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L'ULTIMA TENTAZIONE
Titolo originale
Ό τελευταίος πειρασμός
La dernière tentation
Traduzione di Marisa Aboaf e Bruno Amato
NIKOS KAZANTZAKIS
Nikos Kazantzakis, nato nel 1883 a Creta, è considerato uno dei più grandi
scrittori del nostro tempo. È morto in Germania nel 1957.
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Nikos Kazantzakis
L'ULTIMA TENTAZIONE
(Ό τελευταίος πειρασμός)
La dernière tentation
Traduzione di Marisa Aboaf e Bruno Amato
Prefazione
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za. Lo spirito vuol poter lottare contro una carne potente, piena di resi-
stenza. È un uccello carnivoro che non smette mai d'aver fame, che divora
la carne e che, assimilandola, la fa sparire.
Lotta fra carne e spirito, ribellione e resistenza, riconciliazione e sotto-
missione e infine ciò che è la meta suprema di questa lotta, l'unione con
Dio, ecco il cammino ascendente che ha preso Cristo e che ci invita, a
nostra volta, a prendere, seguendo le tracce insanguinate dei suoi passi.
Come arrivare noi pure a questa vetta suprema in cui, figlio maggiore
della salvezza, è arrivato Cristo? Per poterlo seguire bisognerà avere una
conoscenza profonda della sua lotta e vivere la sua angoscia: come egli
ha superato le insidie terrene, come ha sacrificato le piccole e le grandi
gioie dell'uomo e com'è salito, di sacrificio in sacrificio, di prodezza in
prodezza, fino alla vetta delle sue prove, la Croce.
Non ho mai seguito con altrettanto terrore il cammino insanguinato
verso il Golgota, non ho mai vissuto con simili intensità, comprensione e
amore la Vita e la Passione di Cristo come durante i giorni e le notti du-
rante i quali ho scritto L'ultima tentazione.
Scrivendo questa confessione dell'angoscia e della grande speranza
degli uomini, ero così commosso che i miei occhi si riempivano di lacrime.
Non avevo mai sentito con altrettanta dolcezza, con altrettanta sofferenza,
il sangue di Cristo cadere, goccia a goccia, nel mio cuore.
Cristo, infatti, per salire fino alla vetta del sacrificio, sulla croce, sulla
vetta dell'immaterialità, fino a Dio, è passato attraverso, tutte le prove
dell'uomo che lotta.
Ecco perché la sua sofferenza ci è così familiare, perché la dividiamo
con lui e perché la sua vittoria finale ci appare come la nostra vittoria
futura. Tutto ciò che Cristo aveva di profondamente umano ci aiuta a
capirlo, ad amarlo e a seguire la sua Passione come se fosse la nostra. Se
in lui non ci fosse il calore di tale elemento umano, non potrebbe mai
giungere ai nostri cuori con tanta sicurezza e tenerezza, né potrebbe di-
ventare il modello della nostra vita.
Lottiamo, lo vediamo lottare come noi e prendiamo coraggio. Vediamo
che non siamo soli al mondo e che egli lotta al nostro fianco.
Ogni istante della vita di Cristo è una lotta e una vittoria. Ha trionfato
sull'irresistibile incanto delle semplici gioie umane, ha trionfato sulla
tentazione; trasformava in continuazione la carne in spirito e continuava
la sua ascensione: è arrivato sulla vetta del Golgota ed è salito sulla
Croce.
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Ma la battaglia non è finita lì: sulla Croce lo attendeva la Tentazione,
l'Ultima Tentazione. In un rapido baleno, il Maligno ha spiegato davanti
agli occhi spenti del Crocifisso la perfida visione di una vita pacifica e
felice. Aveva preso, così almeno gli era parso, il cammino piano e facile
dell'uomo, si era sposato, aveva avuto dei bambini, gli uomini lo sti-
mavano e l'amavano; e ora, da vecchio, era seduto davanti alla sua casa,
ricordava le passioni della sua gioventù e sorrideva, soddisfatto. Come
aveva fatto bene! Che saggezza l'aver preso la strada dell'uomo e che
follia era quella di voler salvare il mondo! Che gioia essere sfuggito alle
tribolazioni, al martirio, alla Croce!
Ecco quale fu l'ultima tentazione giunta, in un lampo, a turbare gli
ultimi istanti del Salvatore.
Ma, bruscamente, Gesù ha scosso il capo, ha aperto gli occhi e ha
visto. No, no, non aveva tradito, lodato sia Dio, non aveva disertato,
aveva compiuto la missione confidatagli da Dio, non si era sposato, non
era vissuto felice, era arrivato alla vetta del sacrificio, era inchiodato alla
Croce.
Chiuse gli occhi soddisfatto. Allora si udì il grido trionfale: «Tutto è
compiuto!»
Ossia, ho compiuto il mio dovere, sono stato crocifisso, non ho ceduto
alla tentazione.
È per offrire un supremo esempio all'uomo che lotta, per mostrargli che
non deve temere la sofferenza, la tentazione e la morte, ed è perché tutto
ciò può essere vinto ed è giù stato vinto che è stato scritto questo libro.
Cristo ha sofferto e da allora la sofferenza viene santificata; la Tentazione
ha lottato fino all'ultimo istante per perderlo e la Tentazione è stata vinta;
Cristo è stato crocifisso e da allora la morte è stata vinta.
Ogni ostacolo al suo cammino diventava occasione e misura di una
vittoria. Abbiamo ora davanti a noi un esempio che ci apre la strada e ci
infonde coraggio.
Questo libro non è una biografia, è una confessione dell'uomo che lot-
ta. Scrivendolo, ho fatto il mio dovere. Il dovere dell'uomo che ha com-
battuto molto, che ha sofferto molto durante la propria vita e che ha spe-
rato molto.
Sono sicuro che ogni uomo libero che leggerà questo libro pieno
d'amore amerà Cristo più che mai, meglio che mai.
N. KAZANTZAKIS
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Si rizzò, sedette sui trucioli, appoggiò il dorso contro il muro; sulla sua
testa pendeva una cinghia con due file di chiodi appuntiti: ogni sera, prima
di addormentarsi, si frustava il corpo a sangue, affinché lo lasciasse tran-
quillo durante la notte e non si ribellasse. Un leggero tremito si era im-
padronito di lui. Non ricordava più quali tentazioni gli fossero apparse du-
rante il sonno, ma sentiva che era scampato a un grande pericolo. «Non ne
posso più, ne ho abbastanza...» mormorò e alzò gli occhi al cielo con un
sospiro. La luce nuova, ancora incerta e pallida, s'infilò fra le fessure della
porta; le canne giallastre del soffitto rifletterono una dolcezza strana,
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brillante, preziosa come l'avorio.
«Non posso, ne ho abbastanza...» mormorò nuovamente. Serrò i denti
dall'esasperazione. Fissò lo sguardo nel vuoto: tutta la sua vita gli passò
davanti agli occhi, il bastone di suo padre che era fiorito il giorno del
fidanzamento con sua madre, poi il fulmine che aveva abbattuto e para-
lizzato il fidanzato, poi sua madre che lo guardava, lo guardava di continuo
e non diceva niente. Lui sentiva, però, il suo muto lamento. Aveva ragione
sua madre, i suoi peccati, giorno e notte, erano come altrettanti coltelli nel
cuore, e aveva lottato invano, quegli ultimi anni, per vincere la paura:
rimaneva essa sola, tutti gli altri demoni li aveva vinti, la povertà, il desi-
derio di una donna, la gioia di un focolare, la giovinezza, l'unica che re-
stava era la paura e doveva vincerla, esserne capace... in fondo era anche
lui un uomo, e l'ora era giunta...
«Se mio padre rimane paralizzato, è colpa mia... Se Maddalena è diven-
tata una prostituta, è colpa mia... Se Israele geme ancora sotto il giogo, è
colpa mia...»
Un gallo, certamente nella casa vicina di suo zio il rabbino, batté le ali
sul tetto e cantò con voce forte, incollerita; certamente ne aveva abba-
stanza della notte, era durata troppo e l'animale gridava al sole di apparire.
Appoggiato al muro, il giovane lo ascoltava. La luce cominciava a illu-
minare le case, le porte si aprivano, le strade si animavano; dalla terra, da-
gli alberi, dalle porte delle case, saliva lentamente il mormorio del mattino:
Nazareth si svegliava. Un profondo sospiro giunse dalla casetta vicina,
immediatamente seguito dal grido selvaggio del rabbino che svegliava Id-
dio e gli ricordava la parola data a Israele. «Dio d'Israele», gridava, «Dio
d'Israele, fino a quando?»
Il giovane scosse il capo. «Prega», mormorò, «si prosterna, chiama Id-
dio, adesso batterà sul muro affinché io pure m'inchini.» Corrugò la fronte
in segno di collera. «Come se Iddio da solo non bastasse, mi ci vogliono
anche gli uomini!» disse, colpendo col pugno la parete divisoria per mo-
strare al feroce rabbino che era sveglio e che pregava.
Si alzò di colpo; la veste rattoppata gli scivolò dalle spalle scoprendo il
suo corpo, esile, abbronzato e coperto di chiazze rosse e blu; raccolse rapi-
damente la veste e ricoprì la sua carne nuda, pieno di vergogna.
Dalla finestrella, la pallida luce del mattino cadde su di lui e illuminò
delicatamente il suo viso: non era testardaggine, sofferenza, orgoglio. La
peluria delle guance era divenuta una barba ricciuta, tutta nera; il naso ar-
cuato, le labbra carnose, socchiuse, lasciavano intravedere lo splendore dei
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denti. Non era bello quel viso, ma aveva un fascino segreto, inquietante:
era forse per le ciglia, folte, lunghe, che gettavano un'ombra azzurrina su
tutto il viso? O era forse per gli occhi, neri come il carbone, pieni di luce e
di notte, spaventati e dolci allo stesso tempo? Scintillavano come quelli del
serpente, fissavano attraverso le lunghe ciglia procurando un senso di
vertigine.
Fece cadere i trucioli che gli erano rimasti appiccicati alle ascelle e alla
barba; il suo orecchio aveva individuato dei passi pesanti che si avvicina-
vano e che egli riconobbe.
«E ancora lui, ritorna, ma che cosa vuole?» pensò con furia avvicinan-
dosi alla porta per udire meglio.
Ma si fermò d'improvviso, spaventato; chi aveva spostato il bancone
contro la porta, chi vi aveva ammucchiato la croce e gli strumenti da lavo-
ro? Chi? Quando? La notte è piena di spiriti maligni, piena di sogni; dor-
miamo ed essi trovano le porte aperte, entrano ed escono e mettono sotto-
sopra la nostra casa e la nostra mente.
«Qualcuno è venuto stanotte nel mio sonno», mormorò a. bassa voce,
come se temesse che fosse ancora lì e che potesse udirlo. «Qualcuno è
venuto, sicuramente Dio, oppure il demonio; chi può mai saperlo? I volti si
sovrappongono; talvolta Dio diventa tenebre, talvolta è il demonio a tra-
sformarsi in luce e l'anima dell'uomo ne è confusa.» Rabbrividì; dove diri-
gersi? C'erano due strade, quale scegliere?
I passi pesanti diventavano sempre più vicini; il giovane gettò uno
sguardo angosciato attorno a sé, quasi cercasse un posto in cui nasconder-
si, per sfuggire. Temeva quell'uomo; era, nel fondo della sua anima, una
vecchia ferita che non poteva rimarginarsi. Quando erano ancora bambini
l'altro, che aveva tre anni anni più di lui, l'aveva gettato in terra e l'aveva
picchiato. Lui si era rialzato, senza dire niente, ma non era più andato a
giocare con gli altri bambini, aveva vergogna, paura. Rannicchiato nel
cortile della sua casa, da solo, meditava in che modo, un giorno, avrebbe
potuto togliersi di dosso quella vergogna, mostrar loro che era più forte di
tutti, capace di vincerli tutti. Dopo tanti anni la ferita era ancora aperta e
sanguinava.
«Perché mi perseguita ancora?» mormorò. «Che cosa vuole da me? Non
gli aprirò!»
Un calcio fece tremare la porta; il giovane balzò in piedi e, con tutte le
sue forze, spostò il bancone e aprì. Sulla soglia c'era un colosso dalla barba
rossa e ricciuta, molto agitato, scalzo e senza camicia. Aveva in mano una
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pannocchia di granoturco abbrustolita e la stava mangiando. I suoi occhi
frugarono il laboratorio e si posarono sulla croce appesa al muro. Con
espressione accigliata l'uomo avanzò ed entrò, accovacciandosi poi in un
angolo a sgranocchiare freneticamente la sua pannocchia, senza parlare. Il
giovane, con la testa rivolta dall'altra parte, in piedi, guardava attraverso la
porta aperta l'angusta stradicciola appena sveglia. Non si era ancora alzata
la polvere e c'era un odore di terra bagnata; la luce e il fresco della notte
s'erano fermati sulle foglie dell'ulivo proprio lì davanti e tutto l'albero sor-
rideva. Il giovane, estasiato, respirava la vita del mattino.
Ma il Rosso si voltò urlando:
«Chiudi la porta, devo parlarti!»
Quella voce brutale! Il giovane ebbe un sussulto; chiuse la porta, si
sedette sull'orlo del bancone e attese.
«Eccomi», disse il Rosso, «è tutto pronto.»
Tacque, gettò via la pannocchia, alzò gli occhi azzurri e freddi fissando
lo sguardo sul giovane; il collo grosso e rugoso era teso:
«E tu, sei pronto?»
Ora la luce si era fatta più intensa e il viso dell'uomo dai capelli rossi si
distingueva chiaramente: tagliato con l'accetta, incoerente, non uno ma
due. Quando una metà rideva, l'altra terrorizzava, quando una metà aveva
un'espressione di dolore, l'altra rimaneva immobile, come pietrificata. E
quando le due metà, per un istante, si riconciliavano, si potevano sentire
ancora, in quell'unione. Dio e il demonio, che, irriducibili, lottavano.
Il giovane rimase muto. Il Rosso, rabbioso, lo inchiodò con lo sguardo.
Chiese ancora:
«E tu, sei pronto?»
Stava già alzandosi per afferrarlo per un braccio, scuoterlo, svegliarlo,
obbligarlo a rispondere; ma non ne ebbe il tempo. Si udì il suono di una
tromba, degli uomini a cavallo invasero la stradicciola e, dietro di loro, si
udirono, pesanti e regolari, i passi dei soldati romani; il Rosso strinse i pu-
gni e, alzandoli verso il soffitto, gridò:
«Dio d'Israele, è giunta l'ora. Oggi, non domani, oggi!»
Si voltò verso il giovane.
«Sei pronto?» chiese ancora e, senza attendere la risposta, aggiunse:
«No, no, non consegnerai loro la croce, te lo dico proprio io! Il popolo
si è riunito, Barabba stesso è sceso dalle montagne con i suoi uomini,
distruggeremo la prigione e libereremo lo Zelota e allora il miracolo, non
scuotere il capo, il miracolo avverrà. Domandalo a tuo zio il rabbino. Ci ha
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riuniti tutti, ieri, nella sinagoga. Tu perché non sei venuto? Si è alzato e ci
ha parlato: 'Il Messia non verrà', gridava, 'non verrà finché rimarremo a
braccia conserte. Dio e il popolo devono combattere insieme affinché giun-
ga il Messia!' Ecco che cosa ci ha detto, se vuoi saperlo. Dio non basta, il
popolo non basta, ci vogliono tutti e due insieme, hai capito?»
Lo prese per un braccio e cominciò a scuoterlo.
«Capisci? A che cosa pensi? Avresti dovuto essere lì e ascoltare tuo zio
per chiarirti le idee, disgraziato! Dice che lo Zelota che i Romani infedeli
vogliono crocifiggere oggi, è forse Colui che noi stiamo aspettando da
generazioni e generazioni; se non lo aiutiamo, se non ci precipitiamo a
salvarlo, sappilo, morirà senza rivelare chi è. Se ci precipitiamo a salvarlo,
avverrà il miracolo. Che miracolo? Butterà via i suoi stracci e sul suo capo
brillerà la corona reale di Davide. Siamo scoppiati tutti a piangere. Il
vecchio rabbino ha alzato le braccia al cielo e ha gridato: 'Dio d'Israele,
oggi, non domani, oggi!' Abbiamo tutti alzato le braccia, guardato il cielo,
gridato, minacciato, singhiozzato: 'Oggi, non domani, oggi!' Capisci, figlio
del falegname, o sto parlando inutilmente?»
Il giovane, con gli occhi socchiusi, lo sguardo fisso sul muro di fronte a
lui, dove era appesa la cinghia dai chiodi appuntiti, ascoltava attentamente;
soffocati dalla voce aspra e minacciosa dell'uomo dai capelli rossi, si udi-
vano dalla camera di fianco i suoni strozzati, rauchi, emessi dal vecchio
padre che muoveva le labbra senza tregua e che lottava e si sforzava, inva-
no, di parlare... Le due voci si mescolavano nel cuore del giovane, che im-
provvisamente capì quanto fosse vano e inutile lo sforzo degli uomini.
«Si può sapere a che cosa stai pensando? Capisci che cosa dice il fra-
tello di tuo padre, il vecchio Simeone?»
«Il Messia non viene così...» mormorò il giovane; teneva gli occhi fissi
sulla croce che aveva appena finito di costruire e sulla quale, dolce e ro-
sata, cadeva la luce dell'aurora. «No, il Messia non viene così, non rinnega
mai i suoi stracci, non porta una corona da re, il popolo non si precipita a
salvarlo. Non lo si salva. Muore con i suoi stracci. Tutti, anche i più fedeli,
l'abbandonano. Muore solo, sulla vetta di una montagna solitaria e porta
sulla testa una corona di spine.»
Il Rosso si girò, lo guardò con apprensione; metà del viso brillava, l'al-
tra metà era tutta scura.
«Come fai a saperlo? Chi te lo ha detto?»
Ma il giovane non rispose; saltò giù dal bancone. Ora era pieno giorno.
Raccolse il martello e una manciata di chiodi e si avvicinò alla croce. Ma il
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Rosso fu più veloce: con un balzo arrivò fino alla croce e incollerito si mi-
se a darle dei pugni e a sputarvi sopra, come se fosse stata un essere
umano. Si girò, i suoi baffi, la barba, le sopracciglia pungevano il viso del
giovane.
«Non hai vergogna?» gridò. «Tutti i falegnami di Nazareth, di Cana, di
Cafarnao, hanno rifiutato di fabbricare una croce per lo Zelota, e tu?... Non
hai vergogna? Non hai paura? Se il Messia arriva e ti trova intento a fab-
bricare la sua croce? Perché non hai avuto il coraggio, anche tu, di rispon-
dere al centurione: 'Non fabbrico croci per gli eroi d'Israele?'»
Afferrò nuovamente un braccio del falegname che era completamente
assente, e gli chiese:
«Perché non rispondi? Che cosa stai guardando?»
Gli diede un colpo, lo spinse contro il muro.
«Sei un vigliacco», aggiunse con voce sprezzante, «un vigliacco, ecco
cosa sei! Non combinerai mai nulla nella vita.»
Una voce penetrante squarciò l'aria. L'uomo dai capelli rossi mollò il
giovane, girò il capo verso la porta e prestò ascolto. Si udì un gran tumul-
to; uomini, donne, una gran folla, delle grida: «Il banditore! Il banditore!»
La voce penetrante si levò nuovamente:
«Figli e figlie di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe! Ordine dell'imperato-
re, aprite le orecchie e ascoltate: chiudete botteghe e taverne, non andate a
lavorare nei campi. Madri, portate con voi i vostri bambini. Vecchi, pren-
dete i vostri bastoni. Venite tutti, zoppi, sordi, paralitici, venite a vedere!
Venite a vedere come si torturano coloro che si ribellano al nostro capo,
l'imperatore. Che gli sia concessa lunga vita! Venite ad assistere alla morte
dello Zelota ribelle e fuorilegge!»
Il Rosso aprì la porta e vide la folla che taceva, sconvolta; vide il bandi-
tore in piedi su un grande sasso, era un uomo esile, dal collo lungo e le
lunghe gambe. «Sii maledetto, traditore», borbottò, richiudendo rabbiosa-
mente la porta. Si voltò verso il giovane; la bile gli era salita fin negli
occhi.
«Mi congratulo con te per il figlio di tuo padre, Simone il traditore!»
gridò.
«Non è colpa sua, ma mia», disse il giovane preso dal rimorso. «Sono
io...»
E subito aggiunse:
«È per colpa mia che mia madre l'ha cacciato da casa, per colpa mia... e
lui, adesso...»
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Metà del viso del Rosso, illuminato per un istante dalla compassione, si
addolcì.
Il giovane rimase a lungo in silenzio. Le sue labbra si muovevano, ma
la lingua pareva annodata. Finalmente riuscì a dire:
«Con la mia vita, Giuda, fratello mio, con la mia vita... Non ho altro».
L'uomo dai capelli rossi sussultò; la luce ora entrava nella stanza attra-
verso le fessure della porta e dalla finestrella del soffitto. Gli occhi del gio-
vane brillavano, grandi e neri, e la sua voce era colma d'amarezza e di
paura.
«Con la tua vita?» fece il Rosso e afferrò il mento del giovane. «Non
girare la testa, sei un uomo, vero? Guardami negli occhi; con la tua vita?
Che cosa vuoi dire?»
«Nulla.» Abbassò la testa, in silenzio. E di colpo gridò:
«Non mi chiedere nulla, non mi chiedere nulla, Giuda, fratello mio!»
Giuda prese fra le mani il viso del giovane, lo alzò e lo guardò a lungo
senza fiatare. Poi, dolcemente, lo lasciò. Si diresse verso la porta. Il suo
cuore era sconvolto.
Fuori i rumori erano diventati più intensi; si poteva udire il fruscio di
piedi nudi e di ciabatte strascicate e l'aria risuonava con il tintinnio dei
braccialetti di rame delle donne e dei grossi anelli che portavano alle
caviglie. In piedi sulla soglia, il Rosso osservava la folla che si riversava
incessantemente dalle stradicciole e che diventava sempre più massiccia.
Saliva verso la collina maledetta dove ci sarebbe stato il supplizio. Gli
uomini non parlavano. Bestemmiavano fra i denti, sbattevano i bastoni sui
ciotoli; altri stringevano in seno, nascosto, un coltello. Le donne urlavano,
molte avevano scoperto il capo, si erano sciolti i capelli e già intonavano il
canto funebre.
Davanti, capo del gregge, camminava Simeone, il vecchio rabbino di
Nazareth. Basso di statura, curvo per gli anni, rattrappito da una brutta tisi:
una struttura di ossa rinsecchite tenute insieme da un'anima incrollabile
che impediva loro di cedere. Le mani erano scheletriche e, simili agli arti-
gli di un uccello, stringevano il bastone sacerdotale, con l'impugnatura de-
corata da due serpenti intrecciati. Quel morto vivente aveva l'odore di una
città che brucia: si sentiva, vedendo le fiamme nei suoi occhi, che quella
vecchia carcassa, ossa, carne e peli, era tutta in fuoco e quando apriva la
bocca per gridare: «Dio d'Israele!» del fumo saliva sopra la sua testa. Die-
tro di lui venivano in fila, appoggiandosi ai bastoni, gli anziani, dalle so-
pracciglia folte, la barba a due punte, l'ossatura solida; seguivano gli uo-
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mini, le donne e, per ultimi, i bambini, ognuno con in mano una pietra e
qualcuno anche con una fionda, gettata sulle spalle. Avanzavano tutti assie-
me, e producevano un ruggito basso e sordo, come quello del mare.
Appoggiato allo stipite della porta, Giuda osservava uomini e donne e il
suo cuore traboccava; sono questi, pensava mentre il sangue gli saliva alla
testa, coloro che compiranno il miracolo, assieme a Dio. Oggi, non doma-
ni, oggi.
Una donna robusta si staccò dalla folla. Era imponente, aveva il petto
scoperto e lo sguardo torvo; si chinò, prese una pietra e la scagliò con for-
za contro la porta del falegname, gridando:
«Che tu sia maledetto, crocifissore!»
In un baleno, da una parte e dall'altra della strada, risuonarono grida e
bestemmie e i bambini afferrarono le fionde; il Rosso, con un colpo chiuse
la porta.
«Crocifissore! Crocifissore!» Il clamore giungeva da ogni parte e la
porta rimbombava sotto i colpi delle sassate.
Il giovane, inginocchiato davanti alla croce, piantava dei chiodi, pic-
chiava violentemente con il martello, come per coprire il clamore e le be-
stemmie che giungevano dalla strada; si sentiva ardere il petto e gli occhi
gli lampeggiavano. Freneticamente, picchiava e picchiava, e il sudore gli
colava giù dalla fronte.
Il Rosso s'inginocchiò, lo prese per un braccio, con rabbia gli strappò il
martello dalle mani; diede un calcio alla croce, che si schiantò sul
pavimento.
«La porterai?»
«Sì.»
«Non hai vergogna?»
«No.»
«Non te lo permetterò; la farò in mille pezzi.»
Gettò uno sguardo attorno e tese una mano per afferrare una mazza.
«Giuda, Giuda, fratello mio», disse il giovane lentamente, come se stes-
se pregando. «Non intralciare il mio cammino.»
La sua voce era diventata, all'improvviso, profonda, tenebrosa, irricono-
scibile. Il Rosso ne fu turbato. Chiese con dolcezza:
«Che cammino?» e attese. Guardava il giovane con emozione. Tutta la
luce ora gli cadeva sul viso e sull'esile torso; le labbra restavano serrate,
come per sforzarsi di contenere un grido molto forte.
Il Rosso lo vide fragile e pallido e, nonostante la rabbia, sentì una stretta
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al cuore; gli sembrava che le guance del giovane diventassero ogni giorno
più incavate, come se qualcosa lo consumasse. Era stato via solo poco tem-
po, per il suo solito giro nei villaggi attorno a Genezareth; lavorava il fer-
ro, fabbricava vanghe, vomeri, falci, e ferrava i cavalli. Si era affrettato a
tornare a Nazareth perché aveva udito che si sarebbe crocifisso lo Zelota.
In che stato l'aveva lasciato, il suo vecchio amico, e in che stato lo ritrova-
va! Com'erano diventati grandi i suoi occhi, come s'erano strette le tempie
e che cos'era quella tremenda amarezza che circondava la sua bocca?
«Che cosa ti succede? Perché ti stai consumando? Che cosa ti affligge?»
Il giovane sorrise debolmente. La risposta era «Dio», ma si trattenne.
Era questo il grido che aveva dentro di sé e non voleva lasciarsi sfuggire.
«Lotto», rispose.
«Con chi?»
«Non lo so, ma lotto.»
Il Rosso fissò il giovane nel profondo degli occhi: li interrogava, li sup-
plicava, li minacciava, ma quegli occhi di carbone, inconsolabili, pieni di
terrore, non rispondevano.
Di colpo l'anima di Giuda vacillò: mentre si chinava su quegli occhi
scuri e muti, vide, o almeno credette di vedere, alberi, in fiore, acque az-
zurrine, una folla d'uomini e in mezzo, dietro agli alberi in fiore, le acque e
gli uomini, una grande croce nera che occupava tutta la volta celeste.
Spalancò gli occhi, si drizzò di colpo e volle parlare, domandare: «Ma
saresti tu... tu...?» Ma le sue labbra rimasero mute; volle stringere a sé il
giovane, abbracciarlo, ma la sue braccia, sospese nell'aria, erano come
pietrificate.
Allora, quando il giovane lo vide con le braccia aperte, con i capelli ros-
si ritti, gli occhi spalancati, lanciò un grido; il sogno terrificante della notte
sorse dal fondo della sua anima, tutta quell'orda, i nani, gli strumenti per la
crocifissione, le grida: «Scagliatevi su di lui, figlioli!» e il loro capo,
l'uomo dai capelli rossi, ora lo riconosceva, era Giuda, il fabbro, che si
gettava su di lui, beffardo.
Le labbra del Rosso si mossero. Balbettò:
«Ma saresti tu... tu...?»
«Io? Chi ?»
Il Rosso non rispose. Si mordeva i baffi e lo guardava. Una metà del
viso era di nuovo splendente, l'altra immersa nelle tenebre. Nel suo spirito
si mescolavano i segni e i prodigi che circondavano il giovane fin dal
giorno della nascita e anche da prima... Il bastone di Giuseppe che, unico
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fra tutti i bastoni dei futuri sposi, era fiorito; il rabbino, che gli aveva dato
la bella fra le belle, Maria, consacrata a Dio. Più tardi, il fulmine caduto il
giorno del matrimonio, che aveva paralizzato lo sposo prima che potesse
toccare la sua donna. E più tardi ancora, si disse che la sposa aveva annu-
sato un giglio bianco e che il suo ventre aveva concepito un figlio... E il
sogno che lei aveva avuto, pare, la notte in cui partorì: aveva visto il cielo
che si apriva e gli angeli che scendevano e si mettevano in fila proprio
come gli uccellini sul bordo del tetto della sua umile casa; facevano il nido
e cantavano, altri custodivano la sa glia della sua dimora, altri entravano,
accendevano il fuoco, scaldavano l'acqua per lavare il nascituro, altri anco-
ra preparavano il brodo per la partoriente...
L'uomo dai capelli rossi si avvicinò lentamente, esitante, al giovane e si
chinò su di lui; la sua voce, ora, era piena d'emozione, di preghiera e di
timore:
«Saresti forse tu... tu...?» chiese ancora una volta senza il coraggio di
finire la frase.
Il giovane sussultò, impaurito.
«Io? Io?» disse con una risata breve e sarcastica. «Ma non mi vedi? Non
sono capace di parlare, non ho il coraggio di andare alla sinagoga, appena
vedo delle persone fuggo, non rispetto, e senza vergogna, i comandamenti
di Dio, lavoro il sabato...»
Tirò su la croce che era caduta, la rimise in piedi e afferrò il martello.
«E ora, guarda, fabbrico croci e crocifiggo!» disse e si sforzò nuova-
mente di ridere.
Il Rosso non disse nulla, era infuriato. Aprì la porta, una nuova folla,
agitata, avanzò dal fondo della strada. Vecchie spettinate, vecchi invalidi,
zoppi, ciechi, lebbrosi, tutta la feccia di Nazareth, salivano, ansimando, e
si trascinavano verso il colle della crocifissione. L'ora prefissa si avvici-
nava. «È tempo che me ne vada», si disse il Rosso, «che mi mescoli alla
gente, che ci lanciamo tutti assieme per fermare lo Zelota, e allora ve-
dremo bene se è o non è il Redentore!» Ma esitava; improvvisamente sentì
su di sé un vento gelido, no, non sarà neppure il crocifisso di oggi, Colui
che la razza degli Ebrei attendeva da tanti secoli. «Domani! Domani! Da
quanto ormai ce lo ripeti, Dio d'Abramo! Domani! Domani! Domani! Ma
quando dunque? Siamo degli uomini, siamo stanchi, ormai!»
Era irritato. Fissò con occhi furenti il giovane che piantava dei chiodi,
tutto appoggiato alla croce. «Ma sarà questo?» pensò rabbrividendo. «Sarà
dunque questo, proprio lui, il crocifissore? Le vie di Dio sono tortuose,
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oscure; sarà forse questo?»
Dietro alle vecchie e agli invalidi, indifferenti, silenziosi, avanzavano i
soldati della pattuglia romana, con i loro scudi, le lance e gli elmi di bron-
zo. Spingevano davanti a loro quel gregge umano e guardavano gli Ebrei
con disprezzo.
Il Rosso li osservava con occhi selvaggi. Il suo sangue divampò; si girò
verso il giovane, come se fosse stata colpa sua, strinse i pugni e gli gridò:
«Me ne vado, fai quello che vuoi, crocifissore; sei un vigliacco, uno
scellerato, un traditore, tu, proprio come tuo fratello, il banditore pubblico!
Ma Dio lancerà le sue fiamme su di te, come ha fatto con tuo padre, e ti
brucerà. Ecco che cosa ti dico. Ricordatene».
Maria era seduta nel cortiletto della sua casa, su un grande sgabello, e
filava. C'era ancora luce, era d'estate e la luce si ritirava piano dalla faccia
della terra, non voleva andarsene. La gente e gli animali da soma torna-
vano dai campi; le donne accendevano il fuoco per preparare il pasto della
sera; il crepuscolo sapeva di legno che brucia. Maria filava e il suo spirito
andava e veniva con il fuso, i ricordi e l'immaginazione si confondevano,
la sua vita era fatta metà di verità e metà di leggenda. L'umile lavoro
quotidiano si susseguiva per anni e anni e, di colpo, come un pavone can-
giante e inaspettato, ecco il miracolo che ricopre la sua vita di miseria con
le sue lunghe ali dorate.
«Portami dove vuoi, o Signore, fai di me ciò che vuoi; sei tu che hai
scelto il mio sposo, che m'hai concesso un figlio, che m'hai fatto soffrire.
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Tu mi dici: grida, e io grido; tu mi dici: taci, e io taccio. Che cosa sono?
Una manciata d'argilla nelle tue mani e tu mi formi come vuoi. Fai ciò che
vuoi, ma ti rivolgo soltanto una preghiera: Signore, abbi pietà di mio
figlio!»
Un piccione bianco volò via dal tetto vicino, sbatté le ali per un istante
sul suo capo, poi si posò, facendo la ruota, sui sassolini del cortile e si mise
a passeggiare e a girare attorno ai piedi di Maria; spiegava la coda, rove-
sciava il collo all'indietro, guardava Maria e i suoi occhietti tondi, nella
luce del crepuscolo, scintillavano come rubini. La guardava, le parlava,
doveva volerle rivelare un segreto; ah! se il vecchio rabbino fosse stato lì,
lui che conosceva il linguaggio degli uccelli, le avrebbe spiegato... Guardò
il piccione ed ebbe pietà di lui; smise di filare, lo chiamò con grande dol-
cezza e quello, pieno di gioia, le balzò sulle ginocchia. E lì, come se quella
fosse stata la meta del suo desiderio, come se quello fosse tutto il segreto,
si rannicchiò, richiuse le ali e rimase immobile.
Maria sentì la sua leggerezza e sorrise. «Ah, se Dio potesse sempre
scendere con questa leggerezza sull'uomo!» pensò. E pensando a ciò, si ri-
cordò del mattino in cui lei e Giuseppe ancora fidanzati si erano arram-
picati fino alla vetta del monte Carmelo, la montagna carezzata dalle nu-
vole, per pregare l'ardente profeta Elia d'intercedere presso Dio affinché
potessero avere un figlio che gli avrebbero consacrato. Dovevano sposarsi
la sera stessa ed erano partiti prima dell'alba per ricevere la benedizione
del profeta infuocato che trova, nel fulmine, la sua gioia. Il cielo era total-
mente terso, l'autunno molto dolce, l'umano formicaio aveva raccolto la
frutta, il mosto fermentava nelle giare, i fichi seccavano in collane appese
alle travi; Maria aveva quindici anni, lo sposo aveva già la barba grigia e
teneva nella sua mano robusta il fatidico bastone fiorito.
Raggiunsero la vetta santa a mezzogiorno; s'inginocchiarono e toccaro-
no con la punta delle dita il granito aguzzo e macchiato di sangue. Trema-
vano. La roccia sprigionò una scintilla che ferì il dito di Maria. Giuseppe
aprì la bocca per gridare, per chiamare il selvaggio padrone della vetta, ma
non ne ebbe il tempo. Dal cielo, nuvole cariche di collera e di grandine si
scagliarono su di loro e volteggiarono, come una tromba d'acqua ruggente,
sul granito aguzzo. E mentre Giuseppe si lanciava per afferrare la fidanza-
ta, per andare a rannicchiarsi con lei in qualche grotta, Dio scagliò un ful-
mine terribile, il cielo e la terra si confusero, Maria cadde all'indietro e
svenne.
Quando riprese i sensi e aprì gli occhi per guardarsi attorno, vide Giu-
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seppe, caduto con la faccia sul granito nero, paralizzato.
Maria tese una mano e carezzò il piccione sulle sue ginocchia, delicata-
mente, per non spaventarlo. «Quel giorno Dio s'è lanciato selvaggiamente
su di noi», mormorò, «e mi ha parlato selvaggiamente... Ma che cosa mi ha
detto?»
Il rabbino, sconvolto dai continui prodigi che la circondavano, glielo
aveva chiesto molte volte.
«Cerca di ricordarti, Maria, qualche volta è così, proprio con il fulmine,
che Dio parla agli uomini; sforzati di ricordare affinché possiamo scoprire
il destino di tuo figlio», le diceva.
«Era il tuono, vecchio, piombava giù dal cielo come un carro di buoi.»
«E dietro al tuono, Maria?»
«Sì, hai ragione, vecchio. Dietro al tuono Dio parlava, ma non sono riu-
scita a distinguere una parola chiara, scusami.»
Carezzava il piccione e si sforzava, dopo trent'anni, di ricordare il ful-
mine e di chiarire la parola nascosta...
Chiuse gli occhi; nel cavo della mano sentiva il piccolo corpo caldo del
piccione e il suo cuoricino che batteva. E improvvisamente, senza sapere
come, senza capirne il perché, fulmine e piccione non erano più che una
cosa sola, il battito del cuore e il tuono, tutto era Dio. Maria lanciò un
grido e si alzò di colpo, piena di spavento; per la prima volta, ora, udiva
chiaramente la parola nascosta dietro al tuono, nel tubare del piccione.
«Ti saluto, o Maria...» Certamente Dio aveva pronunciato quelle parole.
«Ti saluto, o Maria...»
Si girò, vide il marito, appoggiato al muro, aprire e chiudere la bocca;
era già sera ed egli lottava e sudava ancora... Gli passò davanti, non gli dis-
se nulla e si fermò sulla soglia per vedere se suo figlio veniva; l'aveva visto
cingersi il capo e i capelli con un fazzoletto insanguinato del crocifisso,
quindi scendere verso valle... Dov'era andato? Perché tardava? Avrebbe
passato di nuovo la notte nei campi?
La madre rimase in piedi sulla soglia: vide giungere il vecchio rabbino
che s'appoggiava pesantemente al bastone ansimando mentre la brezza
della sera gli scompigliava i bianchi capelli.
Maria si scansò con rispetto, il rabbino entrò, prese la mano del fratello
e la carezzò, senza parlare; che cosa mai avrebbe potuto dire? Il suo spirito
era sommerso dall'oscurità; si girò verso Maria.
«I tuoi occhi brillano, Maria», le disse. «Che cos'hai? E venuto ancora il
Signore?»
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«Ho trovato, vecchio», disse Maria, incapace di trattenersi.
«Hai trovato? Ma che cosa, per grazia di Dio?»
«Ciò che diceva il fulmine.»
Il rabbino fece un balzo. «Il Dio d'Israele è grande», gridò alzando le
braccia al cielo. «È appunto per questo che son tornato, Maria, per doman-
darti ancora... È che oggi hanno crocifisso una delle nostre speranze e il
mio cuore...»
«Ho trovato, vecchio», ripeté Maria. «Stasera, mentre ero seduta e fila-
vo e rivedevo nel mio spirito il fulmine, ho sentito in me, per la prima vol-
ta, il tuono che si calmava e poi ho udito una voce serena, limpida, la voce
di Dio: 'Ti saluto, o Maria!'»
Il rabbino si lasciò cadere su un panchetto e, prendendosi la testa fra le
mani, s'immerse nelle sue riflessioni; dopo un po', sollevò di nuovo il capo.
«Null'altro, Maria? Cerca di penetrare nel fondo del tuo animo, per udi-
re; dalle parole che usciranno dalla tua bocca dipende forse il destino
d'Israele.»
Maria si spaventò nell'udire le parole del rabbino. Il suo spirito fu ri-
preso dal tuono, il petto le tremava.
«No», mormorò, infine, sfinita. «No, vecchio... Ha detto anche molte al-
tre cose, molte altre cose, ma non riesco a udirle.»
Il rabbino posò la mano sul capo della donna dai grandi occhi.
«Digiuna e prega, Maria», disse. «Non disperdere il tuo spirito nelle
cose quotidiane; può forse essere che la luce del fulmine ci illumini? Non
riesco a vedere: il tuo viso si muove. Digiuna e prega e udirai... 'Ti saluto,
o Maria...', la parola di Dio comincia con bontà, sforzati di udirne il
seguito.»
Per nascondere il suo turbamento, Maria si avvicinò agli scaffali in cui
si riponevano le brocche, staccò una coppa di bronzo, la riempì d'acqua
fresca, prese una manciata di datteri e si chinò per darli al vecchio.
«Non ho né fame né sete, Maria, ti ringrazio; siedi, devo parlarti.»
Maria prese il panchetto più basso, si sedette ai piedi del rabbino, girò
la testa e attese.
Il vecchio nel suo spirito pesava le parole una per una; ciò che voleva
dire era difficile, una speranza tenue come il filo di un ragno, e non riu-
sciva a trovare parole abbastanza velate, abbastanza impalpabili per non
dar loro troppo peso, farle diventare certezza. E non voleva neppure spa-
ventare la madre.
«Maria», disse infine, «in questa casa si aggira come un leone del
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deserto, un mistero... Non sei come le altre donne, Maria; non lo senti?»
«No, non lo sento, vecchio», bisbigliò Maria, «sono come tutte le don-
ne, amo le preoccupazioni e le gioie di tutte le donne, mi piace lavare, far
da mangiare, andare alla fonte, chiacchierare piacevolmente con le mie
vicine e, di sera, restare seduta sulla mia porta a guardare i passanti. E il
mio cuore, come quello di tutte le donne, vecchio, è pieno di dolore.»
«Non sei come tutte le donne, Maria», ripeté il rabbino con voce
solenne, e sollevò una mano come per impedire che rispondesse. «E tuo
figlio...»
Il rabbino si fermò; trovare le parole era difficile. Guardò in alto nel
cielo e prestò orecchio; alcuni uccelli, fra gli alberi, si raggruppavano per
andare a dormire, altri stavano svegliandosi, la ruota girava, il giorno
scendeva per porre fine alle fatiche degli uomini.
Il rabbino sospirò; come fuggono i giorni, con che rabbia, come uno
scaccia l'altro; il giorno si leva, cade la notte, il sole passa, le lune passano,
i bambini diventano uomini, i capelli neri diventano bianchi, il Mar Rosso,
la terra, le montagne si sbriciolano, e Colui che è atteso ancora non appare!
«Mio figlio», disse Maria con voce tremante. «Mio figlio, vecchio... ?»
«Non è come gli altri figli, Maria», rispose deciso il rabbino.
Soppesò nuovamente le parole, poi aggiunse: «Talvolta la notte, quando
è solo e crede che nessuno lo veda, ha un ala ne attorno al viso, nell'oscu-
rità. Io, che Dio mi perdoni, ho fatto un piccolo buco, in alto, sul muro;
salgo su e da lì lo vedo, e spio quello che fa. Perché, te lo dico, ne ho la
testa confusa, la mia sapienza non serve a nulla, apro e richiudo le Scrit-
ture, non riesco a capire che cosa è, chi è... Lo guardo di nascosto e, nel-
l'oscurità, distinguo una luce, Maria, che gli sfiora, gli divora il viso. E per-
ciò che ogni giorno diventa più pallido e si consuma; non è una malattia,
non è la preghiera né il digiuno; no, è quella luce che lo divora».
Maria sospirò. «Disgraziata la madre che ha un figlio che non è come
gli altri...» pensò, ma rimase in silenzio.
Il vecchio si chinò verso la donna, abbassò la voce, le sue labbra brucia-
vano.
«Ti saluto, o Maria», disse. «Dio è onnipotente, i suoi disegni sono im-
penetrabili, tuo figlio, forse...» Ma l'infelice madre gettò un grido:
«Abbi pietà di me, vecchio! Un profeta? No! No! Se Dio così ha scritto,
che lo cancelli! Voglio che sia un uomo come gli altri. Che pure lui fab-
brichi, come un tempo suo padre, madie, culle, aratri, utensili per le case e
non, come ora, delle croci per crocifiggere gli uomini. Che sposi una brava
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giovane di famiglia onorata, con una dote, che ami portare provviste nella
sua casa, che abbia dei figli e che il sabato usciamo tutti insieme a pas-
seggio, la nonna, i bambini; i nipotini e che la gente ci ammiri».
Il rabbino si appoggiò con fatica al bastone e si alzò.
«Maria», disse severamente, «se Dio ascoltasse le madri, ammuffirem-
mo nel benessere e nella sicurezza; pensa a tutto ciò che abbiamo detto,
ora che rimani sola.»
Si voltò verso il fratello per augurargli la buona notte; e lui, con i suoi
occhi azzurri diventati sereni, con la lingua fuori, fissava lo sguardo nel
vuoto, sforzandosi di parlare. Maria scosse il capo.
