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Esercitazione.

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del Vocabolario Dantesco (Vocabolario Dantesco), metterle
a confronto e proporre una riflessione
abbuiare v.
1 Pron. [Con rif. al cielo:] farsi scuro per il sopravvenire della sera.
[1] Purg. 17.62: Or accordiamo a tanto invito il piede; / procacciam di salir pria che s'abbui, / ché poi non si
poria, se 'l dì non riede.
1.1 Pron. Farsi scuro in volto per la tristezza (fig.).
[1] Par. 9.71: Per letiziar là su fulgor s'acquista, / sì come riso qui; ma giù s'abbuia / l'ombra di fuor, come la
mente è trista.

abbagliare v.
1 Offuscare o togliere la vista a qno con la propria luce; abbacinare.

[1] Inf. 23.64: Elli avean cappe con cappucci bassi / dinanzi a li occhi, fatte de la taglia / che in Clugnì per li
monaci fassi. / Di fuor dorate son, sì ch'elli abbaglia; / ma dentro tutte piombo, e gravi tanto, / che Federigo
le mettea di paglia.

1.1 [Con rif. allo splendore che irradia dagli angeli e dai beati].

[1] Purg. 15.28: «Non ti maravigliar s'ancor t'abbaglia / la famiglia del cielo», a me rispuose: / «messo è che
viene ad invitar ch'om saglia.

[2] Par. 25.122: tal mi fec' ïo a quell' ultimo foco / mentre che detto fu: «Perché t'abbagli / per veder cosa
che qui non ha loco?

2 [Con rif. alle parole di Beatrice:] confondere (la mente) (fig.).

[1] Purg. 33.75: Ma perch' io veggio te ne lo 'ntelletto / fatto di pietra e, impetrato, tinto, / sì che
t'abbaglia il lume del mio detto, / voglio anco, e se non scritto, almen dipinto, / che 'l te ne porti dentro a te
per quello / che si reca il bordon di palma cinto».

Dal prerom. *balyo, col signif. di 'lucente' (LEI s.v. 4, 1023.50), il verbo abbagliare è già att. nel Duecento in
Bono Giamboni, Vizi e Virtudi (TLIO s.v. abbagliare). Nella Commedia, ricorre una sola volta nell'Inferno (Inf.
23.64) col signif. proprio di 'offuscare o togliere la vista a qno con la propria luce' (rif. alla doratura esterna
delle cappe di piombo degli ipocriti). Il signif. 1.1 è strettamente legato alla tematica della luce (vd.) divina: è
infatti rif. al fulgore (vd.) che irradia dagli angeli e dalle anime beate del Paradiso. A Par. 25.122, in partic., è
Dante stesso che espone la propria vista all'eccessiva, ottundente luce divina, nel tentativo di guardare
attraverso il «foco» (v. 121) dell'apostolo Giovanni, pensando di poterne scorgere il corpo. Il verbo ricorre
poi col signif. fig. di 'confondere (la mente)' (signif. 2) a Purg. 33.75, nelle parole di Beatrice, che risplendono
del fulgore della verità divina. Il verbo è att. anche a Conv. 3.15.6, col signif. di 'confondere' («Dove è da
sapere che in alcuno modo queste cose nostro intelletto abbagliano») e a Fiore 103.8, nell'accez. di 'trarre in
inganno' («Con questi due argomenti il mondo abaglia»). Questo signif., prima att. dantesca (cfr. TLIO s.v.
abbagliare), avrà grande fortuna nella lingua letteraria fino al Novecento (vd. GDLI s.v. abbagliare).

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