello respiratorio e se questo processo si
cronicizza, l’ostruzione porterà all’enfisema da incarceramento (l’aria entra nel polmone ma non viene
emessa tutta di nuova all’esterno, e si crea così la bolla enfisematosa).

BRONCHIOLITI

Un’altra infiammazione da ricordare sono le bronchioliti infantili o connatali date da virus particolari come il
virus sinciziale, che può portare a morte i pazienti affetti. In questa patologia abbiamo una dispnea acuta
dovuta a necrosi dell’epitelio bronchiale. Lo sfaldamento dell’epitelio infiammato e necrotico causa
ostruzione del bronco con conseguente anossia. È una patologia molto subdola infatti è legata a molte
morti in culla, radiograficamente il parenchima appare normale. I pazienti presentano dispnea rapidamente
ingravescente.

112
POLMONITI

Possono essere di varia natura: batterica, virale, micotica, da organismi intermedie, da vermi, da cause
fisiche, chimiche o allergiche.

La polmonite da miceti è una patologia particolare e prende il nome di micetoma polmonare, in cui si ha
accumulo nel polmone di ife e spore di vari funghi tra cui le candide. È tipica degli immunodepressi, dei
tossici. Può essere causata da emboli micotici provenienti da valvole cardiache infette.

Istopatologicamente, distinguiamo diverse forme:

 Alveolari
 Interstiziali
 Miste
 Necrotizzanti

Si possono avere polmoniti che colpiscono il parenchima polmonare e l’alveolo, possono colpire il
parenchima ma non l’alveolo, possono colpire l’interstizio, ma ci sono anche polmoniti che colpiscono sia
l’alveolo sia l’interstizio. Inoltre come tutte le infiammazioni possono avere un aspetto necrotizzante.

Macroscopicamente abbiamo una o più aree di aumentata consistenza che possono avere dimensioni
varibili da pochi a molti centimetri fino ad interessare un lobo intero o anche più di uno.

Le forme batteriche sono parenchimali alveolari e possono essere localizzate o pluridistrettuali. Possiamo
avere: Polmonite lobare, Broncopolmonite, Polmonite interstiziale

a) POLMONITE LOBARE

La polmonite lobare è data da streptococco, haemophilus, stafilococco. È una patologia che si evolve in
quattro fasi:

1) Stadio della congestione


2) Stadio dell’epatizzazione rossa dove gli alveoli sono ripieni di granulociti e emazie
3) Stadio dell’epatizzazione grigia dove le emazie in parte vengono riassorbite, restano fibrina e
granulociti
4) Stadio della risoluzione

La diagnosi di polmonite non è semplice, infatti molto spesso i segni e sintomi della patologia portano ad
una diagnosi di influenza. Se sono presenti aree di parenchima polmonare andate incontro ad epatizzazione
quale sarà la conseguenza? L’area del polmone interessata sarà solida, a questo ci si arriva perché acqua e
sangue sono passati nei bronchi e infine nell’alveolo. Il passaggio di aria nell’acqua darà origine a rantoli. E
nella polmonite lobare sono localizzati e prende nome di crepitatio indux, con un fremito vocale tattile
aumentato. Andando avanti con le fasi si avrà un’area solida con ottusità polmonare. Nella fase di
risoluzione, l’alveolo si apre ma rimarrà comunque una quota liquida che porterà alla formazione di altri
rantoli chiamati crepitatio redux. Oggi la diagnosi è più agevole e viene fatta mediante radiografia, ma deve
esserci il sospetto. I farmaci servono a ridurre il tempo delle varie fasi e portare a risoluzione in circa una
settimana.

b) BRONCOPOLMONITI

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Patologia che riguarda bambini e vecchi. Meccanismo simili alle polmoniti ma colpisce il bronco ed è
pluridistrettuale.

Cause predisponenti sono:

 Perdita del riflesso della tosse (anestesia, neuro farmaci)


 Danno all’apparato muco ciliare
 Interferenza con attività macrofagica
 Congestione, edema
 Accumulo di secrezioni

c) POLMONITE INTERSTIZIALE

Il soggetto presenta febbre, astenia, difficoltà respiratoria, ma all’esame obiettivo non sono evidenti né
rantoli né crepitii, poiché il danno è prettamente interstiziale. Gli alveoli appaiono puliti ma l’interstizio
appare ispessito perché c’è infiltrato, i vasi sono congesti. Viene impedito lo scambio gassoso. Il soggetto si
trova in uno stato di paranossia. Alla radiografia apparirà la trama interstiziale, più è acuta maggiore sarà il
danno. L’infiltrato sarà per lo più linfo-plasmacellulare o linfocitario (NO GRANULOCITI!!!). Ci possono
essere complicanze come la sovrapposizione batterica ed in tal caso si passa da una polmonite interstiziale
ad una mista. Come si sviluppa? Il virus passa nell’interstizio da una bronchiolite precedente. Arriva dalle
vie aeree, colonizza le cellule di rivestimento ne causa la necrosi e scatena inizialmente una bronchiolite
desquamativa e da lì poi penetra nell’interstizio. Ha decorso più favorevole negli adulti che nei bambini.

ASCESSO POLMONARE

Lo si trova nei soggette defedati, allettati e intubati per lungo tempo. È generalmente raro.

- PNEUMOCONIOSI

Patologie causate dall’inalazione continuativa di polveri minerali e particelli.

 Carbone causa antracosi e fibrosi massiva.


 Silice causa silicosi e granulomi.
 Asbesto causa asbestosi, placche pleuriche, mesotelioma, carcinoma.
 Berillio causa granulomatosi, carcinoma.

La forma più comune è l’antracosi. Il carbone viene fagocitato dai macrofagi. Il polmone appare non più
riseo ma grigiastro e può presentare vere e proprie macule. I più a rischio erano e sono i minatori, ma
questo è quello che avviene anche ai fumatori. In casi gravi si arriva alla formazione di noduli.

TUBERCOLOSI

La tubercolosi è una malattia che si manifesta attraverso un’infiammazione granulomatosa necrotizzante.


La necrosi è di tipo caseoso, ossia in parte colliquativa e in parte coagulativa, ed ha la caratteristica di
essere confluente (è come se le necrosi di due granulomi vicini confluiscono). Questa è una differenza
sostanziale tra il granuloma tubercolare e quelli sarcogenici, in particolare il sarcoidosico che è a cellule
epitelioidi, non necrotizzante o con piccola quota di necrosi vitrinoide e soprattutto questi sono granulomi
incassati, come se fossero da snocciolare, e non confluenti.

Si distingue un’infezione primaria da una post-primaria, e si definisce anche la tubercolosi terziaria.

114
L’infezione primaria consiste nel teorico primo contatto dell’organismo con il Mycobacterium Tubercolosis.
L’incidenza della patologia è diminuita straordinariamente rispetto al passato, ma oggi la popolazione di
immigrati che arriva in Italia è portatrice della malattia. (nell’Africa sub sahariana ancora migliaia di persone
si ammalano di tubercolosi) La trasmissione avviene per via aerea. La tubercolosi che contagia è quella che
si chiama “tubercolosi aperta”, perché deve dare la possibilità ai micobatteri di uscire.

Le vie di trasmissione sono:

 Intestinale (rara dopo l’introduzione della pastorizzazione poiché il batterio è termolabile a 70-80°)
 Via aerea
 Cutanea (rara)

Oltre al mycobacterium hominis esistono:

1. Mycobacterium bovis, quello che ha imposto la pastorizzazione del latte perché veniva trasmesso
attraverso il latte non pastorizzato ed era la causa della tubercolosi intestinale, per la quale esistevano:
1.1. Una forma iniziale ;
1.2. Una forma secondaria.

Queste due forme esistevano pure nell’apparato respiratorio.

2. Mycobacterium avium, quello che dà infezioni di tipo intestinale, soprattutto negli


immunocompromessi.
3. Mycobacterium lepris, quello che dà la lebbra, che ha due forme:
3.1. Forma lepromatosa, non granulomatosa (forma infettante);
3.2. Forma tuberculide, granulomatosa (molto importante perché è una forma di lebbra non
infettante).
4. Mycobacterium marinum, un batterio che si trova negli acquari e che dà infezione spesso ai turisti che
inseriscono le mani nell’acqua dell’acquario; dà un’infezione granulomatosa ascessualizzante.

Con l’esclusione della lebbra, tutte le infezioni da micobatteri (e quelle tubercolari in modo particolare)
sono caratterizzate dalla formazione di granulomi caseificanti, cioè con un’area di necrosi centrale che è a
metà strada tra la necrosi coagulativa e la necrosi colliquativa. Il mycobacterium marinum insieme con gli
altri micobatteri atipici dà invece una ascessualizzazione. Questa è una eccezione, ascessualizzazione
significa che al centro dei granulomi si trovano i granulociti e non la necrosi caseosa. In realtà i micobatteri
atipici danno granulomi ma non danno la necrosi caseosa bensì una ascessualizzazione centrale.

La tubercolosi viene grossolanamente distinta in:

- Forma primaria;
- Forma post – primaria (o, meno correttamente, secondaria)
o Forma cavernosa;
o Forma disseminata.
- Forma terziaria.

In realtà il problema più importante che sia da tenersi da conto è che nella tubercolosi noi dobbiamo
distinguere in realtà due forme:

1. Forma produttiva;
2. Forma essudativa.

115
Chiamare la tubercolosi “essudativa” non è in realtà del tutto corretto perché il termine essudazione
dovrebbe essere riservato alle malattie infiammatorie con presenza di granulociti, tuttavia lo stesso
termine riferito alla tubercolosi sta a significare che la necrosi caseosa “la fa da padrone” e, quindi, si
estende, mentre la componente granulomatosa è solo marginale, è periferica. Viceversa le forme
produttive sono quelle in cui l’aspetto granulomatoso prevale e la necrosi caseosa è ridotta, limitata, in
qualche maniera contenuta. Possiamo quindi dire che ci sono forme di tubercolosi che favoriscono il
processo di caseificazione e forme di tubercolosi in cui prevalgono gli aspetti granulomatosi.

- TUBERCOLOSI PRIMARIA

La via di trasmissione più frequente è il bacio. Molti Autori dicono che si trasmetta per via aerofila ma in
realtà è piuttosto il contatto interpersonale quello principalmente implicato. I micobatteri quindi
raggiungono il polmone e, in genere, essendo aerofili, preferiscono raggiungere la porzione periferica del
polmone, la parte bassa dei lobi superiori e la parte alta dei lobi inferiori, zone dove c’è più aria. In tal modo
i micobatteri si sistemano in una posizione SUBPLEURICA. Questo primo focolaio ha dimensioni
generalmente di millimetri e la prima cosa che accade quando arrivano micobatteri a questo livello è quella
che accade in tutte le infiammazioni “ACUTE”. Gli ELEMENTI MORFOLOGICI DELL’ INFIAMMAZIONE ACUTA
sono i granulociti, che arrivano a questo livello, cacciano tutti gli enzimi acidi che posseggono e cercano di
far fuori i micobatteri, che sono dei batteri acido – resistenti. Come sono resistenti ai coloranti (tipicamente
si colorano con una colorazione particolare che è lo Ziehl – Neelsen, una colorazione particolare che si
rende necessaria proprio perché questi batteri sono acido resistenti), resistono pure all’insulto che viene
esercitato dagli enzimi dei granulociti. C’è quindi una fugace fase di ALVEOLITE essudativa granulocita ria
nel focolaio parenchimale, che dura circa una / due settimane. A questa fase di alveolite granulocitaria
subentra una fase in cui si sostituisce la popolazione granulocitaria con l’altra popolazione di tipo reattivo
alle infiammazioni, la popolazione istiocitaria, che assume quegli aspetti caratteristici che ci fanno definire
gli elementi che la compongono come cellule simil - epiteliali o epitelioidi. I micobatteri sono cellule
complesse da combattere, prima vengono inglobati nel citoplasma di questi elementi, che cercano di
distruggerli ma in realtà la parte centrale, una quota parte di queste cellule epitelioidi viene parassitata da
questi germi, che ne inducono la necrosi. E’questo il motivo per cui al centro di questi granulomi epitelioidi
si formano aree di necrosi caseosa. Insieme alle cellule epitelioidi ci sono le cellule GIGANTI
MULTINUCLEATE TIPO LANGHANS, cellule che hanno un aspetto a ferro di cavallo o meglio una
distribuzione dei nuclei a ferro di cavallo, e che si ottengono per una serie di moltiplicazioni mitotiche degli
istiociti che non vengano coniugate ad una divisione del citoplasma. Se il processo va avanti senza
interferenze, questo focolaio periferico che assume prima di tutto un aspetto granulomatoso (costituito da
una “palla” di pochi millimetri ma in realtà contenente migliaia di granulomi perché possiamo immaginare
che un granuloma abbia un diametro di circa 100 micron e che quindi anche in un focolaio piuttosto
piccolo, per esempio di un centimetro di diametro, rientrino diverse migliaia di granulomi), inizia ad
assumere un aspetto produttivo, prevalgono i granulomi e la necrosi caseosa è limitata, circoscritta da
questa produzione di cellule EPITELIOIDI, che tendono a circoscrivere ed ad inglobare quelle aree di necrosi.
Dato che i linfonodi drenano la sede di infezione, si avrà UNA LINFANGITE interposta tra il focolaio
parenchimale e quello linfonodale, che porta il granuloma dalla porzione infetta verso altre sedi. E’quella
che viene chiamata LINFANGITE INTERPOSTA.

Quindi il focolaio primario tubercolare è costituito da:

- Focolaio periferico;
- Focolaio linfonodale;
- Linfangite interposta;
- Pleurite epilesionale.

Poiché infatti abbiamo detto che questo è un focolaio periferico, tocca la pleura e quindi i grandi medici di
un tempo riuscivano, con l’auscultazione, a sentire uno sfregamento pleurico, che era il segno di una
116
possibile tubercolosi primaria. Il focolaio linfonodale è generalmente più grande del focolaio parenchimale
(se immaginiamo che il focolaio parenchimale sia pari ad un centimetro quello linfonodale sarà pari a due
centimetri). Se le cose “vanno bene” nel focolaio prevarrà sempre la forma produttiva. I granulomi
tenderanno a circoscrivere, ci sarà relativamente poca necrosi caseosa ed invece ci sarà una forte capacità
di contenimento: si avvia un processo fibrotico con la formazione di una piccola area nodulare cicatriziale. Il
granuloma va incontro a involuzione spontanea. Lo stesso accade nel linfonodo dove a volta questa
cicatrizzazione non è completa ma lascia delle isole dove persiste la reazione granulomatosa con la necrosi
caseosa all’interno della quale i micobatteri sopravvivono.

I principali farmaci usati nella tubercolosi sono:

 Isoniazide;
 Rifampicina;
 Etambutolo.

La terapia per la tubercolosi non interessa la tubercolosi primaria ma si fa nella tubercolosi dove ha “vinto”
la fase essudativa, c’è molta caseosi, poca lesione con componente granulomatosa. Nella caseosi i
micobatteri vivono benissimo, permangono nelle zone caseose e proliferano. In quei granulomi dove c’è
una necrosi caseosa evidente NON ci sono vasi. Il farmaco perciò deve essere somministrato a lungo perché
deve raggiungere delle concentrazioni per un lungo periodo di tempo che gli consentano di penetrare in
questi focolai per diffusione. Quindi la terapia per le infezioni da micobatterio va mantenuta per lungo
tempo al di là della resistenza, tant’è vero che anche nei primi tempi, in cui ancora non si conoscevano
resistenze dei micobatteri alle terapie, il farmaco veniva somministrato per lo stesso lasso di tempo. In
realtà il farmaco deve essere dato per molto tempo perché per far guarire il soggetto dall’infezione bisogna
fare in maniera che questa necrosi caseosa si restringa sempre di più, fino a quando non vince la
componente produttiva e si va incontro ad un focolaio che di fatto è tutto granulomatoso e che poi andrà
incontro a fibrosi. E’ questo il motivo per cui la terapia dura tanto nonostante tutte le conseguenze che può
dare in termini di tossicità (un tempo si dava la streptomicina che faceva diventare sordi, in quanto
ototossica).

Ricapitolando, abbiamo detto che se prevale la componente essudativa la forma di tubercolosi che stiamo
osservando tenderà ad essere aggressiva, se tutto va per il verso giusto, il focolaio parenchimale primario
impiega dai due ai quattro mesi per guarire. Il focolaio linfonodale impiega dai quattro mesi ad un anno per
guarire autonomamente. In tutto questo periodo, chi ha la tubercolosi è in uno stato che viene definito
ANERGICO perché ha chiaramente una infezione tubercolare latente e per un periodo che va da quattro
mesi ad un anno potrà avere delle situazioni di DEFICIT IMMUNOLOGICO che favoriscono l’insorgenza di
altre infezioni. In Africa i bambini affetti da tubercolosi (che spesso hanno il COMPLESSO PRIMARIO, che si
vedeva una volta con le schermografie, che erano volte a vedere se vi fossero residuati calcifici o polmonari
o linfonodali come esito di infezioni), e che contemporaneamente hanno il MORBILLO (è ben possibile la
coesistenza delle due malattie perché la tubercolosi ha una durata nel bambino da sei mesi ad un anno),
sviluppano purtroppo non il morbillo “normale” bensì il MORBILLO EMORRAGICO perché sono
immunocompromessi e POSSONO MORIRE perché questa forma di morbillo dà anche complicanze
encefaliche. La tubercolosi quindi tende a favorire la nascita di fenomeni produttivi, si circoscrive, si chiude
e si ferma. Poi si può trovare un piccolo focolaio fibrotico nel focolaio parenchimale, un focolaio
fibrocalcifico che si trova nell’area linfonodale. Se questo focolaio fibrocalcifico è piuttosto grande si può
trovare ancora all’interno di esso un poco di caseosi e dentro questa caseosi continuano a conservarsi
questi micobatteri. I micobatteri possono poi essere responsabili della RE – INFEZIONE tubercolare che si
può verificare nella tubercolosi secondaria, che si ha o per RIATTIVAZIONE o per REINFEZIONE.

- TUBERCOLOSI SECONDARIA

117
Nella tubercolosi secondaria (dovuta quindi a reinfezioni o a riattivazione di MICRORGANISMI DORMIENTI)
può accadere che se c’è una reinfezione si abbia una contaminazione per via aerogena e quindi arriva la
tubercolosi in questo polmone, in particolare con delle localizzazioni nell’apice (si parla di complesso di
Assmann – Kölliker (o semplicemente infiltrato precoce di Assmann)): Il complesso di Assmann – Kölliker
non è una costante ma si può formare piuttosto facilmente nelle condizioni descritte. Accade anche quando
il complesso primario tubercolare subisce una EVOLUZIONE ATIPICA. L’evoluzione atipica del complesso
primario dà un quadro identico a quello della tubercolosi POST – PRIMARIA. ESEMPIO: Supponiamo che nel
complesso primario vincano i fenomeni essudativi. In tal caso la necrosi caseosa si allarga e la componente
granulomatosa è sottile. La necrosi caseosa, come la parola stessa definisce, è un fenomeno di NECROSI,
che si “mangia” un poco alla volta il tessuto. Una volta che abbia distrutto per esempio un bronco SUB –
SEGMENTARIO accade che il materiale contenuto all’interno dell’area caseosa venga drenato dal bronco.
Così il materiale infettivo ha trovato una VIA DI USCITA, esce e lascia un vuoto, una “CAVERNA”. Si parla in
tal caso di tubercolosi cavitaria. In tal caso non ha importanza che la tubercolosi sia primaria con evoluzione
atipica o sia una reinfezione post – primaria, in entrambi i casi il processo subisce questa stessa evoluzione.
Quanto sarà grande la CAVERNA TUBERCOLARE? Ne esistono di diversa grandezza, a seconda del calibro del
bronco che è stato infiltrato:

 Subsegmentarie;
 Segmentarie;
 Plurisegmentarie;
 Lobari;
 Plurilobari;
 Totali.

Le caverne “totali” possono arrivare ad interessare tutto il polmone. Due cose sono importanti in questo
fenomeno:

1. La tubercolosi passa dall’essere un fenomeno patologico “chiuso” ad un fenomeno “aperto” perché


l’infezione è arrivata a colpire il bronco ed a passare all’interno di esso.
2. Nel diventare aperta la polmonite diventa infettante.

E’questa la forma di tubercolosi che risulta INFETTIVA, quella che è accompagnata alla cavitazione ed alla
capacità di ERODERE I BRONCHI, farsi drenare all’interno di essi ed uscire fuori. Soltanto quando ciò accade
la tubercolosi diventa infettante, fino a quando resta chiusa nel polmone non dà problemi di questo tipo. La
cavitazione, quindi la formazione di caverne, all’interno della cosiddetta TUBERCOLOSI CAVITARIA, è una
forma usuale nella tubercolosi post – primaria perché la tubercolosi post – primaria viene per una
reinfezione in un soggetto probabilmente immunocompromesso perché già aveva avuto l’immunizzazione
con il complesso primario e questa forma di immunizzazione non aveva funzionato (tanto è vero che il
soggetto viene appunto reinfettato) o addirittura per una riattivazione dei bacilli dormienti che si trovavano
nel focolaio parenchimale. Questo vuol dire quindi che il soggetto aveva condizioni immunologiche che
avevano favorito la formazione del complesso primario. Il complesso primario perciò ha generalmente una
evoluzione tipica, non forma caverne, il complesso post – primario ha una evoluzione usuale verso la
cavitazione e, quindi, verso la formazione di caverne. Ovviamente a questo punto se scopriamo che il
soggetto ha un complesso post – primario dobbiamo fargli una terapia e dobbiamo fargli una terapia
sostenuta perché se noi abbiamo parlato di una caverna in realtà nulla impedisce che possano esservi più
focolai per cui ci sono più caverne, ed il processo risulta più esteso.

- TUBERCOLOSI MILIARE

Come si spiega che la tubercolosi sia stata e sia ancora in parte un’importante causa di INFERTILITA’
FEMMINILE? La tubercolosi delle salpingi in passato era la responsabile della maggior parte delle sterilità
nel sesso femminile. Oppure come fa la tubercolosi ad essere responsabile degli idrocefali nei soggetti che
118
avevano una meningite tubercolare? O della insufficienza renale nei casi di insufficienza bilaterale del rene?
Tutto ciò si rende possibile perché in caso di infezione tubercolare CAVITARIA, ci sarà una infezione che
potrà senz’altro coinvolgere i linfonodi. Anche nella forma primaria possiamo avere una evoluzione atipica
del linfonodo ed i linfonodi normalmente drenano la linfa che viene immessa poi nella vena azygos e dalla
vena azygos va al cuore di destra e dal cuore di destra va al polmone per cui potremo avere una forma di
TUBERCOLOSI MILIARE POLMONARE BILATERALE, che coinvolge a mitraglia tutto il polmone
(alternativamente o in forma di grani di miglio oppure sotto forma di focolai di broncopolmonite
tubercolare). E se la necrosi caseosa del linfonodo o di queste caverne necrotizzanti si estende, oltre a
distruggere la parete dei bronchi e dei vasi arteriosi può distruggere anche la parete delle vene polmonari.
Le vene polmonari vanno al cuore di sinistra e dal cuore di sinistra i micobatteri possono diffondersi a tutto
l’organismo. Si parla in tal caso di TUBERCOLOSI MILIARI DISSEMINATE (forma sistemica).

Ovviamente un’altra cosa da tenere in considerazione è data dal TROPISMO dei micobatteri per i singoli
organi perché ci sono organi dove la tubercolosi attecchisce poco, per esempio il fegato (la tubercolosi
epatica esiste ma è una forma piuttosto rara e quando si realizza sostanzialmente inaspettata). La
tubercolosi delle tube, invece, è piuttosto frequente e dà come abbiamo già detto infertilità nella donna. Il
micobatterio non può ledere l’utero la cui mucosa si sflada ogni 28 giorni, ma può provocare lesioni alle
tube che anche se destinate a guarigione sono sottoposte a processi di cicatrizzazione che modificano il
condotto rendendo impossibile il passaggio dell’ovulo. Quando la tubercolosi diviene disseminata può
limitarsi a determinare la formazione dei cosiddetti “grani di miglio” (che sono l’espressione in tal caso di
una forma di tubercolosi più produttiva che caseificante) oppure può dare le cosiddette forme ulcero -
caseose che in realtà non sono altro che varianti organo per organo della tubercolosi cavitaria, cioè di
quella tubercolosi che dà le cavitazioni nel polmone. Importante è quindi capire il perché esistano due
forme così distinte di tubercolosi. Volendo fare una analogia, la lebbra TUBERCULIDE, che fa i granulomi, è
una lebbra che non contagia. Purtroppo le leggi ignorano questo aspetto per cui vengono mandati nei
leprosari sia coloro che hanno la lebbra lepromatosa che coloro che hanno la lebbra tuberculide. La lebbra
tuberculide fa venire l’insensibilità perché si dispone lungo i nervi ma NON è contagiosa. la lebbra
contagiosa è la lebbra lepromatosa, che fa le ulcere per cui può essere trasmessa per contatto, per esempio
con una stretta di mano.

- TUBERCOLOSI TERZIARIA

E’quella che si ha per l’organizzazione di focolai che vanno incontro a fibrosi e calcificazioni CONCENTRICHE,
come se fossero le sfoglie di una cipolla. E’questo il cosiddetto tubercoloma, cioè un NODULO che si verifica
a livello del polmone e che in passato è stato responsabile di DIAGNOSI DI NEOPLASIA POLMONARE perché
forma un nodulo intraparenchimale che è facile scambiare in fase di diagnostica per immagini con una
lesione di natura maligna. All’osservazione microscopica si osserva un piccolo focolaio necrotico circondato
da cellule epitelioidi, vi sono cellule giganti tipo Langhans, in una lesione che è quasi tutta granulomatosa
alla periferia può riscontrarsi un vallo di elementi linfoidi.

DEFINIZIONI:

Tubercolosi primaria: Tubercolosi polmonare nella quale il paziente è infettato per la prima volta,
generalmente si riscontra nei bambini o negli adulti immunocompromessi. E’spesso asintomatica, con
l’unico rilievo di un risultato positivo al test alla tubercolina. Nei bambini può esserci essudato (in tal
caso si parla di TUBERCULOSI ESSUDATIZIA), laddove il complesso primario consiste in una lesione
polmonare parenchimale ed un corrispondente focolaio linfonodale.

Tubercolosi post – primaria: Tubercolosi polmonare tipica di una infezione “fresca” ma nella quale la
persona ha già avuto un precedente attacco, magari rimasto a livello subclinico. E’distinta grazie alla
caseificazione e cavitazione con cicatrizzazione che risulta in fibrosi.

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Tubercolosi miliare: Tipo di tubercolosi che varia da una forma di infezione cronica, lentamente
progressiva, debilitante, ad una forma acuta fulminante. E’causata da disseminazione ematogena o
linfoematogena di materiale infetto all’interno del circolo ematico, con disseminazione in molti organi
con tubercoli miliari. E’chiamata anche tubercolosi disseminata o miliare disseminata.

PATOLOGIA NEOPLASTICA: CARCINOMA POLMONARE

SINTOMI

La sintomatologia è tardiva. Per alcune forme si può limitare il progredire della malattia ma generalmente
la prognosi è sempre infausta.

Tumore primitivo: tosse, emoftisi, dispnea

Estensione a tessuti adiacenti: dolore toracico, raucedine, sindrome di Horner, disfagia (in caso di fistola
tracheo-esofagea), sindrome della vena cava superiore.

Metastasi a distanza: ictus o infarto cerebrale, patologia epatica, patologia surrenalica (il 40% dei tumori
polmonari dà metastasi bilaterali al surrene), fratture

Sintomi sistemici: astenia, anemia, ittero, febbre, calo di peso (è un vero tumore cachettizzante)

Sindromi paraneoplastiche

PREVENZIONE

La prevenzione di questo tumore non è possibile in quanto il rapporto costi/benefici non è vantaggioso.

Facciamo un esempio per capire. Si può iniziare con un esame dell’espettorato: se questo è positivo si fa una
TC; se dalla TC non risulta niente, il soggetto viene sottoposto a dei lavaggi selettivi (con un broncoscopio si
esplorano il bronco di destra, di sinistra, centrale e cosi via). Potrebbecosì risultare positivo il lavaggio del
bronco inferiore di sx, viene fatta la lobectomia. Si fa un altro lavaggio e si vedràpresenza delle cellule
neoplastiche a livello, per esempio del bronco superiore destro. Il paziente è sottoposto ad un’altra
lobectomia. Il tumore però è sempre lì, localizzato magari a livello del bronco superiore sinistro da dove fa
cadere le proprie cellule in altre zone.

Questo per dire che le cellule neoplastiche si spostano e colonizzano varie zone del polmone. Quindi non si
può fare screening di questa patologia.

EZIOLOGIA

Oltre agli agenti ambientali ben noti (fumo, inquinanti), ci possono essere alterazioni genetiche correlate a
diversi istotipi:

 N-myc, L-myc OAT-CELL TUMOR (SCLC)


 KRas adenocarcinoma
 P53, Erb1, Erb2, Fn1 broncogeno

LOCALIZZAZIONE

120
Fondamentalmente si può distinguere un carcinoma broncogeno che esordisce nei bronchi, un carcinoma
periferico che colpisce i bronchioli, un carcinoma endocrino colpisce verso l’ilo del polmone.

La localizzazione può essere:

 centrale o ilare o meglio definita forma infiltrante dall’ilo (70%)


 apicale (dà la sindrome di Pancoast)
 periferico o meglio a nodo unico periferico (30%)
 pleuro-polmonare ed è così periferica da coinvolgere anche la pleura (va in diagnosi differenziale
con il mesotelioma)

CLASSIFICAZIONE

La classificazione del carcinoma del polmone è stata stilata nel 2004 dalla WHO e riconosce 4 istotipi
principali

 Il carcinoma squamocellulare è il tipico carcinoma infiltrante dall’ilo, strettamente correlato al


fumo.
 L’adenocarcinoma
 Raro carcinoma a grandi cellule (NSCLC)
 Carcinoma a piccole cellule di tipo neuroendocrino (il NET polmonare può essere a piccole cellule –
SCLC- o a grandi cellule – non va confuso con NSCLC!!! È sempre un tumore a piccole cellule ma con
cellule leggermente di più grandi della variante precedente)

Per l’adenocarcinoma viene utilizzata una nuova classificazione e viene fatta distinguendo:

1) Una lesione preinvasiva


2) Una lesione minimamente invasiva
3) Una lesione francamente invasiva

Variante dell’adenocarcinoma è il carcinoma bronchiolo alveolare. Nelle casistiche di sopravvivenza a 5 anni


la maggior parte era rappresentata da soggetti affetti da un nodulo polmonare periferico, avevano un
adenocarcinoma in particolare adenocarcinoma bronchiolo terminale. In verità questo tumore puro è in
situ che colonizza per trasmissione alveoli e bronchioli senza superare la membrana basale. La cui
sopravvivenza è del 100% nonostante la massa che può arrivare a 2 cm.

Altri adenocarcinomi presentano una piccola quota di bronchiolo terminale e possono essere minimamente
invasivi, una quota può anche essere anche invasivi.

DIAGNOSI

Approcci:

 Biopsia trans toracica


 Espettorato
 Brushing
 FNA percutanea o trans bronchiale
 Biopsia bronchiale

Per il polmone si preferisce l’aspirato rispetto la biopsia perché il polmone con un ago di grosso calibro può
andare incontro a un pneumotorace, ad emorragia o infezione, con ago sottili i rischi sono diminuiti.

121
Sui campioni ottenuti si fa immunoistochimica:

CARCINOMA ADENOCARCINOMA CARCIONOMA A


EPIDERMOIDE PICCOLE CELLULE
NEUROENDOCRINO
TTF1 - +++ -
CK7 - +++ -
Napsina A - ++ -
CK5/6 ++ +/- +/-
P63/p40 ++ +/- -
Desocalina3 +++ - -
CD56 - - ++
Cromogranina A - - +
Sinaptofisina - - +

Sta diventando importante anche la biologia molecolare. Infatti in caso di mutazione di EGFR è possibile
utilizzare farmaci inibitori della tirosina chinasi (TKI)

MORFOLOGIA

L’adenocarcinoma è classicamente un nodulo periferico, il carcinoma epidermoide è infiltrante dall’ilo.

Il carcinoma infiltrante dall’ilo è un tipico tumore che nasce nel bronco, ma che alla radiografia appare
come un nodulo, con crescita endobronchiale e infiltrazione rapida. Durante la progressione è come se il
bronco si svuotasse del tumore e si ha infiltrazione massiva.

METASTATIZZAZIONE

I tumori polmonari possono dare metastasi a tutti gli organi e attraverso tutte le vie.

Metastasi loco-regionali dirette si hanno nella parete del bronco, nel parenchima e nella pleura. Metastasi
linfonodali si hanno ai linfonodi ilari, mediastinici e cervicali. Nel tumore polmonare non si può fare il
linfonodo sentinella perché ci sono troppe anastomosi tra i linfatici. Metastasi ematogene si hanno al
surrene, al midollo, all’osso, al fegato, al cervello e al polmone stesso per via retrograda venosa.

Una regola generale:

 un nodulo unico è altamente probabile che sia tumore primitivo


 due noduli, è probabile che sia primitivo
 tre noduli è molto probabile che sia metastatico

Naturalmente tutto ciò va messo in relazione con l’anamnesi.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Un nodulo polmonare non è per forza un tumore!!!

La prima cosa da fare se si trova un nodulo polmonare è richiedere al paziente se sono stati fatti esami
precedenti alla scoperta in modo da compararli. L’esame obiettivo non serve praticamente a niente. Uno
degli esami da fare è la PET-TC perché se c’è una fame di glucosio si può fare diagnosi di tumore polmonare,

122
in caso contrario no. Naturalmente ci possono essere dei falsi negativi e postivi infatti più del 10% i dei
noduli polmonari possono non essere neoplastici né primitivi né secondari.

In genere il 90% dei noduli è maligno mentre il 10 (il prof dice 15-20%) è benigna.

ANALISI DELL’ESPETTORATO E TUMORE DEL POLMONE

Per quanto riguarda i tumori del polmone, ai fini


diagnostici,dobbiamo distinguerne due tipi: quelli che
nascono in prossimità del bronco,per cui crescendo ne
otturano il lume e quelli che crescono perifericamente ,in
pieno parenchima polmonare,lontani dall’albero
bronchiale.

I sintomi sono tosse stizzosa,resistente ai comuni


trattamenti farmacologici,persistente da almeno tre
mesi. Un altro segno è l’emottisi(è sfumato,ci può essere
una striatura rosa nell’espettorato di questo pazienti,non
sempre visibile ad es. nell’espettorato dei fumatori che è
giallastro).

Un paziente con questi segni deve effettuare degli esami,il primo da eseguire è una radiografia del torace
perché consente il primo grosso filtro tra il torace completamente negativo e quello in cui c’è il sospetto di
qualche cosa. Non consente di fare una diagnosi ben precisa. Il passo successivo è l’esame citologico
dell’espettorato ripetuto per tre giorni consecutivi. Per effettuarlo basta istruire il paziente sulle modalità di
prelievo, bisogna dirgli di espettorare con tosse profonda,diaframmatica ,dopo aver sciacquato abbondante
mente la bocca con acqua. Deve espettorare in un contenitore comune purché lavato, a bocca larga. In
citologia non c’è bisogno di sterilità perché non è un esame di tipo microbiologico colturale, ma un esame
oncologico. Il paziente porterà in anatomia patologica i tre contenitori con l’espettorato tutti e tre insieme.

In genere nei contenitori basta mettere un po’ di fissativo. Quello più utilizzato in istopatologia è la
formalina, in citologia l’alcool,anche quello denaturato rosso. Se ne mettono circa due dita,basta
conservalo a temperatura ambiente. Se,fatto l’esame citologico, la diagnosi è negativa per cellule
tumorali,questa diagnosi non esclude la possibilità di un tumore. Il successivo step è un prelievo
endoscopico ( prelievo bioptico più prelievo citologico) con brushing perché con il lavaggio la resa è minore.
Siamo in una fase di maggiore invasività,si fa in ambiente ospedaliero. Poiché gli endoscopi sono strumenti
a fibre ottiche, e l’endoscopista vede il tragitto e la lesione,sarebbe logico pensare che se c’è un tumore lo
si trova,spesso non è così perché il più delle volte i tumori si presentano come lesioni ulcerate,necrotiche e
l’endoscopista non fa un prelievo direttamente sulla lesione perché teme un sanguinamento
endobronchiale. In genere cerca di fare il prelievo alla periferia della lesione,quindi molte volte si vedono
cellule atipiche,ma non francamente tumorali e continuo a non poter fare una diagnosi di certezza.
Metodologicamente per i tumori che interessano l’albero bronchiale è importantissimo nel caso di ripetuta
negatività della diagnosi, ripetere al paziente ,la mattina successiva all’endoscopia, un solo esame citologico
dell’espettorato perché se c’è un tumore nel 99% dei casi darà segno di sé nell’espettorato,perché l’azione
meccanica del broncoscopio favorisce l’esfoliazione di cellule neoplastiche che si raccolgono e il giorno
dopo vengono emesse. Se il tumore è periferico tutto ciò non è valido,sono tumori ambigui che non danno
segno di sé, spesso ciò accade solo con la comparsa di metastasi. Arrivano pazienti con caratteristiche
neurologiche,fanno una TAC cerebrale e viene segnalata la presenza di più metastasi,quindi fa una TAC
total body e viene fuori una massa polmonare,oppure il paziente avrà una sintomatologia osteolitica,quindi
dolore osseo, con aree osteolitiche multiple interessanti la colonna vertebrale, fa una Tac total body e viene
fuori una massa polmonare.

123
Quando viene trovata questa massa periferica la si indaga con l’agoaspirato ( non agobiopsia). In un
espettorato normale troveremo cellule cilindriche,ciliate,tipiche dell’epitelio respiratorio. Un altro
elemento importante sono le “cellule della polvere”,sono macrofagi infarciti di materiale particolato,sono
gli spazzini del parenchima polmonare. La loro quantità è in diretta relazione con le abitudini di vita dei
soggetti. Nei fumatori o nei soggetti che sono esposti ad un alto inquinamento ambientale,saranno
moltissimi.

ANALISI DEI VERSAMENTI E MESOTELIOMA

Le cellule che costituiscono la seriosa sono le cellule mesoteliali. Si ritrovano nei versamenti
pleurico,ascitico,pericardico. Si può avere un versamento ascitico o pleurico per una compressione
tumorale,per un trauma,un processo infiammatorio ( es. polmonite). Il versamento pericardico,invece, è in
genere una delle complicanze più frequenti della malattia reumatica,si può avere una pericardite con
versamento pericardico. Questa pericardite comporta un aspetto caratteristico del cuore,detto “ a pane e
burro” dato dai fiocchi di fibrina che si depongono sulla superficie epicardica,perché si forma un essudato
siero fibrinoso tipico della pericardite come conseguenza della malattia reumatica. La guarigione di questo
essudato comporta l’incarcerazione del muscolo cardiaco che ha delle difficoltà contrattili.

I versamenti ascitico o pleurico possono essere molto abbondanti,l’aspirazione di questo liquido è di


pertinenza del personale medico. Prima di effettuare l’aspirazione di questo versamento si deve
”shakerare”il paziente. Il versamento,infatti, è costituito da una quota fluida in cui sono sospese delle
cellule,se il paziente sta da tempo nella stessa posizione,tutti gli elementi cellulari che consentono una
diagnosi sono depositati sul fondo della cavità. Se faccio assumere al paziente posizioni diverse
(prono,supino etc…)le cellule tornano in soluzione e quindi le aspirerò e sarà possibile fare
diagnosi,altrimenti avremo un campione acellulare. Può capitare che questi versamenti siano abbondanti.
In questi casi bisogna agitare bene il campione,finché non fa schiuma,poi se ne prendono due dita e si
mette in contenitore non sterile in cui ci sono circa due dita di alcool etilico rosso. E’importante agitare
bene in modo che il campione sia esemplificativo di tutto il liquido. Dal punto di vista strettamente
morfologico questi versamenti sono abbastanza patognomonici perché ci sono le cellule mesoteliali. Si
riconoscono perché hanno un’aggregazione caratteristica detta “ a chiave e serratura”,poi questi aggregati
hanno piccole estroflessioni (“barba”) che consentono di fare diagnosi anche se non conosco la sede del
prelievo.

I mesoteliomi sono tumori maligni formati da cellule mesoteliali,sono


considerati delle malattie professionali e sono collegati all’esposizione
all’amianto. Negli anni ’60 l’amianto veniva utilizzato molto soprattutto
nell’edilizia perché è molto resistente e duttile. Il sospetto che inducesse la
formazione di neoplasie è emerso perché in una fabbrica di Pozzuoli, dove si
utilizzava l’amianto, alcuni operai , andati in pensione dopo 40 anni di
servizio ,nel giro di un anno sono morti. Bisogna tener conto del fatto che il
mesotelioma ha una fase di induzione lunghissima che dura 40 anni,una volta
che si è manifestato però porta a morte nel giro di un anno. Sono tumori
rarissimi. Proprio per questi motivi era evidente che ci doveva essere un
nesso tra gli operai morti per mesotelioma e la loro attività lavorativa,quindi
fu scoperta la correlazione tra l’esposizione all’amianto e l’insorgenza di
questi tumori. In particolare le particelle di amianto sono volatili ed entrano
in contatto con il parenchima polmonare attraverso la respirazione. Riguardo
il meccanismo di induzione sono state avanzate diverse ipotesi. La più
avvalorata è che queste particelle vadano a posizionarsi nel corso degli anni con le fibre del fuso
mitotico,provocano la formazione di mitosi atipiche che porteranno alla formazione di cellule atipiche.

124
APPARATO GASTRO-INTESTINALE

ESOFAGO

Possiamo notare come i dati di incidenza e mortalità del cancro del colon siano stazionari. Al contrario, il
cancro della prostata si presenta con il 33% di incidenza nell'uomo ma ha il 10 % di mortalità, ciò significa
che o è curata bene oppure, essendo noto che è una neoplasia dell'età avanzata, non esprime la sua
recidività. L'uomo muore prima quindi non è possibile registrare la recidività a 10-15 anni. Questo esempio
ci consente di introdurre un altro concetto importante che è quello di intervallo libero di malattia, ovvero
l'intervallo di tempo trascorso fra l'ottenimento della remissione completa e la comparsa della recidiva.
Nella mammella, con una terapia target simile, l'intervallo libero di malattia è stato prolungato. Se il
carcinoma della prostata avesse avuto una prognosi infausta di 5 anni, come negli anni 70, avremmo avuto
incidenza e mortalità simile. In realtà oggi vediamo che le terapie target funzionano, quindi l'intervallo
libero da malattia è aumentato (da 5 a 10 anni ). Se un uomo viene colpito a 65 anni, e L'intervallo libero da
malattia è di 10 anni, ci si aspetterebbe la morte verso i 75 anni. Accade però che gli uomini muoiono prima
per cause naturali, quindi non si può avere una stima esatta quanto il tumore alla mammella.

Tra i tumori che non si segnalano per incidenza, ma compaiono nella lista dei tumori mortali c’è quello
dell'Esofago: si passa da un’incidenza circa zero, al 4 % di mortalità..

Questo contrasto deriva da:

 scarsa prevenzione nel mondo occidentale;


 cancro dell'età avanzata. I pazienti anziani non
effettuano il followup di controllo per evitare lo
screening e per l'invasività degli esami.

125
La diagnosi è tardiva; Si fanno molte diagnosi in fase avanzata, quasi al limite della fase mortale ed è
assente come incidenza, invece con la diagnosi di tumore in fase precoce, è possibile avere un dato di
mortalità molto basso.

Si osserva un andamento diverso rispetto a 20-30 anni fa del carcinoma esofageo. Prima i tumori erano
squamosi, oggi invece è in aumento l'adenocarcinoma.

Nell'esofago le ghiandole sono in due zone: nel 3° superiore e nel 3° inferiore. Sono delle ghiandole di
supporto per lubrificare.

L’adenocarcinoma insorge su una metaplasia (esofago di Barrett) cioè l'epitelio pavimentoso si trasforma in
epitelio ghiandolare che darà origine a un carcinoma. Quello che osserviamo è l'evoluzione di un'esofagite
da reflusso in metaplasia ghiandolare che può determinare lo sviluppo di un adenocarcinoma. Ciò significa
che l'esofago di Barrett è in aumento come incidenza. L'esofagite da reflusso si cura poco o male e di
conseguenza scaturirà nell'esofago di Barrett.

FATTORI DI RISCHIO

I fattori di rischio sono diversi tra di loro tranne per il tabacco che è comune ad entrambi.

Il Barrett è esclusivo per l'adenocarcinoma. Per fare prevenzione dobbiamo ponderare e andare a fare
prevenzione in quei soggetti a rischio particolari tipo i soggetti affetti da ernia iatale (con reflusso ) e anche
coloro che sono affetti da reflusso gastro-esofageo. Il reflusso è tipico delle nostre zone. Può essere
associata alla pratica di mettere il bambino a letto subito dopo la poppata. Ciò provoca un reflusso
fisiologico facilitando lo sviluppo dell'infiammazione o in altri casi più gravi, la debolezza dei pilastri
diaframmatici e quindi ernia iatale. In altre zone del mondo, vedi Africa, c'è l'usanza delle madri ad usare il
marsupio, quindi i bambini assumono una posizione eretta anche dopo aver consumato il pasto evitando
così reflusso e di conseguenza Barrett.

126
Il carcinoma squamoso, invece, è più frequente in quelle zone del mondo dove si fa un uso massivo di fumo
ed oppiacei oppure semplicemente non c'è un'elevata incidenza di esofagite o barrett. L'esofago è un
organo di passaggio del cibo, che talvolta può creare attrito , oppure troppo caldo o freddo, determinando
un insulto meccanico,; anche l'acidità elevata può causare un danno chimico dannoso per le mucose.
Conseguente all'insulto possiamo avere l'insorgenza dell'esofagite e successivamente dell'esofago di
Barrett.

L’esofagite può essere istologicamente classificata in diversi gradi:

 Grado1: Si manifesta con esofagite a lesioni minime o microscopiche, iperplasia delle papille,
aumento spazi intraepiteliali, congestioni, rari infiltrati infiammatori intraepiteliali che in genere
sono rappresentati dai linfociti, espressione di stimolazione immunitaria terziaria su stimolo
antigenico nel tratto gastro-esofageo dove non c'è la secondaria (mentre la secondaria è data dalle
placche del peyer);
 Grado2: Esofagite di grado lieve, Infiltrazione leucocitaria intraepiteliale (1eosinofili, 2linfociti,
3granulociti);
 Grado3: Esofagite di grado moderato con erosione esofagea e con perdita di sostanza senza
superare la muscolaris mucosae;
 Grado4: Esofagite grave con ulcera, se profonda anche nella muscolare
 Grado 5: esofagite complicata con esofago di Barrett (esofagite precancerosa) o stenosi cicatriziale
(ulcerazione callosa). In questi casi bisogna utilizzare devices per aprire la stenosi e facilitare la
deglutizione.

Barret può essere presente in ogni forma di esofagite, quindi lo possiamo riscontrare casualmente nei
controlli. Il carcinoma può avere uno sviluppo su Barrett fino al 39%. Ciò significa che non tutti i Barrett
daranno un cancro perché abbiamo 2 tipi, lungo e corto. È lungo quando supera i 3 cm in altezza dove ha
“bruciato” gran parte della mucosa con indice di alto rischio (fino al 39 %).

Tutti i tipi di esofagite fanno aumentare il rischio di carcinoma. Ad esempio l'esofagite ha un rischio
relativo del 6%, mentre l'esofagite non infiammatoria 1-4% quindi quella che ci sfugge è l'esofagite minima
poichè poco sintomatica ed è studiata indirettamente nei soggetti che hanno ernia iatale.

L'incidenza maggiore è nella complicata per la presenza del Barrett. Spesso l'ernia iatale è correlata con
esofagite da reflusso e Barrett.

ESOFAGO DI BARRETT

Il Barrett è una metaplasia epiteliale di tipo colonnare (cilindrico ghiandolare) che sostituisce l'epitelio
pavimentoso esofageo e può essere tipo corpo-gastrico, del cardias o intestinale. Nel complesso si può
dividere in intestinale e gastrica.