«Da stamattina lotta», disse, «e non è ancora riuscito a liberarsi.» Gli si
avvicinò e gli asciugò la saliva che colava da quella bocca storta.
Nell'istante in cui il rabbino tendeva la mano per augurare la buonanotte
a Maria, la porta si aprì e il figlio apparve sulla soglia. La notte era fonda,
non si vedevano i suoi piedi pieni di polvere, coperti di graffi, né le grosse
lacrime che gli scavavano dei solchi sulle guance.
Entrò, si guardò velocemente attorno, vide il rabbino e la madre e,
vicino al muro, gli occhi vitrei del padre.
Maria fece il gesto di accendere la lampada, ma il rabbino la fermò.
«Aspetta», disse, «voglio parlargli.»
«Gesù», disse teneramente a bassa voce, affinché la madre non udisse,
«Gesù, figlio mio, fino a quando Gli terrai testa?»
Si udì allora un grido selvaggio e la casetta ne fu scossa: «Fino a
quando morirò!»
E di colpo, come se tutta la sua forza fosse venuta a mancare, si acca-
sciò in terra; si appoggiò contro il muro, ansimando, senza fiato. Il vecchio
rabbino stava ancora per parlargli, si chinò su di lui, ma di colpo fece un
salto indietro: come se si fosse avvicinato a un gran fuoco, si era bruciato
il viso. «É Dio che lo circonda», pensò, «è Dio e non lascia che nessuno gli
si avvicini; bisogna che me ne vada.»
Il rabbino se ne andò, meditabondo, chiudendosi la porta dietro le spal-
le. Maria, come temendo una bestia feroce in agguato nell'ombra, non osa-
va accendere la luce. In piedi al centro della stanza udiva il marito sin-
ghiozzare, perso, e il figlio, accasciato al suolo con il fiato mozzo, respi-
rare ansimando di terrore come se soffocasse o venisse soffocato. Ma chi
lo soffocava? L'infelice madre, le unghie conficcate nel viso, chiedeva, ri-
chiedeva, si lamentava con Dio. «Sono madre», gridava, «non hai pietà di
me?» Ma nessuno rispondeva.
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E mentre, immobile e silenziosa, Maria udiva il palpitare di tutte le vene
del suo corpo, si udì un grido selvaggio e trionfale: la lingua del paralitico
si era sciolta e, sillaba dopo sillaba, l'intera parola finì per uscire dalla boc-
ca storta e la casa ne rimbombò tutta: A - DO - NA - I! Appena pronuncia-
ta, il vecchio piombò nel sonno come una pietra.
Maria si armò di coraggio e accese la lampada; si avvicinò al camino,
s'inginocchiò, alzò il coperchio della pentola d'argilla che stava bollendo
per vedere se c'era abbastanza acqua, se bisognava aggiungere sale...
Sopra di lui il cielo scintillava e la terra, sotto di lui, Io feriva con le sue
pietre e le sue spine. Aveva steso le braccia e si dimenava come se la terra
intera fosse stata una croce ed egli, urlante, fosse stato crocifisso su di
essa.
La notte passava su di lui con il suo corteo glorioso e familiare, le stelle,
gli uccelli notturni, i cani che abbaiavano nelle aie mentre facevano la
guardia ai loro padroni. Faceva freddo, tremava. Talvolta si abbandonava
per un istante al sonno, ritrovandosi subito altrove, fra paesaggi caldi e
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lontani, ma poi tornava in terra su quei sassi.
Poco prima di mezzanotte udì un allegro suono di sonagli sulla collina
e, dietro ai sonagli, la canzone lamentosa di un cammelliere. Udì qualcuno
parlare, sospirare, e poi una voce di donna, chiara e fresca, sorse nella not-
te. Subito dopo il sentiero divenne nuovamente muto...
A mezzanotte, su un cammello dalla sella d'oro, con il viso straziato dal-
le lacrime, con sulle guance belletti seccati e diventati fango, passò Mad-
dalena.
Dai quattro punti del mondo erano giunti dei ricchi mercanti e non
avendola trovata né al pozzo, né nella sua baracca, avevano mandato un
cammelliere con un cammello tutto bardato d'oro perché gliela portasse in
fretta. Il loro cammino era stato molto lungo, pieno di ostacoli, ma ave-
vano impresso nella mente il corpo di una donna di Magdala e si erano fat-
ti coraggio. Non l'avevano trovata, avevano mandato il loro cammelliere a
cercarla e adesso erano seduti, in fila, nel cortile, e aspettavano.
A poco a poco i sonagli svanivano nella notte, s'addolcivano, e ora il
figlio di Maria poteva udirli come un sorriso delicato, come un getto d'ac-
qua in un fresco giardino che con il suo sciacquio pronunciava tenera-
mente il suo nome; e così, dolcemente, voluttuosamente, seguendo il tin-
tinnio dei sonagli, il figlio di Maria scivolò di nuovo nel sonno.
Fece un sogno: il mondo gli apparve come una prateria verde e fiorita e
Dio come un piccolo pastore bruno con due corna ricurve, tenere, appena
spuntate. Stava seduto vicino a una fontana e suonava il flauto; il figlio di
Maria non aveva mai sentito una musica così dolce, così accattivante. Dio,
il giovane pastore, suonava. Zolla dopo zolla, la terra fremeva, si smuo-
veva, ondeggiava, prendeva vita e all'improvviso la prateria fu coperta da
graziose cerbiatte ornate dalle loro corna. Dio si chinò, guardò l'acqua e la
fontana si riempì di pesci; alzò gli occhi verso gli alberi e le foglie si arro-
tolarono su se stesse; il suono del flauto divenne più acuto e due insetti,
grandi come uomini, uscirono dalla terra e cominciarono ad abbracciarsi
sull'erba novella: rotolavano da un punto all'altro della prateria, si accop-
piavano, si separavano, si accoppiavano di nuovo, ridevano senza pudore,
prendevano in giro il pastore e fischiavano. Il pastore staccò il flauto dalle
labbra. Guardava la coppia insolente e oscena e, di botto, non ce la fece
più: con un gesto deciso spezzò il flauto sotto il suo piede e, in un sol
colpo, cerbiatte, uccelli, alberi, acqua e la coppia aggrovigliata sparirono...
Il figlio di Maria lanciò un urlo e si svegliò, ma nello stesso istante in
cui si svegliò, ebbe il tempo di vedere due corpi uniti, un uomo e una
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donna, precipitare nel più profondo di se stesso. Sì alzò di scatto, ter-
rorizzato.
«Ma c'è dunque tanto fango, tanta sporcizia, in me?» Sciolse la sua
cintura di cuoio con i chiodi, gettò a terra i vestiti e si mise a frustare,
senza pietà, senza emettere un gemito, le cosce, la schiena e il viso. Sentì il
suo stesso sangue scorrere e si sentì sollevato.
Il giorno cominciava, le stelle si spegnevano, l'aria fredda del mattino
gli penetrava fin nelle ossa. Sopra di lui il cedro si riempì di ali e di cin-
guettii. Si guardò attorno: l'aria era vuota, alla luce del giorno la Maledi-
zione di bronzo dalla testa d'aquila era diventata di nuovo invisibile.
«Bisogna che me ne vada, che fugga», pensò, «non devo entrare a Mag-
dala, che sia maledetta! Andrò dritto nel deserto e mi rintanerò nel mona-
stero: laggiù ammazzerò la carne e la farò diventare spirito.»
Allungò la mano, carezzò il vecchio tronco del cedro e sentì l'anima
dell'albero risalire dalle radici e diffondersi fino nei rami più alti e più
inaccessibili.
«Addio, fratello», mormorò, «mi son coperto di vergogna, questa notte
sotto il tuo tetto; perdonami.»
Quindi, estenuato, la mente invasa da lugubri presentimenti, si mise a
scendere per il sentiero.
Raggiunse la strada principale; la pianura si stava svegliando, i primi
raggi di sole cominciavano a scendere e coprivano d'oro le aie ricolme.
«Bisogna che non passi da Magdala», mormorò ancora, «ho paura...» Si
fermò per pensare da dove poteva prendere la scorciatoia per arrivare al
lago. Imboccò il primo sentierino che trovò sulla sua destra. Sapeva che
Magdala era a sinistra e il lago a destra, e proseguì con passo deciso.
Camminava, camminava, il suo spirito navigava da Maddalena la pro-
stituta a Dio, dalla croce al Paradiso, dal padre e dalla madre ai lontani
oceani, alle terre lontane, alle migliaia di facce d'uomini bianchi, gialli,
neri. Non era mai uscito da Israele, ma fin dall'infanzia, nella casetta del
padre, soleva chiudere gli occhi e il suo spirito si lanciava, come sparviero
addestrato alla caccia con i suoi sonagli, di città in città, di mare in mare e
urlava di gioia. Non cacciava, il suo corpo giocava, si liberava dalla carne,
saliva in cielo, non desiderava altro.
Camminava, camminava; il sentiero faceva delle curve, girava e rigira-
va fra le vigne, arrivava negli oliveti e risaliva ancora. Il figlio di Maria lo
seguiva, come si segue un filo d'acqua che cola o la canzone triste e mono-
tona d'un cammelliere. Tutto quel viaggio gli pareva un sogno, il suo piede
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sfiorava appena il terreno, depositandovi leggero la sua impronta: le cin-
que dita, il tallone. Gli ulivi agitavano i rami pesanti di frutti e gli davano
il benvenuto; i grappoli d'uva pendevano, toccavano la terra e i loro chic-
chi cominciavano a brillare; le ragazze che passavano, con i loro fazzoletti
bianchi e i polpacci solidi, dorati dal sole, lo salutavano gentilmente.
Talvolta, quando non c'era anima viva sul sentiero, udiva di nuovo die-
tro di sé il rumore dei pesanti piedi nudi, un riflesso bronzeo scintillava e
si spegneva nell'aria, quella risata cattiva scoppiava di nuovo sul suo capo;
ma il figlio di Maria era paziente, s'avvicinava alla sua liberazione, presto
avrebbe scorto di fronte a sé il lago e, al di là delle acque azzurre, fra le
rocce rosse, appeso come un nido d'aquile, il monastero...
Mentre seguiva il sentiero e la sua mente vagava, all'improvviso si
fermò impaurito: sotto di lui, racchiusa fra palme come in una nicchia ben
protetta, si stendeva Magdala. Il suo spirito lottava, non voleva tornare in-
dietro, ma le sue gambe sembravano condurlo verso il ritiro maledetto,
pieno di profumi, di Maddalena.
«Non voglio! Non voglio!» mormorò spaventato, ma il suo corpo oppo-
neva resistenza, restando immobile come un cane da presa.
«Bisogna che me ne vada», decise ancora dentro di sé, ma rimase in-
chiodato sul posto. Guardava il vecchio pozzo con la vera di marmo, le ca-
sette pulite, imbiancate a calce; i cani abbaiavano, le galline starnazzavano,
le donne ridevano, dei cammelli carichi, in ginocchio attorno al pozzo,
ruminavano... «Devo vederla, devo vederla», udì una flebile voce dentro di
sé, «è indispensabile, devo vederla. È Dio che guida i miei passi, Dio e non
la mia mente, devo gettarmi ai suoi piedi e chiederle perdono... È colpa
mia! Prima di entrare nel monastero e rivestire la tunica bianca, bisogna
che le domandi perdono o non potrò esser salvato... Signore, ti ringrazio di
avermi condotto dove non volevo andare!»
Si sentì contento, strinse la sua cintura e si mise a scendere verso Mag-
dala.
Attorno ai pozzi, sdraiati sul ventre, una mandria di cammelli che ave-
vano appena mangiato, ruminavano lentamente, pazientemente; erano an-
cora carichi, dovevano essere arrivati da paesi lontani, profumati, nell'aria
vi era odore di spezie.
Si fermò al pozzo. Una vecchia che stava attingendo dell'acqua gli tese
la brocca ed egli bevve; stava per chiedere se Maria era a casa, ma ne ebbe
vergogna. «È Dio che mi ha spinto verso la sua casa; devo avere fiducia,
sarà certo qui», pensò e prese il sentiero ombreggiato. Vi erano molti stra-
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nieri, alcuni indossavano tuniche bianche come quelle dei beduini, altri
preziose vesti indiane. Si aprì una porticina, e apparve una grassa matrona
dall'immenso sedere e con dei baffi neri; lo vide e scoppiò a ridere.
«Ehi, benvenuto figliolo! Vuoi fare anche tu le tue devozioni?» gridò e
richiuse la porta sogghignando.
Il figlio di Maria arrossì, ma ebbe pazienza. «Bisogna che io cada ai
suoi piedi», si disse, «e che le chieda perdono.»
Affrettò il passo, la casa era all'estremità opposta del villaggio, in mez-
zo a un giardinetto di melograni. Se ne ricordava bene: una porta verde a
un solo battente, sulla quale uno dei suoi amanti, un beduino, aveva dipin-
to due serpenti intrecciati, uno bianco, l'altro nero; sopra la porta una gran-
de lucertola gialla crocifissa.
Perse la strada, percorse viottoli e stradine, aveva vergogna di chiedere;
era quasi mezzogiorno e si fermò all'ombra di un ulivo per riprendere for-
za. Passò un ricco mercante con la barba nera e ricciuta, gli occhi à man-
dorla, le dita cariche di anelli, e un intenso odore di muschio. Il figlio di
Maria lo seguì.
«Dev'essere un angelo di Dio», si disse mentre lo seguiva e ammirava
l'eleganza del suo portamento e il tessuto prezioso, con ricami di uccelli e
fiori delicati, che gli ricopriva le spalle. «Dev'essere un angelo di Dio, ed è
sceso per mostrarmi il cammino.»
Il giovane signore straniero percorreva con decisione le stradine tortuo-
se e giunse velocemente alla porta verde con i due serpenti intrecciati. Una
vecchietta vi era seduta davanti, su uno sgabello. Aveva acceso un fornello
e faceva cuocere dei granchi; di fianco, su un gran piatto, c'erano delle
polpettine calde di ceci ben pepati e semi di zucca arrostiti.
Il giovane patrizio si chinò, tese alla vecchia una moneta d'argento ed
entrò. Il figlio di Maria lo seguì.
In fila, nel cortile, quattro mercanti erano seduti in terra a gambe incro-
ciate; due vecchi con le unghie e le ciglia tinte, due giovani dalle barbe e i
baffi neri come l'ebano. Fissavano tutti lo sguardo sulla porticina chiusa,
sulla camera di Maria. Di tanto in tanto, dall'interno, provenivano un grido,
un singhiozzo, una risata, le tavole di legno che scricchiolavano; gli uomi-
ni in attesa, allora, interrompevano la conversazione appena iniziata e cam-
biavano nervosamente di posizione, turbati.
Il beduino non la finiva più, era entrato da molto e ci stava mettendo
tanto tempo. Nel cortile giovani e vecchi avevano fretta. Il giovane signore
indiano si sedette al suo posto nella fila e, dietro di lui, il figlio di Maria.
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C'era un grande melograno al centro del cortile, carico di frutti; ai due
lati della porta due solidi cipressi, uno maschio, dritto come una spada, e
l'altro femmina, con i rami stesi e spiegati; al melograno era appesa una
gabbia di paglia con dentro una pernice dorata che svolazzava da sinistra a
destra, beccando e schiamazzando.
Gli uomini in attesa mangiavano dei datteri, mordicchiavano noci mo-
scate per profumarsi la bocca e chiacchieravano fra loro per far passare il
tempo. Si girarono, salutarono il giovane signore e guardarono con dis prez-
zo il figlio di Maria, poveramente vestito.
Il primo vecchio disse, sospirando: «Non esiste un martirio più grande
del mio: sono davanti al Paradiso e la porta è chiusa».
Un giovane, con anelli d'oro alle caviglie si mise a ridere.
«Trasporto delle spezie dall'Eufrate e le porto fino al grande mare;
vedete quella pernice davanti a voi con gli artigli rossi? Ebbene, io offrirò
un carico di cannella e di pepe per comprare Maria, metterla in una gabbia
d'oro e portarmela via. Allora, fate presto ciò che dovete fare, miei giovani
amici, perché non ci sarà una prossima volta.»
«Ti ringrazio, ragazzo mio», disse allora un altro vecchio che aveva la
barba profumata, e le mani sottili e nobili. «Ti ringrazio, ciò che hai appe-
na detto renderà ancor più saporito il gusto del suo amore.»
Il giovane signore aveva abbassato gli occhi dalle folte ciglia, dondola-
va lentamente il busto e muoveva le labbra come se stesse pregando; si era
già immerso, prima di entrare in Paradiso, nella beatitudine eterna. Udiva
la pernice schiamazzare, le voci e gli scricchiolii dentro alla camera chiusa
a chiave e la vecchia, sulla porta, che gettava sulla brace granchi vivi che
saltavano...
«Ecco il Paradiso», pensava agitato, «ecco il sonno pesante che chia-
miamo vita, durante il quale sognamo il Paradiso. Non esiste altro Paradi-
so. Posso, in questo stesso istante, alzarmi e andarmene, perché non ho
bisogno di altra gioia...»
Un uomo imponente, con un turbante verde in testa, seduto davanti a
lui, gli toccò un ginocchio e si mise a ridere.
«Mio giovane signore», gli disse. «Che cosa pensa il tuo Dio di tutto
ciò?»
Il giovane spalancò gli occhi:
«Come, di tutto ciò?»
«Ebbene, gli uomini, le donne, i granchi, l'amore...»
«Che è tutto un sogno, fratello.»
70
«Allora attenti, miei giovani amici», esclamò il vecchio dalla barba
bianca che in quel momento stava sgranando un rosario d'ambra, «attenti a
non svegliarvi!»
La porticina si aprì e ne uscì il beduino, con gesti lenti e gli occhi gonfi,
leccandosi i baffi. Era il turno del vecchio che si alzò di colpo, agile come
un giovane di vent'anni.
«Coraggio, entra, vecchio e, per l'amor di Dio, fai presto!» gridarono gli
altri tre che venivano dopo di lui.
Ma quello avanzava togliendosi la cintura, e si richiuse la porta alle
spalle.
Gli uomini, adesso, guardavano il beduino con gelosia, senza neppure
osare parlare. Sentivano che navigava molto lontano, in acque profonde, e
infatti non si girò neppure indietro a guardarli. Attraversò il cortile con
passi incerti, arrivò alla porta della strada e fu sul punto di rovesciare il
fornello, quindi si perse nelle stradine tortuose. Allora, per cercare di cam-
biare argomento, l'uomo dal turbante verde si mise a parlare di leoni, di
mari caldi e di isole lontane, fatte di corallo... così, senza capo né coda.
Il tempo passava. Si udivano i grani d'ambra del rosario urtarsi dolce-
mente, soavemente, mentre gli occhi restavano fissi sulla porticina bassa; il
vecchio tardava, tardava moltissimo a ricomparire...
Il giovane signore indiano si alzò, felice, e tutti si voltarono, sorpresi.
Perché si era alzato? Non avrebbe atteso di stringerla fra le braccia? Sareb-
be andato via? Il viso gli risplendeva, le guance sembravano più sottili. Si
strinse nel mantello, mise la mano sulle labbra e sul cuore, salutò e come
un'ombra attraversò la porta.
«Si è risvegliato...» disse il giovane con gli anelli d'oro alle caviglie;
stava per mettersi a ridere, ma tutti, improvvisamente, furono presi da uno
strano senso di paura e si misero a parlare precipitosamente di mercati di
schiavi ad Alessandria e a Damasco, di perdite e di guadagni... Ma, dopo
poco, ripresero le loro chiacchiere sconce sulle donne e i ragazzi; tiravano
fuori la lingua e si leccavano i baffi.
«Signore, Signore!» mormorò il figlio di Maria. «Dove mi hai con-
dotto? In quale cortile? Per prendere il mio turno dopo quegli uomini? È
questa la più grande vergogna, dammi la forza di sopportarla!»
La fame vinse gli uomini e uno di loro chiamò la vecchia che distribuì il
pane, i granchi e i ceci; portò pure una gran brocca di vino di datteri. Sem-
pre seduti con le gambe incrociate, posarono il cibo in mezzo a loro e si
misero a lavorare di mascelle. Uno di essi ebbe voglia di scherzare e gettò
71
un grosso guscio di granchio contro la porta, gridando: «Ehi, vecchio, fai
in fretta!» Tutti scoppiarono a ridere.
«Signore, Signore!» mormorò ancora il figlio di Maria. «Dammi la
forza di non andarmene fino a quando sarà giunto il mio turno!»
Il vecchio dalla barba profumata si voltò verso di lui con aria di pietà e
gli disse:
«Ehi, ragazzo, tu non hai fame, non hai sete? Avvicinati, mangia qual-
cosa per prender forza».
«Sì, per prender forza, infelice», disse ridendo il colosso con il turbante
verde. «Così quando sarà il tuo turno, non farai sentir vergogna a noialtri
uomini!»
Il figlio di Maria arrossì, abbassò il capo e tacque.
«Eccone un altro che sogna», disse il vecchio scuotendo la barba che si
era riempita di mollica di pane e di pezzetti di granchio. «Sogna, per San
Belzebù. Ricordate ciò che vi dico, eccone un altro che si alzerà e se ne
andrà!»
Il figlio di Maria, preso dal terrore, si guardò attorno. Aveva forse ragio-
ne l'Indiano a dire che tutto quello, i cortili, i melograni, i fornelli, le perni-
ci, gli uomini, altro non erano che un sogno? Era forse ancora sotto il ce-
dro a sognare?
Si girò, come per cercare aiuto, e sulla porta della strada, in piedi, di
fronte al cipresso maschio, vestita di bronzo, tutta armata, immobile, vide
la sua compagna con la testa d'aquila e, per la prima volta, guardandola, si
sentì rassicurato e sollevato.
Il vecchio, ansimando, uscì e fu l'uomo dal turbante verde a entrare.
Passarono ore e fu la volta del giovane con anelli d'oro alle caviglie, quindi
quella del vecchio con il rosario d'ambra. Il figlio di Maria rimase solo, nel
cortile, ad aspettare. Il sole tramontava e due nuvole, che passavano in alto
nel cielo, si fermarono e si tinsero d'oro; una leggera nebbia dorata cadde
sugli alberi, sui visi degli uomini e sulla terra.
Il vecchio dal rosario d'ambra uscì, si fermò un attimo sulla soglia, si
asciugò gli occhi, il naso e le labbra bagnate si trascinò, ricurvo, verso la
porta.
Il figlio di Maria si alzò; si girò verso i cipressi, e la sua compagna si
mosse pure lei per seguirlo. Stava per parlarle, per supplicarla: aspettami
fuori, voglio restare solo, non fuggirò, ma, lo sapeva, avrebbe parlato inva-
no, e rimase muto. Strinse la cinghia in vita, alzò gli occhi, vide il cielo,
esitò ma poi udì una voce roca e incollerita giungere dalla camera: «C'è
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ancora qualcuno? Che entri!» Era Maddalena che chiamava. Radunò tutte
le sue forze avanzò; la porta era socchiusa, entrò tremando.
Maddalena, distesa sul letto, completamente nuda, in un bagno di sudo-
re, i capelli sparsi sui cuscini, le braccia piegate sotto la testa, il viso girato
verso il muro, sbadigliava. Era stanca d'aver lottato con gli uomini dall'-
alba; il suo corpo, i capelli e le unghie erano impregnati di profumi di tutti
i paesi; la braccia, il petto e i seni erano coperti di morsi..
Il figlio di Maria abbassò gli occhi. Era rimasto in piedi in mezzo alla
camera e non riusciva ad avanzare. Maddalena, il viso rivolto al muro,
immobile, aspettava, ma non udì alle sue spalle nessun borbottare d'uomo
che si sveste, nessun respiro ansimante. Ebbe paura, girò bruscamente la
testa per guardare e gettò un grido, afferrò il lenzuolo e vi si avvolse den-
tro.
«Tu! Tu!» gridò e si coprì con le mani occhi e bocca.
«Maria», lui disse, «perdonami.»
Roca, stridula, come se tutte le fibre della sua gola si stessero rom-
pendo, Maria scoppiò in una risata.
«Maria», ripeté, «perdonami.»
Allora lei si rizzò sulle ginocchia, strettamente avvolta nel lenzuolo e
alzò il pugno:
«È per questo che sei venuto, ragazzo mio? È per questo che ti sei me-
scolato ai miei amanti, per prendermi in giro, per entrare nella mia casa?
Per vedermi qui, fra le mie lenzuola ancora calde, spauracchio di Dio?
Arrivi tardi, più che tardi, ragazzo mio. E del tuo Dio me ne infischio, m'ha
spezzato il cuore!»
Parlava, gemeva, e il suo petto, nella collera, palpitava sotto il lenzuolo.
«M'ha spezzato il cuore!... M'ha spezzato il cuore...» gemette ancora, e
due lacrime le sprizzarono dagli occhi restandole attaccate alle ciglia.
«Non bestemmiare, Maria, la colpa è mia, non di Dio. È per questo che
sono venuto, per chiederti di perdonarmi.»
Maddalena scoppiò:
«Il tuo Dio ha la tua brutta faccia, siete una cosa sola tutti e due, non ve-
do la differenza. Quando arriva, di notte, mentre penso a lui - maledetto
quel momento! - guarda, è proprio così, è con la tua faccia che viene su di
me, nel buio. E se succede - maledetto quel momento! - che io t'incontri
per strada, mi pare di vedere ancora Dio che si getta su di me».
Tese il pugno.
«Lascia stare Dio», gridò, «vattene e che non ti veda più. Non ho che un
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solo rifugio, una sola consolazione, è il fango! Una sola sinagoga in cui
entrare per pregare e per purificarmi, ed è il fango!»
«Maria, ascolta, lasciami parlare, non disperarti. È per questo che sono
venuto, sorella mia, per tirarti fuori dal fango. I miei peccati sono numero-
si e vado nel deserto per espiarli; i miei peccati sono numerosi, ma il più
pesante è la tua infelicità, Maria.»
Maddalena, con rabbia, parve voler graffiare con le sue unghie appunti-
te il visitatore inatteso, quasi volesse lacerargli le guance.
«Che infelicità?» gridò. «La mia vita è felice, molto felice, non ho biso-
gno che la tua santità mi compianga! Lotto da sola e non chiedo aiuto né
agli uomini, né ai demoni, né a Dio. Lotto per liberarmi e mi libererò.»
«Liberarti da chi, da che cosa?»
«Non dal fango, come tu credi, che esso sia benedetto! È in esso che
son riposte tutte le mie speranze, per me è la strada della liberazione.»
«Il fango?»
«Il fango, la vergogna, la sporcizia, questo letto che vedi, il corpo che
vedi, morsicato, insozzato da tutte le salive, i sudori, le sporcizie del mon-
do! Non mi guardare cosi, con i tuoi occhi da pecora affamata, non avvi-
cinarti, vigliacco! Non voglio saperne di te, mi fai schifo, non toccarmi.
Per dimenticare un uomo, per liberarmi, mi sono data a tutti gli uomini.»
Il figlio di Maria abbassò il capo.
«È colpa mia», ripeté con voce soffocata. Afferrò la cinghia che gli ser-
viva da cintura, ancora chiazzata di macchie di sangue. «È colpa mia, per-
donami, sorella, ma pagherò il mio debito.»
Una risata selvaggia lacerò nuovamente la gola della donna.
«'È colpa mia... è colpa mia, sorella... sono io che ti salverò...' Beli così
pietosamente, invece di levare il capo come un uomo e di confessare la
verità. Brami il mio corpo, non osi dirlo e parli della mia anima; vuoi sal-
varla, come stai dicendo! Che anima, sventato? L'anima della donna è la
carne, lo sai, lo sai, ma non osi stringerla fra le mani, come un uomo,
quest'anima, per baciarla! Per baciarla e per salvarla! Mi fai compassione e
schifo!»
«Sette demoni ti possiedono, impudica!» gridò allora il giovane. Dalla
vergogna era arrossito fino alla radice dei capelli. «Il tuo povero padre
aveva ragione!»
Maddalena sussultò, raccolse i capelli con collera, li arrotolò e li legò
con un nastro di seta rossa. Restò in silenzio per un po'. Alla fine le sue
labbra si mossero:
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«Non sono sette demoni, figlio di Maria, non sono sette demoni, sono
sette piaghe; la donna è una cerbiatta ferita che non ha altra gioia, disgra-
ziata lei, che quella di leccarsi le ferite...»
I suoi occhi si riempirono di lacrime. Se le asciugò bruscamente, con il
palmo della mano e si lasciò andare.
«Perché sei venuto qui e resti accanto al mio letto? Che cosa vuoi da
me? Vattene!»
Il giovane fece ancora un passo, si avvicinò:
«Maria, ricorda quand'eravamo ancora bambini...»
«Non mi ricordo! Che specie di uomo sei? Fino a quando ti colerà la
bava, non hai vergogna? Non hai mai avuto il coraggio di startene in piedi,
da solo, come un uomo, e di non aver bisogno di nessuno; o ti appendi alle
sottane di tua madre, o alle mie, o a quelle di Dio! Non puoi rimanere solo,
perché hai paura, non osi guardare la tua anima in faccia, e neppure il tuo
corpo, perché hai paura! Hai paura, hai paura, povero disgraziato. Mi fai
schifo, mi fai pietà e, quando penso a te, mi si spezza il cuore!»
Non ne poteva più e scoppiò in singhiozzi. Si asciugò gli occhi con
rabbia, ma il suo belletto non smetteva di venir giù con le lacrime e di
sporcare le lenzuola.
Il cuore del giovane palpitò. Ah! se non avesse avuto paura di Dio
l'avrebbe presa fra le braccia, le avrebbe asciugato le lacrime e accarezzato
i capelli per calmarla, e poi se ne sarebbe andato via con lei!
Solo così avrebbe potuto salvarla, non con preghiere e digiuni nei mo-
nasteri. Che cosa se ne sarebbe fatta lei, di quelli, come avrebbero potuto
salvarla? Portarla via da quel letto, andarsene con lei, aprire una bottega in
un villaggio lontano, vivere come marito e moglie, avere dei bambini, sof-
frire, essere felice, come tutti gli uomini... Ecco la strada della salvezza per
la donna, la salvezza a fianco dell'uomo. Non ne esisteva altra!
La notte scendeva. Si udirono dei colpi di tuono in lontananza, un lam-
po entro dalla fessura della porta e, per un istante, illuminò il viso livido di
Maria. Si udì nuovamente il tuono, più vicino. Il cielo si abbassava sulla
terra, carico d'angoscia. Il giovane provò, di colpo, una grande stanchezza,
le ginocchia gli si piegarono e sedette in terra, con le gambe incrociate. Un
odore nauseante lo colpì in pieno viso, un odore di muschio, di sudore, di
caprone, e si strinse la gola con la mano per non vomitare.
Udì la voce di Maria, nell'oscurità:
«Gira la testa, devo scendere per accendere la lampada e sono nuda».
«Me ne vado», disse il giovane a bassa voce. Radunò tutte le sue forze e
75
si alzò.
Ma Maria fece finta di non aver inteso:
«Guarda se c'è ancora qualcuno nel cortile; digli di andar via».
Il giovane aprì la porta e mise fuori la testa. L'aria era diventata scura,
grosse gocce di pioggia, rade, picchiettavano sulle foglie del melograno, il
cielo pesava sulla terra come se stesse per cadere.
La vecchia, con il fornello acceso, si era riparata contro il cipresso,
mentre le gocce cadevano sempre più fitte.
«Nessuno», disse il giovane. Chiuse svelto la porta. Il temporale, ades-
so, era scoppiato in pieno.
Maddalena, intanto, si era alzata dal letto e si era avvolta in un caldo
scialle di lana ricamato con figure di leoni e cerbiatte. Gliel'aveva regalato,
quel mattino, uno dei suoi amanti, un arabo.
Le sue spalle e la schiena ricevettero con piacere il dolce calore del-
l'indumento. Si rizzò sulla punta dei piedi e staccò la lampada dal muro.
«Nessuno», ripeté il giovane, con tono raddolcito. «E la vecchia?»
«È sotto il cipresso. È scoppiato il temporale.» Maria si precipitò nel
cortile, scorse il fornello acceso, si avvicinò.
«Vecchia Noemi», disse allungando la mano verso il catenaccio della
porta, «prendi il tuo fornello e i tuoi granchi e vattene. Metto il catenaccio,
stasera non ricevo più nessuno!»
«Hai il tuo amante dentro?» sibilò la vecchia, furiosa di perdere i suoi
clienti notturni.
«Sì», rispose Maria, «è dentro, vattene!»
La vecchia si alzò borbottando e radunando i suoi utensili.
«Bella roba quel ragazzo! Uno straccione...» bisbigliò in tono di scher-
no. Ma Maria la spinse via, aveva fretta; chiuse bene la porta che dava sul-
la strada. Il cielo si era aperto e si rovesciava per intero nel cortile. Gridò
di gioia, come quando era bambina e guardava le prime piogge; quando
rientrò, il suo scialle era inzuppato.
Il giovane si fermò, indeciso, in mezzo alla camera. Andare via? Resta-
re? La sua mente vaneggiava...
«Gesù, piove a catinelle; certamente è tutto il giorno che non mangi;
aiutami ad accendere il fuoco, prepareremo qualcosa...»
La sua voce era tenera e premurosa, come quella di una madre.
«Me ne vado», disse il ragazzo, girandosi verso la porta.
«Rimani a mangiare con me», disse Maddalena come impartendo un or-
dine. «Ti fa schifo? Hai paura di sporcarti a mangiare con una prostituta?»
76
Il giovane si chinò sul focolare, davanti agli alari; prese dei ceppi e del-
le fascine ammucchiati in un angolo e accese il fuoco.
Maddalena sorrideva, si era ammansita. Versò dell'acqua in una marmit
ta e la posò sugli alari; prese da un sacco appeso al muro due grosse man-
ciate di fave e le gettò nell'acqua. Si inginocchiò davanti al fuoco acceso e
tese l'orecchio; fuori il cielo dava libero sfogo alle sue cateratte.
«Gesù», disse allora a voce bassa, «mi hai domandato se mi ricordavo
di quando eravamo piccoli e giocavamo...»
Ma il giovane, inginocchiato pure lui davanti al focolare, fissava il fuo-
co mentre il suo spirito vagava lontano. Come se avesse già raggiunto il
monastero del deserto e vestita la tunica immacolata, passeggiava per spazi
solitari e il suo cuore, come un pesciolino d'oro radioso, nuotava nelle
acque calme e profonde di Dio. Fuori c'era la fine del mondo, ma dentro
lui la pace, la tenerezza, la sicurezza.
«Gesù», udì nuovamente la voce accanto a lui, «mi hai chiesto se mi
ricordavo di quando eravamo piccoli e giocavamo insieme...»
Il viso di Maddalena risplendeva come ferro rovente, alla luce delle
fiamme. Ma il giovane, dall'abisso del deserto in cui era sprofondato, non
udì.
«Gesù», riprese la donna. «Tu avevi tre anni e io un anno più di te.
C'erano tre scalini davanti alla porta di casa mia, io ero seduta su quello
più alto e ti guardavo faticare per delle ore, cadere e rialzarti, senza riuscire
a salire nemmeno sul primo. E io non ti tendevo neppure la mano per
aiutarti: volevo che mi raggiungessi, ma che prima soffrissi molto... Ti
ricordi ?»
Un demone, uno dei sette demoni, la spronava a parlare per tentare
l'uomo.
«Dopo ore di sforzi riuscivi a issarti sul primo gradino e allora faticavi
per raggiungere il secondo... poi il terzo, dove io ero seduta, immobile, ad
aspettarti. Dopo...»
Il giovane trasalì, tese una mano.
«Taci», gridò, «non continuare!»
Ma il viso della donna era raggiante, le fiamme le carezzavano le so-
pracciglia, le labbra, il mento, il petto scoperto. Prese un pugno di foglie
d'alloro e le gettò nel fuoco, sospirando.
«Dopo, mi prendevi per mano, mi prendevi per mano, Gesù. Entravamo
e andavamo a distenderci sulla ghiaia del cortile, univamo da punta a punta
le piante dei nostri piedi nudi, sentivamo il calore dei nostri due corpi me-
77
scolarsi, lo sentivamo salire dai piedi alle nostre cosce, dalle cosce alle
reni, chiudevamo gli occhi...»
«Taci», gridò ancora il giovane. Allungò una mano per chiuderle la
bocca, ma si trattenne, perché ebbe paura di toccare le sue labbra.
La donna abbassò la voce e sospirò.
«Non ho mai provato in tutta la mia vita dolcezza più grande», mor-
morò, poi aggiunse: «E questa dolcezza che cerco da allora, di uomo in uo-
mo, è questa dolcezza, Gesù, e non la ritrovo...»
Il giovane nascose il viso fra le ginocchia. «Adonai», mormorò, «Ado-
nai, vieni a soccorrermi!»
Nella camera calda e tranquilla non si udiva che il fuoco che divorava il
legno e fischiava e il cibo che stava cuocendo a fuoco lento e mandava un
buon odore; fuori l'acqua scrosciante si riversava dal cielo con fracasso, la
terra languida le offriva il suo seno.
«Gesù, a che cosa pensi ?» chiese Maddalena. Ora non osava più guar-
darlo in faccia.
«A Dio», rispose lui con voce soffocata, «a Dio, ad Adonai...»
Appena l'ebbe detto, si pentì d'aver pronunciato il suo santo nome in
quella casa.
Maddalena si rialzò di colpo, cominciò ad andare avanti e indietro fra il
focolare e la porta, il suo spirito si era scatenato.
«Eccolo», pensava, «eccolo il grande nemico, è lui che ci mette sempre
i bastoni fra le ruote, è cattivo, geloso, non ci concede di essere felici.» Si
fermò dietro alla porta e tese l'orecchio; il cielo tuonava, l'uragano furoreg-
giava, i melograni del cortile sbattevano uno contro l'altro al punto da
schiantarsi.
«Non piove più», disse.
«Me ne vado», disse il giovane e si alzò.
«Mangia prima, per prender forza; dove vuoi andare a quest'ora? È
notte profonda, piove.»
Staccò dal muro una stuoia rotonda e la distese in terra. Prese la mar-
mitta, aprì un armadietto scavato nel muro, ne tirò fuori un pezzo di pane
d'orzo abbrustolito e due piatti di terracotta.
«Ecco il pasto della prostituta», disse. «Se non ti ripugna, o uomo pio,
mangia.»
Il giovane aveva fame, allungò veloce una mano; la donna si mise a
ridere.
«Mangi così, senza nemmeno dire una preghiera? Per ringraziare Dio
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che dà il pane, le fave e le prostitute?» Il boccone quasi strozzò il giovane.
«Maria», disse. «Perché mi odi? Perché mi tenti? Guarda, stasera divido
il pane con te, ci siamo riconciliati; ciò che è fatto è fatto; perdonami. È
per questo che sono venuto.»
«Mangia, invece di piagnucolare. Prenditi il perdono con la forza, se
non ti viene accordato, sei un uomo.»
Ella prese il pane, Io divise, e poi scoppiò a ridere.
«Benedetto», disse, «il nome di Colui che concede al mondo il pane, le
fave e le prostitute. E i pii visitatori!»
Inginocchiati l'uno di fronte all'altra, sotto la luce della lampada, non
dissero più nulla; avevano fame tutti e due, avevano combattuto molto tutti
e due, mangiavano per riprender forza.
Fuori la pioggia cominciava a calmarsi. Il cielo ora splendeva, la terra
era sazia; non si udiva più che il gorgoglio dei ruscelli che scorrevano alle-
gramente sui ciottoli del villaggio.
Finirono il loro pasto; nella piccola madia vi era ancora un sorso di vi-
no, lo bevvero, e mangiarono pure dei datteri ben maturi. Rimasero a lun-
go in silenzio, guardando il fuoco che stava per spegnersi; la loro mente
andava e veniva, danzava al ritmo delle ultime faville.
Il giovane si alzò, mise altri ceppi nel focolare, faceva freddo. Madda-
lena prese ancora una manciata di foglie di alloro, le gettò nel fuoco, la
stanza cominciò a riempirsi di profumo. Andò alla porta e l'aprì; si era al-
zato il vento, le nuvole si erano già disperse e due grosse stelle risplen-
devano, limpide, sul cortile.
«Piove sempre?» chiese il giovane. Era ancora in piedi, il mezzo alla
stanza, indeciso.
Maddalena non rispose. Srotolò una stuoia, tirò fuori dal suo cassone
delle grosse coperte di lana e delle lenzuola, regali dei suoi amanti, e
preparò il giaciglio davanti al fuoco.
«Dormirai qui», disse. «Fa freddo, sì è alzato il vento ed è quasi mezza-
notte. Dove andrai? Gelerai; dormirai qui accanto al fuoco.»
Il giovane rabbrividì.
«Hai paura? Non aver paura, mia bianca colomba, non attenterò al tuo
candore.»
Mise altra legna sul fuoco e abbassò il lucignolo della lampada a olio.
«Dormi tranquillo», disse. «Domani avremo tutti e due imito da fare; tu
riprenderai la strada alla ricerca della tua liberazione e io prenderò un altro
cammino, il mio, per cercare io pure la mia liberazione. A ciascuno il pro-
79
prio cammino; mai più ci incontreremo. Buona notte!»
Si gettò sul letto e nascose la testa fra i guanciali. Per tutta la notte mor-
se le lenzuola per trattenersi dal gridare e dal piangere, con il timore che
l'uomo che dormiva accanto al fuoco potesse udirla, avesse paura e se ne
andasse. Lo udì respirare tranquillamente, con la serenità di un bimbo che
ha appena poppato. Ma lei rimase sveglia, gemeva piano con lunghi sin-
ghiozzi teneri che provenivano dal profondo e lo cullava come una madre.
Il mattino, all'alba, attraverso gli occhi socchiusi, lo vide alzarsi, strin-
gersi in vita la cinta di cuoio, aprire la porta e improvvisamente fermarsi.
Egli voleva partire, ma ora non lo voleva più. Il giovane si voltò, guardò il
letto, esitando fece un passo e si avvicinò. Non c'era ancora molto chiarore
nella camera; si chinò come se avesse voluto vederla, toccarla. La mano
sinistra era infilata nella cintura e con la destra si teneva il mento e la
bocca.
La donna, distesa, immobile, con i capelli che nascondevano il petto nu-
do, lo osservava attraverso le ciglia, con il corpo che le tremava.
Il giovane mosse appena le labbra:
«Maria...»
Nell'udire la propria voce, fu assalito dalla paura; in un balzo fu sulla
soglia, attraversò in fretta il cortile, aprì il catenaccio della porta...
Allora Maria Maddalena si alzò bruscamente sul letto, gettò le lenzuola
di lato, e si mise a piangere.
106
visto da qualche parte quella faccia livida, quella barbetta brizzolata e
quelle gambe storte. Di colpo lanciò un grido:
«Sei tu, Tommaso? Hai ripreso a girare per i villaggi?»
Il venditore ambulante, strabico e astuto, era adesso di fronte a lui,
ansimante; poggiò a terra il suo carico, si asciugò il sudore dalla fronte os-
suta e dagli occhi. Nessuno avrebbe potuto dire se quello sguardo asim-
metrico comunicasse allegria o se piuttosto si prendesse gioco di chi aveva
davanti.
Il figlio di Maria gli voleva bene; lo vedeva passare spesso davanti alla
sua bottega, con la tromba alla cintola. Qualche volta si fermava, appog-
giava il suo carico sul bancone e si metteva a parlare di tutto ciò che aveva
visto, scherzando, ridendo, prendendolo in giro. Non riponeva la sua fi-
ducia né nel Dio d'Israele né negli altri dei, è tutta una burla, diceva, e noi
intanto gli sacrifichiamo i nostri agnelli, bruciamo il nostro incenso e ci
sgoliamo a celebrare le loro virtù...
Il figlio di Maria l'ascoltava e si sentiva più sereno, ammirando la ge-
nialità di quel cervello che, malgrado tutta la povertà, la schiavitù e la
miseria della sua razza, trovava la forza, con il riso, di trionfare sulla
povertà, la schiavitù e la miseria.
Anche Tommaso, il venditore ambulante, amava il figlio di Maria; ve-
deva in lui un candido agnello sofferente, che cerca Dio e bela, tentando di
raggiungerlo.
«Sei un agnello», gli diceva spesso scoppiando a ridere, «sei un agnello,
figlio di Maria, ma hai dentro di te un lupo e quel lupo ti divorerà!»
Allora estraeva dalla sacca una manciata di datteri, una melagrana op-
pure una mela che aveva rubato negli orti e glieli regalava.
«È fortuna che io t'abbia incontrato», disse, quando riprese fiato. «Dio
deve volerti bene. Ma tu dove stai andando?»
«Al monastero», rispose l'altro, indicando con la mano un posto lonta-
no, oltre il lago.
