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“MEDICINA DELLO SPORT”

MODULO DI TRAUMATOLOGIA

Appunti a cura di:


Francesca Villa
Matricola: 873822
Corso: 3^A
Anno accademico: 2017
Facoltà: Scuola di Scienze Motorie
Insegnamento: Medicina dello sport
Docente: Giuseppe Peretti
Università degli Studi di Milano
LEZIONE 1: 7/03/18

ORGANIZZAZIONE GENERALE DEL TESSUTO OSSEO:


IL TESSUTO OSSEO COME ECOSISTEMA VIVENTE

TESSUTO OSSEO → connettivo presente in tutti i vertebrati, costituente prevalente dello scheletro
a sviluppo completato. Forma il cemento del dente. È il tessuto più duro del
organismo dopo lo smalto dei denti.
→ funzioni: - meccanica di sostegno
- protezione degli organi interni
- movimento delle articolazioni
- omeostasi minerale, sistema di accumulo Ca++ e PO4
- omeostasi scheletrica, mantenimento dello scheletro in risposta a
stimoli meccanici.
- funzioni emopoietiche
→ forma: - ossa lunghe: arti superiori e inferiori. Sono formate da tessuto osseo
compatto, tessuto osseo spugnoso, periostio cambiale
(strato interno) e periostio fibroso (strato esterno),
endostio (situato più internamente del periostio) ricopre
le trabecole che si trovano solo nelle epifisi.
Metafisi = zona di collegamento tra epifisi e diafisi,
zona cartilaginea che permette la crescita.
- ossa brevi o corte: ossa carpali o tarsali. Sono formate da una massa
spugnosa avvolta da tessuto osseo compatto.
- ossa piatte: coste, sterno, volta cranica, scapola. Sono formate da
uno strato spugnoso che nelle ossa della volta cranica è
denominato “diploe”, compreso tra due tavolati compatti
* ossa corte e brevi all’esterno sono rivestite da tessuto osseo
compatto, mentre all’interno da tessuto osseo spugnoso, dove
sono presenti cellule che non possono garantire il rinnovo della
matrice ossea.
- irregolari: ossa del cranio o facciali
→ componente organica: - osteociti, osteoblasti, osteoclasti e cellule
osteoprogenitrici. Gli osteociti hanno dei
prolungamenti citoplasmatici che vanno ad
intrecciarsi l’uno con l’altro e sono contenuti dentro
i canalicoli, gli osteociti sono contenuti nella lacuna.
In altre e più ampie cavità sono contenuti vasi, nervi
e midollo osseo.
- collagene
- altre proteine organiche
→ componente inorganica: - sostanza intercellulare mineralizzata
- calcio e fosfato danno rigidità all’osso
- il tessuto osseo rappresenta la riserva di molti
minerali e ioni.
→ tipologia: - TESSUTO OSSEO LAMELLARE: osso piatto e trabecolare.
Nella vita post-natale è quello di gran lunga prevalente nello
scheletro dei mammiferi. Possiede elevate potenzialità
meccaniche di resistenza alla pressione, trazione, torsione col
minimo aggravio ponderale. Ciò è dovuto sia alle proprietà
fisiche della sostanza intercellulare, sia alla sua architettura
generale, tendenza della matrice a disporsi in lamelle. In ogni
lamella le fibre collagene hanno decorso tendenzialmente
parallelo e formano con quelle della lamella contigua un angolo
di varia ampiezza. Le lamelle contigue sono connesse da matrice
mineralizzata attraversata da fibre collagene a disposizione
irregolare.
→ tessuto osseo compatto o corticale: - forma la corticale delle
ossa lunghe.
- forma il guscio esterno di
tutte le ossa.
Nelle sezioni trasversali sono riconoscibili tre sistemi di lamelle
• sistema concentrico di Havers: l’osteone è tipico dell’osso
compatto, ha forma tendenzialmente cilindrica.
È attraversato nel senso della lunghezza dal canale di
Havers. Le lamelle dell’osteone sono disposte
concentricamente al canale di Havers, e possono anche
essere incomplete (semi lune, falce). L’andamento del
collagene di una lamella è ortogonale. In ogni singola
lamella le fibre collagene hanno decorso tra loro parallelo.
La lamella più profonda è quella di più recente
deposizione.
• Sistema delle lamelle interstiziali
• Sistema delle lamelle circonferenziali o limitanti
→ tessuto spugnoso o trabecolare: costituisce la maggior parte
delle ossa brevi, delle epifisi
delle ossa lunghe e si trova
nella diploe delle ossa piatte.
L’orientamento dei traiettori
formati dalle trabecole è tale
da opporsi nei singoli segmenti
scheletrici considerati alle
sollecitazioni meccaniche a cui
sono prevalentemente sottoposti
è formato da strati di lamelle
associate in trabecole più o
meno spesse e variamente
anastomizzate a delimitare spazi
intercomunicanti, denominate
cavità midollari, in quanto
occupate da midollo osseo, vasi
e nervi.
Il tessuto osseo spugnoso è costituito da: - lamelle
- osteociti
- osteoblasti
- osteoclasti
- cellule
Osteoprogenitrici
- endostio
Ma non contiene osteoni, infatti le trabecole circondano il
midollo osseo rosso.
- TESSUTO OSSEO NON LAMELLARE:
→ a fibre intrecciate: Le fibre di collagene sono a disposizione
casuale. Possiede minor resistenza
meccanica. Costituisce lo scheletro
definitivo degli anfibi. È l’osso primario
dei mammiferi (ossa fetali), che viene
successivamente sostituito da osso lamellare
Può persistere nell’adulto:
- a livello delle suture, dove il periostio
aderisce strettamente all’osso
- a livello delle inserzioni legamentose o
tendinee, in prossimità delle superfici
articolari.
- in parte a livello del cemento del dente.
Si forma inoltre quando vi è rapida
neoformazione ossea, come nella riparazione
delle fratture o nel morbo di Paget.
→ a fibre parallele:

Osteogenesi = → processo di ossificazione che porta a: - formazione dello scheletro


- riparazione di fratture
→ si divide in: - intramembranosa = formata da membrana fibrosa
- encondrale = data dalla calcificazione della cartilagine, a partire
dall’interno verso le future epifisi, alle quali rimane
la cartilagine delle articolazioni.
→ tempo di riparazione della frattura, dipende dal tipo d’osso: - polso = 35-40 giorni
- femore = 1 anno

LE CELLULE DEL TESSUTO OSSEO

Cellule osteoprogenitrici = cellule con capacità miotiche capaci di trasformarsi in osteoblasti.

Osteoblasti = cellula che produce osteoide o matrice ossea. Colorazione basofila intensa.
polarizzata con il nucleo lontano dalla superficie ossea. Cellule cubiche o rettangolari
con asse maggiore perpendicolare all’osteoide. Voluminoso nucleo, abbondante
reticolo endoplasmatico ruvido ed apparato del Golgi ben rappresentato.
Mitocondri ed elementi del citoscheletro sono distribuiti nel citoplasma cellulare.
Presenza di uno strato di matrice non mineralizzata (osteoide) tra la membrana
cellulare e la matrice mineralizzata.
Osteociti = derivano dagli osteoblasti. Gli osteoblasti rimangono murati nella sostanza
intracellulare da loro deposta. Il corpo cellulare ha sede in cavità della matrice, chiamate
lacune ossee. Da queste dipartono esili canalicoli ramificati, che contengono i
prolungamenti cellulari degli osteociti. I canalicoli sono anastomizzati con altri
provenienti da lacune circostanti. Alcuni di questi si aprono sulle superfici vascolarizzate
del tessuto osseo (canali di Havers). Possiedono un più alto rapporto nucleo/citoplasma
ed un più basso numero di organelli citoplasmatici. Sono disposti tra lamelle ossee e
concentricamente attorno al lume centrale di un osteone.

Osteoclasti = è la cellula del tessuto osseo responsabile del riassorbimento del tessuto. Sono cellule
di grosse dimensioni e plurinucleate. Originano da cellule pluripotenti del midollo
osseo, che sono anche precursori di monociti e macrofagi.
Monociti sono mononucleati, macrofagi ed osteoclasti sono formati dalla fusione di
più monociti. Giacciono in aree di riassorbimento osseo dette fossette o lacune di
Howship. Cellule fortemente polarizzate, con scarso reticolo endopasmatico ruvido,
moderato numero di vescicole lisce e mitocondri ben rappresentati. Presentano un
orletto striato o a spazzola.

MORFOLOGIA UMANA: IL RIMANEGGIAMENTO OSSEO

CRESCITA DELLEOSSA LUNGHE E MODELLAMENTO

Modellamento = → modellare la forma delle ossa in relazione alle richieste meccaniche


- le metafisi si modellano riducendo il diametro osseo durante la crescita
- le diafisi si modellano aumentando il diametro osseo: - osteoapposizione a
livello periostale.
- riassorbimento a
livello endostale.
- modellamento diafisario per modificare la curvatura: - sezione trasversale
tende verso l’esterno
nella parte terminale
dell’osso.
- modellamento delle ossa piatte: - riassorbimento della parte interna ed
osteoapposizione nella superficie esterna
per permettere la crescita in volume del
cervello.
Rimodellamento = → rimuove l’osso vecchio e lo sostituisce con osso giovane
→ previene l’accumulo di danni da fatica
→ preleva il calcio dal tessuto osseo per essere utilizzato altrove
metabolicamente.
→ è permesso dall’azione di squadre di circa 10 osteoclasti ed alcune centinaia
di osteoblasti che lavorano insieme in una BMUs.
→ tre tappe nella vita delle BUMs: - attivazione
- riassorbimento
- formazione
→ riassorbimento sotto forma di tunnel o gallerie di 200 µm di diametro
→ le cellule ostogenetiche si differenziano in osteoblasti
→ il riassorbimento dura circa 3 settimane
→ la sequenza di rimodellamento dura circa 4 mesi
→ le BUMs rimpiazzano il 5% di osso corticale ed il 25% di osso spugnoso
ogni anno.

Rimodellamento osseo in osso trabecolare

MODELLAMENTO VS RIMODELLAMENTO
• L’azione degli osteoclasti e quella degli osteoblasti sono indipendenti nel modellamento ed
accoppiate nel rimodellamento
• Il modellamento permette una modificazione della dimensione dell’osso della forma o di
entrambe, mentre il rimodellamento normalmente non influenza la dimensione o forma
dell’osso.
• Il grado di modellamento si riduce dopo la maturazione ossea, mentre il rimodellamento
continua per tutta la vita.
• Il modellamento è continuo, mentre il rimodellamento è episodico.

SVILUPPO DEL TESSUTO OSSEO


Osteogenesi ed ossificazione, il processo di formazione del tessuto osseo porta a:
• Formazione dello scheletro osseo nell’embrione: - comincia all’ottava settimana di vita
- ossificazione intermembranosa, il tessuto
osseo si sviluppa a partire dalle membrane
fibrose.
- ossificazione encondrale, il tessuto osseo
si sviluppa sostituendosi a tessuto
cartilagineo.
→ ossificazione intermembranosa: fasi: - comparsa di un centro di ossificazione a livello del
tessuto connettivo fibroso delle membrane.
- matrice ossea viene secreta all’interno della
membrana fibrosa.
- si formano osso immaturo ed il periostio
- si forma un colletto osseo di osso compatto,
comparsa del midollo rosso.
→ ossificazione encondrale: - comincia dal secondo mese di sviluppo e forma tutte le ossa
al di sotto della scatola cranica ad eccezione della clavicola e
di parte della mandibola.
- utilizza il modello osseo costituito da cartilagine ialina per la
costituzione di tessuto osseo.
- necessita della distruzione del tessuto cartilagineo ialino prima
di iniziare l’ossificazione.

Fasi = 1. Inizialmente gli osteoblasti si differenziano dal pericondrio attorno alla


diafisi del modello di cartilagine ialina, secernono osteoide, creano il
collare osseo.
2. la cartilagine al centro della diafisi calcifica, deteriora, formando cavità.
3. un abbozzo vascolare di origine periostale invade le cavità interne,
si forma osso immaturo e poi spongioso attorno ai frammenti residui della
cartilagine ialina.
4. la diafisi si allunga grazie alla continua crescita della cartilagine della
epifisi ed al contempo si forma una cavità midollare grazie all’azione degli
osteoclasti all’interno della diafisi, le epifisi ossificano appena dopo la
nascita attraverso la formazione del centro di ossificazione secondario.
5. ossificazione delle epifisi, con la cartilagine ialina che permane solamente
A livello dei piatti di crescita e delle cartilagini articolari.

• Crescita ossea fino alla pubertà

• Crescita dell’osso in spessore, rimodellamento e riparazione


ORGANIZZAZIONE GENERALE DEL TESSUTO CARTILAGINEO

Primitivo abbozzo fetale della maggior parte dello scheletro.


Nel corso dello sviluppo post-natale viene sostituita in larga misura da tessuto osseo.
Riveste le superfici articolari delle ossa, costituisce i dischi intervertebrali, coste o parti di esse,
dischi e menischi intra-articolari, dà sostegno ad alcuni organi dell’apparato respiratorio ed al
padiglione auricolare.

Cartilagine ialina = condrociti sub-pericondrali affusolati, condrociti profondi raggruppati a


formare i gruppi isogeni.
- matrice pericellulare
- matrice territoriale
- matrice interterritoriale
→ tipologie: - cartilagine articolare
- cartilagine metafisaria
Cartilagine fibrosa = - dischi intervertebrali – labbri glenoidei – menischi – sinfisi pubica – tendini
o legamenti che si inseriscono su cartilagine.
Cartilagine elastica = - padiglione auricolare – condotto uditivo esterno – cartilagini laringee
- cartilagine dei bronchioli più distali.

Condrocita = cellula metabolica molto attiva, 2-10% del volume tessutale.


Capacità di risposta a diversi stimoli. Responsabile del rinnovamento della
matrice cartilaginea.
Proteoglicani = complesse macromolecole costituite a una proteina core legata
covalentemente a catene polisaccaridiche (glicosaminoglicani).
Glicosaminoglicani: lunga catena non ramificata costituita da unità
disaccaridiche, che si ripetono: - condroitin solfato
- keratan solfato
- dermatan solfato
Acido ialuronico: è un GAG, ma non è legato covalentemente ad una
proteina core e pertanto non è parte di un proteoglicano.

Il tessuto cartilagineo possiede proprietà viscoelastiche. Sotto carichi di tipo pressorio-compressivo


è il movimento dei fluidi che regola la deformazione cartilaginea e la sua capacità di resistere agli
stress. Poiché sono necessarie dalle 2 alle 6 ore per raggiungere l’equilibrio, in pratica questo in
condizioni fisiologiche non si raggiunge mai. Tale fenomeno salvaguardia la componente solida
della cartilagine, che sarà quindi solo minimamente responsabile della risposta del tessuto agli
stimoli pressori.
LEZIONE 2: 14/03/18

PREVENZIONE NELLO SPORT


• Prevenzione lesioni acute
• Prevenzione lesioni croniche
• Sviluppo di nuove tecniche di trattamento
• Salvaguardia dei soggetti in accrescimento
• Dev’essere conosciuta da altre figure oltre all’ortopedico
• Multidisciplinarità
• Superspecialità diversa dall’ortopedia, più simile alla medicina dello sport

Crescente automazione → maggior tempo libero → incremento del numero degli sportivi →
aumento del numero degli infortuni.

