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DI GIRALDI CINZIO
di Davide Colombo
La postilla sulla morte in scena nei Discorsi intorno al comporre del fer-
rarese Giovan Battista Giraldi Cinzio funge da catalizzatore d’intrecci
complessi della critica rinascimentale, a partire dalla nota diatriba tra lo
stesso Cinzio e il suo ex allievo, Giovan Battista Pigna.1 A metà Cinque-
cento, grazie a traduzioni e commenti, il testo greco della Poetica di Ari-
stotele diventa accessibile anche a chi della lingua greca non ha una pa-
dronanza completa. Nei Romanzi il Pigna accusa Giraldi di non sapere il
greco «in modo alcuno», e perciò di non esser capace di vergare annota-
zioni alla Poetica che non siano tre o quattro prese a prestito dai commenti
al testo tradotto, e comunque scorrette. Così, di fronte al luogo aristote-
lico ùk tÒn Nàptrwn (Poet. 1460a), letteralmente ‘dai bagni’, secondo
il Pigna Giraldi avrebbe annotato: «Questa favola chiamata le Niptre, per-
ché non si truova, ingerisce gran difficoltà», confondendo l’episodio dei
lavacri fatti da Euriclea ad Ulisse nell’Odissea col titolo d’un’opera per-
duta.2 A detta del Pigna in mancanza di commenti della Poetica Giraldi
«così gagliardo non sarebbe a favellarne; la qual gagliardia, senza intelli-
genza alcuna della lingua greca, molto debole riesce».3 L’ignoranza gi-
FRANCESCO PORTO esprime in una delle sue oratiunculae latinae pubblicate nei Prolego-
mena alle tragedie di Sofocle (Morgiis, Ioannes le Preux, 1584, p. 50): «Geraldi [sic] vero
utriusque laus eadem in re cuinam est obscura? Quanquam alter aetate, ingenio, cor-
porisque valetudine florens, quid naturae donis, quid doctrina, quid usu exercitatione-
que dicendi possit, hic fere quotidie de loco superiore solet demonstrare».
9 GIOVANNI BATTISTA CERVELLINI, Le “morti sulla scena” nelle teoriche del secolo XVI,
gedie successive all’Orbecche e alla Didone Giraldi non ammette la morte in scena, a causa
sia della «attenuazione dello sperimentalismo senecano […] a favore di un “addolci-
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mento” del gusto tragico» (LAURA RICCÒ, Il teatro “secondo le correnti occasioni”, in “Studi
italiani”, XVII [2005], pp. 5-39: 16), sia delle preoccupazioni moralistiche ormai de-
terminanti all’altezza dei Dialoghi della vita civile, dove Giraldi interpreta in senso re-
strittivo le aperture al suicidio ad opera di Platone e di Aristotele, e pertanto censura il
suicidio per mezzo d’un coltello, alla Orbecche.
16 RITROVATO, p. 12.
17 VILLARI, pp. LXXXIV-LXXXV, CXLIV-CL e 239-46. Le note della Villari alla
postilla sulla morte in scena costituiscono l’indispensabile premessa alle presenti osser-
vazioni.
18 GIOVAN BATTISTA GIRALDI CINZIO, Carteggio, a c. di Susanna Villari, Messina,
Sicania, 1996, p. 264.
19 SALVATORE DI MARIA, The dramatic “hic et nunc” in the Tragedy of Renaissance Italy,
in “Italica”, LXXII (1995), pp. 275-97: articolo ampliato nel saggio The Italian Tragedy
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in the Renaissance. Cultural Realities and Theatrical Innovations, Bucknell University Press,
Lewisburg – Associated University Presses, London, 2002, pp. 155-76.
20 VILLARI, p. 241.
21 Ivi, p. 242.
22 Un’aggiunta poi soppressa precisa: «può vedere dal giudicio di questo dottissimo
et giudiciosissimo huomo [Vettori] quanto fuori di ogni verità a me dia vitio il novo
interprete della Poetica di Horatio che mi sia solamente fidato della interpretatione la-
tina» (ivi, p. CXLIX): allusione alla Poetica horatiana del Pigna (1561).