E' importante poiché a differenza dei criteri adottati fino qualche anno fa, dove per essere sicuri del Barrett
ci voleva obbligatoriamente la metaplasia intestinale, oggi si fa diagnosi anche se si trova metaplasia
gastrica. Lo screening è stato in parte abbandonato dai pazienti per via dell'invasività e del tempo per le
analisi. Se dall'esame dell'esofago si nota una proliferazione ghiandolare, possiamo trovarci di fronte a
patologia da reflusso, Barrett oppure eterotopia gastrica.

127
L'eterotopia gastrica non si sviluppa in base alla patologia, ma si manifesta per il mancato sviluppo
dell'epitelio dell'esofago stesso.

In passato, in base ai reperti bioptici, stati trovati parecchi adenocarcinomi e pochi Barrett. Questo dato era
poco attendibile poiché c'era un errore concettuale dovuto alla classificazione stessa basata solamente sul
reperto bioptico: Se capitava nell'area intestinale si diagnosticava Barrett, altrimanti se gastrica non Barrett.
è stato revisionato tutto e hanno selezionato i Barrett studiati e hanno notato che la maggior parte
dell'epitelio che circondava la metaplasia intestinale era di tipo gastrico confermando che la diagnosi era in
base alla zona della biopsia. Oggi invece ogni metaplasia è sospetto Barrett dal punto di vista morfologico.

Altro problema è quello del Barrett corto che si può confondere con la cardite, infiammazione del cardias.
Fino a qualche tempo fa c'è stato overstimato il Barrett corto poiché frainteso poiché anche in gastrite si
può avere una metaplasia; questo ha portato ad un notevole spreco di soldi e tempo anche per via
dell'overtreatement di questa patologia.

L'esofago di Barrett inteso come metaplasia è reversibile; La metaplasia è un adattamento cellulare quindi è
reversibile. Nei bambini c'è un'alta incidenza di esofagite da reflusso fisiologico. Nel bambino c'è il criterio
di reversibilità, e con l'interruzione della fase di reflusso, viene rigenerato l'epitelio originario dell'esofago;
ciò è possibile perché nel lattante, l'esofagite scaturisce dall'esposizione monofattoriale a fattori di rischio
(posizione supina subito dopo aver mangiato).

Nell'adulto l'esofagite non è più reversibile perché associata a displasia ed è causata da fattori multipli cioè
legato a diverse cause che bloccano la reversibilità, cioè la rigenerazione del tessuto oroginario
dell'esofago.

Inoltre nella displasia avviene una modifica del dna che rende l'esofago di Barrett difficilmente reversibile.
La displasia può essere di basso grado e va seguita nel tempo oppure di alto grado che una volta
confermata, porta all'insorgenza del cancro con carcinoma in situ, cioè neoplasia intraepiteliale.

Il comportamento clinico di entrambi è lo stesso ma dal punto di vista morfologico sono diversi: il
carcinoma in situ ha i caratteri dell'anaplasia cellulare cioè disordine progressivo verso il cancro infiltrante
con i caratteri di malignità senza superare la lamina basale ed è assimilabile alla displasia grave che non ha
i caratteri di malignità ma ha delle immaturità cellulari con notevole probabilità di sviluppo al cancro.

Per la displasia è stata ideata la classificazione di Vienna:

128
Anaplasia: cellula discende da una cellula sana con dna mutato;

Immaturità: nella displasia con stesso corredo della cellula sana;

Carcinoma microinvasivo: carcinoma iniziale.

L'incidenza del Barrett ha un andamento che va dai 10 anni fino ai 30, aumenta in modo spaventosa in età
senile però associata al cancro. Mentre nell'età giovanile è possibile una reversione dato che è una
metaplasia, in tarda età c'è un alto rischio di mutazione in cancro.

- MUSECTOMIA

La mucosectomia è una tecnica particolare di resezione endoscopica della mucosa (emr) cioè di rimozione
di tessuto mucoso e sottomucoso con esposizione della muscolare propria. La mucosectomia è stata
utilizzata in Giappone dal 1984 per asportare gli early cancer del tratto gastro-intestinale. La emr è indicata
quando la lesione neoplastica (bene differenziata e con margini di resezione indenni) non ha ancora invaso
la muscolare propria e quando il rischio di linfonodi metastatici è assente.

Questa tecnica è fattibile nell'esofago e nello stomaco con un notevole successo perchè c'è abbastanza
muscolaris a differenza dell'intestino quindi si possono preservare la funzionalità e la resistenza dell'organo
stesso. Nel colon una lesione viene riempita d'aria in modo da scollare la parte lesa da quella sana per
evitare la perforazione. Nell'esofago lo spessore garantisce la non perforazione.

- DIAGNOSI

Per la diagnosi bisogna fare sia un'endoscopia per definire bene l'esofago di Barrett e sia un esame
morfologico come conferma.

Nasce la terminologia ESEM (evidenza endoscopica di esofago Barrett per gli endoscopisti ) che fanno una
biopsia per una conferma morfologica della diagnosi di Barrett. La diagnosi deve essere macroscopica e
microscopica per poi valutare un trattamento in caso di cambiamento nel tempo.

Nel passato, col solo utilizzo dell'endoscopio si poteva valutare un esofago di Barrett caratterizzato dalla
lesone colore lingua di salmone a pochi centimetri dello iato, con aspetto rosso fiammeggiante. Utilizzando
altri tipi di endoscopio, come quello confocale, si fanno la diagnosi di metaplasia caratterizzato da lesioni
tondeggianti o reticolari o un aspetto “cerebroide” della metaplasia intestinale.

Bisogna fare diagnosi differenziale con l'infiammazione del cardias che risale lungo l'esofago.

- BARRETT ED EVOLUZIONE NEOPLASTICA

La lesione del barrett è proporzionale al rischio. A tal punto


sono nati dei criteri (di Praga) che mettono in relazione altezza
e larghezza o diametro circonferenziale che calcolano il
rapporto di massima estensione superficiale, ma durante
l'endoscopia non si utilizza nonostante ci sia un'altissima

129
correlazione tra estensione ed insorgenza.

Secondo i criteri di Seattle, per poter confermare tale patologia bisogna fare una serie di biopsie: ogni 2cm
per poter creare una mappa dell'esofago, ma l'elevato stress della pratica e il tempo, rendono tale
metodica difficile da somministrare ai pazienti.

Valutando le curve che scaturiscono dagli studi di distribuzione fatti in decenni passati, possiamo capire il
grado di displasia: alto/basso così da inquadrare al meglio la lesione e trattarla con un followup, per
controllare eventuali mutazioni o, se in stadio avanzato, trattare la lesione come carcinoma vero e proprio.
In Cina hanno condotto uno studio facendo biopsie (mucosectomie) per calcolare la probabilità di
sviluppare un carcinoma. Spesso gli insulti provenienti dall'esterno influiscono sulla trasformazione del
tessuto cambiandolo da normale a metaplasico con stimolazione algogena e nel caso in cui lo stimolo
continua oppure è più veloce del turnover cellulare, può scaturire in carcinoma: prima del carcinoma
squamoso, c'era una metaplasia squamosa. Altro esempio da fattore ambientale è il fumo, all'inizio il
fumatore si presenta con una tosse produttiva, dopo circa sei mesi la tosse diventerà secca e stizzosa a
prova del cambiamento causato dell'influenza del fumo sulle cellule polmonari.

- DIAGNOSI MOLCOLARE

MI cardias BE
CK7 +- +++
CK20 + -
CDX2 - +++
Genetica MUC2 - +++

STOMACO

ci sono 2 gruppi precisi di adenocarcinoma gastrico classificati morfologicamente:

 intestinale;
 diffuso

130
Questa classificazione ha un comportamento biologico diverso, istogenesi diversa.

L'istogenesi diversa è data da: caderine (gene CDH1) nella variante diffusa, mentre la forma intestinale è
collegato all’espressione di growh factor e mismatch repair.

La variante intestinale ha crescita espansiva rispetto alle forme infiltranti che hanno una crescita diffusa.

Incidenza del Carcinoma Intestinale (mismatch) è massima intorno a 55 e 60 anni. Il diffuso (cdh1 e
caderina) è più sporadico per età e sesso ed è ereditario. Nel complesso il carcinoma gastrico è ereditario
nel 20%, di questo il 9% è diffuso.

Il carcinoma intestinale è molto influenzato dalle lesioni dalle condizioni precancerosi, come la displasia, e
da fattori ambientali, quali la dieta.

La forma diffusa non è associata alle forme precancerose che conosciamo ed è una lesione che si identifica
con l'atrofia dell'epitelio gastrico ed associazione con le caderine. E' biologicamente aggressivo con
prognosi pessima.

Una classificazione per essere valida deve selezionare gruppi eterogenei. Questo è valido per vedere quanti
carcinomi morfologicamente simili sono visibili, ci troviamo difronte a classificazioni enormi, eosinofili o a
piccole cellule o papillari, che in realtà non ci servono se non riusciamo a fare una classificazione utile dal
punto di vista prognostico, diagnostico e terapeutico, perciò raggruppiamo tutto in due categorie:
intestinali o indifferenziati.

L' incidenza è molto variabile nel mondo. In Giappone si ha una prognosi favorevole per via dello screening
di base efficiente. Per fare prevenzione bisogna fare un prelievo d'organo motivato cioè ci devono essere
una serie di sintomi che ci fanno pensare a tale patologia, in Giappone si sottopongono spontaneamente
per via dell'alta familiarità di questo tumore (1 posto). Per quanto riguarda la tollerabilità, l'endoscopia è
poco tollerata; deve essere utile perchè va fatto solo se c'è una finalità (diagnostico o terapeutico) e va
valutata l'economicità e il rapporto costo/beneficio. Questo si può ottenere solo se si vanno a ricercare in
quelle fasce particolari che sono state esposte a fattori di rischio in quanto riusciremo sicuramente a
trovare soggetti malati. Uno screening morfologico deve essere negativo per essere efficace, come ad
esempio nei pap-test e nel test del cancro alla mammella; nei casi di cancro al polmone o stomaco ci sono
pochi precancerosi ma molti carcinomi, ciò significa che non funziona il test di screening.

L'incidenza di cancro allo stomaco è sceso senza alcuna prevenzione, questo perchè è cambiato lo stile di
vita, ci sono state variazioni ambientali. È diminutito la forma intestinale, quella meno aggressiva. In
passato la causa primaria di resezione gastrica era l'ulcera peptica che si curava con bicarbonato e liquirizia
(today con gastro-protettori), non si avevano le conoscenze, oggi le resezioni sono a solo a scopi preventivi
o curativi del cancro.

Noi siamo un paese di peptici, usiamo fans, antibiotici e additivi chimici, gli antibiotici naturali ci proteggono
dall'helicobacter, i latini sono peptici perchè vanno a dormire dopo mangiato, “la pennichella” o anche con i
bambini dopo la poppata. Dopo mangiato andiamo a dormire e questo causa un rallentamento della
digestione. Al nord e nei paesi nordici hanno una vita alimentare sana e non appesantiscono lo stomaco
prima delle ore di sonno. In quasi tutto il sud del mondo c'è questa dispepsia.

131
Il cancro gastrico è dato dalla cattiva digestione e/o aggravato da sostanze non sane cioè da grassi,
affumicato, sale, in più questo ristagno aumenta il rischio. Oggi lo stile di vita è cambiato e anche i metodi
di conservazione: il frigo al posto dell'olio e grassi, surgelare invece di usare il sale. Negli anni 70 il boom
industriale e l'uso di additivi, come omogeneizzati agli ormoni o nitrati come conservanti, causava problemi
come il cancro del colon visto che tali additivi sono idrosolubili.

Oggi c'è stato il ritorno ad una vita più salutare senza troppe sostanze di natura sintetica o quantomeno
utilizzando quelli di origine naturale.

Emilia e Toscana hanno un'alta incidenza di carcinoma intestinale perchè non hanno cambiato le loro
abitudini.

ISTOGENETICA

Per il carcinoma differenziato, spesso intestinale a crescita espansiva vi è in genere metaplasia intestinale
associata, mismatch APC con inattivazione della p53/p16 e mutazione della p53, caratteristica
patognomonica dell'espansivo.

il carcinoma Indifferenziato a crescita diffusa non intestinale associato a iperplasia gastrica si manifesta con
decremento delle caderine che comporta inattivazione della p53/p16 ma mai mutazione della b53 che è lo
step conclusivo dei carcinomi intestinali.

PRECANCEROSI

Questa sequenza trova riscontro nelle patologie precancerose come le gastriti che sono molto frequenti
perchè il paziente si sottopone facilmente a endoscopia e allora è facile classificare questi tipi:

 A autoimmuni associati a tumori neuroendocrini


 B ipersecretoria,quelle prodotte dall'ambiente circostante.

L'istogenesi non indica il cancro ma un carcinoide! La gastrite di tipo autoimmune ha anticorpi anti fattore
intrinseco anti cellule parietali, non avendo più acido, abbiamo la gastrina molto alta, la gastrina produce
acido, va a stimolare le cellule principali attraverso l'istamina, quindi ipergastrinemia, iperstimolazione di
cellule neuroendocrine ed iperplasia che può diventare carcinoma.

Per confermare la gastrite autoimmune, andiamo a cercare le cellule neuroendocrine; mentre nel tipo B
andiamo a cercare la displasia attraverso la ricerca dell'helicobacter (linfoma gastrico) o displasia causata
dalla dieta.

Noi dobbiamo ricondurre la nostra istogenesi nell'ambito di un progetto di screening, in questo modo
possiamo seguire i pazienti. Il problema è che non sempre i pazienti rispondono al follow-up che è diverso
in base alla gravità della malattia.

La categorie del follow-up influenzano i vari tipi di displasie che controllano i pazienti fino a un max di 5
anni; la displasia in base alla classificazione di Ming (1981) si divide in:

1) Displasia insorta su metaplasia intestinale (metaplasia incompleta – prevalente tipo grosso


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Intestino immatura)
2) Displasia gastrica insorta su iperplasia (iperplasia atipica)
3) Displasia gastrica insorta su atrofia

Questa classificazione è stata rivista nel 2006 e si è venuta a delineare la classificazione di Padova:

• Lievissima
• Lieve
• Lieve-moderata
• Moderata
• Moderata – grave
• Grave
• Carcinoma in situ

La metaplasia può essere incompleta quando le cellule sono immature, ad esempio se non c'è il
riconoscimento della cellula abbiamo la displasia ma non si tratta ancora di cancro fino a quando non
diventa carcinoma in situ.

C'è una classificazione abbastanza ampia su base citologica dei diversi tipi di cellule per capire i casi di
displasia e di iperplasia; la categoria è importante per la salvezza del paziente per distinguere una displasia
di alto grado da una di basso grado così da decidere il followup del paziente.

Ci sono dei casi borderline delle displasie. Se faccio un followup a 3 mesi per 5 anni e la lesione non è
mutata abbiamo una situazione stazionaria, invece per una alto grado,con una mutazione progressiva, è il
caso di eliminarla come nella poliposi intestinale.

Vista l'ampizza della classificazione, i clinici hanno pensato di raccogliere il tutto in due categorie, così da
avere metaplasia e displasia (unendo il carcinoma in situ all'ultima categoria), in questo modo il basso
grado va in followup e l'alto grado e suggerita la chirurgia.

133
Abbiamo delle precancerosi che si possono studiare perchè sono più facili da riconoscere a livello
macroscopico, l'ulcera peptica in trasformazione, carcinomi sul moncone gastrico (10% nei 20 anni e 40%
dopo 40 anni con un'alta incidenza di cancro).

Il polipo gastrico è una precancerosi legata all'ereditarietà, in qualche caso è più facile da diagnosticare.

La poliposi gastrica giovanile aumenta l'incidenza di ulcera gastrica.

GENETICA E TERAPIA

Si conosce bene il carcinoma gastrico diffuso familiare associato a carcinoma mammario con insorgenza
giovanile (mutazione del gene cdh1) il gene può essere trasmesso o mutare nel genitore.

Lo screening è su scala familiare cioè ci vuole una familiarità con incidenza lobulare della mammella per poi
ricercare una mutazione del gene cdh1, che si manifesterà anche a livello sistemico, cioè anche in altri
tessuti, confermando l'ereditarietà. Solitamente c'è la possibilità di studiare in campione familiare con la
celiachia per vedere la correlazione col carcinoma gastrico diffuso.

134
La precocità è importantissima!!! La metilazione e la deacetilazione sono fasi importantissime per
l'espressione o il silenziamente dei geni. Spesso si inizia con silenziameti, soprattutto degli antioncogeni
oppure con la deacetilizzazione degli istoni liberando gli oncogeni.

Si è visto che nell'istogenetica che il carcinoma differenziato intestinale a crescita espansiva è correlato a
ipometilazione, mentre quello indifferenziato a ipermetilazione; in questo modo si può intervenire
farmacologicamente per correggere a livello genetico il difetto.

La prognosi si basa sullo stato, più è superficiale più c'è possibilità di guarigione più è profondo e più
risponde male a chemioterapia e irradiazione.

La terapia target si esegue se è presente la proteina HER2 (viene valutato somministrando un anti
anticorpo): nelle forme intestinali HER2 è presente nel 32% mentre nelle forme diffuse nel 7%, sono piccoli
numeri che vengono reclutati per questa terapia.

Il risultato terapeutico è subordinato al fatto che lo stadio è molto avanzato e metastatico, il guadagno in
prognosi è del 34% rispetto ai non trattati. Ciò era verificato già nella mammella. L'invito è fare questa
terapia negli stadi più precoci che hanno prognosi a 5 anni e addirittura aumentando il periodo di latenza a
10 anni.

Si potrebbe intervenire sugli Early Cancer, cioè quel cancro che è ancora nella mucosa, non è ancora
migrato nella muscolaris, quindi asportabile con mucosectomia.

BIOPSIE GASTRICHE ENDOSCOPICHE

La crescita tumorale negli organi cavi può essere vegetante, (benigna,maligna),infiltrante di tipo ulcerativo
(maligna) e infiltrante a placca nello spessore della parete (maligna). La mucosa dello stomaco
normalmente è bianco-grigiastra,in corso di gastroscopia si possono vedere petecchie emorragiche che
sono espressione di una gastrite erosiva emorragica che avrebbe portato a morte il paziente se non fosse
andato incontro a un intervento di gastrectomia.

In corso di gastroscopie l’endoscopista fa biopsie endoscopiche che hanno dimensioni di poco meno di
mezzo cm. E’ importante che faccia un prelievo che rispetti il quadro generale e sia patognomonico di
quella lesione. Poi fa un brushing(spazzolamento citologico). Bisogna sempre segnalare la sede del prelievo
altrimenti non si capisce quali cellule sono e quindi da dove provengono

CELIACHIA
DEFINIZIONE: La celiachia è un disordine immunomediato da sensibilità al glutine. Tutta la patologia e
tutta la sintomatologia clinica dipende fondamentalmente dal malassorbimento.

STORIA

Dal punto di vista storico è importante, per chi ha interesse, notare che in qualche modo essa è già descritta
nell'antichità, e anzi proprio il termine celiachia deriva da una parola greca che indicava in qualche modo
qualche disturbo addominale e viene descritta, per primo, da Areteo di Cappadocia, come un disturbo
dell'apparato digerente senza causa apparente.

135
Viceversa è stata un tipo di patologia che non è stata mai molto conosciuta, riconosciuta nel corso degli anni
se non agli inizi del '900, quando cominciò a vedersi questo disturbo dell'alimentazione che migliorava in
condizioni di scarsa alimentazione, a differenza della quasi totalità delle patologie dell'apparato
gastroenterico che dipendevano o dalla malnutrizione o da malattie infettive. Tuttavia una prima
descrizione più precisa sia del quadro clinico che del quadro anatomopatologico è stata fatta solamente
negli anni '50, quando si è capito che questa patologia, che è fondamentalmente una forma di
malassorbimento, era in qualche modo collegata con il glutine, e poi è stato descritto anche il quadro
istologico che oggi è fondamentale per la diagnosi. L'altra cosa importante è che è una patologia più diffusa
nel nordeuropa e che c'è una frequenza nella popolazione generale di circa 1 caso ogni 300 individui sani
(Incidenza: 1/300; prevalenza 0,5-1%). Inoltre si stima che questo tipo di disturbo sia in qualche modo
ancora oggi poco chiarito, poco diagnosticato e che il numero di casi clinici nel futuro tenderà ad aumentare
(incidenza proiettiva: 1/100, 1/200).

CLINICA: alcuni sintomi dipendono dal fatto che essendoci malassorbimento aumenta la massa intestinale e
quindi sono sintomi direttamente correlati con l'apparato digerente; altri sintomi dipendono dal fatto che
c'è un calo dei nutrienti che vengono assorbiti dall'intestino e quindi abbiamo spossatezza, ipostaturismo,
calo ponderale; altri sintomi ancora dipendono dal quadro infiammatorio cronico autoimmune che sottende
a questa patologia come per esempio dermatiti erpetiformi, aftosi e stomatiti, patologie a carico di altri
organi.

 Sintomi addominali
 Diarrea
 Steatorrea
 Ipostaturusmo
 Calo ponderale
 Sterilità
 Aftosi e stomatiti
 Dermatite erpetiforme
 Spossatezza
 Anemia sideropenica

La celiachia può presentarsi come:

1. celiachia manifesta, conclamata con la sintomatologia associata;


2. celiachia latente, cioè il paziente è “asintomatico con occasionale biopsia positiva”, ovvero non
presenta i sintomi caratteristici di celiachia, ma tuttavia, se si sottoponesse per altre indagini ad una
esofagogastroduodenoscopia e facesse l’esame istologico (che è fondamentale per la diagnosi di
questa malattia) verrebbe fuori che ha un quadro assolutamente compatibile con la celiachia.
3. celiachia potenziale, se il soggetto ha familiarità, ha dei fattori di rischio per la celiachia. In effetti la
celiachia è una malattia fondamentalmente sostenuta da autoimmunità e la quasi totalità delle
malattie autoimmuni presenta determinati fenotipi del locus HLA, che correlano con un maggior
rischio di sviluppare la malattia.
4. forma di celiachia con solo sintomi extraintestinali.

Si presenta comunemente tra i 30 e i 60 anni.

ISTOLOGIA

Prima di vedere in che consistono gli aspetti anatomopatologici caratteristici utili per la diagnosi facciamo
un piccolo excursus sull'istologia normale dell'intestino e sulla sua normale fisiologia.

136
Il villo. L'altezza di un villo va dai 320 ai 570 mn. Tuttavia l’altezza del villo va lentamente incrementandosi
dal duodeno fino alla porzione terminale del piccolo intestino, cioè l’ileo. Vedete che qui ci sono dei villi
leggermente più corti che sono per esempio duodenali, viceversa qui abbiamo una ramificazione ancora
maggiore, un’altezza maggiore, quindi più probabilmente questo prelievo istologico è stato fatto a livello
della porzione terminale dell’ileo. Quindi il villo è più alto nella porzione digiuno-ileo.

Barriera intestinale. Qua ci sono tutta una serie di informazioni sulla barriera intestinale e su quello che è
appunto l’enterocita, la sua funzione che non stiamo qui a ripetere. una cosa importante tuttavia è la
barriere intestinale, è il GALT, che sarebbe la controparte intestinale del MALT. Il MALT è il tessuto linfoide
organizzato associato alle mucose, ce n’è per quasi tutte le mucose degli cavi del corpo umano, e quello
dell’intestino si chiame GALT. Qua ci sono tutta una serie di informazioni sulla barriera intestinale e su
quello che è appunto l’enterocita, la sua funzione che non stiamo qui a ripetere. una cosa importante
tuttavia è la barriere intestinale, è il GALT, che sarebbe la controparte intestinale del MALT. Il MALT è il
tessuto linfoide organizzato associato alle mucose, ce n’è per quasi tutte le mucose degli organi cavi del
corpo umano, e quello dell’ìintestino si chiame GULT (gut associated linfatic tissue) ed è il più grande, come
quantità, organo immunitario e contiene circa il 40% delle cellule immunitarie dell’organismo . è divisa in
tre gruppi, principalmente ci sono le Placche del Payer, le cellule della lamina propria e soprattutto ci sono
le cellule M ( si chiamano anche cellule FAE – cellule epiteliali follicolo associato) che sono delle cellule
immunitarie che sono nello spessore dell’epitelio.

Flora intestinale. Il senso ecco di queste 4 diapositive sta nel fatto che la maggioranza dei disturbi del tratto
gastroenterico che lamentano i pazienti, per cui si sottopongono a visite mediche, analisi, indagini come
esofagogastroduodenoscopie, dipendono principalmente da un’alterazione della flora intestinale (la
grandezza della flora del piccolo intestino è 10 miliardi per grammo): voi sapete che un certo equilibrio della
flora intestinale correla con uno stato di buona salute. Numerosi sono i disturbi aspecifici che possono
essere provocato da alterazioni della flora intestinale e che rappresentano la principale causa poi di richiesta
di prestazioni mediche per quanto riguarda l’apparato gastroenterico. Sempre in queste diapositive trovate
scritto che il butirrato viene prodotto dalla flora batterica intestinale, che poi viene inglobato dagli
enterociti, ha un ruolo importante per il metabolismo di numerose sostanze, e viene a far parte del
glicocalice di superficie.

Le caratteristiche macroscopiche della mucosa duodenale di un soggetto celiaco in stato conclamato sono
tutte studiate dagli endoscopisti, poiché è abbastanza improbabile per un anatomopatologo osservare un
quadro macroscopico di un celiaco, vorrebbe dire che il soggetto è morto. Invece può essere studiato con
facilità per il fatto che possono essere fatte delle piccole biopsie. Per fare diagnosi di celiachia è necessario
avere un quadro clinico caratteristico e, unitamente a questo, è necessario avere un quadro istologico
caratteristico che però non è specifico di celiachi: anche altre forme di malassorbimento possono avere il
quadro istologico della celiachia. La diagnosi di celiachia si completerà solamente quando, dopo il quadro
clinico di malassorbimento e dopo una biopsia positiva, in caso di terapia con sospensione di glutine, il
quadro sia clinico sia istologico tornerà ad essere normale. Sono diagnostici i campioni bioptici della
seconda porzione duodenale o del digiuno prossimale.

Si ha prima di tutto aumento del numero di Linfociti T CD8+ intraepiteliali (linfocitosi intraepiteliale).

Vediamo la mucosa duodenale, che presenta tutti gli aspetti più caratteristici della celiachia. Un soggetto
celiaco, invece di avere dei villi alti, avrà o dei villi tozzi, o addirittua la completa perdita del disegno dei villi
(la mucosa è completamente piatta), e questo è l'aspetto più caratteristico della celiachia (atrofia villosa).
Egli avrà comunque uno spessore della tonaca mucosa mantenuto perchè, in concomitanza alla perdita dei
villi, si avrà un'iperplasia delle cripte ghiandolari, cioè invece di essere piccoline, rotondeggianti, saranno
allungate e focalmente anche ispessite (il normale rapporto cripa/villo è 1 a 5/3, nella celiachia questo
rapporto si inverte). Poi si riconosce un infiltrato infiammatorio a livello della lamina propria, cioè sotto
l'epitelio di rivestimento, prevalentemente fatto di plasmacellule. Un altro aspetto importante è che, nel
137
contesto dell'epitelio di rivestimento, dove normalmente ci sono solamente gli enterociti, le goblet (le
caliciformi mucipare), le cellule M e qualche cellula neuroendocrina, ci sarà presenza di linfociti T. Questi
linfociti T non si possono vedere bene all'ematossilina-eosina, sono delle cellule con il nucleo più piccolo,
con un citoplasma chiaro intorno, e tuttavia bisogna fare delle colorazioni immunoistochimiche per
evidenziarli. L’aumento del turnover ghiandolare può limitare la capacità degli enterociti di differenziarsi
pienamente.

Questi sono tutti gli aspetti caratteristici della celiachia che vengono distinti in quattro classi secondo la
classificazione di Marsh. Questa classificazione è importante perchè rappresenta la comunicazione più
chiara che c'è tra un anatomopatologo che scrive il referto ed il clinico, il gastroenterologo (più spesso il
pediatra visto che è una patologia a maggiore frequenza nell'infanzia, che si scopre più facilmente
nell'infanzia, sebbene esistano prime diagnosi di celiachia anche di soggetti a sessant'anni), cioè su questa
classificazione c'è concordanza tra il clinico e l'anatomaptologo. Tale classificazione consiste di quattro
diversi gradi:

– Marsh 1 è il quadro più lieve e si caratterizza solamente per l'infiltrato interstiziale linfocitario
formato dalle plasmacellule e i linfociti intraepiteliali (devono essere almeno 20 linfociti ogni 100
cellule epiteliali)
– Marsh 2: al precedente quadro si associa anche iperplasia criptica
– Marsh 3: c'è anche l'atrofia dei villi che può essere lieve, moderata e severa
– Marsh 4: insieme all'atrofia totale dei villi c'è anche l'ipoplasia delle cripte.

Al giorno d'oggi viene considerato certamente celiaco da parte dei clinici un Marsh 3 o Marsh 4; quando si è
davanti ad un Marsh 1 o 2, un clinico, sebbene in qualche modo questa cosa possa confortare il sospetto di
celiachia, non è una diagnosi di certezza: non è escluso che questo soggetto soffra in realtà di qualcos’altro
ancora da diagnosticare bene. Questo perché queste caratteristiche non sono specifiche, cioè questo
quadro di infiltrato interstiziale linfocitario o di linfociti T intraepiteliali si possono ossrevare anche in altre
patologie. Invece dal Marsh 3 in su il quadro è molto probabilmente una celiachia, già solo sulla base
dell’esame istologico.

EZIOPATOGENESI

Sapete che esiste la gliadina, che è un componente del glutine, che è presente nelle farine di frumento,
orzo, segale, e quindi molto presente nella nostra alimentazione. I soggetti celiaci sviluppano una sorta di
autoimmunità nei confronti della gliadina, sviluppano una risposta infiammatoria,una risposta immunitaria
che è sia fatta di un compartimento cellulo-mediato (linfociti T) si a immunomediato, con anticorpi in
circolo, che sono anche sfruttati oggi per la diagnosi (sebbene non abbiano né sensibilità né specificità al
100%), sia aumenta la secrezione di IgA mucosali. Questi soggetti sviluppano una risposta immunitaria che
va a danneggiare la mucosa normale del piccolo intestino, come dopo vedremo con maggiore dettaglio, e
per questo motivo non si rispetta più la fisiologia normale e avremmo un quadro di malassorbimento.
Peraltro, il danno autoimmune può non solo limitarsi alla sede dove è presente la gliadina, dove viene
assorbita, cioè a livello intestinale, ma può anche estendersi ad altri organi, in un quadro di forme
particolarmente gravi di celiachia, oppure il quadro in cui più forme di autoimmunità si presentano nella
stessa persona che, come abbiamo visto prima, è la complicanza più frequente.

Il glutine viene digerito da enzimi luminali e dell’orletto a spazzola a formare amminoacidi e peptidi, tra cui
l’α-gliadina. Alcuni di questi peptidi inducono le cellule epiteliali ad esprimere IL15 che a sua volta attiva i
CD8+ e li induce ad esprimere NKG2D. i linfociti diventano citotossici ed uccidono gli enterociti con MIC-A di
superficie. Il danno epiteliale fa sì che i peptidi gliadinici deamminati interagiscono con HLA-DQ2 o HLA-DQ8
e di essere presentate ai linfociti T CD4+. Questi linfociti producono citochine che provocano danno ai
tessuti e la caratteristica patologia della mucosa.

138
Importanti sono i fattori dell’ospite ed in particolare gli aplotipi HLA- DQ2 e HLA-DQ8. Sono stati riscontrati
anche pleomorfismi dei geni immunoregolatori e di quelli che determinano la polarità epiteliale.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Qual è il malassorbimento più frequente e simile alla celiachia?

È l’infezione. In effetti in quadro di celiachia sia dal punto di vista istologico, sia anche come sintomatologia,
molto spesso può andare in diagnosi differenziale con condizioni di infezioni, in particolare esistono
numerose patologie che possono portare al quadro clinico del malassorbimento – ecco perché non è una
patologia unica – e sono tantissime, quindi sia il clinico sia l’anatomopatologo debbono tener presente tutte
queste altre possibili patologie, in particolare la sprue tropicale, che si manifesta esattamente nello stesso
modo della celiachia, e quindi prima di arrivare alla diagnosi di celiachia sarebbe opportuno escludere tutte
queste altre possibili diagnosi che in effetti sono, per altri motivi, diagnosticabili o comunque meno
probabili.

Qua ci sono altri due esempi che vanno in diagnosi differenziale con la celiachia, cioè hanno lo stesso
quadro clinico. Uno è il quadro dell’infestazione da giardia, un parassita unicellulare che si adagia sulla
superficie dell’epitelio intestinale, è difficile da diagnosticare, se ne vedono pochi e tuttavia quando si ha la
possibilità di avere la diagnosi non è affatto facile, sicuramente il quadro clinico per quel paziente si può
risolvere con tutta un’altra terapia, quindi è un importante diagnosi differenziale da prendere in
considerazione, diagnosticabile solo con l’esame istologico. L’altro è il quadro, un po’ più raro, di
linfangectasia, che può essere primitiva o secondaria a terapia. Consiste nella dilatazione ectasica dei vasi
linfatici presenti nell’asse fibrovascolare del villo per cui di fatto si va a scompaginare la normale istologia e
fisiologia della mucosa duodenale.

Un’altra patologia che può andare in diagnosi differenziale con la celiachia è la iperplasia della ghiandole di
Brunner, sebbene sia piuttosto rara. Queste ghiandole si trovano nella sottomucosa del piccolo intestino e la
loro iperplasia può andare a comprimere, appunto, la mucosa rendendola di fatto fisiologicamente inattiva.

La linfocitosi intraepiteliale, cioè la presenza di linfociti nel complesso dell’epitelio, come abbiamo detto,
non aiuta troppo nella diagnosi perché non è specifica. Essa si può infatti vedere in tutte le condizioni
seguenti: immunodeficienze, virus, batteri.

COMPLICANZE

Complicanze frequenti della celiachia sono le malattie autoimmuni. è vero però che un paziente celiaco,
soprattutto se non trattato, può andare incontro allo

La complicanza tumorale più frequente di celiachia è rappresentata dai linfomi T. Circa il 5-10% dei casi di
celiachia può andare, nel corso della vita, soprattutto se non è clinicamente controllata, incontro ad un
linfoma T. sono possibili anche altre complicanze neoplastiche, più probabilmente nei casi in cui non viene
diagnosticata in tempo, non viene curata e di lunga data, e sono i linfomi B, i carcinomi associati. Poi ci sono
altre malattie, però di tipo infiammatorio, che possono essere associate. L’associazione con malattie
autoimmuni dipende da un ritardo diagnostico, perché se il danno autoimmune che sta nella celiachia si
perpetua, il soggetto sviluppa una forma di autoimmunità sempre crescente che inevitabilmente andrà ad
espandersi anche ad altri organi.

L’infertilità femminile è dovuta a celiachia latente in più del 3% dei casi. Cioè nell’infertilità di coppia circa il
50% dipende dalla donna e di questo 50% circa il 3% è dovuto alla condizione di celiachia latente.

Dom.: Perché in alcuni casi si manifesta in età pediatrica e in altri casi nell’adulto?
139
Dipende dalla penetranza delle patologie autoimmuni. Quando abbiamo di fronte una patologia
autoimmune penetrante, una vera e propria ipersensibilità con tutti i clismi (cioè l’HLA-DQ8 e tutto il resto)
allora abbiamo una penetranza molto forte, se però uno è sensibile però non ha l’HLA può avere
un’espressione molto più lenta, magari in età adulta o addirittura in altro tipo di organo. Perciò esistono le
potenziali, le latenti, che non vengono riconosciute ancora vene: non si sa se un soggetto che per caso si fa
la diagnosi bisogna metterlo a dieta o no se non ha mai avuto sintomi. Una protezione bisogna darla, magari
dire di non abusare. Ora c’è tutto un programma di screening sulla familiarità e stanno emergendo
moltissimo queste forme potenziale e queste forme latenti. È difficile che tra due fratelli di cui uno esprime
la malattia, l’altro non sia un potenziale.

MICI
In questa denominazione rientrano la colite ulcerosa ed il morbo di Crohn. Sono patologie che hanno un
andamento ondulante perchè nella loro fase di malattia alternano stati di benessere a stati di
riacutizzazione della malattia stessa.

Hanno un quadro clinico specifico che sottende a una displasia immunologica e ad una genetica
importante, sono stati scoperti 15 geni che controllano le malattie. Nonostante il decorso si diverso, le due
malattie hanno patogenesi in comune per alcune caratteristiche data la genetica simile.

Quando si va a studiare la patogenesi si parte innanzitutto dalle mutazioni comuni a Crohn e colite ulcerosa,
mutazioni del gene ECM1 che trasduce la proteina 1 nella matrice extracellulare che inibisce le
metalloproteinasi e in particolare la numero 9. Comuni ad entrambi le malattie sono la non inibizione del
film mucinico di superficie e l’aumentata permeabilità della mucosa con esposizione antigenica da parte di
alcuni agenti microbici diversi tra le due patologie.

Nel caso della colite ulcerosa è molto stimolata dall' e. coli, inibitore delle igA di sup creando in loop
antigenico su discrasia immunologica.

Quindi, si ha : permeabilità mucosa e discrasia immunologica. Questi due punti devono essere combinati
insieme per fare diagnosi di MICI, perchè ci sono molte patologie che presentano permeabilità come il
colon irritabile ma non c'è la discrasia immunologica.

La discrasia immunologica è di tipo Th1. Si ha induzione di interleuchina 23 che a sua volta stimola la
risposta Th17 con induzione dei macrofagi a erodere la mucosa.

C'è una ricombinazione di geni che possono essere scatenanti o protettivi. Mentre nella colite ulcerosa nel
siero troviamo gli anti-ANCA, nel Crohn troviamo gli anti-ASCA.

Quindi la ricombinazione della genetica determina lo stato di malattia, il processo infiammatorio si sviluppa
come contatto antigenico acuto ripetuto nel tempo come la colite, nel Crohn invece non si ferma l'ascesso
critico ad effetto step by step cellulo mediata.

Grazie agli interventi terapeutici con immunomodulatori anche con anti-TNF α si ha un miglioramento della
malattia ma maggiore insorgenza di cancro. La penetranza dei geni è diversa in base alle diverse zone del
mondo.

140
Si cerca di dare al paziente una vita normale, questo grazie all'anti TNF α. Tutto ciò serve a fare una
diagnosi di certezza di malattia per aumentare la remissione di malattia e di avere una vita socialmente
adeguata.

Il Crohn è invalidante e dà diritto alla pensione, riportare alla vita una persona è un successo della
medicina e si ottiene grazie agli anti-TNF α.

DIAGNOSI MORFOLOGICA

Lo screening endoscopico si basa su due criteri:

1) lesione acuta
2) lesione cronica.

Sono malattie croniche intestinali di un evento acuto protratto nel tempo. Nella lesione acuta si ha
erosione e ulcera con friabilità della mucosa; in quella cronica la scomparsa della rete basale, atrofia della
mucosa e scomparsa delle pliche. La diagnosi è facile quando tutte e due le cose coesistono perchè si trova
la triade di Botart per confermare il Crohn: dilatazione, mucosa acciottolata e stenosi. Con criteri
morfologici microscopici e di risonanza magnetica si ha la certezza della malattia.

Non si riesce a fare una diagnosi facile quando la lesione è troppo acuta poiché si manifesta anche in caso
di infezioni oppure quando è troppo cronico con un quadro simile ad altre patologie. Un morfologo non può
fare diagnosi se non è correlato alla descrizione clinica.

Alcuni paradigmi morfologici sono:

1) danno acuto:

 distruzione ghiandola
 criptite
 ascesso criprico
 congestione

2) danno cronico:

 morfologico l' endoscopista vede piatto e vede la rete vasale che traspare, il patologo vede la
distorsione criptica perchè dopo l'ulcerazione la ghiandola rigenera ma non trova più la giusta
posizione e comincia a creare una nuova lamina basale ma non avendo spazio comincia a crescere
distorta in modo anomalo, cioè una “riparazione di un danno riparato”, la metaplasia che nel
Crohn è gastrica pilorica nella colite interessa il piccolo intestino con metaplasia di cellule di Paneth
che nel colon sono assenti, nel cronico si ricostruisce il tessuto intorno con infaimmazione e con
plasmacitosi basale nella colite, fibrosi abbondante nel Crohn e sulla biopsia si ricostruisce una
malattia cronica attiva.

Questa disposizione è diffusa nella colite ulcerosa e a salto nel cron perchè si alternano zone sane e
zone malate. Diffusione e salto non sono quadri macroscopici ma anche microscopici cioè cronici e
focali quindi abbiamo questa condizione che se mi trovo di fronte a metaplasia o infiammazione
non posso dire se è un Crohn o colite ulcerosa poiché posso solo dire che è una malattia cronica.

141
Nel Crohn il 40% presentano granuloma ma non è un paradigma morfologico,

TERAPIA E COMPLICANZE

Nella malattia infiammatoria attiva si parla di malattia sospetta, quindi si procede con antibiotici perchè
sicuramente ci sarà un'infezione da opportunisti che hanno scatenato una reazione antigenica, poi c'è il
mantenimento con l'autoimmunità per differenziare da patologie quali una colite emorragica oppure si
presenta un'espressione cronica che sono simili a molte malattie quali diverticolite, forme iatrogene,
atrofie da farmaci, colite da radiazioni per cui non si deve fare diagnosi differenziale. se si trova atrofia e
metaplasia, si può fare diagnosi con l'endoscopista ma solo il tempo può confermare la malattia.

Si procede con antinfiammatori e si aspetta. si devono evitare le complicanze quale il megacolon tossico
nella colite ulcerosa che ha un indice di riparazione ed apoptotico enorme, questa malattia si scompensa
nell'omeostasi cellulare ed occupando tutto il colon, esplode. Si avrà una paralisi del sistema simpatico
mimetico e legato al fattore pro infiammatorio e interleuchinico, a sost tossiche e a malattia da ristagno, in
questo caso il colon è bloccato con tutto il contenuto, inoltre non venendo riassorbita tutta l'acqua c'è un
gradiente osmotico e un gradiente mucinico che consentono un riassorbimento di acqua sempre più fitto
verso il retto...nel caso della colite, il segmento si dilata solo ma non si rimescola e non avviene il
riassorbimento anche perchè la malattia ha distrutto le ghiandole mucipare...quindi la scarica di acetilcolina
fa avvenire la scarica diarroica...il ristagno comporta il contatto con cancerogeni e quindi provoca displasia.

Complicanza del Crohn è precoce con fibrosi, paralisi transmurale ed occlusuione. Si può avere anche la
fistola e si interviene per comlicanza infaiammatoria. Spesso sfocia nel cancro

142
RENE
I reni, come tutti sappiamo, sono organi retro peritoneali, situati normalmente a livello della colonna
vertebrale tra T12 e L3. Hanno funzione di filtro. La loro irrorazione è caratteristica (con l’aorta dietro la
cava, l’arteria renale sinistra più lunga della destra).

EMBRIOLOGIA

Il rene origina da tre strutture embrionali: pronefro, mesonefro, metanefro. Il pronefro scompare alla fine
della quarta settimana. Il mesonefro regredisce alla fine del secondo mese,mentre il metanefro inizia il suo
sviluppo a partire dalla quinta settimana. Quest’ultimo è la componente principale perché dà origine al
blastema metanefritico. La gemma ureterica, che si sviluppa dal dotto mesonefrico come un’escrescenza,
dà origine per progressiva penetrazione nel blastema metanefritico ai tubuli collettori. Quindi, il blastema
darà la componente nefrotica e la gemma ureterica i tubuli collettori che costituiscono la parte esterna.
Queste strutture insieme vanno a costituire l’unità secretrice del rene.

A livello dell’estremità di questo tubulo collettore primitivo si formano aggregati cellulari detti vescicole
renali. Queste vescicole renali progressivamente si sviluppano e si allungano dando origine alla capsula di
Bowman. A mano a mano il tubulo primitivo che si è formato si allunga e va a congiungersi al tubulo
collettore. Lo sviluppo della porzione che origina dalla capsula di Bowman si allunga e dà origine nel suo
completo sviluppo da un lato, quello della capsula, al glomerulo; dall’altro al tubulo collettore di primo
ordine o prossimale, distale e in mezzo l’ansa di Henle.

L’estremità prossimale del nefrone è costituita dalla capsula di Bowman, mentre la distale si apre nei dotti
collettori. Il tubulo escretore assume un aspetto convoluto proprio perchè si allunga molto, in modo da
prolungare la permanenza dell’urina.

Nell’ambito di un’autopsia perinatale si osserva un rene francamente lobulato, mentre invece nell’adulto è
liscio, segno che lo sviluppo del parenchima renale continua dopo la nascita perdendo la componente
lobulata e assumendo l’aspetto liscio.

N.B.: la lobulazione scompare per aumento volumetrico dei nefroni, ma il loro numero resta lo stesso; è la
dimensione che varia!!!

ANOMALIE CONGENITE

 AGENESIA

Oggi si osservano per lo più agenesie compatibili con la vita, ovvero quelle monolaterali. Un’agenesia
renale completa bilaterale è ovviamente mortale, ma se è unilaterale non è significativa perché il rene
controlaterale assumerà in genere aspetto ipertrofico e vicarierà la funzione del rene mancante.

Lo sviluppo del blastema metanefritico è legato all’inserimento della gemma ureterica nel blastema
metanefritico; in caso ciò non avvenga, non c’è sviluppo del blastema. Pertanto l’agenesia è direttamente
legata alla degenerazione della gemma.

 APLASIA

143
Nell’aplasia renale manca il blastema. Mancano la parte corticale e parenchimale renale mentre l’uretere è
presente. Si è sviluppata la componente escretrice, ma non quella parenchimale. E’ una situazione opposta
rispetto a quella dell’agenesia.

 ECTOPIE

Quella più tipica è il rene ectopico nel bacino, più rara è l’ectopia del rene al di sopra del diaframma.
L’ectopia può essere connatale oppure può svilupparsi nel tempo per una meiopragia dei legamenti che
tengono in sede il rene. In questo caso si ha propriamente una ptosi, che si può chiamare anche ectopia
acquisita.

 RENE A FERRO DI CAVALLO

È una patologia compatibile con la vita. il più delle volte legata alla fusione dei poli inferiori bilateralmente e
comporta una dislocazione anomala dei vasi, con la conseguenza che invece di avere uno sviluppo rettilineo
possono avere uno sviluppo obliquo. Questi vasi, poiché battono a 60-70 pulsazioni al minuto sopra
all’uretere, possono causare in quel punto dopo anni di pulsazioni ispessimenti e restringimenti dell’uretere
stesso, accompaganti a dilatazioni cistiche, con riduzione del calibro (GIUNTOPATIE, rientrano nelle
patologie ostruttive).

ANATOMIA ed ISTOLOGIA

Il rene è rivestito come un cappuccio dalla ghiandola surrenale, è circondato dalla fascia di Gerota e
presenta una capsula fibrosa, che è liscia.

Quando la capsula si presenta apparentemente grinzosa siamo nell’ambito di una patologia cronica renale.
Non solo è liscia, ma se si prende con una pinza si scapsula del tutto, se invece è grinzosa il traumatismo
dell’asportazione con la pinza conduce a volte al far venir via anche frammenti di parenchima renale, il che
significa l’organo ha subito una fibrosi.

È avvolto dal grasso perirenale, importante per i tumori. Questo funge da cuscinetto perché l’organo può
subire traumi data la posizione retroperitoneale.

Il complesso costituito dall’arteria renale (ramo superiore, medio e inferiore), vena renale e uretere si
definisce peduncolo renale. L’uretere si trova al di dietro di queste formazioni vascolari e non è a cavallo di
esse (ricordiamo che se si ha anomalia di questa anatomia si può avere una giuntopatia)

Al taglio si distinguono una corticale, una midollare e una porzione escretrice. L’unità funzionale del rene è
il nefrone.

Dal punto di vista dell’Istologia il glomerulo è una struttura fondamentalmente vascolare, con una
componente epiteliale, una endoteliale e una mesangiale. Sono le tre strutture che ritroviamo nel
glomerulo.