Fattori responsabili = - notevole incremento delle prestazioni sportive


- elevato agonismo
- precoce età d’inizio dell’attività sportiva
- incremento dei soggetti sportivi in età adulta o avanzata

TRAUMETOLOGIA DELLO SPORT


• Clinica
• Ricerca
• Prevenzione

PATOLOGIA ACUTA = lesione o danno dato da un’azione scorretta momentanea


PATOLOGIA CRONICA = data da sovraccarico funzionale

Diagnosi = - anamnesi
- esame obiettivo
- esame strumentali (raggi X, risonanza, ecografia, tac, radiografia, scintigrafia)
- trattamento: - cruento = chirurgico
- non cruento = immobilizzazione

Prevenzione = - collettiva = modifica dei regolamenti


- Individuale = - attiva
- passiva: - visita di idoneità: → presenza di malattie ereditarie e
famigliari.
→ dismetrie
→ malformazioni o dismorfismi del
apparato locomotore
→ lassità legamentose
→ valutazione antropometrica e
plicometrica
→ controllo ECG
→ test isocinetico
- igiene sportiva: → alimentazione
→ riposo
- protezioni individuali
- taping
- attrezzo di gioco
Attività = - allenamento: → addestramento tecnico
→ preparazione atletica adeguata
→ specificità dell’allenamento
→ preparazione globale
- riscaldamento
- stretching
- ginnastica propriocettiva
- rieducazione posturale
- atteggiamento mentale

MASSO – FISIO – KINESIO – TERAPIA = stimolo somministrato a scopo terapeutico che deve
oltrepassare la soglia di equilibrio per provocare una
reazione e scatenare sequenze difensive.

Energia fisica → substrato biologico reattivo → reazioni di difesa → effetto terapeutico

FISIOTERAPIA = - termoterapia: calore = una delle forme di energia esistenti in natura generata
da movimenti di traslazione, vibrazione, rotazione delle
molecole o degli atomi e delle sue particelle (tecar?)
→ propagazione del calore: - conduzione
- convenzione
- irraggiamento
→ termodispersione: - irradiamento
- conduzione
- convenzione
- sudorazione = capacità di produz.
di sudore del corpo
è di 4 L/h. per far
1L di H2O ci vuole
600 Kcal.
→ effetti biologici: - aumento del metabolismo
(aumento T) - vasodilatazione
- apporto di ossigeno e metaboliti
- rimozione cataboliti
- aumento temperatura
- caduta della pressione sanguigna
- riduzione della viscosità ematica
- effetto sedativo stimolante sulle
terminazioni nervose
- incremento attività ghiandole
sudoripare.
→ effetti biologici: - vasocostrizione
(riduzione T) - rallentamento circolo sanguigno
- aumento pressione sanguigna
- riduzione eccitabilità cellule
nervose
→ esogena: - mezzi solidi = sabbia, fango, termoforo,
fieno, argilla.
- mezzi liquidi = idroterapia, paraffino
terapia.
- mezzi gassosi = forni Bier, sauna, bagno
turco, grotte.
→ endogena

- ultrasuonoterapia: onde sonore con frequenza maggiore di 20.000 cicli al sec


non sono udibili dall’orecchio umano.
→ potenza: varia da 1 a 5 Watt
→ durata: da 5 a 10 min per 10 applicazioni
→ nel caso di superfici non regolari si può immergere la
testina in acqua.
→ gli ultrasuoni passando da un mezzo fisico ad un altro
possono venire: - riflessi
- trasmessi
- assorbiti: → riscaldamento
→ cavitazione
→ effetti non termici
Onde d’urto = si differenziano dalle onde sonore perché
esse non sono onde continue.
Sono impulsi di intensità elevata distanziati
tra loro nel tempo tali da non produrre
alcun effetto termico.
Sfruttano il fenomeno della cavitazione,
formazione di bolle all’interno dei tessuti
che rimbalzano tra loro provocando un
flusso di elevata potenza verso il tessuto
bersaglio.

- elettroterapia: terapia analgesica che sfrutta la capacità dei campi elettrici di


ridurre il sintomo di dolore.
→ indicazioni: facilitano la ripresa funzionale attiva
→ tecarterapia: effetti: - biochimico = riequilibra il disordine
enzimatico ed accelera
il metabolismo
richiamando sangue ricco
di O2.
- termico = endotermia profonda ed
omogeneamente diffusa.
- meccanico = aumentando la velocità
di scorrimento dei fluidi
drena la stasi emolinfatica
tonifica le pareti vascolari
- roentgenterapia: sfrutta l’azione biologica delle radiazioni ionizzanti a scopo
terapeutico. Funziona come antinfiammatorio nelle patologie
reumatiche ed artrosiche.
→ indicazioni: età, sede anatomica
→ limiti: terapia ionizzante non controllabile con certezza
→ effetto: analgesico, antiflogistico

- magnetoterapia: campi magnetici che possono essere utilizzati per modificare


l’assetto e l’orientamento di liquidi e cariche elettriche nei
tessuti.
→ effetti: - analgesici
- riparativi
- stimolanti le cellule tissutali

- laserterapia: sorgente di luce monocromatica e direzionale, amplificazione


della luce mediante emissione stimolata di radiazioni.
Quando un atomo allo stato eccitato viene colpito da un fotone
prima di tornare allo stato fondamentale produce un’emissione
stimolata di radiazioni.
→ monocromaticità
→ brillanza
→ coerenza
→ unidirezionalità

KINESIOTERAPIA: - attiva: → assistita


→ attiva segmentaria
→ attiva globale
→ non ha nessuna controindicazione
- passiva: → dipende dall’operatore
→ controindicata nell’osteoporosi e nei pazienti anziani
→ controindicata in caso di protesi d’anca o ginocchio, con
osteoporosi e retrazioni muscolo-tendinee.

MASSOTERAPIA: utilizzo di tecniche manuali utili per risolvere contratture, edemi, mialgie.
→ massaggi: - tipologia = - connettivale
- linfodrenaggio
- estetico
- esecuzione = - sfioramento
- vibrazione
- impastamento
- percussione

Tutori = sussidi temporanei che suppliscono in arte alla funzione di una o più articolazioni
funzionalmente unite tra loro.
→ tipologia: - funzionali
- preventivi
- fisiologici
LEZIONE 3: 21/03/18

ARTOSI
• Malattia degenerativa delle articolazioni, caratterizzata da progressive alterazioni della
cartilagine articolare.
• La cartilagine articolare va incontro a degenerazione con fibrillazione, fissurazione,
ulcerazione e perdita a tutto spessore della superficie articolare.
• La malattia interessa, primitivamente o secondariamente, tutti gli elementi
dell’articolazione: cartilagine articolare, osso subcondrale, legamenti, capsula, membrana
sinoviale e muscoli peri-articolari.

L’aumento dell’età media di vita sta portando a un aumento dell’artrosi.


L’artrosi è un problema alle articolazioni, la cartilagine articolare è fatta per durare tutta la vita,
ma l’artrosi la danneggia, quando la cartilagine si danneggia la velocità di deterioramento
aumenta molto velocemente.

Artrosi e invecchiamento: → il processo degenerativo dell’artrosi richiede molto tempo e perciò


avviene in età avanzata.
→ parallelamente, le modificazioni che si verificano nelle
articolazioni in conseguenza dell’età favoriscono i processi di
degradazione articolare.
→ l’invecchiamento è accompagnato da una modificazione della
composizione della matrice sia come componente idrica sia come
componente solida. Questo favorisce l’artrosi che è una riduzione
dello spessore cartilagineo determinata da morte cellulare,
slaminamento meccanico, sbilanciamento della sintesi e
degradazione della matrice.

Epidemiologia = → il 12,3% della popolazione è affetta da malattie reumatiche


→ l’artrosi rappresenta il 72,6% di tutte le malattie reumatiche.
colpisce più frequentemente il sesso femminile e più precocemente il
sesso maschile.
→ un soggetto può soffrire di artrite in più parti del corpo, sedi più colpite:
- 33% rachide lombare
- 30% rachide cervicale
- 27% ginocchio
- 25% anca

Classificazione:
1. Artrosi primaria o idiopatica: → artrosi localizzata: - noduli di Heberden
- noduli di Bouchard
- rizartrosi del pollice
- anca
- ginocchio
→ artrosi generalizzata
→ artrosi erosiva
2. Artrosi secondaria a fattori locali, generali e/o ad eventi traumatici: → a traumatismi
→ anomalie di sviluppo
→ turbe biomeccaniche
→ alterazioni struttura
ossea
→ malattie metaboliche
ed endocrine
→ malattie ereditarie
del connettivo
→ malattie ematologiche
→ artriti
→ artrosi endemiche
Trauma da impatto:
1. Si danneggiano le cellule superficiali della cartilagine, ciò porta ad artrosi.
2. Con il trauma si danneggiano le cellule in profondità, anche in questo caso l’impatto può
portare ad artrosi

Trauma superficiale trauma profondo

PATOGENESI DELL’ARTROSI
L’equilibrio tra anabolismo e catabolismo pesa a favore della degradazione.
Si riversano nel liquido sinoviale prodotti del catabolismo cartilagineo, con conseguente attivazione
di macrofagi sinoviali e rilascio di citochine, proteinasi e radicali liberi di ossigeno.
Questi mediatori agiscono sui condrociti e sui sinoviociti modificando la sintesi di PG, collagene e
acido ialuronico e nello stesso tempo rilasciano mediatori del catabolismo.
Il fenomeno si amplifica con il tempo perché la cartilagine piano piano si autodistrugge. L’artrosi
comprende tutta l’articolazione e non solo una parte di essa.

Un’attività fisica corretta e ben eseguita non migliora l’artrosi ma porta un maggior benessere nel
soggetto.

La cartilagine non è vascolarizzata, ma l’articolazione è fortemente innervata ed è lo


schiacciamento di questi nervi che causa dolore.
Storia naturale dell’artrosi

Alterazioni anatomo-patologiche dell’artrosi:


1. Alterazioni cartilaginee: assottigliamento e fissurazioni con ulcerazioni
2. Osteofiti marginali
3. Osteosclerosi subcondrale
4. Formazione di cavità geodiche
5. Alterazioni della membrana sinoviale e della capsula articolare
6. Alterazioni della muscolatura dell’arto interessato

Presentazione clinica:
1. Dolore meccanico precoce, all’inizio del movimento, più tardivamente anche a riposo
2. Aggravamento del dolore in seguito alla funzione articolare
3. Rigidità mattutina di breve durata
4. Limitazione funzionale

Diagnosi di artrosi:
effettuata generalmente sulla base dei segni e dei sintomi clinici oppure, nei pazienti asintomatici,
sulla base dei reperti radiografici.
Sebbene la diagnosi sia generalmente semplice, devono essere considerate altre malattie reumatiche
comuni (spondilo-artropatie con fattore reumatoide negativo, pseudogotta).
→ Criteri diagnostici principali: - dolore
- rigidità
- crepitio articolare
- assenza di aumento della temperatura locale
- riduzione della rima articolare

Terapia dell’artrosi:
Nell’artrosi primaria è necessario abolire le cause che ne favoriscono l’evoluzione.
Nell’artrosi secondaria è necessario rimuovere le cause che l’hanno determinata.
Il trattamento ottimale dell’artrosi richiede una combinazione di trattamenti farmacologici e non.
La terapia a seconda del grado di evoluzione dell’artrosi può essere:
• Fisica = gli esercizi di allungamento dei muscoli consentono di ridurre il dolore e di
migliorare la funzione motoria. La mobilizzazione attiva delle articolazioni favorisce
gli scambi metallici della cartilagine.
- esercizio aerobico
- dimagrimento
- potenziamento muscolare
- termoterapia
- solette a cuneo
- educazione del paziente
• Farmacologica = da sola o in associazione alla fisioterapia svolge un’azione fondamentale
agendo sul dolore, sulla contrattura muscolare, sulla flogosi e sul trofismo
della cartilagine.
→ - paracetamolo = tachipirina
- FANS = farmaci antinfiammatori non steroidei
- oppioidi
→ infiltrazioni di steroidi o di acido ialuronico
→ condroprotettori orali: - glucosamina solfato
- condroitin solfato
- acido ialuronico
- diacereina

Terapia conservativa = → farmaci sistemici: - analgesici


- antiinfiammatori
- collagene
→ tutori
→ infiltrazioni: - steroidi
- viscosupplementazione
→ stile di vita: - perdita di peso
- utilizzo di stampelle
• Chirurgica = è riservata alle forme più evolute e più gravi.
- artroscopia
- osteomia
- protesi

Nella patologia degenerativa da artrosi secondaria l’approccio migliore è quello che modifica le
cause della patologia. Nell’artrosi primaria la cura dei sintomi e il supporto al trofismo delle
articolazioni interessate porta a conseguire i migliori risultati.
Le forme più evolute richiedono un trattamento chirurgico ma prima di arrivare alla fase chirurgica
possiamo intervenire per arrestare l’evoluzione.
Dal momento che il dolore è il sintomo predominante la flogosi oltre a provocare il dolore è una
delle cause di evoluzione dei processi degenerativi artrosici, bisogna perciò intervenire sul dolore e
sulla flogosi.
Prevenzione dell’artrosi:
1. Prevenzione primaria: riduzione dei fattori di rischio
2. Prevenzione secondaria: introduzione di interventi che prevengano la progressione verso una
forma grave di malattia (es: osteomia)
3. Prevenzione terziaria: trattamento delle conseguenze della malattia

COXOARTROSI
Eziologia: → coxoartrosi primitiva = 50%
→ coxoartrosi secondaria = - post-traumatiche (fratture del collo, lussazioni)
- deformità acquisite (coxa plana, epifsiolisi, osteonecrosi)
→ coxoartosi su malformazione lussante = 40%
- displasia semplice → del cotile
→ del femore
- sublussazione
- lussazione vera
→ malformazione protrusiva

Riduzione della motilità: → flessione conservata a lungo


→ difetto dell’estensione
→ abduzione ed adduzione limitate precocemente
→ perdita precoce della rotazione interna

Dolore: → D0 = no dolore
→ D1 = dolore da molto tempo
→ D2 = dolore frequente
→ D3 = dolore nella deambulazione
→ D4 = dolore a riposo
→ D5 = dolore notturno

Atteggiamenti viziosi: → flessione, sollecitazioni lombari


→ rotazione esterna
→ abduzione o adduzione

Rigidità in abduzione rigidità in adduzione


→ zoppie

MANOVRA DI THOMAS: in posizione supina, l’anca sana controlaterale viene posta in massima
flessione, aumentando l’iperlordosi lombare. In questa situazione, l’anca
affetta appare flessa.
DISMETRIA DEGLI ARTI INFERIORI: legata all’usura o ad una deformità che causa l’artrosi.
Consigliato fare una Rx del bacino con tavoletta di
compensazione.

ANALISI DELLA MARCIA: marcia equilibrata zoppia

Trattamento: → medico: il trattamento medico può sopprimere il dolore in maniera temporanea:


- farmaci (FANS)
- infiltrazioni
- fisioterapia
- diminuzione del peso e dell’attività fisica
→ chirurgico: - ostemie del femore: → traslazione
→ rotazione
→ varizzazione
→ valgizzazione
- ostemie del bacino
- artroprotesi: → stelo = - cementato
- non cementato (anatomico o retto)
→ cotile = - cementato
- non cementato
GONARTROSI → ginocchio
1 soggetto su 100 tra i 55 e i 64 anni ne soffre.
Il 2% totale degli uomini e il 6,6% totale delle donne tra 65 e 75 anni.