23 G.B. PIGNA, Il Principe, In Venetia, appresso Francesco Sansovino, 1561 (rist.
Mentre che io era colla penna in mano su questa parte, è uscita la in-
terpretatione del dottissimo messer Pietro Vittorio, gentilhuomo fio-
rentino, sulla Poetica d’Aristotile. Il quale […] ha […] esposta la greca
voce [ùn t¸ faner¸ ] «in palese», dichiarando che non è sconvenevole
che le morti si facciano nel cospetto degli spettatori […]. La qual cosa
può mostrare che, seguendo io il vero senso delle parole greche, et non
solo la interpretatione latina (come accenna chi poteva dir meglio [Pi-
gna]), dissi che le morti secondo Aristotile si potevano fare dicevolmente
in palese; che, anchora che io non faccia tanto romore delle cose greche,
come ne fa chi ciò ha detto, non hebbi io mai però bisogno di lui, in-
torno alla intelligenza di sentenze greche.24
24 VILLARI, p. 246.
25 Sulla polemica con Antimaco, cfr. GIRALDI, Carteggio, pp. 104-108.
26 VILLARI, p. 283.
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27 RITROVATO, p. 24.
28 L’intelligenza del greco rientra nella formazione intellettuale d’un umanista fer-
rarese giunto ad esporre allo Studio testi in quella lingua, pur senza coglierne le più sot-
tili sfumature. Difficile dunque consentire con GIROLAMO GHILINI, Teatro d’huomini let-
terati, Venezia, Guerigli, 1647, p. 98, per il quale Giraldi «fu […] della lingua greca
intendentissimo», o, all’opposto, con GIUSEPPE TOFFANIN, Il teatro del Rinascimento, in
Storia del teatro italiano, a c. di Silvio D’Amico, Milano, Bompiani, 1936, pp. 63-102:
85, che lo bolla «aristotelico senza greco». Giraldi passa però da una conoscenza ele-
mentare del greco ad una più approfondita, dalla richiesta a Pietro Vettori di testi a
fronte latini nelle edizioni greche (GIRALDI, Carteggio, pp. 245-46), alla soddisfazione
per il fatto che lo stesso Vettori conferma il senso della postilla sulla morte in scena.
29 VILLARI, p. 194, anche per il rimando a Cicerone.
30 Ivi, p. 244.
31 RITROVATO, p. 15.
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quantunque non ci manchi chi dica che di ciò [della morte in scena] non
si vede essempio nelle tragedie greche, dico che non habbiamo tutte
quelle che si leggevano al tempo di Aristotile.34
32 ROAF, p. 127.
33 RITROVATO, p. 113. TORQUATO TASSO, Discorsi dell’arte poetica e del poema eroico,
Bari, Laterza, a c. di Luigi Poma, 1964, p. 73, osserva: «né converrebbono nella scena
la morte d’Ettore o l’altre, le quali, come racconta Filostrato nella Vita di Apollonio, fu-
rono proibite da Eschilo, chiamato padre della tragedia perché molto mitigò la sua cru-
deltà». Agli antichi poeti si richiama altresì FRANÇOIS HÉDELIN D’AUBIGNAC, La prati-
que du théâtre, Paris, Antoine de Sommaville, 1657, p. 268: «les anciens Poëtes font mou-
rir rarement des Acteurs sur le Theatre, à cause qu’il n’estoit pas vray-semblable que
tant de personnes qui composoient le Choeur, eussent veu assassiner un Prince sans le
secourir». Infine FRANCESCO SAVERIO QUADRIO, Della storia, e della ragione d’ogni poesia,
Milano, Agnelli, 1743, III, pp. 370-74, vieta la morte in scena perché esclude che i tra-
gici greci l’abbiano mai rappresentata.