«Allora è proprio fortuna che io t'abbia incontrato. Torna indietro!»
«Perché? Dio...»
Tommaso s'infuriò.
«Ti prego, non ricominciare con Dio, è impossibile incontrarlo. Si cam-
mina tutta la vita, si cammina tutta la morte per raggiungerlo, ma lui, bea-
to, è eterno. Allora lascialo stare, non mescolarlo alle nostre storie. Noi qui
abbiamo a che fare con dei banditi, con uomini astuti, capisci! Stai bene
attento a Giuda il Rosso! Prima di partire da Nazareth, l'ho visto com-
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plottare con la madre del crocifisso, poi con Barabba e con due o tre Zeloti
sgozzatori e ho udito il tuo nome: fai attenzione, figlio di Maria, non
andare al monastero!»
Ma l'altro chinò il capo.
«Tutti gli esseri viventi», disse, «sono nelle mani di Dio. Lui salva chi
vuole e lascia morire chi vuole. Che resistenza possiamo opporgli? Andrò
al monastero e che Dio mi protegga!»
«Vi andrai?» gridò Tommaso furioso. «Ma lo sai che Giuda, mentre io
sto qui a parlare con te, è già arrivato al monastero e ha un coltello na-
scosto nel petto? Hai un coltello, tu?»
Il figlio di Maria rabbrividì.
«No, a che cosa mi servirebbe?»
Tommaso scoppiò a ridere.
«Agnello... agnello... agnello...» mormorò.
Si rimise in spalla la sacca.
«Addio», disse. «Fai quello che vuoi. Io ti dico: non andare! Tu mi dici:
vado! Va', allora, e poi ti strapperai i capelli!»
E fischiettando cominciò a scendere dalla collina.
Era notte ormai, la terra diventò scura, il lago sparì, e a Cafarnao si
accesero le prime luci. Gli uccelli del giorno avevano nascosto la testa
sotto un'ala, per dormire, mentre gli uccelli della notte si svegliavano e si
alzavano in volo per la caccia.
Quest'ora è bella e santa, pensò il figlio di Maria; non mi vedrà nessuno,
andiamo.
Gli tornarono alla mente le parole di Tommaso.
«Succederà ciò che Dio vorrà», mormorò. «Se è Lui a spingermi verso
il mio assassino, non mi rimane che andare a farmi uccidere senza
aspettare oltre. Posso farlo e lo farò.»
Si voltò un'ultima volta.
«Andiamocene», disse alla sua compagna invisibile, e si diresse verso il
lago.
La notte era dolce, calda, umida; soffiava un leggero vento da sud e Ca-
farnao odorava di pesci e gelsomini. Il vecchio Zebedeo stava seduto nel
cortile della sua casa, sotto il grande mandorlo, con la moglie Salomè.
Avevano appena finito di mangiare e chiacchieravano. In casa, Giacomo, il
loro figliolo, si rigirava nel letto: lo Zelota crocifisso, il figlio del fale-
gname spione, la nuova ingiustizia di Dio che aveva portato via il grano
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agli uomini, si mescolavano nel suo spirito, riempivano d'angoscia il suo
cuore, non lo lasciavano dormire. Anche i discorsi del vecchio padre lo
eccitavano. Stava ribollendo. Si alzò di colpo, uscì nel cortile, varcò la
soglia.
«Dove vai?» gli chiese la madre, inquieta.
«Al lago, perché il vento mi fustighi!» gridò. Scomparve nella notte.
Il vecchio Zebedeo scosse il capo e sospirò.
«Il mondo è pazzo, donna», disse. «Adesso i giovani non riescono a star
fermi; non sono né uccelli né pesci, ma pesci volanti. Il mare è troppo
piccolo per loro, e allora volano in alto nell'aria, ma poi non sopportano
l'aria e si rituffano in mare; e tutto ricomincia da capo! Hanno perso la
testa; to', guarda il tuo caro figliolo Giovanni. Ti parla di monastero, di
preghiere, di digiuno, di Dio, la sua barca gli sembra troppo piccola, non ci
sta più dentro. Ed ecco ora che l'altro, Giacomo, che credevo dotato di nor-
male buonsenso, be', ricorda ciò che ti dico, sono sicuro che ha preso pure
lui quella rotta: l'hai visto stasera come s'infuocava, si eccitava? La casa gli
sembrava troppo piccola. A me non importa, ma chi guiderà le mie barche
da pesca e i miei uomini? E tutta la mia fatica, andrà persa? Sono depresso,
moglie, portami un po' di vino e qualche pezzetto di polipo da sgranoc-
chiare, per rimettermi un po'.»
La vecchia Salomè fece finta di non udire; suo marito aveva già bevuto
troppo quella sera, e bastava così. Cercò di cambiar discorso.
«Sono giovani», disse. «Non farti cattivo sangue, passerà.»
«Forse hai ragione, donna», rispose Zebedeo. «Hai davvero un cervello
da donna: a che cosa mi serve restare qui a tormentarmi? Sono giovani,
passerà. La gioventù è una malattia, e passa. Anche a me, quand'ero gio-
vane, venivano degli accessi di febbre, mi giravo e rigiravo nel letto;
credevo di cercare Dio e invece cercavo una donna, proprio te, vecchia
Salomè. Ti ho presa e mi sono calmato. Per i nostri figli è la stessa cosa;
via i brutti pensieri, perciò! Ecco, donna, adesso sono contento. Portami un
po' di vino e un po' di polipo da sgranocchiare e berrò alla tua salute,
Salomè!»
Poco più in là, in un quartiere vicino, il vecchio Giona, solo soletto
nella sua casetta, aggiustava le reti al lume di una lampada. Aggiustava,
aggiustava, ma il suo spirito e i suoi pensieri non andavano né alla sua
povera moglie che era morta l'anno prima, proprio in quella stagione, né al
figlio Andrea che sognava a occhi aperti, né a quel pazzo di Pietro che
stava ancora gironzolando nelle taverne di Nazareth e che l'aveva lasciato
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solo, a lottare, vecchio com'era, con i pesci. Pensava invece alle parole di
Zebedeo ed era molto preoccupato. Era davvero Giona, il profeta? Si guar-
dò le mani, i piedi, le cosce, ormai completamente ricoperte di squame.
Anche il suo fiato e il suo sudore avevano odore di pesce. E quando il
giorno prima aveva pianto sua moglie, anche le sue lacrime avevano il
sapore del pesce... E quel furbone del vecchio Zebedeo aveva ragione,
quando diceva che spesso trovava dei granchi nella sua barba...
Era davvero il profeta Giona? Ah, allora era forse per quello che non
aveva mai voglia di parlare, che le parole gli venivano fuori con il conta-
gocce e che quando camminava inciampava sempre e vacillava; ma quan-
do si tuffava nel lago, che gioia, che sollievo, sentire sulla pelle le carezze
dell'acqua, il bisbigliare delle onde nelle orecchie. E lui, come i pesci,
rispondeva senza parole e dalla bocca gli uscivano delle bolle!
«Devo essere veramente il profeta Giona, sono risuscitato, lo squalo mi
ha rigettato, ma sono diventato ragionevole; sono profeta, ma faccio il pe-
scatore, non apro bocca, non voglio ricominciare ad avere delle storie...»
Sorrise, soddisfatto della sua astuzia. «Ho fatto bene», pensò, «nessuno vi
aveva più pensato da moltissimi anni, e io neppure. C'è voluto quel dan-
nato Zebedeo che, per fortuna, m'ha fatto aprire gli occhi...» Lasciò cadere
le reti, si fregò le mani soddisfatto, tirò fuori una borraccia, gettò indietro il
collo tozzo e squamoso e si mise a bere gorgogliando.
A Cafarnao i due vecchi bevevano, contenti. Immerso nei suoi pensieri,
il viaggiatore notturno camminava lungo la riva. Non era solo, udiva la
sabbia stridere dietro di lui. Nel cortile di Maddalena i mercanti aspetta-
vano il proprio turno seduti con le gambe incrociate, masticavano datteri e
granchi abbrustoliti. Al monastero i monaci vegliavano l'igùmeno nella sua
cella; respirava ancora, aveva gli occhi sbarrati e guardava verso la porta
aperta, il viso emaciato e teso, come se stesse ascoltando.
«Sta aspettando l'arrivo del rabbino da Nazareth..„»
«Sta aspettando il battito delle ali nere dell'arcangelo...»
«Sta aspettando di udire i passi del Messia che si avvicina...»
I monaci parlavano fra di loro a bassa voce e lo guardavano; l'anima di
ciascuno di loro era pronta, in quel momento, a ricevere il miracolo.
Tendevano tutti l'orecchio, ma non udivano che il martello che batteva
sull'incudine, dall'altro lato del cortile; Giuda aveva acceso la sua fucina e
lavorava di notte.
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Quel giorno il lago di Genezareth era molto agitato, il vento era umido,
caldo, l'autunno era già arrivato e la terra aveva odore di vigna e di uva
troppo matura. Di buon mattino uomini e donne si erano diretti tutti a
Cafarnao; la vendemmia era matura e i grappoli, ricchi di succo, erano in
terra ad aspettare. Le ragazze brillavano come i chicchi d'uva; avevano
mangiato a sazietà l'uva dei tini e le loro labbra ne erano tutte impiastric-
ciate. I giovani, eccitati, gettavano occhiate furtive alle ragazze che ven-
demmiavano e ridevano. Da vigneto a vigneto non s'udivano che grida e
scoppi di risa. Le ragazze prendevano coraggio, scherzavano con i ragazzi
e questi s'infiammavano ancor di più e gli si avvicinavano. Il demone
malizioso della vendemmia correva qua e là con risate beffarde e stuzzi-
cava le donne.
La grande casa di campagna del vecchio Zebedeo, tutta aperta, risuo-
nava di un allegro brusio. A sinistra, nel cortile troneggiava il tino per
pigiare l'uva; i giovani portavano delle ceste traboccanti di grappoli e lo
riempivano. Quattro colossi, Filippo, Giacomo, Pietro e Nataniele, il
ciabattino del villaggio, grande, grosso e ingenuo, si stavano lavando i
polpacci villosi e si preparavano a entrare nel tino per pigiare l'uva. Tutti i
poveri di Cafarnao avevano la propria vigna, per piccola che fosse, ed essa
dava loro il vino dell'anno. Ogni anno versavano il proprio raccolto in quel
tino, lo pigiavano e si portavano via la propria parte di mosto. Il vecchio
Zebedeo, l'accaparratore, si teneva come contributo una decima per l'uso
del tino e riempiva la sue giare e i suoi barili per l'annata.
Il vecchio Zebedeo era dunque seduto su uno scalino, aveva in mano un
pezzo di legno e un coltello e segnava con delle tacche il numero di ceste
di ognuno. Ogni padrone se lo incideva pure lui nella testa, affinché il gior-
no dopo quando si fosse suddiviso il mosto, nessuno si trovasse ad avere
meno di quanto gli spettava. Zebedeo era un vecchio spilorcio e non ci si
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poteva fidare di lui, perciò tutti tenevano gli occhi bene aperti.
La finestra della casa che guardava sul cortile era aperta e la vecchia
Salomè, la padrona di casa, stesa su un divano, vedeva e udiva tutto ciò
che succedeva nel cortile; in tal modo dimenticava i dolori che le trafig-
gevano le ginocchia e le articolazioni. Doveva esser stata molto bella in
gioventù: aveva una ossatura fine, capelli scuri, pelle bianca, grandi occhi.
Era di buona famiglia e tre villaggi se la contendevano: Cafarnao, Magdala
e Bethsaida. Dal suo vecchio padre, il ricco armatore, si erano presentati
tre pretendenti seguiti da un gran corteo d'amici e di cammelli e ceste
ricolme di regali. Il vecchio furbacchione aveva soppesato con cura, fra sé
e sé, il corpo, l'anima e la fortuna di ciascuno di loro e aveva scelto Zebe-
deo. Lui se l'era sposata e lei l'aveva reso felice; ma ora la bella fra le belle
era invecchiata, il suo fascino era svanito e il suo vecchio marito, sempre
vigoroso, passava le notti fuori casa.
Quel giorno, però, il viso della vecchia Salomè era raggiante. Il giorno
prima era arrivato dal monastero Giovanni, il figlio preferito. Per la verità
era debole e pallido, la preghiera e i digiuni l'avevano sfinito, ma ora
l'avrebbe tenuto con sé, non l'avrebbe lasciato ripartire, l'avrebbe fatto
mangiare e bere in abbondanza affinché riacquistasse forza e le sue guance
riprendessero colore. Dio è buono, noi lo veneriamo, ma lui non deve voler
bere il sangue dei nostri figli; il digiuno è cosa buona, praticato con misura
e anche la preghiera, ma sia Dio sia l'uomo ne devono trarre il proprio
beneficio, senza esagerazione, pensava la vecchia Salomè. Guardava la
porta con impazienza, aspettando che apparisse Giovanni, il figlio minore,
di ritorno dalle vigne dove vendemmiava con gli altri.
Sotto il grande mandorlo, carico di frutti, in mezzo al cortile, chino e
silenzioso, Giuda il Rosso picchiava con potenti colpi di martello i cerchi
di ferro delle botti di vino. Se lo si guardava da destra, la sua faccia era
imbronciata, piena di astio; se lo si guardava da sinistra, lo si vedeva in-
quieto e rattristato. Erano giorni e giorni che aveva lasciato il monastero
come un ladro, che stava facendo il giro dei villaggi e preparava le botti
per il vino nuovo. Entrava nelle case, lavorava, ascoltava le conversazioni
e fissava nella testa fatti e gesti di ognuno, per poi riferire alla confrater-
nita. Ma chi mai avrebbe potuto riconoscere il Rosso di un tempo, lo spac-
cone, il rissoso? Era diventato irriconoscibile dal giorno in cui era partito
dal monastero.
«Ehi, Giuda Iscariota, parla, Rosso della malora!» gli aveva gridato
Zebedeo. «A che cosa stai pensando? Due più due fa quattro, non te ne sei
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ancora reso conto? Parla dunque, amico, di' qualcosa, è tempo di vendem-
mia e non è certo cosa da poco; in questo giorno hanno voglia di ridere
anche gli agnelli a cinque zampe!»
«Non l'indurre in tentazione, vecchio Zebedeo», esclamò Filippo. «Pare
che sia andato al monastero e che voglia farsi monaco. Non l'hai mai senti-
to dire? Il diavolo, invecchiando, si fa monaco!»
Giuda si voltò e lanciò un'occhiata carica di veleno a Filippo, ma non
disse nulla. Filippo gli faceva schifo, non era un uomo. Chiacchierone,
fanfarone, era stato trattenuto dalla paura e non era voluto entrare a far
parte della confraternita: «Ho degli agnelli, non posso abbandonarli».
Il vecchio Zebedeo scoppiò a ridere e si girò verso il Rosso.
«Sta' attento, disgraziato», gli gridò. «La malattia del convento è conta-
giosa, attento a non prendertela! C'è mancato un pelo che non se la pren-
desse anche mio figlio! Per fortuna la mia vecchia moglie si è ammalata e
il suo beneamato figlio l'ha saputo; aveva appreso a fondo le virtù di anti-
che ricette con il vecchio igùmeno ed è venuto a curarla. Ma non metterà
più il naso fuori di qui, ve lo dico io. Per andar dove? Non è matto. Laggiù
nel deserto c'è la fame, la sete, le devozioni e Dio. Qui c'è da mangiare, da
bere, donne e Dio. Dio è dappertutto; allora perché dovrebbe andare a
cercarlo nel deserto? Che cosa ne dici, tu, Giuda Iscariota?»
Ma il Rosso batteva sempre le botti a gran colpi e non rispondeva. Che
cosa dirgli ? Ha una gran fortuna quel vecchiaccio, come può capire l'an-
goscia degli altri? E Dio stesso che, per un nonnulla ha ridotto in briciole
migliaia d'uomini, coccola e cura come la pupilla dei suoi occhi quel vec-
chio Zebedeo, quel farabutto, quell'ingordo, quell'avaraccio. D'inverno lo
copre come una mantella di lana, e d'estate come una fresca veste di lino,
ma perché? Che cosa trova in lui? Forse si rode di disperazione per Israele,
quel vecchiaccio? Se ne infischia totalmente. Ama i Romani perché gli
permettono di conservare i suoi beni. Dio li benedica, dice sempre, perché
mantengono l'ordine, se se ne andassero, tutti i fuorilegge e i miserabili ci
cadrebbero addosso e allora addio alla nostra fortuna-Ma non inquietarti,
vecchiaccio della malora, verrà il tuo momento. Ciò che Dio dimentica o si
astiene dal fare, se lo ricorderanno e lo faranno gli Zeloti, che siano
benedetti... Pazienza, Giuda, non parlare, pazienza, il giorno del Sabbath
arriverà!
Alzò gli occhi color turchese, guardò Zebedeo e lo vide galleggiare a
testa in giù nel suo tino, ma questa volta pieno di sangue. Un grande
sorriso gli rischiarò il volto.
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Nel frattempo i quattro colossi si erano puliti bene i piedi ed erano
balzati nel tino. Pigiavano, calpestavano l'uva, vi entravano fino alle ginoc-
chia, si chinavano, ne prendevano grosse manciate e la mangiavano
riempiendosi tutta la barba di graspi; a volte si prendevano per mano e
danzavano, a volte ciascuno di loro scalpitava e urlava da solo. L'odore del
mosto li aveva inebriati. E non solo l'odore; dalla porta aperta vedevano in
fondo alle vigne le vendemmiatrici chinarsi e mostrare le loro grazie ben
più in su delle ginocchia e i loro seni dondolare sulle vigne come grappoli.
I quattro uomini le vedevano e ne erano turbati, non era un tino, non
erano la terra e le sue vigne, quello era il Paradiso. E, seduto sullo scalino,
c'era il vecchio Zebedeo che con un lungo pezzo di legno e un coltello
segnava ciò che era dovuto, quante ceste di uva ognuno di loro aveva por-
tato e quante brocche di vino avrebbe dato loro. Quante brocche di vino,
quante marmitte di cibo, quante donne!
«Per la verità», disse Pietro, «se Dio venisse adesso e mi dicesse: 'Ehi,
Pietro, mio piccolo Pietro, oggi sono di buon umore, chiedimi una grazia e
te l'accorderò, che cosa vuoi?' 'Pigiare l'uva, o mio Dio', risponderei,
'pigiare l'uva per l'eternità!'»
«E non bere del vino, sciocco che sei?» gli chiese Zebedeo in tono rude.
«No, dal profondo del cuore, pigiare l'uva!»
Non rideva. Il suo viso era serio, assorto. Si fermò un momento e si sti-
rò al sole. Era a torso nudo e mostrava, proprio sul cuore, il tatuaggio di un
grosso pesce nero. Il disegno era stato fatto con tale abilità che si sarebbe
detto che il pesce muoveva la coda e nuotava felice infilandosi fra i peli
ricciuti del suo petto. Sopra al pesce c'era una croce a quattro braccia con
degli ami.
Filippo, invece, pensava ai suoi agnelli. A lui non importava nulla di
scavare la terra, curare i vigneti e pigiare l'uva. Ridendo disse a Pietro:
«Ah, che bel lavoro ti sei trovato: pigiare l'uva per l'eternità! Io avrei
chiesto a Dio che la terra e il cielo diventassero una prateria verde, piena di
capre e di pecore, per mungerle e lasciare colare giù il latte come un fiume
dalla cima della montagna verso la pianura e che esso formasse dei laghi
per farci bere i poveretti; e che tutte le sere ci riunissimo, noi pastori, con
Dio, capo dei pastori, per accendere il fuoco, arrostire gli agnelli e raccon-
tare delle storie. Questo è il Paradiso!»
«Vattene al diavolo, scemo!» mormorò Giuda, lanciando a Filippo uno
sguardo rabbioso.
I giovani si avvicinavano al tino, nudi, villosi, un cencio colorato attor-
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no ai fianchi; udivano quei discorsi senza capo né coda e ridevano. Aveva-
no pure loro un Paradiso nel cuore, ma non lo confessavano; rovesciavano
le loro ceste nel tino e con un balzo correvano di nuovo dalle vendem-
miatrici.
Il vecchio Zebedeo aprì la bocca per dire anche lui la sua saggia parola,
ma si bloccò alla vista di uno strano visitatore che era apparso sulla porta e
li stava guardando. Era scalzo, «pettinato, coperto da una pelle di cervo
annodata su una spalla e giallo come un pezzo di zolfo. I suoi occhi neri
dardeggiavano.
Tutti si fermarono e guardarono in direzione della porta. Chi era quel
morto vivente lì sulla soglia? Le risate cessarono improvvisamente e la
vecchia Salomè si affacciò alla finestra per guardare. Di colpo lanciò un
urlo: «Andrea!»
«Ma insomma, Andrea, ragazzo mio, che cos'è questo abbigliamento?
Vieni dall'Inferno o ci stai andando?»
Pietro saltò fuori dal tino e prese il fratello per la mano; lo guardava con
tenerezza e terrore, senza dir parola. Mio Dio, era proprio quello Andrea, il
ragazzo robusto, famoso per la sua bellezza, primo alla pesca e primo alle
feste, fidanzato con la più bella del villaggio, la bionda Ruth? Ella era
annegata con il padre, una notte, nello stagno; Dio quella notte aveva fatto
sollevare un vento terribile e l'aveva affogata. E Andrea pazzo di dolore era
andato a offrirsi a Dio mani e piedi legati: se Ruth aveva raggiunto Dio,
pensava, forse l'avrebbe raggiunta lì. Non cercava Dio, ma la sua
fidanzata.
Pietro non smetteva di guardarlo con terrore. «In quale stato l'abbiamo
dato a Dio e in quale stato lui ce lo rende!»
«Ehi! Perché lo guardi e lo palpi così a lungo?» gridò Zebedeo a Pietro.
«Lascialo entrare; entra, Andrea, figlio mio, chinati, prendi un grappolo
d'uva, mangia. Abbiamo anche del pane, che Dio sia lodato, mangia per
riprendere forze e non farti vedere in questo stato da Giona, il tuo povero
padre affinché egli, dalla paura, non si tuffi di nuovo nel suo squalo!»
Ma Andrea alzò il braccio scheletrico e gridò:
«Non avete vergogna, non avete timore di Dio? La gente sta morendo e
voi, qui, pigiate l'uva e ridete a gola spiegata?»
«Ahi, ahi, ahi! Eccone un altro che viene a infastidirci!» mormorò
Zebedeo. Si girò verso Andrea, furioso:
«Neanche tu ci lascerai in pace, vero? Ne abbiamo le scatole piene. È
questo che proclama Battista, il tuo profeta? Digli da parte mia di cambiar
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ritornello. È giunta la fine del mondo, secondo quanto dice, le tombe si
apriranno e i morti ne usciranno; Dio, pare, scenderà dal cielo. L'Ultimo
Giudizio! Aprirà i registri e, disgrazia a noi! Bugie! Bugie! Non ascoltate,
ragazzi, al lavoro, pigiate l'uva!»
«Pentitevi! Pentitevi!» tuonò il figlio di Giona. Si strappò dalle braccia
del fratello e si piantò in mezzo al cortile. Si fermò davanti al vecchio
Zebedeo, con un dito levato verso il cielo.
«Un buon consiglio, Andrea», disse Zebedeo. «Siediti e mangia, bevi un
po' di vino, per ritrovare il tuo buonsenso. La fame t'ha fatto impazzire,
infelice!»
«La bella vita t'ha fatto impazzire, vecchio Zebedeo», rispose il figlio di
Giona. «Ma la terra si aprirà sotto ai tuoi piedi, e inghiottirà il tuo tino, le
tue barche e te stesso, vecchio maledetto!»
Si era eccitato, girava lo sguardo attorno fissando ora l'uno ora l'altro e
gridando:
«Prima che questo mosto diventi vino, verrà la fine del mondo!
Indossate una camicia di canapa ruvida, spargete il vostro capo di cenere,
battetevi il petto e gridate: 'È colpa mia! È colpa mia!' La terra è un albero
e quell'albero è marcio. Il Messia sta giungendo con l'accetta!»
Il vecchio Zebedeo non riuscì più a controllarsi.
«Se credi in Dio, Pietro», gridò, «prendilo con te e andatevene! Qui
dobbiamo lavorare. Arriva!... Arriva! Una volta ha in mano il fuoco,
un'altra i registri e adesso un'accetta, immaginate! Ma non ci lascerete tran-
quilli, dunque, sfruttatori del popolo? Il mondo è solido, ben solido, ragaz-
zi, allora pigiate l'uva e non abbiate paura!»
Pietro carezzava teneramente le spalle del fratello, cercando di
calmarlo.
«Stai zitto», gli diceva a bassa voce, «taci, fratello mio, non gridare. Il
viaggio ti ha stancato, andiamo a casa e ti riposerai. Il nostro vecchio padre
ti vedrà e il suo dolore si lenirà.»
Lo prese per mano e lo guidava lentamente, con grande sollecitudine,
come se fosse stato cieco. Presero la stretta stradina e sparirono. Il vecchio
Zebedeo scoppiò a ridere:
«Eh, mio caro Giona, pescatore profeta, non vorrei essere nei tuoi
panni!»
Allora la vecchia Salomè parlò.
«Zebedeo», disse scuotendo la testa bianca, «Zebedeo, vecchio diavolo,
misura bene le parole, non ridere; sopra di noi v'è un angelo che ha scritto:
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'Ciò di cui ti beffi succederà a te!'»
«Mia madre ha ragione», disse Giacomo che non aveva ancora detto
nulla. «È mancato ben poco che non ti succedesse lo stesso con Giovanni,
il tuo beneamato figlio E mi sembra anche che la storia non sia del tutto
finita. I ragazzi che portano le ceste mi dicono che egli non sta
vendemmiando, ma che sta chiacchierando con le donne, su Dio, i digiuni
e le anime immortali... Non vorrei essere neppure nella tua di pelle,
padre!»
Rise seccamente: non poteva sopportare il fratello viziato e fannullone.
Si mise a calpestare l'uva con rabbia. Il sangue salì alla testa di Zebedeo;
neppure lui poteva sopportare il figlio maggiore, gli somigliava troppo.
Sarebbe nata una rissa se, proprio in quel momento, non fosse comparsa
sulla porta, appoggiata al braccio di Giovanni, Maria, la moglie di
Giuseppe di Nazareth. Aveva i piedi e le caviglie sottili coperti di polvere
per il lungo cammino. Erano giorni e giorni che aveva abbandonato la pro-
pria casa, che andava di villaggio in villaggio cercando in lacrime il suo
infelice figlio. «Dio ha fatto uscir di senno, non è più fra gli uomini»,
sospirava la madre e lo piangeva da vivo. Chiedeva, assillava la gente:
«Forse qualcuno lo conosce, è alto, magro, scalzo, ha una veste azzurra e
una cinta di cuoio nero, forse l'avete visto?» Solo ora, grazie al figlio di
Zebedeo, era sulle sue tracce. «È al monastero, nel deserto, ha indossato
una tunica bianca, è prosternato con il viso sul suolo e prega...» Giovanni
aveva avuto pietà di lei e le aveva detto tutto. E ora, appoggiata al suo
braccio, entrava nel cortile del vecchio Zebedeo per riposarsi un poco,
prima di ripartire per il deserto.
La vecchia Salomè si alzò in piedi.
«Che tu sia la benvenuta, carissima Maria», disse. «Entra.»
Maria abbassò lo scialle fino agli occhi, chinò la testa, attraversò il
cortile a occhi bassi, afferrò le mani della sua vecchia amica e scoppiò a
piangere.
«È un grave errore piangere, figliola», aggiunse la vecchia Salomè,
facendola sedere di fianco a lei. «Tuo figlio, adesso, è sotto il tetto di Dio,
è al sicuro.»
«Il dolore di una madre è terribile, Salomè», rispose Maria sospirando.
«Dio mi ha dato un unico figlio ed egli non ha la testa a posto.»
Il vecchio Zebedeo udì il suo lamento; non era cattivo, se non si andava
contro i suoi interessi, e scese dal suo scalino per consolarla.
«È la gioventù, Maria», le diceva. «È la gioventù, non tormentarti,
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passerà. È come il vino, fortunata; ma l'ubriacatura passa presto e poi ci si
sottomette al giogo, senza troppo scalciare. A tuo figlio passerà l'ubriaca-
tura, Maria. Guarda mio figlio, quello che è con te, solo adesso gli sta
passando l'ubriacatura, lodato sia Dio!»
Giovanni arrossì, ma rimase in silenzio. Entrò in casa per prendere
dell'acqua fresca e dei fichi maturi da offrire alla visitatrice. Le due donne,
sedute vicine, parlavano a voce bassa di quel figlio posseduto da Dio.
Mormoravano appena, temendo che gli uomini le udissero, intervenissero
e rovinassero la loro profonda intesa.
«Egli prega, m'ha detto tuo figlio, Salomè. Prega e le sue mani e le sue
ginocchia sono piene di calli a forza di prosternarsi. Pare che non mangi,
che si consumi, che si sia messo a vedere delle ali nell'aria; non vuole bere,
neppure l'acqua, per vedere, così sembra, gli angeli... Fin dove giungerà
questa malattia, Salomè? Suo zio rabbino, che ne ha guariti tanti, non
riesce a guarire mio figlio... Perché Dio mi ha maledetta, Salomè, che cosa
gli ho fatto?»
Appoggiò il capo sulle ginocchia della vecchia amica e si mise a
piangere.
Arrivò Giovanni con l'acqua e cinque o sei fichi su una foglia.
«Non piangere, donna», le disse, appoggiando i fichi in grembo. «Una
luce santa splende attorno al viso di tuo figlio; non tutti la vedono, ma una
notte l'ho vista lambire e rodere il suo viso e ne ho avuto paura. E il
vecchio Habacuc vedeva tutte le notti, mentre dormiva, l'igùmeno defunto.
Teneva, così pare, tuo figlio per mano, lo portava di cella in cella e lo indi-
cava con il dito. Non parlava, lo indicava sorridendo. Il vecchio Habacuc
aveva paura, balzava dal letto, andava a svegliare i monaci e tutti assieme
si sgolavano per cercare di spiegarsi il sogno. Che cosa aveva voluto dir
loro l'igùmeno? Perché indicava loro il nuovo venuto sorridendo? E di col-
po, l'altro ieri, il giorno in cui sono partito, hanno avuto un'illuminazione
divina e hanno capito il senso del sogno: era lui che bisognava eleggere
igùmeno, era questo che il morto voleva, era lui che doveva diventare igù-
meno... Tutti i monaci sono andati subito a trovare tuo figlio; sono caduti
ai suoi piedi, era la volontà di Dio, gli gridavano, che diventasse igùmeno
del monastero. Ma tuo figlio ha rifiutato. 'No, no, non è la mia strada, non
ne sono degno, partirò!' Al momento in cui ho abbandonato il monastero,
doveva essere mezzogiorno, ho udito la sua voce che rifiutava. I monaci
minacciavano di chiuderlo a chiave in una cella per impedirgli di
andarsene.»
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«Rallegrati, Maria», disse la vecchia Salomè, il viso raggiante. «Madre
felice! Dio ha soffiato nel tuo seno e non lo senti!»
L'amata da Dio l'ascoltava e scuoteva il capo, inconsolabile.
«Non voglio avere un santo per figlio», mormorava. «Voglio che sia un
uomo come gli altri, che si sposi, che mi dia dei nipotini. È questa la strada
del Signore.»
«Questa è la strada dell'uomo, donna», disse Giovanni a bassa voce,
come se avesse vergogna di contraddirla. «È l'altra, quella che segue tuo
figlio, la strada del Signore, donna.»
Grida e risate arrivarono dalle vigne, due dei ragazzi che portavano le
ceste entrarono nel cortile eccitatissimi.
«Brutte notizie, padroni», gridarono scoppiando a ridere. «Pare che la
gente di Magdala si sia rivoltata, che abbia preso delle pietre e che stia
dando la caccia alla sua sirena per ammazzarla!»
«Quale sirena?» gridarono quelli che pigiavano l'uva, interrompendo la
loro danza. «Maddalena?»
«Maddalena, sicuro! Con il nostro migliore augurio! Due mulattieri che
passavano da lì ce l'hanno detto. Sembra che ieri, sabato, sia arrivato da
Nazareth a Magdala il capo della banda di Barabba seminando terrore...»
«Eccone un altro, maledizione a lui!» urlò il vecchio Zebedeo, fuori di
sé. «È Zelota, da quanto dice, è arrivato con il suo muso da selvaggio per
salvare Israele! Possa crepare, quel tipaccio!... E allora?»
«Allora, di sera, è passato davanti alla casa di Maddalena e ha trovato il
cortile pieno di gente; lo scomunicato lavorava anche il giorno santo, il
Sabbath! Avete mai visto qualcuno che ha visto Dio e che non ha paura?
Barabba è entrato nel cortile, ha tirato fuori il coltello, i mercanti hanno
afferrato le spade, i vicini sono arrivati, insomma c'è stato un gran tumulto.
Due dei nostri sono stati feriti, i mercanti sono rimontati sui cammelli e se
la sono squagliata. Barabba ha sfondato la porta per prendere la bella e
sgozzarla. Solo che non c'era più! L'uccello era volato via! Era uscita
dall'altra porta come se niente fosse! Tutto il villaggio si è messo a inse-
guirla; ma era quasi notte e non c'è stato mezzo di trovarla. Al mattino
sono partiti in tutte le direzioni, hanno cercato, sono sulle sue tracce, pare
che abbiano trovato le sue orme sulla sabbia, dalle parti di Cafarnao!»
«Che sia la benvenuta fra noi, ragazzi!» disse Filippo leccandosi le
grosse labbra da caprone. «Non mancava che lei in Paradiso; ce l'eravamo
dimenticata: Eva, che sia la benvenuta!»
«Il suo mulino lavora anche di sabato, che birbona!» disse il candido
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Nataniele e sorrise maliziosamente sotto i baffi. Si ricordò che una sera,
vigilia di un Sabbath, si era lavato, rasato e aveva indossato dei vestiti
puliti; la «Tentazione del bagno» era arrivata, l'aveva preso per mano ed
erano andati a Magdala. Erano andati a Magdala direttamente alla casa di
Maddalena, che sia benedetta! Era d'inverno, gli affari del mulino anda-
vano male e Nataniele era rimasto solo tutto il sabato a macinare...
Nataniele sorrise di soddisfazione. Era un peccato grande, certo, sì, era un
peccato grosso, ma Dio in cui riponiamo la nostra fiducia, Dio perdona.
Senza nessuna storia, povero, celibe, Nataniele passava tutta la vita seduto
davanti a un banchetto da lavoro, all'angolo di una strada del suo villaggio,
a fabbricare zoccoli per i contadini e per i pastori... Era vita, quella? Allora
un giorno anche lui aveva fatto follie, un solo giorno, unico e prezioso nel-
la vita, e aveva conosciuto la gioia, come uomo; poteva benissimo essere il
giorno del Sabbath, Dio, l'hanno appena affermato, ma Dio capisce questo
tipo di cose e perdona...
Ma il vecchio Zebedeo fece una brutta faccia.
«Ancora storie!» mormorò. «Non potrebbero andare un po' più in là a
sgozzarsi? Ora sono profeti, ora puttane, ora pescatori che piangono, ora
dei Barabba, ne ho abbastanza!» Si rivolse a quelli che pigiavano l'uva:
«Voialtri al lavoro, ragazzi. Pigiate l'uva!»
In casa, la vecchia Salomè e Maria, la moglie di Giuseppe, avevano
udito le notizie, si erano scambiate uno sguardo e avevano abbassato la
testa, senza parlare. Giuda mollò il martello, uscì e si appoggiò al mon-
tante della porta di strada. Aveva udito tutto, inciso tutto nella sua mente e,
passando, gettò uno sguardo feroce al vecchio Zebedeo.
Si fermò sulla soglia e si mise ad ascoltare. Udì delle grida, vide solle-
varsi della polvere, c'erano degli uomini che correvano e delle donne che
urlavano: «Prendetela! Prendetela!» e prima ancora che i tre uomini aves-
sero avuto il tempo di saltar giù dal tino e il vecchio accaparratore di scen-
dere dal suo scalino, Maddalena, trafelata, in cenci, entrò nel cortile get-
tandosi ai piedi della vecchia Salomè.
«Aiutami, donna, aiutami! Arrivano!»
La vecchia Salomè fu presa da pietà nei confronti della peccatrice, si
alzò, chiuse la finestra e disse al figlio:
«Sbarra la porta, figlio mio».
Poi si rivolse a Maddalena:
«Rannicchiati in terra, nasconditi».
China, Maria, la moglie di Giuseppe, guardava con compassione mista
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a orrore quella traviata. Solo le donne oneste sanno quanto l'onore sia cosa
amara e intollerabile; provava pietà per lei, ma, nello stesso tempo, quel
corpo peccatore le sembrava un mostro villoso, scuro, pericoloso. Era
mancato poco, quando suo figlio aveva vent'anni, che quella belva glielo
strappasse... È sfuggito alla donna, pensava Maria, sospirando, ma a Dio...
La vecchia Salomè posò la mano sulla testa di Maddalena.
«Perché piangi, figliola?» domandò con compassione.
«Non voglio morire», rispose Maddalena, «la vita è bella, non voglio!»
La moglie di Giuseppe allungò pur'essa la mano. Maddalena non le
faceva più paura, non le faceva più schifo, la toccò.
«Non aver paura, Maria», le disse, «Dio ti protegge, non morirai.»
«Come fai a saperlo, zia Maria?» chiese Maddalena. I suoi occhi brilla-
vano.
«Dio ci da del tempo, del tempo per pentirci, Maddalena», disse la
madre di Gesù con sicurezza.
Mentre le tre donne parlavano, unite dal dolore, si udirono delle grida
provenienti dalle vigne: «Arrivano! Arrivano! Eccoli!» Zebedeo ebbe giu-
sto il tempo di scendere di nuovo dal suo scalino, quando dei colossi sca-
tenati apparvero al portone sulla strada e Barabba, eccitato, ruggendo,
oltrepassò la soglia.
«Ehi, vecchio Zebedeo», gridò, «con o senza il tuo permesso, nel nome
del Dio d'Israele, noi entreremo.»
E, prima che il vecchio padrone avesse il tempo di aprir bocca, Barabba
con un colpo di spalla aveva scardinato la porta, si era gettato su Madda-
lena e l'aveva afferrata per i capelli.
«Fuori di qui! Fuori di qui, puttana!» gridava, e la trascinò nel cortile.
Qui Maddalena fu circondata da una gran folla di contadini giunti da
altri villaggi, che, fra schiamazzi e risate, la portarono via diretti verso il
lago, e là giunti la gettarono dentro un fosso. Poi uomini e donne si disper-
sero per riempirsi di pietre i grembiuli.
Allora la vecchia Salomè saltò giù dal letto e, malgrado i dolori che la
torturavano, si trascinò nel cortile e cominciò a maltrattare il marito.
«Ti sei coperto di vergogna, vecchio Zebedeo», gridava. «Hai permesso
a quei fuorilegge di entrare in casa tua e di strapparti dalle mani una donna
che implorava pietà.»
Poi si rivolse al figlio Giacomo, che stava in piedi, in mezzo al cortile,
indeciso:
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«E tu sei identico a tuo padre, non hai vergogna? Non vali più di lui.
Anche per te il denaro è il tuo Dio? Corri a proteggere una donna che un
intero villaggio, senza vergogna, vuole uccidere!»
«Ci vado, madre, calmati», rispose il figlio che temeva sua madre più di
chiunque altro. Il terrore lo divorava ogni volta che lei gli si levava davan-
ti, furibonda. Perché sentiva che quella voce selvaggia e severa non era la
voce di lei, ma la voce primordiale della tribù dalla testa dura, la tribù
d'Israele diventata rauca nel deserto.
Giacomo si girò, fece un cenno ai suoi due compagni, Filippo e
Nataniele, e disse:
«Andiamo». Gettò un'occhiata fra le botti per cercare Giuda, ma quello
se n'era già andato.
«Vado anch'io», disse Zebedeo, fuori di sé. Aveva paura di rimanere
solo con la moglie. Si abbassò, raccolse il randello e seguì il figlio.
Ferita, insanguinata, Maddalena si era rannicchiata in un angolo del
fosso, aveva messo le braccia attorno alla testa per proteggersi e urlava.
Attorno a lei gli uomini e le donne la guardavano e ridevano. Da tutti i
vigneti dei dintorni, abbandonato il lavoro, arrivavano i portatori di ceste e
le vendemmiatrici. I giovani morivano dalla voglia di vedere quel celebre
corpo, mezzo nudo e insanguinato, mentre le ragazze trattenevano a stento
l'odio e la gelosia per quella donna che si concedeva a tutti gli uomini e
non ne lasciava loro nessuno.
Barabba tese una mano per far cessare le grida, pronunciare la sentenza
e dare il segnale per la lapidazione. In quel momento apparve Giacomo.
Stava per dirigersi verso il capo della banda zelota, ma Filippo lo trattenne
per un braccio.
«Dove vai?» disse. «Dove andiamo? Siamo quattro soli contro un vil-
laggio intero! Siamo perduti!»
Ma Giacomo aveva ancora nelle orecchie il grido selvaggio della
madre.
«Ehi, Barabba, uomo col coltello», gridò, «sei venuto qui nel vostro
villaggio per ammazzare la gente? Lascia stare quella donna. La giudi-
cheremo noi. Faremo venire gli anziani di Magdala e di Cafarnao perché la
giudichino. Anche suo padre, il rabbino, verrà da Nazareth. È la Legge!»
«Mio figlio ha ragione!» ruggì allora il vecchio Zebedeo, che stava
arrivando con il grosso randello. «Ha ragione, è la Legge!»
Barabba si rivolse bruscamente contro di loro, gridando:
«Gli anziani sono dei venduti, Zebedeo è un venduto, non ho fiducia, la
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Legge sono io! Se c'è qualcuno fra voi che ne fa il coraggio, che venga a
misurarsi con me!»
Uomini e donne di Cafarnao e di Magdala si raggruppa-rono attorno a
Barabba. Il delitto brillava nei loro occhi. Una banda di ragazzini arrivò
dal villaggio con le fionde.
Filippo afferra Nataniele per un braccio e indietreggiò. Poi disse a
Giacomo:
«Vacci da solo, se vuoi, figlio di Zebedia, noi non ti seguiremo, non
siamo matti!»
«Non avete vergogna, vigliacchi?»
«No, non abbiamo vergogna, vacci da solo.»
Giacomo si rivolse al padre, ma questi tossicchiò.
«Io sono vecchio», disse.
«Allora?» gridò Barabba con una gran risata.
Comparve la vecchia Salomè, appoggiata al braccio del figlio minore.
Li seguiva Maria, moglie di Giuseppe, con gli occhi offuscati dalle lacri-
me. Giacomo si girò, vide sua madre e fece un balzo. Davanti a lui c'erano
l'uomo con il coltello, terribile, e l'orda dei contadini scatenaci; dietro di
lui, la madre, selvaggia, silenziosa.
«Allora?» ruggì nuovamente Barabba, arrotolandosi le maniche.
«Non mi coprirò di vergogna!» mormorò il figlio di Zebedeo. Avanzò.
Subito, Barabba si diresse verso di lui.
«Lo ammazzerà!» disse il fratello minore. Si liberò nervosamente per
correre al suo fianco, ma la madre lo trattenne.
«Tu stai zitto», gli disse. «Non immischiarti.»
E mentre i due avversari stavano per venire alle mani, un grido pieno di
gioia provenì dalle rive del lago: «Maran atha! Maran atha!» Un giovane,
abbronzato dal sole, balzò ansimante, davanti a loro, agitando le braccia e
gridando:
«Maran atha! Maran atha! Il Signore arriva!»
«Chi arriva?» gridò la folla che lo circondava.
«Il Signore!» rispose il giovane mostrando, dietro di sé, il deserto. «Il
Signore! Eccolo!»
Tutti si voltarono. Il sole stava per tramontare e la luce era più dolce.
Apparve, salendo dalla riva, un uomo vestito di bianco, come un monaco
del monastero. Gli oleandri al bordo dell'acqua erano in fiore e l'uomo
bianco allungò una mano, colse un fiore rosso e se lo portò alle labbra.
Due gabbiani che stavano camminando sulla ghiaia, si fecero a un lato per
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lasciarlo passare.
La vecchia Salomè alzò il capo bianco e fiutò l'aria.
«Figlio mio», disse al figlio, «che cosa succede? L'aria è cambiata.»
«Il mio cuore batte a più non posso, madre», rispose il figlio. «Credo
che sia lui!»
«Chi?»
«Taci!»
«E chi sono quelle persone dietro di lui? Oh, figliolo, c'è un esercito che
gli corre dietro!»