Dalla capsula di Bowman, dalla sua porzione esterna originano i tubuli collettori, tubulo prossimale, ansa di
Henle, tubulo distale. I tubuli collettori si riuniscono aumentando di calibro e convergono verso l’uretere. Il
foglietto si continua formando un tubulo renale di circa 30-40mm perché molto contorto. L’epitelio della
porzione prossimale è di 8 e il lume è relativamente ristretto, mentre la porzione distale ha un lume con un
calibro nettamente maggiore e l’epitelio di rivestimento è più piccolo e più addossato alla parete. Il tubulo
distale va a raccogliersi nei tubuli collettori, che convergono verso l’uretere.

144
Ci sono 250 dotti collettori maggiori; ciascuno di questi convoglia l’urina proveniente da circa 4000 nefroni.

MALATTIE FUNZIONALI
Nelle malattie funzionali infiammatorie dobbiamo distinguere:

1) tre tipi di componenti cellulari

 epiteliale
 endoteliale
 mesangiale

2) due tipi di materiale extracellulare

 la membrana basale
 la matrice mesangiale.

In base alla componente coinvolta in maniera prevalente, possiamo avere

 malattie glomerulari (date da anticorpi e immunocomplessi)


 malattie tubulari (necrosi tubulare e agenti tossici, ad esempio il mercurio, ma anche alcuni
farmaci),
 malattie interstiziali (nefriti interstiziali, ad origine per lo più infettiva),
 malattie vascolari (arteriosclerosi,diabete mellito, aterosclerosi)
 malattie miste (le prevalenti,ad es. le glomerulopatie) .

GLOMERULONEFRITI
Innanzitutto nell’ambito delle glomerulonefriti esistono FORME PROLIFERATIVE e FORME MEMBRANOSE.

Le proliferative hanno una componente che coinvolge endotelio ed epitelio, mentre le membranose
interessano la matrice extracellulare.

GLOMERULONEFRITI PROLIFERATIVE: I glomeruli appariranno ipercellulari poichè c’è proliferazione delle


cellule mesangiali e/o endoteliali, accompagnate talvolta da infiltrato leucocitario e proliferazione delle
cellule epiteliali parietali (formazione semilune).

GLOMERULONEFRITI MEMBRANOSE: ispessimento della membrana basale, con deposizione di


immunocomplessi sul lato endoteliale o sul lato epiteliale o all’interno della membrana basale stessa, con
disposizione lineare o segmentaria.

L’esito di entrambe può essere una ialinizzazione, (che può essere associata o meno a sclerosi), con
accumulo delle proteine plasmatiche.

Si parla, spesso non del tutto correttamente, di GLOMERULOSCLEROSI, in quanto si ha aumento della
matrice glomerulare del mesangio, che si dice possa essere o meno accompagnata da sclerosi, anche se
nella maggioranza dei casi si ha sclerosi. La GLOMERULOFIBROSI ha una più spiccata componente di
collagene; è l’esito più frequente di molte patologie renali.

145
Infine distinguiamo forme primitive o secondarie. Le primitive sono limitate al rene e sono poche; le
secondarie sono la massa e sono conseguenza di malattie sistemiche come LES, malattie autoimmuni,
diabete, ipertensione.

Possono essere diffuse quando colpiscono più del 50% della componente glomerulare o focale quando
meno del 50%; possono essere globali e prendere l’intera matassa dei glomeruli o interessano solo alcuni
segmenti e sono dette segmentarie.

E’ evidente che il sito della reazione antigene-anticorpo è fondamentale nell’andamento della malattia,
poichè condiziona lo sviluppo di una reazione infiammatoria. Di fatti, si parla di sindrome nefritica quando
la sede è sub-endoteliale e mesangiale, con una evidente risposta infiammatoria; se invece l’infiammazione
è in sede sub-epiteliale, con quota infiammatoria scarsa, si tratta di sindrome nefrosica.

- BIOPSIA RENALE

oggi l’uso della biopsia renale si sta significativamente riducendo rispetto al passato poichè comporta rischi;
il rene è un organo estremamente delicato, anche più del fegato, pertanto c’è il rischio di emorragie.
Spesso c’è un tale corredo di esami che non è effettivamente necessario fare una biopsia.

Si ha, in particolare, una MICROSCOPIA OTTICA, che include colorazioni come il RETICOLO, il ROSSO SIRIO
ed il PAS; in altri casi è necessaria la MICROSCOPIA ELETTRONICA, per localizzare con precisione gli
immunocomplessi e la loro precisa colorazione; l’IMMUNOFLUORESCENZA, anche IF con
IMMUNOISTOCHIMICA, per identificare le immunoglobuline e i fattori del complemento.

- GN ACUTA PROLIFERATIVA

Quindi, in una glomerulopatia (GN acuta) proliferativa vediamo un glomerulo ipercellulare, con
proliferazione di cellule epiteliali e mesangiali, con un eccesso di nuclei, ed è frequentemente osservabile
nei bambini dopo infezione streptococcica. Ci sono depositi PAS positivi, segno della precipitazione degli
immunocomplessi a livello sub-endoteliale e della membrana basale. Alla ME si nota l’ispessimento della
membrana basale.all’IF vediamo depositi segmentari.

- GN MEMBRANOSE
Le GN membrano-proliferative sono legate a lesioni della membrana basale; il glomerulo apparirà
addirittura ipocellulare, ma le membrane basali sono nettamente ispessite, se non addirittura sclerotiche.

- NEFROPATIA IgA

Ci possono essere nefropatie da depositi di IgA. All’immunofluorescenza, le IgA si trovano nel mesangio, e
l’entità delle alterazioni è correlata al grado di compromissione del parenchima renale.

- GLOMERULOPATIA DIABETICA

La glomerulopatia diabetica è piuttosto frequente, bilaterale, con ialinosi e poi sclerosi. Si ha ispessimento
da deposito di materiale rosa a livello delle anse, che quasi obliterano il lume, e restringimento del lume dei
capillari, per ispessimento della membrana basale: ciò comporta deficit di perfusione, induce fibrosi, tanto
da comportare la malattia di Kimmelstiel-Wilson, con ialinosi focale, poi glomerulosclerosi, prima focale e
poi diffusa, con conseguente insufficienza renale. Si ha un progressivo incremento della matrice, glomeruli
sempre più ricchi di cellule, ma soprattutto fibrosi, con formazione dei caratteristici noduli di Kimmelstiel-

146
Wilson, infine scleroialinosi diffuso, tant’è che il rene si riduce a un nodulo sclerotico-ialino irriconoscibile
dal punto di vista morfologico. Nel diabete, sfortunatamente, sono colpiti sia vasi afferenti che efferenti; al
contrario, nelle nefropatie glomerulonefritiche è interessato solo il vaso afferente.

MALATTIA CISTICA

- RENE POLICISTICO
È una malattia autosomica dominante (talvolta si riscontra anche una forma autosomica recessva). I reni
divengono enormi, possono arrivare ad occupare l’intero addome. Il problema fondamentale non è
l’insufficienza renale, poichè i glomeruli residui tendono a funzionare, ma la dislocazione anomala del
parenchima renale, tant’è che al momento dell’operazione (che si rende necessaria per sopraggiunta
insufficienza, con urgenza di trapianto, oppure perchè la massa è divenuta enorme) può succedere che il
volume occupato comporti un esito infausto, con stiramenti del peduncolo vascolare e necrosi del rene
contro laterale.

Oggi chi ha una malattia policistica renale, che non è incompatibile con la vita, può vivere anche per un
lungo periodo, soprattutto se si fa un trattamento il più possibile precoce.

- RENE A SPUGNA
È una malattia congenita, è data dalla dilatazione cistica dei dotti collettori, generalmente asintomatica,
bilaterale. Sulla superficie ci sono numerosissime cisti di 10mm all’apice delle papille coinvolte. Essendo
asintomatiche queste possono esser identificate a livello ecografico anche durante la vita connatale.

- DISPASIA RENALE

È un’anomala differenziazione del blastema meta nefritico. Può associarsi ad alterazioni della gemma
ureterica. Abbiamo tubuli primitivi rivestiti da epitelio colonnare, aree di cartilagine metaplastica, glomeruli
immaturi e cisti multiple a parete fibrosa.

RICORDA: L’origine embriologica del parenchima renale prevede la presenza di aree di mesoderma; quindi
a livello renale si possono differenziare aree mesenchimali.

- CISTI RENALI
Si dividono in cisti semplici o quella che è la malattia cistica iatrogena che insorge dopo trattamento (post-
dialisi).

Le cisti sono traslucide, permettono di vedere il contenuto all’interno, che è giallo pallido, sono rivestite da
epitelio cubico piatto o anche cilindrico. In genere sono corticali. Possono esser singole o multiple.

Quelle semplici sono meno importanti, sono acquisite. Possono dare complicanze:

 i vasi al loro interno possono andare incontro a rottura. Nel dare un quadro emorragico avremo un
improvviso, marcato aumento di volume di questo rene e distensione della capsula renale, il che
può comportare la necessità di un intervento d’urgenza, per il dolore.
 Altra complicanza è chiaramente la rottura per un trauma o altra causa, con peritonite reattiva.

NEFRITI INTERSTIZIALI
147
Vi sono le malattie tubulo-interstiziali. Può essere:

 Acuta
 Cronica
 Xantogranulomatosa
 uropatia ostruttiva
 tubercolare

Ci possono essere forme con prevalente danno tubulare, quelle non legate a patologia infettiva e quelle
legate a patologia infettiva. A volte quelle che non sono legate a patologie infettive diventano poi di natura
tipicamente infettiva.

La via attraverso cui questi batteri potevano giungere nell’era pre-antibiotica era quella ematogene in caso
di sepsi (setticemie che davano un rene a spugna di pus). Oggi prevale la via ascendente, con reflusso
transvescicale, transureterale, vescicouretrale, intrarenale. Sono tutte condizioni in cui si ha stasi a livello
del sistema escretore. Tipica è la calcolosi, perchè causa irritazione del sistema escretore e stasi.

Ci sono condizioni come la gravidanza (nefrite gravidica) in cui le dimensioni dell’utero, soprattutto in fase
più avanzata (sesto mese), sono tali che esso può appoggiarsi sull’uretere e può determinare un ostacolo
fisico: uropatia ostruttiva. È considerata una nefrite parafisiologica.

- UROPATIA OSTRUTTIVA

Le uropatie ostruttive sono dovute a condizioni che causano ostacolo al deflusso.

Possono essere legate a cause intrinseche alle vie escretrici e cause estrinseche.

Le cause intrinseche possono essere:

 calcolosi
 malformazione o stenosi congenite dell’uretere che non si vede nella vita uterina
 inginocchiamento dell’uretere sul reticolo vascolare, il quale comporta che il lume si restringa
 anche il battito continuo causa ispessimento fibrotico della parete dell’uretere riducendo il calibro
 ci può essere stenosi all’ingresso dell’uretere in vescica
 ci può essere una dilatazione cistica degli ureteri sempre trans vescicale

le cause estrinseche sono:

 stenosi parziale per patologia prostatica o per quella che deriva dalla porzione terminale, saranno
mono o bilaterali le patologie prostatiche.
 Ci possono essere tumori che comprimono gli ureteri, ma è un’eventualità rara
 un tumore che colpisce la porzione prossimale dell’uretere come il tumore del retroperitoneo,
tumori addominali, GIST, sono possibili più frequentemente nell’uomo. Ad es. nella donna i
carcinomi della cervice uterina che abbiano infiltrato la parete e gli ureteri passano nei parametri;
ci può essere quindi una stenosi che restringa gli ureteri per questo tipo di tumore. Nell’uomo una
volta i carcinomi della prostata in fase avanzata possono essere dei responsabili, o anche quelli
della vescica.

- TUBERCOLOSI RENALE

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Nella tubercolosi si può avere una dislocazione bilaterale. il più delle volte è secondaria ad una miliare
tubercolare. Caratteristica è la tumefazione, uno degli aspetti è quello di un rene irregolare con le cicatrici
sulla superficie, potrebbe apparire come un rene post-pielonefritico, invece è una tubercolosi renale. C’è
una forma più grave, la ulcerocaseosa, la caratteristica è che si accumula questo materiale necrotico, ma
poiché si accompagna in genere a infiammazione e fibrosi della pelvi e degli ureteri con stenosi, si ha un
riassorbimento della componente acquosa della necrosi caseosa e della componente infiammatoria della
TBC, con accumulo di materiale detto “mastice dei vetrai” (la plastica morbida inserita nelle giunzioni per
fare le vetrate): RENE MASTICE.

La TBC renale è caratterizzata da necrosi caseosa bordata da una palizzata di elementi istiocitari, tra cui
cellule giganti.

Tra le patologie citate c’è una caratteristica pielonefrite, la xantogranulomatosa che va in diagnosi
differenziale morfologicamente con una TBC perché è una lesione granulomatosa, ma non ha la necrosi; e
macroscopicamente in diagnosi differenziale con un tumore di aspetto giallastro; la differenza sta nel fatto
che la pielonefrite xantogranulomatosa quando è diffusa colpisce il rene e allora non puoi fare diagnosi,
ma, se localizzata, è caratterizzata da un aspetto giallo, grigiastro, a volte emorragico, un’area renale che
simula un carcinoma a cellule chiare del rene, e queste possono essere confuse con le cellule istiocitarie
della pielonefrite xantogranulomatosa.

CALCOLI RENALI ed IDRONEFROSI


Poi c’è la malattia calcolotica che può essere di alto o basso grado e ovviamente causerà un difetto nel
passaggio che può anche non apparire stenotico, ma è ridotta la via d’afflusso. In genere i calcoli che si
mobilizzano sono molto piccoli, mentre quelli che non si mobilizzano li vediamo ecograficamente a livello
dei calici renali. La stenosi può essere improvvisa oppure instaurarsi lentamente, completa o parziale,
unilaterale o bilaterale. Si determinerà una dilatazione progressiva degli ureteri.

ESPERIMENTO DI GLODBLATT: Se si prende un animale da esperimento e con una pinza si chiude l’uretere,
(con una pinza l’uretere si chiude tutto), ho una stenosi completa e improvvisa. Che succede a monte della
stenosi? Ho una scarsa dilatazione, perchè la pressione che registra a monte non viene equilibrata nel
distretto a monte, ma va subito ad eguagliare la pressione di filtrazione glomerulare per cui si ha un blocco
della filtrazione glomerulare (insufficienza renale acuta).

Per avere IDRONEFROSI è necessario un blocco parziale e incompleto, quindi l’esperimento prima descritto
non vale per l’uropatia ostruttiva non si verifica proprio, perché in quest’ultimo caso nell’uretere o nella
pelvi, a livello della giunzione a monte prima si ha una ipertrofia della parete vascolare per cercare di
vincere l’ostruzione, e poi si ha dilatazione per questo sforzo, (dilatazione idronefrotica).

Quindi è più corretto dire che la stenosi se completa e improvvisa non dà un quadro idronefrotico (il quale
invece si presenta con ipertrofia e iperplasia della tonaca muscolare dell’uretere o della pelvi; la pressione
di filtrazione glomerulare non viene equiparata, si mantiene la filtrazione; si accumula liquido a monte
dell’ostruzione, con dilatazione della pelvi e dei calici, e ad atrofia progressiva del parenchima renale;
l’atrofia interessa i tubuli della corticale, gli apici delle piramidi, che si smussano fino a diventare incavati, il
rene si trasforma in una struttura cistica con atrofia parenchimale, assottigliamento della corticale e
obliterazione delle piramidi); mentre nel blocco parziale e incompleto, soprattutto se lentamente
instaurato, abbiamo che la velocità di filtrazione glomerulare può aumentare e consentire la secrezione di
urine perché così si verifica l’idronefrosi.

Spesso questi quadri di idronefrosi sono accompagnati da nefrite interstiziale perché la stasi nel distretto
renale e vescicale tende all’infiammazione; la stasi favorisce la fermentazione, quindi la produzione
batterica in eccesso che va a dare il danno infiammatorio tipico. Questa idronefrosi può essere più marcata
149
e comportare la presenza di calcoli a stampo. Da 5 a 10, colpisce gli uomini nella terza- quarta decade, è
unilaterale, la sede più frequente sono i calici. Per le litiasi ci sono oggi tecniche di litotrissia che sono volte
a favorire l’espulsione. Più dannosi a livello dei calici inferiori.

I calcoli a stampo sono dovuti al fatto che non sono stati secreti; non procura coliche ma dolore sordo.

Le complicanze dell’idronefrosi sono:

 L’infezione (pielonefrite) con virulentazione e questo è uno dei pochi casi in cui si può osservare
una idropionefrosi, si può vedere pus nei calici dilatati nel bacinetto con una sintomatologia grave,
febbre, che va combattuta con antibiotico terapia.
 L’altra complicanza che si può verificare, anche se oggi più rara: quando l’idronefrosi ha ridotto il
rene ad una sacca, (non l’insufficienza renale che si ha solo se l’idronefrosi è bilaterale, il che è
rarissimo), ma se abbiamo una dilatazione molto ampia, come nei palloni colmi d’acqua, questi si
rompono e si determina un quadro di ipertonicità. La rottura si accompagna a peritonite.

Dato che l’idronefrosi è subdola, si può presentare direttamente come pielonefrite acuta su idronefrosi, che
è peggiore, ma monolaterale; dal punto di vista funzionale i reni funzionano anche nella tubercolosi.

PATOLOGIA NEOPLASTICA

L’ultima classificazione valida è la WHO 2004; ne arriverà presto un’altra.

Esistono due tumori che si localizzano a livello renale ed hanno una chiara firma molecolare:

 uno di pura derivazione renale, il Ca da traslocazione Xp11 ;


 l’altro è il Sarcoma sinoviale,

I fattori di rischio per i tumori sono: fumo, obesità, ipertensione, terapia con estrogeni, esposizione ai
derivati del petrolio o all’asbesto ed ai metalli pesanti.

La maggior parte dei tumori sono sporadici. Esiste un’associazione (nel 4% delle neoplasie) con la malattia
di Von Hippel Lindau, con il cosiddetto gene VHL, implicato nello sviluppo del ca sporadico e familiare.

Sono state trovate mutazioni del protooncogene MET nel ca papillare ereditario, rarissime forme di tumore
del rene multinodulare.

Dobbiamo distinguere una patologia neoplastica infantile (maligna) da una adulta (maligna e benigna). I
tumori dell’adulto derivano dal parenchima renale.

Dobbiamo distinguere se è epiteliale o mesenchimale del rene, oppure misto. Un lipoma puro del rene si
può trovare, idem un fibroma puro, idem un leiomioma, o un leiomiosarcoma, ma non sono diversi da
quelli che troviamo in altre sedi, quindi nell’ambito dei tumori mesenchimali del rene possiamo avere
anche i secondari.

TUMORI INFANTILI

I tumori infantili sono di cinque istotipi:

 il nefroblastoma, che ne rappresenta l’85-90% (tumore di Wilms)


 il nefroma mesoblastico, 5% benigno
150
 il clear cells sarcoma, 4%
 il tumore rabdoide, 2%
 altri, rari ma maligni.

Il tumore di Wilms è caratteristicamente associato con condizioni e sintomi che spaziano dalla sindrome di
Beckwith- Wiedemann, alla trisomia 18 o alla neurofibromatosi, o alla sindrome di Summit. Come spesso
succede nei tumori infantili congeniti, vedi il neuroblastoma, il medulloblastoma, il retinoblastoma, hanno
un carattere prevalentemente sindromico. Il tumore di Wilms può esser diagnosticato nella vita
intrauterina o colpisce i bambini piccoli fino a 4-5-6 anni. Si manifesta come una massa bianco-biancastra
con aree cistico-emorragiche che occupa e distrugge l’intero parenchima renale; può raggiungere enormi
dimensioni, è caratterizzato da proliferazione mesenchimale o aspetto mesenchimale maligno, con mitosi
atipiche di tutti i generi molto sviluppate, con tendenza a formare tubuli e glomeruli abortivi (soprattutto
tubuli).

TUMORI DELL’ADULTO
Distinguiamo quelli della corticale e quelli della midollare.

Tra i tumori della corticale abbiamo che il 20% è benigno, 25% è costituito dalle forme papillari, cromofobe
e dei dotti collettori ed il 55% è dato dai tumori a cellule chiare (carcinoma di Gratz).

Il carcinoma renale a cellule chiare (ipernefroma) è detto il Grande Mimo della Medicina. La triade
sintomatologica tipica è data da dolore al fianco, massa renale, macroematuria; questa sintomatologia è
però presente in meno del 15% dei pazienti e quindi ha scarso valore in termini di diagnosi precoce. Il
tumore è generalmente scoperto occasionalmente). Spesso un Ca a cellule renali è rivelato da una
metastasi. Sedi classiche di metastasi possono essere: polmoni (metastasi attesa, dalla cava al cuore dx al
polmone); fegato, organo grande; ossa perché è un distretto diffuso. Le sedi più rare ma talvolta bizzarre
rilevate da una casistica autoptica sono: cute (rare), tiroide, cuore, tessuti molli, rene controlaterale, cavo
orale, milza, pancreas, ovaio. In quest’ultimo caso si potrebbe formulare una diagnosi errata di tumore
dell’ilo ovarico a cellule corticosteroidee, che sono cellule chiare come quelle del Ca a cellule renali.

TUMORI BENIGNI

 ADENOMA PAPILLARE

Il principale tumore epiteliale benigno della corticale è l’Adenoma Papillare Renale. Alcuni lo ritengono il
precursore morfologico delle forme papillari del Ca a cellule renali.

È caratterizzato da architettura papillare o tubulo-papillare. Le dimensioni non devono superare i 5mm di


diametro. Il riscontro è autoptico o segue all’asportazione per altri motivi, es. idronefrosi spiccata, calcolosi
renale, pielonefrite cronica. È una lesione corticale ben circoscritta, gialla o bianco- grigiastro.

 ONCOCITOMA

Altro tumore benigno (classificato come tale solo ultimamente) è l’Oncocitoma a Cellule Renali.

È a cellule ossifile con citoplasma rosa e nucleo regolare, ben definito; non c’è inversione del rapporto
nucleo/citoplasma.

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Si presenta di solito in regione mediorenale e non in quella capsulare, salvo eccezioni. Ha una caratteristica,
ma non in più del 50% dei casi, cicatrice centrale. Ha un colore mattone ed è molto ben circoscritto e
capsulato.

Ha comportamento benigno, quindi può essere asportato con una piccola escissione e darà guarigione
completa.

A livello delle ghiandole salivari si può avere classicamente un’altra tipica trasfromazione oncocitica.

 ADENOMA METANEFRICO E ADENOFIBROMA METANEFRICO

Fra i tumori rari benigni epiteliali rientra uno grande biancastro caratteristicamente, (ricorda un fibroma
ovarico) che è detto Adenoma Metanefrico o Adenofibroma metanefrico, (la differenza sta nella quantità di
tessuto fibroso).

Sono presenti piccoli tubuli con cellule scure, senza atipie, con una componente interstiziale poco
significativa. La lesione è circoscritta; non capsulata. Possono subire fenomeni di degenerazione cistica.

 TUMORI MESENCHIMALI BENIGNI

Caratteristico è l’angiomiolipoma, che può raggiungere notevoli dimensioni. È costituito da tessuto adiposo,
tessuto vascolare, con aree cistiche ed emorragiche; ha una componente di cellule intermedie, intercalate
che possono avere aspetto simil- epiteliale o istiocito- simile; sono positive all’HMB45, marcatore classico
del melanoma.

Ne esiste una forma sporadica e una associata alla sclerosi tuberosa (patologia che rientra nel capitolo delle
displasie neuroectodermiche, quella che forma tuberi o patate sulla corteccia cerebrale e sulla componente
gliale). Le dimensioni di un angiomiolipoma sono variabili, possono esser molto piccoli e allora li si lascia in
sede; possono esser molto grandi e allora li si asporta. Può essere anche bilaterale.

TUMORI MALIGNI

 CARCINOMA A CELLULE CHIARE


Il Ca a cellule renali è caratterizzato spesso dalla presenza di una capsula o apparente capsula con
sfumature di colori in cui il giallo ocra è predominante, ma possono esserci anche aree grigiastre o aree
emorragiche. L’architettura è solida, ma possono esserci casi estremi con aspetti cistici.

Prima era detto ipernefroma perché si pensava originasse dalle cellule del surrene di colore giallo ocra e
invece è a cellule renali, chiare.

La citologia è caratterizzata da un certo pleomorfismo (nucleo grande, nucleo piccolo, nucleo intermedio;
nuclei talvolta ipercromici, talaltra no), ma non presenta tanta atipia nucleare e soprattutto ha abbondante
citoplasma rispetto al resto.

Può presentare una massa madre e poi delle masse figlie, le quali, anche se piccolissime, possono essere
fonti di ulteriori lesioni.

Il 98% dei Ca ha la mutazione del gene VHL che, se inattivato, può dare traslocazioni varie 3,6; 3,8; 3,11.

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 TUMORE A CELLULE RENALI PAPILLARI

È un altro tumore maligno, meno frequente del precedente.

Può essere friabile per presenza di aree di necrosi. È nodulare, spesso cistico. le dimensioni sono variabili,
costituiti da papille rivestite da questo epitelio non molto atipico, possono avere un pattern tubulare, molto
caratteristico è l’accumulo nell’interstizio di istiociti schiumosi.

L’adenoma papillare si può considerare precorritore del Carcinoma

C’è una forma sporadica e una forma familiare, distinguibile per precise anomalie genetiche e
cromosomiche. Oggi si distinguono una forma papillare tipo I e tipo II che si caratterizzano per
caratteristiche morfologiche e molecolari e soprattutto hanno una prognosi diversa; in genere le forma di
Ca non papillare hanno prognosi non buona.

 TUMORE A CELLULE RENALI CROMOFOBE

Il Tumore a cellule renali cromofobo è una massa voluminosa ben circoscritta, talora lobulata, che può
avere un po’ di scarring (cicatrice) centrale. È medio renale. È di colore mattone, ha un aspetto lobulato e
macroscopicamente è un tumore che può confondersi con l’oncocitoma.

È a cellule rose, eosinofile, quindi una quota di questi prima veniva inserita tra gli oncocitomi; si diceva fino
a non molto tempo fa: gli oncocitomi vanno tutti bene tranne qualcuno, non erano gli oncocitomi che
andavano male, erano i carcinomi. Oggi c’è una diagnosi immunoistochimica che rende per fortuna agevole
la discriminazione.

 TUMORI DEI DOTTI COLLETTORI


Tumore raro, in parte cattivi, in parte meno.

Si ha una massa bianco-giallastra, che filtra nel grasso perirenale; i margini sono sfumati.

In genere la dislocazione è verso l’ilo, nella midollare, a differenza degli altri che si sviluppano a livello della
corticale.

Ha strutture tubulari; a volte si manifestano con interessamento ilare, ma sono di origine renale, possono
avere questo aspetto pseudo-ghiandolare con cellule a chiodo di scarpone. Sono cellule con nucleo atipico
ipertrofico, che sporgono in superficie nei tubuli irregolari.

Nell’ambito dei Ca dei Dotti Collettori esistono due varianti, una di basso grado, quello che prende il nome
di Ca tubulare mucinoso a cellule fusate con prognosi migliore; l’altra è quella dei Ca dei dotti collettori di
alto grado, un tempo detto Ca midollare renale e che ha prognosi cattiva; non presenta differenziazione.
Colpisce i giovani al di sotto dei 30 anni, nel 50% dei casi si presenta già con metastasi locali, è infausto,
porta frequentemente a morte; colpisce di norma non solo chi è affetto da anemia falciforme, ma anche chi
ha malattie ematologiche dei globuli rossi. Purtroppo chi ha anemia falciforme o malattie ematologiche può
avere un Ca midollare renale.

 CARCINOMA RENALE MULTILOCULARE

Questo tumore va in diagnosi differenziale con la cisti renale.

153
All’ecografia si presenta come lesione multicistica, non interessante tutto il rene, ma solo di parte di esso.

L’aspetto più frequente è quello misto con qualche nodulo giallastro (nidi solidi occupanti meno del 10%) e
la diagnosi non è facile, ma esistono aree cistico- emorragiche che possono esser confuse con quella che si
chiama area di idronefrosi localizzata o con una cisti renale semplice, quelle multilobulate possono indurre
in dubbio, quindi è una variante subdola.

Le cellule chiare sono effettivamente molto poche, presenti nello spessore dei setti biancastri.

Entra in diagnosi differenziale anche con il Nefroma Cistico, un tumore cistico, sia del bambino che
dell’adulto. È costituito da cisti di varie dimensioni, epitelio estremamente piatto e contenuto sieroso. È
una lesione molto rara. Oggi quando ci si trova una cisti si fa fare una CK7 propria dell’epitelio o il CD10
proprio per operare una distinzione.

 CARCINOMA SARCOMATOIDE

È di origine mesenchimale; uguale ai carcinomi sarcomatoidi che insorgono in altre sedi; aggressivo, non
sembra un tumore epiteliale. Ci può esser pleomorfismo, cellule giganti similosteoclastiche, cellule fusate;
numerose mitosi; ci sono anche aree di osso e cartilagine.

Una differenziazione miosarcomatosa, è a prognosi infausta.

STADIAZIONE E TRATTAMENTO
Oggi si sostiene ci sia stato un aumento dell’incidenza del Ca a cellule renali, in realtà è un incremento
relativo; il problema è che facendo l’ecografia troviamo neoplasie a livello renale, definite piccole masse
renali incidentali. Trovare piccole masse è un buon segno.

Classificazione del ’97

Se il tumore è limitato al rene, T1a fino a 4cm, T1b tra 4 e 7cm. Fino a 7cm il tumore ha una prognosi più o
meno favorevole. 7cm deformano la silhouette del rene in modo radicale. Quindi la dimensione è una
componente chiave insieme all’invasione vascolare fino alla vena renale o in casi rari dalla renale alla cava,
all’atrio.

In uno studio furono esaminate 2770 masse renali. Su queste il 12,8% erano benigne , ad esempio
angiomiolipoma, adenomi. Se però si esegue una stratificazione in rapporto alle dimensioni della massa, si
ha il 25% per i tumori <3cm, il che ci dice che una massa renale con diametro pari o uguale a 3cm ha una
possibilità su quattro di essere benigno, un oncocitoma. Se addirittura esaminiamo masse <2cm, questa
incidenza sale al 30%; il 44% per masse >1cm. Questo è importante per definire il tipo di approccio, che
può essere conservativo (non si fa la nefrectomia; per piccole masse renali in soggetti anziani con un’altra
malattia rara di accompagnamento, oppure in pazienti con un solo rene perché l’altro non è più funzionale
(ad esempio per idronefrosi o per infiammazione), o in pazienti che hanno già insufficienza renale o solo
parzialmente compensati, è stato proposta una sorveglianza attiva, in casi selezionati, per masse inferiori ai
3cm e che crescano con un incremento inferiore a 0,28cm all’anno. Quindi a questi pazienti si monitora la
crescita ogni 6 mesi. Si tratta di management conservativo.

L’asportazione di lesioni periferiche (generalmente localizzate ai poli, quindi superficiali) è parziale,


resezione parziale, la nodulectomia invece della nefrectomia. La nodulectomia marcata con inchiostro di
china verde per valutare eventuali infiltrazioni, specie nella porzione rivolta verso il grasso, perché è
fondamentale che il tumore non abbia, a parte i vasi, infiltrato e superato la capsula e invaso il grasso.

154
Valutiamo anche, inoltre, sempre con la china, il margine chirurgico che consente di dire se è stato tolto
tutto il tumore se si trova parenchima indenne.

Un altro approccio al rene è la biopsia renale, si può fare un agoaspirato. Che cosa comporta? su piccoli
frammenti non è sempre facile fare una diagnosi; per es. quando si tratta di un oncocitoma, l’
immunoistochimica mostra che la Citocheratina (CK)7 è francamente negativa nell’oncocitoma, ma positiva
nel resto del parenchima; invece è fortemente positiva nel Ca cromofobo e la diagnosi differenziale è
quindi possibile. Non si eseguono però molte biopsie.

I fattori che influenzano la prognosi sono:

 l’istotipo (con malignità decrescente: 1) Ca sarcomatoide, più aggressivo; 2) Ca di alto grado dei
dotti collettori, detto anche midollare; 3) Ca a cellule chiare; 4) Ca papillare; 5) Ca cromofobo);
 il grading (si applica nel Ca a cellule chiare e nel papillare, negli altri si fa una distinzione nell’ambito
del Ca dei dotti collettori a seconda della differenziazione midollare o tubulare);
 lo staging (dimensioni della massa,se ancora limitata al rene, se ha già infiltrato.)

155
VESCICA
EMBRIOLOGIA

Durante il quarto mese di vita intrauterina si forma il seno


urogenitale primitivo, che ha rapporti con l’allantoide, e dalla
porzione pelvica origina la vescica. Pertanto l’origine della vescica
è endodermica. Tuttavia, succede anche che i dotti mesonefritici,
che danno origine agli abbozzi dell’uretere, si inoculino nella
parete posteriore della vescica. I dotti mesonefritici si uniscono e
formano il trigono vescicale: quindi si ha anche un’origine
mesodermica. Il rivestimento di questa porzione mesodermica
sarà poi sostituito da epitelio endodermico.

ANATOMIA

La posizione della vescica è diversa nel maschio e nella femmina. Nella donna ha rapporti stretti con l’utero
che poggia sulla parete superiore della vescica e l’uretra femminile ha un decorso più sottile ma meno
tortuoso che nel maschio dove l’uretra è circondata dalla prostata e per questo l’iperplasia prostatica da
problemi alla minzione. Nella donna invece la continuità con uretra ed orifizio vaginale può far si che
infezioni vaginali interessino per via retrograda l’uretra. L’epitelio vescicale è specializzato ed è
caratterizzato da cellule piatte in superfice dette “cellule a ombrello”, poi ci sono 4-5 strati di cellule
uroteliali non perfettamente allineate e poi c’è uno strato basale. L’epitelio è di tipo transizionale e cambia
il suo aspetto a seconda dello stato funzionale della vescica, sarà più piatto a vescica piena o più alto in
quelle contratte. L’epitelio di rivestimento ha delle gemme dette “Nidi di Von Brun” che sono costituite da
urotelio invaginato in strutture bozzi formi, hanno un aspetto florido e appaiono come indovate nel corion
e da queste può venire una patologia infiammatoria che è la cistite cistica in cui le ghiandole appaiono
dilatate. Nell’urotelio fisiologicamente si possono trovare delle variazioni:

 Nel trigono delle donne si può trovare un epitelio squamoso non cheratinizzante detto “vaginal type”
perché data l’origine embriologica assume le caratteristiche dell’epitelio vaginale. Non è patologico ma
endoscopicamente appare come un’area biancastra che può nascondere anche altro.
 Epitelio Colonico
 Epitelio Tubarico
 Epitelio endocervicale (il professore non lo considera fisiologico perché essendoci un epitelio
cheratinizzato vuol dire che qualcosa è successo)
 Epitelio endometriale

ANOMALIE CONGENITE
 DIVERTICOLI
I diverticoli congeniti sono dovuti ad un difetto di sviluppo della muscolatura o a stenosi congenita
dell’uretra nella vita neonatale che però si vedono poco. Quando sono molto piccoli sono asintomatici, ma
il diverticolo è sede di stasi e questo significa infezione. Oggi anche se raramente si vedono ancora
carcinomi che hanno origine nei diverticoli.

156
 ESTROFIA VESCICALE

La vera malformazione della vescica è l’estrofia vescicale (ved. Immagine) dovuta ad un


difetto di sviluppo della parete anteriore dell’addome e della vescica per cui si ha ernia
sulla superfice cutanea e a livello vescicale si possono avere adenocarcinomi, mancato
sviluppo della sinfisi pubica pertanto spesso si procede con l’interruzione volontaria
della gravidanza.

 ANOMALIE DELL’URACO

Altre anomalie compatibili con la vita sono quelle che interessano l’uraco che collega vescica all’allantoide,
e nell’adulto è un cordone fibroso che va dall’apice della vescica all’ombelico. Nella vita adulta questo può
rimanere aperto parzialmente o completamente e in questo caso si forma una fistola uraco-vescicale,
mentre se è stenotizzato si può avere la formazione di una cisti che in qualche caso può protundere sulla
superfice che dà origine al seno uracale e in questo caso c’è un maggiore rischio di insorgenza di
adenocarcinomi della vescica in quanto a livello uracale sono più frequenti gli adenocarcinomi.

PATOLOGIA INFIAMMATORIA
Le cistiti sono all’ordine del giorno. Si dividono in primitive e secondarie, acute e croniche.

Nelle forme acute la vescica ha una superfice rossa ed aspetto vellutato


perché di solito è contratta ed ha un aspetto papillomatoso, il corion è
edematoso, c’è un infiltrato flogistico acuto, generalmente costituito da
neutrofili, questa cistite può avere aspetti preoccupanti come
ulcerazione ed erosione dell’epitelio di rivestimento ed addirittura
interessamento della muscolare( poggiando l’urotelio su un corion
sottile e non essendoci la muscolaris mucosa) ed in questo caso è più
complessa la guarigione , si instaura quindi spesso un quadro cronico
con urotelio ispessito e metaplasia squamosa.

Nella cistite cronica abbiamo urotelio ispessito, metaplasia squamosa, infiltrato misto e lamina basale
sclerotica.

Un aumento delle cistiti è dato oggi da cause iatrogene, ad esempio terapie con farmaci antiblastici o
terapia con radiazioni quindi si parla di cistite da chemioterapici.

Tra le varianti di cistiti, prevalentemente croniche, abbiamo:

 la cistite follicolare in cui l’infiltrato linfoide si organizza in follicoli con centro germinativo e
mantello di piccoli linfociti e che dà macroscopicamente un aspetto bozzuto della mucosa,
 nel caso di trattamenti chemioterapici si può avere anche una cistite emorragica con quadro
nerastro che può andare da superfice della vescica fino al grasso perivescicale,
 la cistite eosinofila dove il connettivo sub-uroteliali contiene una quantità di eosinofili spaventosa.
 Una cistite caratteristica è indotta dalla malacoplachia, che è una cistite granulomatosa.
 Infine c’è la cistite interstiziale (ulcerativa o non) con la presenza di mastociti che dà un bruciore
incontenibile.

157
INFEZIONI

Infezioni batteriche sono date da Proteus, E.Coli, Klebsiella.Si possono avere anche infezioni virali, tra cui è
in aumento quella da HPV, che può dare coilocitosi e carcinomi anche a livello vescicale. Frequenti nei paesi
orientali sono le infezioni parassitarie in particolare da Schistosoma Haematobium, che è un verme che vive
nelle acque del Nilo e che causa una cistite con forte metaplasia squamosa che può progredire fino al
carcinoma squamoso. Inoltre si possono avere cistiti granulomatose scatenate da terapie oncologiche dal
batterio di Calmette e Guarin.

PATOLOGIA NEOPLASTICA
Più frequenti nei maschi e dopo i 60 anni. Tra i fattori di rischio abbiamo il fumo di sigaretta (rischio
aumentato da 2 a 4 volte), l’esposizione ai derivati dell’anilina ,che però è rarissimo oggi, lo Schistosoma
Haematobium ed anche i trasportatori di Diesel sono esposti ad un rischio aumentato. I segni ed i sintomi
sono gli stessi della cistite e cioè stranguria, disuria, ematuria, che però se è microscopica non si vede. E’ un
tumore pericoloso, infatti è al quarto posto per incidenza.

ITER DIAGNOSTICO
Si parte con l’ecografia e poi si procede con l’urografia o uro-TAC e la citologia urinaria che però va bene nel
caso di tumori molto aggressivi ma non nel caso di tumori di basso grado, ma la metodica principe è la
cistoscopia con biopsia. Le lesioni benigne hanno una base di impianto piccola e sono papillari. Adesso si
fanno le sezioni trans endoscopiche mentre quelle parziali non si fanno più.

CITOLOGIA URINARIA

Può essere di tipo spontaneo o di tipo meccanico(tramite brushing o washing).E’ ottima per il follow- up ed
è poco sensibile nel caso di neoplasie di basso grado. Un utile scopo della citologia con washing o brushing
è quello di fare un uretroscopia arrivando fino alla pelvi renale, in quanto con la biopsia è più complesso.

CLASSIFICAZIONE E MORFOLOGIA
Non è la regola, ma un’importante caratteristica è che passa da uno stato innocuo ad un molto aggressivo
con una serie di stadi intermedi. La classificazione dei tumori della vescica è stata abbastanza complessa nel
corso degli anni. Il 90 % dei tumori sono dell’urotelio e cioè transizionali. Una prima grossolana suddivisione
di questi è in neoplasie uroteliali infiltranti e non infiltranti. A questo 90% si contrappone una grande
varietà di tumori maligni alternativi (per esempio, in Egitto e Medio Oriente abbiamo i tumori correlati allo
Schistosoma) che però non supera il 10%. Le lesioni endoteliali sono distinte in forme papillari e piatte e
queste a loro volta possono essere invasive e non invasive (superficiali). Una buona percentuale sono
superficiali, ma l’80% dei tumori è soggetto a recidive (questa è un’importante caratteristiche dei tumori
vescicali), mentre il 20-30 % darà forme invasive. Ci sono state più di 8 classificazioni dei tumori della
vescica e molte di queste classificazioni consideravano il papilloma mentre altre non lo consideravano
perché partivano dal presupposto che anche un tumore di grado 0 è già un carcinoma. Le due classificazioni
oggi più accettate comprendono 4 gradi:

158
Rispetto alla precedente classificazione WHO del 1973, la classificazione più recente introduce la neoplasia
papillare uroteliale a basso grado di potenzialità maligna (PUNLMP) che istologicamente si caratterizza per
l’assenza di aspetti citologici di malignità mostrando cellule di aspetto normale ma con configurazione
papillifera. La classificazione WHO 2004, elimina il grado intermedio (G2) oggetto di controversie nella
precedente classificazione, e distingue esclusivamente in neoplasie a basso grado e neoplasie ad alto grado.
Se si ha un notevole ispessimento dell’epitelio di rivestimento si parla di carcinoma, altrimenti si parla di
lesioni di basso grado. Il papilloma è una lesione costituita da un asse fibrovascolare, ricoperto da epitelio
normale. Tutto ciò è valido per le forme papillari. Mentre per le lesioni piatte abbiamo la suddivisione in
invasive e non invasive che possono essere low grade e high grade e molte delle lesioni piatte non invasive
sono di alto grado.

PAPILLOMA UROTELIALE:E’ costituito da assi fibrovascolari ricoperti da


urotelio, indistinguibile da quello normale. E’ molto difficile distinguerlo con
la citologia.

PUNMLP: Urotelio ispessito, no atipie, no mitosi, architettura con papille


delicate e coese e cellule ad ombrello in superfice. Ha un’architettura più
complessa del papilloma.

Carcinoma uroteliale papillare : Aumentato numero di strati, atipie, attività


mitotica, nucleoli e nuclei irregolari e presenza di cellule ad ombrello.

La distinzione tra la PUNMLP e carcinoma uroteliale papillare è abbastanza complessa per questo sono
messe insieme, ovviamente risulta più facile quando l’attività mitotica è molto marcata. Nella stessa biopsia
si hanno diversi quadri morfologici per questo è bene studiarla tutta. Ci possono essere anche atipie indotte
da terapia che non sono neoplasia. Quindi le lesioni papillari si dividono in alto e basso grado che a loro
volta possono essere invasive e non invasive. Ci sono alcune metodiche che aiutano a fare diagnosi:

 Citocheratina 20 : positività a tutto spessore nei carcinomi in situ, nei carcinomi a basso potenziale,
al low grade e all’high grade.
 Ki67: Positivo lo strato basale e parabasale.

INVASIONE

La tappa successiva di tutte le lesioni è l’invasione. Nel caso della microinvasione


(invasione fino al connettivo suburoteliale) è molto utile fare un trattamento
endovescicale.Nelle forme muscolo invasive bisogna procedere con una resezione
parziale o totale della vescica che è un intervento fortemente invalidante. Proprio
per quella che viene chiamata la plasticità della mucosa vescicale abbiamo che un
carcinoma può assumere un aspetto a signet ring cells. Gli adenocarcinomi invece
sono frequenti nel sacco uracale.

STAGING

Non si fa per le lesioni in situ (TIS) e queste lesioni possono essere sia piatte che papillari. Dopodiché va
considerata l’estensione e quindi si hanno lesioni che infiltrano solo il connettivo suburoteliale, lesioni che
infiltrano solo la parte superficiale della muscolare, lesioni che infiltrano anche la parte profonda della
mucosa e infine lesioni che arrivano fino al grasso vescicale e man mano che aumenta l’infiltrazione
aumenta anche la mortalità.

159
APPARATO GENITALE FEMMINILE

UTERO
Questa immagine è la rappresentazione dell’utero del primo secolo d.C.
della scuola alessandrina e come si può vedere corrisponde perfettamente a
come viene rappresentato oggi. Lo immaginavano con un fondo, una base
grande poi un collo che corrisponde a quella che noi chiamiamo cervice, che
va dall’orifizio uterino esterno a quello interno e poi ai lati mettevano il
corno uterino di sinistra e di destra. L’unica diversa concezione è che oltre a
considerarlo un organo riproduttivo lo consideravano anche un organo
respiratorio, facevano infatti un paragone con l’apparato respiratorio per la
comune apertura verso l’esterno.

Per capire il patologico bisogna sapere il normale, per questo ricordiamo qualcosa. La posizione dell’utero è
antiverso flesso in avanti e questo già ci dice una cosa e cioè che per fare la prevenzione dei carcinomi della
cervice basta avere uno striscio che si può ottenere arrivando abbastanza facilmente con uno strumento
che sia un raschietto od una spazzolina, mentre nell’endometrio entrare è un po’ un problema perché per
entrare bisogna fare la deviazione. Ecco perché non c’è in sistema di screening dei carcinomi
dell’endometrio: manca un metodo semplice, economico ed ambulatoriale per entrare.

L’utero misura 7x4x2 ed è piriforme. Nella gravidanza c’è un aumento di dimensioni ed una deformazione
della porzione che sporge nella vagina che si allarga e si chiama “Muso di tinca” ,l’orifizio normale infatti è
stretto e cilindrico ma dopo la gravidanza ed il parto si allarga e questo favorisce lo scivolamento della
mucosa endocervicale a livello vulvare cioè si ha un ectropion (l'anomala presenza di mucosa ghiandolare
intracervicale, nell'area della portio vaginalis ,la porzione del collo dell'utero che sporge in vagina) e quindi
è più facile che si abbiano fenomeni fisici, chimici, variazioni di pH innescando una condizione
parafisiologica di metaplasia a livello della giunzione squamo-colonnare.

L’utero è collegato all’esterno attraverso la vagina ed all’interno continua con il canale cervicale.
Distinguiamo un corpo dell’utero, l’istmo della cavità uterina,le pareti del collo dell’utero che continuano
con le tube. Questo ci dice una cosa: a livello dell’apparato genitale femminile ed anche nel peritoneo si
può avere la trasmissione di corpi estranei dall’esterno. Un esempio è il talco dei guanti monouso utilizzati
per le visite ginecologiche che arriva a livello del peritoneo o sulla superficie della tuba e per fortuna è
innocuo, ma possono anche migrare batteri quali gli Actinomices che sono saprofiti della cervice. Se si
160
mette la spirale (sistema contraccettivo meccanico), questa fa pressione in alcuni casi sulla mucosa,
determinando un’atrofia o una necrosi e gli Actinomices essendo degli anaerobi in presenza di necrosi si
attivano e migrano, vanno nelle tube arrivando nel peritoneo e si ha un actinomicosi genitale tubo-
ovarica. Questa situazione si aveva anche in passato a livello del cavo orale dopo estrazioni dentarie e a
livello pleuro-polmonare.

