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Cicerone, de Inventione, I,31-33 [definendola partitio]). Per l’importanza della sua individuazione
cfr. Aletti 1997, 29: chiarisce gli intenti attorno a cui Paolo strutturerà le sue affermazioni.
Nondimeno Paolo lo fa in modo incoativo, senza far comprendere tutti gli sviluppi successivi, che
andranno individuati dalla lettura della probatio stessa.
-) Chiasmi (conosciuti con il nome di antimetabolē, ad Her IV,39, Quintiliano IX,3,85): cfr.
vv.6-11:
A o]j avpodw,sei
e`ka,stw| kata. ta.
e;rga auvtou/\
B toi/j me.n kaqV
u`pomonh.n e;rgou
avgaqou/ do,xan kai.
timh.n kai.
avfqarsi,an
zhtou/sin
C zwh.n aivw,nion(
D toi/j de. evx
evriqei,aj kai.
avpeiqou/si th/|
avlhqei,a|
peiqome,noij de. th/|
avdiki,a|
E ovrgh. kai. qumo,jÅ
E1 qli/yij kai.
stenocwri,a
D1 evpi. pa/san
yuch.n avnqrw,pou
tou/
katergazome,nou to.
kako,n( VIoudai,ou
te prw/ton kai.
{Ellhnoj\
C1 do,xa de. kai.
timh. kai. eivrh,nh
B1 panti. tw/|
evrgazome,nw| to.
avgaqo,n( VIoudai,w|
te prw/ton kai.
{Ellhni\
A1 ouv ga,r evstin
proswpolhmyi,a
para. tw/| qew/|Å
(si possono fare alcune considerazioni sull’applicazione del modello di “retorica semitica”
all’epistolario paolino. Risulta pregiudiziale la separazione netta tra cultura semitica ed ellenistica al
I° sec, ma soprattutto non rende conto dello sviluppo del pensiero delle sezioni D1B1). Il sintagma
VIoudai,w| te prw/ton kai. {Ellhni, che caratterizza i vv.9-10 rispetto a quelli correlati 8-9, è la prima
ripresa verbale della propositio 1,16-17, segno di un’attenzione alle relazioni inter-etniche.
-) apostrofe (2,1.17; cfr. ad Her. IV,22, Quintiliano IV,1,63; IX,2,27.38). Per Bultmann, nella
sua tesi del 1910, questo è segno di un genere caratteristico di filosofi cinico-stoici, la “diatriba”,
che come peculiarità è il rivolgersi all’interlocutore con domande (cfr. vv.2-3.21-23) e risposte. Ma
questa dinamica meta-argomentativa è ben compresa dalla retorica: Quintiliano IX,2,7-15;
Cicerone, de Oratore, 203.207, ad Her IV,33… che menzionano il fare domande e il rispondere a
se stessi, …
Introdotta in tal modo la sezione, verifichiamo come questi modelli letterari ci guidano nella
comprensione contenutistica (a grandi linee) del cap.2. Chi è il soggetto che giudica in 2,1? E in
cosa consiste il motivo che lo fa apostrofare? Non può essere costituito dai vizi dei vv. precedenti,
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che a detta di qualcuno chi giudica anche commette (Fitzmyer 299; Wolter 167-168). Questi
apparivano più come sanzione per un peccato originario, e l’argomentazione ora non dice che non è
possibile operare il bene, anzi: cfr. vv.7.10!). Il punto di partenza mi sembra l’osservazione di
Penna secondo il quale lo scopo dell’argomentazione è teologico, fa vedere che solo Dio ha il diritto
di giudicare, perché solo il suo giudizio è secondo verità (cfr. v.2 e soprattutto v.16, conclusione
della prima unità letteraria). Possiamo allora proseguire, considerando che il soggetto che giudica
“fa le stesse cose” dei soggetti stigmatizzati nel brano precedente in quanto non riconosce Dio come
Dio, nell’atto stesso di giudicare si sostituisce a Dio ponendo una creatura (se stesso) al posto del
Creatore (1,25)! È possibile essere più precisi sulla sua identità? Non è l’appartenente a una
categoria etnica determinata, come il giudeo (così invece Cranfield 138-140, Fitzmyer 297); la
locuzione del v.1 enfatizza che ad essere di mira è ogni uomo che giudica, a qualsiasi etnia
appartenga, e i vv.9ss sono inclusivi di ogni categoria etnica. Non è nemmeno lo stesso dei versetti
precedenti (così invece Pitta 103) perché, al contrario di quelli (cfr. 1,32) giudica e non approva chi
fa tali sconcezze. Piuttosto tali versetti mettevano in scena un giudizio che un soggetto,
indeterminato, rivolgeva senza appetto ad altri soggetti, pure indeterminati; perché agiscono da
idolatri sono ritenuti “inescusabili” (1,20). Ma poiché tale soggetto, con il suo giudizio, compie le
medesime cose che compiono quelli, col suo stesso metro egli stesso si dimostra inescusabile (2,1).
Paolo ha così teso una trappola a chi si ritiene in un atteggiamento di superiorità verso altri,
denunciando l’incoerenza presente nel suo stesso atteggiamento. Che poi questo soggetto si riveli
giudeo (vv.19-20) è ben vero, ma non è esplicitato a questo punto dell’argomentazione. Bisogna
rispettare il blank del momento, riconoscendo piuttosto che essa va verso una progressiva
identificazione del giudeo (Wolter 163).