34 VILLARI, p. 242.
35 FAUSTINO SUMMO, Discorsi poetici, In Padova, appresso Francesco Bolzetta, 1600
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(rist. anast.: München, Fink, 1969), cc. 39v-40r. GIOVAN GIORGIO TRISSINO, La quinta
e la sesta divisione della Poetica, in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, a c. di Ber-
nard Weinberg, Bari, Laterza, 1970, II, p. 10, ammette che molti componimenti «non
pervennero alla età di Aristotele», ma a p. 25 aggiunge, in polemica col Cinzio, che
«quelle [tragedie] di Seneca che sono rimase sono per la più parte fragmenti di cose gre-
che posti insieme con pochissima arte». Invece il Giudizio: «s’egli [Seneca] tra tanti tra-
gici latini è rimaso sol vivo insino a questa etade, non è stato ciò senza cagione» (ROAF,
p. 128).
36 RITROVATO, p. 115, e VILLARI, p. 246. Per la polemica tra Robortello e Maggi
vd. KARL-JÜRGEN MIESEN, Die Frage nach dem Wahren, dem Guten und dem Schönen in der
Dichtung in der Kontroverse zwischen Robortello und Lombardi und Maggi um die “Poetik” des
Aristoteles, Warendorf, Schnell, 1967. Robortello aveva accusato Maggi di saper poco il
greco: FRANCISCI ROBORTELLI UTINENSIS De arte sive ratione corrigendi antiquorum libro-
rum disputatio, a c. di Giuseppe Pompella, Napoli, Loffredo, 1975, p. 54: «Illi [Maggi]
autem venire in mentem ne auctorum quidem ipsorum nomina potuissent, quos nun-
quam legit, nec attigit, cum vix literis Graecis sit tinctus, nec eam notionem rerum un-
quam parare sibi studuerit, in qua ego omnem aetatem consumpsi».
37 VINCENTII MADII et BARTHOLOMAEI LOMBARDI In Aristotelis librum “De Poetica” com-
munes explanationes, Venetiis, in officina Erasmiana Vincentii Valgrisii, 1550, pp. 25-26.
38 VILLARI, p. 245.
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abbiamo detto quello che ne pare circa ciò, non per voler dir mal di lui,
che questo non è ’l nostro costume, ma perché la verità, per la quale ri-
trovare tutto dì ci affatichiamo, ci è vie più amica d’ogni amico e non
vogliamo, per piacer a costui, ingannar voi che tanto ci credete e sotto
la cui disciplina già tanti anni sete stati.39
S’è già notato che la Tragedia a chi legge e il Giudizio sono animati da
un chiaro intento polemico nei confronti della Canace di Speroni, il quale,
fedele al divieto della morte in scena, racconta sia la morte di Canace e
del figlio sia il suicidio di Macareo. Mentre il Pigna e Speroni affermano
la priorità dell’udito sulla vista, Giraldi e Castelvetro sostengono una poe-
tica dell’evidenza rappresentativa, in cui la vista prevale sull’udito.40 Per
questo, scrive Maggi, un suicidio sul palco – subito viene in mente Or-
becche – va rappresentato in modo da sembrare vero: «siquis enim in sce-
nam inducatur, qui se ipsum interficiat, opus est multa praeparare, ut id
verum appareat».41 L’appello alla verosimiglianza degli effetti scenici viene
recepito da Giraldi,
39 ROAF, p. 103.
40 STEFANO JOSSA, Rappresentazione e scrittura. La crisi delle forme poetiche rinascimen-
tali (1540-1560), Napoli, Vivarium, 1996, pp. 37-39. Su «tale sistema gnoseologico,
che già intorno alla metà degli anni Trenta è tutto incardinato sulla visio», interviene
VALENTINA GALLO, Da Trissino a Giraldi. Miti e topica tragica, Manziana, Vecchiarelli,
2005, pp. 242-43.
41 MAGGI-LOMBARDI, Explanationes, p. 162.
42 VILLARI, p. 244.
43 LODOVICO CASTELVETRO, Poetica d’Aristotele vulgarizzata e sposta, a c. di Werther
davide.colombo@unimi.it