ENODMETRIO

STRUTTURA ISTOLOGICA
La cervice ha un epitelio cilindrico mucosecernente che mediante la giunzione squamo-colonnare si unisce
a quello squamoso dell’esocervice. Tutto ciò che sta al di sotto dell’orifizio uterino interno subisce delle
modificazioni legate al ciclo che sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle che si verficano a livello
dell’endometrio; quest’ultimo infatti, nelle donne dai 13 ai 50 anni, va incontro a sfaldamento e questo
significa che le infezioni endometriali si hanno solo nel puerperio (sia perché l’endometrio non sfalda e sia
perché si può avere una deiscenza della placenta incompleta e possono restare dei cotiledoni che vanno
incontro a necrosi e causano infezioni), nel pre-menarca e nella menopausa( Piometra delle donne
anziane), appunto perché durante la vita fertile l’infezione non ha il tempo di attecchire per il periodico
sfaldamento. Quindi il fisiologico sfaldamento della mucosa endometriale dal menarca alla menopausa di
fatto rende le infezioni endometriali acute rare. Ovviamente ci possono essere eccezioni come endometriti
subdole croniche che possono causare infertilità. La mucosa endometriale è costituita da stroma e
ghiandole particolari che vanno incontro a modificazioni mensili nel corso dell’età fertile. La mucosa
endometriale responsiva è quella del fondo e delle pareti laterali mentre quella vicina all’orifizio uterino
interno va incontro a modificazioni ciclo-indotte meno evidenti quindi una biopsia utile per avere
informazioni deve essere fatta a livello del fondo. Il numero di campioni dell’ostetricia e della ginecologia
che arrivavano all’anatomia patologica cinquanta anni fa era molto elevato, questo poi con il tempo si è
mitigato per riprendere dagli anni 2000 perché è nata la isteroscopia che ha permesso di visualizzare l’utero
e poi anche di fare le biopsie ed oggi si possono fare addirittura anche interventi terapeutici.

161
TIPI DI CAMPIONI

Nell’approccio alla patologia dell’endometrio possiamo avere 2 tipi di campioni:

 Curettage o Raschiamento che ha lo scopo di prendere materiale da tutta la cavità endometriale, si


dilata l’utero e si usano una sorta di cucchiai piccoli con misuratori in maniera tale da non creare
rotture di parete.
 Biopsia che si fa sotto controllo isteroscopico.

Con il raschiamento ho molto materiale quindi è una metodica sia diagnostica che terapeutica mentre la
biopsia è solo diagnostica, anche se oggi ci sono bravi isteroscopisti che sono in grado di fare anche
trattamenti.

Una biopsia di norma si fa in caso di sanguinamento anomalo, le cause di ciò sono moltissime e nell’arco
della vita fertile di una donna c’è almeno una metrorraggia. Quando si vede una biopsia bisogna avere delle
informazioni: età della donna, momento del ciclo in cui ha fatto il prelievo ,ciclo normale o no, se fa terapia
ormonale, quadro istologico, informazioni queste che però spesso mancano. Il campione deve essere
processato dopo fissazione.

FASI DEL CICLO


L’endometrio è costituito da una quota ghiandolare e da una di stroma e subisce modificazioni cicliche,
durante la vita fertile, legate alla stimolazione ormonale e queste modificazioni sono fondamentali per la
datazione dell’endometrio. L’endometrio è quindi una mucosa funzionale che in quanto tale si modifica
sotto l’influenza ormonale e nell’arco dei 28 giorni costituisce un ciclo.

Il primo giorno corrisponde all’inizio del ciclo. La prima fase dura in media 4-5 giorni e corrisponde allo
sfaldamento e al sanguinamento. Poi ricomincia la crescita delle componenti stromale, vascolare e
ghiandolare dal fondo ed incomincia la maturazione del follicolo che si svolge sotto l’attività degli estrogeni
e quindi dal 1° al 14° giorno(definito “giorno dell’ovulazione) si ha la “fase proliferativa” ,detta anche
“follicolare” o “estrogenica”. In questa fase, dai cul di sacco ghiandolari che sono rimasti nella fase
mestruale, comincia sotto influenza degli estrogeni, a crescere la componente ghiandolare ,sotto forma di
ghiandole piccole, sottili, con epitelio di rivestimento alto e pseudo stratificato senza secreto endoluminale
che successivamente, nella seconda fase , diventeranno sempre più alte. Inoltre si ha attività mitotica sia
nell’epitelio di rivestimento che nello stroma e contestualmente cresce anche la componente ghiandolare:
infatti si parla di un primo settenario follicolinico o estrogenico e di un secondo settenario proliferativo fino
162
al 14° giorno. Dopodiché si ha l’ovulazione con la rottura del follicolo e la formazione del corpo luteo che
resta attivo nella seconda fase del ciclo detta “progestinica“ ,poiché avviene sotto l’azione del
progesterone, secreto dal corpo luteo e che bilancia l’azione degli estrogeni, o detta anche “secretoria”
perché le ghiandole si riempiono di secreto in questa fase. Si ha dunque un rimodellamento e non una
crescita della mucosa endometriale con modificazioni delle ghiandole che assumono un aspetto più
complesso stellari forme con incavature all’interno, dei vasi che diventano più floridi, più tortuosi e dello
stroma che assume un aspetto deciduale. Se avviene la fecondazione l’ovulo si adagia sul letto che è stato
preparato a livello della mucosa durante la fase progestinica ed il corpo luteo continua a svilupparsi
divenendo corpo luteo gravidico. Invece se non avviene la fecondazione le arteriole spirali ,che si sono
molto sviluppate, si strozzano in quanto il corpo luteo diviene atrofico e scendono i livelli di progesterone e
quindi inzia la fase di sanguinamento.

Ricapitolando abbiamo:

 Fase estrogenica in cui si ha la crescita della mucosa endometriale e maturazione del follicolo.
 Fase ovulatoria che dura 2-3 giorni con modificazioni quotidiane.
 Fase progestinica in cui non si ha crescita ma rimodellamento sia dello stroma che delle ghiandole
finalizzata a favorire l’attecchimento dell’ovulo, e se questa non avviene si ha lo strozzamento delle
arteriole spirali e sanguinamento.

Questo subito ci fa capire che la patologia proliferativa endometriale è strettamente legata ad un eccessiva
stimolazione estrogenica non bilanciata dal progesterone.

Domanda: Secondo voi quando è meglio fare una biopsia endometriale per studiare la sterilità?

Andrebbe fatta quando la mucosa è più grande perché così posso avere più materiale e più informazioni e
quindi andrebbe fatta durante la fase progestinica intermedio-avanzata.

CONCETTI FONDAMENTALI
1. I cambiamenti funzionali sono abbastanza uniformi in un endometrio normalmente funzionante,
anche se abbiamo porzioni più responsive ed altre meno agli stimoli ormonali.
2. Il “DATING” ( datazione della fase del ciclo) va fatto sulle aree più avanzate ( più recettive agli
stimolo ormonali) piuttosto che sulla media degli aspetti morfologici.
3. Un aspetto morfologico, indice di una determinata fase, ad esempio la vacuolizzazione basale
(ovulazione) deve essere presente in oltre il 50% dei lumi osservati.

RAPPRESENTAZIONE DELLE MODIFICAZIONI CICLICHE

Normale pattern proliferativo, con ghiandole tubulari


dritte,costituite da cellule cilindriche in attività mitotica,
circondate da uno stroma denso.

163
Normale pattern secretivo precoce (circa 2 giorni dopo
l’ovulazione): si osservano nelle ghiandole vacuoli subnucleari.

Normale pattern secretivo tardivo: ghiandole tortuose con secreto


ad aspettto seghettato. L’endometrio è nella fase in cui è pronto per
l’eventuale impianto dell’embrione.C’ è il fenomeno della
decidualizzazione che
avviene al 23° giorno.

Questo invece è un pattern della menopausa in cui si hanno poche


ghiandole dilatate con epitelio piatto e scarse quantità di stroma,
quindi un endotelio atrofico.

PRINCIPALI INDICAZIONI ALLA BIOPSIA ENDOMETRIALE

1. Determinazione della causa di sanguinamento uterino: ovviamente dopo aver scartato altre cause
palesi quali l’ipertensione o eccesso di aspirine che creano sanguinamenti.
2. Valutazione dello stato dell’endometrio nelle pazienti infertili, incluso il “dating”: pratica oggi non
molto usata, perché l’ovulazione oggi si segue molto bene anche dal punto di vista ecografico.
3. Evacuazione del prodotto del concepimento: sia su base volontaria che per aborto spontaneo. E’
indispensabile perché i materiali necrotici rimasti posso dare gravi infezioni.
4. Valutazione della risposta dell’endometrio a terapia ormonale siano esse fatte per motivi oncologici
o per motivi di infertilità.

Per i disturbi funzionali l’ideale è fare la biopsia al 23° giorno perché inizia la reazione pseudodeciduale e se
la riscontro posso dire che mi trovo in un ciclo morfologicamente corrispondente a quello atteso.

DISTURBI FUNZIONALI: SANGUINAMENTI ANOMALI

Per quanto riguarda il sanguinamento anomalo abbiamo diverse cause:

 anormalità disfunzionali (non organiche)


 complicanze della gravidanza
 lesioni organiche(polipi, iperplasia, carcinoma)

Le prime due sono più frequenti nelle pazienti giovani mentre la terza nelle pazienti anziane.

Abbiamo anche tante altre cause però dobbiamo tener conto che un sanguinamento durante la vita fertile
si ha più frequentemente per complicanze di gravidanze, endometriti , sanguinamento disfunzionale per
ciclo anovulatorio, le lesioni organiche , contraccettivi orali, mentre infrequenti sono i carcinomi
endometriali e cervicali.
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CAUSE DI SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO IN ETA’ RIPRODUTTIVA
FREQUENTI INFREQUENTI
Complicazioni della gravidanza Iperplasia
Endometriti Neoplasia
Sanguinamento disfunzionale endometriale  Carcinoma endometriale
 Carcinoma cervicale
 Ciclo anovulatorio
 Fase luteinica inadeguata
 Irregular shedding-desquamazione irreg.

Lesioni organiche
 Leiomiomi
 Polipi (endometriali, endocervicali)
 Adenomiosi
Ormoni esogeni
 Contraccettivi orali
 Terapia progestinica
CAUSE DI SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO IN POSTMENOPAUSA
FREQUENTI INFREQUENTI
Atrofia Endometriti
Lesioni organiche Sarcomi
 Iperplasia
 Polipi (endometriali)
 Neoplasia (carcinoma endometriale)
Ormoni esogeni
 Terapia sostitutiva
 Terapia progestinica (ca. mammella)

Per tutte si deve fare la biopsia?Potrebbe farsi per tutte però per le patologie su base disfunzionale si fa
solo se hanno conseguenze sulla fertilità e non si riescono a combattere i cicli anovulatori con terapia
ormonale.

Viceversa se si ha un sanguinamento uterino post menopausa quali possono essere le cause?

Una fondamentale è l’atrofia,che è fisiologia nel post menopausa però può dare in alcuni casi
sanguinamenti. Poi abbiamo iperplasie e polipi mentre rare sono le endometriti ed i sarcomi.Parlando in
termini percentuali abbiamo che i polipi in perimenopausa e postmenopausa si ritrovano in una
percentuale di pazienti con sanguinamento che va dal 2% al 24%, l’iperplasia: fino al 16% delle pazienti in
post-menopausa, Carcinoma endometriale: <10% delle pazienti e l’atrofia nel 25% delle pazienti post
menopausa.

- CICLO ANOVULATORIO

Sicuramente nel corso della vita fertile almeno un ciclo sarà anovulatorio.

Purtroppo l’evenienza che il follicolo non matura tende a ripresentarsi più volte e quindi si hanno più cicli
anovulatori, spesso consecutivi. Questa condizione è particolarmente frequente nella fase

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perimenopausale. La conseguenza del ciclo anovulatorio è che ci si ferma alla fase estrogenica e quindi
l’endometrio avrà le caratteristiche dell’endometrio follicolinico che persisterà durante la fase progestinica
fino a quando si ha uno sfaldamento veloce della mucosa endometriale su base meccanica e si ha una
menometrorraggia( mestruazione più lunga).Questa patologia si manifesta in maniera ambigua e cioè con
un ritardo del ciclo quindi si pensa ad una gravidanza. Se ci sono una serie di cicli anovulatori si va incontro
a stimoli estrogenici non bilanciati dal progesterone e quindi si avrà una modificazione iperplastica.

cicli anovulatori ripetuti: pattern proliferativo


con breakdown ghiandolare e stromale.

In questi casi la biopsia si fa solo se ho una serie di cicli anovulatori perché da un disturbo funzionale si può
passare ad un disturbo organico cioè si passa da un endometrio follicolinico persistente a un’ iperplasia
endometriale che può andare incontro a trasformazione neoplastica.

Nel ciclo anovulatorio quindi in genere la biopsia non la faccio però ci sono un set di casi in cui la biopsia
endometriale la devo fare:

 Posso avere infatti una fase progestinica normale e il follicolo matura e si ha il corpo luteo però c’è
infertilità, allora si fa l’ecografia e i prelievi ormonali e tutto risulta apparentemente nella norma,
allora dove è il problema? Il problema risiede nella recettività della mucosa agli ormoni. Sappiamo,
infatti, che gli ormoni sono gli stessi per tutti noi, la differenza sta negli effetti che essi esplicano
perché è diversa la recettività di ogni individuo ad un’analoga dose di ormone. Nel nostro caso
particolare la biopsia sarà fondamentale perché evidenzierà un deficit recettoriale a livello della
mucosa endometriale per cui non bastano basse dosi di ormoni ma si devono somministrare alte
dosi esogene per avere un ciclo normale.
 Dating corrispondente : posso fare una biopsia al 23° giorno e
trovo una mucosa endometriale corrispondente al 23° giorno.

 Dating anticipato: Biopsia al 23° giorno ma trovo una mucosa


endometriale anticipata cioè non maturata che è rimasta indietro
rispetto alla fase di maturazione e quindi manca la fase luteale e
questo si può evidenziare solo con la biopsia.

Possiamo avere dei quadri un po’ particolare che si possono trovare sui
libri ma inesistenti.

1. ENDOMETRIO MISTO

Questo nella figura non è un endometrio misto ma è un


polipo endometriale iperplastico, polipo atipico a
polipoide adenomioma e quindi un polipo endometriale
funzionale iperplastico, che va per i fatti suoi (lesione
organica) e c’è l’endometrio secretivo che sta affianco. La

166
diagnosi di endometrio misto è inesistente!! Se si forma un polipo, il polipo farà la sua strada e l’endometrio
si fa la sua.

2. DISMENORREA MEMBRANOSA

Il quadro della dismenorrea membranosa invece esiste e può avere diverse cause: una delle più semplici è
quella che dopo una fase di stillicidio modesto nell’ambito del ciclo si ha la caduta di una sorta di sacchetto
che altro non è che endometrio decidualizzato con ghiandole esaurite che anziché sfaldare a pezzettini
sfalda tutto insieme.

3. QUADRI DA TERAPIA

Infine possiamo avere quadri da terapia e di questi ce ne sono tanti; uno dei più tipici è quello che si ha
quando ad una donna si somministra ormone progestinico per bilanciare situazioni di iperplasia
endometriale, allora se si somministra l’ormone dall’esterno si ha la decidualizzazione dello stroma mentre
i lumi ghiandolari sono atrofici e sono definiti “resting”. Il problema è che deve essere comunicato se la
donna è in terapia in quanto in mancanza di tale informazione il quadro è considerato patologico( ad
esempio in una donna di 60 anni dove sappiamo che la decidualizzazione fisiologicamente non può più
avvenire).

IPERPLASIA
Spesso viene all’osservazione dei patologi perché è una delle principali cause di metrorragia.

E’ definita come l’aumento delle dimensioni di un organo o di un tessuto a causa


dell’aumento delle sue cellule specializzate.

Questo è un bellissimo disegno di un utero tagliato che fa vedere, come già


nell’800, conoscevano benissimo l’iperplasia dell’endometrio. Quest’immagine
fa vedere che l’orificio uterino interno, cioè l’istmo, non reagisce, la mucosa è
piatta. La cavità endometriale reagisce ed infatti c’è un iperplasia ed in questo
punto anche un adenocarcinoma. L’iperplasia dell’endometrio in numero ed in
alcuni casi ed in alcune qualità di iperplasia può essere la precognitrice del
carcinoma dell’endometrio.

Questo qua è un bel disegno che ci fa vedere l’endometrio in modo tridimensionale le fasi del ciclo.

167
Nella fase proliferativa intermedia o tardiva si verifica un fenomeno: lo stroma cresce meno delle
ghiandole; le ghiandole sono più sensibili allo stimolo estrogenico e quindi le ghiandole crescono di più. Se
io devo adattare una ghiandola alta 5mm ad uno stroma alto 4mm, questa povera ghiandola che fa? Tende
a fare una forma a cavaturacciolo, perché cerca di adattarsi all’altezza (si arrotola). Se io taglio vedrò delle
immagini con il lume più grande e l’epitelio più alto nell’endometrio normale.

La storia è cominciata con la prima classificazione:

 iperplasia ghiandolare semplice (termine rimasto anche adesso) e di fatto era nei cicli anovulatori,
un endotelio follicolinico peristente (iperplasia senza atipie)
 iperplasia cistica ed iperplasia adenomatosa (iperplasia senza atipie)
 iperplasia atipica (iperplasia e alterazione adenomatosa con lieve atipia, iperplasia e alterazione
adenomatosa con atipia media, iperplasia e alterazione adenomatosa con atipia grave)
 carcinoma in situ (carcinoma intramucoso, iperplasia e alterazione adenomatosa con atipia grave)

L’iperplasia ghindolare semplice è il tratto di unione tra patologie funzionali caratterizzate dalla presenza di
molti cicli anovulatori e patologia organica in cui c’è un innesco del processo iperplastico che non viene
bilanciato se non c’è un opportuno provvedimento terapeutico.

Nella fase proliferativa la componente ghiandolare cresce con lumi dritti e


stretti con epitelio pseudo stratificato. La crescita però è maggiore dello
stroma; quindi, per adattarsi, la ghiandola assume un aspetto a
cavaturacciolo (è una condizione fisiologica). Nel caso dei cicli anovulatori
l’endometrio conserva queste caratteristiche ma è iperplastico.

Osserviamo l’immagine (in alto). La prima figura rappresenta l’endometrio normale nel primo settenario,
poi abbiamo la ghiandola a cavaturacciolo del secondo settenario e a questo punto doveva avvenire
l’ovulazione. L’ovulazione avrebbe dovuto comportare che l’endometrio si rimodellava e assumeva le
caratteristiche secretive. Se questo non accade perché si hanno cicli anovulatori o perché siamo in una fase
perimenopausale o perché abbiamo un aumento degli estrogeni in perimeopausa, le ghiandole sono
bombardate dagli estrogeni e possono solo aumentare la superficie di recettività diventando cistiche ed
aumentare lo spessore dell’epitelio di rivestimento (più stratificato, tristratificato). Le ghiandole stanno
addossate le une alle altre con scarso stroma interposto, sono iperplastiche e l’epitelio di rivestimento può
essere più alto, pluristratificato: questa la chiamiamo iperplasia cistica. Continua il bombardamento e la
ghiandola, per aumentare la superficie di recettività, assume un aspetto festonato con estroflessioni.
Questa fase si definisce iperplasia adenomatosa, con aspetto plurighiandolare a livello della sezione
trasversale della ghiandola.

168
Contestualmente vediamo cosa succede a livello dell’epitelio di rivestimento di queste ghiandole: se le
tagliamo trasversalmente (figura sopra) vediamo nella ghiandola normale un epitelio cilindrico semplice,
che nell’iperplasia diventa pluristratificato conservando la polarità. Se a questo punto, si aggiungono
anomalie del processo di proliferazione e differenziazione cellulare si avrà un’iperplasia (semplice, cistica ed
adenomatosa) e qualora si insatura una displasia si parla di iperplasia con atipie.

Se vogliamo fare riferimento ad un solido geometrico per esprimere questa iperplasia, la sezione
trasversale della ghiandola cistica è assimilabile ad una sfera, che è un solido semplice quindi parlerò di
iperplasia semplice mentre riferendoci alla sezione trasversale della ghiandola adenomatosa possiamo
pensare ad un pentadodecaedro, un solido complesso, e quindi si parlerà di iperplasia complessa . A questa
si aggiunge la presenza o l’assenza di atipie.

Quindi ci sono:

 Iperplasia semplice
 Iperplasia semplice senza atipia ( è la regola)
 Iperplasia semplice con atipie (molto rara)
 Iperplasia complessa
 Iperplasia complessa senza atipia
 Iperplasia complessa con atipia

Il concetto fondamentale è che un’ iperplasia semplice può avere atipie. E’ difficile trovare inoltre
un’iperplasia complessa senza quella semplice.

1. Iperplasia semplice: Aumento delle ghiandole


che appaiono dilatate ed irregolari. Il rapporto
ghiandole:stroma deve essere 3:1.

2. Iperplasia complessa senza atipie: Aumento del


numero di ghiandole con architettura complessa.

169
3. Iperplasia complessa con atipie: L’epitelio delle ghiandole mostra
atipie citologiche caratterizzate da irregolarità ed ingrandimento
nucleare, anomalie della cromatina e prominenti nucleoli.E’
associata ad un elevato rischio di evoluzione verso
l’adenocarcinoma dell’endometrio.

Le iperplasie sono tutte estrogeniche, ad eccezione della iperplasia gestazionale, in cui la gravidanza è
extrauterina. La mucosa dell’endometrio risponde al progesterone con un disegno complesso. È l’unico
esempio di iperplasia secretiva, che può andare in diagnosi differenziale con un carcinoma dell’utero, però
oggi grazie all’ecografia possiamo vedere dove si è instaurata la gravidanza.

L’iperplasia deve avere 2 caratteristiche:

1. Aumento del numero delle ghiandole per superfice


2. Aumento dello spessore di epitelio di rivestimento delle ghiandole

La nostra immagine (al lato) dunque non risponde ad


entrambi i requisiti in quanto c’è solo un aumento della
componente ghiandolare. Non si tratta di un iperplasia ma
di un atrofia senile cistica, responsabile del 25 % di
sanguinamento post menopausale e con aspetto detto “a
formaggio svizzero”.

TERAPIA ORMONALE

E’ un capitolo importante. Le terapie ormonali si fanno in tutte le età e possono essere legate a
somministrazione di estrogeni, estroprogestinici, progestinici o agonisti/antagonisti degli estrogeni e
gonadotropine.

 ESTROGENI

Molte donne dopo la menopausa vanno incontro all’osteoporosi, legata alla caduta degli estrogeni. Allora
avviene la somministrazione di estrogeni dall’esterno, o attraverso farmaci o attraverso creme. Gli
estrogeni danno benefici a livello osseo però possono dare problemi a livello della ghiandola mammaria,
altro bersaglio dell’ormone, con rischio aumentato di cancro alla mammella. Se la terapia è fatta durante la
fase fertile si avrà anche una grande crescita di ghiandole e stroma endometriale con conseguente ischemia
e quindi un break down della componente ghiandolare con false immagini di necrosi e cosa più importante
si può avere una metaplasia tubarica osinofila che può portare ad un alterata diagnosi di adenocarcinoma,
se non si sa che la donna è sotto terapia estrogenica.

 PROGESTINICI

Viene somministrato per dare un sostegno alla fase luteale difettiva oppure quando si hanno quadri di
iperplasia in soggetti giovani e non si vuole procedere con terapie ablative ma anche nei carcinomi
dell’endometrio non altrimenti trattabili (se il carcinoma è ovviamente ben differenziato).

170
Abbiamo:

 Modificazioni secretorie
 Modificazioni deciduali (simil gravidiche)
 Modificazioni atrofiche

A dosaggi bassi avremo un pattern secretorio simile a quello che si vede nell’endometrio secretivo
parafisiologico, mentre ad alto dosaggio si ha un’iperplasia che però è una fase fugace infatti la
componente ghiandolare va in atrofia e resta un estesa decidualizzazione stromale.

ADENOCARCINOMA DELL’ENDOMETRIO

E’ un tumore che rispetto a quello della cervice fino a qualche anno fa era raro, mentre oggi è il più
frequente carcinoma invasivo dei paesi civili. Il carcinoma della cervice resta infatti il più frequente ma è
nella maggior parte dei casi in situ mentre quello dell’endometrio è invasivo. Questo tumore ha un’alta
incidenza ma un indice di mortalità basso. Insorge in età post-menopausa ed è raro sotto i 40 anni. Ne
abbiamo 2 diverse forme, di cui una ereditaria che è rara.

I fattori di rischio sono:

 Storia familiare
 Somministrazione esterna di estrogeni (rischio aumentato di 3-6 volte; l’estroprogestinico ha
invece un ruolo protettivo)
 Ovaio policistico (Carcinoma endometriale in meno del 5% delle donne con ovaio policistico)
 Tamoxifene (Farmaco antiestrogenico usato come trattamento adiuvante del carcinoma della
mammella)
 Nulliparità (associata di solito ad iperestrogenismo)
 Obesità ( per maggiore aromatizzazione degli ormoni steroidei nel tessuto adiposo con aumento di
estrogeni circolanti)
 Tardiva menopausa
 Ipertensione
 Diabete mellito (perché è associato quasi sempre all’obesità)
 Irregolarità mestruazioni (Segno di iperstrogenismo)
 Ipertecosi ovarica (aumento della quantità di teca ovarica e dei suoi componenti perché è associata
ad una maggiore produzione di estrogeni)

Tutti questi sono segni concreti di iperestrogenismo che sfocia in iperplasia e poi può dare trasformazione
neoplastica.

171
Macroscopicamente può avere l’aspetto di una
massa vegetante,polipoide o a cavolfiore nella
cavità endometriale, più o meno friabile, bianco-
grigiastra. Purtroppo, però, ci possono essere
casi più rari e spesso legati a istotipi più
aggressivi, che hanno sviluppo endofitico con
infiltrazione della parete. Maggiore è l’
infiltrazione e maggiore è il rischio che insorgano
metastasi a distanza.

Quindi l’aspetto macroscopico del carcinoma dell’endometrio ha la sua importanza anche dal punto di vista
prognostico e si collega all’ istotipo.

Ci sono due varianti del carcinoma dell’endometrio: una correlata all’iperestrogenismo (tipo I) e una non
correlata all’iperestrogenismo (tipo II). Queste due forme hanno differenze clinico - patologiche,
immunoistochimiche e molecolari suggerendo due pathway di carcinogenesi diversi. La cosa importante di
cui tener conto è che il tumore correlato all’iperestrogenismo ha prognosi generalmente favorevole al
contrario del tipo II che ha una prognosi meno favorevole.

TIPO I (80-85%) TIPO II (15-20%)


Età 59 anni (pre/perimenopausale) 66 anni (postmenopausale)
Estrogeni non bilanciati Sì no
Iperplasia Si no
Grado Basso alto
invasione miometrio Minima profonda
tipo istologico endometrioide non endometrioide
comportamento biologico non aggressivo (stabile) Aggressivo (progressivo)
p53(positività 5/10% 80/90%
all’immunoistochimica)
Pten inattivata 55% 11%
 Il tipo II colpisce donne più lontane dalla menopausa,anziane.
 Il tipo I è correlato all’ iperestrogenismo ed è preceduto da un’iperplasia complessa atipica.
 La cosa importante è che nel tipo I ci può essere una perdita di recettori per gli estrogeni ridotta ed
elevata nel tipo II. Questo ci dice che esiste un tipo I e un tipo II e qualcosa che li abbraccia
entrambi.

TIPO I

Adenocarcinoma che in genere ha aspetto vegetante nella cavità


endometriale. E’ endometrioide perché ricorda l’aspetto
dell’endometrio. Istologicamente fa molte ghiandole, quindi è di
basso grado. Ha recettori estrogenici perché è legato all’
iperplasia, quindi all’immunoistochimica risulterà positivo per
questi recettori e negativo per p53.

172
TIPO II

All’istologia si notano mitosi atipiche , un polimorfismo nucleolare


e nucleare elevato, gli estrogeni sono negativi. Il controllo interno,
però, è positivo perché a livello del miometrio sono presenti
ghiandole. La p53 è positiva.

SEGNI CLINICI

Dal punto di vista clinico questo tumore dà pochissimi segni di sé, solo la metrorragia che è il segno più
importante ma in età peripostmenopausale ha anche altre cause più frequenti come l’atrofia.

Altri segni: dolore (tardivo, significa che il tumore ha infiltrato tutta la parete), dimensioni (non importante
- ci possono essere uteri piccoli con carcinomi molto aggressivi e questo è quello che accade nella maggior
parte dei casi).

TECNICHE DIAGNOSTICHE

L’ ecografia ha fatto grandi sviluppi, infatti, già dallo spessore della mucosa si può ricavare un sospetto di
carcinoma endometriale.

La diagnosi resta quella morfologica e purtroppo non c’è possibilità di screening perché nella citologia
cervico-vaginale è raro trovarli (falsi negativi) e poi la posizione dell’ utero, che è antiverso flesso in avanti,
rende difficile entrare in cavità per fare brushing o citologia.

Oggi la biopsia endometriale sotto controllo isteroscopico consente una diagnosi buona e mirata.

ISTOTIPI

 Adenocarcinoma endometrioide

Il tipo I ha un aspetto endometriode, che ricorda quello della mucosa endometriale. Le forme sierosa
papillare, mucinosa, a cellule chiare o a cellule vitree o altri tipi ancora sono in genere forme non estrogeno
dipendente.

Nella forma endometrioide possiamo avere una gradazione che va da forme di relativo basso grado dove
c’è necrosi e anche polimorfismi ma si formano molte ghiandole, a un tipo 2 dove il polimorfismo diventa
marcato , ci sono poche ghiandole e si formano strutture pseudo - ghiandolari, fino a un tipo 3 dove ci sono
moltissime mitosi. La cosa fondamentale è che meno ghiandole ci sono e più alto diviene il grado. La
maggior parte degli adenocarcinomi sono ben differenziati,di basso grado.

- G1  Ghiandole neoplastiche a pattern cribriforme con necrosi centrale (sopra) e polimorfismo


cellulare (sotto).
- G2  ghiandole ad architettura complessa con scarso stroma interposto, nuclei con marcato
pleomorfismo, ipercromia e nucleoli prominenti.

173
- G3  cellule epiteliali senza interposizione di stroma e con lumi ghiandolari difficilmente reperibili.
Cellule con marcate atipie e prominenti nucleoli.

G1 G2 G3

Nel carcinoma endometrioide è possibile che ci siano aree dove si verifica una differenzazione squamosa ,di
fatto una metaplasia. Nell’ endometrio a differenza di altri organi ci può essere una metaplasia squamosa
senza atipia che è benigna (l’adenoancantoma) e una maligna che è la somma dell’adenocarcinoma e del
carcinoma squamoso. Adenoacantoma è sinonimo di adenocarcinoma di bassissimo grado, il carcinoma
adenosquamoso è sinonimo d adenocarcinoma di alto grado ed è una forma molto aggressiva.

Varianti del carcinoma endometrio ide sono:

- Adenoacantoma
- Ca adenosquamoso
- Ca secretorio
- Ca ciliato
 Carcinoma siero papillare

Il carcinoma sieropapillare (fa papille, c’è molta atipia


citologica) è il prototipo del carcinoma endometriale
non estrogeno dipendente di alto grado.

Quando si fa diagnosi di questo carcinoma su


raschiamento o biopsia endometriale, nella metà casi il
tumore non sta più solo nell’ endometrio, è già uscito
dall’ utero.

 Carcinoma a cellule chiare

Carcinoma a cellule chiare può stare nella vagina, nella cervice uterina,nella
tuba e nell’ ovaio. Ha una prognosi negativa e rientra nelle forme di alto
grado.

Proliferazione con ampio citoplasma eosinofilo, marcato polimorfismo ed alto


grado nucleare.

 Adenocarcinoma mucinoso
 Carcinoma a cellule vitree o glass cells

174
GRADING FIGO

• Grado 1 : <5% aree solide non squamose


• Grado 2 : 6-50% aree solide non squamose
• Grado 3 : >50% aree solide non squamose

Talvolta è possibile il passaggio dal grado 1 al grado 3. Ad esempio nel caso in cui venga riscontrato in una
donna anziana obesa, si procede con una terapia con progestinici. Nella maggior parte dei casi questa
terapia mantiene il carcinoma dell’endometrio ben differenziato, ma in una piccola parte dei casi ci può
essere una progressione al grado 3, c’è una “sdifferenziazione” che comporta una maggior aggressività.
Quasi tutti i tumori maligni,sia epiteliali che mesenchimali, possono nascere ben differenziati e nelle
recidive possono diventare meno differenziati. (es. nell’ osso ciò avviene con i condrosarcomi e lo stesso
per i liposarcomi o per i rabdomiosarcomi).

FATTORI PROGNOSTICI

• Stadio (il più delle volte è un fattore patologico, si riescono a operare perché la maggior
parte sono nello stadio I o II e quindi confinati all’ utero)
• Grado (nel carcinoma endometriode è un fattore prognostico importante)
• Istotipo (se è endometriode si fa gradazione, se non lo è hanno tutti una prognosi negativa.
È importante dirà anche se c’è estrogeno dipendenza)
• Invasione vascolare (importante nello stadio I, limitato all’ utero)
• Invasione linfatica

A proposito dell’ultimo punto si diceva che i carcinomi della cervice erano linfoinvasivi, quindi doveva
essere fatta una isteroannessectomia bilaterale con svuotamento linfonodale, e che al contrario i carcinomi
dell’endometrio davano invasione vascolare e quindi metastasi a distanza. Proprio per questo veniva
considerato inutile fare lo svuotamento linfonodale per questi tumori. Si è visto,però, che anche i carcinomi
dell’endometrio vanno ai linfonodi e quindi lo svuotamento linfonodale viene fatto, se possibile, fino ai
linfonodi para aortici.

175
STADIAZIONE

La stadiazione è importante per vedere se il tumore è confinato al corpo utero o se lo invade e si estende
alla cervice. Nello stadio I è possibile fare un’ulteriore suddivisione in stadio Ib se il tumore invade meno
della metà del miometrio e stadio Ic se va oltre la metà del miometrio. Lo stadio Ia limitato solo all’
endometrio è molto raro. Lo stadio I e II sono operabili, è difficile operare lo stadio III perché infiltra la
sierosa, gli annessi, il peritoneo, dà anche metastasi vaginali. Allo stadio IV il tumore è ancora più esteso e
non operabile ma si fanno terapie citoriduttive che consentono di far passare uno stadio IV ad un III e poi a
un II e si tenta l’operazione.

ASPETTI MOLECOLARI

E’ stato visto che nel carcinoma dell’ endometrio c’ è la perdita all’ immunoistochimica del segnale di Pten
nelle aree neoplastiche. Questa alterazione causa un’attivazione di P13K-AKt pathway, coinvolto nella
regolazione del ciclo cellulare. Questi sono eventi precoci nel carcinoma endometrioide,quindi se si potesse
valutare l’ assenza di Pten nell’ iperplasia complessa atipica si potrebbe vedere quale di questa iperplasie
va incontro a trasformazione. E’stato fatto ma non si sono raggiunti risultati statisticamente utili.

176
MIOMETRIO
LEIOMIOMA

Sono probabilmente i tumori più frequenti, la sede è ubiquitaria ma la localizzazione è molto specifica.
Infatti il 95% ha localizzazione uterina. Un 2% si localizza nel tubo digerente (non tutti sono d’accordo). Un
altro 2% ha localizzazione cutanea e in particolare nella muscolatura liscia dei muscoli pilo- erettori dive
prendono il nome di piloleiomiomi; ci sono sedi caratteristiche in cui si dislocano questi tumori (leiomiomi
genitali) come il capezzolo e lo scroto perché sono ricchi di cellule muscolari lisce. Ci sono rari casi di
leiomiomi che originano dalla parete dei vasi.

LEIOMIOMI UTERINI

Si calcola che il 40% donne abbia dei leiomiomi però di questa percentuale solo un 10% diviene
clinicamente evidente e dà vari fastidi come piccole perdite emorragiche, sensazione di peso, disturbi del
pavimento pelvico.

In genere si rendono evidenti intorno ai 35-45 anni. Oggi con l’ ecografia vengono scoperti molto
precocemente,in gravidanza. Sono più frequenti e grandi nella
razza nera.

MACROSCOPICA

I leiomiomi hanno la caratteristica di essere lesioni generalmente


multiple, non capsulate, ma ben circoscritto rispetto alla parete, di
dimensioni variabili, a sede variabile, di consistenza dura o duro-
elastica. L’aspetto tipico si definisce vorticoide, fascicolato,
biancastro.

Possono essere sottomucosi, intramurali, sottosierosi. In realtà nel


maggior parte casi nascono come leiomiomi intramurali e,
crescendo, o vanno verso l’esterno farmando leiomioma
sottosieroso, o vanno verso l’interno formandone uno
sottomucoso. Se crescono talmente tanto da diventare procidenti
entreranno nella cavità uterina; alcuni dalla cavità uterina si
peduncolizzano verso la zona genitale in vagina, raramente si
localizzano nella cervice uterina. Talvolta sono infra-ligamentari,
sono forme sottosierose che si spingono nel legamento largo. Ci

177
sono, infine, forme chiamate leiomiomi “satelliti” perché si peduncolizzano e si esternalizzano rispetto a
parete uterina e lì diventano masse endoaddominali, possono essere scambiati per una massa ovarica se
hanno una dislocazione paraovarica. A volte il peduncolo si “autoelimina” e il leiomioma diventa libero
nella parete, in genere il peritoneo lo avvolge e lo nutre altrimenti andrà in necrosi (si verifica infarto
emorragico: la vena si strozza e collabisce perche è a bassa pressione,l’arteria no e il leiomioma va incontro
ad un infarcimento emorragico).

I leiomiomi possono avere vari aspetti: irregolari, carnei, piccoli e accompagnati però ad endometrio
emorragico. Essendo tumori che crescono ci può essere discrepanza tra lo stroma tumorale e la quota
vascolare, per cui possiamo avere che un leiomioma a lungo tempo di crescita con focolai emorragici,
calcificazioni distrofiche, aspetti cistici, aree mucoidi, erosioni superficiali.

CLINICA

Si avrà metrorragia. Se il leiomioma è intramurale, ma soprattutto sottomucoso, la mucosa che sovrasta il


leiomioma urta contro quella contro laterale. Ciò comporta un meccanismo di compressione meccanica
che induce un fenomeno di atrofia e sanguinamento lieve, soprattutto nelle persone anziane(metrorragia
per causa meccanica). C’è un’altra causa: il leiomioma è legato a iperestrogenismo come l’iperplasia
dell’endometrio che è causa di emorragia nelle giovani. Un’ ultima caratteristica del leiomioma, soprattutto
se sono multipli è una menometrorragia, cioè una fase mestruale prolungata. Ciò accade perché c’è una
contrazione della parete uterina meccanicamente irregolare per la presenza dei leiomiomi, quindi non tutti
i vasi vengono strozzati e il flusso mestruale dura di più, fino a che vanno incontro a coagulazione
spontanea e si chiudono.

COMPLICANZE

• Calcificazione (in quelli di vecchia durata)


• Torsione (soprattutto nei sottomucosi e nei satelliti),
comporta emorragia con necrosi e possibilità di
sovrainfezioni
• Fenomeni degenerativi
• Parti distocici (in passato, oggi viene fatto il cesario)
• Ci sono rari casi in cui un leiomioma trascina fuori
l’utero dalla sua sede come se fosse un dito di guanto
che si rovescia. (es. leiomioma intracavitario,
sottomucoso, di peso notevole, con legamenti deboli).

MICROSCOPICA

Il leiomioma è fatto da cellule muscolari lisce che sono uguali alle normali. Caratteristicamente hanno
nuclei “sigariformi”, con estremità arrotondate, al contrario degli elementi fibroblastici che hanno
l’estremità appuntita. L’aspetto fondamentale è che c’è una ipercellularità delle fibrocellule muscolari lisce
e si vedono fasci che vanno in senso longitudinale in cui il nucleo è evidente e altre aree dove i fasci

178
s’intersecano e si vedranno nuclei a metà. Questo è un aspetto tipico dei leiomiomi, che consente di fare
diagnosi.

Possono avere attività mitotica,a nche rilevante, con mitosi tipiche.

Il secondo aspetto è che è una lesione circoscritta, il che è sinonimo nella maggior parte dei casi di una
crescita espansiva nei confronti del miometrio. Molto raramente può avere crescita infiltrativa nei confronti
del tessuto muscolare.

Una delle cose più caratteristiche è che possono avere un numero molto elevato di “ospiti”: molti
mastociti fisiologicamente (quasi tutti i tumori mesenchimali benigni e maligni hanno come ospiti
mastociti), tantissimi linfociti tanto da simulare un linfoma. Possiamo trovare una componente midollare
con megacariociti, c’è inoltre una grande quantità di eosinofili.

VARIANTI

 cellulare
 simplastico (atipico)
 mitoticamente attivo
 epitelioide
 lipoleiomioma
 neurilemmoma-like
 mixoide
 leiomiomatosi peritoneale
 leiomioma metastatizzante
 leiomiomatosi intravenosa

Il leiomioma è un tumore in cui si possono verificare molte varianti. È importante ricordare il simplastico o
atipico che in genere ha una prognosi favorevole,ma merita una collocazione particolare. Il leiomioma
mitoticamente attivo può porre problemi di diagnosi differenziale con la controparte maligna. La variante
epitelioide è tenuta a sé stante perché se si trovano aspetti epitelioidi in un leiomioma bisogna studiare
bene il caso dato che può essere spia di malignità. Lo stesso vale per gli aspetti mixoidi. Esistono varianti di
leiomiosarcomioma sia epitelioide che mixoide per i quali basta molto meno dei parametri necessari per
fare diagnosi di leiomiosarcoma. E’ da ricordare, inoltre, che esiste il leiomioma benigno che in rarissimi
casi dà origine a metastasi polmonari (leiomioma metastatizzante).

PARAMETRI

Quando si vede un tumore muscolare della cavità uterina si devono tenere in conto 4 parametri:

• quantità di cellule
• qualità dell’atipia
• presenza di necrosi (“sporca” ,tumorale in cui si vedono granulociti e detriti cellulari)
• presenza di mitosi (s’intende quante mitosi si trovano in 10 campi a forte ingrandimento 40×,
quindi tenendo conto dei 10 campi è 400×)

La cellularità si trova sempre, l’atipia si vede a piccolo ingrandimento. Da sola però l’atipia non è un segno
di malignità. Con assenza di necrosi e con poche mitosi o assenti o comunque tipiche, si parlerà di
leiomioma atipico che ha una prognosi di norma favorevole. Se si trova atipia, bisogna subito vedere
quante mitosi ci sono, perché se si trovano 5 mitosi per 10 campi da leiomioma atipico si passa a tumore a
prognosi indeterminata. In alcuni casi, soprattutto quando l’ atipia è diffusa e non focale, l’esperienza di
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queste lesioni è limitata e si raccomanda uno stretto follow up, se non è stata fatta un’isterectomia. Se c’è
una spiccata atipia e più di 10 mitosi, diventa un leiomiosarcoma. Se c’è necrosi sporca, a prescindere da
cellularità, atipia, mitosi, il tumore è un leiomiosarcoma. In genere è associata, però, a marcata atipia e
mitosi. Quando non c’è necrosi ma atipia e indice mitotico che supera le 10 mitosi è un leiomiosarcoma.
Esiste il leiomioma mitoticamente attivo in cui non c’è necrosi né atipia, ma si possono trovare secondo
alcuni fino a 15 mitosi per 10 campi (per il prof fino a 10 mitosi).

• Leiomioma simplastico :l’atipia si vede a piccolo ingrandimento ed è mostruosa ma se non sono


accompagnati ad attività mitotica o a necrosi non devono spaventare. E’ uno dei tanti esempi in cui
l’atipia non è segno di malignità.
• Tumori della muscolatura liscia a malignità indeterminata Sono caratterizzati da cellularità
variabile, atipia variabile, necrosi assente ma indice mitotico tra 5 e 10 mitosi.

LEIOMIOSARCOMA

È un tumore delle persone anziane, sopra i 55 anni, prima dei 40 anni è una vera rarità. E’ molto raro. Non
insorge su un pregresso leiomioma. L’aspetto è caratteristico, è una massa che cresce rapidamente. Infatti
se con l’ecografia viene trovata una massa di 4 cm e quando viene rifatta dopo pochi mesi la massa si è
raddoppiata o triplicata e si ha anche un riscontro ecografico differente con aree necrotiche ed
emorragiche, si fa già dignosi di leiomiosarcoma. È un tumore che distrugge l’utero e dà necrosi
emorragica. Si evidenzia necrosi sporca, coagulativa con forti atipie.

180
OVAIO
È un organo pari situato nella piccola pelvi che contrae
rapporti importanti con i legamenti larghi e soprattutto con la
tuba, la cui parte terminale è in rapporto con una porzione di
ovaio. E’ legato attraverso il legamenti infundibulo-pelvico
alla parete uterina, ed è nutrito dall’arteria ovarica che
s’inoscula con il ramo ovarico che proviene dall’arteria
uterina interna.

L’ovaio è uno degli organi che più


caratteristicamente risente delle
modificazioni nel corso dell’età. Nell’età
prepubere, la superficie esterna è liscia,
omogenea e istologicamente si trovano
numerosi follicoli primordiali immersi in
uno stroma fibroso,denso. Con il menarca
e le conseguenti mestruazioni l’ovaio
assume un aspetto cerebriforme con
solchi e circonvoluzioni e va incontro ad
atrofia. Istologicamente un ovaio atrofico avrà pochissimi follicoli e soprattutto corpi albicanti e corpi
atresici.

L’ovaio è rivestito da un epitelio celomatico, cilindrico che poggia su uno stroma fibroso nel cui contesto
sono contenuti i follicoli. Nell’ovaio si distingue una corticale e una midollare. Nella prima c’è la
componente follicolare che va incontro a modificazioni legate a fenomeno di maturazione del follicolo
ooforo, alla sua trasformazione in corpo luteo e se non c è gravidanza in corpo albicante. Nella midollare si
trova la componente vascolare e stromale.

L’ovaio è un organo che ha:

 una componente epiteliale, componente di rivestimento


 una componente germinale (componente follicolare)
 una componente stromale, a sua volta divisa in una componente “inerte”, non specializzata
(costituita da stroma fibroso,vasi etc...) e un’altra “specializzata”,che secerne gli ormoni. Per
questo le cellule della teca e della granulosa, sono poi cellule che daranno tumori funzionanti (che
secernono ormoni).

181
L’ovaio può andare incontro a patologia non neoplastica e ha patologia neoplastica.

PATOLOGIA NON NEOPLASTICA


Possiamo avere una patologia non neoplastica che rappresenta la maggioranza delle patologie ovariche.
Possiamo avere una patologia cistica (cisti da inclusione, cisti funzionali, PCOS, cisti semplici mulleriane,
cisti endometriosiche) e le ovariti che ora sono meno frequenti ma si correla alla MIP (malattia
infiammatoria pelvica) che coinvolge salpingi e tube e che nei casi più gravi comporta un ascesso tubo-
ovarico. Può essere causata, per esempio, dal talco dei guanti.

- Cisti da inclusioni

Sono comuni, non hanno nessun significato clinico. Quando si ha lo scoppio


del follicolo con retrazione si forma un cul di sacco dove si disloca l’epitelio
celomatico dell’ovaio che era in superficie. Quando si ha la sclerosi quest’area
può collassare o rimanere cistica e alla fine si possono avere cisti da inclusione
di multiple dimensioni. In passato si sapeva che si potevano avere cisti da
inclusione dell’epitelio tubarico nel sito dell’ovulazione. Le cisti da inclusione
possone essere molto piccole, microscopiche o raggiungere anche 4-5 cm.
Possono essere seguite eco graficamente: se una cisti in 6 mesi raddoppia il
proprio diametro si deve togliere perché sospetta.

- Cisti follicolari

Sono considerate parafisiologiche perché non c’è un ciclo dove non


si formi un follicolo cistico che normalmente è al di sotto 2,5 cm. Si
parla di cisti follicolare quando si superano i 2,5 cm, rarissimamente
raggiungono i 10 cm. Sono asintomatiche. Molte di queste cisti
regrediscono senza nessun trattamento. Originano dai follicoli del
Graaf che non sono andati incontro a deiscenza o da follicoli che si
sono rotti e immediatamente richiusi. Sono rivestiti da cellule della
teca e vi possone essere anche cellule della granulosa. Queste cisti
possono andare incontro a luteinizzazione. Questo dato è
importante perché possiamo avere delle cisti follicolari con
un’estensiva luteinizzazione dello stroma pericistico e bisogna
differenziarle dalle cisti luteiniche vere che sono causate da un corpo luteo andato incontro a
degenerazione cistica. Sono comuni in alcune malattie (es. mola) possono essere multiple e sezionali per
es. nelle gravidanze.