«Sono i poveri, madre, che raccolgono ciò che i vendemmiatori hanno
lasciato. Non è un esercito, non aver paura!»
Ed era veramente un esercito quello che si vedeva alle sue spalle: bande
di cenciosi, uomini, donne e bambini, con sacche, panieri che si sparpa-
gliavano per i sentieri delle vigne in cui l'uva era già stata raccolta per
cercarne i resti. Ogni anno, per la mietitura, per la vendemmia, per la
raccolta delle olive, quelle orde di affamati giravano per tutta la Galilea per
raccogliere i resti che i padroni lasciavano per i poveri, come ordina la
Legge d'Israele.
Improvvisamente l'uomo bianco si fermò. Vide quella folla ed ebbe
paura. «Voglio andarmene!» L'antico terrore lo riprese. «Voglio tornare nel
deserto, è là che è Dio; qui ci sono gli uomini, voglio andarmene!» Il suo
destino, ancora una volta, restò appeso a un filo mosso da Dio. Tornare
indietro? Andare avanti? La folla attorno al fosso era rimasta immobile e lo
guardava. Giacomo e Barabba erano ancora fermi, le maniche rimboccate,
uno di fronte all'altro. Maddalena alzò la testa e ascoltò. Che cos'era quel
silenzio, la vita, la morte? L'aria era cambiata. Di colpo si tirò su, alzò le
braccia e lanciò un grido: «Aiuto!»
L'uomo bianco udì il grido, riconobbe la voce ed ebbe un sussulto.
«Maddalena», mormorò. «Maddalena! Devo salvarla!» Si diresse in
fretta verso la folla.
Aveva le braccia aperte e avanzava. A mano a mano che si avvicinava a
quegli uomini e scorgeva le loro facce feroci, scure, tormentate e i loro
occhi pieni di collera, il suo cuore si riempiva di compassione e di un
amore profondo. «Ecco gli uomini», pensava, «sono tutti fratelli e non lo
sanno; è per questo che si perseguitano... Se lo sapessero, quante gioie,
quanta unione, quanta felicità!»
Infine giunse, salì su una pietra, spalancò le braccia e pronunciò una
parola che uscì trionfale e gioiosa dal profondo del suo animo:
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«Fratelli!»
Gli uomini, stupiti, si guardarono. Nessuno rispose.
Fu Barabba che, raccolto un grosso sasso, disse:
«Non sei il benvenuto, crocifissore!»
«Figlio mio!» Maria lanciò un grido lacerante. Si precipitò per abbrac-
ciare il figlio. Rideva, piangeva, lo accarezzava. Ma lui, senza dire una
parola, si staccò dalle braccia della madre e si diresse verso Barabba.
«Barabba, fratello», disse, «sono felice di rivederti. Sono un amico e
porto una buona notizia, una grande allegria!»
«Non avvicinarti!» ruggì Barabba, piantandosi davanti a lui per nascon-
dergli Maddalena. Ma lei aveva udito la voce amata e si rizzò di colpo
gridando:
«Gesù, aiutami!»
D'un balzò Gesù fu sul bordo del fosso. Maddalena si attaccava mani e
piedi alle rocce, e cercava di arrampicarsi. Gesù si chinò, le tese la mano,
lei l'afferrò e ansimando uscì dal fosso, coperta di sangue, e s'accasciò al
suolo
Barabba" si precipitò e con il piede calpestò la schiena della donna.
«È mia, l'ammazzerò!» tuonò e alzò la pietra che aveva in mano. «Ha
insozzato il giorno del Sabbath: a morte!»
«A morte! A morte!» gridava la folla che ora aveva paura che la vittima
le sfuggisse.
«A morte!» gracchiò Zebedeo che vedeva gli straccioni circondare il
nuovo arrivato e farsi più audaci. Disgrazia se si lascia che gli straccioni
facciano quello che vogliono. «A morte!» gridò ancora, battendo il suolo
con il randello. «A morte!»
Gesù fermò il braccio alzato di Barabba.
«Barabba», disse con voce calma e triste, «non hai mai violato, tu,
nessun comandamento di Dio? Non hai mai rubato in vita tua, non hai mai
ammazzato, non hai mai commesso adulterio, non hai mai detto bugie?»
Si girò verso la folla che gridava. Li guardò tutti, lentamente, uno per
uno.
«Chi fra voi è senza peccato», disse, «scagli la prima pietra!»
La folla cominciò ad agitarsi. A uno a uno tutti indietreggiavano per
evitare quello sguardo che frugava nelle loro viscere e nella loro memoria.
Gli uomini ricordarono tutte le bugie che avevano detto durante la loro
vita, le azioni scellerate che avevano commesso, le volte che avevano
avvicinato la donna d'altri. Le donne abbassarono i loro fazzoletti e le
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pietre scivolarono loro di mano.
Il vecchio Zebedeo, vedendo che gli straccioni avrebbero avuto la me-
glio, divenne pazzo dalla rabbia. Gesù si girò nuovamente e li guardò tutti
ancora, uno per uno, nel fondo degli occhi.
«Chi fra voi è senza peccato, scagli la prima pietra!»
«Io!» esclamò Zebedeo. «Dammi la pietra che hai in mano, Barabba, un
cielo senza nubi non teme il tuono! La getterò io!»
Barabba con gioia gli diede la pietra e si fece di lato. Zebedeo prese in
pugno la pietra e si piazzò proprio sopra Maddalena, per colpirla diretta-
mente sulla testa. Lei era accovacciata ai piedi di Gesù, calma. Sentiva che
in quel momento non doveva temere la morte.
Gli straccioni guardarono Zebedeo, esasperati. Uno fra loro, il più
scheletrito, gli gridò:
«Ehi, vecchio Zebedeo, c'è un Dio. Il tuo braccio rimarrà paralizzato,
non hai paura? Cerca di ricordare: non hai mai mangiato in vita tua i beni
dei poveri? Non hai mai fatto vendere all'asta la vigna dell'orfano? Non sei
mai entrato, di notte, nella casa di una vedova?»
Il vecchio demonio l'ascoltava, stava soppesando la pietra e trattenen-
dosi. Di colpo lanciò un grido: il suo braccio era diventato improvvisa-
mente come morto e cadeva inerte al suo fianco. La grossa pietra gli rotolò
sul piede, schiacciandogli le dita.
«Miracolo! Miracolo!» urlavano di gioia gli straccioni. «Maddalena è
innocente!»
Barabba impazzì dalla rabbia. Il suo viso, segnato dal vaiolo, si conge-
stionò e diventò tutto rosso. Si gettò sul figlio di Maria, alzò la mano e lo
schiaffeggiò. Gesù, tranquillamente, gli porse l'altra guancia.
«Colpisci anche l'altra guancia, Barabba, fratello mio», disse.
La mano di Barabba s'intorpidì, e lui spalancò gli occhi. «Chi è que-
st'uomo? Che cos'è? Uno spettro, un uomo, un demonio?» Indietreggiò e lo
guardò stupefatto.
Il figlio di Maria lo sollecitò:
«Colpisci anche l'altra guancia, Barabba, fratello mio».
Allora, dall'ombra del fico dietro il quale era stato in disparte a guardare
quella scena, apparve Giuda. Aveva visto tutto, senza dire parola. Che
Maddalena fosse stata ammazzata o no, poco gli importava. Ma si ral-
legrava di udire Barabba e gli straccioni dire la verità a Zebedeo e ridiven-
tare coraggiosi.
E quando vide Gesù apparire sulla riva con la sua nuova tunica bianca,
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il cuore si mise a battergli forte! «Adesso vedremo», mormorò fra sé e sé,
«chi è, che cosa vuole e cos'ha da dire agli uomini.» Aprì bene le orecchie,
ma già la prima parola, «Fratelli!», non gli piacque. Il suo viso si scurì,
«Non ha ancora capito», mormorò. «Noi, non siamo tutti fratelli, né gli
Israeliti lo sono dei Romani, e neppure gli Israeliti fra loro. I Sadducei,
venduti, non sono nostri fratelli; i capi della città, tutti coloro che sono
compari del tiranno... Cominci male, figlio del falegname, stai attento!»
Ma quando vide Gesù porgere l'altra guancia, senza collera, con una dol-
cezza fiera e sovrumana, ebbe paura. «Chi è quest'uomo?» gridò dentro di
sé. «Questo, d'offrire anche l'altra guancia, lo può fare solo un angelo, un
angelo o un cane...»
Fece un salto, afferrò il braccio di Barabba, nel momento in cui questi
stava preparandosi a scagliarsi contro il figlio di Maria.
«Non toccarlo!» gli disse una voce sorda. «Vattene!»
Barabba guardò Giuda, sbalordito. Facevano tutti e due parte della me-
desima confraternita, erano spesso entrati assieme nei villaggi e nelle città
per uccidere i traditori d'Israele. E adesso...
«Giuda», mormorò. «Tu? Tu?»
«Io. Vattene.»
Barabba esitava; nella confraternita Giuda aveva un grado più elevato
del suo, quindi non poteva tenergli testa. Ma l'amor proprio gli impediva
ancora di andarsene.
«Vattene!» gli ordinò di nuovo il Rosso.
Il capo del gruppo abbassò la testa e gettò uno sguardo furibondo sul
figlio di Maria.
«Fin dove giungerai?» mormorò, stringendo i pugni. «Ci ritroveremo!»
Poi si rivolse ai suoi:
«Andiamocene», borbottò fra i denti.
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Verso l'ora del tramonto, la calura infuocata del giorno diminuì, il vento
cessò e il lago si tinse di riflessi azzurri e rosati. C'erano delle cicogne ritte
su un piede solo sulle rocce, con gli occhi fissi sull'acqua, avevano ancora
fame,
I cenciosi avevano lo sguardo fisso sul figlio di Maria, aspettavano e
non volevano andarsene. Che cosa aspettavano? Avevano dimenticato fa-
me e miseria, avevano dimenticato la crudeltà dei padroni che non vole-
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vano rassegnarsi a lasciare qualche chicco d'uva nelle loro vigne, dopo la
vendemmia, per addolcire anche la bocca dei poveri. Per la mietitura era lo
stesso. Andavano di campo in campo con le loro sacche vuote. Dal mattino
si spostavano da una vigna all'altra e le loro ceste erano sempre vuote. E i
loro figli li aspettavano ogni sera con la fame in corpo. Adesso, non sape-
vano spiegarsi il motivo, ma era come se all'improvviso le loro ceste si
fossero colmate. Guardavano quell'uomo vestito di bianco davanti a loro e
non avevano più voglia di andarsene... Aspettavano. Che cosa? Non lo
sapevano.
Il figlio di Maria li guardava e aspettava pure lui. Sentiva che tutte
quelle anime si aggrappavano a lui. Che cosa volevano dalla sua persona?
Che cosa si aspettavano da lui ? Che cosa avrebbe potuto dar loro, lui che
non possedeva nulla? Rimaneva fermo a guardarli; per un istante fu preso
dal panico e fece un gesto come per andarsene, ma ne provò vergogna. Che
cosa sarebbe accaduto a Maddalena che si era rannicchiata ai suoi piedi? E
come avrebbe potuto lasciare in quella cupa disperazione tutti quegli occhi
che lo guardavano con amore? Andarsene, ma per andare dove? Dio è
dovunque, ed egli non poteva sottrarsi alla grazia divina che segnava il suo
destino. No, non era la sua grazia, ma la sua onnipotenza. Il figlio di Maria
adesso sentiva che la sua casa era la terra, non c'erano altre case per lui, e il
suo deserto erano gli uomini, non c'era altro deserto. Abbassò la testa.
«Signore, che sia fatta la tua volontà», mormorò. E si abbandonò al
volere di Dio.
Dalla folla dei cenciosi venne avanti un vecchio e gli disse:
«Figlio di Maria, abbiamo fame; non ci aspettiamo pane da te, tu sei
povero come noi. Parla, dicci una parola di conforto e saremo saziati».
Un giovane prese coraggio.
«Figlio di Maria», disse, «la sfortuna ci perseguita, il nostro cuore non
ne può più. Hai detto che ci portavi una parola di speranza. Diccela,
dunque, portaci la liberazione!»
Il figlio di Maria, guardava gli uomini, ascoltò quel grido di libertà e di
fame e ne provò una gioia immensa. Era come se aspettasse quel momento
da anni e adesso era arrivato; il popolo invocava il suo nome. Si girò verso
di loro con le braccia spalancate.
«Fratelli», disse, «andiamo!»
E all'improvviso, il popolo, come se esso pure aspettasse da anni quel
momento, come se udisse per la prima volta il suo nome, il suo vero nome,
fu anch'esso colmo della medesima gioia: «Andiamocene», gridarono tutti
149
insieme, «nel nome di Dio!»
Il figlio di Maria si mise in testa al gruppo e si avviarono tutti quanti.
Un colle tondeggiante, ancora verde malgrado l'estate torrida, s'innalzava
sulla riva. Il sole vi aveva picchiato sopra tutto il giorno e ora, nella
dolcezza del crepuscolo, profumava di timo e di salvia. Un tempo, in cima
a esso, doveva esserci stato un tempio pagano; vi erano ancora resti di
capitelli scolpiti e, di notte, ai pescatori pareva di scorgere, pescando nel
lago, un bianco fantasma che veniva a sedersi su quei blocchi di marmo;
una notte il vecchio Giona l'aveva anche sentito piangere. Camminavano,
in estasi, verso quel colle; in testa il figlio di Maria e dietro di lui la massa
dei poveri.
La vecchia Salomè si girò verso il figlio minore.
«Figlio mio», disse, «dammi il braccio, andiamocene anche noi.» Prese
Maria per mano.
«Maria, non piangere. Non hai visto un'aureola sopra la testa di tuo
figlio?»
«Non ho un figlio, non ho più un figlio», rispose la madre e scoppiò in
singhiozzi. «Tutti quei pezzenti, ne hanno uno e io non ne ho...»
Piangeva, si lamentava e camminava. Adesso ne era sicura: suo figlio
l'aveva abbandonata per sempre. Quando era corsa per abbracciarlo, per
riportarselo a casa, lui l'aveva guardata stupito, come se non la riconosces-
se. E quando gli aveva detto: «Sono tua madre», aveva allungato una mano
per respingerla.
Il vecchio Zebedeo vide sua moglie salire con la folla; fece una smorfia,
prese il randello, si voltò verso il figlio Giacomo e i suoi due compagni,
Filippo e Nataniele, e mostrò loro la folla concitata.
«Sono come lupi affamati, che siano maledetti! Andiamo a urlare anche
noi con loro perché non ci credano degli agnelli e non ci mangino!
Seguiamoli! E fate attenzione: qualsiasi cosa dica quella testa calda del
figlio di Maria, noi ci faremo beffe di lui, capito? Non bisogna lasciargli
prender piede. Avanti! Tutti assieme, e tenete gli occhi aperti!»
Si mise a salire anche lui, passo dopo passo.
In quel momento apparvero i due figli di Giona. Pietro teneva il fratello
per mano e gli parlava con calma, teneramente, per non spaventarlo. Ma
l'altro guardava emozionato la folla che saliva e l'uomo vestito di bianco
che la guidava.
«Chi sono? Dove vanno?» chiese Pietro a Giuda che era ancora lì, sulla
strada, indeciso.
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«Il figlio di Maria...» rispose il Rosso, cupo in volto.
«E la folla dietro a lui?»
«Sono i poveri che raccolgono i resti dopo la vendemmia. Lo hanno
visto e si sono aggrappati a lui; sembra che parlerà loro.»
«Per dirgli che cosa? Se non sa nemmeno contare fino a tre!»
Giuda alzò le spalle.
«Vedremo!» borbottò e si mise a salire pure lui.
Due donne, grassocce e colorite, stavano tornando dalle vigne, sfinite
dalla stanchezza, surriscaldate, portando in equilibrio sulla testa grandi
ceste d'uva; la compagnia le tentò. «Andiamoci anche noi» si dissero,
«tanto per passare il tempo.» E si unirono alla folla.
Il vecchio Giona, con la sua rete da pesca sulla schiena, stava tornando
alla sua casetta. Aveva fame e fretta. Vide i suoi due figli, la folla che sali-
va, e si fermò con la bocca spalancata, facendo girare qua e là i suoi grossi
occhi da pesce. Non pensava a nulla, non si domandava chi fosse morto,
chi si sposasse, dove andasse tutta quella gente. Non pensava a nulla, si
limitava a guardare a bocca aperta.
«Andiamo, Giona, profeta pescatore», gli gridò Zebedeo, «vieni, è fe-
sta. Pare che Maria Maddalena si sposi, vieni a divertirti!»
Le grosse labbra di Giona si mossero, stava per parlare, ma cambiò
idea. Con un colpo di spalla si assicurò bene la rete sulla schiena e prese, a
passi pesanti, la strada di casa. Mentre arrivava alla capanna, mormorò:
«Vattene al diavolo, stolto di uno Zebedeo!» Quindi spinse la porta ed
entrò.
Nel momento in cui il vecchio Zebedeo arrivava con i compagni sulla
cima del colle, Gesù era seduto su un capitello e non aveva ancora aperto
bocca, come se li stesse aspettando. Davanti a lui, gli uomini seduti alla
turca, le donne in piedi, lo guardavano.
Il sole era tramontato ma, verso nord, il monte Hermon tratteneva
ancora un po' di luce sulla sua vetta.
Gesù aveva incrociato le braccia sul petto e osservava la luce che lotta-
va con l'ombra. Talvolta posava lentamente lo sguardo sui visi degli uomi-
ni che lo fissavano: visi sofferenti, rinsecchiti dalla fame. I loro occhi, fissi
su di lui, lo guardavano come se fosse stata colpa sua, come se volessero
rimproverarlo.
Appena vide Zebedeo con il suo gruppo, si alzò.
«Siate benvenuti», disse. «Avvicinatevi tutti a me, la mia voce è debole
e voglio parlarvi.»
151
Zebedeo, l'anziano del villaggio, gli passò davanti e si sedette su una
pietra. Alla sua destra c'erano i suoi due figli, Filippo e Natamele e, a
sinistra, Pietro e Andrea. Dietro, nel gruppo delle donne c'erano la vecchia
Salomè e Maria, la moglie di Giuseppe. L'altra Maria, Maddalena, era
accasciata ai piedi di Gesù, con il viso nascosto fra le mani. Un po' in
disparte, sotto un pino contorto dal vento, Giuda attendeva. Fra gli aghi di
pino, dardeggiava con gli occhi azzurri e freddi il figlio di Maria.
Dentro di sé questi tremava e lottava per prender coraggio. Il momento
che da tanti anni temeva, ora era giunto. Dio aveva vinto, l'aveva trascinato
con la forza dove Lui aveva voluto, davanti agli uomini, affinché parlasse
loro. E ora, che cosa dire? Le rare gioie della sua vita, i molti dolori, la sua
lotta con Dio, attraversavano la sua mente come lampi; poi tutto quello che
aveva visto girovagando da solo: le montagne, i fiori, gli uccelli, i pastori
che portano allegramente sulla schiena la loro pecora smarrita, i pescatori
che lanciano la rete per prendere i pesci, i contadini che seminano, mieto-
no, zappano e portano a casa il raccolto... Il cielo e la terra si aprivano e si
richiudevano nella sua mente, con tutte le meraviglie di Dio, e non sapeva
quale scegliere per cominciare; avrebbe voluto rivelare tutto, per consolare
gli inconsolabili. Il mondo si stese davanti ai suoi occhi come una leggen-
da di Dio, come la leggenda piena di orchi e di figlie di re che gli raccon-
tava la madre di sua madre per impedirgli di piangere. Adesso Dio si
chinava dal cielo per raccontarla agli uomini.
Spalancò le braccia e sorrise.
«Fratelli», disse con voce tremante, «fratelli, vi parlerò per mezzo di
parabole, perdonate. Sono un uomo semplice, poco istruito, sono pure io
povero e sprovveduto, il mio cuore ha molto da dire, ma la mia mente non
è capace di spiegarlo; apro la bocca e, senza che io lo voglia, la parole man
mano prendono la forma di una leggenda. Fratelli, perdonate, vi parlerò
per mezzo di parabole.»
«Ascoltiamo, figlio di Maria, ascoltiamo!»
Gesù riprese di nuovo a parlare:
«Il seminatore uscì per seminare il suo campo e, mentre seminava, un
seme cadde sulla strada; vennero gli uccelli e lo mangiarono. Un altro cad-
de sulle pietre, non trovò terra per alimentarsi e morì disseccato. Un altro
cadde fra i rovi, i rovi lo schiacciarono e lo soffocarono. Un altro, infine,
cadde sulla terra buona, mise radici, germogliò una spiga, che diede il suo
frutto, che alimentò gli uomini. Colui fra voi, fratelli, che ha orecchie per
intendere, intenda».
152
Tutti tacquero. Si guardavano fra loro, stupiti. Ma il vecchio Zebedeo,
che cercava un pretesto per litigare, disse:
«Non capisco, scusami. Ho le orecchie, Dio sia lodato, ho le orecchie e
odo, ma non capisco. Che cosa vuoi dire? Non puoi parlare più chiara-
mente?» Rise sarcasticamente e carezzò con fierezza la sua barba bianca.
«Sei forse tu il seminatore?»
«Sono io», rispose Gesù con umiltà.
«Guarda che faccia tosta!» esclamò l'anziano notabile, picchiando il
randello sul suolo. «E noi allora siamo le pietre e i rovi e i campi in cui
semini, vero?»
«Siete voi», rispose con la stessa calma il figlio di Maria.
Andrea tese l'orecchio e ascoltò. Guardava Gesù e il suo cuore batteva,
turbato. Era così che batteva quando aveva incontrato la prima volta, sulle
rive del Giordano, Giovanni Battista bruciato dal sole, coperto dalla pelle
di un animale fulvo. La preghiera, le veglie, la fame, l'avevano divorato e
non rimanevano che due immensi occhi, due carboni ardenti e una gola
che urlava: «Pentitevi! Pentitevi!» Egli gridava e delle onde si alzavano sul
Giordano, le carovane si fermavano, i cammelli non potevano proseguire.
Ma ora, davanti a lui, quell'uomo sorrideva, la sua voce era calma e incer-
ta, come la voce di un uccellino che prova per la prima volta a cantare; i
suoi occhi non ardevano, carezzavano. Il cuore di Andrea volava dall'uno
all'altro, pieno di stupore.
Lentamente, Giovanni si allontanava dal padre e si avvicinava a Gesù;
stava per arrivare ai suoi piedi, ma Zebedeo lo vide e il suo furore raddop-
piò. Ne aveva abbastanza di falsi profeti: ogni giorno ne saltava fuori uno
nuovo e trascinava la gente alla perdizione. E tutti, come si fossero passati
parola, inveivano contro i proprietari, i sacerdoti e i re. Tutto ciò che
questo mondo aveva di buono e solido, lo volevano eliminare. E guardate
un po', adesso, quello straccione del figlio di Maria. Ah! Dovrò tirargli il
collo prima che diventi troppo potente.
Si voltò per vedere che cosa ne pensava la folla, per farsi coraggio. Vide
il suo figlio maggiore, Giacomo, aggrottare la fronte, non sapeva se per
l'angoscia o per la collera; vide sua moglie che si era avvicinata e che si
asciugava gli occhi; gettò lo sguardo sui cenciosi e si impaurì guardandoli:
tutti quegli affamati fissavano il figlio di Maria con la bocca aperta, come
gli uccelli che aspettano l'imbeccata dalla madre.
«Andate al diavolo, pezzenti!» mormorò, rannicchiandosi di fianco al
figlio. «È meglio non parlare, mi creerei dei guai.»
153
Si udì una voce tranquilla e patetica. Qualcuno, seduto ai piedi di Gesù,
aveva parlato. Quelli che erano accoccolati dietro di lui, si alzarono per
vedere. Era il figlio minore di Zebedeo che si era trascinato lentamente
fino ai piedi di Gesù, e con la testa protesa gli parlava.
«Tu sei il seminatore», diceva. «Noi siamo le pietre, i rovi e la terra. Ma
quale seme possiedi?»
Il suo viso innocente, coperto da una leggera peluria, era in fiamme; i
suoi occhi neri dal taglio allungato, guardavano Gesù con ansia. Quel gio-
vane corpo tremante era in tensione e aspettava. Dalla risposta che avrebbe
ricevuto, lo sentiva, sarebbe dipesa tutta la sua vita. Questa e l'altra vita.
Gesù si era chinato per udirlo. Tacque per un bel po'. Ascoltava il suo
cuore battere, si sforzava di trovare la parola semplice, quotidiana, immor-
tale. La sua fronte era imperlata di sudore caldo.
«Quale seme possiedi?» chiese di nuovo ansiosamente il figlio di
Zebedeo.
Di colpo Gesù si rizzò, spalancò le braccia e si chinò verso gli uomini.
«Amatevi gli uni con gli altri!» L'esortazione partì dal profondo del suo
cuore. «Amatevi gli uni con gli altri!»
Appena l'ebbe detto, sentì che il suo cuore si era svuotato e si accasciò
sul capitello, sfinito.
Si udì un mormorio, il popolo era stupito, molti scuotevano la testa, altri
ridevano.
«Che cosa ha detto?» chiese un vecchio che non aveva udito bene.
«Che dobbiamo amarci gli uni con gli altri! Almeno sembra.»
«Non è possibile!» fece il vecchio, furioso. «Colui che ha fame non può
amare colui che è sazio. La vittima non può amare il suo carnefice. Non è
possibile! Andiamocene!»
Giuda, appoggiato al pino, si toccò irosamente con la mano la barba
rossiccia.
«Allora è questo che sei venuto a dirci, figlio del falegname?» mormo-
rò. «È questa la grande notizia che ci porti? Dobbiamo dunque amare
anche i Romani? Offrire le nostre gole come tu hai teso la tua guancia e
dire 'Fratello, sgozzami?'»
Gesù udì i mormoni, vide le facce rabbuiarsi. Capì. Il suo viso si coprì
di amarezza, radunò tutte le sue forze e si alzò.
«Amatevi gli uni con gli altri! Amatevi gli uni con gli altri!» ripeté. La
sua voce era supplichevole e ostinata. «Dio è amore! Una volta pensavo
anch'io che fosse feroce, che toccasse le montagne e che esse si mettessero
154
a sprizzar fuoco, che toccasse gli uomini per farli morire. Mi sono sepolto
nel monastero per liberarmi dal suo incubo; cadevo con la faccia al suolo,
aspettavo. Mi dicevo: 'Adesso verrà, si abbatterà su di me come il fulmine'.
E un mattino è venuto, ha soffiato su di me come una fresca brezza e mi ha
detto: 'Alzati, ragazzo mio!' Mi sono alzato e sono venuto. Eccomi!»
Incrociò le braccia e chinò il busto, come per salutare gli uomini.
Il vecchio Zebedeo tossì, sputò e strinse il randello.
«Dio, una brezza fresca?» borbottò a bassa voce, indignato. «Non hai
vergogna, sacrilego!?»
Il figlio di Maria parlava ancora. Scese fra gli uomini, li guardava a uno
a uno, li supplicava uno per uno, andava e veniva, alzava le braccia al
cielo.
«È un padre», affermava. «Non lascia nessun dolore senza lenirlo, nes-
suna ferita senza curarla. Più soffriamo, più abbiamo fame su questa terra,
più saremo saziati, più ci rallegreremo in cielo...»
Si stancò, salì di nuovo sul capitello e si sedette.
«Insomma non bisogna avere troppa fretta!» gridò qualcuno. Scoppiaro-
no delle risate.
Gesù, assente, non rispose.
«Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia...» gridava ora.
«La giustizia non basta», esclamò uno degli affamati, «la giustizia non
basta; vogliamo anche del pane!»
«E di pane», aggiunse Gesù sospirando, «e di pane. Questi verranno
saziati da Dio. Beati coloro che soffrono; Dio li consolerà. Beati i poveri,
gli umili, gli oppressi. È per voi, poveri, umili, oppressi che Dio ha prepa-
rato il regno dei cicli.»
Le due donne che stavano in piedi con le loro ceste d'uva sulla testa, si
scambiarono una rapida occhiata e, senza dire una parola, si misero, una a
destra e l'altra a sinistra, a distribuire l'uva ai poveri. Maddalena, accasciata
ai piedi di Gesù, non osava ancora rialzare la testa e mostrare il suo viso
agli uomini; ma, nascosta dai suoi stessi capelli, baciava i piedi del figlio
di Maria.
Giacomo, che non riusciva più a trattenersi, si alzò e se ne andò. Andrea
si liberò dalle mani del fratello e, in preda all'eccitazione, andò a porsi di
fronte a Gesù.
«Io arrivo dal Giordano, in Giudea», gli gridò, «dove un profeta procla-
ma: 'Gli uomini sono dei fili di paglia e io sono il fuoco. Sono giunto per
bruciare, per purificare la terra, sono giunto per bruciare, per purificare
155
l'anima affinché il Messia vi entri!' E tu, figlio del falegname, predichi
l'amore? Ma non guardi attorno a te? Sono tutti impostori, ladri, assassini,
miserabili; tutti, ricchi e poveri, oppressori e oppressi, Scribi e Farisei,
tutti! Tutti! Anch'io sono un impostore e un miserabile e lo sono anche mio
fratello Pietro e Zebedeo, il vecchio con il ventre pieno, che ode parole
d'amore e pensa alle sue barche, ai suoi servitori e al mezzo di rubare
quanto più mosto possibile nel tino!»
Udendolo, il vecchio Zebedeo perse le staffe. La sua nuca grassa diven-
ne scarlatta, le vene del suo collo gli si gonfiarono. Si rizzò di botto e
sollevò il randello per picchiare; ma la vecchia Salomè fece in tempo ad
afferrargli il braccio.
«Non hai vergogna?» gli disse sottovoce. «Andiamocene!»
«Gli straccioni e gli scalzi non detteranno legge nel mio villaggio!»
proferì a voce alta perché tutti potessero udirlo. Si sentiva soffocare. Si
girò verso il figlio di Maria.
«E tu, figlio del falegname, non vorrai far la parte del Messia anche tu?
Perché guai a te, disgraziato! Crocifiggeranno anche te, per farti star
buono. E non ho certo pietà di te, fannullone, ho pietà di tua madre che
non ha altri figli che te.»
E così dicendo, indicava Maria che, accasciata al suolo, si batteva la
fronte sulle pietre.
Ma la collera del vecchio non si placava. Continuava a battere il suolo
con il suo randello, gridando:
«E adesso si predica l'amore, la fratellanza! Andate dunque, cani, fate
come se foste a casa vostra! Ma posso amare il mio nemico, io? Posso
forse amare il delinquente che gironzola attorno alla mia casa e che vuole
forzarne la porta per rubare? L'amore, ha detto lui; che cervello da gallina!
Perbacco, meno male che ci sono i Romani, ecco che cosa vi dico; e anche
se sono idolatri, loro almeno mantengono l'ordine!»
Ci fu un tumulto, il gruppo dei poveri si scosse; Giuda si strappò violen-
temente dal suo pino. La vecchia Salomè, spaventata, mise la mano sulla
bocca del marito, per farlo tacere. Si girò verso la folla che si avvicinava
ondeggiando, minacciosa.
«Non dategli retta, ragazzi, è in collera: dice il contrario di ciò che
pensa.»
Si voltò verso il vecchio.
«Andiamocene», ordinò.
Fece un cenno al suo beneamato figlio che era seduto, tranquillo e
156
beato, ai piedi di Gesù.
«Andiamocene, figliolo», disse, «ormai è notte.»
«Io resto qui, madre», rispose il giovane.
Maria si sollevò dalle pietre sulle quali si era gettata, si asciugò gli oc-
chi e, pure lei, titubando, si diresse verso il figlio per portarselo via.
Anch'essa era spaventata, infelice, dell'amore che gli dimostravano i poveri
e dalle minacce che aveva proferito il ricco e potente Zebedeo.
«Vi scongiuro, in nome di Dio», diceva agli uni e agli altri mentre
passava, «non l'ascoltate. È malato... molto malato...»
Timorosa, si avvicinò al figlio che, in piedi, con le braccia incrociate,
stava guardando lontano, verso il lago.
«Vieni, figlio mio», gli disse con tenerezza. «Vieni, torniamo a casa.»
Egli udì la sua voce, si voltò, la guardò sorpreso, come se si stesse
domandando chi fosse.
«Vieni, figliolo», ripeté Maria, prendendolo dalla vita: «perché mi
guardi così? Non mi riconosci? Sono tua madre. Vieni, i tuoi fratelli
t'aspettano a Nazareth e il tuo vecchio padre...»
Il figlio scosse la testa.
«Quale madre?» disse tranquillamente, «quali fratelli? Mia madre e i
miei fratelli, eccoli...»
Tese una mano e mostrò i cenciosi e le loro donne e, in piedi e
silenzioso, davanti al pino, Giuda il Rosso che lo osservava con rabbia.
«E mio padre», disse alzando lo sguardo al cielo, «è Dio.»
Gli occhi della povera Maria, folgorata da Dio, cominciarono a versare
lacrime.
«Esiste al mondo madre più infelice di me?» gridò. «Avevo un figlio,
uno solo, e adesso...»
La vecchia Salomè udì quella voce disperata, abbandonò il marito e
tornò indietro. Prese Maria per la mano ma questa le oppose resistenza. Si
girò ancora una volta verso il figlio.
«Non vieni?» supplicò. «Non vieni? Te lo chiedo per l'ultima volta,
vieni!»
Aspettava. Il figlio, muto, aveva girato nuovamente la testa verso il
lago.
«Non vieni?» La madre lanciò un'implorazione lacerante; levò una
mano.
«Non temi la maledizione di tua madre?»
«Non temo nulla», rispose il figlio, senza voltarsi. «Nessuno mi fa
157
paura, tranne Dio.»
Il viso di Maria assunse un'espressione indignata; alzò il braccio con il
pugno chiuso e stava aprendo la bocca per maledirlo, ma la vecchia
Salomè fece in tempo a metterle una mano sulle labbra.
«No! No!» le disse. «No!»
La prese per la vita e la trascinò via con violenza.
«Andiamo», le disse, «andiamo, Maria, figlia mia. Devo dirti una cosa.»
Le due donne presero il sentiero che scendeva verso Cafarnao. Il vec-
chio Zebedeo camminava davanti a loro, furibondo, e decapitava i cardi a
colpi di bastone. La vecchia Salomè parlava a Maria.
«Perché piangi, Maria, figlia mia?» le diceva. «Non hai visto?»
Maria la guardò stupita e smise di lamentarsi.
«Che cosa?» chiese.
«Mentre lui parlava, non hai visto delle ali azzurre, migliaia di ali
azzurre? Dietro di lui, Maria, te lo giuro, c'erano eserciti di angeli!»
Maria, disperata, scuoteva la testa.
«Non ho visto niente... non ho visto niente...» mormorava. «Niente!»
Poi, dopo un attimo, disse: «Che cosa vuoi che me ne faccia degli angeli,
Salomè? Io vorrei che fosse seguito da bambini e da nipotini, non da
angeli!»
Gli occhi della vecchia Salomè non vedevano che ali azzurre. Allungò
una mano, toccò il petto di Maria e le mormorò sottovoce, come se le
stesse confidando un segreto molto importante:
«Tu sei benedetta e benedetto è il frutto del ventre tuo, Maria».
Ma l'altra scuoteva la testa, piangeva e, inconsolabile, continuava a
camminare.
Nel frattempo i poveri, al colmo dell'eccitazione, avevano circondato
Gesù; battevano la terra minacciando con i loro bastoni, e agitavano le
ceste vuote.
«Hai detto bene, figlio di Maria!» gridavano. «Morte ai ricchi!»
«Precedici e andiamo a incendiare la casa del vecchio Zebedeo!»
«No, incendiarla no», dicevano altri, «forziamola e ci divideremo il suo
grano, il suo olio, il suo vino, le sue casse piene di indumenti preziosi...
Morte ai ricchi!»
Gesù agitava disperatamente le braccia, gridando:
«Non ho detto questo! Non ho detto questo! Fratelli, ho detto: amore!»
Ma i poveri, esasperati dalla fame, non l'ascoltavano più.
«Andrea ha ragione», urlavano. «Prima il fuoco e l'ascia e poi l'amore!»
158
Andrea, di fianco a Gesù, ascoltava pensieroso con la testa bassa e tace-
va. Il suo maestro, laggiù nel deserto, parlava e le sue parole si abbatte-
vano sulle teste degli uomini come fossero pietre; quest'uomo, invece,
elargisce le sue parole come fossero pane... Chi ha ragione? Quale delle
due strade porta alla salvezza del mondo? La violenza o l'amore?
E mentre rimuginava nella mente questi pensieri, sentì due mani posarsi
sulla sua testa. Erano quelle di Gesù.
Le sue dita, affusolate e sottili, avvolgevano tutto ciò che toccavano e
avevano coperto per intero la testa di Andrea. Questi non si mosse. Sentiva
le giunte del suo cranio aprirsi, e una dolcezza indicibile, pesante come il
miele, scendere nel suo cervello, giungere alla bocca, alla gola, al cuore,
proseguire fino alle sue reni e ramificarsi fino alla pianta dei piedi. Ne
provava una gioia profonda, in tutte le sue membra, in tutta l'anima, dalle
radici del suo essere, come l'albero assetato quando viene innaffiato. Non
parlava. Che cosa meravigliosa se quelle mani avessero potuto rimanere
sempre sulla sua testa!... Dopo una lotta così lunga, sentiva in sé pace e
sicurezza.
Un po' più in là, Natamele e Filippo, i due inseparabili amici, discuteva-
no animatamente.
«Mi piace», diceva il gran demonio candido. «Le sue parole sono dolci
come il miele. Non credermi, se non vuoi, ma mentre parlava provavo
anch'io quella dolcezza.»
«Non mi piace», rispondeva il pastore, «no. Dice una cosa e ne fa
un'altra. Grida 'amore, amore', poi fabbrica delle croci per crocifiggere!»
«Questo ormai è finito, Filippo, te lo assicuro, finito. Doveva passare
attraverso le croci e ci è passato; adesso è entrato nel cammino del
Signore.»
«Voglio cose concrete!» insisteva Filippo. «Che venga prima a benedire
i miei agnelli che hanno la scabbia; se guariscono, gli crederò. Altrimenti,
che se ne vada al diavolo con gli altri! Perché scuoti la testa? Se vuole
salvare il mondo, cominci dai miei agnelli!»
Cadeva la notte sul lago, sulle vigne e sui volti degli uomini. Il gran
carro apparve in cielo; una stella, rossa come una goccia di vino, brillava a
Oriente, proprio sopra al deserto.
Gesù si sentì improvvisamente stanco; aveva fame e voleva rimanere
solo. A poco a poco gli uomini si ricordavano della strada che restava loro
da fare, della loro casa e dei bambini che stavano aspettandoli; tornarono
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le preoccupazioni: era stato come un lampo e si erano lasciati trascinare,
ma il lampo era guizzato via e le preoccupazioni quotidiane tornavano ad
assillarli. Furtivamente, come se stessero disertando, scivolavano via, uno
o due alla volta e se ne andavano.
Afflitto, Gesù si stese sui vecchi blocchi di marmo. Nessuno gli tese la
mano per dargli la buona sera, nessuno gli chiese se avesse fame, né se
avesse un luogo dove dormire. Aveva il viso rivolto verso la terra che stava
diventando scura e udiva i passi frettolosi che si allontanavano e svaniva-
no. Di colpo il silenzio fu assoluto. Alzò la testa: nessuno. Si guardò
attorno, era buio; gli uomini se ne erano andati. Sopra di lui solo le stelle e
dentro solo la fame e la stanchezza. Dove andare? A che porta bussare? Si
rannicchiò di nuovo in terra e mormorò tristemente: «Anche le volpi hanno
una tana in cui dormire, e io non l'ho...» Chiuse gli occhi. Un freddo
pungente era venuto giù con. la notte; tremava.
All'improvviso udì un sospiro e un leggero singhiozzo provenire da die-
tro i blocchi di marmo. Aprì gli occhi. Scorse una donna che si trascinava a
pancia in giù, avvicinandosi. Si sciolse i capelli e si mise ad asciugare con
essi i piedi di Gesù, coperti di ferite a causa delle pietre. Egli la riconobbe
dal suo profumo.
«Maddalena, sorella mia», disse, appoggiando la mano sulla sua testa
calda e profumata, «Maddalena, sorella mia, torna nella tua casa e non
peccare più.»
«Gesù, fratello mio», disse lei baciandogli i piedi, «lascia che io segua
la tua ombra fino alla morte. Ora so, figlio mio, che cos'è l'amore.»
«Torna nella tua casa», ripeté Gesù. «Quando sarà il momento, ti
chiamerò.»
«Voglio morire per te, figlio mio», riprese la donna.
«Quel momento giungerà, Maddalena, non avere fretta; non è ancora
giunto. Allora ti chiamerò; adesso vattene...»
Ella stava per replicare, ma la voce, divenuta molto severa, ripeté:
«Vattene».
Maddalena prese il sentiero che scendeva; i suoi passi leggeri risuonaro-
no per pochi attimi, poi, a poco a poco, svanirono. Rimaneva nell'aria solo
il profumo del suo corpo, ma la brezza notturna, soffiando, lo portò via.
Il figlio di Maria adesso era solo. Su di lui c'era Dio con il suo volto
notturno, un volto tenebroso cosparso di stelle. Tese l'orecchio nell'oscurità
stellata, come se tentasse di udire una voce. Attese, ma non udì nulla.
Avrebbe voluto chiedere all'Invisibile: «Sei contento di me, Signore?», ma
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non osava. Avrebbe voluto dire un mucchio di cose all'Invisibile, ma non
osava. Il silenzio che si era abbattuto di colpo su di lui lo spaventava. Sicu-
ramente non deve essere contento, non deve essere contento di me, pensò
rabbrividendo. Ma non è colpa mia, Signore, te lo dicevo. Quante volte te
l'ho detto che non riesco a parlare! Ma tu mi spronavi sempre, sia per
scherzo, sia per collera, e quel mattino, al monastero, mentre i monaci mi
stavano cercando per farmi, indegno, igùmeno, quando avevano sbarra-to
tutte le porte per impedire che me ne andassi, tu mi hai aperto una porta
segreta, m'hai afferrato per i capelli e mi hai gettato qui, davanti a tanti
uomini! «Parla, è giunto il momento», mi hai ordinato. E io tacevo, tenevo
la bocca chiusa. Tu gridavi, ma io tacevo. E non l'hai più tollerato: ti sei
gettato su di me, mi hai aperto la bocca - non sono io che l'ho aperta - sei
tu che me l'hai aperta con la forza, tu hai toccato le mie labbra non con un
carbone ardente, come sei solito fare con i tuoi profeti, ma con del miele!
E ho parlato. Il mio cuore era in collera, avevo fretta di gridare anch'io,
come il tuo profeta Battista: «Dio è il fuoco; Egli arriva! Dove andrete a
nascondervi voi, uomini senza legge, senza giustizia e senza onore? Egli
arriva!» Era questo che il mio cuore voleva gridare, ma tu, hai toccato le
mie labbra con del miele e io ho gridato: «Amore! Amore!»
Signore, Signore, non posso lottare con te; stasera mi arrendo. Che sia
fatta la tua volontà!
Dicendo questo si sentì sollevato. Chinò la testa sul petto come un
uccello assonnato, chiuse gli occhi e si addormentò. Subito gli parve di
tirar fuori dal seno una mela, di aprirla, di prenderne un seme e di piantarlo
di fronte a lui, lì in terra. E, appena piantato, il seme germogliò; crebbe un
tronco con rami e foglie, l'albero fiorì, diede dei frutti: era carico di mele
rosse...
All'improvviso le pietre si mossero, e il passo di un uomo lo riscosse dal
sonno. Gesù aprì gli occhi. C'era un uomo in piedi davanti a lui. Non era
più solo e ne fu contento. Con calma, senza parlare, accolse quella confor-
tevole presenza.
Il visitatore notturno si avvicinò e s'inginocchiò.
«Devi aver fame», disse. «Ti porto del pane, del pesce e del miele.»
«Chi sei, fratello?»
«Il figlio di Giona. Andrea.»
«Tutti mi hanno abbandonato. Se ne sono andati. Ed è vero, avevo
fame. Come mai tu, fratello, ti sei ricordato di me e mi hai portato queste
grazie del Signore: pane, pesce e miele? Non manca che una parola di
161
conforto.»
«Ti porto anche quella», disse Andrea. L'oscurità gli infondeva corag-
gio. Gesù non vedeva le due lacrime che scendevano sulle gote pallide del
giovane e neppure le sue mani che tremavano.
«Comincia da lì, fratello», gli disse Gesù e gli tese la mano sorridendo.
«Rabbi... Maestro mio...» mormorò il figlio di Giona. Si chinò e gli
baciò i piedi.