La gonartrosi è soprattutto un problema meccanico favorito da: - deformazioni femoro-tibiali


- alterazioni delle superfici articolari
- sequele di traumi ossei
- meniscectomie
- rotture di legamenti (LCA)

GONARTROSI INTERNA SU GINOCCHIO VARO: può potenziare ed aggravare le cause


descritte precedentemente, con, in più, il
sovraccarico ponderale e la debolezza del
tirante esterno.
→ un difetto dell’asse favorisce l’usura di un
Compartimento.
→ l’usura accentua la deviazione

→ provoca: - dolore – idrartro – instabilità

GONARTROSI ESTERNA SU GINOCCHIO VALGO: è meno frequente del 10%


Una normocorrezione è sufficiente.
La lassità interna è poco sollecitata se l’arto
presenta un asse corretto.

ROTTURA LCA: (legamento crociato anteriore), provoca l’artrosi. La sezione del LCA è un
modello sperimentale dell’artrosi negli animali.
Dal lato usurato si evidenzia una lassità legata ad una perdita di sostanza
cartilaginea poi ossea → LASSITÀ DA USURA
Quando la deformità si accentua, appare come una lassità dell’apparato
legamentoso del comparto opposto → LASSITÀ IN DISTENSIONE

In appoggio bipodalico la lassità legamentosa del comparto opposto può evidenziarsi.


L’esistenza di una lassità in appoggio crea dei problemi per il calcolo della correzione chirurgica ed
è rilevante per la prognosi.

Trattamento della gonartrosi: il trattamento medico può sopprimere il dolore solo


temporaneamente: - farmaci
- infiltrazioni
- fisioterapia
- diminuzione del peso e dell’attività fisica
Hanno solo un’azione sintomatica.
Trattamento chirurgico = i risultati delle pulizie articolari per artrotomia o per artroscopia
sono variabili e non fanno altro che ritardare di qualche mese o
anno l’intervento di protesizzazione.
Le protesi sono utilizzate nei soggetti anziani, le loro prestazioni
alle sollecitazioni non sono sufficienti se si propone lo stesso
intervento a dei soggetti più giovani ed attivi.
L’osteotomia ha per scopo l’eliminazione del dolore più a lungo
possibile e può essere proposta a tutte le età ma generalmente
prima dei 65 anni.

Il riequilibrio può essere ottenuto con tre tipi principali di OSTEOTOMIE:

Apertura interna sottrazione esterna curviplana

Rieducazione del ginocchio artrosico: → ridurre i sovraccarichi condrali generati dalla debolezza
Muscolare.
→ ridurre i dolori con le trazioni
→ rinforzare il tirante esterno
→ allungare i muscoli (antiversori)
→ tonificare i retroversori del bacino “gestori
dell’equilibrio dello scheletro”
→ correggere il flesso

Le protesi di ginocchio si rivolgono alle ginocchia dolenti, usurate e deformate.


LEZIONE 4: 28/03/18

LE FRATTURE
• Classificazione: → cause
→ tipi di frattura
• Diagnosi
• Principi di trattamento: → conservativo
→ chirurgia
• Complicazioni: → generali
→ precoci
→ tardive

CLASSIFICAZIONE
Cause di fratture:
1. Trauma: → diretto: - urto contundente (es: incidente stradale due corpi a contatto)
- frattura instabile, parte distale beante
→ indiretto: - non si rompe il punto in cui si prende il colpo ma la frattura è più
spostata (es: incidente sbatto contro il cruscotto con il ginocchio ma
si rompe l’anca). È una frattura da strappamento.
2. Frattura da stress: - dato da movimenti ripetuti, microtraumi continui.
3. Frattura patologica: - avviene in presenza di tumore al tessuto osseo che risulta indebolito e
più soggetto a fratture. Se il soggetto ha un’aspettativa di vita lunga si
interviene con un intervento di protesi dove si rimuove tutta la parte
contagiata dal tumore.
4. Frattura da osteoporosi: - substrato patologico non tumorale, avviene dopo un evento
Traumatico. Es: dopo una caduta.

Tipi di frattura:
1. Complete: → trasverse = è la tipologia che impiega più tempo nella riparazione e nella
guarigione, perché la rima di frattura è piccola e l’ematoma che
si forma è piccolo anch’esso.
→ oblique = ha le stesse caratteristiche della frattura trasversa ma in questo caso
La rima ha un decorso obliquo.
→ spirali = è la tipologia di frattura che guarisce meglio perché presenta un
ematoma molto sviluppato che velocizza la riparazione dell’osso.
→ impattate = può avere una guarigione spontanea senza intervento, prima con
scarico totale del peso sulla frattura e poi con carichi progressivi.
→ comminute = sono presenti più frammenti tutti riuniti in un unico punto.
→ articolari = la rima di frattura è all’interno di un’articolazione. Anche se la
frattura è di piccole dimensioni bisogna intervenire
chirurgicamente. Se questo tipo di frattura non viene operato può
portare alla formazione di artrosi.
→ bifocali = presenta due punti distinti di rottura.
Le fratture vengono suddivise in base a come trascorre la “rima di frattura”
* emartro = articolazione piena di sangue
* artrocentesi = rimozione del sangue denso dall’interno di un’articolazione
* da un punto di vista meccanico se si mantiene l’asse tra le diafisi prossimale e distale la
frattura può guarire anche senza intervento chirurgico.

2. Incompete: → torus = non c’è un punto di rottura ma è presente una zona schiacciata,
è tipico nei bambini che hanno le ossa più elastiche.

→ a legno verde = l’osso si piega ma non si spezza del tutto, è una frattura
Incompleta che guarisce facilmente.

→ da stress = è data da microtraumi ripetuti. L’osso sottoposto a sovraccarico


funzionale può dare origine a una frattura.
3. Scomposte = quando non c’è continuità tra i due monconi della frattura.
4. Composte = alto rischio di compattazione delle rime di frattura.

Bisogna sempre stabilire tipo e grado della frattura per eseguire un corretto trattamento.
5. Chiuse
6. Esposte = questo tipo di frattura genera delle ferite cutanee. Il moncone esce dalla sua sede,
l’osso esce dal corpo. Con questa frattura c’è un rischio elevatissimo di contrarre
delle infezioni.
Classificazione di Gustilo-Anderson: → tipo I = frattura puntiforme di piccolissime
dimensioni.
→ tipo II = frattura di grandezza massima di 10cm
→ tipo III = tutte le fratture di tipo III riportano
una ferita cutanea e si dividono in:
A) frattura di 10 cm ma ferita minima
B) frattura di grosse dimensioni e con
ferita cutanea massima
C) frattura di grandi dimensioni,
ferita cutanea massima e lesione
vascolare. Massima urgenza.

7. Epifisarie = la rima di frattura passa attraverso la cartilagine di accrescimento.


Classificazione di Salter-Harris: → tipo I
→ tipo II
→ tipo III
→ tipo IV
→ tipo V

DIAGNOSI
Aspetti clinici: → modalità del trauma: - locale
- politrauma, può portare alla perdita dei sensi
→ dolore, tumefazione, ecchimosi: sensibili ma poco specifici
→ deformità del segmento scheletrico e perdita della funzionalità molto suggestivi
→ valutare: - pallore cutaneo
- ematuria
- dolore addominale
- confusione e perdita di coscienza
→ integrità cutanea, danno arterioso o nervoso, danno dei tessuti molli,
coinvolgimento degli organi interni.
→ manovrare l’arto affetto con delicatezza.
Imaging: → radiografia (rx), almeno due proiezioni, un piano solo non mi permette di capire in
modo corretto il tipo di frattura. Esistono proiezioni particolari per alcuni tipi di fratture
come quelle dello scafoide o del piatto tibiale (piano obliquo).
→ alcune fratture non sono subito identificabili ma bisogna ripetere la Rx dopo 7-10
giorni (durante la guarigione c’è una fase di riassorbimento osseo con attivazione
degli osteoblasti, che rende visibile la frattura).

TRATTAMENTO
Principi: l’obiettivo del trattamento è ricostruire l’integrità ossea attraverso una corretta riduzione
ed immobilizzazione in gesso o stabilizzazione chirurgica. Il ripristino della lunghezza,
dell’allineamento assiale e rotazionale è fondamentale. La riduzione anatomica e
fissazione chirurgica è necessaria nelle fratture articolari (immobilizzazione in gesso delle
fratture articolari causata da rigidità articolare). La riduzione può essere incruenta o
chirurgica, l’osteosintesi fornisce elevata stabilità meccanica, permettendo mobilizzazione
e carico precoce.
1. Conservativo = riduzione incruenta e gesso per fratture composte o minimamente scomposte
e stabili. Complicazioni che si possono verificare sono ulcere da decubito,
gesso troppo stretto o largo.

2. Temporaneo = stabilizzazione temporanea in attesa dell’intervento chirurgico.

3. Fissazione esterna = tipicamente effettuata in caso di fratture esposte. A causa dell’elevato


rischio di infezione si cerca di minimizzare l’impianto di dispositivi di
fissazione. Può essere applicata con un trauma modesto, evitando di
danneggiare ulteriormente i tessuti molli e la vascolarizzazione dell’osso.
Spesso usata anche come trattamento temporaneo (come la trazione).
PRO = immediata concessione del carico, poco invasiva ed adattabile.
CONTRO = scomoda, non adeguata per tutte le sedi anatomiche.

4. Fissazione interna con placca = molto frequente ed utilizzata. Indicata per fratture instabili e
per fratture che richiedono la riduzione e fissazione anatomica
PRO = riduzione anatomica, è molto stabile
CONTRO = richiede un secondo tempo chirurgico per la
rimozione dei mezzi di sintesi, carico non
immediato, prevede l’esposizione del sito di
frattura.

5. Fissazione interna con chiodo endomidollare = tipico per fratture chiuse diafisarie.
PRO = poco invasivo, di solito non richiede
L’esposizione del sito di frattura.
CONTRO = secondo tempo chirurgico per la
rimozione del chiodo, il carico
non è immediato.

6. Sostituzione protesica = indicata in alcuni tipi di frattura specialmente negli anziani.


carico immediato, impiantata dove è molto probabile che si verifichi
una necrosi avascolare.

COMPLICANZE
Classificazione:
1. Generali: → shock = condizione caratterizzata da ipotensione refrattaria all’infusione di
liquidi. Ne consegue un ridotto apporto di ossigeno ai tessuti e un
accumulo di prodotti di scarto. Se non trattato, evoluzione rapida fino
alla morte.
può essere: - settico – ipovolemico – cardiogeno.
sintomi: - pallore - ipotensione – tachicardia – debolezza – brividi
- ipossiemia – tachipnea – acidosi metabolica – insufficienza
multi-organo.
→ embolia gassosa = embolia che si verifica in seguito a una frattura delle ossa
lunghe. È dovuta all’ostruzione meccanica di diversi vasi
sanguigni troppo grossi per passare attraverso i capillari.
l’occlusione vascolare con emboli adiposi è spesso
temporanea o incompleta poiché i corpuscoli adiposi non
ostruiscono completamente il flusso dei capillari sanguigni
a causa della loro fluidità e deformabilità.
localizzazione polmonare o cerebrale, si presenta circa
12-36 ore dopo il trauma ed è caratterizzata da dolore
toracico, dispnea, pallore, tachicardia, ipossiemia, delirio e
in alcuni casi anche il coma.
→ trombosi venosa profonda = si tratta di un trombo nel circolo venoso profondo,
più frequente negli arti inferiori.
Triade di Virchow: - ipercoagulabilità
- stasi ematica
- danno endoteliale
Sintomatologia: - dolore - tumefazione – calore
- rossore cutaneo - indolenzimento
- circoli venosi collaterali.
Diagnosi: - eco-color doppler - venografia - test
di laboratorio
Trattamento: - anticoagulante - calze elasto-
compressive
Prevenzione: eparina a basso peso molecolare.
→ embolia polmonare = si verifica quando un embolo, che nel 90% dei casi si
distacca da un trombo del circolo venoso profondo, si
localizza in un ramo dell’arteria polmonare. Se l’embolo
blocca l’arteria polmonare, la morte può sopraggiungere
rapidamente.
Sintomatologia: - dispnea – tachipnea – distensione delle
vene del collo – sincope – ipotensione
- cianosi – dolore pleurico – tosse
→ ulcere da decubito = tipica di aree con sottile strato muscolare e di sottocute.
Prevenzione e trattamento precoce sono indispensabili.

2. Precoci: → lesioni organi interni = perforazione polmonare in caso di fratture costali.


Lesione vescicale o uretrale in caso di fratture di bacino.
→ lesioni nervose = comuni con fratture/lussazioni dell’arto superiore:
- Nervo ascellare in lussazioni gleno-omerali
- nervo radiale in fratture della diafisi omerale
- nervo ulnare in fratture del gomito
- nervo ischiatico in lussazioni posteriori di anca
- peroneale in lussazioni di ginocchio
Bisogna valutare sempre la presenza di deficit motori e sensitivi
→ sindrome compartimentale = è dovuta all’aumento della pressione all’interno di
uno spazio fasciale o osteofasciale chiuso, con
conseguente ischemia tessutale. Ciò compromette
la funzione neuromuscolare. La causa può essere
esogena o endogena, a causa di un aumento della
pressione del compartimento per emorragia, infusi
perivascolari o edema da alterata permeabilità del
arto, edema post-contusivo muscolare. Provoca una
grave e irreversibile disfunzione dovuta all’ipossia,
con necrosi muscolare e assonotmesi. La sindrome
si verifica soprattutto nel polpaccio e avambraccio.
Sintomi: - dolore muscolare – intorpidimento
- parastesie – pallore – polsi palpabili
- tachicardia – deficit motorio tardivo.
Dolore esacerbato alla palpazione e allo stiramento
passivo delle interdigitazioni muscolari del
compartimento coinvolto, che appare teso e gonfio.
È un’emergenza chirurgica e il trattamento è
l’immediata dermato-fasciotemia.
→ emartro
→ infezione
→ cancrena gassosa

3. Tardive: → ritardo consolidazione


→ pseudoartrosi = si tratta di una mancata guarigione della frattura dopo 6 mesi
dal trattamento. Cause: - separazione eccessiva dei monconi
- interposizione di tessuti molli
- instabilità
- ridotto apporto sanguigno
- danno importante dei tessuti molli
- infezione
- fumo
La pseudoatrosi può essere ipertrofica o ipotrofica.
→ vizi di consolidazione = guarigione della frattura in una posizione inaccettabile
che determina deformità, malellineamento, con
invalidità e limitazione funzionale.
Trattamento: osteotomie correttive.
→ necrosi avascolare = tipica di fratture in sedi con vascolarizzazione terminale.
causata dall’interruzione dell’apporto sanguigno locale e
della stasi venosa, che provoca necrosi ossea.
→ osteoartrosi
→ instabilità articolare
→ contrattura muscolare
→ atrofia di Sudeck
LEZIONE 5: 4/04/18

MALFORMAZIONI CONGENITE
Si definiscono in tal modo tutte le malformazioni presenti alla nascita per alterazioni dello sviluppo
scheletrico entro i primi tre mesi della vita intrauterina (malformazioni embrionali) e dopo i primi
tre mesi (malformazioni fetali).