- Cisti luteinica (corpo luteo cistico)

Il corpo luteo ha una struttura normalmente cistica, con aspetto giallastro


perché contiene progesterone e si sviluppa alla fine del ciclo mestruale o in
gravidanza, dove l’aspetto cistico è parziale. Per parlare di cisti luteinica le
dimensioni devono essere superiori ai 2,5 cm di diametro. La rottura di
queste cisti può è preoccupante perché può causare emoperitoneo.
Istologicamente queste cisti hanno una parete rivestita da cellule delle
granulosa e della teca luteinizzate. Quest’aspetto ricorda quello delle cisti
follicolari luteinizzate.

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- Ovaio policistico

E’ la causa più comune di infertilità. Bisogna trovare tantissime cisti sia all’ecografia sia quando togliamo
l’organo. Contemporaneamente all’infertilità ci sarà iperandrogenismo, obesità e patologie derivate. Può
accoppiarsi al carcinoma dell’endometrio. Ci sono numerose cisti follicolari, vario grado di luteinizzazione
della cellule della teca interna, spessa capsula fibrosa. L’importante è che nell’ovaio policistico, poiché sono
maturazioni infertili, non ci saranno corpi lutei o corpi albicanti.

- Cisti semplici mulleriane

Hanno generalmente sede parailare o intrailare e sono di piccole dimensioni. È difficile differenziarle dalle
cisti da inclusione. Queste cisti sono dovute alla presenza di residui mulleriani.

- Cisti endometriosiche ed endometriosi

E’ una delle cause più frequenti di metrorragia dolorosa perché è


legata alla presenza di tessuto endometriale (ghiandole e stroma)
non neoplastico in sede extrauterina (ovaio spesso bilaterale,
legamenti, setto rettovaginale, peritoneo pelvico, cicatrici
laparotomiche). In realtà si deve distinguere una endometriosi
interna da una esterna. Quella esterna è appunto la presenza di
tessuto endometriale non neoplastico in sede extrauterina. L’
endometriosi interna,invece, è caratterizzata dalla presenza di isole
di mucosa endometriale nello spessore del miometrio a livello del
corpo uterino. Queste isole funzionano come l’endometrio e quindi
nella fase mestruale vanno incontro a uno sfaldamento minimo. Ci
sono in genere condutture che conducono nella cavità ma ciò avviene in misura poco cospicua e quindi si
crea una dilatazione della parete del miometrio con tumefazione che causa dolore. Questa endometriosi
non si complica come l’esterna. Può essere associata a sterilità, ma soprattutto a dismenorrea e dolore in
rapporto al ciclo. Quando l’endometriosi si localizza a livello ovarico o alla tuba, questo endometrio si
sfalderà con perdita di sangue che è in parte riassorbito e lascia un prodotto “rugginoso”, scuro. Ciò
avviene più volte fino a che si forma una cisti riempita di materiale ematico scurissimo costituito da
prodotto mestruale di cui è stata riassorbita la parte acquosa. Vengono infatti chiamate cisti “cioccolato”. Si
forma, quindi, una cisti endometriosica bordata da endometrio in cui si riconosce una mucosa, con
ghiandole e stroma. Questo sangue che si accumula causa atrofia della mucosa di rivestimento per cui
questo aspetto diagnostico di endometriosi non lo si ritrova in tutte le cisti endometriosiche. Se in un’area
l’endometrio ha dato origine ha una cisti, nelle altre aree non è detto che ci siano altre cisti ma
ritroveremo focolai emorragici su peritoneo. Esiste anche l’ endometriosi neoplastiforme del peritoneo
caratterizzata da tanti focolai delle dimensioni di 0,5-1 cm di aspetto emorragico ubiquitari senza che
formino cisti o al massimo ce n’è una. Tutti questi focolai sono causa di dolore nella fase mestruale perché
il sangue va nel peritoneo e dà un’irritazione pelvica. Si trovano inoltre siderofagi. A volte ci sono segni
183
indiretti dell’endometriosi non proprio specifici, perché c’è una parete cistica senza epitelio di rivestimento
con accumulo enorme di siderofagi.

Ci sono varie teorie riguardo l’eziogenesi


dell’endometriosi: la più importante è quella del
”rigurgito-impianto” cioè la mestruazione
retrograda che alcuni correlano ad alterazioni
del sistema immunitario. Succede che nel
momento della mestruazione quote piccole della
mucosa sfaldante dell’endometrio vanno a
cadere nel peritoneo o sulla superficie
dell’ovaio. Questa quota, quando è contenuta
una porzione di ghiandola basale o parabasale è
in grado di comportare, se ha attecchito, la
formazione di focolai di endometriosi nei cicli successivi. Esistono endometriosi nelle cicatrici
laparotomiche: può succedere che nell’effettuare un cesario dei frammenti di mucosa endometriale cadano
nel percorso della cicatrice. Ci possono essere forma cutanee, però sono sempre figlie dei tagli cesarei ma
l’impianto si è verificato più superficialmente. Per quanto riguarda l’ectopia, sicuramente esistono
endometriosi a dislocazione inguinale. Questo non deve meravigliare perché se andiamo a vedere lo
sviluppo embrionale ci sono dotti che vanno dall’ovaio fino all’inguine, quindi a questo livello si possono
verificare dislocazioni della mucosa endometriale disembriogenetiche. Altri sostengono la teoria della
metaplasia dell’epitelio celomatico in endometriale.

In un focolaio endometriale si possono sviluppare polipi


endometriali, adenocarcinomi, fibromi, endometriosi atipica. La
patologia che si vede nell’endometrio, si vede anche
nell’endometriosi. Polipi e l’adenocarcinoma sono correlati
anche alle terapie antiestrogeniche (tamoxifene) per il
carcinoma della mammella o addirittura adenocarcinomi.

Ci sono nel 10 % delle donne in età fertile dei focolai di


endosalpingiosi, cioè la presenza sulla superficie ovarica o del
peritoneo di elementi che ricordano l’epitelio di rivestimento
della tuba,in particolare le fimbrie. E’ asintomatica,ma la presenza di questo epitelio tubarico potrà avere
conseguenze dal punto di vista di alcune neoplasie. L’endometriosi, invece, è funzionale.

- Ovariti

Sono patologie infiammatorie dell’ovaio. Possono avere un’origine


infettiva, generalmente batterica peri il coinvolgimento ascendente
da processi infiammatori della pelvi, con coinvolgimento delle tube. Si
può avere un ascesso tubo-ovarico. Una delle cause di ovariti è
l’infezione da Actinomyces. L’actinomicosi può essere cervico-
facciale, toraco-polmonare e pelvica. Gli Actinomyces sono anaerobi.
Lo IUD causa per motivi meccanici una necrosi dell’epitelio di
rivestimento dell’endocervice, che favorisce l’attivazione degli
Actinomyces che sono saprofiti della vagina e del canale cervicale,c
he migrano per via transuterina sulla superficie dell’ovaio e danno actinomicosi. C’è anche l’infestazione
ovarica da vermi (es. Ossiuri da pozione bassa del canale anale si portano nell’ovaio).

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L’evoluzione più frequente delle ovariti è la fibrosi che dà la formazione di una
massa solida cistica che può preoccupare. E’ una delle tante forme di
pseudotumore. Ci forme di ovariti autoimmuni (rare) che possono dare
insufficienza ovarica precoce e sona causa di sterilità.

- Torsione ovarica

Nei giovani sia testicolo che ovaio possono andare incontro a torsione. E’
la quinta causa di emergenza ginecologica e rappresentano il 2,7% delle
cause di addome acuto in ginecologia. Il peduncolo ruota quando è lungo
o se c‘è un’infiammazione o un eccesso di mobilità, con conseguente
infarcimento emorragico, che significa infarto dell’ovaio con perdita della
funzione. I sintomi sono dolore, con irradiazione a schiena e coscia, e
febbre. Sia tuba che ovaio possono essere coinvolti.

PATOLOGIA NEOPLASTICA

E’ costituita da tumori primitivi e secondari.

185
Nell’ovaio esistono quattro tipi di tumori. Tra i tumori primitivi abbiamo :

1. Originano dall’ epitelio di superficie


2. Originano dalle cellule germinali
3. Originano dallo stroma ovarico
4. Originano dei cordoni sessuali

e naturalmente i tumori secondari.

Nell’ovaio esiste una prevalenza di tumori di tipo epiteliali (circa il 60%), poi c’è una seconda quota
rappresentata dai tumori dello stroma ovarico ”specializzato” (10%,tutte le età) e poi c’è una quota che
viene fuori dalla componente germinale (30%, 0-25 anni). Infine c’è un 10% di tumori ovarici metastatici; il
30% dei tumori ovarici solidi bilaterali sono metastatici. I metastatici sono tutti maligni, gli altri possono
essere sia benigni che maligni.

Questa classificazione nasceva dal fatto che l’epitelio di rivestimento celomatico era quello che dava origine
ai tumori epiteliali, i tumori germinali originavano dalle cellule germinali e infine quelli dello stroma ovarico
originavano dalla componente specializzata teca-granulosa o dallo stroma luteinizzato. Nel 2010-11 però ci
sono stati dei cambiamenti. Fino ad allora c’era questa ipotesi perché si riteneva che le cellule del
rivestimento celomatico potessero andare incontro a varie forme di metaplasia, per cui potevamo avere
tumori sierosi, mucinosi, endometriodi, a cellule chiare, transazionali. Quindi questo epitelio,c apace di
andare incontro una serie di metaplasie, poteva assumere vari aspetti da cui venivano fuori un serie di
tumori differenti. Questa ipotesi in questo momento è fortemente messa in dubbio.

TUMORI PRIMITIVI ORIGINANTI DALL’EPITELIO

E’ un carcinoma relativamente frequente nel sesso femminile (4% dei carcinomi nelle donne),più comune
nei Paesi industrializzati,eccetto il Giappone che fa accezione anche per la mammella e invece è favorito
per il carcinoma gastrico.

Colpisce di più la razza bianca,il rischio aumenta con l’età ( dai 60 anni).L’incidenza è stabile così come la
mortalità. Per cancro ovarico intendono tutto, ma in realtà sono i tumori epiteliali maligni dell’ovaio,
dovrebbero essere esclusi i tumori germinali e stromali.

Fattori di rischio:

Ce ne sono vari (contraccettivi, chirurgia, complicanze della mammella), ma la nulliparità, una storia
familiare per patologia ovarica, insieme con mutazioni genetiche giocano un ruolo chiave nello sviluppo
della neoplasia.

Le stesse mutazioni che vediamo nel carcinoma della mammella (BRCA I e BRCA II) aumentano la
suscettibilità del carcinoma ovarico, c’è un’associazione tra queste due neoplasie. Soggetti che hanno la
mutazione di entrambi i geni hanno tra il 20% e il 60 % di probabilità di sviluppare un cancro all’ovaio.

Clinica:

C’è stata un’evoluzione clinica del carcinoma dell’ovaio. Oggi grazie a programmi di prevenzione si
scoprono lesioni di relative piccole dimensioni. La diagnosi però è in genere tardiva perché nella fasi iniziali
questo tumore non da nessuno segno di sé. Si ritiene che avere livelli molto elevati di CA125 sia spia della
presenza di un carcinoma ovarico. Devono essere livelli spaventosi perché qualunque infiammazione del
peritoneo pelvico da un’elevazione di CA125. Ci sono bravi ecografisti che sulla base delle modificazione
proprie dell’anatomia patologica, cioè della discrepanza tra parenchima e stroma e aspetti papillari, sono in
186
grado di dire se una massa ovarica è pericolosa o meno. Se io vedo una massima solida, unilaterale, liscia,
non bozzuta, ecograficamente è benigna, e anche se vedo una massa cistica, unilobulata o anche settata,
ma senza nessuna vegetazione all’interno probabilmente è benigna.

Ipotesi eziopatogenetica:

L’ipotesi che si faceva è che, dopo l’ovulazione, sulla superficie della cicatrice che si era formata si aveva
una proliferazione ripartiva dell’epitelio di rivestimento e poteva verificarsi la mutazione-attivazione di
oncogeni e quindi formarsi una neoplasia. Ci sono carcinomi mucinosi che derivano da focolai di
endometriosi, endosalpingiosi e endocervicosi, e carcinomi sierosi che derivano da cisti da inclusione.

L’ipotesi quindi era questa: ro ura, riparazione cicatriziale, l’epitelio di rivestimento andava incontro a
metaplasia che poteva essere sierosa, mucinosa, a cellule chiare o transazionale.

In realtà dal 1998 sono cominciati studi su precursori precoci del carcinoma ovarico che hanno messo in
evidenza che non si erano mai studiate le caratteristiche dell’epitelio di rivestimento della tuba quando
c’era un tumore ovarico. Chi l’aveva fatto aveva parlato di displasia dell’epitelio tubarico e aveva correlato
che insieme al carcinoma ovarico c’era una trasformazione dell’epitelio tubarico, anche se non sempre.

Nel 2010 alcuni studiosi (Arch, Pratt) hanno portato avanti nuove teorie sull’origine e patogenesi del cancro
all’ovaio. La nuova teoria è che questi tumori ovarici epiteliali non sono ovarici. La tuba fa cadere cellule
dell’epitelio di rivestimento delle fimbrie sulla superficie ovarica, ci può essere il sequestro di queste cellule
con invaginazione e la formazione di cisti da inclusione, però sull’ovaio si può andare anche a posizionare
un focolaio di endometriosi. Questo è importante perché l’endometrio è capace di fare una neoplasia di
tipo sieroso o anche mucinoso. Quindi potremmo avere nell’ovaio elementi che derivano dall’epitelio
tubarico ed elementi che sono arrivati attraverso una mestruazione retrograda sulla superficie post
follicolare, ma c’è la possibilità che sull’ovaio non cadano solo le cellule tubariche che vanno a fare la cisti
da inclusione, ma possono cadere cellule che vengono fuori da un carcinoma in situ della tuba, queste
cellule sfaldando sull’ovaio danno origine a una tumore ovarico.

Quindi oggi possiamo distinguere tra un tumore ovarico epiteliale tipo I e uno di tipo II.

Il tipo I comprende 4 istotipi che nascono da una metaplasia di endometriosi retrograda che dà origine a
tumori endometrioidi ,mucinosi, a cellule chiare e ai low grade seruos ovarian cancer. Ognuno di questi ha
una sua firma genetica. Il tipo II (high-grade serous) è dovuto alla mutazione di BRCA I/II, alla mutazione di
p53 e ad instabilità cromosomica. Il tipo II è considerato il tumore aggressivo dell’ovaio e rappresenta più
della metà dei tumori ovarici. Il carcinoma a cellule chiare in passato era ritenuto di alto grado, però per
alcuni studiosi non è così,resta comunque qualche dubbio sulla collocazione di questo carcinoma.

Ciò che bisogna ricordare è che i carcinomi ovarici possono essere suddivisi in due gruppi sulla base di una
firma genetica, di un’eziologia non più legata alla metaplasia dell’epitelio di rivestimento ma
dall’invaginazione dell’epitelio tubarico anche trasformato o dall’endometriosi.

Morfologia

I tumori epiteliali dell’ovaio possono avere un epitelio di rivestimento sieroso, mucinoso, endometriode, a
cellule chiare, a cellule transazionali. Rappresentano il 60% dei tumori ovarici di cui il 90% è costituito dai
sierosi e dai mucinosi.

Tutti questi tumori, ma soprattutto i sierosi e mucinosi, possono essere classificati come benigni,
borderline, maligni. Sono spesso bilaterali. I benigni e borderline in realtà derivano da un’ endometriosi
retrograda, invece i maligni si dividono in due gruppi: quelli di alto grado, aggressivi che costituiscono più
187
della metà dei carcinomi dell’ovaio e sono di origine tubarica, gli altri meno aggressivi derivano invece da
un’endometriosi retrograda.

Architettura

E’ molto complessa. Possono avere:

• un aspetto solo papillare (vegeteranno sulla superficie dell’ovaio)


• un aspetto solido (grossa quota fibrosa)
• un aspetto cistico (frequente)

Quindi avremo un tumore, per esempio, sieroso che può essere solo papillare, cistico o fibroso. Quindi,
poiché il comune denominatore è adeno, avremo adenomi papillari sierosi,cistoadenomi sierosi o
fibroadenomi sierosi. Un aspetto ,però, unico è raro. Nella maggior arte dei casi questi tumori combinano
aspetti papillari, fibrosi e cistici (cistoadenomi papillari o cistoadenofibromi papillari). Sulla base della
morfologia dell’epitelio di rivestimento individueremo i benigni, maligni e borderline.

- TUMORI SIEROSI

Sono i più frequenti:

 Benigni (maggior parte)


 Maligni (20-25%)
 Borderline (5-10%,per alcuni sono di più)

Quando si dice borderline non s’intende solo un istotipo ma un tumore che ha


un comportamento del tutto peculiare per questo bisogna identificarli perché
9/10 hanno una prognosi favorevole e poiché si riscontrano in donne giovani
e quindi è importante tenere in conto la possibilità di non praticare
un’isteroannessectomia bilaterale, per preservare la funzione riproduttiva.
Quelli maligni sono in genere dell’età avanzata come il cistoadenocarcinoma
sieroso che è il più frequente.

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In genere sono neoplasie cistiche, possono avere anche una
vegetazione papillare sono alte, colonnari, frequentemente bilaterali.

Possono avere un aspetto cistico anche piccolo e dentro ci può stare


qualche vegetazione papillare cui corrisponde la presenza di papille
con stroma fibroso, epitelio di rivestimento sieroso o siero-mucinoso.
L’epitelio è cubico ciliato con stroma fibroso. In genere è un
cistoadenofibroma papillare sieroso.

Se è meno fibroso sarà un cistoadenoma, oppure se è meno papillare sarà un cistoadenoma semplice

I tumori sierosi maligni nella maggior parte dei casi hanno un


aspetto macroscopico pessimo (masse emorragiche,
necrotiche, solide, spesso hanno crescita extracapsulare e
sono di altissimo grado, c’è una variabile presenza di corpi
psammomatosi, però sono in genere accompagnati a quella
piccola quota di low grade serous carcinoma che originano da
mestruazione retrograda).

- TUMORI MUCINOSI

Le forme benigne sono bilaterali in un numero più basso di casi, sono i più
grandi tra i tumori mai visti.

Sono di due tipi:

• intestinale (entità molto rilevante,molti ritengono siano teratomi)


• endocervicale ( 15-20% ,per endometriosi retrograda)

I tumori mucinosi maligni rappresentano un 5%, sono anch’essi grandi e


anch’essi hanno aree solide insieme ad aree cistiche. In questi tumori al
contrario dei sierosi c’è un continuum, nello stesso tumore maligno
troveremo aree che sono un cistoadenoma benigno, aree di un
cistoadenoma mucinoso borderline e cistoadeno carcinomi. Se troviamo
solo i margini di un adenocarcinoma mucinoso, non è dell’ovaio , ma nel
90% è una metastasi di un carcinoma del colon o di un tratto intestinale.

A lato, si veda la progressione del carcinoma mucinoso.

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- TUMORI SIEROSI E MUCINOSI BORDERLINE

E’ un sottogruppo relativamente recente ( ’70), che ha precise caratteristiche intermedie tra tumori
benigni e maligni, con prognosi migliore rispetto ai carcinomi. Le caratteristiche citoarchitetturali sono:
proliferazione epiteliale, atipia nucleare, attività mitotica, assenza di invasione stromale destruente.

Sono tumori che insorgono tra i 30 e 40 anni. Una caratteristica di questi tumori, a parte un aspetto
labirintico, è che le cellule “sgocciolano” dalla superficie, c’è la perdita di questi ciuffi di cellule, siano esse
di tumore sieroso o mucinoso.

E’ importante tener conto del fatto che un tumore borderline può avere una traslocazione extraovarica ma
anche se c’è la sua prognosi rimane quella del tumore borderline. Anche se gli aspetti microinvasivi sono
superiori ai 3 mm, non cambia la prognosi. I tumori sierosi borderline a differenza dei mucinosi possono
avere degli impianti peritoneali,c he però non sono metastatici,sono non invasivi. Questi impianti possono
anche non originare dal tumore borderline ovarico e derivare invece dal peritoneo pelvico specializzato
perché c’era stato l’impianto endometriosico. In gravidanza, infatti, si possono avere focolai di “deciduosi
pelvica”, cioè di trasformazione deciduale del peritoneo che derivano da impianti di endometriosi sul
peritoneo e che va incontro a trasformazione deciduale così come l’endometrio dell’utero gravidico.

Se l’impianto, invece, è invasivo può essere sbagliata la diagnosi di borderline, nei pochi casi in cui la
diagnosi di borderline è confermata, allora è probabile che quello che si trova nel peritoneo come impianto
invasivo, è probabile che sia un altro tumore del peritoneo maligno.

- PSUDOMIXOMA

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Lo Pseudomixoma è costituito da un accumulo di materiale mucinoso a livello del peritoneo. In realtà
questa patologia, nonostante vi siano stati casi all’ovaio, è legata più spesso a tumori mucinosi
dell’appendice. I tumori mucinosi dell’appendice possono essere ascrivibili a cistoadenomi mucinosi,
cistoadenocarcinomi mucinosi e anche a tumori bordeline mucinosi di questo organo.

E’ un esempio della disseminazione mucinosa peritoneale, con pochissime cellule, di un tumore mucinoso
borderline dell’ovaio, ma è raro. Nella maggior parte dei casi origina da un tumore mucinoso
dell’appendice.

Anche quando ci sono due tumori mucinosi, uno all’ovaio e l’altro all’appendice, in genere il tumore
dell’ovaio origina da quello dell’appendice. Nell’appendice, infatti,ci possono essere cistoadenomi
mucinosi, cistoadenomi mucinosi borderline e cistoadenocarcinomi mucinosi.

- TUMORI ENDOMETRIOIDI

Un’altra quota dei tumori ovarici sono gli endometrioidi. Corrispondono al 20% delle neoplasie ovariche,
presentano una differenziazione squamosa, e per lo più sono maligni (quelli benigni bordeline sono rari).

È importante ricordare che in un terzo dei casi si trovano aree di endometriosi. Questo dato bene si
accorda con l’istogenesi di questi tumori ovarici: c’è un gruppo che può formarsi dalla caduta sull’ovaio di
epitelio tubarico neoplastico e un altro gruppo si può formare da endometriosi retrograda dall’endometrio.

Nell’ adenocarcinoma endometrioide ci può essere una differenziazione squamosa (25-50% casi) e si parla
di adenoacantoma dell’endometrio o di adenosquamoso.

Nel 15-20% dei casi si può trovare un cancro endometrioide dell’ovaio e contemporaneamente un
carcinoma endometrioide dell’endometrio, questo perché entrambi i tumori hanno gli stessi fattori
permissivi per il loro sviluppo. Ma come facciamo a distinguere se un tumore dell’endometrio è sincrono o
è una metastasi dal carcinoma endometriale infiltrante? Se il tumore è sincrono sarà un carcinoma
endometriale molto superficiale e di bassissimo grado (G1), se invece il carcinoma dell’endometrio è di alto
grado e molto infiltrante (G3) ci troviamo di fronte ad una metastasi di un carcinoma massivamente
infiltrante della parete dell’endometrio.

- TUMORI A CELLULE CHIARE

I tumori a cellule chiare dell’ovaio sono considerati di grado 1 e quindi quelli più favorevoli.

Macroscopicamente si presentano, per lo più, come la combinazione di aree solide e cistiche.


Rappresentano il 10 % delle neoplasie maligne dell’ovaio. Sono associati con l’endometriosi e in parte ciò
giustificherebbe che vengono fuori da un’endometriosi retrograda. Nel 40 % dei casi sono bilaterali.

191
- TUMORI TRANSIZIONALI

Infine ci sono tumori transazionali. Ne esistono due categorie ed hanno la caratteristica di essere costituiti
da una componente molto simile all’urotelio. Secondo alcuni rappresentano il 10% dei tumori ovarici.
Questi tumori sono transizionali di aspetto (simil vescica) ma vengono considerati una variante dei tumori
di tipo 1 cioè di basso grado.

Transizionale è il tumore di Brenner, tumore benigno, e si presenta come reperto occasionale di


isteroannessiectomia. Appare come piccole masse fibrose dense nel quale sono presente zone chiare
chiamate nidi di cellule transizionali (peculiare caratteristica del tumore).

TUMORI SECONDARI

Questi sono neoplasie maligne che metastatizzano alle ovaie da altri siti extraovarici, rappresentano il 10%
dei tumori ovarici. Di questi il 70% sono bilaterali, di cui il 30% prevalentemente solidi con piccole cisti e
quindi ovarici. In questi casi, in passato, non essendo utilizzata la terapia farmacologica a base di
antiestrogeni, si procedeva alla castrazione dell’ovaie e all’esame istologico si notò come l’ovaio era il
bersaglio di metastasi, per esempio, da carcinoma lobulare della mammella.

Il più famoso è il tumore di Krukenberg (carcinoma gastrico) che metastatizza bilateralmente all’ovaio.

La metastatizzazione in quest’area è passata dall’ 1% al 10%, questo aumento si può spiegare in due modi:

1. alcuni tumori che erano ritenuti primitivi ovarici in realtà non lo erano, tra questi l’esempio più
caratteristico è l’adenocarcinoma mucinoso ovarico (questo tumore osservato al microscopio
presenta aree benigne, aree bordeline e aree maligne). Sono diminuiti perché si è scoperti che la
maggior parte sono metastasi di altri tumori che provengono dal peritoneo
2. Oggi possiamo notare un aumento dei tumori secondari dell’ovaio perché si è allungata la
sopravvivenza al tumore.

Le vie di metastasi all’ovaio sono invasione linfatica retrograda (ca dell’endometrio), disseminazione
peritoneali (questa può essere data dallo stomaco, dal pancreas, dal colon, dalla colicisti), disseminazione
sistemica (ca della mammella) e in alcuni casi possono dare metastasi all’ovaio anche i tumori a cellule
renali. In questo caso la spiegazione è puramente istologica: l’ovaio secerne estrogeni e progesterone,
ormoni steroidei, che sono grandi cellule con citoplasma abbondante chiaro, così come anche le cellule
renali. Ci sono malattia non epiteliali che possono dare localizzazione ovarica: linfomi e leucemie.

I tumori secondari dell’ovaio sono quasi sempre metastasi di tumori della mammella, colon, stomaco. La
diagnosi non è semplice e viene fatta soprattutto quella differenziale grazie all’utilizzo di immunofenotipi.

192
Se ho un carcinoma mucinoso dell’ovaio è positivo alla citocheratina 7 (citocheratina genitale) e negativo o
debolmente positivo alla ck 20 (ck tipica del tratto colon-retto), di conseguenza se all’indagine istochimica
avrò positività per la ck20 e negatività alla ck7 la probabilità che sia un tumore primitivo dell’ovaio è
bassissima; proprio per i tumori del colon –retto se si ha positività alla ck 20 e al cdx2 (marcatore del colon)
c’è più probabilità di avere un tumore in quel tratto, se ho un tumore della mammella che ha dato
metastasi all’ovaio troverò positività alla ck7 ma troverò anche positività al marcatore della malattia cistica
mammaria (GCDF15), che invece risulta essere negativo per il tumore all’ovaio. Se il gcdfp15 è sempre
negativo nelle lesioni primitive, posso fare diagnosi per un tumore secondario (naturalmente la diagnosi
non è così francamente semplice).

Dal punto di visto terapeutico nei tumori ovarici, seguendo l’iter chirurgico, viene svolto il lavaggio del
peritoneo e raccolta di liquido per l’analisi citologica, segue la biopsia di lesione sospette, omentectomia e
isteroannessiectomia.

Da questo iter nasce la classificazione FIGO basata su una stadiazione chirurgica. Valuta:

 sede se coinvolge uno o due ovaie,


 dimensione espresse in cm ,
 diffusione delle cellule tumorali nei linfonodi regionali,
 la presenza o meno di cellule tumorali nel lavaggio e la presenza eventualmente di metastasi a
distanza.

TUMORI A CELLULA GERMINALI

I tumori che originano dalle cellule germinali sono molto pochi, sia quelli testicolari che ovarici sono uguali,
ma con incidenza diversa. Quelli del testicolo sono tra il 90-95%, mentre nell’ovaio sono rari.

I tumori a cellule germinali rappresentano il 20-30%, quelli dello stroma sono il 10%. I tumori a cellule
germinali hanno tre caratteristiche fondamentali:

1. I 2/3 nella I decade di vita


2. Sono osservati anche durante la vita fetale
3. >60% dei tumori ovarici infantili

193
Questi di conseguenza sono tumori tipici dell’età giovanile, se non addirittura della vita fetale.

Quali sono:

 DISGERMINOMA ( 5 %)
 YOLK SAC TUMOR ( 1 %)
 CA EMBRIONALE ( 1 %)
 POLIEMBRIOMA -
 CORIOCARCINOMA ( 0,1 %)
 TERATOMA (maturo, immaturo, monodermico) ( 90 %)
 FORME MISTE (1%)

Tra quelli germinali abbiamo il disgerminoma (nell’uomo seminoma e rappresenta fino al 40%). Il più
frequente dei tumori germinali nell’ovaio per il 90% è il teratoma e la larghissima maggioranza da teratomi
maturi, piccola quota da teratomi immaturo e un ancora più piccolissima quota monodemico. Nell’uomo
un teratoma puro è rarissimo e la maggior parte dei teratomi immaturi nell’uomo sono associati ad ca
embroniale (trovare un teratoma maturo è evento eccezionale) infatti si parla di teratocarcinoma (forma
mista) che rappresentano il 30%. I tumori germinali nell’ovaio sono puri ma molto più rari, nel testicolo
sono più facilmente frequenti ma sono associati ad un teratoma. Nell’ovaio il 90% è costituiti da teratomi
maturi e benigni, nel testicolo 90% tumori seminomatosi o non seminomatosi e sono per lo più maligni.
Nell’uomo e nella donna bisogna distinguere le forme disgerminomatose /seminomatose pure da quelle
miste. Nella donna per lo più sono pure, invece nell’uomo sarà pura nel 40 % dei casi mentre per il 20% dei
casi sarà associato o ad un ca embrionale o ad un yolk sac tumor.

 TERATOMA

È il più frequente nella donna.

Sono composti da strutture derivate da i tre foglietti embrionali (endoderma, ectoderma, mesoderma) e
possono essere trifasici, bifasici e monodermici. I veri teratomi sono trifasici.

Si dividono in

 maturi (cistici e solidi) rappresentano nella donna il 95% costituiti


da tessuti epiteliali e mesenchimali specializzati come sebo, peli,
abbozzi di denti

 immaturi sono molto più rari e composti da tessuti embrionali non


specializzati come il neuroepitelio hanno però un comportamento
aggressivo, maligno

 monodermici (altamente specializzati) tra questi è


ben noto lo struma ovari, un tumore dell’ovaio
costituito da tessuto tiroideo differenziato che può
dare problemi di funzionamento, infatti pazienti a
cui è stato rimosso questo tumore sono diventati
ipotiroidei in quanto la tiroide era andata a riposo
sostituita dal tumore, carcinoide ovarico.

194
Il teratoma maturo presenta grasso degli annessi pilosebacei, matassa di peli, presenta tessuto fibroso,
osso. Questo può essere rivestito da epidermide normostrutturata è prende nome di cistidermoide. È
importante il teratoma maturo? Fa massa, può dare complicanze come la trasformazione dell’epitelio di
rivestimento squamoso in carcinoma squamoso, può torcersi e dare una sindrome da addome acuto, può
rompersi con riversamento del materiale nel peritoneo e infezione granulomatosa da corpo estraneo,
peritonite da corpo estraneo o chimica.

Il teratoma immaturo in genere è una massa solida ed e caratterizzato da grosse quantità di neuroepitelio.
L’immaturità di un teratoma è basata sulla quantità di neuroepitelio, che si dispone a rosette circondate da
cellule basofile con mitosi (immagine in basso). La forma immatura costituisce l’1% dei teratomi, è capace
di aggressività sia all’ovaio che a distanza.

Teratomi monodermici (struma ovari) possono essere causa di tireotossicosi. Quelli carcinoidi possono
trovarsi puri o insieme ad un altro tumore ovarico come il cistoadenoide mucinoso (metastasi di tumori
gastronterico o componenti di teratomi cistici). Nell’ ovaio possono raggiungere dimensioni di 6 cm.

 DISGERMINOMA

Disgerminona ha parentela con il semonima. È puro nella maggior parte dei casi, rappresenta il 5 % dei
tumori germinali dell’ovaio, il seminoma il 40 % dei tumori germinali testicolari.

Nell’uomo si sviluppano in età al di sotto dei 30 anni, rari al di sopra dei 50 anni e al di sotto dei 5 anni. Non
presenta segni. Il soggetto può solo presentare tumefazione testicolari o dolore. La prognosi di questi
tumori è buona in quanto entrambi i tumori sono radio e chemiosensibili. La terapia è chirurgica, viene
rimosso nell’uomo è più semplice infatti si effettua una orchiectomia, nella donna si fa un’asportazione
della massa ovarica. Pur essendo bilaterale nel 10% de casi, la tendenza attuale dato che colpisce soggetti
giovani è quella di non eseguire un’isteroannessiectomia soprattutto quando è ben circoscritto. Il quadro
istologico di questi tumori è uguale, costituiti da una popolazione cellulare uniforma costituita da grandi
cellule raggruppate in alveari, separati da setti costituiti da popolazione linfoide caratteristica e in alcuni
casi può essere presente una reazione granulomatosa.

195
Disgerminoma Seminoma

 CARCINOMA EMBRIONALE

Il ca embrionale frequente nell’uomo metà in forma pura e meta associato o a teratoma (teratocarcinoma),
seminoma o yolk sac. Nell’uomo e nella donna l’incidenza è bassa. Nell’uomo si presenta in giovani di 15 aa.
Nella donna eventuali sintomi vengono dati dalla massa. Qualche volta secernono ormoni sessuali ma cosa
più importante, quando si ritrova una massa ovarica, è l’eseguire attente indagini di laboratorio, tra cui CA-
125, CA 9-9, Hcg, alfafetoproteina. La donna presenti sintomi: amenorrea, pseudoprecocità sessuale, in più
sanguinamento, elevata hCG e AFP (se la donna ha un tumore ovarico si deve sospettare ca embrionale), la
massa appare solida e variegata, la prognosi nella maggior parte dei casi è sfavorevole.

 YOLK SAC TUMOR

o Età < 20 aa (19 aa), molto raro dopo i 40 aa


o Segni e sintomi di massa,  AFP
o Massa con aree cistiche, frequenti aree di emorragia e necrosi
o Prognosi sfavorevole

YOLK SAC è caratterizzata da secrezione elevate AFP, prognosi sfavorevole, masse con aree cistiche,
frequenti aree di emorragia e necrosi, ci sono almeno 10 patterns diversi.

 CORIOCARCINOMA

Coriocarcinoma primitivo dell’ovaio non gestazionale è una


neoplasia maligna molto rara soprattutto nella sua forma pura,
massa solida emorragica, friabile. Sono più visibili aree di
coriocarcinoma in molti tumori germinali di entrambi i sessi che
causano un aumento della hcg. Per avere un coriocarcinoma
devono essere presenti solo cellule del sincizio trofoblasto
(cellule giganti multinucleate). È utile dire che ci sono
disgerminomi e seminomi che sono costituiti da cellule del
sinciziotrofoblasto e quindi presentano elevata hCG. È un
tumore bilaminare costituito da un core centrale di
citotrofoblasti rivestito da sincitrofoblasti. Si trova nell’utero perché è legato maggiormente alla gravidanza.
È un tumore si diagnostica grazie all’elevata hCG e che tende ad autodecapitarsi, perchè cresce in maniera
veloce e spropositata e lo stroma vascolare non riesce a sostenere la crescita. Si presentano come aree
necrotiche ed emorragiche.

196
TUMORI DELLO STROMA E DEI CORDONI SESSUALI

Sono presenti tre gruppi:

 Quelli della granulosa


 Quelli del gruppo fibroma-tecoma
 Quelli cosiddetti a cellule del Sertoli e del Leydig

Questi sono tumori dello specializzato stroma ovarico e danno segni di sé con un aumento della produzione
di ormoni sessuali a loro destinati.

 TUMORI A CELLULE DELLA GRANULOSA

Tumori a cellule della granulosa sono per il 75% dei casi associati ad iperestrogenismo soprattutto quando
si presenta in età prepubere e possono dare manifestazioni androginiche; se invece si presentano in età
adulta, possiamo avere un’iperplasia dell’endometrio. I tumori appaiono cistici e solidi. Ci sono forme
differenziate e non. Questi possono invadere strutture contigue all’ovaio e presentare metastasi (rare).
Sono tumori di grandi dimensioni, si presentano in età adulta. Sono tumore poco differenziati con elevato
indice mitotico, e possono dare rottura della massa.

Esiste una forma adulta ed un giovanile: nella forma adulto sono presenti corpi di call-exner (differenziato),
alla microscopia appare come una popolazione di cellule uniforme rotonda-ovale, angolata con incisure
nucleari. Presenta un basso indice di proliferazione.

 FIBROMA/TECOMA

Fibromi/tecomi si presentano biancastri più giallastri, presentano grasso. In alcuni rarissimi casi possono
avere atipia citologica e una proliferazione molto marcata. Danno manifestazione estrogeniche come
irsutismo, iperplasia dell’endometrio, metaemorragie.

A livello dell’ovaio possiamo avere iperplasia tecale bilaterale sono gialle sono responsabili di un ca
endometroide dovuta a maggiore produzione di estrogeni.
197
 TUMORI A CELLULE DI SERTOLI-LEYDING

Tumori a cellule di sertoli-leyding: tumori rari, possono trovarsi sia nel testicolo che nell’ovaio,
naturalmente maggiormente presenti nel testicolo, nell’uomo da un segno caratteristico: iperplasia
marcata dell’apparato genitale cioè ginecomastia monolaterale o bilaterale, i tumori sono bilaterali, sono
associati ad iperandrogenismo infatti nella donna tra 25-30 aa presenta un amenorrea permanente e
irsutismo. Sono costituiti da strutture arbotive , sono 5 categorie.

ASSOCIAZIONE CON SINDROMI ENDOCRINE E PARAENDOCRINE

I tumori ovarici non endocrini possono essere associati a sindromi endocrine e paraendocrine tra cui
iperfunzione tiroidea (carcinoide o struma ovarico), ci possono essere tumori come quelli mucinosi, sierosi-
mucinosi che danno delle sindromi. Ad esempio la sindrome di Meigs che consiste in un versamento
pleurico sine causa associati alla presenza ad un tumore fibromatoso dell’ovaio, oppure si possono avere
rialzo della glicemia, diabete, ipercalcemia associati a tumori mucinosi.

Si spiega perché nell’ovaio soprattutto nei tumori di tipo mucinosi sono presenti le cellule argirofile, cellule
del sistema neuroendocrino diffuse per cui possono secernere diversi tipi di ormoni e dare problemi
endocrini.

LESIONI OVARICHE PSEUDOTUMORALI


Inoltre possono esserci anche lesioni ovariche pseudotumorali possono essere: edema massivo, corpo
luteo cistico, ovaio policistico, iperplasia stromale-ipertricosi.

CITOLOGIA DEL GENITALE FEMMINILE

La prima fonte citologica è il genitale femminile perché la citologia è nata con degli studi di Papanicolau
che ha ideato il Pap-test, in realtà non ha studiato l’epitelio pavimentoso della cervice umana ma studiava
le variazioni istogeniche dell’epitelio vaginale dei porcellini d’india e poi ha applicato questi concetti alla
cervice uterina. Dal punto di vista istologico la parete uterina è costituita da un epitelio esterno che si
chiama esocervice formato da epitelio pavimentoso pluristratificato e dall’endocervice che è un epitelio
cilindrico semplice ciliato. Il punto più importante è quello in cui la esocervice si continua nella endocervice:
quest’area si chiama giunzione squamo cellulare perché è il punto di giunzione tra epitelio squamoso
dell’esocervice ed epitelio cilindrico dell’endocervice.

198
ESEMPI:

1. muso di tinca, utero, preparato fresco.


lesione cistica dell’ovaio che in genere sono piccole, molto frequenti e si riducono fino a scomparire
o se accrescono c’è il rischio che possano dare origine ad un tumore.
RICORDA: Ogni volta che si fa il prelievo di una lesione viene misurato e descritto, descrizione e
diagnosi macroscopica.
2. piaghetta al collo dell’utero. E’ un’area di erosione. La differenza tra erosione e ulcera è la
profondità della lesione, l’ulcera è più profonda. Si assiste ad una maturazione continua ed
incessante di cellule che dallo strato basale si differenziano e maturano verso gli strati superficiali.
Ci sono grandi cellule rosa con nucleo picnoico cioè con cromatina addensata. Le cellule dove il
nucleo si vede meglio sono quelle dello strato intermedio. Se invece trovo cellule più piccole, con
un rapporto nucleo/citoplasma aumentato e con cromatina finemente dispersa: sono cellule
parabasali e basali. Se trovo queste cellule in superficie ci sono due possibilità
 C’è un’erosione, per cui sono saltati gli strati superficiali ed intermedi e il ginecologo ha
prelevato con la spatola cellule degli strati più profondi;
 La maturazione delle cellule dagli strati basali a quelli superficiali è sotto il controllo ormonale,
soprattutto gli estrogeni. Se la maturazione non avviene vuol dire che non ci sono estrogeni ,
questo striscio infatti è caratteristico delle donne in menopausa.

La menopausa morfologica non coincide con la menopausa clinica, può anticiparla. Però a meno
che la donna non sia già clinicamente in menopausa non possiamo scriverlo sullo striscio.

3. La cellula dell’endocervice si presenta eccentrica con nucleo, allungata, colonnata, citoplasma


vacuolizzato e si possono trovare incorporate in strutture che poiché ricordano un alveolare sono
dette a nido d’ape. Quando posso fare uno striscio citologico adeguato? Nello stesso striscio devo
trovare sia cellule pavimentose cilindriche, perché devo avere la certezza di aver prelevato cellule
in corrispondenza della giunzione squamo cellulare.

E’ credenza comune che il Pap-test dia informazioni sulla cervice uterina, ciò è vero ma non tutti i
ginecologi sanno che può fornire informazioni anche sull’endometrio. Viene eseguito con la spatola di Ayre
che è una spatola di legno flessibile monouso che ha due estremità: ad una ha la forma di coltellino con
due lembi che vengono ruotati a livello del canale cervicale mentre l’altra estremità viene usata per fare un
prelievo in una parte anatomica particolare ossia il fornice vaginale posteriore perché se ci sono delle
cellule endometri ali si depositano su questa superficie. Sono fisiologiche nella prima metà del ciclo e sono
patologiche nella seconda metà del ciclo e in menopausa. E’ indicato fare il test in età giovanile (intorno ai
20anni) e dire al ginecologo di fare un prelievo anche a livello del fornice vaginale posteriore. Quando si
parla di prelievo al fornice posteriore il patologo non può fare diagnosi ma è tenuto ad indicare nel referto
che c’è una condizione patologica in atto, non per forza di natura neoplastica ma che può andare dalla
semplice iperplasia all’adenocarcinoma. Le cellule endometriali si riconoscono molto facilmente, vengono
dette cellule a uovo fritto: il rosso dell’uovo rappresenta la componente stromale dell’endometrio e il
bianco la componente ghiandolare.

199
MAMMELLA
Il problema della patologia mammaria è soprattutto il cancro della mammella, che è la prima patologia nel
sesso femminile ed è una malattia molto importante dal punto di vista psico-sociale.

L’impatto sociale è determinato dalla messa in funzione di una serie di problematiche legate
all’organizzazione socio-sanitaria territoriale per tentare di organizzare delle strutture che vadano al
nocciolo del problema, cioè la diagnosi precoce e la prevenzione del cancro, quindi si mira ad uno screening
efficace nello scoprire questa malattia in tempi adeguati per poter applicare una terapia adeguata. Negli
ultimi 30 anni questo obiettivo è stato abbastanza raggiunto perché, pur essendo una patologia molto
frequente, la mortalità per cancro della mammella è molto diminuita e gli indici di sopravvivenza sono
aumentati, per l’affinamento dei presidi diagnostici e terapeutici.

L’obiettivo,quindi,è stato in parte raggiunto,anche se non ancora completamente.

UNITÀ TERMINALI DUTTULO-LOBULARI

La mammella è una ghiandola duttulo-acinica o tubulo-alveolare, caratterizzata da strutture duttali che si


sfioccano nelle sue unità funzionali, le unità terminali duttulo-lobulari (UTDL), collegate l’una all’altra da
piccoli dotti che si ramificano fino a incanalarsi in dotti un po’ più grandi e via via verso i dotti galattofori
presenti in numero molto variabile, di 7-8-10-12,che vanno alla regione areolare, nel capezzolo, verso
l’esterno.

Facendo un galattogramma, iniettando cioè un mezzo di contrasto in


questi dotti, si mette in evidenza questa struttura ramificata, con questi
dotti che nella parte più terminale della ghiandola confluiscono nelle unità
duttulo-lobulari.

Questa struttura ghiandolare è immersa in uno stroma fibro-adiposo (a

200
seconda dell’età della paziente ci sarà più tessuto fibroso o adiposo).

Se si vanno ad esaminare più da vicino le unità terminali duttulo-lobulari, ad esempio in un agoaspirato, si


osservano dei cul di sacco terminali,le strutture alveolari dell’acino terminale della ghiandola che
confluiscono in dotti più piccoli. Si avrà un’ immagine tridimensionale della ghiandola aspirata,se invece
facciamo un preparato istologico avremo immagini bidimensionali, si osserveranno UTDL con acini
terminali che cofluisono in dotti sempre più grandi fino agli extralobulari che portano il secreto verso
l’esterno. Il secreto prodotto da queste ghiandole (viene prodotto normalmente,ma si specializza in
gravidanza,diventa latte), quindi, viaggia in questi dotti e va verso l’esterno. Interposto tra le ghiandole c’è
lo stroma intralobulare che è quello che risponde agli stimoli estro-progestinici ,all’esterno dell’acino c’è lo
stroma extralobulare, più rosa, fibroso, che invece non risponde agli stimoli ormonali.

La maggior parte (quasi il 90%) delle lesioni patologiche ha origine in queste strutture duttulo
terminali(benigne ,maligne o anche altre patologie mammarie),solo il 10% ha origine ad esempio dai grandi
dotti o dal capezzolo.

Se si va a vedere più da vicino questa struttura in un preparato istologico più fine, si osserverà:

 il lume ghiandolare in cui è riversato il secreto,


 il rivestimento epiteliale della ghiandola fatto da cellule epiteliali che hanno nuclei un po’ ovali,
con citoplasma che ha secrezione apocrina cioè con il polo luminale che quasi si sgretola a formare

201
la secrezione. Da queste cellule si originano i carcinomi mammari. Le cellule luminali sono un po’
allungate,alcune volte cubiche e polarizzate verso il lume.
 Queste cellule epiteliali poggiano su un altro tipo di cellule a formare una struttura ghiandolare
bicellulare,con uno strato interno epiteliale e uno esterno di cellule mio - epiteliali (con duplice
funzione:epiteliale e muscolare). Le cellule mio-epiteliali invece sono perpendicolari rispetto alla
cellula luminale.
 Le cellule mioepiteliali poggiano sulla membrana basale (lume→c. epiteliali→cellule mio-
epiteliali→membrana basale).

Volendo schematizzare:

Questa struttura ghiandolare si trova all’interno dello stroma intralubolare dove ci sono cellule fusate che
sono fibroblasti,mio fibroblasti,alcune cellule che hanno funzione immunitaria come i linfociti,c’è poi una
matrice fibrosa lassa che è la matrice extracellulare, poi ci sono vasi piccoli che devono nutrire questa
struttura con le cellule endoteliali che rivestono la parete interna del vaso.

Questa è la struttura fondamentale della mammella,è il microambiente in cui si sviluppa il cancro.

Se viene fatta una reazione con anticorpi contro l’actina o la proteina S100 (sono tra le migliori) che sono gli
antigeni presenti nelle cellule mio-epiteliali, queste cellule saranno messe in evidenza. Lo si può fare anche
con CD10 ,la calponina,il caldesmone.