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caricava di nubi, la terra si oscurava, l'aria odorava di pioggia.
Raggiunsero il primo villaggio, ai piedi del monte sacro dei loro avi, il
Garizim. All'entrata del villaggio c'era l'antico pozzo di Giacobbe, circon-
dato da palme e da arbusti. Era lì che il patriarca Giacobbe veniva ad
attingere l'acqua che beveva con le sue pecore. La sua vera di pietra era
consumata dalla corda che sfregava contro di essa ormai da generazioni.
Gesù era stanco e i suoi piedi erano insanguinati dalle pietre.
«Rimarrò qui», disse. «Sono stanco. Voialtri entrate nel villaggio e bus-
sate alle porte; troveremo pure un'anima buona che ci faccia l'elemosina di
un tozzo di pane. Verrà pure una donna al pozzo per attingere l'acqua e
darci da bere. Abbiate fiducia in Dio e negli uomini.»
I cinque compagni partirono; durante il cammino Giuda cambiò idea.
«Io non entro in un villaggio corrotto», disse, «non mangio del pane
insozzato. Mi fermo sotto questo fico e vi aspetterò.»
Nel frattempo Gesù si era disteso fra gli arbusti, all'ombra. Aveva sete,
ma il pozzo era profondo e non poteva bere. Chinò la testa e si abbandonò
ai sogni. Era un cammino difficile quello che aveva scelto; il suo corpo era
debole, si stancava, cedeva, non aveva la forza di sostenere la sua anima.
Cadeva, ma Dio soffiava subito su di lui come una brezza fresca e leggera
e il suo corpo riacquistava forza, si alzava e ripartiva... Fino a quando?
Fino alla morte? E oltre la morte?
Mentre pensava a Dio, agli uomini e alla morte, gli arbusti si mossero e
una giovane donna ornata con braccialetti e orecchini e con una brocca
sulla testa si avvicinò al pozzo. Appoggiò la brocca sulla vera e Gesù la
vedeva fra gli arbusti srotolare la corda che aveva in mano, far scendere il
secchio e prender l'acqua per riempire la sua brocca. La sua sete raddop-
piò.
«Donna», disse, uscendo dagli arbusti, «dammi da bere.»
La donna, vedendoselo comparire di colpo davanti, prese paura.
«Non temere», disse, «sono un brav'uomo; ho sete, dammi da bere.»
«Come mai», ella rispose, «tu, un Galileo, come posso dedurre dalle tue
vesti, chiedi dell'acqua a una Samaritana?»
«Se tu sapessi chi è che ti dice 'donna dammi da bere', cadresti ai suoi
piedi e saresti tu a chiedergli di darti da bere l'acqua immortale.»
La donna rimase interdetta.
«Non hai né corda né secchio e il pozzo è profondo. Come faresti ad
attingere l'acqua per darmi da bere?»
«Colui che berrà l'acqua di questo pozzo avrà ancora sete», rispose
184
Gesù. «Ma colui che berrà l'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete.»
«Signore», disse allora la donna, «dammi da bere quell'acqua, affinché
io non abbia mai più sete. Che non debba venire ogni giorno al pozzo.»
«Vai a chiamare tuo marito», le disse Gesù.
«Non ho marito, Signore.»
«Veramente? Ne avevi cinque finora e quello che hai ora non è tuo
marito.»
«Sei profeta, o Signore?» esclamò la donna piena d'ammirazione. «Sai
tutto?»
Gesù sorrise.
«Hai una domanda da farmi? Parla a cuore aperto.»
«Ti chiederò una cosa, Signore e ti prego di rispondermi. Fino a ora i
nostri genitori adoravano Dio sul monte sacro, il Garizim. Ora voialtri dite
che solo a Gerusalemme bisogna adorare Dio. Qual è la verità? Dov'è Dio?
Spiegamelo.»
Gesù abbassò la testa e tacque. Quella peccatrice, tormentata dall'-
inquietudine di Dio, lo turbava sino nel fondo del cuore. Cercava dentro di
sé parole adatte, parole per consolarla, per darle soddisfazione. All'improv-
viso sollevò la testa e il suo viso era raggiante.
«Tieni in fondo alla tua anima ciò che ti dirò, donna. Verrà il giorno - ed
è già giunto - in cui non sarà più né su quel monte, né a Gerusalemme, che
gli uomini adoreranno Dio. Dio è spirito e non è che nello spirito che si
adora lo spirito.»
La donna restò confusa; si chinò e guardò Gesù con angoscia.
«Sei tu», disse a voce bassa e tremante, «sei forse tu Colui che
attendiamo?»
«Chi attendete?»
«Lo sai. Perché vuoi farmi dire il suo nome? Lo sai, le mie labbra sono
peccatrici.»
Gesù chinò la testa sul petto, come per ascoltare il suo cuore. Come se
dovesse esser lui a dare la risposta. La donna, china su di lui, aspettava, in
ansia.
Mentre rimanevano lì, tutti e due turbati e in silenzio, si udirono grida
di gioia e apparvero i discepoli con un pane in mano. Videro il maestro con
una sconosciuta e si fermarono. Gesù li vide e se ne rallegrò: sfuggiva alla
terribile domanda della donna. Fece cenno ai compagni di avvicinarsi.
«Venite», gridò, «Dio ci ha mandato questa donna affinché attinga
l'acqua per darci da bere.»
185
I compagni si avvicinarono, solo Giuda rimase in disparte, per non
contaminarsi bevendo l'acqua di Samaria.
La samaritana chinò la sua brocca e gli assetati bevvero. La riempì di
nuovo, se la mise abilmente sulla testa e si diresse in silenzio e pensierosa
verso il villaggio.
«Rabbi, chi era quella donna?» chiese Pietro. «Parlavate come se vi
conosceste da anni.»
«È una mia sorella», rispose Gesù. «Le ho chiesto dell'acqua perché
avevo sete ed è lei, ora, che non è più assetata.»
Pietro si grattò la testa dura.
«Non capisco», disse.
«Non importa», fece Gesù, accarezzando la testa grigia dell'amico.
«Capirai a poco a poco, una cosa dopo l'altra, non aver fretta. Adesso
abbiamo farne, mangiamo!»
Si sedettero sotto i palmizi e Andrea disse che erano entrati nel villaggio
e avevano cominciato a chiedere l'elemosina. Avevano bussato a diverse
porte ed erano stati cacciati, di casa in casa, e scherniti; infine, all'estremità
del villaggio, una vecchia aveva socchiuso la porta, aveva guardato la
strada da cima a fondo - non passava nessuno - aveva teso loro di nascosto
una pagnotta e richiuso velocemente la porta. Avevano afferrato la pagnot-
ta ed erano scappati a gambe levate.
«Peccato», disse Pietro, «che non conosciamo il nome della vecchia per
chiedere a Dio di ricordarsi di lei.»
Gesù si mise a ridere.
«Non preoccuparti, Pietro, Dio lo sa», disse.
Gesù prese il pane, lo benedì, ringraziò Dio che aveva spinto la vecchia
a darglielo; lo divise quindi in sei grandi pezzi, uno per ogni compagno.
Ma Giuda respinse via la sua parte con la punta del bastone e girò la testa.
«Non mangio pane di Samaria», disse, «non mangio porco.»
Gesù non lo contraddisse. Sapeva che quel cuore era duro e che ci
voleva del tempo per ammorbidirlo. Tempo, abilità e molto amore.
«Noi», disse agli altri, «lo mangeremo. Il pane samaritano diventa
galileo quando sono dei galilei che lo mangiano. La carne di porco diventa
carne umana quando sono gli uomini a mangiarla. In nome del cielo!»
I quattro compagni si misero a ridere e mangiarono di buon appetito. Il
pane di Samaria era buono, come tutti i pani, e ne furono felici. Poi incro-
ciarono le braccia; erano stanchi e si addormentarono. Solo Giuda, sveglio,
batteva la terra con il bastone, come se volesse picchiarla.
186
Meglio la fame che la vergogna, pensava per consolarsi.
Le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere sugli arbusti. I dor-
mienti si svegliarono di soprassalto.
«Ecco le prime piogge», disse Giacomo, «la terra si disseterà.»
Mentre riflettevano dove trovare una grotta per ripararsi, si era alzato il
vento, un vento da nord che cacciò via le nubi; il cielo si schiarì ed essi
ripresero il loro cammino.
I fichi ancora sugli alberi brillavano nell'aria umida. I melograni erano
carichi di frutti, i compagni ne coglievano e si rinfrescavano. Dei contadini
alzavano la testa dal campo e li guardavano, stupefatti. Che cosa volevano
dei Galilei sulle loro terre, perché si mescolavano ai samaritani, mangia-
vano il loro pane e coglievano i frutti dai loro alberi? Dovevano andarsene!
Un vecchio non si controllò più e uscendo dal suo giardino, gridò:
«Ehi, Galilei; la vostra Legge ingiusta getta l'anatema su questa terra
santa che state calpestando. Che cosa cercate nel nostro paese? Andateve-
ne!»
«Andiamo nella santa Gerusalemme per adorare», rispose Pietro. Si
piantò, gonfiando il torace, davanti al vecchio.
«È qui che bisogna adorare, apostati, su questa montagna abitata da
Dio, il Garizim!» ruggì il vecchio. «Avete letto le Scritture? È qui, ai piedi
del Garizim, sotto le querce, che Dio apparve ad Abramo. Gli ha mostrato
da un estremo dell'orizzonte all'altro, le montagne e le pianure dal monte
Hermon all'Idumenea e alla terra di Madiam. 'Ecco', disse, 'la Terra Pro-
messa da cui sgorgano latte e miele. Ho promesso di dartela e te la darò.'
Si son dati la mano e hanno suggellato un accordo. Capite, Galilei? È
questo che dicono le Scritture. E colui che vuole adorare è qui, su questa
terra santa, che deve adorare. E non a Gerusalemme, che ammazza i
profeti!»
«Ogni terra è santa, vecchio», disse Gesù con voce serena.
«Dio è ovunque e siamo tutti fratelli.»
Il vecchio, stupito, si girò verso di lui. «Anche i Samaritani e i Galilei?»
«Anche i Samaritani è i Galilei, vecchio, e la gente della Giudea. Tutti.»
Il vecchio, toccandosi la barba, si mise a riflettere; squadrava Gesù
dalla testa ai piedi.
«Anche Dio e il diavolo?» chiese infine, a bassa voce, per non essere
udito dalle potenze invisibili.
Gesù ebbe paura. Non si era mai domandato se la grazia di Dio era
tanto forte da poter perdonare, un giorno, anche Lucifero e da ricevere
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pure lui nel regno dei cicli.
«Non lo so, vecchio», rispose, «non lo so. Sono un uomo, mi preoccupo
degli uomini; al di là di questo tutto è cosa di Dio.»
Il vecchio tacque. Si toccava ancora la barba, assorto in una profonda
meditazione e guardava gli strani passanti, camminare a due a due e
perdersi fra gli alberi...
Cadde la sera. Si levò un vento freddo ed essi trovarono una grotta in
cui ripararsi. Si strinsero l'uno contro l'altro per riscaldarsi; avevano ancora
un pezzo di pane ciascuno e lo mangiarono. Il Rosso uscì, raccolse dei
pezzetti di legno e accese un fuoco; i compagni si scaldarono e si sedettero
attorno al fuoco, guardando le fiamme in silenzio. Udivano soffiare il ven-
to, ululare gli sciacalli e i sordi colpi di tuono non lontani dal monte Gari-
zim. Dall'apertura della grotta vedevano in cielo una grossa stella che li
consolava; ma presto arrivarono le nubi e la nascosero.. I compagni chiu-
sero gli occhi, appoggiarono la testa ognuno sulla spalla del proprio vicino,
senza farsi scorgere, Giovanni gettò il suo mantello di lana sulle spalle di
Gesù e tutti insieme, stretti gli uni agli altri, si addormentarono.
L'indomani entrarono nella Giudea. A poco a poco vedevano cambiare
la vegetazione. Sui bordi della strada ora si allineavano dei pioppi dalle
foglie ingiallite, dei carrubi carichi di bacche e dei cedri millenari. La re-
gione era arida, piena di pietre, senz'acqua, ingrata. Anche i contadini che
apparivano sulle soglie delle loro porte basse e scure parevano, essi pure,
fatti di silicio. Di tanto in tanto, fra quelle pietre spuntava un fiore selva-
tico azzurro, modesto, grazioso. E talvolta in quel deserto muto, dal fondo
di un crepaccio, si udiva il richiamo di una pernice. «Deve aver trovato un
goccio d'acqua e la beve...» pensava Gesù; sentiva nel palmo della mano il
ventre caldo dell'uccello e ne era contento. Più si avvicinavano a Gerusa-
lemme, più il paese, diventava selvaggio. Dio? Dio pure cambiava, la terra
qui non era più ridente come in Galilea e Dio pure era fatto di silicio come
gli uomini. E dal cielo che a Samaria per un istante aveva annunciato la
pioggia, promettendo quindi di rinfrescare la terra, quel cielo, qui, era ferro
rovente. Una fornace opprimente. Camminavano ansi-mando. Scolpite
nelle rocce, c'erano una quantità di tombe che si ergevano verso il cielo;
migliaia di loro avi si erano trasformati in esse ed erano tornati a essere
terra. La notte cadde ancora una volta. Si ripararono nelle tombe vuote, si
distesero e si addormentarono presto per entrare ben riposati, l'indomani,
nella città santa.
Solo Gesù, quella sera, non dormiva. Gironzolava fra le tombe ascol-
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tando la notte; il suo cuore era inquieto. Sentiva delle voci oscure, dei
gemiti, come se racchiudesse in seno migliaia di uomini che soffrivano e
gridavano... Verso mezzanotte il vento cessò e la notte divenne muta. Allo-
ra in mezzo a quel silenzio si udì un urlo penetrante lacerare l'aria. Dappri-
ma credette che fosse uno sciacallo affamato; poi, con terrore, sentì che era
il suo proprio cuore.
«Mio Dio», mormorò, «chi dunque sta gridando in me? Chi piange?»
Era stanco, si sistemò anche lui in una tomba, incrociò le braccia e si
abbandonò nelle mani di Dio. All'alba fece un sogno: gli sembrò di essere
con Maria Maddalena e di volare con calma e senza rumore sopra una
grande città. Sfioravano leggermente i tetti, li rasentavano e avanzavano.
In fondo al villaggio si aprì l'ultima porta e apparve un vecchio gigantesco,
con la barba lunga come un fiume e degli occhi azzurri che brillavano
come stelle. Si era rimboccato le maniche e le mani e le braccia erano
ricoperte di fango. Alzò la testa e li vide volare. «Fermatevi», gridò loro,
«ho qualcosa da dirvi.» Essi si fermarono e risposero: «Che cosa c'è
vecchio, ti ascoltiamo».
«Il Messia è colui che ama il mondo tutto intero. Il Messia è colui che
muore perché ama il mondo tutto intero», rispose il vecchio.
«È tutto?» chiese Maddalena.
«Ciò non ti basta?» gridò il vecchio in collera.
«Possiamo entrare nella tua bottega?» chiese ancora Maddalena.
«No, non vedi che ho le mani piene di argilla? Sto fabbricando il
Messia.»
Gesù si svegliò di soprassalto e il suo corpo era davvero leggero, come
se stesse volando. Ormai era giorno. I suoi compagni erano già svegli e i
loro sguardi si posavano su tutte le rocce e sulle colline in direzione di
Gerusalemme.
Se ne andarono in fretta. Camminavano, camminavano, ma sembrava
loro che le montagne si spostassero davanti a loro e si allontanassero; la
strada non smetteva di allungarsi.
«Credo, fratelli, che non arriveremo mai a Gerusalemme. Che cosa sta
succedendo? Non vedete? Si allontana sempre di più!» disse Pietro,
disperato.
«Si sta avvicinando sempre più», gli rispose Gesù, «coraggio, Pietro.
Noi facciamo un passo verso di lei e lei uno verso di noi. Come il Messia.»
«Il Messia?» disse Giuda voltandosi bruscamente.
«Il Messia arriva», disse Gesù con voce grave, «il Messia arriva, lo sai
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bene Giuda, se noi gli andiamo incontro. Se facciamo una buona azione o
un atto di coraggio, se pronunciamo una buona parola il Messia si affretta
e arriva. Se non siamo leali, se siamo cattivi o vigliacchi, il Messia torna
indietro. Si allontana. Il Messia è una Gerusalemme che cammina, fratelli;
ha fretta e pure noi abbiamo fretta. Sbrighiamoci ad andargli incontro!
Abbiate fiducia in Dio e nell'anima dell'uomo che è immortale.»
Ripresero coraggio, allungarono il passo e Giuda si mise felice alla testa
del gruppo.
«Ha parlato bene», camminava parlando da solo, «ha parlato bene, ha
ragione il figlio di Maria. Il vecchio rabbino ci gridava la stessa cosa. È da
noi che dipende la liberazione; se tutti prendessimo le armi, conoscerem-
mo la libertà...»
Giuda non smetteva di camminare, monologando. Di colpo si fermò,
turbato. «Chi è dunque il Messia?» mormorò. «Chi? Sarà forse tutto il
popolo?»
Il sudore imperlò la fronte infuocata di Giuda. «Sarà forse tutto il
popolo?» Era la prima volta che rifletteva su questa idea e se ne sentì
turbato. «Il Messia sarebbe dunque tutto il popolo?» ripeteva fra sé e sé.
«Ma allora che bisogno abbiamo di tutti quei profeti, di tutti quei falsi
profeti, di guardarli con angoscia per scoprire se sono o no il Messia? Ma
il Messia è il popolo, tu, io, noi tutti, basta che prendiamo le armi!»
E mentre camminava allegro si trastullava con la nuova idea come con
il suo bastone, di colpo lanciò un grido: di fronte a lui risplendeva una
montagna a due vette, tutta bianca, fiera, la santa Gerusalemme. Non chia-
mò i compagni che lo seguivano. Voleva godersela da solo per tutto il
tempo possibile. Nelle pupille dei suoi occhi azzurri brillavano i palazzi, le
torri, le porte fortificate e, in mezzo, il Tempio di Dio, fatto interamente di
oro, di cedro e di marmo.
Giunsero i compagni ed essi pure lanciarono un grido.
«Venite, cantiamo la bellezza della nostra regina», propose Pietro che
cantava bene. «Coraggio, ragazzi, tutti insieme!»
Tutti e cinque formarono un circolo attorno a Gesù che rimase al centro,
in piedi, immobile e intonarono l'inno santo.
Che gioia ho provato quando mi è stato detto: alzati, andiamo nella casa
del Signore!
I miei passi si sono fermati davanti al tuo palazzo, o Gerusalemme.
Gerusalemme, fortezza ben costruita, pace alle tue torri potenti, gioia ai
tuoi palazzi!
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Per i miei fratelli, per i miei cari, pace, pace a te, Gerusalemme!
16
La folla riunita sulla riva si fece da un lato. Chi era quel pellegrino? Si
era tolto la tunica bianca e il sole, a picco su di lui, l'aveva ricoperto; e,
senza confessare i suoi peccati, era entrato nell'acqua con nobiltà e
sicurezza. Il Battista lo precedeva ed entrarono tutti e due nell'acqua
azzurrina; vi era uno scoglio a pelo d'acqua e il Battista vi montò sopra; al
suo fianco Gesù camminava sulla sabbia del fondale e l'acqua lo copriva
fino al mento.
Nell'istante in cui il Battista alzava la mano per versargli l'acqua sul
viso e pronunciare la preghiera, il popolo gettò un grido: la corrente del
Giordano si era fermata bruscamente e l'acqua era immobile; banchi di
pesci multicolori arrivarono da tutte le parti, circondarono Gesù e, spiegan-
do le loro pinne e facendo dondolare la loro coda, si misero a danzare. E
uno spirito villoso, un anziano candido, vestito di alghe intrecciate salì dal
fondo dell'acqua, si appoggiò contro gli arbusti e a bocca spalancata
guardava ciò che stava succedendo davanti a lui. I suoi occhi erano sbarrati
dalla gioia e dal terrore.
Il popolo, vedendo quei miracoli, ammutolì. Molti caddero faccia a
terra sulla riva per non vedere; altri, in quella fornace di sole, tremavano;
qualcuno vide quel vecchio uscire dal fondo dell'acqua coperto di fango,
gridare: «Il Giordano!» e svenire.
Il Battista riempì d'acqua una conchiglia fonda e, con mano tremante, si
mise a spargere l'acqua sul viso di Gesù: «Battezzo il servo di Dio», co-
minciò a dire e si fermò: non sapeva che nome pronunciare.
Si girò verso Gesù per chiederglielo e proprio nel momento in cui tutti,
in punta di piedi, aspettavano il nome, si udì uno sbatter d'ali che scen-
devano dal cielo e un uccello bianco - un uccello o uno dei Serafini di
200
Geova? - venne a posarsi sulla testa del battezzato. Vi restò un momento,
immobile. Poi, improvvisamente, descrisse tre cerchi volando, tre corone
di luce che brillarono nell'aria e si udì l'uccello emettere un grido: si
sarebbe detto che gridasse un nome segreto, mai inteso prima, come se il
cielo rispondesse alla muta domanda del Battista.
Le orecchie degli uomini si misero a ronzare, la loro mente vacillò.
Erano parole e ali, il grido di Dio, il grido di un uccello, un miracolo
strano, e Gesù tese tutto il suo corpo per udire. Sentì che era quello il suo
vero nome, ma non riuscì a percepirlo. Udì solo delle vaghe parole,
importanti e amare. Alzò gli occhi; l'uccello era già volato via, su nel cielo,
era diventato luce nella luce.
Solo il Battista, che viveva ormai da anni nel deserto in inumana
solitudine, aveva appreso il linguaggio di Dio. Comprese.
«Io battezzo», mormorò fra sé, tremando, «battezzo il servo di Dio, il
figlio di Dio, la Speranza dell'uomo!»
Fece un cenno al Giordano: le sue acque potevano continuare a
scorrere, il mistero era finito.
17
Il sole irruppe dal deserto come un leone. Bussò a tutte le porte d'Israele
e da tutte le case ebraiche s'innalzò la selvaggia preghiera della mattina
verso il Dio degli Ebrei, il Dio dalla testa dura.
«Noi cantiamo Te e glorifichiamo Te, o nostro Dio, Dio dei nostri padri,
Onnipotente e terribile, tu che ci aiuti e ci proteggi. Gloria a Te, Immortale,
gloria a Te, difensore di Abramo. Chi può essere più potente di Te, o Re,
che uccidi e risusciti e che porti la liberazione? Gloria a Te, Redentore
d'Israele! Stermina, spezza e disperdi i nostri nemici, ma subito, mentre
siamo ancora in vita!»
Al levarsi del sole Gesù e Giovanni Battista erano seduti nell'incavo di
una roccia a strapiombo sul Giordano. Per tutta la notte avevano avuto il
mondo nelle mani; lo tenevano una volta per uno e si interrogavano l'un
l'altro, per sapere che cosa ne avrebbero fatto. Il viso dell'uno era severo e
deciso, le sue mani si muovevano come se reggessero un'accetta e dessero
dei gran colpi; il viso dell'altro era sereno ed esitante e gli occhi erano
pieni di pietà.
«L'amore non basta?» chiese.
«No, non basta», rispose il Battista con violenza. «L'albero è marcio;
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Dio mi ha chiamato e mi ha consegnato l'ascia. L'ho presa e l'ho
appoggiata ai piedi dell'albero. Io ho fatto il mio dovere, ora fai tu il tuo.
Prendi l'ascia e colpisci!»
«Se fossi fuoco, brucerei: se fossi un legnatolo, darei dei colpi d'ascia.
Ma sono un cuore, io amo.»
«Io pure sono un cuore, è per questo che non posso sopportare l'ingiu-
stizia, l'impudicizia, l'infamia. Come fai tu ad amare gli ingiusti, gli
infami, gli impudichi? Colpisci! Uno dei doveri dell'uomo, uno fra i più
grandi, è la collera.»
«La collera?» disse Gesù. Il suo cuore si rifiutava di ammetterlo: «Non
siamo tutti fratelli?»
«Fratelli?» esclamò il Battista sarcastico. «Fratelli? L'amore? Tu credi
che sia quella la strada del Signore? Guarda!»
Tese la sua mano ossuta e pelosa e gli mostrò lontano, puzzolente come
una carogna, il Mar Morto.
«Ti sei chinato per vedere sul fondo le due prostitute, Sodoma e
Gomorra? Dio si è incollerito, ha scagliato il fuoco, ha pestato il suolo con
i piedi, la terra è diventata mare e ha inghiottito Sodoma e Gomorra. Ecco
la strada di Dio, seguila. Che cosa dicono le profezie? Nel giorno del
Signore, il legno verserà sangue, le pietre acquisteranno vita, si leveranno
dalle case in cui sono state usate e ne uccideranno gli abitanti! Il giorno del
Signore è in cammino, arriva; sono io che l'ho visto per primo, ho lanciato
un appello, ho afferrato l'ascia di Dio e l'ho appoggiata ai piedi del mondo.
Chiamavo, chiamavo, era te che chiamavo: sei arrivato e io me ne vado.»
Gli prese le mani come per appoggiarvi una grande e pesante ascia.
Gesù, spaventato, si scostò.
«Abbi ancora un po' di pazienza, te ne supplico», disse, «non affrettarti.
Parlerò con Dio nel deserto. Laggiù si ode la sua voce con maggiore
chiarezza.»
«Più chiaramente si ode anche la voce della tentazione. Fai attenzione,
Satana ti spia, sta preparando il suo esercito; sa che per lui è questione di
vita o di morte. E si abbatterà su di te con tutta la sua ferocia e tutta la sua
tenerezza. Fai attenzione, il deserto è pieno di voci di gioia e di voci di
morte.»
«Né la gioia né la morte possono ingannarmi, compagno. Abbi fiducia.»
«Ho fiducia; sarei un disgraziato se non ne avessi. Vai laggiù. Parla con
Satana, parla con Dio e prendi la tua decisione; Dio l'ha già presa e non
potrai sfuggirvi. Se tu non sei quello, che cosa importa, se ti perdi? Vai,
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subito, poi vedremo; non voglio lasciare il mondo da solo.»
«Che cosa ha detto la colomba selvatica che batteva le ali su di me nel
momento in cui mi stavi battezzando?»
«Non era una colomba selvatica; verrà il giorno in cui udrai le parole
che ha pronunciato. Fino ad allora esse saranno sospese sulla tua testa
come tante spade.»
Gesù si alzò, gli tese la mano; la sua voce tremava.
«Addio, o amato Precursore», disse. «Forse non ci incontreremo mai
più.»
Il Battista avvicinò le sue labbra a quelle di Gesù e ve le tenne accostate
a lungo. La sua bocca era un carbone ardente e le labbra di Gesù vi si
bruciarono.
«È a te che dono la mia anima», disse, stringendo con forza la sua mano
delicata. «Se sei Colui che attendevo, ascolta le mie ultime volontà, poiché
credo che non ti rivedrò più su questa terra. Mai più.»
«Ti ascolto», disse Gesù rabbrividendo.
«Modifica il tuo viso, rafforza le tue braccia, indurisci il tuo cuore. La
tua vita sarà terribile; vedo sangue e spine sulla tua fronte; sopportale, o
mio grande fratello, coraggio! Due strade si aprono di fronte a te: la strada
dell'uomo, che è piana, e quella di Dio, che è tutta una scarpata. Prendi la
strada più difficile. Addio! E non tormentarti per le separazioni, la tua
missione non è quella di piangere, ma quella di colpire. Colpisci! Che la
tua mano non tremi, è quello il tuo cammino. E non dimenticare questo: il
Fuoco e l'Amore sono figli di Dio, ma il primogenito è il Fuoco, l'Amore
viene dopo. Cominciamo, dunque, dal Fuoco. Buona fortuna!»
Il sole era già alto; apparvero delle carovane provenienti dal deserto
dell'Arabia; arrivarono nuovi pellegrini con turbanti multicolori sulle teste
rapate. Certuni avevano attorno al collo amuleti a forma di mezzaluna fatti
con denti di cinghiale; altri statuette di dee in bronzo opulente, e anche col-
lane formate con i denti dei loro nemici. Erano belve orientali che veniva-
no a farsi battezzare. Il Battista li vide, gettò un urlo stridente e scese dalla
sua roccia. I cammelli s'inginocchiarono nel fango del Giordano e la voce
del deserto risuonò, senza pietà: «Pentitevi! Pentitevi!. Il giorno del
Signore è arrivato».
Gesù ritrovò i suoi compagni che lo aspettavano seduti, silenziosi e tri-
sti, sulla riva del fiume. Erano tre giorni e tre notti che era scomparso;
Giovanni Battista aveva abbandonato pure lui i suoi battesimi in quel lasso
di tempo, per parlare con lui. Parlava, parlava, Gesù chinava la testa e
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ascoltava. Che cosa gli diceva curvato su di lui come un uccello da preda?
E perché uno di loro era così feroce e l'altro così triste? Giuda sbuffava
dalla collera, andava e veniva e, al cader della notte, si avvicinava furtiva-
mente alla roccia per ascoltare. I due uomini parlavano guancia a guancia;
Giuda tendeva le orecchie ma non udiva che un mormorio, un mormorio
rapido, come quello dell'acqua corrente; nient'altro. Uno dava, l'altro, il
figlio di Maria, prendeva e si riempiva come una giara inclinata contro una
fontana. Il Rosso scendeva dalla roccia e si rimetteva a girare come una
belva, furibondo: «È una vergogna», mormorava, «è una vergogna per me:
discutono sulle sorti d'Israele e io non ci sono! Il Battista doveva confidare
a me il suo segreto, a me doveva consegnare l'ascia. Io posso usarla, lui,
no. Perché sono solo io ad aver pietà d'Israele. L'altro, l'illuminato, procla-
ma - e dovrebbe aver vergogna - che siamo tutti fratelli, i persecutori e i
perseguitati, gli Israeliti, i Romani e i Greci, che siano maledetti!»
Si distendeva sotto le rocce, lontano dagli altri compagni, non voleva
saperne nulla. Si addormentava immediatamente e credeva di udire la voce
del Battista pronunciare parole sparse e scompagnate: «Fuoco, Sodoma e
Go-morra, colpisci!» Si svegliava di soprassalto e, una volta sveglio, non
udiva più niente. Null'altro che gli uccelli notturni, gli sciacalli e il mormo-
rio del Giordano fra gli arbusti... Scendeva verso il fiume, immergeva
nell'acqua la sua testa in fiamme per tentare di spegnerla. «Non scenderà
dunque dalla sua roccia?» mormorava. «Prima o poi finirà per scendere e
allora, che egli lo voglia o no, saprò.»
Ed ecco che, vedendolo avvicinarsi, si alzò di scatto. Gli altri compagni
pure, pieni di gioia, si alzarono e gli andarono incontro. Gli toccavano le
spalle, la schiena, lo carezzavano; gli occhi di Giovanni si riempirono di
lacrime: una ruga profonda ora solcava la sua fronte.
Pietro non ce la fece più.
«Maestro», disse, «perché il Battista ti ha parlato per giorni e notti? Che
cosa ha detto per rattristarti? Il tuo viso è cambiato.»
«Non ha più che pochi giorni di vita», rispose Gesù. «Rimanete con lui,
fatevi battezzare, io me ne vado.»
«Dove vai, Maestro?» gridò il figlio minore di Zebedeo afferrandolo per
le vesti. «Verremo tutti con te.»
«Vado nel deserto, da solo. Nel deserto non c'è bisogno di compagnia,
vado a parlare con Dio.»
«Con Dio?» fece Pietro, nascondendo il suo viso. «Ma allora non torne-
rai mai più!»
204
«Ritornerò», disse Gesù, sospirando. «Bisogna che torni. Le sorti del
mondo sono appese a un filo. Dio mi detterà le sue volontà, poi tornerò.»
«Quando? Quanti giorni starai via? Dove rimarremo?» Tutti gridavano
e lo trattenevano per impedirgli di andarsene. Solo Giuda, in disparte,
silenzioso, li ascoltava e li guardava con disprezzo... «Delle pecore... delle
pecore...» mormorava. «Ringrazio il Dio d'Israele di essere un lupo.»
«Tornerò quando Dio lo vorrà, fratelli. Addio. Restate qui e aspettatemi.
A presto.»
Rimasero tutti immobili, come pietrificati; vedevano Gesù che si dirige-
va lentamente in direzione del deserto. Non camminava più come prima,
quando pareva sfiorasse appena la terra; il suo passo, ora, era pesante,
deciso. Tagliò un ramo per appoggiarvisi, salì sul ponte a dorso d'asino, si
fermò lassù a guardò sotto di sé. Dovunque nel fiume vide i pellegrini
immersi nella corrente limacciosa. I loro visi abbronzati dal sole erano
raggianti di gioia. Di fronte, sulla riva, altri si battevano ancora il petto e
confessavano i loro peccati ad alta voce; guardavano il Battista con occhi
brucianti, aspettando che egli facesse loro cenno di entrare a loro volta
nell'acqua sacra. E l'asceta selvaggio, immerso fino alla vita nel Giordano,
battezzava le greggi umane, le spingeva a riva senza alcuna dolcezza, con
collera; altre greggi si susseguivano. La sua barba nera a punta, i capelli
ricciuti, che non erano mai stati tagliati, brillavano al sole; e la sua bocca,
eternamente aperta, gridava.
Gesù percorse con lo sguardo il fiume, gli uomini, il Mar Morto in
lontananza, le montagne dell'Arabia, il deserto. Si chinò e vide la sua om-
bra scivolare con l'acqua verso il Mar Morto.
Che felicità sarebbe, pensava, essere seduti sul bordo del fiume, vedere
l'acqua scorrere verso il mare e fluire con essa: scorrere con l'acqua in cui
alberi, uccelli, nuvole, notti, stelle si riflettono, scorrere anch'io con essa! E
non essere roso dalle angosce del mondo...
Ma si riscosse, cacciò la tentazione sorta in lui, si strappò dal ponte,
scese con passo veloce e sparì dietro le rocce.
Il Rosso era in piedi sulla riva e non distoglieva lo sguardo da lui. Lo
vide sparire, ebbe paura che gli sfuggisse, si arrotolò le maniche e lo seguì.
Lo raggiunse nel momento in cui Egli stava per entrare nell'immenso mare
di sabbia.
«Figlio di Davide», gli gridò, «aspettami; come puoi lasciarmi?»
Gesù si voltò.
«Giuda, fratello mio», supplicò, «non venire. Bisogna che rimanga
205
solo.»
«Voglio sapere!» fece il Rosso e avanzò.
«Non affrettarti; saprai quando sarà giunto il momento, non ti dico che
questo: Giuda, fratello mio, sii contento, tutto va bene!»
«Questo non mi basta. Il lupo non si sazia con delle parole. Tu non lo
sai, ma io lo so.»
«Se mi ami, abbi pazienza. Guarda gli alberi: hanno forse fretta di far
maturare i loro frutti?»
«Non sono un albero, sono un uomo», rispose il Rosso, continuando ad
avanzare. «Sono un uomo, ossia uno che ha fretta; ho delle leggi mie.»
«La legge di Dio è la stessa per gli alberi e per gli uomini, Giuda.»
Il Rosso strinse i denti.
«E come si chiama questa legge?» sibilò.
«Il tempo.»
Giuda si fermò e strinse i pugni. Non l'accettava, quella legge, procede-
va troppo piano e lui aveva fretta. Nel profondo del suo essere aveva una
legge propria, opposta al tempo.
«Dio vive molto», gridò, «è immortale, allora può avere pazienza e
aspettare. Ma io sono un uomo, ti ripeto, uno che ha fretta. Non voglio mo-
rire prima di vederlo, e non solamente vederlo, ma anche toccarlo con que-
ste mie mani; ecco che cosa ho in mente.»
«Lo vedrai», rispose Gesù alzando la mano per rassicurarlo, «lo vedrai
e lo toccherai. Giuda, fratello mio, abbi fiducia. Arrivederci. Dio mi aspet-
ta nel deserto.»
«Verrò con te.»
«Due uomini nel deserto sono troppi. Torna indietro.»
Come un cane da pastore di fronte agli ordini del padrone, il Rosso
borbottò e strinse i denti, però abbassò la testa e tornò indietro. Attraversò
il ponte cupo in volto, parlando da solo. Pensava ai tempi in cui girava con
Barabba - ecco un vero uomo! - e gli altri ribelli per le montagne; che
vento di passione selvaggia e di libertà li frustava, che capitano di sgozza-
tori era il Dio d'Israele! Di un capo così egli aveva bisogno; perché era
corso dietro a quell'illuminato che aveva paura del sangue e che gridava:
Amore! Amore! come una vergine disperata? Pazienza: si vedrà ciò che
porterà dal deserto!
Gesù era ormai entrato nel deserto e, più avanzava, più gli sembrava di
essere entrato nella tana di un leone. Rabbrividì, non di paura, ma di una
gioia oscura e inspiegabile. Perché fosse contento, non riusciva a capirlo...
206
Improvvisamente si sovvenne. Migliaia di anni prima, quando era ancora
un bambino e sapeva a malapena parlare, una notte aveva fatto un sogno, il
primo sogno della sua vita di cui si ricordava. Si era inoltrato in una grotta
profonda, in cui aveva trovato una leonessa che aveva appena partorito e
che stava allattando i suoi piccoli; vedendola, aveva provato fame e sete, si
era disteso con i cuccioli e si era messo a poppare con loro. Poi erano
usciti dalla tana, erano andati tutti in una prateria e si erano messi a giocare
al sole... Ma nel sogno, mentre giocavano, era apparsa Maria, sua madre,
l'aveva visto con la leonessa e aveva lanciato un urlo. Si era svegliato, si
era arrabbiato e si era girato verso la madre che dormiva al suo fianco.
«Perché mi hai svegliato?» gridava. «Ero con mia madre e i miei fratelli!»
Adesso capisco perché sono così contento, pensava. Entro nella grotta
di mia madre la leonessa, la solitudine...
Udiva il sibilo inquietante dei serpenti e del vento infuocato che soffia-
va fra le pietre; e pure il sibilare degli spiriti invisibili del deserto.
Gesù si raccolse e parlò alla sua anima:
«Anima mia, è qui che proverai se sei immortale».
Udì dei passi dietro di sé e prestò ascolto. La sabbia scricchiolava,
qualcuno vi camminava sopra, con calma, lentamente e si avvicinava.
L'avevo dimenticata, pensò, ma lei non mi dimentica, lei viene con me,
mia Madre. Lo sapeva bene che era la Maledizione, ma adesso da un bel
po' la chiamava Madre...
Si mise a correre, si sforzò di pensare ad altro e si sovvenne della co-
lomba selvatica. Gli pareva che un uccello selvaggio fosse imprigionato
dentro di lui, un uccello o forse la sua anima che premeva per fuggire. Vi
era riuscita? Era forse lei la colomba selvatica che faceva dei circoli
volando su di lui e tubando, per tutto il tempo che era durato il battesimo?
Non era né un uccello né un serafino; era la sua anima.
Aveva capito e si tranquillizzò. Riprese il cammino. Dietro di sé udiva
scricchiolare la sabbia, ma il suo cuore si era rinfrancato e ormai poteva
subire con dignità ogni cosa. L'anima dell'uomo è onnipossente, pensava,
sceglie l'immagine che desidera; in quello stesso momento la sua era di-
ventata un uccello e volava su di lui... E mentre camminava, tranquillo,
all'improvviso si fermò gettando un grido. Quella colomba selvatica era
forse... l'idea gli era appena passata per la testa, quella colomba selvatica
forse era solo illusione dei miei occhi, ronzio delle mie orecchie, un
turbine dell'aria? Perché, me lo ricordo, il mio corpo splendeva, leggero,
onnipotente, come un'anima; e ciò che volevo udire, lo udivo, ciò che
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volevo vedere, lo vedevo; formavo e disfacevo l'aria a mio piacere... Mio
Dio, mio Dio, ora che siamo soli tutti e due, dimmi la verità, non mi
ingannare, non ne posso più di udire delle voci nell'aria!
Avanzava e il sole avanzava con lui, era arrivato in mezzo al cielo,
sopra la sua testa. I suoi piedi bruciavano nella sabbia cocente, si guardò
attorno per cercare un angolo ombroso; mentre guardava, udì uno stormire
d'ali sopra di sé, uno stormo di corvi si precipitava verso un fossato in cui
una cosa nera marciva e puzzava.
Si turò il naso e si avvicinò. I corvi si erano abbattuti sulla carogna, vi
avevano piantato i loro artigli e mangiavano. Vedendo che un uomo si
avvicinava, volarono via irritati, portando fra gli artigli un pezzo di carne
ciascuno; si misero a volare in tondo nel cielo e gridarono all'intruso di
andarsene. Gesù si chinò, vide il ventre aperto, il pelame nero mezzo
strappato, piccole corna nodose e, sul collo in putrefazione, file e file di
amuleti.
«Il caprone», mormorò, rabbrividendo, «il caprone sacro che ha preso
su di sé i peccati del popolo, che è stato cacciato di villaggio in villaggio,
di montagna in montagna, verso il deserto e ora è morto...»
Si chinò, scavò con le mani nella sabbia un buco più profondo che poté
e ricoprì la carogna.
«Fratello», disse, «tu eri puro e senza peccato come tutti gli animali; ma
gli uomini, quei vigliacchi, hanno caricato su di te tutti i loro peccati e ti
hanno ucciso. Dissolviti in pace e non serbar loro rancore. Gli uomini,
povere creature senza forza, non hanno il coraggio di pagare loro stessi i
loro peccati e li addossano a un innocente... Paga per loro; fratello mio,
addio...»
Riprese a camminare, poi, dopo poco, si voltò, agitò una mano e gridò
emozionato:
«Ci ritroveremo!»
I corvi si misero a seguirlo con rabbia; aveva portato loro via quella
saporita carogna e adesso lo seguivano, aspettando che, a sua volta, cades-
se, che offrisse loro il suo ventre aperto per dar loro da mangiare. Perché
aveva fatto loro quel torto? Dio non li aveva creati per mangiare le caro-
gne? Bisognava perciò che egli pagasse!
Venne la sera e si sentì stanco; si rannicchiò su una grossa pietra roton-
da che pareva una pietra da macina. «Non andrò più lontano», mormorò,
«qui, su questa pietra, drizzerò il mio campo e combatterò.» L'oscurità
cadde all'improvviso dal cielo, salì dalla terra e coprì il mondo. Con la
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notte venne il gelo. Batteva i denti. Si avvolse nella sua tunica bianca e
chiuse gli occhi, ma, appena li ebbe chiusi, fu assalito dalla paura; gli ven-
nero in mente i corvi; ora gli sciacalli affamati ululavano dappertutto; sentì
attorno a sé il deserto che si muoveva, come una belva... Era terrorizzato;
aprì gli occhi; il cielo si era riempito di stelle e si consolò. Ecco i Serafini,
disse fra sé, ecco le sei ali di luce che cantano attorno al trono di Dio. Ma
sono troppo, troppo lontani, non riesco a udirli. Sono apparsi per farmi
compagnia... La testa gli si riempì del rumore delle stelle e dimenticò di
aver fame e freddo. Era pure lui una cosa viva, una luce effimera nella
notte e cantava le lodi del Signore. La sua anima era un lumino, l'umile
sorella, poveramente vestita, degli angeli... Riprese coraggio pensando alla
sua origine celeste e vide la sua anima in piedi, di fianco agli angeli,
attorno al trono di Dio. Allora, tranquillo e senza paure, chiuse gli occhi e
si addormentò.
Si svegliò, girò la testa verso oriente e vide il sole, torrido, alzarsi sopra
le sabbie. Era il viso di Dio, pensò, e si mise una mano davanti agli occhi
per non esserne abbagliato. «Signore», mormorò, «non sono che un granel-
lo di sabbia, riesci a vedermi nel deserto? Un granello di sabbia che parla,
che respira e che ti ama. Ti ama e ti chiama Padre. Non ho altre armi che
l'amore; è con esso che sono partito per combattere. Vieni ad aiutarmi!»
Si alzò e, con il suo bastone, disegnò un cerchio intorno alla pietra sulla
quale aveva dormito.
«Non mi allontanerò da questa zona», disse a voce alta per farsi udire
dalle potenze invisibili che lo stavano spiando, «non mi allontanerò da
questa zona se non udirò la voce di Dio. Ma voglio udirla chiaramente,
non come un brusio mutevole, com'è sua abitudine, non come un canto
d'uccello o un colpo di tuono; chiaramente. Che mi parli con parole umane
e che mi dica quello che vuole da me, ciò che posso e ciò che devo fare.
Solo allora mi alzerò, mi allontanerò da qui per tornare fra gli uomini, se è
ciò che egli mi ordina; per morire, se questa è la sua volontà. Farò quello
che vorrà, ma voglio saperlo. Nel nome di Dio!»