Cause: possono essere determinate da fattori di diversa natura: - genetica


- tossica
- infettiva
- meccanica
Clinica: i distretti più frequentemente colpiti sono: - anca → displasia congenita dell’anca
- piede → piede torto
- rachide cervicale → torcicollo miogeno

DISPLASIA CONGENITA DELL’ANCA (DCA)

EPIDEMIOLOGIA
La DCA è un’affezione ereditaria di tipo poligenico.
La malformazione interessa sia la componente acetabolare che quella femorale.
• Incidenza 2-3 %
• Prevalente nel sesso femminile rapporto 6:1
• Risente delle influenze razziali: sconosciuta nella razza nera o gialla
• In Italia è prevalente al nord
• Spesso bilaterale (45% dei casi)
• Può associarsi ad altre condizioni come il piede torto

EZIPATOGENESI
1. Fattore genetico = → teoria della displasia acetabolare = la cartilagine dell’acetabolo
sarebbe più soffice e plastica del
normale e quindi facilmente
deformabile sotto le deformazioni
meccaniche della testa femorale.
→ teoria della lassità legamentosa = non meglio precisata come lassità
delle strutture di contenzione dell’anca
2. Fattori ambientali = → prenatali = - scarsezza di liquido amniotico
- presentazione podalica
- 3 posizioni delle anche nell’utero che favoriscono DCA

→ postnatali = posizioni/fasciature con gambe addotte ed estese

Displasia acetabolare: - acetabolo poco profondo (sfuggente) con bordi irregolari


- ipertrofia del cercine fibroso
- ipertrofia del legamento rotondo
Displasia femorale: - testa del femore piccola e irregolare
- collo del femore valgo ed antiverso
→ inclinazione del collo femorale normale 110°-130° nella DCA fino a 180°
* Angolo di inclinazione = misura il valgismo del collo
* Angolo di declinazione = misura antiversione o retroversione

→ antiversione collo femorale: - antiversione nel neonato 40°


- antiversione nell’adulto 13°-15°
- antiversione DCA 40°-90°
* la DCA è caratterizzata da un aumento del valgismo e dell’antiversione del
collo o a un arresto della loro fisiologica riduzione.

ANATOMIA PATOLOGICA
Esistono 4 stadi anatomo-clinici di DCA che rappresentano le fasi evolutive della malattia:
1. Prelussazione = costituisce una sorta di condizione pre-lussante dell’anca
2. Sublussazione
3. Lussazione
4. Lussazione inveterata

DIAGNOSI
La diagnosi può essere clinica e strumentale:
clinica: → asimmetria pieghe cutanee delle cosce
→ segno di Galeazzi = i piedi del bambino supino vengono posizionati entrambi sul tavolo
dell’esaminatore con le anche e le ginocchia flesse, verrà evidenziato:
- livello irregolare delle ginocchia
- numero asimmetrico delle pieghe cutanee della coscia
- apparente accorciamento di un arto
→ manovra di Ortolani-Barlow

→ limitazione dell’abduzione ad anca flessa


→ segno di trendelenburg = zoppia con caduta dell’emibacino sano quando il paziente
poggia unilateralmente sull’arto malato. Se bilaterale si assume
un’andatura anserina. Se il gran trocantere risale si accorcia la
distanza fra i due punti di inserzione del muscolo medio gluteo
leve muscolari svantaggiose.

→ deambulazione con intrarotazione = eccessiva antiversione del collo femorale, eccesso di


intrarotazione dell’anca e deambulazione con punta
dei piedi rivolta all’interno.

Strumentale: → ecografia dell’anca (screening)


→ RX tradizionale = dopo il 3° mese, il cotile è insufficientemente profondo,
l’angolo di Hilgenrheiner e l’angolo di copertura sono
insufficienti. Il femore è troppo antiverso. Coxa valga.
La testa del femore è decentrata.
→ triade di Putti: - sfuggenza del tetto acetabolare
- ipoplasia/mancanza nucleo di ossificazione epifisario
- allontanamento in alto e in fuori del nucleo cefalico del fondo
dell’acetabolo.
TERAPIA
La terapia varia in base allo stadio clinico della malattia.
Il trattamento deve essere il più precoce possibile e consiste nell’atteggiare le anche in abduzione.
In fase di displasia nel primo anno di vita: - cuscino divaricatore = l’abduzione può essere causa di
necrosi tardiva della testa.
si preferisce l’uso di divaricatori
in extrarotazione.
- notte e giorno in abduzione 3-6 mesi, fino a quando
l’ecografia avrà confermato la guarigione.
In fase di sublussazione o lussazione dopo il 1° anno di vita: - trazione continua atraumatica 2-4
settimane, o riduzione cruenta previa
artrografia.
- immobilizzazione in gesso 60 giorni
- divaricatore 3-4 mesi
In caso di mancata diagnosi o in assenza di terapia dopo i 4 anni: - osteotomie varizzanti e
derotative trocanteriche, permette
uno sviluppo armonioso del cotile
e della testa. Allungano il braccio
di leva dei muscoli abduttori e ne
modificano la direzione.
Aumenta la superficie portante
quindi riduce le pressioni.
Prevenzione dell’artrosi.
- osteotomie di bacino: traslazione
della testa e copertura. Aumento
del braccio di leva.

DCA
• Malattia congenita a genesi multifattoriale, che colpisce l’anca, soprattutto nelle donne, e
che determina un’invalidità a livello di questa articolazione.
• Uno sviluppo anomalo dell’articolazione dell’anca che determinerà una sua usura precoce.
Provoca dolore negli stadi più avanzati.

PIEDE TORTO CONGENITO (PTC)


È rappresentato da una deformità del piede, presente dalla nascita, caratterizzata da uno
stabile atteggiamento vizioso del piede per alterazione dei rapporti reciproci tra le ossa che
lo compongono, cui si associano alterazioni capsulari, legamentose, muscolo-tendinee e
delle fasce.
Lasciato a se stesso il PTC esiste in una modificazione strutturale dello scheletro del piede
per cui la deformità diviene sempre meno correggibile.
Il PTC è una deformità che per frequenza segue immediatamente la displasia congenita
dell’anca: 1%, si ha una forma bilaterale nel 55% dei casi.

CLINICA
Esistono 4 forme di PTC, in ordine di frequenza sono:
1. Piede equino-cavo-varo-addotto-supinato → 70%
2. Piede talo-valgo-pronato → 10%
3. Metatarso addotto o varo → 15%
4. Piede piatto e reflesso-valgo → 5%
EZIOPATOGENESI
Non ancora del tutto chiarita.
È una malattia ereditaria multifattoriale condizionata da fattori ambientali intrauterini.
Le teorie patogenetiche più accreditate sono:
• Alterazione genetica cromosomica
• Fattori ambientali materni
• Arresto dello sviluppo: mancata detorsione del piede, dalla posizione equino-varo-supinata
• Teoria della fibromatosi
• Teoria vascolare

Piede equino – varo – supinato


Viziosa posizione del piede, atteggiato in flessione planare (equinismo), inclinato medialmente a
livello calcaneare(varismo), concavo nel suo margine interno (adduzione) e ruotato medialmente sul
suo asse longitudinale (supinazione).
La viziosa posizione del piede può essere più o meno accentuata.
1° grado = deformità modesta non c’è grande resistenza nel portare il piede in atteggiamento
ortomorfico. → Totale riducibilità della deformità.
2° grado = il piede sul piano frontale forma con la gamba un angolo interno di 90°, netta resistenza
al tentativo di correzione. → Parziale riducibilità
3° grado = il piede sul piano forntale forma con la gamba un angolo acuto inferiore al 70-80° e la
faccia guarda addirittura plantarmente → totale irriducibilità

DIAGNOSI
Clinica: - diretta osservazione
- palpazione evidenzia il grado di correggibilità
- le modificazioni delle ossa del tarso sono inizialmente di posizione, ma col tempo
diventano deformità strutturate non correggibili manualmente.
- ecografia
DIAGNOSI E PROGNOSI
La prognosi è condizionata dalla tempestività del trattamento.
Anche nelle forme più gravi si riesce in generale a raggiungere un risultato soddisfacente.
Il trattamento va interpretato subito dopo la nascita.
Nei primissimi giorni dopo la nascita mobilizzazioni ripetute del piede.
Al 10-15° giorno modellamenti manuali a tappe, ottenuta una certa correzione apparecchio gessato
femoro-podalico in valgismo-pronazione.
Dopo 8-10 giorni rimozione dell’apparecchio gessato e successiva mobilizzazione. Successivo
apparecchio fino a correggere del tutto la deformità.
Per l’equinismo residuo si procede alla correzione chirurgica.

PTC
È una deformità del piede, presente dalla nascita, caratterizzata da uno stabile atteggiamento vizioso
del piede.
Un atteggiamento viziato del piede che, se trascurato, determina una retrazione delle parti molli,
fino ad un errato sviluppo delle ossa del piede.
TUMORI

TUMORI PRIMITIVI DELL’OSSO


Lesioni simil-tumorali: gruppo eterogeneo di lesioni ad eziologia nota e natura iperplastica
che presentano quadri RX analoghi a quelli delle neoplasie.
- granuloma eosinofilo
- fibroma istiocitico: lesione metafisaria lucente ai raggi X, circondata
da un orletto sclerotico. Spesso a risoluzione
spontanea. Non richiede trattamento se a basso rischio
di fratture patologiche.
- displasia fibrosa: → forme monostotiche, mascellari, femore e tibia.
→ forme poliostodiche: oligostotiche, monomeliche
e generalizzate
→ clinica: spesso asintomatica, dolori vaghi e
discontinui, deformità delle ossa facciali,
frattura patologica
→ trattamento: conservativo perché la crescita si
arresta con la pubertà o chirurgico in
caso di fratture o lesioni ampie e
asintomatiche
- cisti ossea → lesione cistica a contenuto liquido frequente tra 5-15 anni
→ osteolisi centrale a limiti netti, senza orletto sclerotico
→ sede: metafisi ossa lunghe
→ clinica: asintomatica, spesso esordisce con frattura
patologica
→ diagnosi: clinica + RX
→ trattamento: incruento, aspirazione del liquido con ago,
lavaggio a pressione, iniezione di cortisonici
- cisti ossea aneurismatica: → frequente in ragazzi di età <20 anni
→ sede: ubiquitaria, anche nelle vertebre
→ clinica: dolore, tumefazione, deformazione
del segmento leso
→ trattamento: chirurgia, innesti ossei o
cemento
tumori produttori del tessuto osseo: → benigni: - osteoma
- osteoma osteoide
- osteoblastoma
→ maligni: - osteosarcoma
tumori produttori di cartilagine: → benigni: - condroma
- osteocondroma
- fibroma condro-mixoide
→ maligni: - condrosarcoma
tumori del midollo osseo: - sarcoma di Ewing e reticolosarcomi
- linfosarcomi ossei
- mielomi
tumori a cellule giganti: - tumori di origine incerta
tumori del tessuto connettivo: - lipoma osseo
- fibrosarcoma
Obiettivi = - individuazione della lesione
- caratterizzazione e stadiazione della malattia
- pianificazione chirurgica
- ristadiazione e monitoraggio degli effetti chemioindotti e radioindotti
- follow-up
Anamnesi = - durata ed insorgenza dei sintomi
- velocità di accrescimento
- differenziazione tra primitivo e secondario
- patologie endocrine, renali ed altre alterazioni del metabolismo
Sintomatologia = - dolore
- tumefazione
- frattura patologica
- sintomi sistemici
Esami ematici e strumentali
Clinica = la crescita afinalistica di una neoplasia ad insorgenza scheletrica tende a sovvertire la
struttura anatomica.
Questo può determinare la sintomatologia d’esordio: - dolore
- tumefazione
La sintomatologia aspecifica ed il frequente riferimento ad un trauma costituiscono la
Principale fonte di errore e di ritardo nella diagnosi.

TUMORI DOLOROSI
• Dolori notturni (osteoblastoma, osteoma osteoide)
• Dolori con il freddo (tumori glomici)
• I tumori maligni sono quasi sempre dolorosi
• Un tumore doloroso deve essere studiato con una biopsia

FRATTURE PATOLOGICHE
Bambini = - cisti ossee dei bambini (femore, omero)
- fibroma non ossificante (femore, tibia)
- granuloma eosinofilo
- displasia fibrosa
Adulti = - tumore a cellule giganti
- cisti aneurismatica
- metafisi
CRITERI DIAGNOSTICI
Localizzazione = esistono sedi specifiche per alcuni tumori: - controblastoma, apofisi ed epifisi ossa
Lunghe
- tumore a cellule giganti, metafisi ossa
Lunghe
- adamantinoma, diafisi tibiale
- cordoma, sacro e coccige
Età di esordio = sarcoma di Ewing raro prima dei 5 anni, in questa fascia pediatrica più probabile
metastasi ossea da neuroblastoma. Tumore a cellule giganti raro prima della pubertà
condrosarcomi e mieloma eccezionali prima della pubertà.
• Tra 1° e 3° decade = - sarcoma di Ewing
- osteosarcoma
- cisti aneurismatica
- cisti ossea
- condroblastoma epifisario
• Adulti = - condrosarcoma
- istocitoma fibroso maligno
- liposarcoma
- TGC
- metastasi

Caratteri di malignità: → interruzione della corticale


→ delimitazione sfumata dei bordi dell’alterazione strutturale
→ scrollamento e reazione periostale
→ infiltrazione delle parti molli
Caratteri di benignità: → integrità della corticale
→ delimitazione netta con eventuale reazione osteosclerotica periferica
→ assenza di scollamento e reazione periostale
→ accrescimento lento

TC
(termografia computerizzata)
1. Evidenzia il comportamento della corticale
2. Invasione del canale midollare ed il tipo di infiltrazione delle trabecole
3. Eventuale invasione dei tessuti molli circostanti

RM
(non deve essere alternativa alla TC)
1. Migliore valutazione dell’estensione del tumore nelle parti molli circostanti
2. Valutazione del rapporto del tumore con i vasi e i nervi adiacenti la neoplasia

TUMORI BENIGNI
OSTEOCONDROMA = esostosi,
• Stelo di tessuto osseo cortico-spongioso, rivestito da un cappuccio di cartilagine ai bordi di
un piatto di crescita.
• La crescita termina con la maturità scheletrica. La crescita che continua è un segno di
malignità
• Maggiore nei maschi che nelle femmine tra i 10 e i 20 anni
• Clinica: asintomatica a volte tumefazione e dolore da impingement con muscoli/tendini
• Evoluzione maligna in condrosarcoma rara 1%. Il rischio di evoluzione maligna aumenta di
6 volte nelle localizzazioni multiple.
• Terapia: osservazione e asportazione chirurgica se sintomatica.