Ora, tale soggetto viene posto a confronto con tre criteri che caratterizzano il giudizio divino
secondo diffuse concezioni ebraiche: l’essere secondo le opere (v.6), l’imparzialità (v.11) e la
correlata sua conoscenza delle motivazioni interiori sorgive dell’agire (vv.15-16; cfr. Aletti 2009,
483-488). Ma se questi principi sono ben conosciuti, Paolo inizia a darne un’applicazione nuova.
L’imparzialità, ad es., era sostanzialmente intesa interna al popolo, a tutela delle sue categorie
povere e deboli (cfr. Dt 10,17; Giob 34,19, Sir 35,12ss…); per Paolo essa vale in relazione ai
popoli, alle etnie. Di fronte al Dio imparziale, che valuta l’interiorità decisionale di ogni individuo,
a qualsiasi popolo appartenga, il giudeo si trova progressivamente livellato a livello del non-giudeo.
La sua identità non si deciderà in un’appartenenza etnica esteriore e nella circoncisione della carne,
ma nella sua interiorità e nella circoncisione del cuore (vv.28-29). Anche in questo caso, se il tema
della circoncisione del cuore è ben conosciuto nella Scrittura, le specificazioni negative ouv ga.r o` evn
tw/| fanerw/| VIoudai/o,j evstin ouvde. h` evn tw/| fanerw/| evn sarki. peritomh, sono assolutamente
inaspettate, vero obbiettivo perseguito dall’argomentazione.
In 3,1 il supposto interlocutore paolino, che a questo punto è il giudeo apostrofato da 2,17ss,
prende la parola perché trova minacciata la sua peculiarità. A ciò Paolo risponde riconoscendola,
ma confinandola al piano storico di destinataria della rivelazione divina (v.2). Il punto è precisare lo
statuto attuale dello stesso, che è effettivamente al pari del greco nella situazione sotto il peccato.
Abbiamo visto che questo scopo è conseguito dalla prova d’autorità che si basa sulla Scrittura. Ma
questo non è ancora il momento definitivo dell’argomentazione. Nella peroratio dei vv.19-20, nota
bene Penna “Paolo non fa riferimento a una benché minima pena da subire in sconto dei peccati
commessi … è come se qui egli fosse attratto non più da ciò che ha detto prima, ma da ciò che sta
per dire nei successivi vv.21ss su una giustizia di ben altro tipo” (298). Questo, tra parentesi,
verifica una volta per tutte il carattere incoativo delle sue propositiones: l’argomentazione non è
affatto mirata a qualificare le caratteristiche dell’“ira” menzionata in 1,18 (cfr. Romanello, 101-
102). Cosicché “l’absence de différences face à la rétribution permet à la justice divine d’atteindre
gracieusement tous les humains de la même manière, par la foi seule, en vertu du principe
d’impartialité qui a sous-tendu l’argumentation depuis Rm 2,11 (Aletti 2009, 494). 3,21-22a lancia
proprio questo sviluppo e può essere considerata subpropositio per: 1) novità rispetto allo sviluppo
precedente; 2) ripresa dei termini enunciati nei versetti successivi; 3) recupero (e sviluppo) di
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termini della propositio generalis di 1,16-17. Qui non si ha il tempo per la disamina di tale novità,
rimandandola ad altri interventi.
2. L’epistolografia
Lettera come “metà parte” di un dialogo tra amici (Ps.-Demetrio, sullo stile, Cicerone ad fam.
IX,21,1). In essa, oltre agli elementi standardizzati della cornice epistolare, sarà ovvio trovare nel
corpo della lettera la constatazione della lontananza tra lo scrivente e i destinatari, comunicazioni
sulle rispettive condizioni, annunci di prossime visite. Nella Lettera ai Romani ciò si verifica in 1,8-
15 e 15,14-32, sezioni che presentano vari parallelismi:
1,10.15 // 15,23ss.32 Paolo desidera passare per Roma per andare a evangelizzare la Spagna.
1,13 // 15,22 Paolo non è riuscito a realizzare questo desiderio nel passato.
1,12 // 15,14ss. Riconoscimento dei doni presenti nella comunità di Roma.
1,9.13 // 15,15ss. Affermazione dello statuto di apostolo di Paolo.
Queste pericopi, dalla natura prettamente epistolare, hanno anche la funzione retorica
rispettivamente di introdurre (exordium) e recapitolare (peroratio) la comunicazione tra Paolo e i
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destinatari. È universalmente raccomandato, in tali brani, il ricorso alla captatio benevolentiae, ben
ravvisabile in queste pericopi, mentre è clamorosamente assente in Gal.
Bibliografia essenziale
Fonti
Aristotele, Retorica
--, Etica nicomachea
Cicerone, De Inventione
--, De Oratore
--, Epistulae ad Familiares
Ps.-Demetrio, Sullo Stile
Quintiliano, Institutio Oratoria
Rhetorica ad Herennium
Commentari - studi
Aletti, J.-N., Justification by Faith in the Letters of Saint Paul. Keys to Interpretation (AnBib
Studia 5; Roma 2015).
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