Queste strutture sono molto legate le une alle altre;le cellule epiteliali luminali sono legate tra di loro
attraverso i desmosomi e sono legate alle cellule mio-epiteliali attraverso altre strutture emi-
desmosomiali. Nelle cellule epiteliali ci sono residui di microfibrille di citocheratina, nelle cellule mio-
epiteliali ci sono fibrille di actomiosina (per questo si chiamano cellule mio epiteliali, hanno filamenti
202
contrattili). Poi c’è la membrana basale,c’è uno stretto legame tra queste cellule e le strutture
mesenchimali. Teoricamente queste strutture,quindi, formano una vera e propria barriera a tutto ciò che si
può sviluppare all’interno della ghiandola. Con la microscopia elettronica si vedono questi filamenti sottili di
miosina e actina nei prolungamenti delle cellule mio-epiteliali.Sono questi filamenti che danno alle cellule
mio-epiteliali la capacità di contrarsi,per svolgere la propria funzione che è quella di spremere la secrezione
e farla progredire nel sistema duttale.

Le cellule mioepiteliali, quindi, hanno un fenotipo contrattile e rispondono soprattutto all’ossitocina


(“l’ormone della gravidanza” che induce la secrezione mammaria).

Queste cellule hanno anche altre funzioni:

 contribuiscono alla sintesi della membrana basale circostante


 sono importanti per la polarizzazione delle cellule luminali
 partecipano al turn-over della sostanza extracellulare attraverso la produzione di metallo-
proteinasi
 costituiscono una barriera strutturale naturale alle possibili trasformazioni neoplastiche che si
possono produrre dentro la struttura
ghiandolare

Se si fa un preparato istologico con una colorazione


PAS (immagine al lato), che è tipica della membrana
basale, si metterà in evidenza, all’esterno delle cellule
mio-epiteliali una membrana molto spessa
connettivale, epiteliale e ghiandolare che fa da
barriera (La membrana basale è fatta da collageno IV,
laminina, fibronectina, proteoglicani ed è
strettamente in contatto con la matrice stromale).

Alla Microscopia Elettronica si ha un’immagine tridimensionale in cui si vedono le cellule mio-epiteliali che
costituiscono un vero e proprio canestro che avvolge le strutture terminali lobulari. Tutto è perfettamente
costruito per il fine ghiandolare.

Le cellule epiteliali e le mio-epiteliali derivano da elementi precursori che vanno verso la differenziazione
epiteliale o mio - epiteliale, in dipendenza delle necessità. La differenziazione epiteliale prevede
203
l’assunzione di determinati tipi di citocheratine (per es. 8 e 18),invece la differenziazione mio epiteliale fa si
che la cellula acquisisca altri tipi di citocheratine più actina, calponina e altri antigeni come CD10, questo
perché sono cellule più specializzate,avendo due componenti (epitelio e muscolo). C’è questa elasticità
funzionale che dipende dai bisogni funzionali della ghiandola. Le cellule epiteliali,inoltre,sono positive per
estrogeni e progesterone.

MODIFICAZIONI DELLA GHIANDOLA

Nel corso della vita la ghiandola mammaria si modifica. A seconda delle fasi (prebuberale, pubertà,
gravidanza, menopausa) della vita assumerà diversa consistenza e composizione, che dipendono da vari
fattori (ormonali, numero di gravidanze etc..). Una mammella giovanile presenta poca struttura fibrosa,
poco adipe; una del periodo fertile invece avrà tutte le strutture duttulo lobulari, lo stroma fibro-adiposo. In
gravidanza le strutture ghiandolari sono enormi, iperplastiche e nella fase postmenopausale le strutture
ghiandolari sono molto scarse, prevale il tessuto adiposo.

PATOLOGIA MAMMARIA

La maggior parte delle lesioni mammarie ha origine proprio dalle queste strutture ghiandolari terminali. A
fronte di una struttura anatomo-funzionale piuttosto semplice, la patologia della mammella è
estremamente complessa e variegata. Ci sono per esempio una cinquantina di istotipi di cancro mammario.
Man mano che si va avanti con le conoscenze dall’istologia, all’immunoistochimica, all’ espressione dei
profili genici, le neoplasie della mammella si diversificano sempre di più. Su 10 neoplasie ci saranno almeno
5 istotipi diversi e questo è importante per poter applicare un trattamento diversificato. Oggi la terapia

204
oncologia è individualizzata. La tipizzazione biomolecolare delle terapie è una delle applicazioni più
importanti per effettuare una terapia individualizzata che è quella che più dà speranza di cura.

PATOLOGIA BENIGNA

- MODIFICAZIONI FIBROCISTICHE O MASTOPATIE FIBROCISTICHE NON PROLIFERATIVE

Sono le patologie più comuni che possono presentare il 60% delle donne
nella vita fertile e anche in post menopausa. Sono le cosiddette nodularità
che le donne scoprono con l’autopalpazione o andando a fare una visita
senologica, ma che non hanno molto significato dal punto di vista
evolutivo.

Spesso sono nodularità bilaterali e multiple possono anche essere


monolaterali e singole ed in questo caso si deve subito fare diagnosi
differenziale con le neoplasie.

Per molti Autori non sono malattie vere e proprie ma modificazioni


ghiandolari legate all’involuzione-evoluzione del parenchima
mammario,sottoposto periodicamente a stimoli estro-progestinici.

Queste modificazioni sono le cisti,molto frequenti. Sono dilatazioni delle


UTDL, legate spesso alla presenza di micro calcificazioni
perché si modifica anche la qualità del secreto di queste
ghiandole. Spesso c’è anche una metaplasia delle cellule
ghiandolari che diventano apocrine (ricordiamo che la
ghiandola mammaria è una ghiandola sudoripara apocrina
modificata).

C’è una strozzatura a livello delle UTDL,dovuta allo stroma,


con un accumulo di secrezione. Pian piano la ghiandola si
dilata e diventa una cisti palpabile con la parete che comincia a diventare fibrosa. Queste modificazioni che
sono anche stromali con presenza di micro calcificazioni costituiscono queste nodularità multiple.

La cisti si può complicare in quanto può rompersi e


comportare un’infiammazione ascessuale per cui la
paziente non solo sente il nodulo ma ha anche dolore. Da
una piccola dilatazione si può arrivare a cisti anche di 3-4
cm che sono le classiche nodularità della mammella del
tutto benigne.

Queste cisti si chiamano “cisti blu”perché hanno contenuto


siero ematico che in trasparenza assume un colore blu (immagine al lato)

- ATROFIA GHIANDOLARE
- ADENOSI GHIANDOLARE
205
E’ un’altra modificazione benigna della ghiandola mammaria.

Trenta anni fa c’era il terrore del cancro alla mammella e quindi i chirurghi asportavano qualsiasi nodulo,
indiscriminatamente, e molte biopsie, poi esaminate, erano di tessuti benigni. Oggi non è più così grazie a
vari presidi (mammografia,agoaspirato etc…).

Classicamente questi noduli erano fatti da fibrosi che gli


conferiva durezza e da cisti di varie dimensioni, a volte
avevano aspetto a formaggio svizzero. Alcune volte c’è una
proliferazione dell’epitelio e del mioepitelio che si può
mettere in evidenza con l’immunoistochimica e si ha
un’immagine piuttosto disordinata. L’adenosi può essere
sclerosante, cioè invasa dallo stroma quindi il nodulo sarà
benigno ma darà origine al nodulo clinico con proliferazione
di epitelio, mioepitelio e stroma.

- IPERPLASIA SENZA ATIPIA

Può esserci un’iperplasia epiteliale,con proliferazione cellulare all’interno delle strutture ghiandolari senza
nessuna atipia detta anche epiteliosi.

- RADIAL SCAR

Altre volte si ha una sorta di


cicatrice radiale dentro la
mammella , la radial scar. È
benigna ma può essere confusa
con il cancro perché dà
un’alterazione strutturale
molto importante nella
ghiandola mammaria, è una di
quelle lesioni stellate. Qui c’è
bisogno di un agoaspirato e di
una biopsia dopo perché simula
un carcinoma invasivo,
mammograficamente ma anche
istologicamente anche se c’è la garanzia di benignità che è data dalla presenza dei due strati epiteliale e
mesenchimale.

RICORDA: la ghiandola bicellulare è sempre benigna! C’è una sola lesione della ghiandola mammaria che
non ha cellule mio epiteliali eppure è benigna: l’ adenosi microghiandolare.

- STEATONECROSI TRAUMATICA

La steatonecrosi traumatica non è altro che un rimaneggiamento traumatico del grasso mammario dovuto
a piccoli traumi. In genere la si ritrova nelle donne anziane obese che hanno mammelle con una grande

206
quantità di tessuto adiposo, che hanno perso
elasticità. Si ha una massa di 2cm in media, non
dolente, dura, superficiale, con retrazione della
cute soprastante (segno sospetto di cancro), è
mal definito e ha anche microcalcificazioni al
suo interno, quindi alla mammografia viene
diagnosticato come molto sospetto. Infatti uno
degli aspetti mammografici di sospetto cancro è la
presenza di clusters di microcalficicazioni in una
lesione irregolare. Quindi la diagnosi
differenziale con il carcinoma si pone dal punto di
vista clinico e mammografico. Istologicamente si vedono grandi istiociti a citoplasma schiumoso,ci sono
aghi di colesterolo che si formano per il rimaneggiamento del grasso. Tutto ciò forma questo focolaio di
steatonecrosi.

- IPERPLASIA CON ATIPIA

In alcune strutture ghiandolari mammarie si possono trovare iperplasie epiteliali con atipie citologiche.

Sono atipie nucleari,di rapporto nucleo-citoplasma,di irregolarità,di proliferazione clonale. Si apprezzano sia
nei piccoli dotti come iperplasia duttale
atipica,sia negli acini terminali come iperplasia
lobulare atipica.

LESIONI DA INDAGARE

Ci sono tre classi di lesioni che spesso si indagano con screening mammografico:

1. Modificazioni non proliferative (cisti,adenosi). Hanno rischio =1, cioè uguale alla popolazione
normale.
2. Malattia proliferativa senza atipie (adenosi sclerosante, radial scar,epiteliosi).Ha rischio =1,5 -2 è
molto basso. Nei soggetti con più di 55 anni il rischio sale al 25% e se a questo si aggiunge una
familiarità (parente stretto che ha avuto cancro alla mammella) aumenta del 50%.
3. Malattia proliferativa con atipia. Quando si trovano strutture proliferanti nella ghiandola,non è
ancora cancro,neanche un carcinoma in situ,è una lesione atipica. Hanno rischio = 4-5; in soggetti
con più di 55 anni aumenta del 50% e se c’è familiarità aumenta del 100%. Il rischio di sviluppare la
neoplasia è in entrambe le mammelle,non solo in quella dove c’è questa lesione atipica perché
queste lesioni sono il frutto di stimolazioni ormonali che agiscono su tutto l’epitelio ghiandolare.

Queste pazienti devono essere seguite bene con l’ ecografia e la mammografia,con citologici se il sospetto è
importante. Le pazienti ,quindi,sono selezionate in baso al loro rischio(calcolato su base morfologica,
clinica, genetica) di sviluppare una neoplasia.

207
CANCRO DELLA MAMMELLA

STORIA NATURALE

Se c’è un cancro deve esserci un pre-cancro, ci deve essere una sequenza di aspetti morfologici (normale,
proliferativo tipico, atipico) fino allo sviluppo della malignità. Questo processo suppone modificazioni
molecolari di instabilità genomica, di mutazioni, di oncogeni, dell’apoptosi che seguendo determinati
pathway portano alla proliferazione incontrollata della popolazione neoplastica.

Quindi l’ipotesi è che ci sia un processo di fasi sequenziali nella carcinogenesi e tra le lesioni benigne e
quelle maligne ci sono almeno quattro lesioni che fungono da precursori. Fino a quando non si ha
l’invasione stromale teoricamente la lesione è benigna.

Sulla base di ciò l’iperplasia duttale atipica progredisce verso il carcinoma duttale in situ e l’iperplasia
lobulare atipica verso il carcinoma lobulare in situ. Per far sì che questa lesione in situ divenga invasiva ci
vuole molto tempo,è un processo molto impegnativo basato sull’aggressività della popolazione neoplastica
(molto variabile) e sulla capacità difensiva del microambiente del paziente.

LESIONI A CELLULE COLONNARI E ATIPIA EPITELIALE PIATTA

Oltre a queste lesioni atipiche ne è stato individuato un altro gruppo, circa una quindicina di anni fa: le
lesioni a cellule colonnari. In molte UTDL si ha una caratteristica trasformazione delle cellule luminali che
diventano tipicamente cilindriche,colonnari. Da queste cellule può svilupparsi una lesione che è l’ atipia
epiteliale piatta (FEA) che deriva, appunto, dalle modificazioni colonnari dell’epitelio ghiandolare e le
cellule che costituiscono queste ghiandole cominciano a disporsi in maniera non orientata verso il lume, ma
si dispongono orizzontalmente perdendo la propria polarizzazione. All’interno di questa lesione ci sono
microcalcificazioni perché la secrezione è modificata quindi precipitano ossalati di calcio che saranno visibili
anche mammograficamente.

L’atipia epiteliale piatta è una lesione che sta diventando sempre più significativa nelle biopsie. In passato
non era stata ben valutata. E’ una lesione atipica che risponde alla stimolazione estroprogestinica, è

208
scarsamente proliferante, con indice di proliferazione che è meno dell’1%, però è sicuramente una lesione
precancerosa che può essere isolata o multifocale. Le pazienti che la hanno devono essere sottoposte ad
uno strettissimo follow-up.

E’ stato dimostrato, inoltre, che queste lesioni hanno modificazioni genetiche(es. delezione del cromosoma
16) che sono le stesse del carcinoma in situ,questo dato biomolecolare ha fatto sì che questa lesione sia
stata presa in considerazione come il più importante precursore del cancro della mammella.

E’ stato proposto un modello di evoluzione multi step che parte proprio dalle lesioni a cellule colonnari e
che va dapprima al carcinoma in situ e poi al carcinoma invasivo. Queste modificazioni le si possono
apprezzare sul piano istologico perché già sottintendono delle alterazioni su base molecolare, quindi
quando si fa diagnosi di iperplasia epiteliale atipica già si sa che quella lesione è sulla strada dell’evoluzione
in carcinoma. Questo è importante per la terapia.

PATHWAYS MOLECOLARI E MODELLO DI CRESCITA

Un altro concetto che si è fatto strada in questi ultimi anni, proprio su base biomolecolare, è che molto
probabilmente non esiste solo questa strada, che porta a carcinomi di basso grado, ma c’è un’altra strada
con altre modificazioni biomolecolari che porta allo sviluppo di carcinomi di alto grado. Sono due strade
diverse, è difficile che ci sia carcinoma in situ di basso grado che diventa carcinoma invasivo di alto grado.
Sono pathway molecolari non obbligatori, ma diversi. Già analizzando le lesioni precancerose si può
stabilire se andranno verso un tipo di carcinoma di alto o basso grado.

In passato, quando veniva scoperto un carcinoma invasivo di 1 cm si era contenti perché lo si considerava
piccolo; ma in realtà è un carcinoma già avanzato con milioni di cellule. Un carcinoma di 5mm
probabilmente ha già dato micro metastasi ossee che non si vedono e non hanno sintomatologia.
Probabilmente ci saranno anche microfocolai ai linfonodi ascellari. E’ un carcinoma che sta lì da anni, che ha
già proliferato e fatto partire metastasi per via sistemica. L’autopalpazione non è un metodo per prevenire
o per fare diagnosi precoce: quando la donna riesce a palparsi il cancro vuol dire che è già avanzato,
bisogna solo sperare che si tratti di un altro tipo di lesione benigna ma se è un cancro è già avanzato.
L’autopalpazione è utile solo per accorgersi di modificazioni prima non presenti. L’esame con cui è possibile
fare diagnosi precoce è lo screening eco-mammografico a tempo.

Oggi la strategia che si cerca di mettere in atto è quella di fare una diagnosi precoce individuando lesioni
preinvasive o il carcinoma ancora in situ. Prima le diagnosi di carcinoma in situ erano del 5%, oggi sono il
40% proprio grazie alla strategia di screening.

209
DCIS: CARCINOMA DUTTALE IN SITU

Se i programmi di screening vengono eseguiti correttamente più del 40% delle neoplasie diagnosticate
saranno carcinomi in situ. Nel decennio ’83-’93 c’è stato un incremento del 557% del carcinoma in situ
rispetto al passato, del resto nell’ultimo decennio c’è stato un incremento notevolissimo di DCIS ed è
importante perché il DCIS è una lesione unicentrica, segmentale, di un singolo sistema duttale ma che può
essere anche estesa al momento della diagnosi, quindi l’asportazione tempestiva dovrebbe dare buona
capacità di controllo dei pazienti. La sopravvivenza totale del carcinoma in situ è del 98% a 10 anni.

La classificazione anatomo-patologica
distingue il DCIS

 Micro papillare
 Cribriforme
 Solido
 Comedonico
 (sul libro è riportata una quinta
forma : papillare)

Anche il DCIS può essere suddiviso in 3 gradi

1. Basso, forma differenziata


2. Intermedio, moderatamente differenziato
3. Alto, scarsamente differenziato

Il carcinoma in situ che deriva da alcuni precursori sarà di basso grado, quello che deriva da altri precursori
sarà di alto grado.

Il fatto che sia presente il mioepitelio ci fa capire che è in situ. Le cellule del lume sono sempre contornate
dalle cellule mio epiteliali, poi c’è la membrana basale e lo stroma.

Poi possiamo dire che è di basso grado se le cellule sono piccole, monomorfe e non sono atipiche. Nel
grado intermedio sono presenti cellule atipiche con un po’ di necrosi e nell’alto grado cellule molto
atipiche, bruttissime ma sempre in situ. Il rischio di recidive per la paziente è ovviamente più alto in caso di
CDIS di alto grado.

In genere questo carcinoma mostra recettori per gli estrogeni e per il progesterone, quindi è abbastanza
ben differenziato.

Il carcinoma si sviluppa a carico delle cellule luminali, che possono essere colpite in precedenza da lesioni
colonnari, epitelio piatto o iperplasia. Quando il carcinoma invade la membrana basale ed arriva nella
struttura stromale dove ci sono i vasi può invaderli e metastatizzare se ne ha la capacità.
210
E’ un carcinoma eterogeneo, comprende uno spettro di lesioni diverse per morfologia, estensione e
presentazione clinica. C’è anche una differenziazione su base bio-molecolare; per capire quali sono le basi
genetiche di un carcinoma di basso grado e quali sono quelle di un alto grado e prevedere la possibilità di
diversificazione in senso invasivo. Si è passati da un multistep patway a un multiple patway. Ci sono due vie
diverse: carcinomi di basso grado si sviluppano da lesioni in situ di basso grado e il patway è diverso per i
carcinomi di alto grado. E’ difficile che un carcinoma di basso grado si sdifferenzi.

Nel 98% dei casi i DCIS non metastatizzano però ci sono stati dei pazienti che con diagnosi di carcinoma in
situ hanno sviluppato metastasi purtroppo fatali. Probabilmente c’era stata una sottodiagnosi di carcinoma
in situ ma già era un carcinoma microinvasivo, il cui focolaio di invasione non era stato visto. Può anche
verificarsi in seguito a escissione chirurgica incompleta: il chirurgo non vede esattamente la lesione in situ
perché di solito non è nodulare, quindi fa una escissione piuttosto ampia ma non riesce a vedere i margini
della lesione. I CIS grandi, di alto grado con necrosi hanno molte probabilità di dare recidive. Stessa cosa
per i carcinomi che si trovano sul margine, in questi casi è consigliata radioterapia post chirurgica

RUOLO DELLE CELLULE MIOEPITELIALI NELLA PROGRESSIONE TUMORALE

Il passaggio cruciale è dalla lesione non invasiva a quella invasiva. Negli ultimi tempi le ricerche si sono
molto focalizzate sulle cellule mioepiteliali. Nella mammella ci sono tante cellule mioepiteliali ma le
neoplasie di queste cellule sono molto rare. Le cellule mioepiteliali sono presenti anche nelle ghiandole
salivari ma in questo caso i tumori delle cellule mioepiteliali sono i più frequenti. E’ curioso il fatto che nella
mammella queste cellule abbiano una straordinaria capacità refrattaria nei confronti della trasformazione
neoplastica. Si è pensato che queste cellule abbiano un programma genetico che previene la
trasformazione neoplastica di se stesse e che protegge dalla trasformazione invasiva delle cellule
neoplastiche del lume. Hanno capacità antiproliferative, antiangiogeniche e anti invasive. Bloccano la
proliferazione delle cellule carcinomatose producendo una cascata di molecole che inducono l’arresto della
crescita e favoriscono l’apoptosi. Questi effettori sono vari, come la vapsina, le citocheratine, la relaxina,
l’activina, la connessina, ecc. tutte sostanze che tendono ad abbassare i meccanismi proliferativi la
disgregazione della membrana basale.

211
Le cellule mio epiteliali fin quando sono normali svolgono questa funzione ma, se dentro il lume si hanno
proliferazioni clonali, cooperano all’invasività neoplastica. In una certa fase diventano anormali, perdono
l’equilibrio di produzione di quelle molecole che normalmente secernono. In questo modo provocano
fondamentali cambiamenti nel microambiente della ghiandola mammaria.

Una volta che le cellule neoplastiche hanno attraversato la membrana basale e sono arrivate nello stroma,
viene favorita la proliferazione dei cloni più aggressivi, si selezionano i cloni più resistenti ed invasivi.
Questa transizione tra carcinoma in situ e carcinoma invasivo è favorita proprio dalle cellule mioepiteliali,
che iniziano a secernere una serie di sostanze, come catepsine e interleuchine, mentre le cellule
neoplastiche producono citochine e chemochine; e tutto questo altera il microambiente e la membrana
basale, altera la presenza delle cellule stromali come i fibroblasti che upregolano o down regolano tutta
una serie di patway molecolari: tutto questo è alla base dell’invasività della neoplasia. A un certo punto le
cellule mio epiteliali si distruggono da sole perché il carcinoma quando invade distrugge tutto ciò che trova
sul suo percorso. L’assenza di cellule mioepiteliali è il segno più importante di carcinoma invasivo.

MECCANISMI DI INVASIONE: EMT

Le cellule neoplastiche iniziano a formare pseudopodi, una volta uscite fuori e distrutte le cellule
mioepiteliali, diventano mobili. Prima erano contrastate dalla loro aggregazione e dalla barriera, una volta
uscite fuori incominciano a camminare, producono sostanze che stimolano l’angiogenesi e degradano la
matrice e inducono nelle cellule del microambiente sostanze proangiogeniche e antiapoptotiche.

La transizione epitelio mesenchimale si verifica nel passaggio a carcinoma invasivo. Si perdono le molecole
che caratterizzano la differenziazione in senso epiteliale, verso cellule con molecole che si caratterizzano in
senso mesenchimale. La capacità delle cellule neoplastiche di diventare mesenchimali spiega la loro grande
capacità di invasione e metastatizzazione, considerando il fatto che le cellule mesenchimali sono libere.
Queste cellule hanno una maggiore capacità di invasione attraverso i vasi e di migrazione, come succede
nell’embrione: la differenza è che in quest’ultimo i fenomeni sono tutti regolati, mentre nel cancro non c’è
212
controllo. Nelle cellule neoplastiche si riattivano geni che si erano spenti durante l’embriogenesi. La cellula
diventa in grado di invadere la membrana basale, di invadere la parete dei vasi e di sopravvivere in circolo
alle difese immunitarie. Inoltre, è stato dimostrato che la stessa cellula neoplastica mesenchimale ha la
capacità di ritrasformarsi in una cellula epiteliale una volta arrivata a destinazione.

Sulla base di questa scoperta, oggi si sta cercando di agire sui fenomeni che avvengono nel microambiente
usando molecole di sintesi in grado di contrastare la produzione iniziale di proteine nel microambiente per
favorire la proliferazione cellulare in campo farmacologico: la terapia moderna cerca di circondare la
neoplasia con più fattori che agiscono sui suoi bersagli.

MICROINVASIONE

Nella fase di iniziale invasione possiamo riscontrare un DCIS con microinvasione. Con questo termine si
intende un estensione di cellule neoplastiche oltre la membrana basale nei tessuti adiacenti con nessun
singolo focus maggiore di 1mm. Ciò che bisogna andare a vedere quando troviamo un carcinoma in situ (e
abbiamo detto che sono il 40%) è se ci sono focolai di microinvasione. La microinvasione nei CIS non è una
cosa molto frequente (fino al 14%). E’ importante che il campionamento sia adeguato: bisogna campionare
tutta la neoplasia o quasi e naturalmente questo non è possibile nei casi di neoplasia molto estesa. Più
esteso sarà il tumore e più difficile sarà studiare tutta la neoplasia. Se andiamo a fare la citocheratina, è
positiva nel carcinoma intraduttale e nello stroma si vedono piccoli focolai di citocheratina se il carcinoma è
invasivo. Quando un DCIS presenta questi fenomeni possiamo andare a cercare il linfonodo sentinella per
vedere se ci sono già state metastasi: non tutti sono d’accordo con questa pratica.

A volte è facile vedere focolai di microinvasione già con ematossilina-eosina, altre volte bisogna fare il
mioepitelio: se presente, è un carcinoma in situ non invasivo.

213
Un’altra valutazione da fare sui carcinomi in situ è la presenza di tumore sui margini: il chirurgo fa la
scissione, si prende il campione, si fanno le sezioni e si mette la china sui margini di resezione. Per dire che
è stata fatta una buona escissione ci devono essere almeno 1-2mm tra il tumore e il margine indicato dalla
china. Se il carcinoma è presente sul margine, il chirurgo deve fare una nuova escissione perché rischia di
aver lasciato cellule tumorali: in tal caso ovviamente c’è maggiore rischio di recidiva.

In conclusione, il processo di trasformazione neoplastica segue più tappe, fenomeni biologici che si
verificano nei tumori della mammella così come in altri tipi di neoplasie. Oggi abbiamo la possibilità di
studiare bene queste alterazioni con l’immunoistochimica, con la biologia molecolare per capire quali sono
le singole alterazioni genetiche e molecolari alla base di queste neoplasie. Con questi nuovi metodi
abbiamo maggiori possibilità di fornire assistenza individualizzata alle pazienti.

DIAGNOSI PREOPERATORIA IN LESIONI NON PALPABILI

FNAB: fine needle aspiration biopsy

NCB: needle core biopsy

SEB: surgical excisional biopsy

Lo screening mette in evidenza molto spesso lesioni non palpabili ma sospette sul piano ecografico. La
mammografia mette in evidenza distorsioni della struttura ghiandolare e microcalcificazioni che i radiologi
sanno distinguere in sospette, maligne e benigne. Quando si scoprono lesioni sospette abbiamo tre
possibilità per fare la diagnosi di certezza:

1. L’ago aspirato, cioè una citologia agoaspirativa con ago sottile. La mammella, la tiroide e i linfonodi
sono i 3 target più importanti per questa procedura. Si va dentro il nodulo, si può svuotare una cisti,
si può fare terapia; se il nodulo è solido si esamina immediatamente e si può fare già una diagnosi
di benignità o malignità. Il problema sono i falsi negativi ma sono ridotti al minimo con un controllo
ecografico. In mani esperte la citologia agoaspirativa ha una straordinaria affidabilità.
2. L’ago biopsia, con ago doppio. E’ un esame istologico con prelievo di un cilindro di tessuto. Nelle
lesioni non palpabili c’è il problema del campionamento, non essendoci un nodulo palpabile. Si
tratta di prendere dei frustoli di tessuto dell’area sospetta, che vengono fissati immediatamente e
processati come normalmente succede. La qualità del tessuto che si ottiene è piuttosto buona.
Questi frustoli devono contenere le microcalcificazioni che sono state viste alla mammografia e
hanno spinto il radiologo a richiedere la biopsia. Vengono fatte una serie di sezioni a vari livelli
perché avendo materiale scarso ma prezioso dobbiamo andarci a cercare la lesione e paragonarla a
quello che si vedeva con la mammografia.

214
3. L’escissione chirurgica, non è la scelta d’elezione perché si rischia di fare chirurgia inutile.

I risultati migliori si ottengono con l’ago biopsia.


Oggi ci sono tecnologie come la MAMMOTOME
in cui sotto controllo ecografico si prelevano
frustoli di tessuto. Questa tecnica dà la
possibilità di vedere frustoli importanti.

Man mano il metodo si è evoluto, da 14


Gauge oggi si prelevano campioni fino a 8
Gauge:sono frustoli grandi come una
penna BIC. Più tessuto si preleva e meno
falsi negativi ci sono.

La tecnica è piuttosto semplice: si usa il


vuoto , si introduce l’ago nella lesione, si
succhia tessuto in una scanalatura, si
passa una lama e si estrae tutto
all’esterno. I prelievi vengono fatti a rotazione e si ottengono vari campionamenti della lesione. su questi
frustoli si può fare tutto: diagnosi di carcinoma in situ, calcificazione, immunoistochimica, carcinoma
invasivo, vedere se sono presenti recettori estro-progestinici, ecc. equivale quindi alla biopsia escissionale.

Bisogna confermare sul campione la presenza di calcificazioni, individuate


prima con la mammografia e vedere se coincidono. Se ci sono le
calcificazioni l’esame è affidabile; se non ci sono è stato mancato il
bersaglio e si deve ripetere l’esame. Se ci sono calcificazioni l’affidabilità è
dell’81%, se non ci sono vuol dire che è stato mancato il bersaglio e si
scende al 38%. Le microcalcificazioni sono dovute a secrezione abnorme di
cellule epiteliali alterate, neoplastiche e non (ricordiamo le cellule
colonnari); il calcio precipita e si formano queste calcificazioni che sono
come corpi
psammomatosi
o possiamo
avere
calcificazioni a croce di malta.

Con il microscopio a fluorescenza si mettono in


evidenza molto chiaramente. Sono quasi
sempre associate a lesioni in situ. Bisogna
ricordare che quando troviamo le calcificazioni, bisogna stare attenti che la lama della sezione non prenda
la calcificazione e la toglie: in questo caso non la troviamo sul preparato ma in realtà c’è. Alcune volte nel
215
frustolo c’è la calcificazione ma non troviamo nessun tumore, allora bisognerà dire al tecnico di scendere e
fare altre sezioni: step by step da 30micron si passa a 50micron poi a 100micron.

E’ importante che ci sia dialogo con il clinico e il radiologo. Questa metodica è molto utile perché è molto
affidabile e evita la biopsia escissionale. Si può fare tutto con questo esame: permette di dire se c’è o meno
il tumore. Ha una accuratezza diagnostica simile a quella della biopsia escissionale. Dopo in ogni caso si fa
radiografia del campione. Quando ci sono calcificazioni bisogna prelevare più di 10 frustoli per avere una
buona affidabilità, alcuni dicono addirittura 12. Se non ci sono si prendono 4-5 frustoli. Quando vedo un
cancro nel frustolo si può avere un approccio minimale, cioè indicare che tipo è e se c’è invasione
linfovascolare nel frustolo; oppure si può fare tutto sul campione: si possono fare biomarkers, estrogeni
,progesterone, HER2, Ki67, vedere se c’è eterogeneità nell’ambito della neoplasia ristretta all’HER2. Questo
è particolarmente importante per i tumori grandi e aggressivi,i cosiddetti “triplo negativi” ossia
estrogeni,progesterone ed HER2 negativi; i quali hanno bisogno di una terapia neoadiuvante, cioè
preoperatoria per ridurre la neoplasia. Queste pazienti spesso sono giovani ed è quindi più indicato fare
tutte le analisi possibili sul campione. La terapia neoadiuvante consiste nella somministrazione di
antracicline e taxani, generalmente con buoni risultati: fino 50% di remissione completa patologica. Ciò non
lo potremmo fare con l’ago aspirato che ci direbbe che il carcinoma è aggressivo ma non ci aiuta nella
tipizzazione.

La comunicazione tra chirurgo, radiologo, clinico e paziente dà migliori risultati. In questo modo i patologi
hanno un reale ruolo decisionale anche dal punto di vista terapeutico per i pazienti.

BIOPSIA ESCISSIONALE E FIBROADENOMA MAMMARIO

E’ un nodulo mammario benigno,è stata praticata una biopsia escissionale


rispetto a nodulo,incisionale rispetto alla mammella. Insorge nelle giovani
donne, non è suscettibile di trasformazione maligna ,viene tolto
chirurgicamente perché può crescere soprattutto durante la gravidanza e
l’allattamento e può dare problemi di fastidio o estetici. Prima
dell’escissione questa lesione è stata studiata con l’agoaspirato.
L’importante è che il quadro citologico sia monotono,i nuclei si
presentano piccoli e regolari. Quando invece, osservando al microscopio
un preparato citologico o istologico c’è una sensazione di disordine in
senso lato è in genere indici di malignità.

Spesso nell’agoaspirato si ritrovano gli adipociti perché il grasso è ubiquitario e nel fare il prelievo posso
portali dietro

In alcuni casi è possibile ricavare la sede del prelievo fatto con l’agoaspirato,anche se non si annota. E’ il
caso della tiroide ,perché vedo tireociti organizzati intorno a globi densi di materiale amorfo,la colloide.
Altre cellule caratteristiche sono i condrociti, perché hanno un ispessimento della membrana
citoplasmatica,il citoplasma vacuolizzato,ma la cosa più importante è che si dispongono sempre in fila
indiane e in file parallele tra di loro. Se quest’ architettura viene alterata,significa che c’è una patologia
della cartilagine che può andare dalla semplice alterazione, fino al danno cartilagineo e al condrosarcoma

216
SISTEMA ENDOCRINO
Il sistema endocrino è costituito da ghiandole che non presentano dotti escretori e riversano il prodotto
della loro elaborazione direttamente nel sangue. Questo consente un controllo mirato su cellule bersaglio
distanti dalla ghiandola di partenza. Può presentare patologie neoplastiche e non a cui sono associate
patologie riflesse degli organi a cui sono destinati gli ormoni.

IPOFISI

ANATOMIA ED ISTOLOGIA

L’ipofisi è composta da adeinoipofisi e neuroipofisi riunite da un setto laminare. Già macroscopicamente le


parti si distinguono per il colore: rosso vivo per l’adeinoipofisi, giallognolo per la neuroipofisi. È posizionata
a livello della sella turcica ricoperta dalla dura madre all’interno della quale è presente un forame dove
passano i vasi provenienti dall’ipotalamo che consentono lo scambio ormonale, creando un mini circolo
portale ipotalamo-ipofisi. Sul piano funzionale ipotalamo e ipofisi sono un’unica cosa legati dal peduncolo
ipofisario. L’aspetto è microghiandolare con cellule che presentano un citoplasma eosinofilo-basofilo,
presenza di piccoli nucleoli, con cromatina ben distribuita, con una ricca rete vascolare (CD34 marca gli
endoteli dei vasi). Istologicamente l’adeinoipofisi è costituita da cellule endoteliali, disposte in piccoli nidi,
frammisti da piccoli rami reticolari. Le cellule presenti possono essere acidofile (arancio), basofile (bluastro)
e cromofobe (grigiastro). Nella neuroipofisi, invece, sono presenti terminazioni nervose e cellule gliali
modificate.

Naturalmente anche l’ipofisi va incontro a modificazioni funzionali fisiologiche: ad esempio in gravidanza


abbiamo un aspetto rigoglioso delle cellule cromofobe, mentre nell’età senile possiamo avere un aumento
della fibrosi interstiziale perivascolare segno di un processo di atrofia.

PATOLOGIA NON NEOPLASTICA

Le alterazioni possono essere quantitative della funzione dei lobi : iperpituitarismo e ipopituitarismo.

Di base un’iperplasia e un’iperfunzione dell’adenoipofisi sono correlate alla presenza di tumori funzionali
nell’ipofisi anteriore. Invece l’ipopituitarismo può essere legato a lesioni che occupano spazio come
adenomi, tumori della sella, infarto della adeinoipofisi, infezioni, traumi ecc.

Ci possono essere delle malformazioni congenite di piccolissime entità che non vengono identificate
ecograficamente nel corso della gravidanza e che si rilevano essere delle microcisti del lobo intermedio.
Alcune malformazioni congenite sono rare poiché incompatibili con la vita, come l’anaencefalia. Per la
patologia acquisita non neoplastica parliamo di turbe circolatorie, infiammazioni e alterazioni progressive
responsabili dell’ipopituitarismo.

PATOLOGIA NEOPLASTICA

Sono presenti anche patologie neoplastiche: micro e macroadenomi, carcinomi, craniofaringiomi.

- ADENOMI

I tumori ipofisari rappresentano il 10-15 % dei tumori endocranici e sono per lo più rappresentati da
adenomi, di questi un 10% son misconosciuti. Possono essere iper o ipofunzionanti (adenomi null). Gli
adenomi si differenziano in microadenomi (<10mm), macroadenomi (>10mm).

217
Anche l’adenoipofisi può presentare iperplasia correlata, spesso è difficile differenziarla da un adenoma
infatti si ricorre alla colorazione del reticolo. Quando si tratta di adenoma questo o scompare o diminuisce,
se invece è un’iperplasia si riconoscono nidi di cellule circondati da trame reticolari caratteristica
dell’adenoipofisi.

Gli adenomi possono essere caratterizzati da morfologia e immunoistochimica. Trattandosi di tumori


neuroendocrini sono presenti granuli di neurosecrezione che sono differenti da cellula a cellula e da tumore
a tumore. Nel somatotropo ci sono molti granuli e di grandi dimensioni, nel mammagonodotropo si
riducono, nel tireotropo sono di piccole dimensioni e sottili, nel lattotropo sono estremamente ridotti e di
diametro variabile

Macroscopicamente, sono tumori capsulati, a crescita espansiva, consistenza molle, colorito biancastro.
Rare sono le emorragie e la necrosi. Avere il campione integro è quasi impossibile perché oggi si fa
approccio chirurgico transfenoidale che determina frammentazione del tumore.

Gli adenomi ipofisari sono per il 99% benigni, e si utillizza un’immunomarcatura per Ki67 e se è presente
per più del 3% associata ad attività del p53 può essere considerato maligno (adenoma atipico).

- CRANIOFARINGIOMI

Altra lesione dell’ipofisi è il craniofaringioma che deriva da residui della Tasca di Rathke, nidi di cellule di
epitelio squamoso che migrano dalla parte superiore del cavo buccale e attraverso la via transferoidale
raggiungono la stessa sede dell’anteroipofisi. Su questa lesione può svilupparsi un tumore, tumore
epiteliale frequentemente cistico con i nuclei ben definiti, benigno. Rappresenta il 2-3% dei tumori
intracranici nell’adulto ma circa il 13% nell’infanzia. È un tumore che assomiglia ad un tumore epiteliale
con una spiccata balzata periferica e con un’area centrale dove il cellulare diventa più lasso. Assomigliano
agli ameloblastomi o basaliomi.

- NEOPLASIE DELLA NEUROIPOFISI

Nella neuroipofisi si possono trovare lesioni primitive (gliomi), secondari (meningiomi) e metastasi
(carcinoma della mammella).

TIROIDE

Sono presenti due tipi di cellule : i tireociti che rivestono i follicoli tiroidei e le cellule parafollicolari. Talora
le cellule follicolari presentano un citoplasma particolarmente abbondante, con un nucleo rigoglioso ed è
una classica trasformazione oncocitaria e possono essere presenti in patologie neoplastiche e non, benigne
e maligne.

Nella tiroide possono essere presenti disordini ereditari e di sviluppo come il cretinismo, malattia
estremamente diffusa. Possiamo avere infiammazioni o il gozzo, una della malattia più diffusa al mondo.
Per quanto riguarda la patologia neoplastica possiamo avere tumori differenziati che originano dalle cellule
follicolari, di cui esistono forme benigne come l’adenoma follicolare, e maligne come il ca papillare, ca
follicolare, ca poco differenziato e il ca anaplastico. Abbiamo anche tumori che non originano dalle cellule
follicolari come il ca midollare che originano dalle cellule parafollicolari (tumore neuroendocrino). Infine, si
possono trovare tumori che non originano dalla tiroide come linfomi, sarcomi e metastasi tiroidee.

PATOLOGIA NON NEOPLASTICA

 TIROIDITE DI HASHIMOTO

218
Malattia su base autoimmune, ad induzione genetica. Citologicamente troviamo un gran numero di
linfociti. La tiroide in questi reperti appare bianca molto simile alla carne di pesce. L’ infiltrato assume
franchi aspetti follicolari, nel campo microscopico per il 30-40 %, presenta fibrosi e metaplasia oncocitaria
dei follicoli. Questa malattia se non curata porta ad ipotiroidismo. C’è una tendenza a rimuovere la tiroide
poiché una parte delle cellule può subire una trasformazione neoplastica ed associarsi a ca papillifero e
linfoma.

 TIROIDITE GRANULOMATOSA O TIROIDITE DI DE QUERVAIN

È una malattia su base immunitaria. Può seguire varie infezioni di tipo virale; può causare febbre,
malessere. Da una condizione di ipertiroidismo si passa ad una fase di ipotiroidismo. È caratterizzata dalla
presenza di granulomi epiteliodi non necrotizzanti con cellule giganti.

 ALTRE PATOLOGIE INFIAMMATORIE

Altre tiroiditi sono:

 tiroidite acuta con mancata presenza di infiltrato polimorfo nucleato


 tiroiditi post-partum che portano ipotiroidismo
 tiroidite fibrosa di Riedel dove parte della tiroide diventa dura, aderisce alla cute con scarsa
mobilità e con quadro sospetto di malignità. Molto probabilmente come patologia non esiste ma è
una fibromatosi extra addominale caratterizzata dalla presenza di infiltrato infiammatorio
accompagnato da reperti fibrosi.

 MORBO DI GRAVES

È una malattia autoimmune causata da IgG anti recettori TSH. È un gozzo simmetrico, risulta sempre in
iperfunzione (poco colloide). È caratterizzato da un aumento volumetrico diffuso della ghiandola,
l’iperplasia resta diffusa e circondata con ispessimento dell’epitelio di rivestimento.

 GOZZO

Il gozzo è la patologia tiroidea più frequente: circa il 10% della popolazione italiana si ammala di gozzo,
ovvero circa 6 milioni di persone (maggiormente colpite le donne). La percentuale sale intorno al 20%
(corrispondenti a 2 miliardi di persone) in tutto il mondo soprattutto nelle aree dove c’è carenza di iodio. Il
gozzo terminale, detto anche multinodulare, dovuto ad una inadeguata sintesi degli ormoni tiroidei, con
aree cistiche anche molto grandi, clinicamente si manifesta con iperplasia e ipertrofia delle cellule follicolari
con un aumento volumetrico della ghiandola e tumefazione generalmente asimmetrica della tiroide.

Nel gozzo sono presenti tre fasi:

1. Manca lo iodio ed è presente poco ormone, ne deriva iperstimolazione TSH. Questo va a


bombardare la tiroide che diventa iperplastica con epitelio alto, rigoglioso e colloide scarsa, cioè più
grande e simmetrica con i follicoli che cercano di produrre l’ormone
2. Mancando lo iodio una parte della tiroide iperplastica va incontro ad esaurimento funzionale, di
conseguenza l’epitelio diventa piatto e la colloide aumenta, e aumenta in maniera tale da spaccare
i setti posizionati tra i follicoli, si formano così macrofollicoli che tendono a crescere.
3. Altre aree del parenchima tiroideo stimolate vanno incontro a iperplasia. Quindi, si possono trovare
aree colloidee, aree cistiche, aree apparentemente iperplastiche.

219
Il gozzo viene rimosso non tanto per i problemi funzionali ma perché alcune aree iperplastiche possono
andare incontro a basedowizzazione, e anche per i problemi meccanici causati da questa patologia come
compressione dei nervi della fonazione, della trachea e delle vie respiratorie.

L’aspetto del gozzo conclamato è dato da follicoli riempiti di colloide con epitelio piatto e piccole aree che
possono mantenere l’aspetto iperplastico.

Complicanze del gozzo possono essere meccaniche, estetiche e funzionali. Inoltre i soggetti possono andare
incontro ai tumori della tiroide, soprattutto il ca papillifero.

PATOLOGIA NEOPLASTICA

 ADENOMA FOLLICOLARE

L’adenoma follicolare è un tumore benigno, isolato, capsulato, derivante dall’epitelio follicolare. Può essere
non funzionante e funzionante (adenoma di Plummer). Il non funzionamento causa un problema a livello
diagnostico in quanto alla scintigrafia il nodulo appare freddo come il gozzo o il carcinoma capillifero.
Quindi, un nodulo freddo viene considerato sospetto di malignità. Fortunatamente nell’adenoma di
Plummer sono presenti noduli caldi ipercaptanti, con una probabilità di malignità bassa. L’adenoma
macroscopicamente si presenta come un nodulo molto ben circoscritto con una capsula discretamente
spessa, aspetto grigiastro e aree emorragiche. Può essere microfollicolare, macrofollicolare, trabecolare,
fetale ma, fino a quando mantiene la capsula integra ed è circoscritto, il tumore si mantiene benigno.
L’adenoma follicolare deve essere ben distinto dal carcinoma follicolare capsulo-invasivo che corrisponde
alla sua controparte maligna. Entrambi presentano la capsula e cellule follicolari addensate. Per distinguerli,
il nodulo viene sottoposto ad un campionamento semiseriato. Questo perché nella tiroide posso avere un
nodulo freddo per un gozzo iperplastico, per un adenoma, per un carcinoma, se si facesse un agoaspirato
per un nodulo freddo e risultasse una popolazione follicolare densa non si potrebbe discriminare tra le
varie patologie. In base al numero di noduli si determina la gravità della patologia tiroidea: 1 carcinoma, 2
adenoma, 3 o + gozzo.

 CARCINOMA PAPILLARE

Carcinoma papillare rappresenta l’80% dei tumori della tiroide. Compare in aree con gozzo endemico e
presenta due forme: quella veramente papillare, con papille raccolte in corpi con un proprio asse vascolare,
e la variante follicolare del carcinoma papillare. Alcuni dettagli citologici importanti sono: presenza di
pseudonucleoli, nuclei chiari e incisure nucleari (patognonomici per la diagnosi di carcinoma papillare
sull’agoaspirato). Il 10% dei soggetti colpiti può andare incontro a metastasi linfonodali.

 CARCINOMA ANAPLASTICO

Il carcinoma anaplastico origina dall’epitelio follicolare, è una lesione dell’età avanzata, rappresenta meno
del 5%, presenta una crescita rapida ed infiltrativa e prognosi infausta.

 CARCINOMA MIDOLLARE

Carcinoma midollare è un tumore neuroendocrino. Può avere una variante sporadica, o essere una
patologia a carattere familiare. Il ca midollare secerne in modo elevato calcitonina, infatti se il soggetto
presenta un neuroma mucoso viene praticato un test della calcitonina. Le cellule C presentano focolai di
iperplasia. Il pattern di crescita è organoide, solida e trabecolata, le cellule possono apparire fusate,
poligonali o plasmacitoidi. Nel ca midollore c’è deposito di amiloide ed è quindi positivo alla colorazione
rosso congo. Produce calcitonina. È positivo per la Cromogranina.

220
PARATIROIDI

L’epitelio della terza e della quarta tasca di Rathke va a finire sulla superfice
dorsale della tiroide, dove si vanno a formare quattro ghiandole dette
“paratiroidi”. La stretta aderenza tra paratiroidi e tessuto parenchimale
tiroideo fa si che spesso nell’andare ad eseguire una tiroidectomia parziale
vengano asportate anche una o due paratiroidi però questo non crea
ipoparatiroidismo, essendoci le restanti ghiandole a funzionare.

Le patologie che interessano le paratiroidi sono gli adenomi, le neoplasie


intermedie e i carcinomi. Gli adenomi sono quelli che ci interessano di più e sono suddivisi in tre gruppi:

 Adenomi a cellule principali e a cellule chiare


(cosiddette perché appaiono chiare come l’acqua).
 Adenomi a cellule chiare con architettura
microfollicolare (pone un problema di diagnosi
differenziale con adenomi microfollicolari della tiroide
che si risolve facendo una Tireoglobulina o un TTF1).
 Adenomi a cellule principali con metaplasia ossifila
(problema di diagnosi differenziale con la metaplasia
ossifila della tiroide).