CONDROMA = encondroma
• Aree persistenti di cartilagine ialina al centro di un osso che si era sviluppato per
ossificazione encondrale
• Diagnosticato a qualunque età
• Sede: falangi di mano e piede, omero prossimale, femore distale (metafisi)
• Clinica: asintomatico, spesso diagnosi incidentale: - ossa della mano = corticale assottigliata
- ossa lunghe = corticale risparmiata
• Terapia: osservazione e asportazione chirurgica sintomatica o aumento di volume

TUMORI VOLUMINOSI
• Sporgenza degli osteocondromi, deviazioni dei tendini dei nervi e dei vasi
• I condromi, vicino alla pelvi, possono limitare i movimenti e deviare gli assi vascolo-nervosi
• Invasione delle parti molli dei tumori maligni

TUMORI A CELLULE GIGANTI


• Benigno ma aggressivo, tumore borderline: 2% metastasi polmonari
• Raro in età pediatrica ed in adolescenza
• Sede: epifisi e metafisi delle ossa lunghe (50% intorno al ginocchio e 10% radio distale)
• Clinica: spesso asintomatico, spesso diagnosi incidentale
• Terapia: curettage + adiuvanti locali
• Preservare la superficie articolare rappresenta un obiettivo cruciale

OSTEOMA OSTEOIDE
• Tumore benigno intra-corticale auto-limitante
• Maggiore nei maschi che nelle femmine si presenta in età minori dei 30 anni
• Sede: diafisi delle ossa lunghe, metafisi
• Clinica: dolore intenso soprattutto la notte, risposta ai FANS
• Terapia: termoblazione con radiofrequenza sotto guida dei TC

TUMORI MALIGNI
CONDROSARCOMA
• Il più frequente tumore osseo primitivo, di solito a basso grado
• Centrale, sviluppo all’interno dell’osso
• Sede: ossa lunghe prossimali al ginocchio, bacino, scapola-metafisi
• Clinica: dolore sordo, profondo anche a riposo
• Periferico sviluppo su un’esostrosi singola o multipla
• Sede: bacino, vertebre, sacro, scapola e ossa lunghe

OSTEOSARCOMA
• È il secondo più frequente tumore osseo primitivo, ne esistono diversi tipi, il più comune ad
alto grado di malignità intramidollare intorno al ginocchio in età pediatrica con secondo
picco nell’adulto anziano.
• Si presenta maggiormente tra i 10 e i 25 anni
• Sede: metafisi delle ossa lunghe, spesso intorno al ginocchio
• Clinica: dolore, tumefazione, iperemia,reticolo venoso
• Evoluzione rapida metafisi frequenti al polmone e all’osso
• Terapia: aspetti chemioterapia + chirurgia + ulteriore chemioterapia
• Sopravvivenza a 5 anni oltre il 70%

SARCOMA DI EWING
• Origine sconosciuta, piccole cellule di origine neuroectodermica
• Maggiore nei maschi che nelle femmine
• Sviluppo nella seconda decade di età dopo i 5 anni
• Sede: bacino, intorno al ginocchio, omero prossimale, diafisi femorale
• Clinica: dolore ingravescente, massa in aumento, febbre, affaticamento
• Diagnosi differenziale con osteomielite
• Terapia: chemioterapia + chirurgia + chemioterapia e radioterapia

Trattamento dei tumori ossei


Primitivi benigni = → osservazione
→ biopsia
→ asportazione
→ prevenzione della frattura
Primitivi maligni = → asportazione della lesione con intento di radicalità
→ RT adiuvante, CT o embolizzazione
Metastasi = → biopsia
→ trattamento complicanze
→ stabilizzazione di fratture imminenti
→ resezione metastasi singole
→ terapie mediche

Resezioni ossee → ricostruzione


• Giroplastica
• Endoplastica
• protesi da ricostruzione
• allograft
• allograft e protesi
• autograft osseo (cresta iliaca)
• autograft con perone vascolarizzato

METASTASI
Forma più comune di neoplasia maligna dello scheletro.
Localizzazione secondaria allo scheletro di un tumore primitivo in altra sede.
Tumori primitivi: prostata, mammella, rene, polmone, tiroide → bambini
Rabdomiosarcoma, neuroblastoma → bambini
Via di diffusione: → propagazione diretta per contiguità
→ linfatica o ematogena
→ disseminazione intrarachidea
• generalmente multifocali, lesioni solitarie in carcinoma rene e tiroide.
• Principali ossa coinvolte, scheletro assiale, femore, omero
• Caratterizzate da un alto rischio di fratture patologiche.
Osteolitiche = rene, polmone, melanoma, tiroide, tratto gastrointestinale
Osteoaddensati = prostata
Miste = mammella

Clinica: → dolore sordo e profondo anche a riposo


→ fratture patologiche
→ possibili danni neurologici
→ sintomi sistemici
Trattamento: → chirurgico
→ conservativo: - radioterapia
- terapia sistemica: _ endocrina
_ chemioterapia
_ bisfosfonati
- terapia analgesica (FANS, oppiacei)
LEZIONE 6: 11/04/18

M. DI DUPUYTREN, ALLUCE VALGO, OSTEOCONDROSI, SCOLIOSI, LOMBALGIA,


LOMBOSCIATALGIA/CRURALGIA

MALATTIA DI DUPUYTREN
Consiste nella progressiva retrazione dell’aponeurosi palmare, il tessuto fibroso situato tra la pelle
del palmo della mano e i tendini flessori. Si instaura progressivamente e colpisce sovente le due
mani, estendendosi prevalentemente alle dita anulare e mignolo. Inizialmente piccoli noduli
formano delle catene discontinue che si fondono in corde dure, la retrazione progressiva delle quali
induce la flessione delle dita. I tendini sono intatti. Questa evoluzione è molto lenta e può durare
mesi o anni. La malattia ha spesso un andamento intermittente, ma no c’è miglioramento spontaneo.
Si riscontrano casi all’interno di una stessa famiglia e colpisce prevalentemente gli uomini intorno
ai 50 anni. Nelle donne si manifesta meno frequentemente e più tardi. Colpisce prevalentemente chi
esegue lavori con carichi pesanti o sportivi di alto livello. La guarigione consiste in un intervento
chirurgico per ridurre l’aponeurosi. Non esistono trattamenti conservativi, ma l’intervento ha uno
scopo esclusivamente funzionale, in quanto non cura la malattia ma corregge le deformità che essa
ha provocato. L’operazione rimuove le corde e i noduli per permettere l’estensione delle dita e
quindi il recupero funzionale. È un’operazione delicata a causa delle strutture vasculo-nervose e
tendinee che si trovano nel palmo della mano, richiede spesso delle plastiche cutanee. Una
caratteristica di questa malattia è la estrema variabilità con cui si manifesta, sia in termini di
estensione e grado di retrazione delle dita che di velocità di evoluzione. Questo fatto comporta una
scelta di trattamento personalizzata, basata soprattutto sull’esperienza del chirurgo.

ALLUCE VALGO
Deviazione in fuori e rotazione dell’alluce (l’unghia guarda in alto e in dentro).
Deviazione del 1°metatarso in dentro (metatarso varo) e spostamento delle altre dita verso l’esterno.
Fattori aggravanti: - alluce troppo lungo
- tendini a corda d’arco
- sublussazione metatarso-falangea
Il 90% delle persone che soffrono di alluce valgo sono donne, questo per la tipologia delle calzature
che portano (scarpe con il tacco o scarpe con punta stretta)

Tipologia di piede: il 75% delle persone che soffrono di alluce valgo hanno un piede di tipo egizio.
Evoluzione = borsite infiammatoria, dolore, eventuale infezione, sublussazione della testa
metatarso-falangea, artrosi, spostamento delle dita vicine.

Guarigione: → spaziatori tra 1° e 2° dito nelle prime fasi della malattia


→ Trattamento chirurgico = - resezione dell’esostosi
- resezione della falange 1
- ricentraggio del metatarso 1 sui sesamoidi

OSTEOCONDROSI PRIMITIVA DELL’ANCA


è una malattia che colpisce l’osso appena formato (lamellare),
per questo colpisce principalmente i giovani.
L’osso va in necrosi appena si forma, non è più in grado di riformarsi, diventa più debole e ha un
elevato rischio di rompersi.

MALATTIA DI LEGG-PERTHES-CALVÉ
(5-8 anni, principalmente maschi)
Guarigione = senza sequele, il recupero nei bambini è molto veloce ma se mal trattato può causare
danni perenni (il recupero è breve ma in alcuni casi può durare anche 6-12 mesi).
Trattamento = → la prima cosa da fare è l’astensione dall’attività che provoca dolore, si può
continuare a fare tutto ciò che non provoca dolore (se anche stare fermi provoca
dolore bisogna utilizzare le stampelle)
→ trattamento ortopedico
→ trazione continua al fine di scaricare la testa del femore e minimizzare la
deformazione del contorno cefalico durante la fase di ricostruzione della testa.
→ appoggio proibito fino alla fase di ricostruzione
→ la chirurgia è rara, riservata ai casi in cui la testa del femore è scoperta
(osteotomia di ricentramento).
MORBO DI OSGOOD-SCHLATTER
(11-14 anni, principalmente maschi)

Si tratta di un’affezione con sede a livello della tuberosità tibiale anteriore all’inserzione del tendine
rotuleo. Questa zona è particolarmente fragile a causa dei fenomeni di crescita a questo livello e
sottoposta per mezzo del tendine rotuleo a delle trazioni multiple e ripetute che provocano delle
micro-avulsioni. Nella malattia di Osgood-Schlatter si ha una vera e propria avulsione dei
frammenti cartilaginei della tuberosità, tirati verso l’alto dal tendine (trazioni multiple e ripetute del
tendine).
Diagnosi = → ragazzo da 11 a 14 anni
→ dolori esacerbati dallo sport
→ bilateralità
→ tuberosità sporgente
→ dolore alla pressione
→ dolore all’estensione forzata
Segni all’esame = → tumefazione dolorosa
→ dolore alla palpazione
→ dolore all’estensione del ginocchio contro resistenza
→ dolore all’allungamento
Radiografia = → aspetto sfumato del rostro epifisario
→ zona erosa dell’osso epifisario sub-condrale
→ corpi estranei intratendinei
→ frammentazione della zona d’inserzione tendinea
→ spostamento anteriore del becco rostrale
→ raramente avulsione completa
→ edema del tendine alla RMN
Trattamento = → interruzione momentanea della pratica sportiva e monitoraggio in base al dolore
→ nelle forme iperalgiche si può raccomandare l’impiego di un gesso per 4-6
settimane con una ripresa progressiva dell’attività
→ evitare sport violenti per 3-4 mesi (ginnastica, atletica)
→ controindicate le infiltrazioni locali di corticosteroidei
→ sorvegliare costantemente fino alla guarigione
→ durante il trattamento vengono rimosse le sequele, ma sono recidive, perciò dopo
l’operazione ci deve essere una buona compressione della zona operata
Evoluzione = → l’evoluzione avviene spontaneamente in 12-18 mesi. È sempre favorevole
→ eccezionalmente si può osservare un’epifisiodesi spontanea della tuberosità tibiale
anteriore
→ l’evoluzione è sempre più lunga se non correttamente curata
Complicanze = → cronicità semplice poco dolorosa
→ periodi subacuti parossistici
→ aspetto inestetico
→ distacco del manico
→ tuberosità dolorosa dell’adulto
→ retrazione del tendine rotuleo
→ ginocchio recurvato
MALATTIA DI SEVERE-BLANKE O HAGLUND
(8-13 anni)

MALATTIA DI CALVÉ
(2-5 anni)

MALATTIA DI KOHLER 1 E 2
3-8 anni 18-30 anni, principalmente femmine

MALATTIA DI KIENBOCK
(15-30 anni, principalmente maschi)

MALATTIA DI KONIG
MALATTIA DI SCHEUERMANN → SCOLIOSI
(12-14 anni, principalmente maschi)

La scoliosi è una deviazione laterale della colonna, non modificabile, che si accompagna ad una
rotazione e ad una torsione dei corpi vertebrali, con conseguente interessamento delle strutture che
si articolano con essi. Spesso si assumono atteggiamenti scoliotici senza soffrire di scoliosi.
In questa malattia il processo spinoso di una vertebra guarda verso l’interno della curva, curvando
di meno rispetto ai corpi della vertebra che sono esterni rispetto alla curva.

Incidenza = → interessa frequentemente il sesso femminile e si manifesta di solito durante le età del
maggior sviluppo 7-9 anni e 11-13 anni
eziologia = → idiopatica = comprende il 75% dei casi
→ congenita = dovuta a malformazioni di uno o più corpi vertebrali
→ neurogena = conseguenti lesioni nervose centrali (paralisi specifiche) o periferiche
(paralisi flaccide)
→ miogena = dovute a malattie muscolari
→ desmogena = dovute a lassità o retrazione dei legamenti o ella capsula articolare
→ artrogena = dovuta a lesioni articolari (artriti settiche, tumori)
→ osteogena = dovute a lesioni dello scheletro, di tipo traumatico o patologico
→ statica = dovute ad una primitiva alterazione della statica del bacino e della colonna
per differente lunghezza degli arti inferiori

anatomia patologica:
• La deviazione laterale del rachide è accompagnata da curve di compenso controlaterali
• La rotazione dei corpi vertebrali causa deformità della gabbia toracica con gibbo e danni
respiratori
• La deformazione del torace causa danni funzionali esofagei e mediastinici

Cosa valutare della curva:


• Sede = cervicale, dorsale, lombare
• Verso = destro o sinistroconvessa
• Presenza di curve di compenso = una curva compensata è più mobile e più correggibile
rispetto a una curva vera
• Entità in gradi = per misurare l’angolo della curva scoliotica si prendono la prima e l’ultima
vertebra della curva e si tracciano delle linee tangenti fino al punto
d’incontro dove si misura l’ampiezza dell’angolo.
→ angolo di Cobb: - < 20° scoliosi lieve
- 20°-40° scoliosi media
- >40° scoliosi grave

Esame clinico:
• L’E.O. si esegue sul paziente prima in clinostatismo e poi in ortostatismo.
• Clinostatismo = valutazione globale del rachide, del tono e del trofismo della muscolatura
paravertebrale e addominale. Misurazione della lunghezza degli arti
inferiori dalla SIAS al malleolo interno.
• Ortostatismo = osservazione deformazioni toraciche e del bacino (spalle e ali iliache
possono avere altezze diverse), valutazione asimmetrica del triangolo della
taglia.

Radiologia:
• Importante valutare lo stato di maturità dello scheletro con test di risser:
0. In assenza del nucleo di ossificazione
1. Comparsa del nucleo di ossificazione
2. Formazione di più nuclei
3. Loro fusione dal lato esterno della cresta
4. Completa fusione dei nuclei
5. Fusione con l’osso iliaco
Prognosi:
• Evoluzione verso il peggioramento soprattutto quando: → il paziente è giovane
→ la curva è scompensata
→ la scoliosi si trova nel tratto
lombare o dorsale in basso
* aggravamento possibile anche nel corso di poche mesi
• Necessario: → controllo del paziente ogni 2-3 mesi durante l’evoluzione scheletrica e
misurazione della crescita staturale.
• Peggioramenti gravi causano: → danni anatomici e danni funzionali

Terapia:
• Medica = migliora le condizioni generali del paziente, soprattutto se defedato
• Fisica = ginnastica e trazioni, scopo della ginnastica correttiva: - migliorare tono e trofismo
- recuperare postura corretta
• Ortopedica = si attua per scoliosi con angolo di Cobb > 20°, si associa alla terapia fisica e
consiste nell’uso di corsetti ortopedici
• Chirurgica = si attua quando la curva scoliotica è maggiore di 35-40° di Cobb. È preceduta
da trattamento incruento ortopedico e fisioterapico.