S'inginocchiò sulla pietra, con il viso rivolto a oriente, verso il grande
deserto. Chiuse gli occhi, raccolse i suoi pensieri: quelli che aveva avuto a
Nazareth, a Magdala, a Cafarnao, al pozzo di Giacobbe, al Giordano e si
mise a schierarli per la battaglia. Andava in guerra.
In tensione, con gli occhi chiusi, rimase assorto nei propri pensieri. Un
mormorio d'acqua, un fruscio di foglie e arbusti, lamenti di uomini. Grida
e spaventi arrivavano a ondate dal Giordano; insieme alle lontane speranze
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insanguinate. Le tre lunghe notti che aveva trascorso sulla roccia con
l'asceta selvaggio gli vennero in mente per prime, armate da capo a piedi, e
si lanciarono verso il deserto per guerreggiare al suo fianco.
La prima notte gli balzò addosso come un gigantesco saltamartino.
Aveva occhi duri, gialli e grigi, ali gialle e grigie e strane lettere verdi
tracciate sulla pancia; il suo odore era simile a quello del Mar Morto; si
aggrappò a lui e le sue ali si misero a stridere con rabbia nell'aria. Gesù
gettò un grido e si rigirò: Giovanni Battista stava in piedi di fianco a lui;
aveva steso il suo braccio scheletrico nella notte, in direzione di Gerusa-
lemme.
«Guarda, che cosa vedi?» «Niente.» «Niente? Non vedi davanti a te la
santa Gerusalemme, la puttana, non la vedi? Sta seduta sulle grosse
ginocchia del Romano e ride come una matta. 'Non la voglio!' grida il
Signore. 'È questa la mia sposa? Non la voglio!' Come i cani, seguendo i
passi del Signore, abbaio a mia volta: Non la voglio! Giro attorno alle forti
mura e urlo: Puttana! Ha quattro grandi porte fortificate. Su di una vi è
seduta la Fame, su un'altra la Paura, sulla terza l'Ingiustizia e sull'ultima, a
nord, l'Infamia. Entro, percorro le strade in ogni senso, mi avvicino, osser-
vo i suoi abitanti. Guardo i loro visi: tre sono grassocci, ben pasciuti, e un
popolo di tremila uomini muore di fame. Quando, dunque, perisce un
mondo? Quando tre padroni mangiano troppo e un popolo di tremila
uomini muore di fame. Guarda ancora una volta i loro visi: la Paura impera
su tutti, le loro narici tremano, fiutano il giorno del Signore. Guarda le
donne: la più onesta adocchia il suo servo, si lecca i baffi e gli fa un cenno:
vieni! Ho sollevato il tetto dei loro palazzi, guarda: il re tiene sulle
ginocchia la moglie del fratello nuda e l'accarezza. Che cosa dicono le
Sacre Scritture? 'Colui che posa lo sguardo sulle nudità della sposa del pro-
prio Fratello, che sia condannato a morte!' Ciò nonostante, non sarà am-
mazzato lui, l'incestuoso, ma io, l'asceta, verrò ammazzato. Perché? Perché
il giorno del Signore è giunto!»
Per tutta quella prima notte, Gesù, seduto ai piedi di Giovanni, aveva
visto le porte di Gerusalemme aperte alla Fame, alla Paura, all'Ingiustizia e
all'Infamia che entravano e uscivano. Sopra la santa puttana si addensava-
no le nubi, cariche di collera e di grandine.
La seconda notte il Battista aveva teso di nuovo la sua mano magra
come un ramo rinsecchito e, con un gesto brusco aveva aperto uno
squarcio nel tempo e nello spazio.
«Tendi l'orecchio, che cosa odi?» «Non odo nulla.» «Nulla! Non odi
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l'iniquità, la cagna che ha perso ogni pudore, che è salita in cielo e che
abbaia alla porta del Signore? Non sei forse passato da Gerusalemme e non
hai inteso i sacerdoti, i gran sacerdoti e i Farisei che circondano il Tempio
e che abbaiano? Dio, però, non sopporta più l'impudenza della terra. Si
alza, cammina sulle montagne e scende. Davanti a lui c'è la Collera, dietro
a lui le tre cagne del cielo: il Fuoco, la Lebbra e la Follia. Dov'è il Tempio?
Dove sono le colonne orgogliose, incrostate d'oro che lo sostenevano e che
facevano esclamare: 'Viva in eterno! In eterno!' In eterno! Il Tempio è in
cenere, in cenere i sacerdoti e i gran sacerdoti, gli Scribi e i Farisei, in
cenere i loro sacri amuleti, le loro dalmatiche di seta e i loro anelli d'oro. In
cenere! In cenere! In cenere! Dov'è Gerusalemme? Ho una lampada acce-
sa, cerco fra le montagne, attraverso le tenebre del Signore e chiamo:
'Gerusalemme! Gerusalemme!' Il deserto, il deserto infinito; neppure un
corvo risponde. I corvi hanno mangiato e se ne sono andati. Affondo fino
alle ginocchia fra crani e ossa, mi si riempiono gli occhi di lacrime, ma io
le scaccio, le scaccio e rido; mi chino e scelgo le ossa più lunghe e ne
faccio dei flauti e canto le lodi del Signore.»
Il Battista rideva durante quella seconda notte e contemplava, nelle
tenebre di Dio, il Fuoco, la Lebbra e la Follia. Gesù afferrava le ginocchia
del profeta e domandava:
«Non credi che, attraverso l'amore, la Redenzione possa scendere sul
mondo? E, con l'amore, la gioia e la misericordia?»
Il Battista, senza nemmeno voltarsi a guardarlo, gli rispondeva:
«Non hai mai letto le Scritture? Il Salvatore spezza la schiena, rompe i
denti, scaglia il fuoco e incendia i campi, per seminare. Strappa le spine, le
erbacce e le ortiche. Come si possono far sparire dalla terra la menzogna,
l'infamia e i bugiardi? Bisogna che la terra si purifichi - non aver pietà di
lei - bisogna che la terra si purifichi, affinché siano piantati i nuovi semi».
La seconda notte era passata, Gesù taceva, aspettava la terza; forse la
voce del profeta si sarebbe addolcita.
Durante la terza notte il Battista si rigirava senza tregua, inquieto, sulla
roccia. Non rideva, non parlava, esaminava e tastava con angoscia le mani,
le braccia, le spalle, le ginocchia di Gesù, scuoteva la testa e taceva.
Fiutava l'aria. Al chiarore delle stelle si vedevano i suoi occhi scintillare, a
volte verdi, a volte gialli; dalla sua fronte abbronzata colavano, mescolati,
rivoli di sudore e di sangue. Infine al mattino, quando la luce bianca
dell'alba li aveva avviluppati, aveva preso le mani di Gesù, l'aveva guarda-
to negli occhi e aveva aggrottato la fronte. «La prima volta che ti ho
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visto», gli aveva detto, «quando stavi uscendo dal canneto del fiume e ti
dirigevi diritto verso di me, il cuore mi era balzato in petto come quello di
un giovane animale, come è balzato il cuore di Samuele quando ha visto
per la prima volta Davide, il giovane pastore imberbe, dai capelli rossi. È
così che era balzato il mio. Ma esso è carne, ama la carne, non ho fiducia
in lui. Stasera, come se ti vedessi per la prima volta, ti esamino, ti fiuto e
non riesco a esserne certo. Guardo le tue mani, non sono mani da falegna-
me, non sono mani da Redentore; sono troppo delicate, troppo gentili,
come potrebbero maneggiare un'accetta? Guardo i tuoi occhi, non sono
occhi da Redentore, sono pieni di compassione.» Si era alzato e aveva
sospirato. «Signore, le tue vie sono tortuose e oscure», aveva mormorato.
«Puoi mandare una bianca colomba per appiccare il fuoco e ridurre il
mondo in cenere. Noi guardiamo il cielo, aspettiamo il fulmine, un'aquila,
un corvo; e tu mandi una colomba bianca. Perché cercare? Perché
resistere? Fai quello che vuoi.» Aveva aperto le braccia, stretto al petto
Gesù, l'aveva baciato prima sulla spalla destra, poi sulla sinistra. «Se tu sei
colui che attendevo», gli diceva, «non sei giunto come io immaginavo.
Invano perciò io ho portato l'ascia e l'ho deposta ai piedi dell'albero?
Oppure l'amore può anche reggere un'ascia?» Era immerso nelle sue
riflessioni. «Non posso dare il mio giudizio», aveva infine mormorato.
«Morirò senza vedere. Poco importa; è il mio destino; è duro, ma mi
piace.» Aveva stretto la mano di Gesù. «Buona fortuna, parla con Dio nel
deserto, ma torna presto, affinché il mondo non resti solo.»
Gesù aprì gli occhi. Il Giordano, Giovanni Battista, i battezzati, i cam-
melli, i lamenti degli uomini che s'innalzavano nell'aria quindi scompari-
vano e il deserto, tutto si spiegò di fronte a lui. Il sole era alto e scottava.
Le pietre fumavano come pagnotte ed egli sentì la fame attanagliargli lo
stomaco. «Ho fame», mormorò guardando le pietre, «ho fame!» Si ricordò
del pane che gli aveva dato la vecchia Samaritana; era saporito, dolce
come il miele. Si ricordò del miele che veniva dato loro nei villaggi che
attraversavano, delle olive, dei datteri, del pasto santo che avevano fatto,
quando, inginocchiati sulla rive del lago di Genezareth, avevano tirato giù
dagli alari la griglia sulla quale c'erano tutti quei pesci profumati.
Poi gli vennero in mente, e se ne sentì turbato, i fichi, le melagrane,
l'uva...
La sua gola era asciutta, arida, aveva sete. Con tutti i fiumi che scorrono
nel mondo, con tutta l'acqua che balza di roccia in roccia e che bagna da un
capo all'altro la terra d'Israele e si versa, si perde nel Mar Morto, egli non
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aveva neppure una sola goccia d'acqua da bere! Pensò a tutta quell'acqua e
la sua sete crebbe. La testa gli girava, i suoi occhi erano abbagliati; due
demoni maligni, simili a due leprotti, uscirono dalla sabbia infuocata; si
rizzarono sulle zampe posteriori, si misero a danzare, lo videro, urlarono di
gioia, si misero a pestare le zampe e gli si avvicinarono. Gli montarono
sulle ginocchia e gli saltarono sulle spalle. Uno di essi era fresco come
l'acqua, l'altro tiepido e profumato come il pane e, quando Gesù tese
febbrilmente la mano per afferrarli, fecero un salto e sparirono nell'aria.
Egli chiuse gli occhi. Concentrò ancora i suoi pensieri dispersi dalla
fame e dalla sete, pensò a Dio e non provò più né fame né sete. Pensò alla
redenzione del mondo. Ah! Se fosse possibile che il giorno del Signore
giungesse attraverso l'amore! Dio non è forse onnipotente? Perché non fa
un miracolo, perché non tocca i cuori, per farli fiorire? Ogni anno tuttavia
a Pasqua, Egli tocca i ceppi, le erbacce e le spine e li fa fiorire. Se fosse
possibile che un mattino gli uomini si svegliassero con il cuore in fiore!
Sorrise. Il mondo, in lui, era fiorito: il re incestuoso si era fatto battezza-
re, la sua anima si era purificata, aveva cacciato la cognata Erodiade ed
essa era tornata dal marito. I gran sacerdoti e i signori avevano aperto le
loro cantine e i loro forzieri e avevano distribuito i loro beni ai poveri e i
poveri tiravano il fiato; avevano cacciato dal loro cuore l'odio, la gelosia e
la paura... Gesù si guardò le mani: l'accetta che gli aveva affidato il
Precursore era fiorita; ora teneva fra le mani un ramo di mandorlo in fiore.
La giornata era finita con quest'ultima gioia; si stese su una pietra e si
addormentò. Per tutta la notte, nel sonno, udì lo scrosciare di torrenti, vide
dei leprotti danzare, poi sentì uno strano fruscio, come se delle narici
umide lo stessero annusando... Verso mezzanotte uno sciacallo affamato gli
si avvicinò e l'annusò, per vedere se era già morto; si fermò un istante,
indeciso, e Gesù ebbe pietà di lui. Stava per squarciarsi il petto per saziar-
lo, ma si trattenne. Conservò la propria carne per gli uomini.
Si svegliò prima dell'alba. In cielo grosse stelle intrecciavano le loro
orbite, l'aria era vellutata, azzurrina. Era in quel momento, pensò, che si
svegliano i galli e i villaggi e che gli uomini aprono gli occhi e guardano
dalla finestrella l'apparire della luce. I bimbi piccoli pure si svegliano, si
mettono a piangere e la madre si affretta a dar loro il seno... Il mondo si
mosse per un istante sopra le sabbie, con i suoi uomini, i galli, i bimbi e le
madri - un mondo fatto d'aria e di brina mattutina. E ora il sole sarebbe sa-
lito e li avrebbe divorati!... L'Eremita ebbe una stretta al cuore; se potessi,
pensò, rendere questa brina eterna! Ma il pensiero di Dio è un abisso, il
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suo amore uno spaventoso precipizio. Pianta un mondo, lo schiaccia al
momento in cui da i suoi frutti e ne pianta un altro. «Chi lo sa? Forse
l'amore è capace di tenere un'ascia...» Si ricordò delle parole di Giovanni
Battista e rabbrividì. Guardò il deserto; era diventato selvaggio, scarlatto,
si muoveva sotto il sole che, quel giorno, sembrava infuriato, cinto da un
alone di tempesta. Il vento cominciò a soffiare e un odore fetido di pece e
di zolfo giunse al naso di Gesù. Sentì affiorare alla memoria Sodoma e
Gomorra, sprofondate nella pece, con i loro palazzi, le taverne, i teatri, i
lupanari. «Pietà, Signore», gridava Abramo, «non bruciarle. Tu sei buono,
abbi pietà delle tue creature.» «Sono giusto», aveva risposto Dio, «le
brucerò!»
È dunque questo il cammino di Dio? È dunque una gran vergogna che il
cuore, quel pugno di fragile rango, si rizzi e gli gridi: «Fermati!» Qual è il
nostro dovere? Guardare in terra, scoprire sul suolo le orme dei passi di
Dio e seguirli. Guardo in terra, vedo chiaramente le orme dei passi di Dio
su Sodoma e Gomorra. Quella traccia di Dio è tutto il Mar Morto; ha
appoggiato il suo piede e ha inghiottito palazzi, teatri, taverne, lupanari,
Sodoma e Gomorra! Lo appoggerà di nuovo e la terra sarà inghiottita
ancora una volta; re, gran sacerdoti, Farisei, Sadducei, tutto sprofonderà!
Senza rendersene conto, si era messo a gridare. Il suo spirito si era
riempito dì audacia, si era scatenato. Aveva dimenticato che le sue ginoc-
chia non l'avrebbero retto, stava per alzarsi, camminare seguendo le orme
dei passi di Dio, ma cadde in terra, senza fiato. «Non posso, non mi vedi?»
gridò, alzando gli occhi verso il cielo infuocato. «Non posso. Perché hai
scelto me? Non ne posso più!» Appena smise di gridare, vide davanti a sé
una massa nera: era il caprone, con le zampe all'aria, sventrato, lì sulla
sabbia. Si ricordò che si era chinato sui suoi occhi torbidi e che vi aveva
scorto il suo viso. «Sono io il caprone», mormorò, «io. Dio l'ha messo sul
mio cammino perché veda chi sono e verso quale destino sto andando...»
Bruscamente, scoppiò in singhiozzi. «Non voglio... non voglio...» mormo-
rò, «non voglio essere solo. Aiuto!» Allora, mentre era chinato e piangeva,
soffiò una dolce brezza, il puzzo di pece e di carogna sparirono, il mondo
era tutto un profumo. Udì in lontananza un tintinnare di braccialetti, di
risate e d'acqua diretti verso di lui. Le palpebre, le ascelle, la gola del-
l'Eremita si rinfrescarono. Alzò gli occhi. Davanti a lui, un serpente con
occhi e petto da donna lo guardava. L'Eremita indietreggiò, spaventato.
Era un serpente, una donna o uno spirito maligno del deserto? Era un
serpente come quello che si era avvolto intorno all'albero proibito del
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Paradiso e che aveva sedotto il primo uomo e la prima donna; essi si erano
uniti e avevano generato il peccato... Udì una risata e una voce di donna,
dolce e suadente:
«Ho avuto pietà di te, figlio di Maria. Hai gridato: 'Non voglio rimanere
da solo, aiuto!' Ho avuto pietà di te e sono venuta. Che cosa desideri da
me?»
«Non voglio te, non ti ho chiamata. Chi sei?»
«La tua anima.»
«La mia anima?» fece Gesù, e si tappò gli occhi con orrore.
«La tua anima. Hai paura di restare da solo; anche il tuo avo, Adamo,
aveva paura. Anche lui ha gridato: 'Aiuto!' La sua carne e la sua anima si
sono unite e dalla sua costola è uscita la donna, per fargli compagnia...»
«Non voglio! Non voglio! Ricordo la mela che hai dato ad Adamo e
l'angelo con la spada!»
«Te ne ricordi ed è perciò che soffri, gridi e non riesci a trovare il tuo
cammino. Io te lo indicherò. Dammi la mano, non guardare indietro, non
ricordarti di nulla. Guarda il mio corpo che avanza: sono qui, o mio sposo.
Esso conosce la strada e non si sbaglia.»
«Farai cadere pure me nel dolce peccato nell'Inferno. Non ti seguirò. La
mia strada è un'altra.»
Si udì il suono di una risatina beffarda e apparvero i denti aguzzi e
velenosi:
«Vuoi seguire le tracce di Dio, le tracce dell'aquila, tu, verme di terra?
Caricarti, tu, figlio del falegname, dei peccati di tutto il popolo? Non ti
bastano i tuoi? Che impudenza quella di credere che hai il dovere di
salvare il mondo!»
Ha ragione... Ha ragione... pensò l'Eremita tremando. Che impudenza
quella di voler salvare il mondo!
«Devo rivelarti un segreto, figlio dell'amata Maria...» Il serpente addol-
cì la voce; i suoi occhi scintillavano.
Scivolò giù dalla pietra come fosse acqua e cominciò ad avvicinarglisi e
a ondeggiare con i suoi riflessi cangianti. Arrivò fino ai piedi dell'Eremita,
salì sulle sue ginocchia, vi si arrotolò, prese lo slancio, strisciò sulle sue
cosce, sulla schiena, sul petto, poi gli si appoggiò su una spalla. L'Eremita,
malgrado tutto, si chinò per ascoltarlo. Il serpente si mise a leccare l'orec-
chio di Gesù ed egli udì la sua voce suadente molto lontana, come se
giungesse dalla Galilea, dalle rive del lago di Genezaretn.
«Maddalena... Maddalena... Maddalena...»
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«Che cosa?» chiese Gesù trasalendo. «Maddalena che cosa?» «...È lei
che devi salvare!» sibilò il serpente, con tono improvvisamente imperioso.
«Non la Terra, lasciala stare la Terra, è lei, Maddalena che devi salvare!»
Gesù scosse nervosamente la testa cercando di cacciare il serpente, ma
questo gli parlava allettandolo e agitando la lingua nel suo orecchio:
«Il suo corpo è bello, dolce, abile. Tutte le nazioni sono passate su di
esso, ma è a te che Dio l'ha destinato, già fin dalla tua infanzia, prendilo!
Dio ha fatto l'uomo e la donna perché si adattino l'uno all'altra come la
chiave alla serratura. Aprila. In essa vi sono i tuoi figli, intorpiditi, raggo-
mitolati e aspettano che tu soffi su di essi per scongelarsi, alzarsi e uscire,
camminare al sole... Capisci ciò che ti sto dicendo? Alza gli occhi, fammi
un segno. Fammi un segno, mio diletto, e ti porterò all'istante la tua sposa
su un bel letto fresco».
«La mia sposa?»
«La tua sposa. Come io, così dice Dio, ho sposato la puttana Gerusa-
lemme. Le nazioni sono passate su di essa; ma io l'ho sposata per salvarla.
Come il profeta Oseo ha sposato la puttana Gomor, figlia di Diblaim. È
Dio che ti ordina di dormire con Maria Maddalena, di avere dei figli da lei
che è la tua sposa, per salvarla.»
Il serpente, ora, aveva appoggiato il suo petto, duro, fresco e tondo sul
petto di Gesù; strisciava lentamente, arrotolandosi, e lo cingeva. Gesù
impallidì, chiuse gli occhi, vide il corpo sodo e flessuoso di Maddalena
camminare e ondeggiare con noncuranza lungo la riva del lago di Geneza-
reth, guardare lontano, in direzione del Giordano e sospirare. Essa tendeva
le braccia; era lui che cercava. Il suo ventre era pieno di bimbi, i suoi;
doveva solo strizzare un occhio, fare un cenno e, di colpo, che felicità!
Come sarebbe cambiata, sarebbe stata più dolce, più umana la sua vita! Era
quello il cammino, è quello! Sarebbe tornato a Nazareth, nella casa di sua
madre, si sarebbe riconciliato con i suoi fratelli, non era che una follia di
gioventù quella di voler salvare il mondo, di voler morire per gli uomini;
per fortuna era venuta Maddalena. Era guarito, era nella sua bottega e
aveva ripreso il suo mestiere tanto amato; fabbricava di nuovo culle, ma-
die, aratri, aveva dei figli, era diventato un uomo come gli altri. Un uomo a
posto. I contadini lo rispettano, si alzano al suo passaggio; lavora tutta la
settimana e il sabato va alla sinagoga indossando vestiti puliti, vestiti di
lino e di seta tessuti dalla sua sposa, Maddalena; con in testa il suo fazzo-
letto tessuto con filati preziosi, con l'anello d'oro delle nozze al dito; ha il
suo scanno con gli anziani del villaggio, sta seduto ad ascoltare pacifico e
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indifferente gli Scribi e i Farisei, eccitati e mezzi matti, sudare sangue per
spiegare le Sacre Scritture... e sorride sotto i baffi e li guarda con commi-
serazione: dove mai si perderanno, quegli eruditi! Lui, con Calma e sicu-
rezza, spiega le Sacre Scritture sposandosi, avendo dei figli e fabbricando
culle, madie e aratri...
Aprì gli occhi e vide il deserto. Com'era passata la giornata? Il sole sta-
va tramontando. Appiccicato a lui, petto contro petto, il serpente aspettava.
Emetteva un sibilo calmo, maliardo, quasi un lamento; una ninna nanna
tenera si diffondeva nell'aria del crepuscolo e il deserto, tutto il deserto, lo
cullava e lo ninnava come una madre.
«Sto aspettando... sto aspettando...» diceva il sibilo maliardo del serpen-
te. «Ormai è notte, ho freddo. Deciditi, fammi un segno e si aprirà la porta,
entrerai in Paradiso... Deciditi, mio diletto, Maddalena aspetta...»
I muscoli dell'Eremita si paralizzarono. Sul punto di aprire la bocca e
dire di sì, sentì qualcuno sopra di lui che lo guardava; alzò la testa, spaven-
tato. Nell'aria vide due occhi, solo due occhi nerissimi e delle sopracciglia
bianche che gli facevano un cenno: «No! No! No!» Il cuore di Gesù ebbe
una stretta, guardò ancora una volta, supplicando, come se avesse voluto
gridare: «Lasciami fare, dammi il permesso, non andare in collera con
me!» Ma gli occhi erano diventati feroci e le sopracciglia si aggrottavano,
minacciose.
«No! No! No!» urlò allora Gesù e due grosse lacrime sgorgarono dai
suoi occhi.
Bruscamente, il serpente si staccò da lui, si contorse e scoppiò con un
rombo sordo e l'aria ne fu appestata.
Gesù cadde con la faccia sulla terra e le sue labbra, le narici, gli occhi si
riempirono di sabbia. Non pensava a nulla, aveva dimenticato di avere
fame e sete, piangeva. Piangeva come se la sua sposa e tutti i suoi figli
fossero morti, come se tutta la sua vita fosse perduta.
«Signore, Signore», mormorava mordendo la sabbia e le pietre, «Padre,
non hai dunque pietà? Che sia fatta la tua volontà! Quante volte, fino a
oggi, te l'ho detto, quante volte te lo dirò ancora? Per tutta la vita mi dibat-
terò e dirò: 'Che sia fatta la tua volontà'.»
E si addormentò così, mormorando e ingoiando sabbia. Appena gli oc-
chi del suo corpo si chiusero, gli occhi della sua anima si aprirono. Vide lo
spettro di un serpente, grosso come il corpo di un uomo, stendersi da un
capo all'altro della notte; era disteso sulla sabbia e aveva spalancato,
proprio vicino a Gesù, una gran bocca scarlatta. E, davanti a quella bocca,
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fremeva una pernice screziata, tutta tremante, e si sforzava di aprire le ali
per fuggire, ma non ci riusciva. Camminava barcollando, con tutte le
penne arruffate dalla paura; emetteva delle strida acute e avanzava... Il
serpente immobile, con la bocca aperta, aveva gli occhi fissi su di lei e non
si affrettava; era sicuro di sé. Titubante, inciampando, la pernice avanzava
piano piano verso quella bocca. Gesù, in piedi, guardava e tremava come
la pernice... Era il mattino quando giunse davanti alla bocca spalancata; si
dibatté un istante, si guardò attorno come per chiedere aiuto e, bruscamen-
te, allungò il collo ed entrò con la testa in avanti e le zampe unite: la bocca
si richiuse. Gesù la vedeva scendere giù verso lo stomaco del drago,
lentamente, una pallottolina di carne e piume con zampette color rubino...
Gesù si svegliò di soprassalto, spaventato. Il deserto color di rosa,
ondeggiava. Era l'alba.
«È Dio», mormorò tremando, «è Dio... E la pernice...»
La sua voce si spezzò. Non aveva la forza di articolare il suo pensiero
fino alla fine. Ma dentro di sé, pensò:
«... è l'anima dell'uomo, l'anima dell'uomo è la pernice!»
Si perse in questi pensieri per ore e ore. Il sole saliva, infuocava la sab-
bia, gli trafiggeva il cranio, entrava nella sua testa, gli seccava il cervello,
la gola, il petto. I suoi visceri pendevano come i grappoli secchi che
rimangono sulle viti, in autunno. La lingua gli si era incollata al palato, la
pelle gli cadeva a brandelli, le sue ossa spuntavano fuori; la punta delle sue
dita era diventata bluastra. Il tempo, in lui, era diventato brevissimo, come
il battito del cuore e grande come la morte. Non aveva più né fame né sete,
non desiderava più avere una sposa e dei figli, tutta la sua anima si era
raccolta nei suoi occhi. Vedeva, ecco tutto, vedeva. Talvolta in pieno
mezzogiorno i suoi occhi si annebbiavano, il mondo spariva e una bocca
gigantesca gli si spalancava davanti; la mascella inferiore era la terra,
quella superiore, il cielo; egli avanzava lentamente, strascicandosi, verso la
bocca spalancata, tremava ed era tutto teso...
Giorni e notti passavano come lampi bianchi e neri. Una volta, a mezza-
notte, venne un leone davanti a lui e scosse la criniera con fierezza. Egli
udì la sua voce come se fosse umana:
«È con gioia che saluto e che accolgo nel mio antro l'asceta vittorioso,
colui che ha trionfato sulle piccole virtù, sulle piccole gioie e sulla felicità!
Noi non amiamo ciò che è tacile e sicuro, ma tendiamo verso le cose
difficili. Maddalena è troppo poco perché sia la nostra sposa, noi vogliamo
sposare la Terra. La giovane sposa ha sospirato, o Fidanzato, il cielo ha
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acceso i suoi lumi, gli invitati sono arrivati, andiamocene»,
«Chi sei?»
«Tu. Il leone affamato in fondo al tuo cuore e alla tua schiena, che gira
di notte attorno alle stalle, attorno ai regni del mondo e che esita a saltare
dentro e a divorare. Balzo da Babilonia a Gerusalemme, da Gerusalemme
ad Alessandria d'Egitto, da Alessandria a Roma e grido: 'Ho fame, tutto mi
appartiene'. Viene il giorno e io penetro nel tuo petto, mi vi rannicchio e io,
il leone terribile, divento un agnello. Fingo di essere un umile asceta che
non desidera nulla, che può vivere di un chicco di grano, di un sorso
d'acqua e di un Dio puro e benevolo che Egli chiama Padre per rabbonir-
selo. Ma, in segreto, il mio cuore si scatena, è umiliato e aspetta febbril-
mente la notte per levarsi da dosso la pelle di pecora e per mettersi di
nuovo a girare, a ruggire e a posare le sue quattro zampe su Babilonia,
Gerusalemme, Alessandria e Roma.»
«Non ti conosco. Non ho mai desiderato i regni del mondo. Il regno del
cielo mi basta.»
«Non ti basta; ti sbagli, amico mio, non ti basta. Ma non osi guardare
dentro di te, nelle tue viscere e nel tuo cuore per vedermi... Perché mi
guardi con occhio dubbioso, perché il tuo cuore pensa subito al male?
Credi che io sia una tentazione mandata dal Maligno per perderti? Eremita
scervellato, che forza può avere una tentazione proveniente dall'esterno?
La fortezza non può essere conquistata che dall'interno. Sono la voce che
viene dal più profondo del. tuo animo, sono il leone che è in te e tu ti sei
avvolto in una pelle di pecora affinché gli uomini prendano coraggio, ti si
avvicinino e tu possa mangiarli. Ricorda quando eri bambino e una strega
caldea ti ha letto la mano e ti ha detto: «Vedo molte stelle, molte croci,
diventerai re. Perché fingi di dimenticarlo? Te ne ricordi giorno e notte.
Alzati, figlio di Davide, entra nel tuo regno!»
Gesù, a testa bassa, l'ascoltava. A poco a poco riconobbe la voce, si
ricordò che talvolta l'udiva in sogno: una volta che Giuda l'aveva picchia-
to, quando erano piccoli, e un'altra ancora, aveva abbandonato la sua casa,
aveva girovagato giorni e notti fra i campi, la fame lo rodeva ed era tornato
indietro, pieno di umiliazione; i suoi due fratelli, Simone lo zoppo e
Giacomo il devoto, erano in piedi sulla soglia e l'avevano insultato. Quel
giorno per davvero aveva inteso in sé il leone che ruggiva... E anche recen-
temente, quando portava la croce per crocifiggere lo Zelota, passava attra-
verso la folla burrascosa e tutti lo guardavano con disprezzo e lo derideva-
no; una volta ancora il leone era balzato in lui, con tal forza da gettarlo in
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terra.
E ora, in quella notte solitaria, ecco apparire e rizzarsi davanti a lui il
leone interiore che lo sgridava. Gli si strusciava contro, spariva, appariva
di nuovo, come se entrasse e uscisse dal fondo di lui stesso e gli desse dei
colpetti di coda, per gioco... Gesù sentì il suo cuore irritarsi sempre di più.
«E vero, il leone ha ragione. Ne ho abbastanza di aver fame e desideri, di
recitare la parte dell'umile, di porgere l'altra guancia per farmi schiaffeg-
giare; ne ho abbastanza di adulare Dio, il divoratore di uomini, e di
chiamarlo Padre per rabbonirlo a forza di moine, di farmi insultare dai
miei fratelli, di vedere mia madre piangere, gli uomini ridere quando pas-
so, di camminare scalzo, di attraversare il mercato e contemplare il miele, i
datteri, il vino, le donne e di non poter comprare nulla. E di essere audace
solo in sogno, di aspettare che il sonno mi porti tutto ciò, di assaporare e di
abbracciare il vuoto! Ne ho abbastanza. Mi leverò, cingerò la spada eredi-
tata dai miei avi - non sono forse il figlio di Davide? - per .entrare nel mio
regno! Il leone ha ragione. Non so che cosa farmene di pensieri, di nuvole
e di regni dei cieli: pietre, terra e carne, ecco il mio regno!»
Si alzò. Dove trovò la forza di alzarsi e di fare lentamente il gesto di
cingersi una spada invisibile, ruggendo come un leone? Se la cinse. Gridò:
«Andiamo!» Si girò: il leone era scomparso. Udì sopra di sé una risata
lacerante e una voce che esclamava: «Guarda!» Un lampo squarciò la notte
e rimase fisso in cielo. Sotto quella luce si potevano distinguere città forti-
ficate, case, strade, piazze, uomini; tutto intorno, pianure, montagne e il
mare. A destra Babilonia, a sinistra Gerusalemme e Alessandria, al di là del
mare, Roma. Udì nuovamente quel richiamo: «Guarda!»
Alzò gli occhi. Un angelo dalle ali gialle cadde dal cielo a testa in giù.
Gesù udì un lamento; nei quattro regni gli uomini alzavano le mani al cielo
e le loro mani cadevano, rose dalla lebbra. Le strade si riempirono di mani,
di nasi, di labbra.
Mentre Gesù tendeva le mani e stava per gridare a Dio: «Pietà, rispar-
mia gli uomini!» un secondo angelo che aveva le ali di tutti i colori e cam-
panelle alle caviglie e al collo, cadde dal cielo a testa in giù. All'improvvi-
so, su tutta la terra, esplosero risate sguaiate; i lebbrosi, colti da follia,
correvano e ciò che rimaneva del loro corpo scoppiava a ridere anch'esso.
Gesù si chiuse le orecchie per non udire; tremava. Allora un terzo ange-
lo, con le ali rosse, cadde dal cielo come una meteora. S'innalzarono quat-
tro fiammate, quattro colonne di fumo, le stelle s'appannarono. Soffiò una
leggera brezza e il fumo si disperse. Gesù guardò: i quattro regni erano
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solo quattro pugni di cenere.
Udì nuovamente la voce: «Eccoli i regni della terra che vai a conqui-
stare, o te infelice. Ecco i miei tre angeli diletti, la Lebbra, la Follia e il
Fuoco. Il giorno del Signore è arrivato, il mio giorno!» gridò la voce e il
lampo sparì.
All'alba, Gesù era rotolato giù dalla sua pietra e teneva il viso sprofon-
dato nella sabbia. Aveva dovuto certamente piangere molto nel corso della
notte: i suoi occhi erano gonfi e gli bruciavano. Si guardò attorno: quell'in-
finita distesa di sabbia era forse la sua anima? La sabbia ondeggiava, si
animava. Udiva grida stridenti, risate beffarde, singhiozzi. Degli animaletti
del bosco, simili a lepri, scoiattoli o faine saltellavano e gli si avvicinava-
no; avevano tutte gli occhi rossi come rubini. Arriva la Follia, pensò, arriva
per divorarmi... Gettò un grido e gli animaletti sparirono. Un arcangelo,
con la mezza luna al collo e una stella festosa fra le sopracciglia, si rizzò di
fronte a lui e spiegò le sue ali verdi.
«Arcangelo», mormorò Gesù mettendosi la mano davanti agli occhi per
non esserne abbagliato.
L'arcangelo chiuse le ali e sorrise:
«Non mi riconosci?» chiese. «Non ti ricordi di me?»
«No! No! Chi sei? Allontanati, arcangelo, che mi abbagli.»
«Ricorda di quando eri ancora bambino e non sapevi camminare: ti
afferravi alla porta della casa, alla veste di tua madre, per non cadere e,
dentro di te, gridavi con tutte le tue forze:
«'Mio Dio, fammi Dio! Mio Dio, fammi Dio! Mio Dio, fammi Dio!'»
«Non farmi pensare a quell'impudente bestemmia; me ne ricordo.»
«Io sono quella tua voce; sono io che gridavo. Sono io che grido ancora,
ma fai finta di non udire perché hai paura. Ma, che tu lo voglia o no, mi
ascolterai perché è giunta l'ora. Prima che tu nascessi, ho scelto te fra tutti
gli uomini. Agisco e splendo in te, non permetto che ti abbandoni alle pic-
cole virtù, alle piccole gioie, alla felicità terrena. E ora, in questo deserto in
cui ti ho portato, è venuta la donna e l'ho cacciata; sono venuti i regni della
terra e li ho cacciati. Sono io che li ho cacciati, io, non tu. Riservo per te
un destino ben più grande, ben più difficile.»
«Più grande? Più difficile?»
«Che cosa volevi che ti facessi gridare quando eri ancora bambino?
Diventare Dio. È ciò che diventerai!»
«Io? Io?»
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«Non lasciarti intimidire, non gemere, questo è quello che diverrai. Lo
sei già diventato. Che parole credi che abbia pronunciato la colomba
selvatica sopra di te, nel Giordano?»
«Dimmelo! Dimmelo!»
«'Sei mio figlio, il mio unico figlio!' Ecco la notizia che ti ha portato la
colomba selvatica. Non era una colomba, era l'arcangelo Gabriele. Salve, o
figlio, o unico figlio di Dio!»
Due ali fremettero nel petto di Gesù; sentì una grossa stella del mattino,
ribelle, bruciare fra le sue sopracciglia. In lui risuonò una voce: «Non sono
un uomo, non sono un angelo, non sono il tuo servo, sono tuo figlio,
Adonai. Mi siederò sul tuo trono per giudicare i vivi e i morti e, nella mia
mano destra reggerò, per giocarvi, una sfera: il mondo. Fammi posto,
lasciami sedere!»
Un violento scoppio di risa echeggiò nell'aria. Gesù sussultò, l'angelo
era sparito. Lanciò un grido lacerante: «Lucifero!» e cadde riverso con la
faccia nella sabbia. «A presto», disse una voce in tono canzonatorio, «un
giorno ci incontreremo di nuovo: a presto!» «Giammai», ruggì Gesù,
«giammai, Satana!» Manteneva il viso nascosto nella sabbia.
«Ci ritroveremo!» ripeté la voce, «a Pasqua, disgraziato!»
Gesù si mise a lamentarsi. Le sue lacrime colavano sulla sabbia come
grosse gocce calde. Durante lunghissime ore il suo pianto lavò e purificò la
sua anima. Verso il calare della sera soffiò un venticello fresco, il sole era
più tenue, le montagne lontane avevano un tono rosato. Allora Gesù udì
una voce compassionevole e una mano invisibile gli toccò una spalla.
«Alzati, il giorno del Signore è arrivato. Corri a portare questa notizia
agli uomini. Io arrivo!»
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Dio, e gli uomini assieme a lui, realizzano grandi cose. Senza l'uomo,
Dio non avrebbe su questa terra uno spirito che rifletta in modo più intelli-
gibile le sue creature e che esplori con sfacciataggine e terrore la sua
sapienza onnipotente; non vi sarebbe su questa terra un cuore che soffra
per le angosce altrui e che si sforzi di inventare le virtù e le angosce che
Dio ha rifiutato, dimenticato o temuto di creare. Ha tuttavia soffiato sul-
l'uomo e gli ha dato l'audacia e la forza di continuare la creazione...
E l'uomo, al contrario, senza Dio e disarmato come è alla sua nascita,
sarebbe stato distrutto dalla fame, dalla paura e dal freddo e, se si fosse
salvato, si trascinerebbe come una limaccia a mezza strada fra il leone e la
pulce. E se riuscisse, attraverso una lotta incessante, a reggersi sulle zampe
posteriori, non potrebbe mai liberarsi dall'abbraccio caldo e tenero di sua
madre, la scimmia..., pensava Gesù, ed era la prima volta, quel giorno, che
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sentiva così profondamente che Dio e l'uomo erano tutt'uno.
All'alba aveva preso il cammino per Gerusalemme e si sentiva vicino a
Dio, come se l'avesse di fianco a sé; facevano la strada insieme e avevano
entrambi la medesima preoccupazione: la terra aveva preso una strada
diversa, invece di salire verso il cielo, scendeva verso l'Inferno. Bisognava
che tutti e due insieme, Dio e il Figlio di Dio, si sforzassero di farle
riprendere al giusta strada. Era per questo che Gesù aveva tanta fretta e
divorava la strada a grandi passi, impaziente di ritrovare i suoi compagni e
di cominciare la lotta. Il sole, che saliva dal Mar Morto, gli uccelli che,
abbagliati dalla sua luce, cantavano, le foglie degli alberi che tremavano e
la strada bianca che arrivava fino alle mura di Gerusalemme e che se lo
portava con sé, tutto ciò gridava: «Fai svelto! Fai svelto! Stiamo affon-
dando!»
«Lo so, lo so», rispondeva Gesù, «lo so, arrivo!»
Di buon mattino anche i compagni scivolavano lungo i muri e nelle
stradine ancora solitarie di Gerusalemme; non erano insieme, ma cammi-
navano a due a due, Pietro con Andrea, Giacomo con Giovanni e Giuda, da
solo, davanti. Avevano paura, gettavano sguardi furtivi dappertutto per
vedere se erano seguiti; correvano. La porta di Davide si levò davanti a
loro, presero la prima traversa a sinistra e sgusciarono come ladri nella
taverna di Simone il Cireneo.
L'oste, panciuto, con il suo nasone rosso e gonfio, gli occhi pure rossi e
gonfi, si era appena alzato dal pagliericcio ed era assonnatissimo. Sbevac-
chiava fino a tardi, di notte, con gli ubriachi che frequentavano la sua
osteria, cantava, litigava, ci metteva dei secoli per andare a dormire e il
mattino, nauseato, di cattivo umore, puliva il banco dei resti della
gozzoviglia. Era in piedi ma non era del tutto sveglio. Gli pareva di tenere
in mano una spugna e di pulire il banco... e mentre si dibatteva fra la veglia
e il sonno udì degli uomini che, ansimando, entravano nella sua taverna e
si girò. Gli occhi gli bruciavano, aveva la bocca impastata e la barba piena
di pezzetti di semi di zucca arrostiti.
«Chi siete, banditi?» urlò con voce rauca. «Lasciatemi tranquillo, vi
dico. Sbarcate qui per bere e mangiare di mattino presto, eh? Sono di
cattivo umore, andatevene!»
A furia di gridare, pian piano si stava svegliando e scorse il vecchio
amico Pietro e i suoi compagni, i Galilei. Si avvicinò, li guardò da vicino e
scoppiò a ridere.
«Ehi! Che facce avete! Tirate dentro le vostre lingue che non pendano
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in questo modo, tenetevi stretta la pancia con tutte e due le mani perché
non scoppi dalla paura che avete! Potete essere fieri di voi, miei gagliardi
Galilei!»
«In nome del cielo, Simone, non far accorrere gente con le tue grida»,
gli rispose Pietro e allungò una mano per tappargli la bocca. «Chiudi la
porta. Il re ha ucciso il Profeta Giovanni Battista, non ne sei al corrente?
Gli ha tagliato la testa e l'ha messa su un vassoio d'argento...»
«Ha fatto bene. Gli aveva rotto le orecchie a forza di urlare che aveva
preso la sposa di suo fratello! È un re e fa quello che vuole. E poi, per non
nascondervi niente, aveva rotto le orecchie pure a me.»
«'Pentitevi! Pentitevi!' Che vendetta!»
«Pare che ammazzerà tutti coloro che sono stati battezzati, che li
passerà a fil di spada. E noi siamo battezzati, capisci?»
«E chi vi ha detto di andare a farvi battezzare, imbecilli? Vi sta bene!»
«Ma anche tu ti sei fatto battezzare, specie di otre che non sei altro», gli
disse crudamente Pietro, «non ce l'hai forse detto? Perché gridi tanto?»
«Questa non è la stessa cosa, sporco pescatore che sei, io non mi sono
fatto battezzare; lo chiami un battesimo, quello? Mi sono tuffato nell'acqua
e ho fatto un bagno. E tutto ciò che mi ha detto il falso profeta, l'ho lasciato
entrare da un orecchio e uscire dall'altro. È così che fanno tutti quelli che
hanno un po' di sale in zucca, ma voialtri con la vostra testolina senza
cervello... Appena c'è un falso profeta che promette mari e monti, siete
sempre i primi. Vi si dice: tuffatevi in acqua, pluf, vi tuffate e vi buscate un
malanno. Non ammazzate le vostri pulci di Sabbat, è un grande peccato,
allora voi non le ammazzate e sono loro ad ammazzare voi; non pagate la
tassa sulla persona: voi non pagate e zac! vi tagliano la testa. Vi sta bene!
E adesso sedetevi e beviamoci su, per rimetterci; e perché io mi svegli!»
Due grosse botti formavano una macchia d'ombra nel fondo della
taverna. Su di una v'era un gallo dipinto in rosso e sull'altra, in grigio
chiaro, un maiale. L'oste riempì una brocca di vino dalla botte con il gallo,
prese sei bicchieri, li gettò in una bacinella d'acqua sporca per lavarli.
L'odore del vino gli diede una sferzata e si svegliò.
