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Il poema della luce

Se nella Bibbia la luce è legata al genere letterario del racconto, lo è altresì a quello della poesia. Vi è infatti qualcosa del
mistero della luce, e soprattutto del mistero biblico della luce, che può dirsi solo poeticamente. La potenza della poesia è
tale che, nello spazio e nel reticolo di qualche parola, un mondo si dischiude sotto i nostri occhi. Così il versetto 10 del
salmo 36: “È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce”. Così Dio è la vita sotto la vita, l’acqua viva sotto la
vita. O meglio, come si aggiunge nella seconda parte del versetto, è la luce della luce. Vedere la luce creata significa
partecipare al dono di un Creatore che è lui stesso luce. Solo la poesia può osare una tale scorciatoia espressiva.
Noi ci troviamo fra luce e luce, noi che “vediamo.

Mi concentrerò sull’affinità che esiste fra la poesia biblica e un fenomeno luminoso particolare, quello della lampada a
olio. Così al versetto 29 del salmo 18 leggiamo: “Tu dai luce alla mia lampada; Signore mio Dio, brilla nelle mie tenebre”.
Ritroviamo qui il contrasto fra luce e tenebre, ma soprattutto scopriamo una fonte di luce sui generis, quella del lumino,
della lampada (a olio). Evocare la lampada a olio, quella che si tiene in mano, davanti a sé, prima di collocarla su un
piedistallo o un portalampade, affinché rischiari la stanza in cui ci troviamo, significa evocare la vita quotidiana, ma
significa anche evocare il santuario.
Il santuario del deserto, il tempio di Silo e quello di Gerusalemme sono tutti provvisti di questo genere di lampade. La
“lampada di Dio” viene menzionata nell’episodio della vocazione del giovane Samuele: “La lampada di Dio non era
ancora spenta e Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio” (1Sam 3,3); mentre si parla di
Dio stesso come lampada nel salmo di ringraziamento posto sulle labbra di David in 2 Samuele 22,29: “Signore, tu sei
la mia lampada”. Evocare la lampada a olio, significa evocare una modalità particolare della luce, quella della
piccola fiamma sul suo stoppino: una luce viva, fragile, ma persistente, perseverante. Quella piccola luce richiede
cura, quella cura di cui darà prova il servo del Signore: “Non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42,3), e
richiede previdenza: sappiamo bene che cosa accade alle vergini sagge e alle stolte nella parabola raccontata da Gesù
(cf. Mt 25,1-13).
Ascoltare la poesia di un versetto biblico a proposito della lampada significa “sentire” l’intimo brusio della fiamma, nel
gioco degli echi, delle metafore e dell’amplificazione. Consideriamo il versetto 105 del salmo 119, il versetto inciso sulla
tomba di Carlo Maria Martini: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”. Nel suo sviluppo, il
versetto evoca un incamminarsi nell’oscurità: la lampada rischiara dapprima il piede, la parola luminosa rischiara poi il
sentiero sul quale l’uomo si inoltra, passo dopo passo. Questa lampada è la parola divina, e innanzitutto il versetto
stesso: parola luminosa nella notte. Gesù è stato in modo particolare un poeta della lampada, nelle sue parabole
come pure nei suoi appelli alla vigilanza: “Siate pronti … con le lampade accese”, dice ai suoi discepoli (Lc 12,35).
Gesù stesso diviene questa lampada nelle ultime righe dell’Apocalisse.
Jean-Pierre Sonnet, in A.Vv., Architetture della luce. Arte, spazi, liturgia

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