LOMBALGIA – LOMBOSCIATALGIA – LOMBOCRURALGIA


Lombalgia = è una manifestazione dolorosa localizzata alla regione lombare, generalmente diffusa
verso i glutei uni o bilaterale, che colpisce soggetti di ambo i sessi in tutti i periodi
della vita. Tendenzialmente dolore lombare muscolare dovuto da contrattura. Sotto i
45 anni astensione dall’attività che provoca dolore porta alla guarigione. La
lombalgia può essere causata da ansia e stress.
Lombosciatalgia = il dolore lombare si associa ad una irradiazione all’arto inferiore nei territori di
irradiazione del nervo sciatico o del nervo femorale. Dolore lombare irradiato
lungo il nervo ischiatico (sciatico) gluteo, fino al piede esterno.
Lombocruralgia = a livello della regione cervicale della colonna distinguiamo la cervicoalgia con
sintomatologia al collo ed alle spalle e la cervicobrachialgia in cui il dolore si
irradia all’arto superiore. Dolore nella parte anteriore della coscia.
Incidenza = → l’80% della popolazione ne soffre almeno una volta nella vita
→ 15% ne soffre per oltre due settimane
→ il 5% della popolazione ne soffre in forma cronica
→ problema sociale
Eziologia = → patologia discale
→ patologia articolare
→ patologie muscolari, legamentose e fasciali
→ patologia congenita, spondilolisi, spondilolistesi e sacralizzazione 5° lombare
→ patologie meningo-radicolo-midollari infiammatorie, infettive, tumorali, post-
Traumatiche

Il disco intervertebrale è formato da due regioni: → esterna = rigida anulus fibroso


→ interna = soffice nucleo polposo
Anatomia patologica:
• Lombalgia da artrosi discosomatica
• Lombosciatalgie e lombocruralgia da ernia discale: - manovra di Lasegue
- manovra di Wassermann

SPONDILOLISI E SPONDILOLISTESI
Denominazione derivante dal greco in cui la desinenza -LISI (interruzione) sta ad indicare la
mancata fusione dell’arco vertebrale al corpo a livello dell’istmo, mentre -LISTESI
(spostamento) è lo scivolamento in avanti del corpo vertebrale a causa della lisi istmica e la
parte posteriore dell’arco rimane in sede.
LEZIONE 7: 2/05/18

LESIONI MUSCOLARI
• Fibre lente, o fibre rosse (tipo I): elevato contenuto di mioglobina e mitocondri.
Metabolismo ossidativo. Garantiscono un utilizzo duraturo
nel tempo. Minore diametro.
• Fibre veloci, o fibre bianche (tipo IIB): basso contenuto di mioglobina. Metabolismo:
glicolisi anaerobica. Suscettibili alla fatica.
Maggiore diametro.
• Fibre veloci (tipo IIA): caratteristiche intermedie. Resistenti alla fatica.
Ognuna di queste tipologie di fibre è presente a livello muscolare, in diversa proporzione; ogni fibra
è innervata da un motoneurone e insieme costituiscono l’unità di base del muscolo detta
unità motoria. Ogni motoneurone innerva molte fibre, ma una ogni fibra muscolare può
essere innervata da un solo motoneurone.

La prima distinzione da fare per le lesioni muscolari è sulla base della lesione anatomica:
1. SENZA LESIONE ANATOMICA
• Crampo: è una contrazione intensa, brusca, involontaria ma soprattutto transitoria e
proprio per questo possiamo distinguerla da una contrattura. Può essere
dovuto a sforzo o anche a riposo. Le tecniche di prevenzione o di “cura”
passano per la massoterapia o il più comune stretching.
• Miofascite: è un’infiammazione delle fasce muscolari che dà sintomatologia dopo 1-
2 giorni dall’attività fisica svolta. Coinvolge spesso diversi gruppi
muscolari. Come terapia menzioniamo idromassaggio e massoterapia
utili a risolvere l’infiammazione temporanea.
• Contrattura: è una contrazione involontaria, incosciente, dolorosa e soprattutto
permanente. Viene localizzata a livello di un muscolo. Solitamente le
cause della sua insorgenza sono il sovrallenamento oppure la difesa. Per
la terapia viene applicata la formula PRICE: protezione, riposo,
ghiaccio, compressione e elevazione. Ovviamente ci sono anche terapie
fisiche che aiutano la guarigione come massoterapia e ultrasuoni.
2. CON LESIONE ANATOMICA
• Cause estrinseche (dirette): → contusioni.
• Cause intrinseche (indirette) → elongazioni
→ distrazioni (1°, 2°, 3° grado).
L’elongazione: è un eccessivo allungamento del muscolo dovuto a una sollecitazione eccessiva. Il
paziente accusa un dolore improvviso, vivo ma non localizzato; alla palpazione non
si percepisce il vallo, ossia non ti percepisce un “buco” nel muscolo segno
inequivocabile di rottura delle fibre. La prognosi è buona e di fatti si richiede 10 gg
per la completa guarigione; anche qui la terapia prevede il metodo PRICE oltre che
la massoterapia. Prima di riprendere l’attività sportiva intensa è necessario
prevenire il medesimo infortunio con potenziamento muscolare e stretching.
La distrazione: è tipica degli sport che richiedono una forza muscolare esplosiva in breve tempo
come il calcio. Il paziente accusa un dolore improvviso e localizzato; alla
palpazione, stavolta, è possibile sentire il vallo segno di interruzione delle fibre
muscolari. La classificazione dell’entità della distrazione passa per la quantità di
ematoma e la quantità di fibre muscolari coinvolte:
Lesione di I grado: corrispondente a una rottura di meno del 5% delle fibre del muscolo.
Allungamento eccessivo e brusco quando il muscolo è a riposo, ma soprattutto
in contrazione. Il dolore si presenta molto intenso e peggiora in contrazione
isometrica o contro resistenza manuale. La terapia PRICE è utile, ma ci si serve
molto della pratica massoterapica e altre. Il potenziamento post fase acuta unito
allo stretching risulta molto utile alla prevenzione. Il rientro all’attività è
variabile, ma solitamente non si superano i 15 giorni.
Lesione di II grado: si ha una rottura di un numero maggiore di fibre e fascicoli muscolari. La
patogenesi è legata a una contrazione muscolare violenta e intensa in
accorciamento o anche in allungamento. Il paziente si presenta accusando un
dolore trafittivo intenso con impotenza funzionale e impossibilità a proseguire
l’attività. Se la lesione è superficiale allora si può notare
una tumefazione ed ecchimosi cutanea dovuta al versamento di liquidi
infiammatori e siero-ematici (dopo qualche giorno). La terapia è più prudente
ed è necessario l’utilizzo di stampelle che permettano il completo scarico per i
primi 10-15 giorni; si possono fare svariate terapie per accelerare il recupero
tra cui terapie fisiche per disinfiammare e ridurre l’edema. Il rientro in campo
deve essere molto preventivo e quindi è possibile il rientro solamente dopo 4-
10 settimane.
Lesione di III grado o rottura: è una rottura muscolare totale o subtotale e rappresenta il massimo
gradi di gravità della lesione. Assomiglia alla lesione di 2° grado, ma
si distingue da questa per la violenza della contrazione accompagnata
da esaurimento muscolare per estrema fatica, che comporta a una
minor resistenza muscolare. Il paziente accusa impotenza funzionale,
dolore intenso, perdita del tono muscolare e soprattutto la presenza
del vallo (di entità non indifferente). La terapia è divisa da diverse
scuole di pensiero, ma generalmente si tende a non intervenire
chirurgicamente; la prassi è costituita dal riposo unito alle tecniche
utili per ridurre l’infiammazione. Dopo che la cicatrice si è formata si
può procedere con lo stretching per la riorganizzazione delle fibre del
muscolo e per ripristinare una corretta elasticità, oltre che il
potenziamento per il recupero del tono muscolare. Se l’ematoma è
importante o si pensa che ci sia stata la lesione di un vaso, allora si
può pensare a un intervento chirurgico di riparazione e svuotamento
dell’ematoma; in questo caso è possibile unire a questo intervento la
miografia che consiste nel suturare dei lembi muscolari.
Quest’ultimo intervento è però rischioso perché consiste in un
successivo recupero con immobilizzazione che spesso provoca
fibrosi e successiva limitazione funzionale. Come ultima pratica non
si disdegna la riabilitazione; la prognosi totale è di 90 gg circa.
La contusione: che provoca lesione alle fibre muscolari è dipendente da molti fattori tra cui l’entità
del trauma, la superficie contundente, la velocità di impatto, l’angolo di incidenza e
il grado di contrazione muscolare (la forza che colpisce il muscolo si trasmette agli
strati sottostanti; se quando avviene la contusione il muscolo è rilassato allora sarà
più probabile una lesione profonda, mentre invece con muscolo in tensione la
lesione sarà minore). Dato che la lesione coinvolge gli strati più profondi che
vengono schiacciati tra la forza e l’osso sottostante spesso non ci si accorge della
lesione dall’esterno e quindi il danno viene sottostimato; tumefazione ed ecchimosi,
proprio per questo motivo, non sono sempre presenti. Il trattamento è molto simile
a quello delle distrazioni nel caso di contusione grave, altrimenti il riposo e i
bendaggi elastici sono comunque utili al recupero. La prevenzione passa attraverso
tutti quei sussidi utili a sostenere le articolazioni (tutori imbottiti) o di semplice
protezione di segmenti corporei (parastinchi).
Le lesioni muscolari in generale posso anche avere delle complicanze:
• Retrazione fibrosa: se il soggetto viene tenuto fermo troppo si può creare un importante
tessuto fibroso connettivale che porta a retrazione fibrosa e successiva limitazione
funzionale.
• Inglobamento ramo nervoso: a volte il tessuto fibroso che si viene a creare è molto e può
andare a inglobare anche dei rami nervosi provocando disturbi della sensibilità.
• Pseudocisti muscolare: l’ematoma che si viene a formare non viene riassorbito
completamente; si forma quindi una cisti fibrosa che contiene liquido siero-ematico. In
questo caso bisogna intervenire chirurgicamente se le varie tecniche antinfiammatorie non
riescono a far riassorbire la ciste.
• Metaplasia ossea: a volte la lesione del muscolo presenta dei depositi di calcio
(calcificazioni) che danno molto fastidio, o addirittura insorge quella che viene chiamata la
miosite ossificante. Quest’ultima è una patologia che consiste nella formazione anomala di
osso strutturato, dovuto alla lesione che stimola le cellule del periostio sottostante alla
produzione ossea.

PATOLOGIA TENDINEA
TENDINOPATIA
Le tendinopatie sono patologie che portano dolore, gonfiore e limitazione funzionale del tendine e
delle strutture anatomiche contigue. Si ha anzitutto la perdita della normale architettura del
collagene che viene sostituito con materiale mucinoso senza forma con perdita della normale
architettura a fasci longitudinali paralleli e si sviluppa una ipercellularità, ipervascolarità con genesi
di nuovi vasi, un aumento della concentrazione dei proteoglicani e del collagene di tipo III (invece
di quello usato normalmente, ovvero quello di tipi 1).
Tendinopatia Achillea: È una patologia che colpisce il tendine d’Achille derivante nella maggior
parte dei casi da un sovraccarico funzionale o da uno squilibrio tra potenza
muscolare ed elasticità del tendine; tutto ciò può partire da un allenamento
mal progettato, che prevede carichi troppo pesanti o non graduali, oppure
un aumento improvviso ed eccessivo dell’intensità di allenamento. Tra le
cause prima citate possiamo includere anche errato stile di corsa, azione
muscolare agonista-antagonista non sincronizzata, riscaldamento
inadeguato e insufficiente stretching e calzature inadeguate. Il paziente
accusa dolore persistente che può durare da 4 settimane a 3 mesi e
localizzato o al corpo del tendine o nella sua inserzione calcaneare. La
tendinopatia achillea interessa dal 6% all’8% degli atleti professionisti e
30% delle persone in sovrappeso. La patologia si presenta in 5 forme
diverse: → Tendinopatia del ventre del tendine.
→ Degenerazione del peritenonio, una struttura che fa parte del
tendine e lo circonda.
→ Tendinopatia inserzionale.
→ Pantendinopatia, in cui viene interessato tutto il tendine.
→ Rotture tendinee.
A livello sintomatologico abbiamo un dolore alla porzione posteriore del
tendine che si aggrava in allungamento passivo (flessione dorsale forzata)
o in carico sulle punte dei piedi. Altri sintomi sono la tumefazione, la
presenza di noduli cicatriziali e un’articolarità della caviglia limitata.
La terapia può essere conservativa o chirurgica. Per quanto riguarda la
terapia conservativa, che si applica a tutti i casi tranne che nella rottura
tendinea, avremo un periodo di riposo, l’utilizzo di FANS, le terapie
fisiche (come la laserterapia) a scopo antinfiammatorio, ed esercizi
eccentrici. La terapia chirurgica, invece, possiamo individuarla in pratiche
più invasive come la chirurgia aperta e meno invasive come la chirurgia
mininvasiva. Per quanto riguarda la prima categoria troviamo l’apertura
del partenonio (tessuti molli che circondano il tendine), le tenotomie
longitudinali in cui vengono fatti dei tagli lungo la direzione del tendine in
modo da aumentare la vascolarizzazione locale e la rigenerazione tissutale
e per ultima la tenorrafia in cui viene suturato il tendine rotto. La
chirurgia mini-invasiva si applica solo per lesioni inferiori a 25 mm e
prevede le tenotomie longitudinali percutanee sotto guida dell’eco, oppure
la tendon stripping percutaneo in cui viene fatto scivolare un filo tra il
tendine e il tessuto profondo all’interno della zona affetta da tendinopatia,
così da eliminare i neovasi formatisi durante il processo infiammatorio.

EPICONDILITE LATERALE
→ epicondilo (esterno) = estensori del polso (rovescio del tennis)
→ epitroclea (interna) = flessori del polso (dritto del tennis)
Chiamato comunemente gomito del tennista, è un’infiammazione delle origini dei muscoli estensori
del polso a livello dell’epicondilo laterale dell’omero. La maggior parte delle volte il muscolo
interessato è il muscolo estensore radiale breve del carpo, o comunque la sua origine (origine
epicondilo laterale dell’omero, inserzione base del 2° osso metacarpale). L’incidenza è tipica nei
tennisti oltre i 35 anni, anche se ha un’alta incidenza sulla popolazione: colpisce spesso chi carica il
polso sia per lavoro che per sport (sollevatori di pesi). La malattia ha una prima fase acuta che poi si
risolve spontaneamente, ma tende spesso alla recidiva. Nello specifico dei tennisti si è visto che c’è
una correlazione tra l’aumento di epicondiliti e le racchette sempre più rigide, che vengono usate
per aumentare le prestazioni. La diagnosi di epicondilite è semplice in quanto esistono dei test
specifici che vengono fatti sulla base del dolore laterale al gomito che viene accusato dal paziente;
oltre questi ci sono i classici esami strumentali come RX ed eco, con cui si valutano anche altri
quadri patologici o la presenza di calcificazioni.
Test di Cozen: che consiste nel porre il paziente con il braccio teso e la mano flessa e
successivamente, opponendo resistenza, chiedere l’estensione della mano al
paziente; questo accuserà dolore in accrescimento durante il test se positivo.
Test di Mills: consiste in una pronazione passiva dell’avambraccio a gomito esteso che se aumenta
il dolore allora il test risulta positivo. Con l’esame strumentale RX, invece, possiamo
solamente individuare depositi di calcio post epicondilite acuta; l’eco è invece più
utile dato che ci fa vedere molte più cose tra cui i segni dell’infiammazione.