Un cieco apparve sulla soglia della taverna e vi si fermò. Sostenne il
suo bastone fra le gambe e cominciò ad accordare un vecchio oboe,
tossicchiò e sputò per schiarirsi la gola. Eliacin, in gioventù, era stato
cammelliere e un giorno, passando nel deserto, in una pozza d'acqua sotto
un dattero, aveva visto una donna che si lavava. Invece di girare gli occhi,
lo sfrontato aveva fissato il suo sguardo sulla bella beduina. La sfortuna
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fece sì che il marito, rannicchiato dietro a una roccia, avesse appena acceso
il fuoco per far da mangiare. Vide il cammelliere che si avvicinava sempre
più e che divorava con gli occhi il corpo nudo di sua moglie. Si era preci-
pitato, aveva preso due carboni ardenti e li aveva spenti negli occhi del
cammelliere... Da quel giorno, il povero Eliacin si era messo a cantare
salmi e canzoni. Faceva il giro delle taverne e delle case di Gerusalemme
con il suo oboe; a volte cantava la bontà di Dio, a volte il corpo della
donna. Gli si dava un pezzo di pane secco, una manciata di datteri, due
olive, ed egli andava a cantare un po' più in là.
Accordò l'oboe, si schiarì la gola, gonfiò il petto e si mise a vocalizzare
sull'aria del suo salmo preferito: «Abbi pietà di me, mio Dio, con la tua
grande misericordia e con la tua grande compassione, cancella le mie ini-
quità...» In quel mentre stava arrivando l'oste con la brocca di vino e i
bicchieri. Udì quel salmodiare e si incollerì.
«Basta! Basta così!» gridò. «Anche tu mi spacchi le orecchie: sempre la
stessa solfa: 'Abbi pietà di me... Abbi pietà di me...' Vattene al diavolo,
sono forse io il peccatore? Sono forse io che ho alzato gli occhi per
guardare la donna altrui quando si lavava? Dio ci ha dato gli occhi per non
guardare, non l'hai ancora capito? Ti sta bene. Sciò, Vattene!»
Il cieco riprese il suo bastone, strinse l'oboe sotto il braccio e, senza dire
neppure una parola, si allontanò.
«Abbi pietà di me, mio Dio... Abbi pietà di me, mio Dio...» intonò
l'oste, irritato. «Davide ha dato dolci occhi alla donna di un altro e questo
cieco ha fatto gli occhi dolci a una donna altrui e viene a dar noia a noi...
poveri amici miei...»
Riempì i bicchieri e bevvero. Riempì di nuovo il suo e bevve ancora.
«Adesso vi farò una testa d'agnello al forno, una cosa prelibata... da
leccarsi i baffi!»
Andò nel cortile dove aveva costruito con le sue mani un piccolo forno,
portò degli sterpi e dei rametti, accese il fuoco e mise nel forno la teglia
con la testa dell'agnello, quindi tornò dai suoi amici. Impazziva per il vino
e per le discussioni.
Ma i compagni non erano dell'umore adatto. Stretti fianco a fianco da-
vanti al fuoco, tenevano gli occhi fissi sulla porta; stavano sui carboni
ardenti, volevano andarsene. Scambiavano due parole a fior di labbra, poi
tacevano di nuovo. Giuda si alzò e andò fino alla porta. Era disgustato di
vedere quei vigliacchi che avevano perso la testa, tanta era la loro paura.
Come sapevano correre, a che velocità avevano divorato la strada dal
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Giordano a Gerusalemme, per arrivare, più morti che vivi, a infilarsi in
quella taverna isolata! E qui, con le orecchie tese, stanno tremando come
lepri e si alzano sulla punta dei piedi pronti a fuggire... Che il diavolo vi
porti, Galilei fanfaroni! Dio d'Israele, ti ringrazio di non avermi fatto come
loro. Io sono nato nel deserto e non sono fatto di molle terriccio di Ga-
lilea, bensì di granito arabo. E tutti voi, che lo curavate e lo coccolavate,
che gli elargivate giuramenti e baci: adesso si salvi chi può! Ma io, il
selvaggio, il Rosso maledetto, lo sgozzatore, io non lo abbandono e aspet-
terò qui che Egli torni dal deserto del Giordano per vedere che cosa ci
porta indietro. Solo allora mi deciderò. Perché io non mi preoccupo per la
mia pelle. Solo una cosa m'importa: la sofferenza d'Israele.
Udì discussioni a voce sommessa provenienti dalla taverna. Si voltò.
«Io sono del parere di ripartire per la Galilea, laggiù saremo sicuri.
Ricordatevi del nostro lago, compagni», diceva Pietro sospirando. Vide la
sua barca verde dondolare sull'acqua azzurra e gli venne il magone; vide i
sassoli-ni, gli oleandri, le reti colme di pesci e i suoi occhi si riempirono di
lacrime. «Andiamocene, ragazzi, andiamo via!»
«Gli abbiamo dato la nostra parola di aspettarlo in questa taverna.
L'onore ci obbliga a mantenerla», disse Giacomo.
«Chiederemo al Cireneo», propose Pietro, «di sistemare ogni cosa, di
dirgli, se viene...»
«No! No!» replicò Andrea, «non possiamo lasciarlo da solo in questa
città così crudele. Lo aspetteremo qui.»
«Io sono del parere di tornare in Galilea», disse Pietro ostinato.
«Fratelli», disse Giovanni, afferrando in gesto di supplica le mani e le
braccia dei suoi compagni, «fratelli, pensate alle ultime parole del Battista.
Ha steso le braccia sotto la spada del carnefice e ha gridato: 'Gesù di Naza-
reth, abbandona il deserto; io me ne vado, vieni a riunirti con gli uomini,
vieni, non lasciare il mondo da solo!' Queste parole hanno un significato
profondo, amici. Che Dio mi perdoni se dirò una bestemmia, ma...»
La sua voce si spezzò: Andrea lo prese per mano.
«Parla, Giovanni. Qual è l'atroce presentimento che non hai il coraggio
di rivelare?»
«...Ma se il nostro Maestro fosse... il...» e si mise a balbettare.
«Chi?»
La voce di Giovanni suonò debole, ansimante, piena di timore: «...il
Messia!»
Tutti sussultarono. Il Messia! Che fossero rimasti tanto tempo con lui e
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che non fosse loro mai passato per la testa! All'inizio lo presero per un
brav'uomo, un santo, che portava l'amore al mondo; poi l'avevano preso
per un profeta, non selvaggio come quelli antichi, ma allegro e accatti-
vante. Faceva scendere in terra il regno dei cieli, ossia il cammino più
facile e la giustizia. E il Dio d'Israele ha la testa dura; il Dio dei loro ante-
nati, Geova, lui lo chiamava Padre e, appena l'aveva chiamato così, ecco
che Egli era diventato dolcissimo e che tutti gli uomini erano diventati figli
suoi... E ora, qual è la parola sfuggita dalle labbra di Giovanni... il Messia!
Sarebbe come dire: la spada di Davide, l'onnipotenza d'Israele, la guerra! E
loro, i discepoli, i primi a seguirlo, sarebbero diventati grandi signori, dei
tetrarchi e dei patriarchi attorno al suo trono! Come, nel cielo, Dio ha attor-
no a sé gli angeli e gli arcangeli, nello stesso modo essi sarebbero stati de-
gli etnarchi e dei patriarchi regnanti sulla terra! I loro occhi scintillavano.
«Ritiro ciò che ho detto, ragazzi», disse Pietro che era diventato tutto
rosso. «Non l'abbandonerò mai!»
«Neanch'io! Neanch'io! Neanch'io!»
Giuda, irato, sputò per terra e diede un pugno allo stipite della porta.
«Ah! che coraggiosi!» gridò loro. «Finché credevate che fosse un debo-
le, non pensavate che a darvela a gambe. Adesso, .invece, che avete fiutato
cose meravigliose vi dite: 'Non l'abbandonerò mai!' Ebbene, tutti l'abban-
donerete un giorno e lo lascerete da solo, ricordatevi di ciò che dico, e io,
io solo, non lo tradirò; Simone di Cirene, mi sei testimone!»
L'oste che li stava a sentire e ridacchiava sotto i suoi lunghi baffi strizzò
l'occhio a Giuda.
«Ci vuole un bel coraggio», disse, «a voler salvare il mondo con teste
simili!»
Il suo naso sentì odore di bruciato.
«La testa d'agnello che brucia!» gridò e, con un balzo, andò in cortile.
I compagni si guardavano fra loro, sbalorditi.
«È per questo allora che il Battista, vedendolo, è rimasto a bocca
aperta!» disse Pietro battendosi la fronte.
Erano eccitatissimi e la loro mente cercava di ricordare.
«E avete visto una colomba sulla sua testa mentre si faceva battezzare?»
«Non era una colomba, era un fulmine.»
«No, no, era una colomba, tubava.»
«Non tubava, parlava. L'ho udita con le mie orecchie. Diceva: 'Santo!
Santo! Santo!'»
«Era lo Spirito Santo!» disse Pietro e i suoi occhi si riempirono di ali
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dorate. «Lo Spirito Santo è sceso dal cielo e siamo rimasti tutti di sasso,
ricordatevene! Io volevo muovere un piede per avvicinarmi, ma era come
addormentato, non riuscivo a muovermi! Volevo gridare, ma le mie labbra
non riuscivano a unirsi! Il vento era cessato, gli arbusti, il fiume, gli
uomini, gli uccelli, tutto era paralizzato dallo spavento e si muoveva solo
la mano del Battista, piano, e battezzava...»
«Non ho visto né udito nulla!» disse Giuda, irritato. «I vostri occhi e le
vostre orecchie erano ubriachi.»
«Non hai visto, Rosso, perché non hai voluto vedere!» gli rispose Pietro
con rudezza.
«E Vostra Signoria racconta delle storie; tu hai visto perché volevi ve-
dere. Hai avuto voglia di vedere lo Spirito Santo e hai visto lo Spirito
Santo. E il colmo è che adesso tu lo faccia, vedere a quegli sventati e li
trascini nel tuo stesso errore!»
Fino a quel momento Giacomo aveva ascoltato senza parlare. Si
rosicchiava le unghie e taceva, ma non poté più trattenersi.
«Ascoltate, ragazzi», disse, «non prendiamo fuoco come la paglia, ma
studiamo bene la questione. Innanzitutto, è vero che il Battista ha pronun-
ciato quelle parole prima che gli venisse tagliata la testa? Mi sembra
difficile crederlo; poi, chi fra noi era lì per udirlo? E inoltre: anche se il
Battista avesse avuto quelle parole in testa, non le avrebbe pronunciate;
perché il re ne sarebbe venuto a conoscenza e avrebbe mandato delle spie
per sapere chi era quel Gesù nel deserto, l'avrebbe catturato e avrebbe fatto
tagliare la testa anche a lui. Due più due fa quattro, come dice il mio
vecchio padre. Allora non montiamoci la testa!»
Ma Pietro si arrabbiò.
«E io affermo che due più due fa quattordici e la ragione può dire ciò
che vuole. Che il diavolo se la porti via! Servi da bere, Andrea, anneghia-
mo il cervello per poterci vedere chiaro!»
Un colosso dalle guance rugose, scalzo, avvolto in un drappo bianco,
con varie file di amuleti appesi al collo, entrò precipitosamente nella
taverna, si mise la mano sul petto e salutò.
«Vi saluto, fratelli, me ne vado. Vado a trovare Dio. Avete qualche
messaggio da darmi per lui?»
E, senza aspettare risposta, se ne andò di corsa ed entrò nella casa
vicina.
Nello stesso momento l'oste stava entrando con il vassoio e, nella
taverna, si sparse un buon profumino. Fece in tempo a vedere quello
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strampalato colosso e gli gridò:
«Buon viaggio! Salutalo da parte nostra! Ancora uno!» e scoppiò a
ridere. «Accidenti, è proprio vero che è arrivata la fine del mondo, se il
mondo è pieno di pazzi. Quello lì pare che l'altro ieri notte, mentre stava
pisciando, abbia visto Dio. Da quel momento non vuole più vivere, né
mangiare. Ha detto: 'Sono invitato in cielo ed è lassù che mangerò'. Allora
si è avvolgo nel suo lenzuolo funebre, corre di porta in porta, prende i
messaggi, saluta e se ne va... Ecco che cosa succede a chi frequenta troppo
Dio. Attenti, ragazzi, un buon consiglio: non avvicinatelo troppo! Adoro la
Sua Grazia, ma da lontano. Spostatevi!»
Appoggiò in mezzo alla tavola il vassoio con la testa d'agnello fumante.
La sua bocca, gli occhi e le orecchie sprizzavano allegria.
«Una testa freschissima!» gridò, «quella di Giovanni Battista. Buon
appetito!»
Giovanni, colto da nausea, si allontanò. Andrea, che stava per allungare
la mano, si trattenne. La testa, posata sul vassoio, con degli occhi torbidi
spalancati, immobili, li guardava uno per uno.
«Simone miserabile,» disse Pietro, «ci hai disgustato, non la tocchere-
mo neppure. Come potrei fare adesso a mangiargli gli occhi che tanto mi
piacciono. Mi sembrerebbe di mangiare gli occhi di Giovanni Battista.»
L'oste si contorceva dalle risate.
«Non preoccuparti, Pietro», disse, «li mangerò io in vece tua. Ma prima
mangerò la sua lingua che gridava - che il cielo la protegga - 'Pentitevi!
Pentitevi! La fine del mondo è arrivata!' Ma è la tua fine, la tua,
disgraziato, che è arrivata per prima!»
Ciò detto afferrò il suo coltello, tagliò la lingua e se la mangiò in un
boccone. Poi si bevve un bicchierone di vino e rimase in contemplazione
delle sue botti.
«Non fa niente, ragazzi, ho pietà di voi! Cambierò argomento per farvi
dimenticare la testa dì Giovanni Battista e permettervi di mangiare quella
dell'agnello... Allora, sapreste indovinare chi ha dipinto quei capolavori
che state ammirando sulle mie botti, il gallo e il maiale? Modestia a parte,
sono stato io, con le mie mani, che cosa credete? E sapete perché un gallo
e un maiale? Non c'è pericolo, Galilei della malora! Ebbene, ve lo spie-
gherò per illuminare il vostro minuscolo cervello!»
Pietro continuava a guardare la testa d'agnello e si leccava i baffi, ma
non aveva ancora il coraggio di allungare la mano per cavare gli occhi e
mangiarseli. Pensava in continuazione al Battista. Quando vi guardava,
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spalancava gli occhi nello stesso modo.
«Ascoltate», continuò l'oste, «per chiarirvi un po' le idee. Quando Dio
finì di fare il mondo - e mi chiedo che cosa gli è venuto in mente di
mettersi in storie simili - e si lavò le mani piene di fango, chiamò davanti a
sé tutte quelle creature nuove e domandò loro, pieno di orgoglio: 'Allora,
uccelli e animaletti, che cosa ne pensate di questo mondo che ho appena
creato? Vi trovate qualche difetto?' Tutti si misero subito a muggire, a rug-
gire, a miagolare, a belare e a cinguettare: 'Nessuno! Nessuno! Nessuno!'
'Vi benedico', disse Dio, 'io neppure, in fede, gli trovo alcun difetto. Siano
lodate le mie mani!' Ma vide il gallo e il maiale che abbassavano la testa e
che non si pronunciavano. 'Ehi, maiale', gridò Dio, 'e lei, Sua Eccellenza il
Gallo, perché non dite niente? Manca forse qualcosa?' Ma quei due, muti!
Il diavolo aveva detto loro, sussurandoglielo in un orecchio: 'Ditegli che
manca un ceppo basso, che dia l'uva. Si pigia, si mette in barili e si fa il
vino'. 'Perché non parlate, animali?' gridò ancora una volta Dio alzando la
sua grande mano. Allora i due animali, ai quali il diavolo infondeva corag-
gio, rialzarono la testa. 'Che cosa vuoi che ti diciamo, Maestro Costruttore?
Gloria alle tue mani, il tuo mondo è perfetto! Ma gli manca un ceppo,
basso, che dia l'uva. La si pigia, la si mette in barili e se ne fa il vino.' 'Ah,
è così? Ebbene ve la farò vedere io, furbacchioni!' disse Dio che era al
colmo della collera. 'Volete vino, ubriacature, litigi e vomiti? Ebbene, che
vigna sia!' Si rimboccò le maniche, prese del fango, fabbricò un ceppo e lo
piantò. 'Lo maledico', disse, 'colui che berrà troppo avrà un cervello da
gallo e un muso da maiale!'»
I compagni scoppiarono a ridere, dimenticarono il Battista e fecero man
bassa della testa arrosto, Giuda, per primo, che aveva tagliato il cranio in
due e si era riempito le mani con il cervello dell'agnello. Quando l'oste
vide che cosa ne era rimasto, si spaventò e pensò che non gliene avrebbero
lasciato neppure una briciola.
«Ehi, ragazzi», gridò, «è molto bello mangiare e bere, ma non dimenti-
cate Giovanni Battista. Oh! la sua povera testa!»
Rimasero tutti con il boccone in mano. Pietro che aveva già masticato
l'occhio e che si accingeva a ingoiarlo, sentì un nodo in gola. Inghiottirlo
gli ripugnava, sputarlo, gli dispiaceva; che cosa fare? Giuda era l'unico che
non si preoccupava. L'oste riempì loro i bicchieri.
«Che il suo ricordo sia eterno. Versiamo una lacrima sulla sua povera
testa. E auguriamo lo stesso a voi tutti!»
«Auguri anche a te, furbacchione!» disse Pietro e, in un sol boccone,
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inghiottì l'occhio.
«Non ti preoccupare, io non ho paura di niente», rispose l'oste. «Non
m'immischio negli affari di Dio e me ne frego di salvare il mondo. Sono un
oste, non sono un angelo o un arcangelo come le signorie vostre; l'ho
scampata bella!» disse, afferrando ciò che rimaneva della testa.
Pietro aprì la bocca, ma la sua voce si troncò di netto.
Un colosso selvaggio, tutto butterato, si era fermato sulla soglia e guar-
dava dentro. I compagni si scostarono e Pietro si nascose dietro alle larghe
spalle di Giacomo.
«Barabba!» grugnì Giuda aggrottando le sopracciglia. «Entra.»
Barabba chinò la sua grossa nuca e scorse i Discepoli nella penombra.
Rise beffardamente.
«Sono contento di trovarvi, agnellini», disse. «Ho smosso cielo e terra
per scovarvi!»
L'oste si alzò borbottando e gli portò un bicchiere.
«Non mancavi che tu, capitano Barabba.»
Ce l'aveva con lui perché ogni volta che veniva nella sua taverna si
ubriacava, litigava con i soldati romani che passavano da lì e gli procurava
delle noie. «Non cominciare a litigare secondo la tua abitudine, maiale
d'un gallo!»
«Per questo, finché gli impuri calpesteranno la terra d'Israele, non
abbasserò certo la mia bandiera, levatelo dalla testa! E porta qualcosa da
mangiare, pezzo di mascalzone!»
L'oste spinse verso di lui il vassoio sul quale non rimanevano che ossa.
«Mangia», disse, «hai dei denti da mastino e saprai sbriciolare le ossa.»
Barabba vuotò il bicchiere in un solo fiato, si attorcigliò i baffi e si girò
verso i compagni.
«E dove si trova dunque il buon pastore, agnellini miei?» chiese. I suoi
occhi lanciavano fiamme. «Ho un vecchio conto da regolare con lui.»
«Sei sbronzo prima di aver bevuto», gli disse severamente Giuda. «Le
tue smargiassate ci hanno già procurato un bel po' di noie, basta!»
Giovanni riprese coraggio:
«Che cos'hai contro di lui? È un uomo santo e, quando cammina, guarda
per terra per vedere se non schiaccia nessuna formica».
«Di', piuttosto, per vedere se una formica non lo schiaccerà, è di questo
che ha paura. E chiamate questo un uomo?»
«Gesù ha strappato Maddalena dai tuoi artigli e non glielo puoi perdo-
nare», osò dire a sua volta Giacomo.
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«Mi ha offeso», ruggì Barabba, i cui occhi s'incupirono. «Me la
pagherà!»
Ma Giuda l'afferrò per un braccio e lo spinse di lato. Gli parlava a voce
bassa, precipitosamente, in collera.
«Che cosa vieni a cercare guai? Perché hai abbandonato le montagne
della Galilea? E laggiù che la confraternita ha fissato il tuo dominio. Qui a
Gerusalemme sono altri che comandano.»
«Non è dunque per la libertà che combattiamo?» rispose Barabba,
furioso. «Ebbene, io sono libero e faccio quello che voglio. Sono venuto
per vedere anch'io chi era quel Battista che faceva tanti prodigi. Era forse
Colui che aspettiamo? Doveva giungere finalmente, prendere il comando e
cominciare il massacro. Ma sono arrivato troppo tardi: gli avevano già
tagliato la testa. Che cosa ne dici tu, Giuda, mio capo?»
«Io sono del parere che tu ti alzi e te ne vada. Non immischiarti negli
affari altrui.»
«Che me ne vada? Ma sai quello che dici? Sono venuto per il Battista e
m'imbatto nel figlio di Maria. È da tanto che lo inseguo! E adesso che Dio
me lo mette proprio sotto il naso, devo lasciarmelo sfuggire?»
«Vattene», ordinò Giuda. «Questa storia è affar mio, non tentare di
immischiarti!»
«Che cos'hai nel cervello? La confraternita, sappilo, vuole sbarazzarsi
di lui. È un emissario dei Romani che lo pagano per proclamare il regno
dei cicli, per sconvolgere il popolo e impedirgli di pensare alla terra e alla
schiavitù. E tu, adesso... ma che cos'hai nel cervello?»
«Niente, è affar mio. Vattene!»
Barabba si girò e gettò un ultimo sguardo sui compagni che tendevano
le orecchie per udire.
«A presto, agnellini», gridò loro con astio. «Non ci si libera così
facilmente di Barabba. Ne riparleremo!»
Disparve subito dalla porta di Davide.
L'oste strizzò un occhio a Pietro.
«Gli ha dato degli ordini», gli disse a bassa voce. «La confraternita,
dice quello. Ammazzano un Romano e fanno ammazzare dieci Israeliti.
Dieci e anche quindici. Aprite gli occhi, ragazzi!»
Si chinò e mormorò all'orecchio di Pietro:
«E poi, sta' a sentire: non fidatevi di Giuda Iscariota. I rossi, sai bene...»
Ma tacque. Il Rosso si era seduto di nuovo sullo sgabello.
Giovanni si alzò, rattristato. Andò fino alla porta, si guardò attorno a
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destra e a sinistra, nessuna traccia del Maestro.
Era ormai giorno e le strade erano piene di gente. Oltre la porta di
Davide c'erano il deserto, dei sassi, della cenere, neppure una foglia verde.
Solo delle pietre bianche, ritte, delle pietre tombali. L'aria puzzava di
carogne di cani e cammelli. Tutta quella crudeltà spaventò Giovanni; tutto
era di pietra lì, anche i visi degli uomini, anche il loro cuore, anche il Dio
che adoravano. Era ben lungi il Dio pietoso, il Padre, che il Rabbi aveva
portato loro! Ah! quando sarebbe riapparso l'amato Maestro, per poter
tornare in Galilea!
«Fratelli, andiamocene!» esclamò Pietro che non ne poteva più,
alzandosi. «Lui non verrà!»
«Sto sentendolo venire...» mormorò timidamente Giovanni.
«Come puoi sentirlo, illuminato?» chiese Giacomo che non amava i
sogni del fratello e che aveva fretta, pure lui, di tornare al suo lago e alle
sue barche.
«Nel mio cuore», rispose il fratello minore. «È lui che ode per primo,
che vede per primo...»
Giacomo e Pietro alzarono le spalle; ma l'oste intervenne.
«Ha ragione», disse, «non alzate le spalle. Ho udito dire - ecco, che
cosa credete che fosse ciò che viene chiamato l'Arca di Noè? È il cuore
dell'uomo! Dentro c'è Dio con tutte le sue creature: tutto il resto annega e
affonda, e pare che solo il cuore galleggi con il suo carico. Sa tutto, non
ridete, il cuore dell'uomo!»
Suonarono delle trombe, la folla si fece da parte e si udì levarsi un
rumore. I compagni, preoccupati, balzarono fin sulla porta. Dei begli
adolescenti, robusti, portavano una lettiga ornata d'oro in cui era disteso un
signore grasso e grosso, vestito di seta, con un viso lucido da gaudente e
con tanti anelli, che si carezzava la barba.
«Caifa!» disse l'oste. «Quel vecchio caprone, il gran sacerdote. Tappate-
vi il naso, ragazzi; il pesce marcio puzza dalla testa!»
Si tappò il naso e sputò.
«Va, ancora una volta, nei suoi giardini, a mangiare, a bere, a giocare
con le sue donne e i suoi ragazzi. Ah, brutto porco, se io fossi Dio! Il
mondo è appeso a un capello; ebbene, io, quel capello, lo taglierei, sì, lo
giuro sul vino, lo taglierei, e il mondo andrebbe al diavolo!»
«Andiamocene», ripeteva Pietro. «Non stiamo bene qui! Anche il mio
cuore ha occhi e orecchie; mi sta gridando: Vattene, andatevene, disgra-
ziati!»
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Aveva appena pronunciato quelle parole che, effettivamente, lo udì; si
spaventò, si alzò di botto, prese un bastone gettato in un angolo. Si
alzarono tutti nervosamente, videro il terrore di Pietro e a loro volta furono
terrorizzati.
«Se viene, Simone, tu lo conosci, digli che siamo ripartiti per la Gali-
lea», raccomandò Pietro all'oste.
«E chi pagherà?» chiese l'oste preoccupato. «La testa d'agnello, il
vino...»
«Credi nell'altra vita, Simone di Cirene?» domandò Pietro.
«Certo che ci credo.»
«Bene, ti do la mia parola, e, se vuoi, te la do anche per iscritto, che
lassù ti pagherò.»
L'oste si grattò il suo testone.
«Che cosa? Non credi nell'altra vita?» fece Pietro severamente.
«Ci credo, Pietro, ci credo; ma non fino a questo punto...»
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Come cavalli affamati e stanchi che tornano nella scuderia tanto amata,
i compagni correvano verso il lago di Genezareth. Giuda il Rosso, che
apriva il cammino, fischiava. Erano anni che non si sentiva così contento.
Amava molto, adesso, il viso, la rudezza, la voce del Maestro, così, co-
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m'erano ritornati dal deserto... «Ha ammazzato il Battista», ripeteva senza
tregua, «l'ha preso con sé, l'agnello e il leone sono divenuti una cosa sola.
Come i mostri antichi il Messia sarà contemporaneamente leone e
agnello?» Camminava fischiettando e aspettava. «Non è possibile, una di
queste notti, prima di arrivare al lago, aprirà pure la bocca, parlerà. Ci
svelerà il segreto, ci dirà che cosa ha fatto nel deserto, se ha visto il Dio
d'Israele e che cosa si sono detti. Solo allora lo giudicherò.»
La prima notte passò. Gesù, in silenzio, contemplava le stelle. Attorno a
lui, i suoi compagni, stanchi, sonnecchiavano. Solo gli occhi azzurri di
Giuda brillavano nell'oscurità... Entrambi vegliavano, uno di fronte all'-
altro, senza parlare.
Ripresero la strada all'alba. Lasciarono indietro le pietre della Giudea ed
entrarono nelle terre bianche di Samaria. Il pozzo di Giacobbe era deserto,
nessuna donna attingeva l'acqua per dar loro da bere. Attraversarono velo-
cemente quelle terre eretiche e apparvero le montagne amate, l'Hermon,
coperto di neve, il grazioso Thabor, il santo Carmelo.
Il sole stava calando ed essi si distesero sotto un cedro frondoso e lo
videro tramontare. Giovanni pronunciò la preghiera della sera: «Aprici la
tua porta, o Signore. La luce si attenua, il sole tramonta, il sole sparisce.
Siamo davanti alla tua porta, o Signore, aprici. O Eterno, ti supplichiamo,
perdonaci. O Eterno, ti supplichiamo, abbi pietà di noi. O Eterno, salvaci!»
L'aria era di un azzurro profondo, il cielo aveva perso il sole e non
aveva ancora trovato le stelle; si chinava sulla terra spoglio dei suoi orna-
menti. In quell'incerta mezzaluce risaltavano candide le mani sottili e
lunghe di Gesù appoggiate sulla terra.
La preghiera della sera risuonava ed era ancora viva in lui: udiva gli
uomini bussare, disperati e tremanti, alla porta del Signore e la porta non si
apriva. Gli uomini bussavano e gridavano. Che cosa gridavano?
Chiuse gli occhi per udire più chiaramente. Gli uccelli del giorno ave-
vano raggiunto il proprio nido, quelli della notte non si erano ancora sve-
gliati, i villaggi degli uomini erano ancora lontani, non si udiva alcun
rumore umano né l'abbaiare dei cani. I compagni mormoravano la preghie-
ra della sera, ma avevano sonno, le parole sacre entravano in essi, senza
trovarne risposta. Gesù udiva dentro di sé gli uomini che bussavano alla
porta del Signore, il suo cuore. Era al suo caldo cuore d'uomo che essi
bussavano, gridando:
«Aprici! Aprici! Salvaci!»
Gesù si strinse il petto come se lui stesso stesse bussando e supplicava il
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suo cuore di aprire. E mentre lottava e si credeva solo, sentì che qualcuno,
dietro a lui, lo guardava. Si voltò. Gelidi come il ghiaccio, gli occhi di
Giuda lo fissavano. Gesù rabbrividì. Il Rosso era una belva orgogliosa,
indomabile. Di tutti i compagni, era lui che sentiva più vicino a se e allo
stesso tempo più lontano. Pareva che non avesse da render conto dei suoi
atti a nessun altro se non a se stesso. Gesù gli tese la mano destra:
«Giuda, fratello mio», disse, «guarda. Che cosa sto stringendo?» Nella
penombra il Rosso allungò il collo, per vedere bene.
«Niente», rispose, «non vedo niente.»
«Lo vedrai presto», disse Gesù sorridendo.
«Il regno dei cieli», disse Andrea.
«Il seme», disse Giovanni. «Ricordi, Maestro, ciò che hai detto la prima
volta che ci hai parlato, in riva al lago? 'Il seminatore è uscito per seminare
i suoi semi.'»
«E tu, Pietro?» chiese Gesù.
«Che cosa vuoi che ti dica, Maestro? Se interrogo i miei occhi, nulla. Se
interrogo il mio cuore, tutto. Il mio spirito oscilla nel mezzo.»
«Giacomo?»
«Non stai stringendo niente, Maestro, perdonami.»
«Guardate!» fece Gesù e alzò violentemente il braccio. Vedendo che lo
alzava bene in alto e lo riabbassava con forza, i compagni ebbero paura.
Giuda divenne rosso dalla gioia, il suo viso era raggiante, afferrò la mano
di Gesù e la baciò.
«Maestro», gli gridò, «ho visto! Ho visto! Hai in mano l'ascia del Bat-
tista!»
Ma, improvvisamente, ebbe vergogna. Era furente di non aver saputo
contenere la sua gioia; andò di nuovo in disparte e si appoggiò al tronco
del cedro. Si udì, calma e seria, la voce del Maestro:
«Me l'ha portata e l'ha posata ai piedi dell'albero marcio. È perciò che
egli è nato, per portarmela. Non poteva andare più lontano. Sono giunto,
mi sono abbassato e ho afferrato l'ascia. È per questo che sono nato. È qui
che comincia la mia missione, quella di abbattere l'albero marcio. Quando
ero falegname credevo di essere un fidanzato e di avere in mano un ramo
fiorito. Vi ricordate come passeggiavamo, come danzavamo, come procla-
mavamo, in Galilea: 'La terra si aprirà per lasciarci entrare?' Compagni, era
un sogno e ora ci siamo svegliati».
«Il regno dei cicli dunque non esiste?» urlò Pietro, spaventato.
«Esiste, Pietro, esiste, ma è in noi. In noi vi è il regno dei cieli, fuori di
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noi il regno del Maligno. I due regni sono in lotta. C'è la guerra! C'è la
guerra! Il nostro primo dovere è quello di abbattere Satana, con quest'-
ascia!»
«Quale Satana?»
«Il mondo che ci circonda. Coraggio, compagni; non vi ho invitato a
una festa, ma a una guerra. Non lo sapevo, scusatemi. Ma colui che, fra
voi, pensa alla sua sposa, ai figli, ai campi, alla felicità, se ne vada! Non è
una vergogna. Che si alzi, che ci saluti tranquillamente e che se ne vada in
pace. È ancora in tempo.»
Tacque. Gettò uno sguardo sui compagni che aveva attorno. Nessuno si
mosse. La stella della sera scintillava dietro ai rami neri del cedro, come
una gocciolina d'acqua. Gli uccelli della notte scossero le loro ali nere e si
svegliarono. Una brezza fresca calava dalle montagne. Di colpo, nella
dolcezza della notte, Pietro si alzò.
«Maestro, ti seguirò come un'ombra», esclamò, «combatterò al tuo fian-
co, fino alla morte.»
«Hai appena pronunciato una cosa molto grave, Pietro, e non mi piace.
Prendiamo una strada difficile, Pietro, gli uomini ci faranno la guerra; chi
vuole la propria salvezza? Chi ha mai visto un profeta alzarsi per salvare
un popolo senza che questo lo lapidi? Pietro, dovrai trattenere la tua anima
con tutte le tue forze, perché non ti scappi. La carne è debole, non fidar-
tene... Capisci, Pietro? È a te che sto parlando...» Dagli occhi di Pietro
sgorgarono delle lacrime.
«Non hai fiducia in me, Maestro?» mormorò. «Ma, così come mi vedi,
tu che non ti fidi di me, sappi che un giorno io morirò per te.»
Gesù allungò una mano e gli accarezzò un ginocchio.
«È possibile... è possibile...» mormorò. «Scusami, mio diletto Pietro.»
Si voltò verso gli altri.
«Giovanni Battista battezzava con l'acqua», disse, «e l'hanno ucciso. Io
battezzerò con il fuoco, ve lo dico chiaramente questa sera, sappiatelo, e
quando verranno le ore tragiche, non lamentatevene con me: prima di
partire vi annuncio dove stiamo andando: verso la morte. E, dopo la morte,
verso l'immortalità. Ecco il nostro cammino. Siete pronti?»
I compagni rimasero di sasso. Quella voce era severa, non giocava più,
non scherzava più. Chiamava alle armi. Per entrare nel regno dei cicli,
bisognava quindi passare attraverso la morte? Non v'era forse altro cam-
mino? Erano uomini semplici, poveri e ignoranti che vivevano giorno per
giorno; il mondo era ricco e onnipotente, come si poteva misurarsi con lui?
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Se almeno scendessero degli angeli dal cielo per aiutarli! Ma mai nessuno
di loro aveva visto angeli camminare sulla terra e soccorrere i poveri e gli
oppressi. Perciò tacevano: calcolavano e misuravano, in loro stessi, il
pericolo. Giuda li osservava furtivamente e sorrideva con fierezza. Solo lui
non calcolava. Entrava in guerra, disprezzando la morte, non si preoccu-
pava né del suo corpo, né della sua anima. Aveva una sola grande passione
e provava una gioia immensa all'idea di partire per compierla.
Infine Pietro, per primo, parlò.
«Maestro, verranno degli angeli dal cielo per aiutarci?» chiese.
«Noi siamo gli angeli di Dio sulla terra, Pietro», rispose Gesù. «Non vi
sono altri angeli.»
«Ma allora, perché venirne fuori vincitori da soli? Che cosa ne pensi, tu,
Maestro?» chiese Giacomo.
Gesù si alzò; le sue sopracciglia tremavano.
«Andatevene», gridò, «lasciatemi!»
Giovanni lanciò un grido.
«Maestro, io non ti lascio solo. Sono con te fino alla morte!»
«Io pure, Maestro», disse Andrea, abbracciando le ginocchia di Gesù.
Due grosse lacrime sgorgarono dagli occhi di Pietro, ma non parlò.
Giacomo abbassò la testa, era coraggioso e provava vergogna.
«E tu, Giuda, fratello mio?» chiese Gesù vedendo il Rosso, muto,
gettare sguardi feroci ai suoi compagni.
«Io non parlo troppo», rispose brutalmente il Rosso, «e neppure piango
come fa Pietro. Finché tu avrai in mano l'ascia, starò con te. Se
l'abbandonerai, io ti abbandonerò. Io non sono te, lo sai, sono l'ascia.»
«Non hai vergogna di parlare in questo modo al Maestro?» disse Pietro.
Ma Gesù se ne rallegrò.
«Giuda ha ragione», disse, «anch'io sono l'ascia, compagni!»
Si stesero tutti per terra, appoggiandosi al cedro. Le stelle stavano
riempiendo il cielo.
«A partire da ora», disse Gesù, «spieghiamo lo stendardo di Dio, partia-
mo per la guerra. Ci sono una stella e una croce, ricamate sullo stendardo.
Che Dio sia con noi!»
Tutti tacevano. Avevano preso una decisione e si sentivano più forti.
«Parlerò ancora per mezzo di parabole», disse Gesù ai suoi compagni
che ora erano totalmente immersi nel buio. «La terra, sappiatelo, poggia su
quattro colonne, queste colonne poggiano sull'acqua, l'acqua sulle nuvole,
le nuvole sul vento, il vento sulla tempesta e la tempesta sul fulmine. E il
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fulmine è poggiato sui piedi di Dio, come un'ascia.»
«Non capisco, Maestro», disse Giovanni, arrossendo.
«Capirai quando sarai vecchio e andrai a vivere da asceta in un'isola,
quando i cieli si apriranno sopra di te e quando la tua testa prenderà fuoco,
Giovanni, figlio del Fulmine», rispose Gesù accarezzando i capelli del suo
diletto compagno.
Tacque. Era la prima volta che vedeva così chiaramente cos'era il
fulmine di Dio: un'ascia infuocata ai piedi di Dio, alla quale erano appesi
uno dietro l'altro, tempesta, vento, nuvole, acqua, la terra intera. Durante
tanti anni aveva vissuto con gli uomini, durante tanti anni con le Sacre
Scritture e nessuno gli aveva rivelato quel terribile segreto. Quale segreto?
Che il fulmine è il figlio di Dio, il Messia. È lui che verrà a purificare la
terra.
«Compagni di lotta», egli disse, e per un istante Pietro vide nell'oscurità
due fiamme balzare fuori dalla sua fronte, come delle corna, «compagni,
sono andato nel deserto, lo sapete, per incontrarmi con Dio. Avevo fame,
avevo sete, ardevo, ero rannicchiato su una pietra e gridavo a Dio di appa-
rire. I demoni venivano a sbattere contro di me a ondate, come un mare,
s'infrangevano, facevano schiuma e se ne tornavano da dove erano venuti.
Prima i demoni del corpo, poi i demoni del cuore. Ma io tenevo Dio come
uno scudo di bronzo e la sabbia attorno a me si è riempita di pezzi d'artigli,
di denti e di corna. Allora udii una voce possente al di sopra di me: 'Alzati
e prendi l'ascia che ti ha portato il Precursore, batti!'»
«Nessuno sarà salvato?» gridò Pietro, ma Gesù non lo intese.
«La mia mano divenne pesante come se qualcuno avesse messo un'ascia
fra le mie dita. Mi alzai e, mentre mi alzavo, la voce si fece udire di nuovo:
Tiglio del falegname, sta per cadere un nuovo diluvio, non più d'acqua, ma
dì fuoco. Fabbrica una nuova Arca, scegli gli uomini e fai entrare i santi
nell'Arca!' La scelta è cominciata, compagni, l'Arca è pronta, la porta è
ancora aperta; entrate!»
Si mossero tutti, si trascinarono e vennero a raggrupparsi attorno a
Gesù, come se egli fosse l'Arca, per entrarvi.
«E ho udito di nuovo la voce: 'Figlio di Davide, quando le fiamme si
calmeranno e l'Arca getterà l'ancora davanti alla nuova Gerusalemme,
salirai sul trono dei tuoi avi e governerai gli uomini! La vecchia terra sarà
scomparsa, il vecchio cielo pure. Un cielo nuovo si spiegherà sopra la testa
dei santi e le stelle brilleranno di una luce sette volte più intensa. Sette
volte più intensamente brilleranno anche gli occhi degli uomini'.»
255
«Maestro», gridò ancora Pietro, «bisogna che non moriamo prima di
aver visto quel giorno e di esserci seduti, noi tutti che lottiamo con te, alla
destra e alla sinistra del tuo trono!»
Ma Gesù non l'udì; immerso nella visione infuocata del deserto,
continuò:
«E ho udito un'ultima volta quella voce sopra la mia testa: 'Figlio di
Dio, ricevi la mia benedizione!'»
«Figlio di Dio! Figlio di Dio!» gridarono tutti nel profondo del loro
cuore, ma nessuno osò aprir bocca.
Le stelle apparvero tutte nel cielo e, quel giorno, si abbassarono di più e
rimasero sospese fra il cielo e gli uomini.
«E adesso, Maestro», chiese Andrea, «quale sarà la nostra prima
battaglia?»
«Dio», rispose Gesù, «ha preso la terra di Nazareth per formare il mio
corpo. Il mio dovere, quindi, è di andare a combattere prima a Nazareth. È
laggiù che il mio corpo deve cominciare a diventare spirito.»
«Poi a Cafarnao», disse Giacomo, «per salvare i nostri parenti.»
«Poi a Magdala», propose Andrea, «per prendere la povera Maddalena
nell'Arca con noi.»
«Poi in tutto il mondo!» gridò Giovanni, stendendo le braccia verso
Oriente e verso Occidente.
Pietro li ascoltò e si mise a ridere.
«Io penso al nostro stomaco», disse. «Che cosa mangeremo nell'Arca?
Propongo di portare con noi solo degli animali commestibili. Che bisogno
abbiamo, chiedo io, di leoni o zanzare?»
Aveva fame e tutti i suoi pensieri erano rivolti al vettovagliamento; tutti
scoppiarono a ridere.
«Non pensi che a mangiare», gli disse brutalmente Giacomo. «Stiamo
parlando della salvezza del mondo.»
«Anche voi, tanti quanti siete», rispose Pietro, «è a questo che pensate,
ma non re convenite. Io dico ben chiaro tutto ciò .che mi passa per la testa,
buono o cattivo che sia; il mio spirito vola e io volo con lui; ecco perché le
cattive lingue mi chiamano>banderuola. Non ho ragione, Maestro?»
Il viso di Gesù si raddolcì, sorrise. Gli venne in mente un vecchio
aneddoto.
«C'era una volta un rabbino che voleva trovare qualcuno che sapesse
suonare la tromba alla perfezione, affinché i fedeli la udissero e venissero
alla sinagoga. Allora fece redigere un proclama: che si presentassero tutti i
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bravi suonatori di tromba, avrebbe fatto far loro una prova e avrebbe
assunto il migliore. Ne vennero cinque, i migliori. Ognuno prese la tromba
e suonò. Quando ebbero finito, il rabbino li prese uno per uno e domandò
loro: 'A che cosa pensi, figliolo, quando suoni la tromba?' Uno di essi,
rispose: 'Io penso a Dio'. Un altro: 'Io alla salvezza d'Israele* e un altro: 'Io
ai poveri che hanno fame...' 'Io alle vedove e agli orfani...' Uno solo, il più
disperato, restava in un angolino senza parlare. 'E tu, figliolo mio, a che
cosa pensi quando suoni la tromba?' gli chiese il rabbino. 'Vecchio', gli
rispose quello arrossendo, 'sono povero e ignorante, ho quattro figlie e non
posso dal loro una dote affinché si sposino come le altre ragazze, poverine;
allora, quando suono la tromba, penso: Mio Dio, vedi che lavoro e mi
affatico per te e Tu, da parte tua, mandami quattro fidanzati per le mie
figliole!' 'Ricevi la mia benedizione', disse il rabbino, 'scelgo te!'»
Gesù si girò verso Pietro e, ridendo, gli disse: «Ricevi la mia benedizio-
ne, Pietro, scelgo te. Pensi al cibo e parli di cibo; pensi a Dio e parli di
Dio, con franchezza e lealtà! Ecco perché ti chiamano banderuola e mulino
a vento. Ma io scelgo te: sei il mulino a vento e macinerai il grano che
diverrà pane da dar da mangiare agli uomini».
Avevano un pezzo di pane; Gesù lo prese e lo divise. A ognuno toccò un
solo boccone, ma il Maestro l'aveva benedetto e ne furono saziati. Quindi
si distesero appoggiandosi uno sull'altro e si addormentarono.
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La sera, al suo ritorno, Gesù, ripreso il suo posto sullo sgabello davanti
al focolare e fissato lo sguardo sul fuoco, sentì d'un tratto che Dio dentro di
lui diventava impaziente, non poteva più aspettare. L'angoscia, l'esaspera-
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zione s'impadronirono di lui, e anche la vergogna. Aveva parlato ancora
una volta, aveva agitato fiamme sopra la testa degli uomini e i pescatori e i
contadini, sprovveduti, s'erano spaventati per un momento, ma subito si
erano rassicurati: tutte quelle minacce erano apparse come una favola, e
qualcuno si era addormentato sull'erba tiepida, cullato dalla voce di lui.