Esistono anche i carcinomi delle paratiroidi ma sono difficili da diagnosticare e da distinguere.

SURRENE

EMBRIOLOGIA

Il surrene come noto è costituito da due componenti: la


corticale che ha una derivazione mesodermica e la midollare
che origina dalla cresta neurale. Nella quinta settimana di
sviluppo si forma la corteccia fetale che è costituita da tre
zone: la sub capsulare, quella di transizione e la grande zona
fetale, che poi daranno origine ai tre strati dell’adulto.
Contemporaneamente nell’ilo della corteccia migrano cellule
di natura neuroectodermica che sono dette cromaffini
perché sono affini ai Sali di Cromo e si colorano di giallo.

ANATOMIA ED ISTOLOGIA

Il peso del surrene è circa 4 gr. Una caratteristica istologica è


la presenza di questo contenuto giallastro a forma di
semiluna che rappresenta la corticale, la midollare invece
appare rossastra. Lo spessore della corticale è in genere di
pochi millimetri, questo spessore è più o meno omogeneo
per tutto il surrene tranne che nelle sezioni angolari in cui
diminuisce leggermente. È importante ricordare questo
perché le iperplasie possono manifestarsi in queste zone. Il
surrene si trova a livello del polo superiore del rene nel retro
peritoneo ed è irrorato da tre arterie: la capsulare superiore,
che deriva dall’arteria renale, le capsulari media ed inferiore,

221
dall’Aorta. Esternamente c’è la capsula, poi abbiamo l’area sub capsulare e la corticale che è costituita da
tre strati: uno sottile che prende il nome di glomerulare, uno fascicolare e uno reticolare. È importante
perché le cellule della zona glomerulare sono piccole e tondeggianti con rapporto nucleo citoplasma a
favore del nucleo. Lo strato fascicolato è invece uno dei tanti distretti, dove vi sono cellule chiare con
citoplasma abbondante e nucleo vescicoloso; si tratta delle cellule endocrine che secernono cortisonici e
rappresentano il 70% della corticale; sono cellule ampie con citoplasma chiaro e con accumulo di lipidi. La
zona reticolare è costituita da cellule compatte con il citoplasma rosa, con scarso accumulo di lipidi. Quello
che dà il colore giallastro è lo strato fascicolare. Le cellule della midollare invece assomigliano alle cellule
chiare, si organizzano in un pattern organoide e hanno una ricca rete vascolare sinusoidale che serve ad
accogliere il secreto endocrino di queste cellule che si riversa direttamente nel sangue, sono cellule
cromaffini (nel citoplasma sono presenti granuli che si colorano specificatamente con il bicromato di
potassio).

La zona glomerulare secerne mineralcorticoidi ed è regolata dal sistema renina-angiotensina; la zona


fascicolata è regolata dall’ACTH così come anche la zona reticolare, invece la midollare contribuisce
all’attività del tessuto paragangliare parasimpatico attraverso la secrezione di adrenalina e noradrenalina.

PATOLOGIA NON NEOPLASTICA

MALFORMAZIONI

1. CONGENITE che come in tutti gli organi endocrini pari si scoprono con l’ecografia fetale e sono
compatibili con la vita se sono monolaterali e incompatibili se sono bilaterali. Ci può essere
un’ipoplasia che a volte proviene da un’alterazione del letto vascolare. Il surrene, proprio per la
sua attività secretoria, ha una rete vascolare costituita da un’arteria capsulare superiore, una
media e una inferiore. L’arteria capsulare inferiore che proviene dalla renale può presentare delle
anomalie vascolari con conseguenti anomalie di crescita del surrene. Una delle cose più
interessanti è che ci possono essere delle eterotopie. Il surrene è uno di quei tessuti che possono
trovare un po’ dappertutto: nel peritoneo, nel testicolo, nell’ovaio, lungo il deferente a livello
renale. L’aspetto caratteristico è che è giallo e spesso viene scambiato per un quadro neoplastico.
Questa è forse la patologia non neoplastica malformativa che più facilmente si riconosce.
2. ACQUISITE Il surrene subisce un fenomeno involutivo, cioè un’atrofia parafisiologica, che si verifica
durante la vecchiaia o che può anche essere secondario, ad esempio, alle terapie prolungate con
cortisonici per un blocco di produzione dell’ACTH.

PATOLOGIA EMORRAGICA ED INFIAMMATORIE

Possono esserci patologie emorragiche. Ci sono due tipi di emorragie:

a) una colpisce caratteristicamente il neonato e porta a morte il soggetto ed è definita ”emorragia


bilaterale massiva del surrene”. Questa emorragia è surrenalica ma interessa anche la midollare del
rene. Spesso è bilaterale, l’infarcimento emorragico può essere sub totale e ci possono essere
emorragia delle piramide e noduli corticali accessori ben conservati. C’è un'altra malattia che dà
un’emorragia corticale bilaterale ed è la meningite batterica da meningococco che porta alla
sindrome di Waterhouse-Friderichsen.
b) Esiste anche una patologia emorragica dell’adulto legata a turbe vascolari. È molto caratteristica:
invece di avere un infarcimento emorragico si caratterizza per le strie emorragiche tra corticale e
midollare e il rene in questo caso è indenne.

La patologia infiammatoria era più frequente in passato.

222
IPERPLASIA

E’ una patologia molto più frequente di quanto si immagini.


Generalmente c’è un aumento della corteccia per iperplasia della
zona fascicolata. Di solito l’iperplasia del surrene è un'iperplasia
diffusa, omogenea, generatrice della Sindrome di Cushing, della
Sindrome Surreno-genitale e di alcuni sindromi para-neoplastiche.
E’ altrettanto vero che questa iperplasia uniforme può generare
delle aree micro nodulari: tutte le aree nodulari superiori ad 1cm
sono considerati adenomi, mentre quelle inferiori ad 1 cm possono
essere considerate ancora nell’ambito dell’iperplasia. Una forma
particolare di iperplasia nodulare è caratterizzata da noduli
pigmentati di aspetto nerastro contenenti lipofuscina e melanina.

PATOLOGIA NEOPLASTICA

ADENOMI

In tutti i casi in cui le dimensioni dei noduli sono maggiori ad 1cm si ha un adenoma. Generalmente sono
intrasurrenalici con una pseudocapsula costituita dal surrene in cui hanno origine. Se contengono
lipofuscina e melanina appaiono neri e possono essere scambiati per metastasi di melanoma.

Gli adenomi del surrene vengono detti “incidentalomi” perché molto spesso sono reperti occasionali,
scoperti per caso. In uno studio autoptico è stata riportata un’incidenza dell’adenoma del surrene pari al
5% della popolazione. Un adenoma del surrene è comunemente unilaterale, se è bilaterale bisogna pensare
a una più florida iperplasia nodulare. Le cellule hanno le caratteristiche delle cellule secernenti
corticosteroidi, ricche di lipidi e gialle, organizzate in nidi e cordoni, separate da sottili tralci fibrosi. Nelle
iperplasie nodulari la pseudocapsula fibrosa non c’è.

CARCINOMI

Il carcinoma è raro, cattivo e difficile da diagnosticare. In questo caso,


così come per l’adenoma, c’è una variabilità geografica e razziale
particolarmente evidente: ci sono alcune statistiche che partano di 0,5
casi per milione di abitanti e altre che parlano di 12 casi per milione per
anno. È più frequente nelle donne ed è generalmente unilaterale. C’è un
picco nell’ età pediatrica ed un’ altro in età avanzata. E’ particolarmente
aggressivo, ma se la lesione è piccola e non ha dato metastasi c’è qualche
possibilità di prognosi buona. Un vecchio ma ancora valido assioma afferma che una massa surrenale
superiore ai 40 gr deve essere asportato in quanto ha forti possibilità di essere maligno (in genere i
carcinomi hanno un peso maggiore ai 100 gr). Al taglio può essere carnoso con aree emorragiche o cistiche
a seconda della velocità di crescita. L’atipia citologica si può trovare sia nei tumori benigni che maligni del
surrene, ovviamente bisogna considerare la quantità di atipie e l’attività mitotica che in un adenoma è
irrisoria mentre in un carcinoma è molto marcata. Ci possono essere metastasi in una percentuale di casi
compresa tra il 15 e il 74%. Il 24-74% dei casi non sono funzionanti. La sintomatologia è data da dolore
addominale e di solito non ha molto significato.

223
FEOCROMOCITOMA

E’ un tumore grave e raro, famoso per la “regola del 10%”:

 Nel 10 % dei casi compare nei bambini


 Nel 10 % è bilaterale negli adulti
 Nel 10 % è extrasurrenalico
 Nel 10 % è ereditario
 Nel 10 % è multicentrico
 Nel 10 % è maligno

Può dare un’ipersecrezione di catecolammine che è causa di ipertensione


prolungata o episodica. Non è agevole etichettare un feocromocitoma come
maligno: uno dei criteri sono le dimensioni, poi c’è il peso, l’invasione della
capsula e dei tessuti circostanti cioè della corticale. Il feocromocitoma è un
tumore con atipia molto evidente, quindi questo è l’ultimo dei parametri da
prendere in considerazione per valutare la malignità. È un tumore
neuroendocrino quindi positivo alla cromogranina e alla sinaptofisina, il
pattern è misto e c’è un’architettura data da strutture rotondeggianti di cellule
sustentacolari.

TUMORI SECONDARI

Il surrene è frequentemente sede di metastasi che possono provenire dal carcinoma del polmone, dal
carcinoma gastrico e dai carcinomi renali a cellule chiare. Per capire da dove proviene la metastasi oggi si
usano marcatori: la citocheratina pan per il polmone, il CD10 per il rene e per quello gastrico si usa una
colorazione PAS-diastasi resistente per la presenza di muco nel citoplasma delle cellule

224
CUTE
La patologia cutanea è importante in quanto riguarda più branche della medicina, dalla dermatologia alla
chirurgia.

PATOLOGIA MELANOCITARIA
Ha assunto grande importanza nel tempo la patologia melanocitaria. Esclusi gli albini tutti possiedono
almeno un nevo, alcuni ne possiedono alcune decine, altri ancori anche centinaia e in questo caso è
considerato patologico. I nevi devono avere dimensioni minori di 6 mm di diametro. Inoltre ogni nevo ha
una storia. I nevi compaiono in giovane età e si sviluppano con la crescita del soggetto fino ai 18-20 anni. I
nevi possono comparire anche dopo 20 anni ma sono molto rari e c’è un’alta possibilità che siano lesioni
neoplastica. Nei bianchi i melanociti hanno un’incidenza 1 ogni 10-20 cellule basali, nei neri il numero delle
cellule aumenta (ovvero il rapporto si abbassa). I nevi possono essere soggetti a influenze di vario genere:
ad esempio in gravidanza si può avere il cloasma gravidico (chiazze pigmentose dovute ad un’accelerazione
del metabolismo del triptofano).

I melanociti hanno un’origine neuro ectodermica; essi migrano dalla cresta neurale non da sole ma
accompagnate da altre cellule (sono quelle che possono dare origine al carcinoma di Merkel) e si
dispongono alla base. Vengono identificate con impregnazione argentica mostrando una forma dedritica.
Inoltre possiedono melanina che si accumula nel citoplasma formando melanosomi di varie dimensioni che
sono evidenziabili con la microscopia elettronica.

CLASSIFICAZIONE ISTOLOGICA

Tutti i nei hanno una dislocazione che consente di suddividerli in tre grandi categorie :

1. Giunzionali: i melanociti si raccolgono in teche alla giunzione dermo-epidermica. Di questi fanno


parte i nevi acrali che si localizzano per lo più sulle regioni palmo-plantari dove la cute è più spessa
ed hanno un aspetto solitamente irregolare, con bordi sfumati e spesso paralleli alle trame
dermoglifiche. In generale i nevi giunzionali si presentano piani o appena rilevati
2. Composti: formato da una quota giunzionale e una quota dermica.
3. Intradermici: appaiano rilevati, tondeggianti, poco pigmentati e le cellule si trovano tutte nel derma

225
Questa differente localizzazione corrisponde anche ad un processo maturativo. Le cellule neviche dalla
giunzione migrano nel derma, quindi il nevo appare rilevato. Passando dalla giunzione al derma queste
cellule differenziano : da epiteliodi o nevoidi alla giunzione diventano di tipo schwanniano con aspetto a
cellule fusate. Si può arrivare alla formazione di un neuronevo, nevo che nella componente terminale è
molto simili a terminazioni nervose.

Forme particolari di nevi sono:

 Nevo di Spitz: è una lesione tipica del viso, viene scambiato spesso per
un angioma non essendo pigmentanto, ha una componente a cellule
epiteliodi caratteristica, si trova nei giovani.

 Nevo di Reed: tipico dei giovani, si presenta come una chiazza nera,
netta, demarcata, ipercromica, formata da cellule fusate che si
racchiudono in nidi alla giunzione.

 Blue nevus: si trova sul dorso delle mani e dei piedi, ha un colore blu,
formato completamente da componente dermica cellule fusate
dendritiche e accumulo marcato di pigmento che per effetto della rifrazione della luce ha questo
caratteristico colore.

Al di là di questi nevi nella classificazione vengono considerate alcune forme speciali che insorgono in sedi
particolari e abbiamo:

 il nevo acrale più soggetto a trauma, che può portare a trasformazione neoplastica
 i nevi del gomito, del pube, del pene, dell’ombelico che hanno una morfologia atipica rispetto a
quelli usuali
 i nevi congeniti che assumono forme e dimensioni particolari,
 i nevi combinati costituiti da componente giunzionale e dermica
 nevi penetranti che giungono a livello dell’ipoderma
 nevi ricorrenti recidivanti,
 nevo alone (o alonizzato) caratterizzata da una macchia nera con un alone biancastro segno di un
autoregressione.
 Neo a costume da bagno o peloso gigante che è ad alto rischio di trasformazione neoplastica. Per
fare la diagnosi si deve avere una dimensione di almeno 144 cm2 (12x12cm)

SELF EXAMINATION

Per l’individuazione di possibili melanomi, i nevi vanno analizzati in base a delle caratteristiche regolate dal
sistema ABCDE. Il nevo normalmente deve essere tondo, regolare e di dimensioni inferiori a 6 mm.

RICORDA: vige il principio di simmetria sia nella diagnosi macroscopica che microscopica. Oggi la diagnosi è
resa più agevole con l’utilizzo della nevoscopia.

Infatti con il sistema precedentemente elencato tiene conto di:

 A asimmetria (i melanomi sono per lo più asimmetrici)


 B bordi (irregolari, a golfi e promontori)
 C colore (discromico o nero)
 D dimensione >6mm
226
 E evoluzione (accrescimento).

Inoltre bisogna tener conto della SENSATION: presenza o meno di prurito, comparsa di aree
rilevate/nodulari, infiammazione, dolore (estremamente raro).

INSORGENZA

Il 50% dei melanomi insorgono su un nevi che hanno uno quota giunzionale. Insorge, quindi, su nevi
giunzionali o composti, non può insorgere sul nevo dermico salvo rarissime eccezione poiché ha una
componente di cellule tutte differenziate. Si può accennare, in questo caso, al melanoma nodulare che
sembra essere formato da cellule dermiche o meglio da cellule staminali melanocitarie dermiche e
rappresenta un set a sé nel gruppo dei melanomi.

CLASSIFICAZIONE

La classificazione dei melanomi può essere varia infatti possiamo avere:

1. Classificazione demoscopica, anatomo-clinica:


 Acrali

 Superficiali, che presentano una discromia nei colori,


protuberanze a golfi e promontori, margini irregolari e
asimmetria

 Forme apparentemente circoscritte, come il melanoma


nodulare che può derivare da un melanoma superficiale o
da cellule staminali melanocitarie e spesso presenta lesioni
satelliti.

2. Classificazione istologica:
Ricordando che il melanoma, o nasce su un nevo o ex-novo, è sempre epidermico con crescita
intraepidermica (crescita pagetoide), distinguiamo
 Fase radiale di crescita: in situ, superficial spreading melanoma, lentigo maligna (chiazze
nere discromiche tipica degli anziani e si trovano sui denti o sul viso), melanoma acro-
lentigginoso.
 Fase verticale : nodulare componente completamente dermica, classico, desmoplastico,
neurotropico, nevoide, malignant blue nevus.

RICAPITOLANDO: il melanoma inizia la sua crescita in senso


radiale. Questa può essere lenta e rimanere in situ oppure, come
avviene nella maggior parte dei casi, andare a selezionare un
clone più aggressivo che cresce verticalmente e quindi in
profondità. Maggiore è la crescita verticale peggiore è la diagnosi
di melanoma. Microscopicamente fasi di crescita, radiale in
superfice, verticale in profondità.

227
MORFOLOGIA

Aspetti citologici:

 epiteliode grandi cellule con attività mitotica,


 nevoide cellule relativamente piccole omogenee e ipercromiche,
 fusato
 balloniforme
 altre forme: dendrtico, gangliare, rabdoide, a castone

CRITERI DIAGNOSTICI

I criteri diagnostici importanti in micro e macroscopica sono :

 dimensioni >6 mm
 ulcerazione  in un melanoma che presenta una crescita pagetoide, quindi verso l’alto,
l’epidermide andrà incontro ad un’erosione prima e un’ulcerazione dopo. Un nevo ulcerato è un
nevo che può subire trasformazione neoplastica.
 asimmetria
 scarsa circoscrizione,
 irregolarità di distribuzione di pigmento, di infiltrato infiammatorio/regressione, di reazione
epidermica
 crescita pagetoide estesa/ irregolare lungo l’epidermide e l’epitelio annesiale
 Assenza o scarsa maturazione
 Crescita nodulare confluente
 Pleomorfismo cellulare
 Apprezzabile attività mitotica (a differenza dell’epitelio normale, in caso di melanoma l’attivtà
mitotica deve essere rilevata negli strati PROFONDI, dove in genere si trovano cellule neoplastiche
differenziate)
 necrosi

I parametri importanti utili per fare diagnosi di melanoma sono :

 Crescita in fase radiale o in fase verticale


 Melanoma nodulare
 Spessore: si misura lo spessore dalla superficie fino all’ultima cellula atipica che si riesce a trovare
al microscopio e può essere:
≤ 1mm
fra 1 e 2mm
fra 2 e 4 mm,
>4mm
 Livello di infiltrazione ( ricordando che la cute è formata da epidermide, derma che si suddivide in
papillare e reticolare e ipoderma) I livelli di Clark sono:
livello 1 il melanoma cresce solo nell’epidermide,
livello 2 il melanoma infiltra il derma papillare,
livello 3 interfacie il melanoma si approfonda nel derma papillare spingendo su quello reticolare
livello 4 occupa il derma reticolare,
livello 5 arriva nell’ipoderma
oggi , il livello può essere utilizzato ma si preferisce ad esso lo spessore che risulta più oggettivo e
acccurato.
 Ulcerazione se è >1mm in superficie lo spessore del melanoma varia
228
 l’indice mitotico, convenzionalmente si dice che il melanoma può avere più o meno di una mitosi
per mm2. Se l’indice è >1 la prognosi è maligna.

Altri parametri: linfociti infiltranti il tumore (criteri di Brisk) e regressione.

Nella refertazione bisogno descrivere : fase di crescita, indice mitotico, se è presente ulcerazione, spessore,
linfociti infiltranti il tumore, regressione, livello di Clark.

Distanza dai margini laterali di escissione: per un melanoma in situ bastano 0,5cm, per uno <2 mm bastano
1 cm, per uno >2mm bastano 2 cm. Ovviamente queste distanze vanno mantenute in tutte le direzioni.

I melanomi nevoide e desmoplastico vengono in genere scambiati per un neo (trappola melanoma),
colpiscono soggetti giovani e si scoprono solo in seguito a metastasi. Si fa la valutazione di S100.

Per melanomi di spessore ≥1 mm si fa il linfonodo sentinella. Questo non è una procedura terapeutica ma
prognostica. Se questo è negativo non si fa nulla evitando linfoadenectomia ma ciò non evitare sviluppo di
metastasi, se invece è positivo si fa linfoadenectomia.

Il linfonodo sentinella viene analizzato con tre set di sezioni a 250µ, ognuno costituito da 3 sezioni, con
ematossilina/eosina e immunoistochimica.

229
IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE

PATOLOGIA INFETTIVA
La scatola cranica e la dura madre rappresentano solide barriere meccaniche e naturali alla penetrazione
diretta degli agenti patogeni. Ci sono aree dove la scatola cranica è più assottigliata come la basa cranica,
inoltre ci sono rapporti di stretta vicinanza con narici, cavità paranasali e orecchio medio e possono essere
vie di trasporto di infezioni da queste sedi all’encefalo. Ad esempio un’eventuale otite non va mai
trascurata perché può portare ad encefaliti, ascessi e altre patologie a carico del SNC che possono a volte
richiedere anche l’intervento chirurgico.

Esistono tre vie di propagazione:

 propagazione diretta attraverso le ossa del cranio e le meningi


 disseminazione ematica
 diffusione lungo i nervi cranici e spinali.

INFEZIONI BATTERICHE
In genere sono secondarie a disseminazione ematica di batteri, occasionalmente possono essere
secondarie ad un trauma o intervento chirurgico. Gli agenti eziologici variano con l’età. Ad esempio nei
bambini i più frequenti sono streptococcus b, escherichia coli, listeria monocytogenes, prima della
vaccinazione anche heamophilus influenzae di tipo B, nei bambini superiori a 7 anni e nei giovani adulti la
neisseria meningitidis. Negli adulti e negli anziani streptococcus pneumoniae e listeria monocitogenes.

Per la meningite ci sono dei segni clinici indiretti come il segno di Kering e Brudriski. Sono segni riflessi di
meningite.

Macroscopicamente un encefalo con una meningite, che sarà visibile solo come reperto autoptico, si
presenterà circondato da una sostanza cremosa giallo verdastra che è pus soprattutto appartenente al
basicranio, che da qui segue il decorso dei vasi meningei. Nei casi in cui c’è stata la morte fulminante del
paziente in genere si ritrova anche una ventricolite(pus a livello dei ventricoli cerebrali).

Microscopicamente sarà presente un accumulo di neutrofili nello spazio subaracnoideo che si dispongono
tipicamente a manicotto intorno ai vasi, di norma i vasi devono essere assolutamente liberi ma non appena
si ritrovano una distribuzione perivascolare di elementi prima della flogosi acuta e successivamente della
flogosi cronica sono segni di una meningite, di un’encefalite o di una meningoencefalite soprattutto con
infiltrazione delle vene leptomeningee.

- NOCARDIOSI

L'agente eziologico è la Nocardia Asteroides. Questa patologia, come molte, è più frequente nei pazienti
debilitati cioè gli immunodepressi e i pazienti sottoposti a lunga terapia cortisonica e/o citotossica. Il
focolaio primitivo di nocardiosi è il polmone. La malattia si manifesta con la comparsa di ascessi polmonari
e interessamento della cavità toracica. La disseminazione del patogeno avviene per via ematica, con
particolare predilezione per il SNC. La nocardiosi è una patologia insidiosa perché si presenta con i sintomi
di una meningite o spesso viene scambiata per un glioma e quindi operata come una lesione occupante
spazio.

230
Nello specifico, dato che si presenta sottoforma di lesioni multiple cerebrali, viene scambiata di frequente
per un glioma a sedi multiple. Un'altra caratteristica è la presenza di lesioni osteolitiche a livello della
colonna, simili a metastasi. In pratica, dato che si trovano lesioni multiple al cervello e lesioni osteolitiche
nel midollo, la prima cosa a cui si pensa è a una metastasi di un carcinoma. Molto spesso, però, questa
diagnosi è tardiva e si fa solamente in sede autoptica. Quando la malattia viene individuata correttamente,
si passa alla terapia. Il trattamento di elezione è la Sulfadiazina combinata ad antibiotici ad ampio spettro
per lungo periodo e, quando necessario, anche un intervento chirurgico di decompressione del parenchima
cerebrale. C'è un'area ascessualizzata con necrosi centrale; essa è bordata da un materiale che appare
nerastro all'impregnazione argentica. Questa colorazione si esegue con il metodo Grocott ed è specifica
per i funghi. A più forte ingrandimento, si vede come questo materiale scuro che delimita gli strati centrali
di necrosi assomigli in tutto e per tutto alle ife di un fungo. Ecco perché la Nocardia è stata considerata per
lungo periodo un micete. Quindi la nocardiosi non è una micosi, ma un'infezione batterica!

INFEZIONI MICOTICHE
I funghi sono saprofiti, generalmente del cavo orale e del tratto gastroenterico. In particolari condizioni, per
esempio in soggetti immunodepressi o dopo lunga terapia antibiotica o cortisonica, questi funghi da
saprofiti possono diventare patogeni e causare una micosi.

La compromissione del SNC è tardiva, in genere rara e raramente vista nei bambini piccoli. Di norma è una
localizzazione che si osserva nell'adulto. All'interno del parenchima i miceti possono essere evidenziati
anche con la colorazione routinaria ematossilina-eosina. Tuttavia, le due metodiche ottimali per
visualizzare i funghi sono il Grocott e il PAS. Il PAS rende le strutture di un color vinaccio. Quando si
vogliono cercare i funghi, si eseguono entrambe le colorazioni.

- CANDIDIASI

La Candida si vede sottoforma di ife e spore. Queste ultime si


trovano attaccate alle ife o libere nel parenchima cerebrale. Le ife
della Candida sono settate, cioè segmentate, e hanno le estremità
slargate con aspetto "a canna di bambù" cioè presentano nodosità
ai due estremi. Le spore, invece, hanno forma tondeggiante o
ovalare.

- ASPERGILLOSI

Un altro fungo diffuso nel SNC è l'Aspergillus. In genere, le spore sono trasportate dagli uccelli e
provengono da zone paludose, dove ci sono acque stagnanti. Attraverso la respirazione, arrivano a livello
del polmone. Altre vie d'ingresso sono rappresentate dai traumi e dagli interventi chirurgici. L'aspergillosi,
infatti, è la più grave complicanza degli interventi di cardiochirurgia ed oculistica; il motivo è ancora
sconosciuto. Anche se le due colorazioni PAS e Grocott danno una resa ottimale, questo fungo è ben visibile
all'ematossilina eosina. L'Aspergillus si riconosce perché le ife sono settate e si dividono dicotomicamente
231
ad angolo acuto formando una specie di infiorescenza. La suddivisione avviene sempre nella stessa
direzione. Le ife e le spore di Aspergillus si diffondono per via ematica o per via bronchiale e danno
tipicamente quadri di angiite, cioè delle infiammazioni
a livello dei vasi. Attraverso ematici e linfatici arrivano
anche a cuore, rene, tratto gastroenterico e fegato.
Talvolta, possono arrivare anche al cervello dove si
manifestano sottoforma di lesioni multiple di
dimensioni variabili, addirittura che arrivano a diversi
centimetri. Solitamente queste lesioni si riscontrano nel
territorio di distribuzione dell'arteria cerebrale
anteriore e media. C'è coinvolgimento della corteccia
cerebrale e lesioni necrotiche multiple che simulano
dei focolai di infarto acuto (foci multipli di infarto
acuto). In alcune sezioni istologiche è possibile trovare
quadri di angiite e la presenza di ife fungine che passano all'interno del lume
vasale per dare disseminazione ematica.

- CRIPTOCOCCOSI

L'agente eziologico è il Criptococcus Neoformans.La via d'ingresso è


rappresentata dal polmone e, attraverso la via ematica, i microrganismi
arrivano al SNC. Anche questa infezione si associa a condizioni di
immunodeficienza o di incompleta immunocompetenza. È frequente nella
quarta-quinta-sesta decade di età, ma vengono registrati continuamente
nuovi casi nella popolazione infantile. Il sesso maschile
è quello maggiormente colpito. Il microrganismo è
presente nel liquor o nel parenchima cerebrale. Le
spore del criptococcus si chiamano blastospore e sono
di facile riscontro nel liquor. Si evidenziano come
elementi PAS positivi, cioè hanno una capsula che
risulta positiva alla colorazione di PAS. All'interno del
parenchima cerebrale ci sono due principali forme di
infezione: una meningite detta criptococcica che può
essere o meno associata a lesioni cistiche del
parenchima cerebrale e un ascesso che viene definito
criptococcoma, molto meno comune nella meningite e
che si manifesta in soggetti immunocompetenti.
Questo criptococcoma è molto insidioso perché è una
lesione occupante spazio e quindi può essere scambiato per un tumore o raramente per un ascesso. Spesso
si verifica la presenza contemporanea di meningite e criptococcoma. Al reperto autoptico, in caso di
meningite si può notare un opacamento delle meningi. In condizioni normali le meningi sono trasparenti,
sottili, che rendono assolutamente ben visibili le circonvoluzioni parenchimali. Nella criptococcosi,
l'opacamento le rende di colore bianco-giallastro, mascherando così quello che è il parenchima cerebrale.
In genere, le lesioni cominciano a livello del basicranio. Microscopicamente si possono notare blastospore
PAS positive e variabili per forma e per dimensione. Le blastospore si evidenziano con il PAS anche nel
liquor quando si eseguono delle analisi per sospetto di meningite.

232
- HISTOPLASMOSI

L'agente eziologico è l'Histoplasma Capsulatum. È un'infezione presente a tutte


le latitudini, ma molto diffusa in Nord America. L'infezione primaria è a livello
del polmone e comporta la formazione di cavità che entrano in diagnosi
differenziale con la tubercolosi (ved immagine al lato). A livello cerebrale
l'infezione è rara. Anche qui, in prima istanza, si forma un essudato a livello del
basicranio sottoforma di filamenti grigio-
giallastri con interessamento meningeo.
Possono essere colpiti il cervelletto, ma anche
la zona del chiasma ottico. Questo è tutto un
essudato da infezione micotica. Al microscopio
c'è la presenza di tante piccole formazioni
intracitoplasmatiche.

INFEZIONI VIRALI

L'infezione avviene generalmente per contatto diretto attraverso mucosa respiratoria e tratto
gastroenterico. Occasionalmente può essere legata al morso di un mammifero o la puntura di un insetto.
Generalmente,la replicazione virale avviene nel punto di entrata. C'è una prima fase in cui c'è il
coinvolgimento dei linfonodi locoregionali che, di tutta risposta, produce un'iperplasia. In un secondo
momento, si ha una vera e propria viremia, cioè la diffusione del virus attraverso il sangue. I virus arrivano
al SNC perché la BEE in alcune aree anatomiche precise dell'encefalo è più permeabile. Queste aree sono:

 Area postrema;
 Plesso corioideo;
 Ipofisi;
 Epifisi;
 Tuber cinereum;
 Eminenza mediana.

I virus che, invece, vengono inoculati attraverso il morso di un mammifero o di un insetto si legano subito
alle fibre nervose periferiche e seguono la cosiddetta via di trasmissione neurale.

- RABBIA

È una malattia antichissima nota e descritta sin dai tempi dei Sumeri. La trasmissione è neurale ed è legata
al morso di animali. Per anni il serbatoio è stato il cane. Quando è diventata obbligatoria la vaccinazione per
i cani, i serbatoi del virus sono diventati, e lo sono tutt'oggi, volpi e pipistrelli. Ogni giorno vengono
registrati casi di rabbia nelle zone di campagna o in altre zone dove vi sono volpi o altri mammiferi. È una
malattia particolarmente insidiosa perché il tempo di incubazione è estremamente variabile: si parte da
pochi giorni, fino ad arrivare addirittura ad un anno. La sintomatologia, soprattutto nella fase iniziale, è
assolutamente aspecifica perché comporta la comparsa di cefalea e malessere. Solo nel secondo momento
insorge una sintomatologia neurologica con delirio, crisi epilettiche, paresi e idrofobia. Infatti, i pazienti
che si ammalano di rabbia non sopportano la vista dell'acqua. In realtà non è così: hanno degli spasmi
faringei talmente dolorosi che solo la vista dell'acqua, cioè il solo pensiero di doverne mandar giù anche un
sorso, li porta ad evitare di bere dei liquidi, oltre che ovviamente a mangiare.

Per la rabbia abbiamo una serie di segni caratteristici. Gli aspetti morfologici non devono essere indagati in
tutto l'encefalo, ma in una zona specifica che è il corno d'Ammone. Le anomalie della rabbia, dunque, non
vanno cercate altrove perché non si trovano. Bisogna studiare nello specifico le grandi cellule neuronali,

233
cioè i neuroni che si trovano nel corno di Ammone. I neuroni si
riconoscono subito rispetto alle cellule gliali: sono molto grandi, hanno
un nucleo vescicoloso e un nucleolo prominente.

Nel citosol delle grandi cellule neuronali si trovano corpi inclusi


variabili per numero, forma e dimensione. Sono i cosiddetti corpi del
Negri (immagine al lato), dal nome dello studioso che li ha evidenziati
per la prima volta. Si presentano sottoforma di palline color arancio e
di varie dimensioni situate nel citosol. A volte possono addirittura
oscurare il nucleo della cellula. I corpi del Negri rappresentano l'
aspetto patognomonico che contraddistingue in maniera univoca
l'infezione da virus della rabbia.

Oltre a questo, ci sono degli aspetti aspecifici che vengono descritti


nella rabbia, ma anche in altre patologie virali o in seguito a una
vaccinazione post-influenzale. Quando, in seguito a una serie di
complicanze, gli adulti o i bambini muoiono, troveremo questi
aspetti. Ad esempio, nel parenchima cerebrale, si ci possono essere
aggregati di elementi infiammatori che formano dei micronoduli, i
cosiddetti corpi di Babbes (immagine al lato). Sono presenti nella
rabbia, ma anche tutte le volte che c'è un'encefalite post influenzale
o post vaccinica.

Ancora, si può avere un addensamento di cellule infiammatorie in


sede subependimale. Si tratta di cellule piccole, in genere linfociti.
Questo aspetto prende il nome di flogosi sub-ependimale
(immagine al lato). Riassumendo, nella rabbia abbiamo i corpi del
Negri, che sono patognomonici, e i corpi di Babbes e la flogosi
sub-ependimale che sono elementi aspecifici.

- POLIOMIELITE

L'agente è il Poliovirus Hominis che fa parte della famiglia degli Enterovirus. È un'infezione che si trasmette
per via oro-fecale. Oggi è una malattia debellata in seguito all'obbligo per la vaccinazione. Prima i soggetti
più colpiti erano i bambini. Per fortuna, questa infezione provoca una gastroenterite aspecifica. Solo una
percentuale bassissima di pazienti pari all'1-2% sviluppa poi la classica sintomatologia neurologica con
paralisi flaccida, che è l'emblema della poliomielite. Si può avere occasionalmente coinvolgimento bulbare
con compromissione respiratoria e morte.

La poliomielite può insorgere in forma acuta o cronica. Nella forma acuta, midollo e cervello appaiono
macroscopicamente normali. Nella forma cronica c'è atrofia delle corna anteriori del midollo spinale,
soprattutto a livello del bottone cervicale e del bottone lombare. Al microscopio, nella forma acuta c'è
infiammazione perivascolare, cioè elementi infiammatori perlopiù della flogosi acuta, si dispongono
intorno ai vasi formando una specie di manicotto. Inoltre c'è la presenza di neuronofagia, cioè la scomparsa
del neurone. Nella forma cronica, oltre a questi due aspetti, si ha gliosi: un aspetto degenerativo fibrotico
della sostanza bianca. La gliosi è espressione di un processo riparativo in seguito a una lesione o un
intervento chirurgico. È una sorta di cicatrizzazione del SNC. Dopo di ciò, sempre nella forma cronica, si
manifesta un' atrofia neurogenica dei muscoli scheletrici interessati, da cui la paralisi flaccida.

Nel midollo, le corna anteriori appaiono occupate da un consistente infiltrato infiammatorio. Al


microscopio esso appare come un insieme di puntini di colore blu. Abbiamo visto che in un neurone

234
normale abbiamo il citoplasma, un nucleo vescicoloso ed un nucleolo prominente. Si vede anche la
sostanza di Nissl sottoforma di zolle. La malattia evolve secondo lo schema seguente:

 Prima fase: si osserva una polverizzazione della sostanza di Nissl con le zolle che appaiono molto meno
evidenti.
 Nella seconda fase cominciano le modificazioni a carico del neurone: il nucleo non è più vescicoloso e
inizia a presentare alterazioni a livello della membrana. La sostanza di Nissl è sempre meno visibile.
Compaiono anche elementi infiammatori della flogosi acuta, come i neutrofili.
 Terza e ultima fase. Accorrono molti elementi infiammatori. Il neurone è in una fase di degenerazione
avanzata che si conclude con la sua scomparsa. Questo processo prende il nome di neuronofagia; è
come se il neurone venisse mangiato dagli elementi infiammatori.

Queste fasi non sono sincrone: non avvengono in tutti i


neuroni in un unico momento. Quindi in un preparato
istologico troveremo dei neuroni ancora normali, degli
altri scomparsi, digeriti, altri nelle fasi intermedie.

Questo al lato è un esempio di manicotto


perivascolare: si possono notare le emazie al centro ed
elementi infiammatori che circondano il vaso, come a
formare una sorta di manicotto. Questo reperto non è
mai presente in un encefalo normale. È sempre indice
di un'encefalite. Tutto sta a stabilire di cosa.

- CITOMEGALOVIRUS

È il principale membro della famiglia degli Herpesvirus. È molto diffuso negli USA: l'80% della popolazione è
sieropositiva per citomegalovirus (CMV) da 35 anni. L'infezione è asintomatica negli adulti
immunocompetenti, mentre si manifesta nei pazienti immunodepressi. Il CMV è una delle complicanze più
frequenti all'AIDS. Gli adulti presentano un'encefalite che si presenta con confusione, disturbi della
deambulazione, paralisi dei nervi cranici, epilessia, elettroliti sierici anomali e retinite. La retinite è
caratteristica. Uno dei rischi maggiori è l'infezione in utero. I bambini che nascono con l'infezione contratta
in utero presentano epatosplenomegalia, petecchie, ittero, idrocefalia, corioretinite ed encefalite
necrotizzante. Il rischio di avere un feto con tutte queste alterazioni è legato all'età gestazionale. Infatti, il
periodo che comporta il maggior numero di sequele è quella che si verifica nei primi due mesi di
gravidanza.

Macroscopicamente, l'encefalo è normale. Talvolta, è possibile


vedere aree necrotiche a livello dell'ependima delle cavità
ventricolari. I neonati che nascono possono presentare
microcefalia, coriocefalia, microgiria, calcificazioni e presenza di
spazi cistici. Microscopicamente, l'infezione da CMV è
caratteristica: all'interno dei nuclei che appaiono chiari, quasi
otticamente vuoti, si osservano dei corpi eosinofili inclusi
(immagine al lato). Questi sono espressione della presenza del
virus all'interno del nucleo. Spesso, a un'osservazione poco
attenta vengono scambiati per un nucleolo prominente. Il
riconoscimento definitivo del CMV, però, si fa all'immunoistochimica, con anticorpi in grado di reagire con
le proteine prodotte dal virus.

235
INFEZIONI PARASSITARIE

- TOXOPLASMOSI

L'agente infettivo è il Toxoplasma Gondii, un protozoo che ha


un particolare tropismo per il SNC. La massima incidenza si ha
nei paesi tropicali soprattutto Haiti e Brasile anche se è
un'infezione abbastanza diffusa anche negli USA. L'ospite
definitivo è il gatto. L'infezione avviene o attraverso
l'ingestione di oocisti che si trovano nelle feci del gatto o di cisti
che si trovano nelle carni consumate e non ben cotte di animali
infetti. C'è infine un terzo tipo di infezione che si trasmette
nella vita intrauterina da madri acutamente infette. L'infezione
viene contratta di solito nei primi mesi di gravidanza e provoca
il coinvolgimento di sistema nervoso ed occhi.
Macroscopicamente, l'encefalo presenta aree di necrosi ed
aree emorragiche. Al microscopio c'è necrosi coagulativa. In
genere, dato che la necrosi del SNC è colliquativa, questo
aspetto ci aiuta spesso a individuare la patologia. I parassiti
possono trovarsi sottoforma di tachizoiti liberi nel tessuto o
bradizoiti a livello intracellulare. Alla RM o alla TC le lesioni hanno
un aspetto caratteristico: si tratta di lesioni multiple tipicamente
ad anello, con un cercine con un forte potere di contrasto e
un'area centrale ipointensa. Bradizoiti e tachizoiti si visualizzano
alla microscopia elettronica. All'immunoistochimica si utilizzano
degli anticorpi diretti contro il Toxoplasma per capire se si è in
presenza dell'infezione.

- AMEBIASI

L'ameba è un parassita intestinale che può andare a localizzarsi occasionalmente nel SNC. Abbiamo una
meningoencefalite amebica primaria o fulminante e una forma necrotizzante. C'è un altro tipo di amebiasi
dovuta ad Acanthamoeba o a Balmuthia Mandrillaris. Questi tipi di ameba possono dare un encefalite
amebica granulomatosa anche nota come GAE, anche questa relativamente frequente. L'Acanthamoeba
può produrre una cheratite da ameba nei portatori di lenti a contatto.

- NEUROCISTICERCOSI

La neurocistocercosi è un'infezione del SNC causata dalla Taenia Solium. La sintomatologia è quella di una
lesione occupante spazio e spesso la patologia viene confusa con un glioma. Quando però si va ad
asportare la massa, si può riconoscere al microscopio la presenza di una lesione cistica costituita da tra
strati (immagine al lato):

 Strato esterno cuticolare;


 Strato cellulare intermedio;
 Strato reticolare interno.

In prelievi autoptici di pazienti morti per neurocisticercosi


cerebrale si ha una cavità cistica all'interno del quale si può vedere
lo scolice della tenia. Questa patologia infettiva poco nota è oggi
sempre più frequente per il problema dei flussi migratori e per
l'abbattimento delle barriere geografiche. Questo ci insegna che
236
bisogna sempre tener presente che c'è un ventaglio di possibilità. Non tutto infatti è cancro. C'è anche una
patologia infiammatoria che, se grave o diagnosticata tardi, porta a morte come un cancro.

PATOLOGIA NEOPLASTICA
GLIOMI

I gliomi sono tra i tumori primitivi del SNC più frequenti. Tra i gliomi, la maggior parte sono rappresentati
senza dubbio dagli astrocitomi che sono i tumori a carico degli astrociti.

QUADRI ISTOLOGICI

Sebbene i gliomi siano per definizione tumori diffusamente infiltranti, gli astrocitomi vengono comunque
suddivisi in:

 Circoscritti;
 Diffusamente infiltranti.

L'ultima classificazione, introdotta nel 2007 dalla WHO, prevede per gli astrocitomi 4 gradi:

 Grado 1: forme circoscritte.


 Grado 2 o astrocitoma diffuso: ha un unico aspetto caratteristico che è l'atipia nucleare.
 Grado 3 o astrocitoma anaplastico: è caratterizzato da due parametri che vanno in ordine di comparsa
cioè l'atipia nucleare e l'aumentato ritmo mitotico.
 Grado 4 o glioblastoma multiforme: è caratterizzato da atipia nucleare, ritmo mitotico, necrosi e
proliferazione microvascolare.

Alcuni astrocitomi vengono definiti macroscopicamente ben circoscritti. Questo perché sono dei tumori
che, pur essendo infiltranti, hanno un buon piano di clivaggio, ovvero sono facilmente enucleabili. Stiamo
parlando di:

1. Astrocitoma pilocitico (WHO1);


2. Xantoastrocitoma pleiomorfo.

- ASTROCITOMA PILOCITICO (WHO 1).

È il più comune astrocitoma dell'infanzia. È caratterizzato da un pattern bifasico in cui aree a cellule fusate
si alternano ad aree con degenerazione microcistica. L'astrocitoma pilocitico è caratterizzato anche dalla
presenza di alcuni corpi eosinofili (che hanno affinità per l'eosina, di colore giallo-arancio).

Queste strutture hanno tipicamente una forma a cavaturacciolo e si


chiamano fibre di Rosenthal. Inoltre, è caratterizzato da una
proliferazione microvascolare di aspetto piuttosto teleangectasico,
cioè con i vasi capillari a parete sottile e aspetto proliferante, come
vedremo poi essere nel glioblastoma. Riassumendo, in questa
neoplasia abbiamo:

 Pattern bifasico;
 Fibre di Rosenthal (a lato);
 Proliferazione vascolare di tipo teleangectasico.

237
- ASTROCITOMA DIFFUSO (WHO2)

L'astrocitoma diffuso è un tumore a lenta crescita.


Colpisce soprattutto i giovani adulti. Prevalentemente si
localizza nei lobi fronto-temporali, ma si può trovare
anche a livello del tronco encefalico e del midollo
spinale. C'è una tendenza intrinseca alla progressione
maligna. La morfologia prevede un aumento sfumato
della cellularità. In particolare, la cellularità aumenta da
due a quattro volte rispetto all'encefalo normale. Questo
rende tutto più difficoltoso perché un aumento di
cellularità si ha anche nei casi di gliosi. Si riscontra una
lieve atipia citologica a carico degli astrociti. I nuclei non
sono di dimensione uniforme, ma anche quest'ultimo
aspetto è piuttosto sfumato. Si ha inoltre un pattern di
degenerazione cistica con espressione della GFAP.

Negli astrocitomi classici, ci possono essere delle cellule con un ampio citoplasma facilmente riconoscibili,
con nucleo eccentrico cioè spostato alla periferia che si chiamano gemistociti (ved immagine). Quando è
prevalente questa componente, si parlerà di astrocitoma gemistocitico che rimane pur sempre WHO 2.
Anche se in un astrocitoma diffuso la quota di elementi gemistociti supera il 5%, è stata osservata in questi
casi una più rapida progressione verso la malignità. L'astrocitoma gemistocitico ha un tempo medio di
sopravvivenza pari a 6-8 anni. Pur essendo un tumore a basso grado di malignità, quindi, ha una prognosi
piuttosto scoraggiante. Il tempo medio libero da neoplasia è di 4-5 anni. Più è bassa l'età e più un'exeresi
chirurgica completa migliora la prognosi.

- ASTROCITOMA ANAPLASTICO (WHO3)

È una forma maligna. L'età di insorgenza è più alta e corrisponde ai 30-50 anni, quindi colpisce i giovani
adulti. Tipicamente, si riscontra a livello degli emisferi cerebrali. All'esame istologico, si evidenzia
un'aumentata cellularità rispetto al grado 2, atipia nucleare, aumento dell'atipia citologica e discreto
pleiomorfismo. Ci sono cellule più grandi e altre più piccole con nucleo ipercromico. Tuttavia, la cosa più
importante, è l'assenza di proliferazione microvascolare e di necrosi, altrimenti si va a finire nel grado 4.

- GLIOBLASTOMA MULTIFORME (WHO4)

Il tempo di insorgenza aumenta ancora di più: l' età media è 70 anni.


Tipicamente colpisce gli emisferi cerebrali. Macroscopicamente, ci
possono essere forme multifocali e lesioni multicentriche con un
enhancement di contrasto ad anello (ved immagine). Il glioblastoma entra
in diagnosi differenziale con le lesioni parassitarie, come la nocardiosi.

Microscopicamente si riscontra una necrosi a pseudopalizzata: c'è un core


centrale con un assiepamento di nuclei alla periferia. Si evidenzia inoltre
una proliferazione microvascolare. Si formano infatti gomitoli vascolari
che, poiché ricordano i glomeruli di un rene, prendono il nome di strutture
glomeruloidi. Ultima caratteristica: c'è estremo pleiomorfismo.
Riassumendo, il glioblastoma è tipicamente caratterizzato da:

 Pleiomorfismo;
 Necrosi a pseudopalizzata;
238
 Proliferazione microvascolare con presenza di strutture glomeruloidi.

C'è un'acquisizione progressiva di aspetti morfologici di


malignità. Brevemente, abbiamo detto che nel grado 2 c'è
solo atipia nucleare; nel grado 3 atipia più indice mitotico;
nel grado quattro avremo atipia, indice mitotico,
proliferazione microvascolare e necrosi.
Quest'acquisizione è largamente imprevedibile. Né dal
punto di vista clinico, né da quello istopatologico ci sono
caratteri che possono far capire come o quando avverrà la
progressione. In realtà in tutte queste forme rapidamente
progressive sono state viste delle piccole cellule
anaplastiche che hanno un alto indice mitotico e perdono
l'espressione di GFAP. La GFAP rappresenta il filamento
intermedio che caratterizza le cellule gliali. È un acronimo che sta per proteina acida gliofibrillare ed è un
marcatore caratteristico del glioma.