La terapia per l’epicondilite è quasi sempre di tipo conservativo e prevede riposo sportivo (fino a 3
mesi), ghiaccio in loco, FANS e tutte le terapie manuali in grado di ridurre l’infiammazione.
Possono essere usati anche dei tutori che si pone all’inizio dell’avambraccio e va a scaricare
parzialmente il carico muscolare sull’origine dei muscoli infiammati.
La malattia che porta il paziente dal medico ha 3 sintomatologie principali:
1. Sintomatologia grave: ovvero con dolore a riposo, limitazione articolare, differenza nella
forza di presa fra i due arti maggiore del 50%.
→ fase 1 = consiste nella riduzione dell’infiammazione con riposo
assoluto, ghiaccio, terapia farmacologica ed esercizi di
mobilizzazione passiva del gomito. Questa fase procede
finchè il dolore non si attenua.
→ fase 2 = consiste nella riabilitazione con un inizio di attività del
polso, ghiaccio, terapia farmacologica ed esercizi di
rinforzo muscolare isometrico e stretching. Questa fase
procede fino a che il paziente non sviluppa una
sintomatologia moderata.
2. Sintomatologia moderata: ovvero con dolore solo durante le attività in assenza di deficit al
movimento. Abbiamo una attività limitata, ghiaccio, terapia
farmacologica e un inizio di esercizi di rinforzo muscolare e di
rieducazione al movimento attivo.
3. Sintomatologia lieve: con dolore saltuario e differenza nella forza di presa minore al 10%.
Si ha la ripresa della normale attività, il rinforzo muscolare,
un’eventuale applicazione di tutori per non sovraccaricare ancora i
muscoli, stretching di mantenimento per prevenire le ricadute e
rieducazione funzionale del paziente.

Esercizi per il rinforzo muscolare: → flessione del gomito contro resistenza


→ estensione del polso contro resistenza
→ rafforzamento della presa
→ rinforzo pronatori e supinatori
Rieducazione funzionale: consiste nel dire al paziente come dovrà comportarsi sia in termini di
prevenzione che di allenamento: il sollevamento di pesi va fatto con
entrambe le mani, tenendo i palmi rivolti verso l’alto; eseguire prono-
supinazioni (rotazioni) contro resistenza utilizzando entrambe le mani; se
il paziente svolge un’attività sportiva in cui i
muscoli flessori ed estensori vengono molto sollecitati si consiglia il
mantenimento del tutore durante l’attività.

PERIOSTITE
(shin splints)
Colpisce soprattutto i mezzofondisti e si presenta con un dolore a livello della cresta tibiale che
origina da una tendinopatia dei muscoli della gamba: durante la corsa, infatti, i muscoli delle logge
anteriore e posteriore della gamba stressano continuamente il periostio su cui si inseriscono
causando microtraumatismi e microdistacchi periostali definiti anche periostiti, anche se in realtà si
tratta di tendiniti. Più precisamente il dolore si manifesta a livello della cresta tibiale, generalmente
al terzo medio o al terzo distale. Il trattamento di questa patologia consiste nel riposo prolungato
(fino a 3 mesi), ghiaccio, terapia antinfiammatoria e stretching. La prevenzione passa per l’uso di
calzature e supporti adeguati, plantari, la correzione di un eventuale gesto tecnico ed esortare
l’atleta a fare un corretto riscaldamento e stretching.

LESIONI CAPSULO-LEGAMENTOSE DELLA CAVIGLIA


A livello di strutture ossee, la caviglia è formata dalle porzioni distali della tibia e del perone che
terminano nei due malleoli; questi vanno ad articolarsi con la troclea dell’astragalo formando
l’articolazione tibio-astragalica o tarso-tibiale, che garantisce un movimento di flesso estensione.
L’astragalo a sua volta si articola con il tarso.
A livello funzionale e del movimento possiamo distinguere 3 assi:
1. asse trasversale = passa attraverso i malleoli, condiziona i movimenti di FLESSO-
ESTENSIONE del piede
2. asse longitudinale della gamba = condiziona i movimenti di ADDUZIONE e ABDUZIONE
3. asse longitudinale del piede = condiziona i movimenti di PRONOSUPINAZIONE
I movimenti della caviglia sono limitati da fattori osseicome le articolazioni, capsulo-legamentosi e
muscolari che se stirati in eccesso offrono resistenza. Altri movimenti, che sono in realtà molto
limitati ma esistono in minima parte nella caviglia, sono quelli di adduzione, nei quali la punta del
piede si porta all’interno avvicinandosi alla linea mediana, e di abduzione, nei quali la punta del
piede si porta all’esterno allontanandosi dalla linea mediana. Da non trascurare sono i movimenti di
supinazione, in cui si orienta la volta plantare verso l’interno, e quelli di pronazione, in cui si orienta
la volta plantare verso l’esterno. L’unione di pronazione e abduzione forma il movimento di
eversione, mentre la supinazione e l’adduzione forma il movimento di inversione della caviglia; con
l’inversione si mettono in tensione i legamenti collaterali laterali della caviglia, mentre l’eversione
sottopone in tensione i legamenti mediali.

DISTORSIONI
(caviglia e piede)
Sono patologie molto frequenti e di fatti rappresentano il 15% di tutti gli infortuni negli atleti; gli
sport coinvolti sono soprattutto la pallavolo (56%), il basket (55%), il calcio (51%) e la danza.
Il recupero è completo tranne nel 20-40% dei casi ove si hanno dolore e instabilità cronica.
Abbiamo delle strutture che garantiscono la stabilità della caviglia in tutti i suoi movimenti e che se
vengono intaccate in modo preponderante possono subire lesioni, tra queste strutture capsulo-
legamentose possiamo trovare:
• Con il piede ad angolo retto la stabilità è assicurata dal legamento peroneo-calcaneare (PC).
• Con il piede in equinismo la stabilità è assicurata dal legamento peroneo astragalico
anteriore (PAA).
• Con il piede in talo la stabilità è assicurata dal legamento peroneo astragalico posteriore
(PAP)
Le distorsioni di caviglia comportano nella maggioranza dei casi (90%) una lesione del
compartimento laterale della caviglia (PAA+PC+PAP), dovuta a movimenti di inversione o
eversione del piede. Il trauma in inversione, infatti, genera un dolore acuto costante con sensazione
di rottura a livello della componente legamentosa laterale; il paziente percepisce una sensazione di
impotenza funzionale immediata anche se non sempre completa, che però lascia il paziente con la
sensazione di poter continuare l’attività dopo qualche minuto. Nel caso di distorsione di medio-
grave entità sarà possibile notare la forte tumefazione esterna.
La diagnosi di distorsione passa sicuramente per esame obbiettivo che consiste per lo più nel
ricercare dolore localizzato alla digitopressione o alla mobilità passiva della caviglia o ancora
dolore in relazione alla motilità, oltre che notare la tumefazione e l’ecchimosi; sicuramente
possiamo fare test specifici come il cassetto astragalico anteriore e il tilt astragalico; da non
dimenticare sono i vari esami strumentali classici come l’RX e la RMN.
Test del cassetto = Il test del cassetto anteriore tibio-astragalico si esegue con il piede in lieve
estensione plantare e viene stimolato manualmente il calcagno al movimento in
avanti, mentre la tibia viene fissata. L’entità della lesione sarà logicamente in
relazione al grado di scivolamento anteriore del calcagno a tibia fissata; questo
perché quando il calcagno scivola in avanti viene limitato dall’azione del
legamento collaterale laterale, che, se lesionato, permette uno scivolamento non
indifferente.
Le radiografie vengono fatte sia standard, ovvero anteroposteriore e lateroposteriore, sia dinamiche
con antero-pulsione forzata e varo-equino forzato (sono le immagini indispensabili).
Classificazione = si fa sulla base dei rilievi clinici e strumentali per poter individuare il grado reale
della distorsione (0, I, II, III); logicamente si può arrivare anche alla diagnosi di
gradazione della lassità legamentosa e capsulare con questi test. Avere una
diagnosi certa della gradazione della distorsione è di fondamentale importanza
per pianificare la strategia terapeutica e di recupero.
Trattamento = per le lesioni recenti è comunque distinguibile in base al grado della lesione:
1. grado 0-1 = si propone al paziente l’uso di ghiaccio locale e uso di bendaggi elastici/adesivi
2. grado 2-3 = si arriva a proporre un apparecchio gessato o addirittura l’intervento chirurgico
con ricostruzione legamentosa.
Quando, invece, la distorsione è stata fatta su lesioni precedenti il trattamento cambia ulteriormente:
1. grado 1-2 = si propone uno stivaletto gessato e ginnastica propriocettiva
2. grado 3 = si procede a un intervento chirurgico con ritensione capsulo-legamentosa.
Per quanto riguarda i pazienti con instabilità croniche nei gradi 1 e 2 si tende a proporre una terapia
più conservativa costituita principalmente da ginnastica propriocettiva in rinforzo muscolare e
legamentoso, mentre nel grado 3 si procede chirurgicamente con una legamentoplastica esterna.

LESIONI CAPSULO-LEGAMENTOSE DEL GINOCCHIO

L’articolazione del ginocchio è molto complessa anche se i capi ossei che troviamo sono
essenzialmente la tibia, il femore e la rotula. Il femore e la tibia si articolano per mezzo di due
membrane cartilaginee fibrose chiamate menischi e con il supporto di legamenti come i legamenti
crociati (che si incrociano all’interno del ginocchio) e i collaterali.
Legamenti collaterali: formano anche un rapporto diverso con i menischi: il legamento collaterale
mediale rende il menisco corrispondente più vincolato rispetto alla
componente controlaterale che rimane più distaccata (il collaterale laterale
non forma un rapporto stretto con il suo menisco).
Menischi: Pur essendo ancorati alla tibia, non sono completamente fissi ma hanno movimento sul
piatto tibiale (vanno indietro durante la flessione del ginocchio). Tra i due menischi
quello mediale è il più soggetto a infortuni: la distorsione, concepita come movimento
anomalo tra tibia e femore, può essere rappresentata come uno strappo della capsula
articolare oppure come una compressione a livello del ginocchio, che può rompere il
menisco; in questi casi a risentirne è la struttura che presenta il maggior grado di
vincolo, che individuiamo nel menisco mediale (rispetto al laterale), oltre che altre
strutture rigide come i legamenti. Il menisco mediale si trova all’interno e si interpone
tra il condilo mediale del femore e quello tibiale; ha una forma a C ed è a stretto contatto
con il legamento collaterale mediale. Il menisco esterno, o laterale, ha invece una forma
a O. A livello tibiale notiamo che l’emipiatto laterale offre una superficie convessa, resa
concava dal menisco laterale (per questo ha una forma più chiusa del controlaterale). I
menischi sono importantissimi perché completano il rapporto che c’è tra il femore e il
piatto tibiale; di fatti come si nota dalla figura i condili femorali e il piatto tibiale
avrebbero articolazione solamente nella parte più centrale rendendo il ginocchio stesso
molto instabile e soggetto ad artrosi (minore area di distribuzione del carico). I menischi
sono poco vascolarizzati (la vascolarizzazione interessa solo la parte più esterna) e
questo è uno svantaggio: di fatti quando un menisco si rompe non sanguina e quindi non
si cicatrizza riparandosi spontaneamente; soprattutto nella parte più mediale, che è meno
vascolarizzata, non avviene la riparazione spontanea. In generale la rottura del menisco
negli anni 60 veniva affrontata con una meniscectomia, ovvero la rimozione del menisco
rotto: questa operazione portava gli atleti al ritorno in campo molto rapido, ma alla lunga
provocava artrosi per lo stesso motivo prima citato.
Ora invece si cerca di salvare tutto ciò che è possibile salvare da un menisco rotto perché
si è capito il suo ruolo fondamentale nel ginocchio. Facciamo una distinzione di
trattamento tra il giovane e l’anziano: spesso nell’anziano con menisco rotto, questo
viene lasciato dato che è comunque un minimo funzionale; inoltre il soggetto essendo di
età avanzata si preferisce non operarlo suturando. Nel soggetto giovane ha senso un
intervento di sutura, oppure se la lesione interessa il terzo mediale del menisco spesso
viene rimossa la parte rotta, se la lesione interessa la parte più esterna del menisco, si
procede con una sutura (la parte esterna è più vascolarizzata e quindi guarisce meglio).
La lesione del menisco non è di un solo tipo ma ne troviamo di svariati: la lesione può
essere più interna o più esterna. Una delle lesioni più caratteristiche di menisco è quella
a manico di secchio, solitamente con questa lesione il condilo femorale va a occupare la
falla creatasi nel menisco, mentre la parte rotta scivola verso l’interno.
Questa condizione provoca un caratteristico blocco meniscale nel movimento di flesso
estensione; il blocco non si corregge quasi mai senza intervenire chirurgicamente.
Possiamo valutare un menisco grazie alla risonanza magnetica che ci dà una vista molto
precisa, oppure possiamo valutarne lo stato di usura grazie all’RX: le lastre non
evidenziano altro che l’osso, ma se fatte in carico possiamo valutare il buono stato dei
menischi tramite lo spazio tra tibia e femore.

Crociati anteriore e posteriore: questi si incrociano all’interno del ginocchio e conferiscono molta
stabilità. Di fatto il crociato anteriore origina dalla faccia interna
del condilo laterale del femore e si inserisce tra un condilo tibiale
e l’altro, mentre il crociato posteriore origina tra gli emipiatti
tibiali e si inserisce sulla parte interna dell’epicondilo mediale del
femore.
• cassetto anteriore = ovvero il movimento che viene limitato da questo legamento: il crociato
anteriore impedisce lo scivolamento in avanti della tibia nei confronti
del femore e, logicamente, nel caso di crociato rotto questa manovra
risulterà possibile (da qui il test del cassetto anteriore).
• cassetto posteriore = è il movimento che viene limitato dal legamento crociato posteriore,
ovvero lo scivolamento in avanti del femore sulla tibia.
Il ginocchio ha una rotazione interna ed esterna, ma solo se la gamba non è estesa (in quel caso la
rotazione è apparente, ossia la gamba ruota ma sfruttando la coxofemorale): quando abbiamo il
ginocchio flesso, dunque, possiamo sentire la rotazione che avverrà più sul cardine mediale,
lasciando libera di ruotare la parte esterna. L’intrarotazione è stimata intorno ai 30°, mentre
l’extrarotazione intorno ai 40°. La rotazione può provocare traumatismi a livello dei crociati:
durante una rotazione esterna (per capire la direzione della rotazione si prende in riferimento il
segmento distale quindi in questo caso la tibia) i due crociati perdono la loro sovrapposizione,
ovvero si “scrociano”, mentre durante una rotazione interna della tibia rispetto al femore si ha un
aumento dell’incrocio e del contatto dei due crociati, che vengono così messi di più in tensione.
L’ultima condizione vista causa sicuramente lesione del crociato anteriore, come d'altronde anche il
cassetto anteriore (si parla ovviamente di movimenti esagerati in grado di provocare rottura). Il
movimento a cui si può assistere all’interno di una competizione che provoca rottura del crociato è
solitamente non subito intuibile, ad esempio: in fase di discesa da una elevazione il soggetto
appoggia gli arti sul terreno; ora immaginiamo che tra il piede e il terreno stesso ci sia un attrito
molto alto (tacchetti nel calcio); il ginocchio, facendo un movimento verso l’esterno e piegandosi
crea una rotazione apparente; la rotazione è apparente perché in realtà il segmento distale (tibia) è
ancorato al terreno e non ruota, ma non c’è rotazione più reale di questa! Di fatto il ginocchio che si
piega verso l’esterno con tibia immobile provoca la stessa condizione di intrarotazione tibiale vista
in precedenza e quindi il crociato anteriore va in tensione fino alla rottura.

ANATOMIA MUSCOLARE DEL GINOCCHIO


Muscoli monoarticolari: → vasto mediale
→ vasto intermedio
→ vasto laterale
Muscoli biarticolari: → retto femorale
Muscoli ischio-crurali → bicipite femorale
→ semimembranoso
→ semitendinoso
Muscoli della zampa d’oca: → sartorio
→ gracile
→ semitendinoso
Muscolo gastrocnemio
Muscoli rotatori esterni: → bicipite femorale
→ tensore della fascia lata
Muscoli rotatori interni: → sartorio
→ semitendinoso
→ semimembranoso
→ gracile
→ popliteo

PATOLOGIE E LESIONI CAPSULO-LEGAMENTOSE DEL GINOCCHIO


• Contusione articolare = Trauma acuto e diretto sull’articolazione, senza interessamento dei
legamenti.
• Distorsione = È definibile una perdita momentanea del normale rapporto tra due superfici
articolari; qui abbiamo sempre un interessamento dei legamenti, che possono
stirarsi o rompersi in svariati gradi.
• Lussazione e sublussazione = Quando la perdita dei normali rapporti articolari è
permanente, allora parliamo di sublussazione e lussazione. Nel
caso specifico del ginocchio se la parte distale finisce avanti o
dietro oppure anche medilamente/lateralmente si parla sempre
di lussazione.
Le lesioni capsulo-legamentose del ginocchio nella pratica sportiva sono molto frequenti; si
definiscono centrali quando interessano i legamenti crociati o periferiche quando interessano i
legamenti collaterali.
L’incidenza delle lesioni: LCA 45%; LCL 2,5%; LCM 18%; Menisco laterale 8%; Menisco mediale
24%; LCP 1,5%.

LESIONI CAPSULO-LEGAMENTOSE DELLA SPALLA


La spalla è composta da più articolazioni e ne distinguiamo 3 vere e 2 fisiologiche: l’articolazione
scapolo-omerale, sterno-claveare e acromion-claveare sono articolazioni vere perché sono
interposte da cartilagine articolare (oltre che presentare capsula articolare ecc); l’articolazione
scapolo-toracica e dello spazio sotto acromiale sono in realtà dei piani di scorrimento che vengono
comunque inclusi nel movimento della spalla e per questo chiamate articolazioni fisiologiche.
L’articolazione scapolo-omerale è un’enartrosi formata dalla epifisi prossimale dell’omero (testa
omerale) e dalla glenoide situata nella regione superiore esterna della scapola. A livello del collo
anatomico dell’omero si inserisce la capsula articolare, mentre a livello del collo chirurgico si ha la
differenziazione tra epifisi e diafisi omerale. La cavità glenoidea è circondata al suo bordo da un
labbro di fibro-cartilagine detto cercine glenoideo; svolge due importanti funzioni: aumenta
leggermente la superficie della glena, ma soprattutto ne aumenta la concavità cercando di ristabilire
una certa congruenza fra testa dell’omero e la cavità glenoidea.
Il bicipite brachiale è composto da due capi, uno breve (più medialmente) che origina dall’apice del
processo coracoideo della scapola e uno lungo che origina dal margine superiore dell’acromion;
insieme convergono sulla tuberosità del radio. Il movimento che questo muscolo comporta è la
flessione della spalla; inoltre è il responsabile della flessione dell’avambraccio sul braccio e
costituisce la rotazione dalla posizione prona a quella supinata dell’avambraccio (supinazione).

Meccanismi di stabilizzazione della spalla:


→ Geometria delle superfici articolari = la testa dell’omero e la glena hanno poca congruenza, ma è
sufficiente a evitare nella maggioranza nei casi la
lussazione (testa dell’omero 1/3 di sfera; la glena aumenta
la congruenza con l’omero grazie al cercine glenoideo).
→ I legamenti e la capsula articolare = sono le strutture stabilizzatrici di un’articolazione per
eccellenza, anche se la capsula si presenta lassa e si mette in
tensione solo con movimenti al limite dell’articolazione.
Tra i legamenti troviamo il coraco-omerale e il legamento
gleno-omerale (superiore, medio, inferiore).
→ La pressione intrarticolare = c’è una pressione negativa all’interno di ogni articolazione che aiuta
a tenerla stabile.
→ Il labbro glenoideo.
→ muscoli = cuffia dei rotatori (sovraspinato, sottospinato, sottoscapolare, e piccolo rotondo) che si
contrappone al muscolo deltoide

LESIONI CAPSULO-LEGAMENTOSE DELLA SPALLA


La spalla è composta da più articolazioni e ne distinguiamo 3 vere e 2 fisiologiche: l’articolazione
scapolo-omerale, sterno-claveare e acromion-claveare sono articolazioni vere perché sono
interposte da cartilagine articolare (oltre che presentare capsula articolare ecc); l’articolazione
scapolo-toracica e dello spazio sotto acromiale sono in realtà dei piani di scorrimento che vengono
comunque inclusi nel movimento della spalla e per questo chiamate articolazioni fisiologiche.
1. Scapolo-omerale: è un’enartrosi formata dalla epifisi prossimale dell’omero (testa omerale)
e dalla glenoide situata nella regione superiore esterna della scapola.
A livello del collo anatomico dell’omero si inserisce la capsula articolare,
mentre a livello del collo chirurgico si ha la differenziazione tra epifisi e
diafisi omerale. La cavità glenoidea è circondata al suo bordo da un labbro
di fibro-cartilagine detto cercine glenoideo; svolge due importanti
funzioni: aumenta leggermente la superficie della glena, ma soprattutto ne
aumenta la concavità cercando di ristabilire una certa congruenza fra testa
dell’omero e la cavità glenoidea.
Il bicipite brachiale è composto da due capi, uno breve (più medialmente)
che origina dall’apice del processo coracoideo della scapola e uno lungo
che origina dal margine superiore dell’acromion; insieme convergono
sulla tuberosità del radio. Il movimento che questo muscolo comporta è la
flessione della spalla; inoltre è il responsabile della flessione
dell’avambraccio sul braccio e costituisce la rotazione dalla posizione
prona a quella supinata dell’avambraccio (supinazione).

MECCANISMI STABILIZZATORI DELLA SPALLA:


• Geometria delle superfici articolari: la testa dell’omero e la glena hanno poca congruenza,
ma è sufficiente a evitare nella maggioranza nei casi la lussazione (testa dell’omero 1/3 di
sfera; la glena aumenta la congruenza con l’omero grazie al cercine glenoideo).
• I legamenti e la capsula articolare: sono le strutture stabilizzatrici di un’articolazione per
eccellenza, anche se la capsula si presenta lassa e si mette in tensione solo con movimenti al
limite dell’articolazione. Tra i legamenti troviamo il coraco-omerale e il legamento gleno-
omerale (superiore, medio, inferiore)
• La pressione intrarticolare: c’è una pressione negativa all’interno di ogni articolazione che
aiuta a tenerla stabile.
• Il labbro glenoideo.
Tra gli elementi dinamici possiamo trovare i muscoli, in particolare nella spalla troviamo la cuffia
dei rotatori composta da sovraspinato, sottospinato, sottoscapolare e piccolo rotondo. Tutti
originano a livello della scapola e si inseriscono sulla grande tuberosità dell’omero chiamata
trochite. Il sottoscapolare sarà responsabile del movimento di intrarotazione del braccio, mentre il
piccolo rotondo e il muscolo sottospinoso saranno responsabili dell’extrarotazione dell’omero; in
realtà la cuffia dei rotatori nella sua totalità ha una forte azione di abduzione e stabilizzazione della
spalla e si contrappone al muscolo deltoide: di fatti nel movimento di abduzione del deltoide,
essendo questo un muscolo molto forte, la testa dell’omero viene sollecitata verso l’alto e in fuori
provocando lussazione, ma questo non accade grazie all’azione contenitiva della cuffia dei rotatori
(centrano la testa dell’omero all’interno della glena). Spesso nel giovane si può avere una rottura dei
tendini della cuffia dei rotatori e quindi, come abbiamo appena accertato, la situazione va riparata al
più presto con una sutura; nell’anziano si può notare invece una vera e propria degradazione dei
tendini e quindi dovremo utilizzare altre tecniche per recuperare, anche parzialmente, la funzionalità
della cuffia. Nell’anziano possiamo cercare, ad esempio, di allenare muscoli che tengono bassa la
testa dell’omero come il gran dorsale e il gran pettorale, nel caso in cui la sutura fosse impossibile.
Un accenno all’articolazione acromio-claveare: una contusione intensa può provocare la rottura
della capsula e dei legamenti conoide e trapezoide. Questi sono due legamenti che stabilizzano
l’articolazione e se rotti non impediscono al muscolo trapezio, che si inserisce sulla clavicola di
spostarla in alto; avremo dunque un paziente con una clavicola più alta dell’altra e che presenta tutte
le problematiche meccaniche collegate ad essa.

LESIONI CAPSULO-LEGAMENTOSE DELLA SPALLA


Distorsioni (I grado), sublussazioni (II grado) e lussazioni (III grado) acute o croniche.

La spalla è l’articolazione che si lussa in modo più frequente; la causa può risalire a fattori
anatomici, incidenti da strada o anche traumi sportivi. Possiamo distinguerle in acute e croniche,
oltre che recidivanti, quando si ripresentano per almeno una seconda volta, e abituali quando
l’articolazione diventa facile da lussare. Tra queste possiamo distinguere un’ultima categoria
chiamata lussazioni inveterate, che rappresenta le lussazioni che non vengono curate subito ma
rimangono per molto tempo e causano molti problemi. Le lussazioni di spalla più frequenti sono le
anteriori o antero-inferiori a discapito delle superiori o posteriori; ricordiamo che per determinare la
posizione della lussazione bisogna guardare il segmento distale in relazione al prossimale.
→ segni e sintomi:
• Dolore molto intenso.
• Evidente deformità dell’articolazione con acromion sporgente: viene chiamato segno del
colpo d’ascia e si vede chiaramente dall’immagine come l’acromion sia sporgente.
• Impotenza funzionale: conseguente al cambio delle leve articolari e alla perdita dei rapporti
• Testa omerale anteriore.
• Vacuità della glena.
• Braccio in abduzione o in elevazione.
Il meccanismo traumatico è nella maggior parte dei casi indiretto, ed è dovuto alla caduta a terra
con l’arto superiore esteso in protezione del corpo o ad una presa dell’avversario con arto in
abduzione; quindi la posizione dell’arto durante il traumatismo è determinante nella possibilità di
lussazione.
→ Diagnosi: è sempre immediata dal punto di vista clinico, a meno che il paziente sia obeso e in tal
caso il colpo d’ascia potrebbe risultare mascherato. Comunque anche nell’ultimo caso
la lussazione viene scoperta perché al dolore alla spalla consegue sempre un RX di
controllo, anche solo per sapere se ci sono interessamenti di rottura ossea, o anche di
altre strutture, nel trauma.
→ terapia: possiamo distinguerla anche nei casi di distorsione e sublussazione:
• Distorsioni: semplice riposo e uso di ghiaccio.
• Sublussazioni: viene posizionato il braccio a livello del petto e ancorato al collo per 15 gg.
• Lussazioni: avviene dapprima una riduzione della lussazione con manovre specifiche,
successivamente bendaggio, ghiaccio ed eventuale trattamento chirurgico.
La manovra di riduzione possiamo distinguerla in cruenta, che prevede la chirurgia, oppure in
incruenta con la manovra di Kocher o la manovra di Ippocrate. La manovra più classica è quella di
Kocher. Solitamente la lussazione si riduce già applicando il primo e il secondo punto, anche se per
essere completamente sicuri di aver risotto al massimo la lussazione conviene anche applicare
l’adduzione e la rotazione interna. La manovra trova la maggior difficoltà nella collaborazione del
paziente, dato che senza che questo riesca a rilassarsi la manovra non avrà successo; c’è la
possibilità che al paziente venga fatta l’anestesia e in questo caso la riduzione avviene in modo
molto rapido. Altro impedimento nella manovra di Kocher è la necessità di essere in 2 ad applicarla,
dato che la trazione non può essere effettuata senza che il paziente venga tenuto; per questo esiste la
manovra di Ippocrate in cui la trazione avviene stabilizzando il paziente con il piede. La trazione
deve essere graduale e può durare anche 5 minuti.

Il paziente con cronicità di lussazione della spalla spesso riesce a reinserire l’omero all’interno della
cavità glenoidea da solo, utilizzando la manovra di Stimson: il paziente si sdraia prono facendo
penzolare il braccio corrispondente alla spalla lussata (a volte legato a pesi) e simulando così una
continua trazione sufficiente per far rientrare la spalla. Altra manovra nota è quella di Milch.

• La postriduzione viene sempre controllata con un RX per accertarne il successo, ovviamente


l’RX dopo la riduzione esclude anche le varie fratture. Dopo aver accertato il successo della
riduzione si procede con il bendaggio Desault che fissa l’arto a livello del torace in
intrarotazione, l’immobilizzazione con bendaggio è tenuta per 2-3 settimane. Il bendaggio
viene fatto molto stretto perché col tempo si lascia andare e solitamente viene sostituito con
un tutore, con la medesima funzione, dopo una settimana.

• Come già detto una delle lesioni associate può essere la frattura: la riduzione può risultare
molto più difficile in questo caso perché il paziente non riesce a rilassarsi. Oltre le fratture
possiamo avere interessamenti a livello del nervo circonflesso passante anteriormente alla
glena: è il nervo che innerva anche il deltoide e può subire da una semplice compressione a
una lezione fino alla totale rottura che porta a paralisi. Viene quindi valutata la sensibilità
del nervo. Tra le lesioni non sono da escludere quelle vascolari, specialmente nei pressi del
nervo circonflesso e quindi intaccabili con lussazione anteriore.
• Spesso nei pazienti recidivi c’è un’iperlassità costituzionale che garantisce la preponderanza
di lussazione della spalla. Possiamo valutare questa lassità con alcuni test:
→ Sulcum Test = vado a trazionare verso il basso il braccio e noto che si forma un buco a
livello della glena (si manifesta come un’introflessione della pelle), oltre
che evidenziarsi il colpo d’ascia.
Valutazione con la spalla controlaterale: se anche nell’altra spalla abbiamo la stessa situazione
allora la lassità è costituzionale.
• Lassità antero-posteriore = è detto anche il segno del cassetto e consiste nel fissare la
scapola e la clavicola con una mano, mentre con l’altra tento di
muovere la testa dell’omero avanti e indietro. Valuto se l’omero
si muove più del dovuto. Utile la riprova con l’arto
controlaterale.
• Test dell’abduzione passiva = spesso le lussazioni sono del tipo antero-inferiori e quindi si
lesiona la parte inferiore della capsula; la scapolo-omerale si
abduce fino a 90° mentre il resto dei gradi è determinato
dall’articolazione scapolo-toracica. Quindi se da dietro tengo
bloccata la scapola e abduco il braccio più di 90° significa
che c’è una lesione della parte inferiore della capsula.
• Test dell’apprensione = essendo le lussazioni soprattutto antero-inferiori, i legamenti che
vengono messi in tensione intervengono durante l’extra rotazione
del braccio. Dunque applicando un’extrarotazione passiva metto in
tensione soprattutto il comparto antero-inferiore della capsula
articolare, che se lasso o lesionato farà avere la sensazione di
lussazione imminente al paziente. Il senso di instabilità viene
espresso come paura di lussazione da parte del paziente.
Il trattamento per le lussazioni acute può essere chirurgico oppure no, mentre per le lussazioni
croniche si cerca prima di rinforzare la cuffia dei rotatori, ma se la stabilizzazione dell’articolazione
non migliora in modo deciso, allora bisognerà intervenire chirurgicamente. Anche dopo l’intervento
è comunque importante la riabilitazione postoperatoria.

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