I pazienti con glioblastoma multiforme possono essere arruolati in due sottogruppi:

1. Età avanzata e storia anamnestica breve, cioè circa tre mesi.


2. Età di insorgenza più bassa, inferiore ai 45 anni e con una lunga storia di 4-5 anni.

Quello che insorge nel primo sottogruppo è chiamato glioblastoma de novo o primario cioè ed insorge
come glioblastoma. Il secondo, con intervallo più lungo, è un glioblastoma secondario. Quest'ultimo
insorge secondariamente a una lesione per astrocitoma. Questi due glioblastomi sono morfologicamente
indistinguibili tra di loro. In realtà, seguono due differenti pattern genetici. Ecco perché oggi si sta tentando
di fare una target teraphy, cioè una terapia personalizzata. Vedete quanto è importante il dato molecolare
per differenziare questi due glioblastomi che pur essendo morfologicamente indistinguibili avranno dei
percorsi e dei target molecolari completamente differenti. Il glioblastoma primario, infatti, possiede
mutazioni del EGFR; la forma secondaria, invece, di p53.

XANTOASTROCITOMA PLEIOMORFO

CASO CLINICO: Bambina di 4 anni con massa neoplastica a


livello del lobo temporale; diagnosi di glioblastoma
multiforme. Primo errore: il glioblastoma è raro che insorga
in una bambina così piccola. Secondo errore: si è assegnato
il grado 4 solo sul pleomorfismo nucleare, senza tenere in
conto dell'assenza di necrosi e di proliferazione cellulare. In
realtà non si sapeva cosa fosse. Dopo vari anni si è scoperta
questa nuova neoplasia che è stata etichettata come:
xantoastrocitoma pleiomorfo e deve essere considerata una
lesione di basso grado. La bambina è stata operata tre volte
per una recidiva. Ora ha 28 anni e sta benissimo.

Lo xantoastrocitoma pleomorfo è un tumore che colpisce tipicamente bambini e adolescenti, in genere nel
lobo temporale. Si tratta di un tipo di neoplasia individuata piuttosto di recente. Questo tumore, come
accade nel glioblastoma multiforme, è caratterizzato da marcato pleiomorfismo, cellule bizzarre, atipiche,
mostruose. L'unica differenza è che sono assenti la necrosi e la proliferazione microvascolare.

All'immunoistochimica, questa neoplasia appare positiva per Reticolo. Reticolo è una colorazione
particolare utilizzata generalmente per visualizzare la disposizione dei periciti perivascolari. Inoltre, si può
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effettuare una metodica di impregnazione argentica che prende il nome di colorazione di Gordon-Suitt. In
questo modo si può visualizzare un reticolo molto accentuato, addirittura pericellulare.

OLIGODENDROGLIOMA.

È un tumore frequente, soprattutto a localizzazione frontale, a lenta crescita e che colpisce gli adulti. Al
neuroimaging tipicamente presenti calcificazioni. Se il neuroradiologo vede una spruzzata di calcificazioni,
può fare diagnosi di oligodendroglioma. Poiché però l'infezione è frontale ed è un tumore a lenta crescita, i
pazienti a volte sono asintomatici per anni e cominciano a mostrare turbe comportamentali ed alterazioni
della personalità per cui questi pazienti, il più delle volte, sono sottoposti a cure psichiatriche. Infatti essi
vengono scambiati per pazienti affetti da depressione e vengono curati con psicofarmaci per tanto tempo,
fino a quando non si fa per scrupolo una TAC e viene fuori questo tumore del lobo frontale. L'aspetto è
caratteristico: le cellule hanno un tipico alone chiaro perinucleare. Per questo, si dicono cellule "a uovo
fritto". Sono presenti vasi in genere molto sottili e geometricamente angolati, articolati tra di loro con
presenza di calcificazioni tipiche. Anche per l'oligodendroglioma esiste una forma maligna caratterizzata da
necrosi, pleiomorfismo e proliferazioni microvascolari.

EPENDIMOMA.

Costituisce dal 6 al 12% dei tumori intracranici infantili e il 30% dei tumori al di sotto dei 3 anni di età. È un
tumore che interessa l'ependima dei ventricoli e del canale spinale. Sono tumori che hanno una morfologia
particolare, con un arrangiamento pseudorosettiforme. Formano infatti pseudo rosette intorno ad un core
centrale vascolare (ved immagine). Gli ependimociti mostrano caratteristicamente una zona chiara fibrillare
acellulare con i prolungamenti rivolti verso il vaso. Tutti i nuclei sono dunque addossati al ventricolo.

C'è anche una forma di ependimoma anaplastico, di natura


maligna, con mitosi, necrosi e proliferazioni microvascolari.

C'è poi un ependimoma che va trattato per completezza e


che si trova solo a livello della cauda equina e del cono
midollare. Si chiama ependimoma mixopapillare (WHO1).
È di bassissimo grado e ha una prognosi assolutamente
favorevole. Colpisce i giovani adulti. Ha un'organizzazione
di tipo papillare ed è ricco di una sostanza mixoide,
mucinosa.

RECIDIVA

- PSEUDOPROGRESSIONE

Uno dei problemi più importanti, più scottanti, più spinosi nel campo dei gliomi è quello della comparsa
della recidiva. Tutti i tipi di tumore, anche quelli di basso grado, possono andare incontro a recidiva.
Questa è la vera sfida del neurochirurgo e del patologo, soprattutto quando si parla di tumori di alto grado.
Pazienti con gliomi di alto grado vengono avviati ad un trattamento combinato che consiste in cicli di
chemioterapia e radioterapia. La radioterapia, per quanto possa essere mirata ed effettuata con
strumentazioni sofisticatissime, provoca a livello del parenchima cerebrale ampie aree di necrosi. Questi
pazienti, quindi, dopo un paio di anni, possono formare una recidiva. Il problema allora è:

"QUESTA RECIDIVA È UNA VERA RECIDIVA O UN DIFETTO DELLA TERAPIA RADIANTE?"

240
Questo non riusciamo a differenziarlo, per cui si parla di pseudoprogressione. La necrosi si trova in
entrambi i casi così come le cellule atipiche. Uno dei parametri che in genere viene preso in considerazione
è l'eventuale presenza di figure mitotiche. Esse non dovrebbero esserci nelle forme da radionecrosi, mentre
dovrebbero essere presenti lì dove c'è la ricomparsa dei tumori. L'immunoistochimica in questi casi non
viene utilizzata perché può dare risultati non soddisfacenti.

La differenziazione tra le due forme è di fondamentale importanza per la radioterapia: se è radionecrosi il


chirurgo va a fare una decompressione; se è una reale recidiva tumorale, deve fare un exeresi quanto più
possibile completa. Non solo. In seconda battuta, dopo quello che è il trattamento radioterapico in
generale, si può fare un trattamento chemiotarapico locale con una sostanza che si chiama Temodal e si
può fare solo se è presente tessuto neoplastico attivo, vitale. Ciò è stabilito dalle linee guida. Spesso i
neurochirurghi, anche se sanno di cosa si tratta, chiedono un'intraoparatoria e ciò proprio perché la
questione è molto delicata. Se il patologo risponde che è un glioblastoma, loro sono autorizzati a fare
questo trattamento locale. In caso contrario, loro non possono farlo. Da qui, l'importanza fondamentale
che ha la patologia in questi casi.

Riassumendo: può capitare non si tratti di una vera progressione di malignità, quanto di una pseudo
progressione, vale a dire un effetto di radio e chemioterapia sul focolaio chirurgico. Tale focolaio nel 20%
dei casi può regredire completamente senza dare alcuna sintomatologia, mentre in altri casi è necessario
un intervento chirurgico di decompressione.

- ONTOGENESI
È noto come organogenesi e tumorigenesi siano in realtà processi paralleli che hanno molti punti di
contatto. Si sa come entrambi i processi siano regolati da cellule staminali, normali nel caso
dell’organogenesi e trasformate nella cancerogenesi (CSC – Cancer stem cells).

Le cellule staminali possono dividersi con due modalità:

 Asimmetrica da una cellula staminale si ottengono due cellule figlie: una più differenziata detta
cellula di transito e l’altra che è una cellula staminale identica alla cellula madre. Nelle divisioni
successive, le cellule di transito diventano sempre più differenziate fino a dare origine a cellule
mature, assolutamente differenziate.
 Simmetrica da una cellula staminale possiamo avere tutte cellule staminali oppure tutte cellule di
transito. Questa seconda modalità è più elastica e consente degli aggiustamenti in corso d’opera.
Può, infatti, dare origine ad un’ amplificazione delle cellule staminali, quando queste sono distrutte
per un motivo qualsiasi (danno, tumore, trauma), oppure al contrario, quando le cellule staminali
sono in eccesso, può dare origine ad una riduzione preferendo la formazione di tutte cellule di
transito dalla cellula madre. Queste modalità di divisioni valgono fino a quando non si ripristina una
condizione di equilibrio, ovvero fino a quando il numero di cellule staminali non torna ad essere
quello fisiologico.

È noto, ormai, come anche nell’encefalo esistano cellule staminali. Sono localizzate in due regioni:
ippocampo e sostanza bianca periventricolare.

Nel processo di tumorigenesi, i modelli di formazione di un tumore più seguiti sono due:

 Modello stocastico secondo il quale, da ogni cellula presente in un tumore si può sviluppare un
tumore identico a quello di origine. Tutte le cellule neoplastiche presenti nel tumore hanno la
stessa potenzialità
241
 Modello gerarchico (è oggi molto più seguito e accettato) al di là della popolazione neoplastica che
può essere polimorfa e varia, un tumore identico a quello di partenza si origina solo ed
esclusivamente dallo stesso subset di cellule, ossia da un unico clone cellulare che in realtà è
costituito dalle cellule staminali.

Sappiamo, oggi, che un tumore cerebrale (nel nostro caso un glioma) origina dalla proliferazione di cellule
staminali trasformate (CSC). Queste cellula staminali in coltura formano neurosfere che non aderiscono al
substrato e la cui vitalità è indipendente dall’adesione al substrato, dalla presenza di fattori di crescita, dalla
presenza di medium speciali ricchi in sostanze nutritive. La formazione e la vitalità di queste neurosfere è
pertanto indipendente dalle condizioni ambientali, comunemente determinanti invece in tutte le altre
colture cellulari.

Morfologicamente è impossibile distinguere le cellule staminali trasformate che danno origine ad un nuovo
glioblastoma dalle cellule staminali normali. Questi due tipi di cellule, infatti, non solo hanno lo stesso
fenotipo ma dal punto di vista genetico esprimono anche gli stessi marcatori di staminalità. Uno dei
marcatori attualmente più testato è il gene CD133, il quale però è overespresso sia nelle cellule staminali
normali sia in quelle trasformate.

- MECCANISMI
In un glioblastoma c’è commistione tra cellule neoplastiche e cellule staminali trasformate. Attualmente la
terapia di questo tumore prevede la combinazione di chemioterapia, con una sostanza che si chiama
temodal, e radioterapia convenzionale. Chemio e radio agiscono sulle cellule neoplastiche portandole alla
morte, ma non agiscono sul comparto delle cellule staminali. Ed è proprio da queste cellule staminali
trasformate che inizia la nuova proliferazione e quindi la comparsa della recidiva. Questa è l’ipotesi più
accreditata sulla base del processo di recidiva nei gliomi soprattutto di alto grado.

Queste cellule sono resistenti perché, dopo il trattamento chemio/radioterapico che va a danneggiare il
DNA, mettono in azione tutti i meccanismi atti a riparare il DNA danneggiato. Attivano tutti i checkpoints
necessari per ripristinare il DNA danneggiato rapidamente, pertanto rimangono vitali e capaci di dar origine
alla recidiva.

Oggi si sta cercando, dato che queste cellule staminali esprimono CD133, di mettere a punto una terapia
diretta contro le cellule che esprimono proprio questo gene. Si è visto che esiste una proteina BMP4 (bone
morphogenetic protein 4)in grado di ridurre in vitro la proliferazione delle cellule che esprimo CD133 ed in
vivo la crescita tumorale. Questa proteina potrebbe agire come un regolatore negativo, ovvero un inibente.
Potrebbe, quindi, essere usato in combinazione con terapie dirette verso le cellule tumorali. C’è grande
aspettativa sulla sperimentazione e l’utilizzo di questa proteina. Di questa proteina ne esistono 12
isoforme. Hanno capito che la 4 era quella funzionante molto semplicemente provandole tutte. (N:B. la
sperimentazione va avanti anche così, per tentativi)

Oramai è accertato come le cellule staminali abbiano la potenzialità di produrre osso. Proprio sulla base di
questa capacità è stata portata avanti la sperimentazione ed è stato visto come la isoforma 4 riusciva a
bloccare la proliferazione delle cellule CD133+.

- MOLECOLE
Le molecole coinvolte sono moltissime. Le più note e promettenti sono: PINCH e FASCIN

242
 PINCH

Quando si crea un legame di tipo recettoriale tra fattore di crescita ed integrine, avviene la trasduzione del
segnale e la proliferazione cellulare alla base della tumorigenesi .

Esistono delle proteine che si chiamo Adapter Protein che vanno ad interfacciarsi con il legame recettoriale
e fungono da catalizzatori di certe reazioni, addirittura facendo disporre tutte le proteine lungo le vie dove
è più verosimile che ci sia il contatto, che passino gli induttori. Queste adapter protein agiscono come tubi
di raccordo attivi, accelerando i processi di trasduzione del segnale e quindi la proliferazione.

PINCH è upregolata nello stroma tumore associato in diversi tipi di cancro (non è quindi solo presente nei
gliomi!!).

Esiste uno studio molto significativo del 2007 in cui viene dimostrato come questa proteina sia presente nei
gliomi primitivi e nelle recidive, mentre è poco espressa o localmente espressa nel tessuto cerebrale
normale. Correla con il grading dei gliomi: quanto più il grado di malignità è elevato tanto più è
overespressa (molto espressa nei glioblastomi, poco espressa nei gliomi di basso grado). Non è, però, stata
dimostrata alcuna associazione con dati clinici come l’età del paziente, la sede, gli aspetti istologici o la
molteplicità dei tumori.

 FASCIN

Il fatto che i gliomi non rispondano bene ai trattamenti standard dipende verosimilmente dalla grande
propensione ad infiltrare il parenchima cerebrale perilesionare. Questo alto potere di infiltrazione
presuppone una grande motilità di queste cellule.

Per muoversi, deve esserci prima di tutto una forte interrelazione tra cellule maligne e stroma. Queste
cellule devono essere in grado di aderire allo stroma e di trasportare poi il corpo cellulare. Questo
movimento viene reso possibile da alcuni prolungamenti cellulari che prendono il nome di FILOPODI.

Nei tumori l’attività, il numero, la capacità di aderire al substrato e di trasportare il corpo cellulare di questi
filopodi devono essere fortemente incrementati. In sostanza, queste estroflessioni devono essere
maggiormente in grado di aderire al substrato e di tirarsi dietro il corpo cellulare.

È stato visto che questa capacità viene conferita ai filopodi dalla presenza di una proteina che va ad
irrobustire questi prolungamenti. Questa proteina viene chiamata FASCIN o fascina. Questa proteina induce
la formazione di fasci di actina nelle protrusioni cellulari.

La fascina ha funzione analoga alla filamina che è ugualmente espressa nei tumori cerebrali e favorisce la
formazione di pseudopodi.

Questa fascina è espressa in una serie di linee cellulari di gliomi in coltura. Quando viene down regolata,
diminuisce la motilità di queste cellule. È stato visto, mediante immunofluorescenza, che questa inibizione
della fascina si risolve in un numero inferiore di filopodi ed anche la forma delle cellule del glioma viene
fortemente danneggiata.

QUESTO È TUTTO QUELLO CHE SI SA SU TUMOROGENESI E CELLULE STAMINALI: MA SONO DAVVERO


QUESTE CELLULE IL RESPONSABILE A LUNGO CERCATO DEL PROCESSO, CAPACE DI RIVOLUZIONARE
FISIOLOGIA, DIAGNOSI E TRAPIA?? Si lavora molto sulle cellule staminali con risultati ancora incerti.

243
GENETICA ED EPIGENETICA
È noto ormai che la progressione di malignità degli astrocitomi, che dalle forme di basso grado passano alle
forme di alto grado, è sotto il controllo genetico.

L’anatomia patologica si serve anche di metodiche di biologia molecolare per individuare i geni
eventualmente coinvolti. La figura del patologo viene un po’ snaturata quando si parla di biologia
molecolare, perché questa tecnica comporta la scomparsa della morfologia al fine di purificare acidi nucleici
e ricavare dei segnali che poco ci dicono sugli aspetti puramente morfologici.

Oggetto di studio sono 29 marcatori molecolari promettenti, raggruppati in 4 categorie connesse a:

1. PROLIFERAZIONE CELLULARE: sono importantissimi dal punto di vista prognostico perché c’è una
stretta correlazione almeno su 12 di 23 marcatori studiati.
2. RISPOSTA IMMUNITARIA ed APOPTOSI: valenza su stratificazione prognostica per 20 su 29
marcatori.
3. ANGIOGENESI: fino ad oggi solo marginale correlazione con la prognosi. Questo è un punto oscuro
perché è noto come l’angiogenesi sia fondamentale per lo sviluppo di un tumore o di una recidiva e
come la vascolarizzazione nei gliomi correli con il grading (più il glioma è di alto grado più è
vascolarizzato). Stranamente non è stata riscontrata ancora alcuna significativa correlazione
prognostica tra marcatori di angiogenesi e prognosi.
4. INVASIONE e METASTATIZZAZIONE: i primi dati sono ancora prematuri per poter trarre una
conclusione prognostica.

Di fatto, i marcatori più promettenti e più validati sono quelli della proliferazione cellulare e quelli di
risposta immunitaria ed apoptosi. Sugli altri si lavora ancora.

I gliomi sono quindi evidentemente sotto il controllo genetico. Tuttavia, la genetica da sola non basta a
spiegare una serie di altri problemi.

1. Perché gemelli monozigoti possono avere una diversa tendenza ad ammalarsi?


2. Perché individui animali derivanti da processi di clonazione si comportano in modi differenti?

Se la genetica fosse alla base di tutto, probabilmente dovremmo avere dei gemelli con la stessa
propensione ad ammalarsi delle stesse malattie o degli animali clonati della stessa tipologia. Invece così
non è.

Nel processo di tumorigenesi (dei tumori cerebrali ma non solo) esiste anche un controllo epigenetico.

Per epigenetica si intende quell’insieme di modificazioni ereditabili ma che non comportano un’alterazione
strutturale dei geni. Non c’è danno strutturale del DNA ma sono modificazioni indotte verosimilmente da
condizioni ambientali che provocano queste modificazioni ereditabili.

Quindi, non solo controllo genetico ma anche controllo epigenetico!!

La metilazione del DNA è la principale forma di modificazione epigenetica. La metilazione è strettamente


correlata all’uso di farmaci alchilanti. Questi farmaci sono dei chemioterapici di ultima generazione che
interagiscono direttamente con il DNA formando un legame covalente grazie ad una reazione di
alchilazione tra la forma attivata del farmaco e le basi azotate. Il bersaglio principale di questa reazione di

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alchilazione è l’azoto in posizione 7 della guanina. Questi farmaci alchilanti possono formare legami a ponte
tra due filamenti diversi del DNA oppure nell’ambito dello stesso filamento. La formazione di questi legami
comporta una rigidità della struttura per cui si spezza la doppia elica del DNA.

I farmaci alchilanti sono ciclo-aspecifici, agiscono indipendentemente dalla fase del ciclo cellulare in cui si
trova la cellula neoplastica. La fase più suscettibile, tuttavia, è la fase S del ciclo cellulare quando il DNA è
parzialmente svolto e più accessibile. Il bersaglio preferito di questi farmaci sono le cellule in replicazione
che muoiono nella fase G2.

Normalmente, esistono degli enzimi che vanno a riparare i danni indotti da questi farmaci. La base azotata
anomala viene prima escissa da un’endonucleasi, successivamente subentra una ligasi che va a ripristinare
l’integrità della doppia elica. Questi enzimi vengono detti enzimi di riparazione o di riparo del DNA.

 MGMT

Uno degli enzimi più coinvolti nel processo di tumorigenesi è O6-METILGUANINA-DNA-METILTRANSFERASI


(MGMT). Questo enzima agisce sui siti alchilici creati dal farmaco rimuovendoli. Induce quindi chemio
resistenza. Questa ipermetilazione del DNA è implicata nella progressione di malignità degli astrocitomi.

Il tutto è stato dimostrato con uno studio in cui sono stati presi in considerazione 27 astrocitomi fibrillari
grado 2, ben differenziati di basso grado (quelli tranquilli per capirci), che nel corso degli anni erano andati
incontro o a recidiva o a progressione di malignità. È stato visto che questi astrocitomi avevano una
ipermetilazione a carico di una zona precisa del promotore del gene MGMT, zona chiamata CpG Island

Il farmaco oggi usato di routine nel trattamento dei gliomi di alto grado si chiama TEMODAL ed è in realtà
temozolomide. È un triazene che ha una serie di vantaggi:

 Attraversa rapidamente la barriera ematoencefalica


 Agisce direttamente sulle cellule tumorali
 Poco tossica, senza grandi effetti collaterali

Questo farmaco priva le cellule neoplastiche del sistema di riparazione del DNA rendendole più vulnerabili.
MGMT, abbiamo detto, induce chemioresistenza perché elimina i gruppi alchilici e rende le cellule più
resistenti al danno indotto dalla chemio. Il temodal, invece, elimina o riduce questa capacità di riparazione
rendendo quindi le cellule più vulnerabili.

Questo succede perché il gene MGMT è metilato in queste CpG Island. Se metilato non funziona e quindi
induce chemio sensibilità. Quindi oggi si studia dal punto di vista biomolecolare lo stato di metilazione del
gene MGMT, oramai si fa di routine su tutti i gliomi. Se è metilato, i pazienti andranno meglio perché sono
chemio sensibili, rispondono meglio alla terapia.

MGMT si può fare anche con immunoistochimica e quindi su tessuto incluso in paraffina.

Ripetiamo: oggi quando si fa diagnosi di glioma di alto grado, di glioblastoma, la prima cosa da fare è
richiedere sempre lo stato di metilazione di MGMT per vedere se quel paziente è responder o non
responder. È fondamentale ai fini di una valutazione terapeutica e quindi prognostica.

Questa metilazione ha rappresentato un faro nella ricerca neuropatologica. Nonostante quello che si può
pensare e dire, i tumori cerebrali rappresentano per il neurochirurgo, per il patologo e per l’oncologo una

245
sfida perdente. La prognosi è fortemente infausta. Un po’ aiuta: un paziente con glioblastoma, che ha
un’aspettativa di 8-10 mesi, se presenta ipermetilazione sopravvive 14-16.

 IDH1 e IDH2

Sempre con metodica immunoistochimica è oggi d’obbligo saggiare l’espressione proteica di altri due geni,
IDH 1 e IDH 2 (isocitrato deidrogenasi di tipo 1 e 2). Nei gliomi questi geni sono mutati: per quanto riguarda
IDH1 la mutazione è a livello del residuo 132, mentre per IDH2 è a livello del residuo 172. Tali mutazioni
sono presenti negli astrocitomi di grado 2 (astrocitoma diffuso) e 3 (astrocitoma anaplastico),negli
oligodendrogliomi e nei glioblastomi secondari.

I glioblastomi secondari sono quelli che derivano per progressione di malignità dalle forme di basso grado e
vanno differenziati dai glioblastomi de novo o primari, cioè quelli che nascono come tali. Questi due tipi di
glioblastomi seguono pathways genetici diversi e hanno anche delle variazioni in termini di prognosi: i
pazienti con glioblastoma de novo hanno una prognosi vagamente migliore rispetto ai glioblastomi che
derivano da progressione di malignità. Allora identificare se si tratta di un glioblastoma primario o
secondario è di fondamentale importanza. In particolare IDH1 è mutato nell’ 80% mentre IDH2 nel 10% dei
gliomi secondari. La valutazione di questi enzimi risulta quindi fondamentale per distinguere glioblastomi
primari e secondari. Ancora serve per distinguere oligodendrogliomi da glioblastomi, una diagnosi non
sempre facile se ci si trova di fronte un glioblastoma di alto grado anaplastico. Questi tumori possono avere
caratteristiche morfologiche per alcuni versi simile ma hanno prognosi e terapia diversa, quindi è
fondamentale la corretta diagnosi. Gli oligodendrogliomi anche di alto grado vanno meglio di un
glioblastoma. La diagnosi di glioblastoma corrisponde alla diagnosi di morte certa in tempi brevi,
oligodendrogliomi hanno prognosi un po’ più favorevole.

È stato visto come la mutazione a carico di questi geni correli con lo stato di metilazione di MGMT e ancora
con la codelezione 1p19q negli oligodendrogliomi. Altro segno prognostico per oligodendrogliomi è una
codelezione 1p e 19q , anche questa analisi è fatta di routine in tutti i laboratori di neuropatologia. Se esiste
una codelezione la prognosi è migliore, rispetto ai casi in cui o non c’è proprio delezione o c’è ma solo a
carico di uno dei due cromosomi.

Poiché la mutazione di IDH1 è presente non solo nei glioblastomi ma anche negli astrocitomi di grado 2 e 3
e negli oligodendrogliomi, questa mutazione potrebbe essere una mutazione molto precoce nel processo di
tumorigenesi, può cioè verificarsi nei primi step del processo, prima che ci sia una differenziazione in cellule
astrocitrie, oligodendrogliali e così via.

 BRAF

BRAF è un protoncogene localizzato sul cromosoma 7 (7q34) coinvolto nella crescita cellulare.

La mutazione a carico di BRAF è un marcatore degli astrocitomi pilocitici sporadici. Tale mutazione, infatti, è
presente nel 60-70% di tali astrocitomi. L’astrocitoma pilocitico è un tumore tipico dell’infanzia e
dell’adolescenza ed è caratterizzato morfologicamente dalla combinazione di aree fusate dense e di aree
lasse di aspetto microcistico. Queste due componenti possono essere presenti in maniera bilanciata oppure
ci può essere la predominanza dell’una o dell’altra. Quando si fa un’asportazione chirurgica, il patologo ha
spesso a che fare con frammenti di tumore perché il neurochirurgo in sala operatoria utilizza una
strumentazione particolare che si chiama CAVITRON. Questo è un aspiratore ad ultrasuoni peculiare perché
ha la caratteristica di evitare le zone sane. Quindi, è intelligente perché risparmia le zone sane ma è pur

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sempre un aspiratore e perciò il tumore viene frammentato. All’anatomia patologica arrivano dei piccoli
frammenti di tumore, frammenti che possono anche non essere espressione dell’intero tumore. Risulta
talvolta difficile, in presenza di bambini o di giovani adulti, differenziare un astrocitoma pilocitico in cui
compare sola la componente microcistica da un astrocitoma fibrillare WHO2 caratterizzato dallo stesso
aspetto microcistico ma con prognosi completamente diverso (il pilocitico ha come unica terapia quella
chirurgica senza terapia successiva poiché è un WHO1, il diffuso va, invece, inevitabilmente incontro a
progressione di malignità). Fare una corretta e certa diagnosi di astrocitoma pilocitico ha, dunque, una
grandissima valenza prognostica e terapeutica (non dimentichiamoci che parliamo di bambini e
adolescenti). Per questo si studia BRAF: è espresso dal 60-70% degli astrocitomi pilocitici e non è espresso
dagli astrocitomi diffusi.

 FGFR-TACC

Un ricercatore italiano ha fatto nel 2012 una scoperta che è ritenuta una delle 100 più importanti dell’anno.
Descrive una sorta di “droga” che tiene in vita il glioblastoma. Pare che questa proteina codificata da un
gene di fusione, fgfr-tacc (il nome deriva proprio dalla fusione dei singoli geni coinvolti), mantenga in vita le
cellule neoplastiche. Il materiale per questo studio tra l’altro è stato chiesto a tutti gli istituti italiani.

Questo gene di fusione è stato trovato nel 3% dei glioblastomi. Numericamente non è un dato
statisticamente significativo, eppure è state una delle 100 scoperte più importanti del 2012.

CONCLUSIONI
Attualmente nell’ambito dei tumori cerebrali disponiamo di:

 Morfologia: è punto di partenza ed in molti casi è estremamente caratteristica (nel glioblastoma


abbiamo necrosi a pseudopalizzata, con proliferazione micro vascolare e formazione delle strutture
glomeruloidi, atipia e pleomorfismo citologico, spesso con presenza di cellule piccole).
 Tecniche ancillari: ancillari è improprio dato che oggi una diagnosi anatomopatologica senza
immunoistochimica è impensabile. Si utilizzano anticorpi specfici contro antigeni specifici.
L’anticorpo di più largo impiego è la GFAP (proteina acida gliofibrillare), che è un filamento
intermedio espresso dalle cellule gliali. Ci si può avvalere anche di tecniche di immunofluorescenza.

In futuro ci attende sicuramente il ricorso a biochip di oligonucleotidi. Si arriverà a questo quando si avrà la
prova che questo approccio servirà ad impostare o a modificare la terapia.

Bisogna ricordare sempre che ci sono dei limiti intriseci alle neoplasie maligne, primo tra tutti
l’eterogeneità tumorale. Il dato molecolare potrebbe pertanto essere confondente o riferito ad un solo
citotipo e non riferito a tutti i citotipi che compongono l’eterogenea popolazione tuomorale.

Gli anatomopatologici, essendo per definizione dei morfologi, vorrebbero arrivare ad una morfologia
molecolare, in cui ci sia una valutazione contemporanea dell’informazione morfologica e molecolare.

Anche per l’immunistochimica, che può sembrare una procedura tanto semplice presenta dei limiti: nel
caso di metastasi epiteliale al cervello, si saggiano le citocheratine. Se si saggia la vimentina, marcatore
primo del tessuto mesenchimale, questa risulterà positiva in alcuni distretti, ovvero dove c’è connettivo,
stroma, dove ci sono fibroblasti del tutto normali. Ora bisogna vedere l’espressione degli anticorpi nelle
cellule tumorali e non quella dello stroma normale, altrimenti si fa diagnosi di metastasi da sarcoma. La
morfologia quindi aiuta a vedere l’espressione delle cellule tumorali e non di quelle normali, presenti del
247
tessuto. Il segnale molecolare può, quindi, essere espresso anche da cellule normali presenti nel tessuto. Gli
anatomopatologi proprio per superare questo limite hanno come target la definizione di una morfologia
molecolare, in cui il dato molecolare venga studiato in relazione alla cellula in cui viene trovata (dato
morfologico).

I tumori cerebrali sono oggi gradissimo oggetto di studio proprio perché rappresentano un campo perdente
per la medicina.

Per i tumori cerebrali quello che vediamo è la punta di un iceberg, c’è un sommerso che fa spavento e che
non conosciamo affatto.

Il trattamento dei gliomi richiede un approccio interdisciplinare più che multidisciplinare, perché non esiste
una disciplina di prima o seconda scelta (un neurochirurgo non è più importante del radiologo o del
patologo, né il patologo è più importante degli altri). È solo dall’assoluta parità tra queste discipline che si
può cercare di aggiungere ulteriori tasselli a quel puzzle estremamente difficile che è il capitolo dei tumori
cerebrali. C’è una storia ancora tutta da scrivere.

CITOLOGIA DEL SNC E NEUROCHIRURGIA STEREOTASSICA


La citologia del SNC si effettua sul liquido cefalorachidiano. Il citologico si usa per malattie infettive,
infiammatorie. Il liquido normalmente è trasparente, chiaro, incolore e soprattutto acellulato (sono tollerati
fino a 5 linfociti). Se nel liquor troviamo elementi tipici di una flogosi acuta (neutrofili) si parla di meningite.
Può essere anche uno strumento diagnostico per i tumori endoventricolari e periventricolari, che crescendo
finiscono nel ventricolo e sfaldano la parete.

Esiste anche una citologia per tumori o lesioni cerebrali che si trovano lontani dai ventricoli, ovvero la
Neurocitopatologia. Esistono dei tumori assolutamente benigni o anche cisti come la cisti colloide del III
ventricolo che portano a morte il paziente perché si trovano in sede di elezione come tronco encefalico,
limbo incompatibili con un intervento chirurgico. I tumori cerebrali difficilmente danno metastasi al di
fuori del SNC per la presenza della barriera ematoencefalica che ne impedisce la diffusione. Alcuni rari casi
di metastasi colpiscono i polmoni e provengono per lo più da meningiomi. I meningiomi sono tumori
benigni delle meningi.

L’unica diagnosi con valenza medico-legale è quella anatomopatologica e che consente il trattamento radio
e chemioterapico. Esistono tumori profondi che si sviluppano nelle zone elettive del SNC che per
definizione sono inoperabili. I pazienti con queste lesioni riescono ad avere una dagnosi grazie ad una
branca della neurochirurgia : la neurochirurgia stereotassica. Si fa per tumori profondi inoperabili. La
neurochirurgia stereotassica consiste nel posizionamento di un casco stereotassico sulla testa del paziente.
È un casco formato da due goniometri incrociati a 90° tarati, su questi goniometri viene montata una sonda
e l’inclinazione della sonda viene dedotta su una serie di calcoli matematici ottenuti con ricostruzioni TAC
con RM per individuare il tumore secondo i tre assi cartesiani x,y,z. Il casco è avvitato ma il paziente non ha
dolore, in quanto viene sottoposto ad un anestetico locale su cute ma deve essere sveglio. In base
all’inclinazione calcolata il neurochirurgo pratico un foro e il paziente prova dolore per un secondo quando
il trapano raggiunge la dura madre che è innervata. Questi trapani si fermano nel momento in cui la punta
raggiunge il parenchima cerebrale. Il paziente deve essere sveglio e viene continuamente interrogato
perché in questo modo il neurochirurgo capisce quale area del cervello sta esplorando, ad esempio centro
del linguaggio il paziente non risponde oppure inizia a balbettare ecc. Nel punto in cui le due semilune del
casco si incrociano il neurochirurgo tramite una pinza elettrica preleva parenchima cerebrale della
grandezza di una testa di spillo. Il campione raccolto non viene posto sulla garza, ma sono stati creati dei
cestelli di metallo a maglia sottilissima che non permette la perdita del campione. Di questo campione si fa
soltanto uno striscio citologico. Infatti nell’encefalo possiamo praticare solo la citologia e in particolare per
248
tumori inoperabili. Ed è proprio grazie alla citologia che facciamo diagnosi. Tra i tumori inoperabili abbiamo
i gliomi (istotipo, grading), caratterizzati dalla presenza di neuropilo.

TUMORI NEUROENDOCRINI
Da sempre il rapporto cervello visceri è stato un rapporto enigmatico che ha stimolato la fantasia dei
ricercatori. Basti pensare che è opinione comune corrente, ma non provato scientificamente, che i malati di
mente non ammalano di cancro.

Il termine neuroendocrino compare alla fine del 1800. Nel 1897, Kultshizly definì in tale modo le cellule che
si trovavano alla base delle cripte intestinali. Nel 1907 Lerbarsch e Oberndorfer (soprattutto quest’ultimo)
introdussero il termine di carcinoide. Oberndorfer trovò nel piccolo intestino e nella vescica dei piccoli
tumori che sembravano carcinomi ma non lo erano.

Fu determinante il lavoro di Pearse nel 1971. Secondo la sua teoria, pubblicata su Nature, alcune cellule si
staccavano dalla cresta neurale e si insidiavano tra le cellule degli epiteli ed in particolare quello intestinale.
Questa loro posizione le metteva in condizione di stare a contatto con i visceri ed essere raggiunte da
terminazioni del sistema nervoso (sono comunque cellule di derivazione neurale). Il rapporto cervello
visceri era mutuato da queste cellule migrate dalla cresta neurale e insidiate nella mucosa. Pearse coniò
così il termine APUD (Amine Precursor Uptake Decarboxylase), cioè sono cellule con capacità di
decarbossilare i precursori delle ammine. Questa teoria, per lungo tempo abbandonata e ripresa (per
esempio da Rosai) è stata oggi largamente abbandonata. Oggi in realtà si sa che le cellule neuroendocrine
derivano tutti e tre i foglietti embrionali e non da un solo foglietto (un grande contributo fu dato in questa
direzione dagli studi di Nicole La Durelle del 1974).

Oggi per neuroendocrino si intende l'acquisizione di un fenotipo, quindi non derivazione embriologica, ma
esclusivamente l'acquisizione totale o parziale di un fenotipo endocrino in più tipi cellulari per attivazione di
specifici switches genetici.

Queste cellule neuroendocrine sono state descritte come Helle Zelle, cioè cellule chiare. SONO UGUALI IN
QUALSIASI SEDE. Hanno citoplasma chiaro con un grosso un alone perinulceare, nucleo ovale, cromatina
omogenea e piccolo nucleolo.

Si possono individuare con diverse metodiche:

 ISTOCHIMICA: sfrutta argentofilia e argentoaffinità, cioè la capacità di ridurre sali di Argento ad


argento metallico in assenza o presenza di un agente riducente.
 IMMUNOISTOCHIMICA
 MICROSCOPIA ELETTRONICA: Le cellule possono essere identificate con microscopio elettroniche,
cioè l’ultrastruttura. Nonostante la diversa provenienza, hanno la stessa struttura perché nel
citoplasma ci sono granuli secreti in vescicole che hanno diversa forma. Possiamo trovare granuli
elettrondensi e granuli di lipofucsina.

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CLASSIFICAZIONE

Ci sono stati tentativi di fare una diagnosi differenziale tra le diverse cellule neuroendocrine sulla base dello
studio dei granuli secreti nella cellula stessa. Avendo moltissima variabilità dei granuli, questo tipo di analisi
è estremamente difficile, lunga e costosa.

Allora si è cercato di fare una classificazione in base ai peptidi prodotti ma anche qui ci sono diversi
problemi di identificazione.

L'immunoistochimica è quello che oggi ci aiuta in modo efficiente ed efficace: sono tecniche basate sulla
reazione antigene-anticorpo, quindi basta saggiare un anticorpo mirato contro un antigene e si aspetta
l'affinità tra i due, se avviene la reazione, possiamo definire le caratteristiche antigeniche attraverso la
variazione del colore. Abbiamo diversi anticorpi che ci indicano se le cellule producono Acth oppure
ormone della crescita, quindi definire la derivazione del fenotipo neuroendocrino.

NOMENCLATURA

Ci sono diversi problemi riguardo la nomenclatura, poiché non c'è un sistema univoco che viene
comunemente utilizzato. I centri all'avanguardia utilizzano una propria nomenclatura basata su test
specifici.

Ci sono più sistemi classificativi proposti in diversi centri. Bisogna, quindi, cercare di seguire i parametri dei
centri più accreditati e specificare sempre a quale classificazione si fa riferimento. In Italia e a Napoli si fa
riferimento a ENETS società tumori neuroendocrini europea) del 2010. Un’altra da tenere in conto è quella
della società americana (AJCC).

Spesso bisogna fornire i parametri per una rapida traslazione. Sono stati individuati diversi fattori di valenza
prognostica basati su morfologia immuno-fenotipo e biologia molecolare. Il fatto che non ci sia una
classificazione univoca rende poco confrontabile i diversi casi, non ci sono i trials che consentono
un'adeguata comparazione tra strutture diverse proprio per motivi di classificazione.

Davanti tutte queste difficoltà è stato stilato, a Miami, un minimum Pathological data set, cioè il minimo
che tutti i patologi devono riportare nelle loro risposte per standardizzare la diagnosi.

Hanno utilizzato il meccanismo del consenso tecnico (Delphic consensus process) con un questionario
dicotomico: se c'erano risposte concordi (tutti si) pari o superiori all’80% tra tutti i patologi, veniva utilizzato
il dato ed inserito in questo minimum pathological.

Parlando di nomenclatura, i punti salienti erano:

1. Se sono sinonimi i termini endocrino e neuroendocrino  è emerso che i termini endocrino e


neuroendocrino hanno la stessa valenza
2. Il termine carcinoide deve essere abolito perché confondente ed obsoleto. Ci sono, però, delle
incongruenze: primo, è permesso usare il termine carcinoide nel linguaggio parlato tra clinici e
patologi al fine di snellire la conversazione (nei referti scritti deve essere bandito!!!); secondo, le
nuove classificazioni del tumore del polmone ancora prevedono l’utilizzo del termine carcinoide.
3. Tumore e carcinoma. Esistono tre gradi come in tutte le classificazioni patologiche: una forma ben
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differenziata (G1), una forma parzialmente differenziata (G2) e una indifferenziata (G3). Il termine
tumore è un termine ambiguo perché può essere benigno che maligno, quindi è sempre bene
specificarne la natura. In questi tumori si utilizza il termine tumore per le forme di basso grado
(totalmente o parzialmente differenziate) e il termine carcinoma per le forme G3. Nonostante si sia
visto che anche le forme di basso grado possano dare metastasi, non è stato trovato un accordo
sulla modifica di questa nomenclatura che pertanto rimane in uso.

RUOLO DEL PATOLOGO

Il ruolo del patologo è :

 Diagnostico
 Nella stadi azione patologica  staging
 Nella valutazione prognostica  grading

Il ruolo è complesso perché i tumori neuroendocrino sono ubiquitari. La loro origine rende le cose più
complesse: bisogna vedere perché si sviluppano e come, se sono funzionanti o si manifestano in modo
"silent" senza un quadro clinico. Riassumendo bisogna prestare attenzione a:

 origine
 meccanismo di sviluppo
 stato funzionale
 pattern istologico
 comportamento biologico

- RUOLO DIAGNOSTICO

I marcatori per confermare la diagnosi di tumore neuroendocrino da usare di routine sono:

 Cromogranina A (CgA)
 Sinaptofisina (Syn)

Quelli meno indicati nella routine sono:

 CD56
 CD57
 Cromogranina B
 NSE (enolasi neuro specifica)

In casi limitati possiamo saggiare:

- le cheratine
- p53
- marcatori per gli ormoni peptidici o bioammine (in realtà la definizione di tumore funzionante non
è data dalla reazione immunoistochimica ma dalla clinica quindi è quasi inutile usare questi
marcatori)

Il tumore neuroendocrino può essere in fase metastatica. Per valutare il sito primitivo, allora, si possono
usare:

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- CDX2 (se positivo, il tumore primitivo è gastro-entero-pancreatico)
- TTF1 (se positivo, il tumore primitico è polmonare)

Questo dato è importante perchè molto spesso il tumore neuroendocrino non è diagnosticato e si effettua
diagnosi da una lesione metastatica.

Il recettore delle somatostatine (SSTr) è ricercabile con immunoistochimica ma non è raccomandabile e


affidabile perchè gli anticorpi in commercio non sono molto standardizzati. Le metodiche non sono
applicabili ai recettore di tipo 2 e tipo 5, che sono quelli di maggiore interesse. Oggi, pertanto, l’assetto
recettoriale si studia con l’octrioscan, che dà una visione esatta dei recettori mediante tecnica scintigrafica.

- RUOLO NELLA STADIAZIONE

Il patologo deve riportare nella sua diagnosi:

 la dimensione che non è la stessa per tutti i distretti. Nel tratto GI bisogna misurare il punto di
massima infiltrazione, nel caso dell'appendice l'invasione della mesoappendice, per il pancreas la
presenza di invasione extrapancreatica.

 Metastasi linfonodali riportando il numero di linfonodi metastatici in rapporto al numero totale di


linfonodi esaminati
 Metastasi a distanza
 i margini di resezione se sono liberi o non e a quale distanza sono presenti; i margini di resezione
vanno analizzati anche nelle metastasi.

Per il grading (RICORDA: esprimere sempre a quale sistema classificativo si fa riferimento!!!) si valuta:

1. indici proliferativi

indice mitotico, ovvero il numero di mitosi osservato in 10 campi a forte ingrandimento (40X)
valutate nelle regioni più attive "hot spots";

KI67 (è usato per tutti i tumori) va riportare in caso di piccoli campioni. La valutazione è
quantitativa: si vede quanti nuclei sono colorati su 100 cellule contate. È una valutazione
percentuale dell'assunzione di colore: ciò significa che c'è stata reazione antigene-anticorpo quindi
quel nucleo è in fase mitotica. Il vantaggio di Ki67 è che marca le cellule in quasi tutto il ciclo
cellulare e non solo nella fase M come l’indice mitotico. Il limite è che c’è una grande variabilità
inter ed intraobserver, quindi può dare origine a risultati differenti. Si dovrebbe usare un
analizzatore d’immagini ma oggi si fa un riscontro a doppio cieco, confrontando i risultati ottenuti
da almeno due patologi e facendone la media.

2. presenza di necrosi tumorale non ischemica.

Nella “M” (metastasi) bisogna segnalare

 la sede
 il numero di lesioni asportate
 la dimensione, almeno della metastasi maggiore misurando le tre dimensioni

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è auspicabile un substaging per le lesioni metastatiche, dal momento ad oggi un paziente con diffusione
metastatica linfonodale regionale è raggruppato con pazienti aventi metastasi estensive.

- RUOLO PROGNOSTICO

Vanno valutate:

 invasione intravascolare e peri-neurale, utilizzando alcuni marcatori quali CD34, D2-40


 aspetti istologici inusuali (morfologia a cellule chiare, oncociti, ghiandole)
 immunoespressione CK19 ( prognosi sfavorevole per il pancreas)
 sono oggetto di studio alcuni biomarker usati come metodi immunoistochimici ma non hanno
raggiunto risultati soddisfacenti per una valutazione: MGMT, VEGFR, mTor, sottotipi di recettori per
la somatostatina.

NEOPLASIE CON DIFFERENZIAZIONE DIVERGENTE O MULTIDIREZIONALE

Ci sono dei tumori non endocrini, che però presentano una differenziazione neuroendocrina.

- MAMMELLA

I tumori con differenziazione neuroendocrino mostrano comportamento biologico meno aggressivo, quindi
nel caso della mammella c'è una prognosi più favorevole (Studio del 2010)

Nel 2011 viene definito che per diagnosticare un tumore con differenziazione neuroendocrina, bisogna
avere uno sviluppo di cellule neuroendocrine superiore al 50% delle cellule tumorali, altrimenti si parla di
tumore semplice.

- PROSTATA

Per quanto riguarda la prostata ci sono alcune discordanze. Le cellule neuroendocrine sono presenti anche
nella ghiandola sana ma aumentano nelle forme tumorali di alto grado, soprattutto nei tumori prostatici
trattati con terapia ormonale e nelle forme ormone-resistente. Essendo il tumore normalmente ormone-
sensibile, la differenziazione neuroendocrina è un fattore prognosticamente negativo.

- POLMONE

Nel polmone, si è quantizzato il numero di cellule neuroendocrine necessarie a parlare di tumore misto e
tale percentuale è del 10-20% sia nelle forme squamose che nell’adenocarcinoma o nelle forme a grandi
cellule.

QUALE FUTURO??

Attraverso la ricerca ci aspettiamo una conoscenza degli switch genetici per identificare la base
dell'acquisizione del fenotipo neuroendocrino e quindi creare farmaci che possono modulare l'espressione
di prodotti delle cellule neuroendocrine e rallentare il processo di metastatizzazione.

Non è importante solo la quantizzazione neuroendocrina generale, ma è importante verificare la quantità


nel singolo distretto per diagnosticare, ad esempio, il tipo di tumore per decidere il trattamento terapeutico
e quindi la prognosi (nel caso del carcinoma del GI per forma combinata, la percentuale delle cellule
neuroendocrine deve essere sup al 30%).

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Inoltre è importante per valutare la recidività di un tumore.

Come per i gliomi c'è bisogno di un approccio interdisciplinare (napoli è centro di eccellenza per i tumori
neuroendocrini giunti all'osservazione nei vari centri della città, si riuniscono una volta a sett per decidere
l'approccio terapeutico per il paziente).

Molto spesso ci sono dei limiti e delle difficoltà che si possono superare solo confrontandosi con i clinici o
con le varie figure che studiano lo stesso caso. Ogni sei mesi c'è un controllo da parte dell'ENETS per
valutare l'operato. In molti centri, ci sono le idee confuse su questa tipologia di tumori e le capacità per
somministrare un'adeguata terapia.

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