Contemplava il fuoco, inquieto, senza parlare. Maddalena, in piedi in un
angolo, lo guardava e avrebbe voluto parlargli, ma non aveva il coraggio.
A volte le parole di una donna portano pace all'uomo, a volte lo irritano.
Maddalena lo sapeva e taceva.
Silenzio. La casa odorava di pesce e di rosmarino. La finestra sul cortile
era aperta, dovevano esserci non lontano dei nespoli in fiore, e il loro
profumo arrivava portato dalla brezza notturna, dolce e pungente.
Gesù si alzò e chiuse la finestra. Tutti quegli odori primaverili erano
l'alito della tentazione, non era quella l'aria che chiedeva la sua anima. Era
tempo di mettersi in cammino, di entrare nell'aria che gli si addiceva. Dio
urgeva.
La porta si aprì, entrò Guida. Volse d'attorno il suo sguardo azzurro e
vide il Maestro, gli occhi fissi sulla fiamma, la bella Maddalena, Zebedeo
che s'era addormentato e russava e, sotto la lampada, lo scribacchino che
sgorbiava e scarabocchiava la sua carta... Scosse la testa. Questa era dun-
que la loro grande spedizione? È così che si parte per conquistare il
mondo? Un illuminato, uno scriba, un ambulante, rimasti tutti a far niente
a Cafarnao? Si raggomitolò in un angolo. La vecchia Salomè aveva già
preparato la tavola.
«Non ho fame», brontolò, «ho sonno», e chiuse gli occhi per non vedere
più.
Gli altri si misero a tavola. Una falena entrò dalla porta, svolazzò attor-
no alla fiamma della lampada, andò per un attimo a volteggiare tra i capelli
di Gesù, poi si mise ;a curiosare per la casa.
«Un ospite in arrivo», disse la vecchia Salomè. «Sia il benvenuto.»
Gesù benedisse il pane, lo distribuì, cominciarono a mangiare. Nessuno
parlava; il vecchio Zebedeo non sopportava un silenzio così greve, sentiva
stringersi il cuore.
«Parlate, figli», disse, picchiando il pugno sulla tavola. «Che c'è? Ab-
biamo un morto in casa? Quando tre o quattro persone sedute assieme a
mangiare non parlano di Dio, è come se fosse un banchetto funebre, non
ve l'hanno mai detto? A me un giorno lo ha detto il vecchio rabbino di
Nazareth, il sant'uomo, e me ne ricordo ancora. Parla, dunque, figlio di
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Maria. Riporta Dio in casa mia. Perdonami, ti chiamo sempre figlio di
Maria perché non so ancora come chiamarti; chi ti chiama figlio del
falegname, chi figlio di Davide, figlio di Dio, Figlio dell'uomo, non sanno
più dove sono. A quanto pare il mondo non si è ancora deciso.»
«Vecchio Zebedeo», rispose Gesù, «sterminati eserciti d'angeli battono
le ali attorno al trono di Dio. Hanno voci d'oro, d'argento, di acqua chiara,
e lodano il Signore, ma da lontano; nessuno osa avvicinarsi troppo. Uno
solo osa.»
«Chi?» disse Zebedeo sgranando gli occhi rossi per il vino.
«L'angelo del silenzio», rispose Gesù e tacque di nuovo.
Il vecchio padrone di casa tossì, si riempi il bicchiere di vino e lo vuotò
d'un fiato.
«È uno che gela, quest'ospite», pensò. «È come stare a tavola con un
leone.» Ci rifletté; d'un tratto lo prese la paura e si alzò.
«Vado a trovare il vecchio Giona, a fare due chiacchiere con lui, tra
esseri umani», disse dirigendosi verso la porta. Ma in quel momento dei
passi leggeri risuonarono nel cortile.
«Ecco il visitatore», disse la vecchia Salomè alzandosi. Tutti si volsero
verso la porta; sulla soglia apparve il vecchio rabbino di Nazareth.
Era invecchiato, si era consumato. Non gli rimaneva che qualche osso
rivestito di pelle raggrinzita, quel tanto perché l'anima non se ne volasse
via. Negli ultimi tempi il rabbino non riusciva più a dormire; e se a volte,
all'alba, lo prendeva il sonno, faceva uno strano sogno, sempre lo stesso:
angeli e fiamme e Gerusalemme, come una belva ferita, arrampicata sul
monte di Sion, ululava. Giorni prima, all'alba, aveva fatto lo stesso sogno.
Non aveva resistito, era saltato giù dal letto, uscito di casa, raggiunto i
campi, attraversato la piana di Esdrelon; e il monte Carmelo, abitato da
Dio, s'era levato davanti a lui. Il profeta Elia certamente doveva essere
sulla cima, era lui che lo trascinava, che gli dava la forza di salire. Il sole
tramontò nel momento in cui il vecchio rabbino raggiunse la vetta del
monte. Sapeva che tre grandi pietre si levavano sulla sacra sommità: un
altare, e tutt'attorno giacevano ossa e corna delle vittime dei sacrifici... Ma
quando il vecchio rabbino si fu avvicinato ed ebbe alzato gli occhi, lanciò
un grido: non c'erano più pietre, ma tre uomini giganteschi, vestiti di un
bianco abbagliante come la neve, e il loro viso era di luce. Nel mezzo si
trovava Gesù, il figlio di Maria; alla sua sinistra il profeta Elia, che aveva
tra le mani dei carboni ardenti; alla destra Mosè, dalle corna ricurve, con
due tavole di pietra con su scolpiti i comandamenti in lettere di fuoco... Il
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rabbino era caduto in ginocchio, col viso a terra. «Adonai! Adonai!» mor-
morava tremando. Sapeva che Elia e Mosè non erano morti e che sareb-
bero riapparsi sulla terra nel giorno terribile, il giorno del Signore. Era un
segno che la fine del mondo era vicina. Erano apparsi, erano là, il rabbino
tremava. Aveva alzato gli occhi per vedere: nel crepuscolo brillavano,
illuminate dagli ultimi raggi del sole, le tre pietre gigantesche.
Dopo tanti anni il rabbino riaprì le Scritture, respirò l'odore di Jahvè,
imparò a scoprire, dietro le cose visibili e invisibili, il senso celato che da-
va loro Dio. E allora comprese. Aveva raccolto il suo bastone, dove aveva
la sua vecchia carcassa trovato tanta forza? Era partito in direzione di
Nazareth, Cana, Magdala, Cafarnao, cercando disperatamente il figlio di
Maria. Sapeva che era tornato dal deserto di Gerusalemme e ora seguiva le
sue tracce in Galilea e vedeva i pescatori e i contadini coltivare il mito del
nuovo Profeta - i miracoli che aveva fatto, le parole che aveva pronunciato,
su quale pietra era salito per parlare, e la pietra si era coperta di fiori...
Trovò un vecchio sulla sua strada e l'interrogò: l'altro levò le braccia al
cielo: «Ero cieco, egli ha toccato le mie palpebre e m'ha reso la vista. Mi
ha raccomandato di non dirlo a nessuno, ma io invece faccio il giro dei
villaggi e lo racconto». «E ora dov'è, vecchio, me lo puoi dire?» «L'ho
lasciato nella casa del vecchio Zebedeo, a Cafarnao. Se fai in fretta lo trovi
prima che se ne salga in cielo.»
Il rabbino s'era rimesso in cammino a grandi passi, la notte lo aveva
sorpreso, aveva trovato nel buio la casa del vecchio Zebedeo. Era entrato.
La vecchia Salomè s'era precipitata a dargli il benvenuto.
«Salomè», disse il rabbino varcando la soglia, «la pace sia sopra questa
casa; che i beni di Abramo e di Isacco tocchino ai suoi padroni!»
Si girò, vide Gesù e spalancò gli occhi!
«Tanti uccelli passano sulla mia testa e mi recano notizie di te», disse.
«Il cammino che hai iniziato è aspro e molto lungo, figlio mio. Che Dio sia
con te!»
«Amen!» rispose Gesù con voce grave.
Il vecchio Zebedeo posò la mano sul cuore per salutare il rabbino:
«Qual buon vento ti porta in casa nostra, vecchio?» Forse il rabbino non
sentì, e non rispose. Sedette accanto al fuoco, era stanco, infreddolito, affa-
mato, ma non voleva mangiare. Due o tre strade si aprivano davanti a lui e
non sapeva quale prendere... Perché era venuto? Per raccontare della sua
visione a Gesù? E se non veniva da Dio? Il vecchio rabbino sapeva bene
che la Tentazione può prendere il volto di Dio per sedurre gli uomini. Se
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avesse rivelato a Gesù quel che aveva visto, il demone della vanità poteva
impadronirsi della sua anima e allora sarebbe stato perduto, e per colpa del
rabbino. Bisognava seguirlo ovunque andasse senza rivelargli il segreto?
Ma era giusto che lui, il vecchio rabbino di Nazareth, seguisse il più auda-
ce dei rivoluzionari, che si vantava di portare una nuova Legge? Venendo
lì non aveva trovato Cana sottosopra a causa di una parola contraria alla
Legge da lui pronunciata? Era andato nel giorno sacro del Sabbath nei
campi e aveva visto un uomo che lavorava, scavava canali e innaffiava il
giardino. «Tu», gli aveva detto, «se ti rendi conto di quello che stai facen-
do, che la gioia sia su di te.» Sentendo ciò, il vecchio rabbino era rimasto
attonito; questo ribelle è pericoloso, pensò, stai attento, vecchio Simeone,
non andarti a dannare, alla tua età.
Gesù andò a sedersi accanto a lui. Giuda, sdraiato a terra, aveva chiuso
gli occhi, e Matteo aveva ripreso il suo posto sotto la lampada e aspettava,
il calamo in mano. Ma Gesù non parlava. Guardava il fuoco divorare la
legna e sentiva accanto a sé il vecchio rabbino ansimare come se fosse
ancora in marcia.
Nel frattempo, la vecchia Salomè preparava il letto al rabbino; era
vecchio, gli occorreva un letto morbido e un cuscino; mise anche accanto
al giaciglio una piccola brocca d'acqua nel caso gli venisse sete durante la
notte. Il vecchio Zebedeo, visto che il nuovo ospite non era venuto per lui,
prese il bastone e se ne andò a trovare il vecchio Giona, per respirare
un'aria umana; la sua casa si era riempita di leoni. Maddalena si ritirò con
Salomè nelle stanze del fondo, per lasciare soli Gesù e il rabbino; sentiva-
no che i due avevano cose importanti da dirsi.
Ma i due uomini non parlavano. Sapevano bene entrambi che le parole
non possono mai alleggerire il cuore dell'uomo e placarlo. Solo il silenzio
ha questo potere, e tacquero. Passarono le ore, Matteo si addormentò, con
la cannuccia in mano. Zebedeo, sazio di parole, tornò e si coricò di fianco
alla vecchia moglie. A mezzanotte, sazio di silenzio, il rabbino si alzò.
«Questa sera abbiamo detto molto, Gesù», mormorò. «Domani ripren-
deremo!» E si diresse verso il letto, con le ginocchia che gli dolevano.
Il sole si levò, salì nel cielo: era quasi mezzogiorno e il rabbino non
aveva ancora aperto gli occhi. Gesù era andato sulla riva del lago e parlava
con i pescatori; salì sulla barca di Giona per dargli un mano con la pesca.
Giuda vagava da solo come un cane da pastore.
La vecchia Salomè si chinò sul rabbino per vedere se respirava ancora;
respirava. «Sia lodato Iddio», mormorò, «è ancora vivo.» Stava per allon-
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tanarsi, ma il vecchio rabbino aprì gli occhi, la vide china su di lui, com-
prese e sorrise.
«Non posso ancora morire, Salomè», la rassicurò il rabbino. «Il Dio
d'Israele mi ha dato la sua parola: Tu non morirai, Simeone, prima di aver
visto il Messia!»
Ma aveva appena pronunciato queste parole che gli occhi gli si offu-
scarono: che l'avesse già visto, il Messia? Che fosse Gesù? La visione del
monte Carmelo era dunque una visione venuta da Dio? Ma allora era
giunta per lui l'ora di morire! Si sentì inondare da un sudore freddo. Non
sapeva se gioire o intonare un lamento. La sua anima gioiva; il Messia è
arrivato! Ma la sua vecchia carcassa non voleva morire... Si alzò, ansi-
mante, si trascinò fino alla soglia, sedette al sole e s'immerse nella medi-
tazione.
Verso sera Gesù rientrò, rotto dalla stanchezza. Tutto il giorno aveva
pescato con il vecchio Giona, la barca era stracarica di pesce; Giona, fuori
di sé, aveva aperto la bocca per parlare, poi ci aveva ripensato. Era entrato
fino alle ginocchia tra i pesci che guizzavano, guardava Gesù e rideva.
La stessa sera i discepoli tornarono dal loro giro nei villaggi vicini. Si
affollarono attorno a Gesù e si misero a raccontare tutto quello che aveva-
no visto e fatto; avevano proclamato ai contadini e ai pescatori che il gior-
no del Signore era vicino, facendo la voce grossa per spaventarli; quelli li
ascoltavano tranquilli, rappezzando le reti, curando l'orto, e di tanto in tan-
to scuotevano la testa: «Vedremo... Vedremo...» Poi cambiavano discorso.
Mentre parlavano, ecco che arrivarono i tre apostoli. Vedendoli, Giuda,
seduto in disparte, muto, non poté far a meno di ridere.
«Eccoli là, gli apostoli!» esclamò. «Ve le hanno date, eh, poveri disgra-
ziati!»
Effettivamente, l'occhio destro di Pietro era gonfio e lacrimava, il viso
di Giovanni era tutto graffiato e Giacomo zoppicava.
«Maestro», disse Pietro sospirando, «la parola di Dio attira guai, grossi
guai!»
Tutti risero, ma Gesù li guardò, assorto.
«Ci hanno suonato come tamburi», seguitò Pietro, che aveva fretta di
raccontare tutto. «All'inizio avevamo deciso di prendere ognuno una stra-
da. Ma poi ci siamo impauriti, da soli. Ci siamo riuniti e abbiamo comin-
ciato a predicare. Io mi arrampicavo su una pietra o su un albero nella
piazza del paese, battevo le mani o mi mettevo le dita in bocca e fischiavo,
la gente si radunava. Quando c'erano molte donne era Giovanni a prendere
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la parola, e per questo ha le guance piene di graffi; quando c'erano molti
uomini parlava Giacomo, con la sua voce sonora, e quando si arrochiva
continuavo io. Che cosa dicevamo? Quello che dici tu. Ma noi ci hanno
accolti a pomodori, ci hanno fischiato, perché, dicevano, portavamo la fine
del mondo, e ci sono saltati addosso, le donne con le unghie, gli uomini a
pugni, ed eccoci qua!»
Giuda scoppiò ancora a ridere, ma Gesù si girò, lo guardò severo e gli
chiuse quella bocca sfrontata.
«Sapevo», disse, «che vi mandavo come agnelli tra i lupi. Vi insul-
teranno, vi lapideranno, vi tratteranno da immorali perché fate la guerra
all'immoralità, vi calunnieranno dicendo che volete distruggere la fede, la
famiglia e la patria, perché la nostra fede è più pura, la nostra casa più
vasta e la nostra patria è il mondo intero! Stringetevi bene addosso le
vostre armature, compagni, dite addio al pane, alla gioia e alla tranquillità.
Partiamo per la guerra!»
Natamele si girò, guardò Filippo con ansia; ma l'altro gli fece un cenno,
come a dirgli: «Non aver paura, dice così, ma è per metterci alla prova...»
Il rabbino si era di nuovo steso sul letto, spossato dalla stanchezza, ma
manteneva sveglio lo spirito, vedeva e sentiva tutto. Aveva preso la sua de-
cisione, era tranquillo. Una voce si era levata dentro di lui - la sua? quella
di Dio? - e gli aveva ordinato: «Simeone, ovunque vada, seguilo!»
Pietro fece per aprire bocca, aveva altro da raccontare, ma Gesù tese la
mano.
«Basta!» disse.
Si alzò. Gerusalemme apparve davanti ai suoi occhi, selvaggia, coperta
di sangue, al culmine della disperazione: là dove ha inizio la speranza.
Cafarnao scomparve, con i candidi pescatori e i contadini, il lago di Gene-
zareth sprofondò nel fondo del suo cuore. La casa del vecchio Zebedeo si
ritrasse, le quattro mura gli si strinsero addosso, lo toccarono, si sentì sof-
focare. Andò verso la porta e l'aprì.
Che restava a fare lì, a mangiare e a bere, a farsi accendere il fuoco nel
camino, mettere il coperto in tavola mezzogiorno e sera e a perdersi in
fantasie? È così che salvava il mondo? Non si vergognava?
Uscì nel cortile. Un vento caldo agitava il fogliame degli alberi. Le
stelle intrecciavano ghirlande attorno al collo e alle braccia della notte. E
sotto i piedi, la terra brulicava, come se innumerevoli bocche la succhias-
sero.
Volse il capo a sud, verso la santa Gerusalemme. Pareva ascoltasse.
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Sembrava volesse distinguere nell'oscurità il suo volto duro, fatto tutto di
pietre del colore del sangue. E mentre il suo spirito seguiva ardentemente,
disperatamente, il corso del fiume, passava le montagne e le pianure e
stava per raggiungere la città santa, d'un tratto, fu come se vedesse muo-
versi (così gli parve) una grande ombra nel cortile, sotto il mandorlo coper-
to di gemme; e bruscamente vide levarsi nelle tenebre, più nera ancora
della notte, e per questo poté distinguerla, la sua gigantesca compagna di
strada. Sentì nettamente, nel silenzio della notte, il suo profondo respiro.
Non ebbe paura, da tanto ormai s'era abituato alla sua presenza; attese. E,
lenta, imperiosa, udì sotto il mandorlo una voce tranquilla:
«Partiamo!»
Sulla soglia era apparso, inquieto, Giovanni. Gli pareva di aver sentito
una voce nella notte.
«Maestro», mormorò, «con chi stai parlando?»
Ma Gesù già rientrava in casa. Prese da un angolo il suo bastone da
pastore.
«Compagni», disse, «partiamo!» Si diresse verso la porta, senza
neppure girarsi per vedere se qualcuno lo seguiva.
Il vecchio rabbino saltò in piedi dal suo letto, si cinse e prese il suo
bastone.
«Vengo con te, figlio mio», disse, e raggiunse per primo la porta.
La vecchia Salomè, che filava, si alzò, depose la conocchia su una cassa
e disse:
«Vengo anch'io. Zebedeo, ti lascio le chiavi, addio!»
Si sciolse le chiavi dalla cintura e le porse al marito. Si legò stretto il
fazzoletto sotto il mento, percorse la casa con lo sguardo, scosse la testa e
le disse addio. D'un tratto il suo cuore aveva di nuovo vent'anni.
Maddalena, in silenzio, felice, si alzò.
I discepoli si levarono, si guardarono l'un l'altro, agitati.
«Dove andiamo?» domandò Tommaso appendendosi la tromba alla
cintola.
«A quest'ora? Perché questa fretta? Non si poteva aspettare domani?»
disse Nataniele, e guardò Filippo contrariato.
Ma Gesù aveva già attraversato il cortile a grandi passi e si dirigeva a
sud.
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26
Asciutto, rasato, la fronte stretta, gli occhi grigi e duri, le labbra sottili,
come una ferita, Pilato alzò la testa e guardò Gesù che s'era fermato davan-
ti a lui. Era seduto su un alto trono, decorato di aquile rozzamente scolpite
e leggeva.
«Sei tu, Gesù di Nazareth, re dei Giudei?» sibilò beffardo. Poi si mise il
fazzoletto profumato sotto le narici.
«Non sono re», rispose Gesù.
«Come? Non sei il Messia? Non è il Messia quello che i tuoi compa-
trioti, la razza eletta, attendono da tante generazioni perché li liberi e segga
sul trono di Israele? E perché cacci noi Romani? E allora perché dici: non
sono re?»
«Il mio regno non è sulla terra.»
«E dov'è allora? Sull'acqua? In aria?» rise Pilato,
«Nel cielo», rispose pacatamente Gesù.
«Perfetto», disse Pilato, «il cielo te lo regalo. Ma non toccare la terra!»
Si tolse dal dito il pesante anello, lo levò in alto alla luce e guardò la
pietra rossa, su cui era incisa una testa di morto contornata dall'iscrizione:
Mangia, bevi, godi, ecco che cosa sarai domani.
«Gli Ebrei mi fanno schifo», disse, «non si lavano e hanno un Dio fatto
a loro immagine: sporco, con i capelli lunghi, avido, fanfarone e vendicati-
vo come un cammello.»
«Sappi che quel Dio ha già alzato il suo pugno sopra Roma», disse
ancora tranquillamente Gesù.
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«Roma è immortale», rispose Pilato, poi sbadigliò.
«Roma è la statua della visione del profeta Daniele?»
«La statua? Che statua? Quello che desiderate da svegli, voi Ebrei, poi
lo vedete in sogno. Vivete e morite con le visioni.»
«È in questo modo, con delle visioni, che l'uomo parte in guerra. E a
poco a poco l'ombra prende corpo e si fa solida, lo spirito si riveste di
carne e scende sulla terra. Il profeta Daniele ha avuto la sua visione, e
poiché l'ha avuta, essa prenderà un corpo di carne, scenderà sulla terra e
distruggerà Roma.»
«Ammiro, Gesù di Nazareth, la tua audacia o la tua idiozia. A quanto
pare non hai paura di morire, è per questo che parli con tanta libertà. Mi
piaci. Raccontami la visione di Daniele.»
«Daniele il profeta ha visto una notte una statua immensa. La sua testa
era d'oro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, i
polpacci di ferro, ma i piedi d'argilla. A un tratto, lanciato da una mano
invisibile, un sasso è andato a colpire i piedi d'argilla e li ha sbriciolati. In
sol colpo tutt'intera la statua - l'oro, l'argento, il bronzo, il ferro - è crollata
a terra... La mano invisibile, Ponzio Pilato, è il Dio d'Israele, io sono il
sasso, e la statua è Roma.»
Pilato sbadigliò di nuovo.
«Ho capito», disse annoiato, «capisco il tuo gioco, Gesù di Nazareth, re
dei Giudei! Tu insulti Roma per provocare la mia collera, per farti croci-
figgere e diventare anche tu un eroe. Hai preparato tutto molto abilmente.
So che hai già cominciato a risuscitare i morti, ti prepari la strada. E così i
discepoli proclameranno poi che non sei morto, che sei risorto e sei salito
al cielo... Ma arrivi tardi, caro il mio furbo. Il trucco è scoperto, trovane un
altro. Non ho intenzione di ucciderti, non ho intenzione di fare di te un
eroe, non diverrai Dio come gli altri, togliti quest'idea dalla testa.»
Gesù rimase in silenzio. Dalla finestra vedeva scintillare al sole, im-
menso, il Tempio di Jahvé, simile a una belva invisibile, mangiatrice d'uo-
mini, e accorrere da ogni luogo, come greggi multiformi, per precipitarsi
nella gola nera e spalancata, gli uomini. Pilato giocherellava con la cate-
nina d'oro e taceva. Gli ripugnava domandare un
381 favore a un Ebreo, ma l'aveva promesso alla moglie, doveva farlo.
«È tutto?» disse Gesù, e si girò verso la porta. Pilato si alzò.
«Non andartene», disse..«Devo dirti una cosa, è per questo che t'ho fatto
chiamare. La mia donna dice che ti vede tutte le notti in sogno, non appena
chiude le palpebre tu appari. Dice che tu ti lagni con lei che cercano di
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ucciderti e che tutte le sere la supplichi di parlarmi perché
10 impedisca ai tuoi compatrioti, Anna e Caifa, di metterti a morte. Ieri
sera mia moglie ha levato un grido, si è svegliata di soprassalto e si è
sciolta in lacrime. Ha pietà di te, dice, non so bene perché, non
m'immischio nelle balordaggini delle donne. Mi si è buttata ai piedi, mi ha
supplicato di mandarti a chiamare e di dirti di andar via se vuoi salvarti.
Gesù di Nazareth, l'aria di Gerusalemme non è troppo salubre per te: torna
in Galilea!»
«La vita è una guerra!» rispose Gesù con la stessa voce calma e decisa.
«È una guerra e tu lo sai, perché sei soldato e sei Romano. Ma quello che
non sai è questo: Dio è il comandante e noi siamo i soldati. Nell'istante in
cui l'uomo viene al mondo, Dio gli mostra la terra, e sulla terra una città,
un villaggio, una montagna, il mare, o anche il deserto, e gli dice: 'È qui
che combatterai!' Governatore di Giudea, una notte Dio mi ha afferrato per
i capelli, mi ha sollevato da terra e mi ha portato a Gerusalemme; mi ha
deposto davanti al Tempio e mi ha detto: «È qui che combatterai!' Non
posso disertare, Governatore di Giudea, ed è qui che combatterò!»
Pilato si strinse nelle spalle. Si era già pentito di aver chiesto quel favo-
re e di aver rivelato a un Ebreo un suo segreto familiare. Fece il gesto, che
gli era abituale, di lavarsi le mani.
«Fai pure di testa tua, io me ne lavo le mani. Vattene!»
Gesù alzò la mano e salutò. Nel momento in cui varcò la soglia, Pilato
gli gridò beffardo: «Ehi, Messia, qual è questa terribile novella che, a
quanto dicono, porti al mondo?»
«Il Fuoco», rispose Gesù con la calma di sempre. «Il Fuoco che ripulirà
la terra.»
«Dai Romani?»
«No, dagli empi. Dagli iniqui, dagli infami, dai sazi.»
«E poi?»
«Poi, sulla terra bruciata, purificata, si edificherà la nuova Gerusa-
lemme.»
«E chi la costruirà questa Nuova Gerusalemme?»
«Io.»
Pilato scoppiò a ridere.
«Avevo ragione», disse, «di dire a mia moglie: sei completamente paz-
za. Vieni a trovarmi qualche volta, mi farà passare il tempo. Adesso Vatte-
ne, ti ho visto abbastanza.»
Batté le mani, i due giganti neri entrarono e misero Gesù alla porta.
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Giuda, agitato, aspettava davanti alla torre. Un verme misterioso rodeva
in quegli ultimi tempi il Maestro. Il suo viso era ogni giorno più segnato,
più selvaggio, le sue parole più tristi e minacciose; spesso saliva da solo,
rimanendoci per delle ore, su un colle alle porte di Gerusalemme, il
Golgota, dove i Romani crocifiggevano i ribelli. E più vedeva attorno a sé
sacerdoti e grandi sacerdoti scatenarsi e tendergli trappole, più li attaccava
e li chiamava «vipere velenose, bugiardi, ipocriti, che tremate dalla paura
di ingoiare una zanzara e che ingoiate un cammello». Tutto il giorno, tutti i
giorni, si metteva davanti al Tempio e lanciava parole violente, come se
volesse morire. Poco prima, quando Giuda gli aveva chiesto quando final-
mente avrebbe gettato dalle spalle la pelle dell'agnello per far apparire il
leone in tutta la sua gloria, Gesù aveva scosso la testa e mai Giuda aveva
visto un sorriso più amaro su labbra d'uomo. Da allora non lo lasciava più;
e quando lo vedeva salire sul Golgota, lo seguiva di nascosto, per paura
che un nemico celato potesse levare la mano su di lui.
Ora Giuda camminava avanti e indietro sulla strada, davanti alla torre
maledetta, e guardava furtivamente le guardie romane, immobili, con l'ar-
matura in bronzo, le Facce gravi di contadini, e dietro di loro, svettante in
cima a lunghe aste, lo stendardo empio con le sue aquile. Che cosa poteva
volere Pilato, si chiedeva, perché l'aveva chiamato? Giuda sapeva, lo
aveva saputo dagli Zeloti di Gerusalemme, che Anna e Caifa venivano
continuamente in quella torre ad accusare Gesù di fomentare la rivolta per
scacciare i Romani e farsi re. Ma Pilato si rifiutava di ascoltarli. Diceva: è
matto da legare, non si immischia negli affari dei Romani; un giorno ho
mandato apposta qualcuno per chiedergli: «Il Dio d'Israele vuole che pa-
ghiamo le imposte ai Romani? Che ne pensi?» E Gesù, molto giustamente,
molto intelligentemente, ha risposto: «Date a Cesare quel che è di Cesare e
a Dio quel che è di Dio!» Pilato aveva riso; non è diabolicamente folle,
aveva detto, è folle di Dio. Se trasgredisce la vostra religione, punitelo, io
me ne lavo le mani; ma lui Roma non la tocca. Questo gli ha detto, e li ha
mandati via. Ma che adesso abbia cambiato idea?
Giuda si fermò, si appoggiò contro il muro di fronte; stringeva e apriva i
pugni, teso.
D'un tratto sussultò. S'era sentito uno squillo di tromba, la folla s'era
aperta; quattro Leviti arrivarono e deposero cautamente davanti alla porta
della torre una portantina dorata. Le cortine di seta si scostarono e si vide
scendere lentamente, grasso, bianco, con le borse sotto gli occhi, vestito di
una tunica gialla, Caifa. I due pesanti battenti della porta si aprirono. Nello
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stesso istante Gesù ne uscì; i due uomini si incrociarono sulla soglia, faccia
a faccia, Gesù, scalzo, col suo abito bianco tutto rattoppato, si fermò e
guardò dritto negli occhi, immobile, il sommo sacerdote. Questi sollevò le
palpebre pesanti, lo riconobbe e lo scrutò rapidamente dalla testa ai piedi.
«Che cerchi qui, ribelle?»
Gesù, immobile, gli tenne inchiodati addosso gli occhi grandi, severi e
tristi.
«Non ti temo, sommo sacerdote di Satana», rispose.
«Buttatelo fuori», gridò Caifa ai quattro portantini, e avanzò nel cortile
con il suo corpo obeso e le gambe storte.
I quattro Leviti si precipitarono per afferrare Gesù, ma Giuda scattò.
«Giù le zampe!» ruggì. Li respinse, prese Gesù per uh braccio.
«Andiamo via», disse.
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Fin dall'alba, per tutto il giorno, ma più ancora la notte, quando nessuno
la vedeva, la primavera scostava delicatamente la terra e le pietre e saliva
dal suolo di Israele. In una notte le pianure di Saron in Samaria e di
Esdrelon in Galilea si coprirono di margherite gialle e di gigli selvatici. E
tra le pietre severe della Giudea spuntarono, come grosse gocce di sangue,
gli effimeri anemoni rossi. Le vigne si coprirono di grossi germogli, e in
ogni germoglio verde dalla punta scarlatta si raccolsero, pronti a lanciarsi
nella luce, i chicchi verdi, i grappoli e il vino nuovo; e ancora più nel pro-
fondo, nel cuore di ogni germoglio, le canzoni degli uomini. A fianco di
ogni fogliolina stava un angelo custode che l'aiutava a spuntare. Sembra-
vano tornare i primi giorni della creazione, quando ogni parola di Dio che
cadeva sulle terre da poco nate era gravida di alberi, di fiori selvatici e di
vegetazione.
Al pozzo di Giacobbe, ai piedi della montagna sacra, il Garizim, la sa-
maritana riempiva di nuovo quel giorno la sua brocca e guardava in lon-
tananza verso la strada di Galilea, come aspettando sempre di veder ap-
parire il giovane pallido che un giorno le aveva parlato dell'acqua im-
mortale. Ora, in primavera, la vedova libertina aveva scoperto ancora di
più i suoi seni velati di sudore.
In quella notte primaverile l'anima immortale d'Israele si trasformava, si
faceva rondine, veniva a posarsi sulla finestra aperta di ogni ragazza ebrea
e cantava fino all'alba impedendole di dormire. «Perché dormi sola?» la
rimproverava cantando. «Perché credi che ti abbia dato i tuoi lunghi capel-
li, i seni e le anche ampie e arrotondate? Alzati, mettiti i tuoi gioielli, affac-
ciati alla finestra, resta di buon mattino sulla soglia di casa, prendi la
brocca e va' al pozzo; strizza l'occhio ai giovanotti ebrei che incontrerai
sulla via, dammi dei bambini. Noi abbiamo, noialtri Ebrei, tanti nemici, ma
finché le mie figlie avranno dei figli, io sarò immortale. Sulla terra
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d'Israele detesto i campi che non si coltivano, gli alberi da cui non si
coglie, e le vergini.»
E sull'Ebron abitato da Dio, nel deserto di Idumea, attorno alla sacra
tomba di Abramo, i giovani Ebrei, svegli alle prime ore del giorno, gioca-
vano al Messia. S'erano fatti degli archi di giunco, lanciavano frecce di
canna verso il cielo e chiedevano a gran voce che scendesse finalmente,
con una lunga spada e un elmo d'oro, il re d'Israele, il Messia. Avevano
steso sulla sacra tomba una pelle di pecora, per fargli un trono. Gli aveva-
no anche composto una canzone e battevano le mani per invitarlo a com-
parire. E improvvisamente, dietro il sepolcro, risuonarono tamburi e grida
di gioia, e lo si vide apparire, pavoneggiandosi, il viso impiastricciato e
terribile, con barba e baffi finti, ruggente, il Messia. Aveva una lunga spa-
da, fatta di un ramo di palma, colpiva sulla spalla tutti i ragazzi in fila, e
quelli cadevano tutti, sgozzati.
All'alba, a Betania, nella casa di Lazzaro, Gesù non aveva ancora chiuso
occhio. La sua angoscia era durata troppo, non vedeva più nessuna strada
aprirglisi davanti; nessuna fuorché la morte. È di me che parlano le pro-
fezie, pensava, son io l'agnello che doveva caricarsi di tutti i peccati del
mondo ed essere sgozzato alla prossima Pasqua. Che sia dunque sgozzato
un po' prima; la carne è debole, non mi fido di lei, può cedere all'ultimo
momento. Adesso la mia anima la sento ancora ferma, che venga pure la
morte... Ah, che sorga il giorno, perché io vada al Tempio, che finisca
oggi!
S'era deciso, il suo spirito trovò un po' di pace. Chiuse gli occhi, si ad-
dormentò e fece un sogno. Il cielo era un giardino cintato di inferriate e
pieno di bestie feroci. Lui stesso era una belva e giocava con le altre. E
mentre giocava, saltò oltre la cancellata e cadde sulla terra. Vedendolo, gli
uomini furono presi dal terrore, le donne si misero a urlare e andarono a
cercare i figli in strada, perché non fossero divorati dalla belva. Gli uomini
si armarono di lance, di pietre, di spade, e presero a dargli la caccia... il
sangue scorreva da tutto il suo corpo e di colpo cadde a terra. Allora si riu-
nirono dei giudici attorno a lui per giudicarlo; ma non erano uomini, erano
volpi, cani, porci e lupi. Lo giudicarono e lo condannarono a morte. Ma
mentre lo conducevano al supplizio, si ricordò che non poteva morire, che
era una belva del cielo, immortale; se n'era appena ricordato che una donna
lo prese per mano, gli parve che fosse Maria Maddalena, e lo fece uscire
dalla città, per i campi. Non andare in cielo, gli diceva, la primavera è ri-
tornata, resta con noi... Camminarono a lungo, arrivarono al confine con la
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Samaria e comparve la samaritana, la brocca sulla spalla. Gli diede da
bere, poi lo prese anche lei per mano e lo condusse alla frontiera della
Galilea. Allora, sotto i vecchi olivi, comparve sua madre; portava un faz-
zoletto nero sulla testa e piangeva. Vide il sangue di cui era coperto, le
ferite e la corona di spine sulla testa. Alzò le braccia al cielo: «Come hai
spezzato me», gli disse, «sarai spezzato da Dio. Hai messo il mio nome
sulla bocca degli uomini, la gente parla. Ti sei ribellato contro la Patria, la
Legge, il Dio d'Israele. Non hai temuto Dio, non hai avuto vergogna da-
vanti agli uomini. Non hai pensato a tua madre né a tuo padre, ti male-
dico!» E scomparve.
Gesù si svegliò di soprassalto, madido di sudore. Attorno a lui i disce-
poli, addormentati, russavano. Nel cortile il gallo cantò; Pietro lo sentì,
socchiuse gli occhi e vide Gesù già alzato.
«Maestro», disse, «mentre il gallo cantava ho fatto un sogno. Mi pareva
che tu avessi preso due pezzi di legno a forma di croce e che nelle tue mani
fossero diventati una viola e un archetto; tu cantavi e suonavi e le belve si
erano raccolte, venute dai quattro angoli della terra per ascoltarti... Che
vuol dire? Lo chiederò al vecchio rabbino.»
«Il sogno non finisce qui, Pietro», rispose Gesù, «Perché ti sei svegliato
così presto? Il sogno va oltre.»
«Oltre? Non capisco. Forse tu l'hai visto tutto intero, Maestro?»
«Le belve, dopo aver sentito la canzone, si sono precipitate a divorare il
cantore.» Pietro sbarrò gli occhi. Il suo cuore ebbe un presentimento, ma lo
spirito rimase inerte.
«Non capisco», disse.
«Comprenderai un'altra mattina», gli rispose Gesù, «quando sentirai di
nuovo cantare il gallo.»
Toccò con il piede, uno per uno, tutti i compagni.
«Sveglia, dormiglioni», disse, «abbiamo tanto da fare oggi.»
«Partiamo?» disse Filippo stropicciandosi gli occhi. «Io sono del parere
di tornare in Galilea, al sicuro.»
Giuda aprì la bocca ma rimase in silenzio.
Le donne si svegliarono nelle camere di fondo, le si sentiva chiacchie-
rare. La vecchia Salomè uscì ad accendere il fuoco, i discepoli si erano già
riuniti in cortile in attesa di Gesù che, chino, parlava a bassa voce col vec-
chio rabbino, gravemente ammalato e coricato in fondo alla stanza.
«Dove vai adesso, figlio mio?» gli chiese il vecchio. «Per quale guerra
stai partendo? Ancora a Gerusalemme? Vuoi ancora alzare la mano per di-
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struggere il Tempio? Perché tu lo sappia, le parole diventano atti quando
escono da una grande anima. La tua anima è grande e tu porti la respon-
sabilità di tutto quello che dici. Se dici: il Tempio sarà distrutto, un giorno
lo sarà; misura le parole!»
«Misuro le parole, vecchio. Il mondo è tutto presente al mio spirito
quando parlo, io scelgo chi resta e chi sparisce. Me lo accollo io.»
«Ah, se potessi rimanere in vita per vedere chi sei! Ma sono vecchio. Il
mondo è diventato un fantasma, si aggira attorno alla mia testa, vorrebbe
entrare; ma tutte le porte sono chiuse.»
«Reggi ancora qualche giorno, vecchio, fino alla Pasqua. Reggi la tua
anima con tutte le forze e vedrai. Non è ancora il momento.»
Il rabbino scosse la testa.
«Quando verrà il momento», mormorò come in pianto. «Dunque Dio mi
ha ingannato? Che ne ha fatto della parola che mi ha dato? Io muoio,
muoio, e il Messia dov'è?» Il vecchio rabbino si era afferrato alle spalle di
Gesù con tutta la forza che gli rimaneva.
«Reggi ancora fino alla Pasqua, vecchio, Vedrai. Dio mantiene sempre
la parola!» Si liberò dalla presa del rabbino e uscì nel cortile.
«Natamele», disse, «e tu, Filippo, andate in fondo al villaggio, nell'ulti-
ma casa, troverete legata al batacchio della porta un'asina col suo puledro.
Scioglietela e portatela qui; e se vi chiedono: dove la portate? rispondete: il
Rabbi ne ha bisogno, la riporteremo.»
«Ho idea che ci metteremo nei guai», mormorò Natamele all'amico.
«Andiamo», disse Filippo, «fai quello che ti dice, e pazienza per quello
che accadrà!»
Matteo di buon mattino aveva messo mano al suo calamo e aveva
aperto tanto d'occhi e d'orecchie.
«Dio d'Israele», pensava, «come tutto succede come i profeti, per illu-
minazione divina, hanno previsto. Che dice Zaccaria? 'Rallegrati e sii feli-
ce, figlia di Sion. Lancia un grido di gioia, figlia di Gerusalemme. Guarda,
il tuo re ti viene incontro, in groppa a un asino, umile benché sia il
vincitore!'»
«Maestro», disse Matteo per metterlo alla prova, «sei dunque stanco?
Non puoi andare a piedi a Gerusalemme?»
«No», rispose Gesù, «perché me lo chiedi? Sento di aver voglia di
andarci su una cavalcatura.»
«Dovresti andarci su un cavallo bianco», fece Pietro. «Non sei tu il re
d'Israele? In groppa a un cavallo bianco, dovresti entrare nella tua
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capitale.»
Gesù lanciò una fugace occhiata a Giuda e non rispose.
Maddalena era comparsa; si fermò sulla porta. Non aveva dormito tutta
la notte e i suoi grandi occhi erano stanchi. Si appoggiò alla cornice della
porta e si mise a guardare Gesù. Il suo sguardo era profondo, sconsolato,
come per dirgli addio. Avrebbe voluto gridargli: «Non partire!» ma sentiva
la gola serrata. Matteo vide le sue labbra muoversi senza che ne uscisse
parola e comprese: «I profeti non le permettono di parlare», pensò, «non le
permettono di impedire al Maestro di compiere ciò che essi hanno profe-
tizzato. Salirà sull'asina e andrà a Gerusalemme; che Maddalena lo voglia
o meno, che il Maestro stesso lo voglia o meno. È scritto».
In quel momento arrivarono, festanti, Filippo e Natamele, tirandosi die-
tro, con una corda, la madre e l'asinello senza sella.
«È stato esattamente come avevi detto tu, Maestro», disse Filippo.
«Monta in sella e incamminiamoci.»
Gesù si girò. Le donne erano in piedi, le braccia conserte, tristi ma si-
lenziose, e guardavano: la vecchia Salomè e le due sorelle, e davanti a loro
Maddalena.
«Marta», chiese Gesù, «c'è un nerbo di bue in casa?»
«No, maestro», rispose Marta. «C'è solo il pungolo di nostro fratello.»
«Dammelo.»
I discepoli avevano deposto i loro abiti sulla groppa del docile animale,
così che il Maestro avesse un sedile morbido; Marta vi gettò sopra una co-
perta rossa che aveva tessuto e decorata agli orli con piccoli cipressi neri.
«Siete tutti pronti?» chiese Gesù. «Sicuri?»
«Sicuri», rispose Pietro. Si mise alla testa, prese la briglia della bestia e
la guidò.
Gli abitanti dí Betania sentendo il corteo che passava aprivano le porte.
«Dove andate, figlioli? Perché il profeta è a cavallo oggi?»
I discepoli si chinavano e confidavano il segreto: «Oggi va a insediarsi
sul suo trono».
«Ma che trono?»
«Taci, è un segreto. Quest'uomo che vedete è il re d'Israele.»
«Che cosa dite!» gridavano le comari. «Andiamo con lui!» e la folla
s'ingrossava sempre più.
I bambini tagliavano dei rami di alloro, passavano in testa e cantavano
felici: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!» Gli uomini si
toglievano i mantelli e ne tappezzavano la via perché ci passasse sopra.
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Come correvano! Che primavera, come erano vivaci quest'anno i fiori, co-
me si precipitavano anche loro, al seguito del corteo, verso Gerusalemme!
Giacomo si chinò all'orecchio del fratello.
«Nostra madre gli ha parlato ieri, gli ha detto di metterci a destra e a
sinistra di lui ora che salirà sul suo trono di gloria. Ma lui non ha risposto.
Forse s'è arrabbiato. Ha fatto, pare, il viso scuro.»
«Sicuramente si è arrabbiato», rispose Giovanni. «Non era il caso di
parlargliene.»
«Come sarebbe? Dobbiamo farci mettere da parte, lasciare che dia la
preferenza, che so, a Giuda Iscariota? Hai visto in questi ultimi giorni co-
me si parlano in segreto, come sono inseparabili? Apri l'occhio, Giovanni,
vacci a parlare anche tu, che nessuno ci danneggi. È vicino il momento di
spartirci gli onori.»
Ma Giovanni scosse la testa.
«Fratello», disse, «guarda com'è triste. Sembra che stia andando a
morire.»
«Vorrei sapere», pensava Matteo camminando da solo dietro agli altri,
«che cosa succederà adesso. I profeti non sono chiari. Alcuni parlano di
trono, altri di morte. Quale delle due profezie si avvererà? Una profezia si
può spiegare solo dopo che l'evento si è verificato. Soltanto allora com-
prendiamo quello che voleva dire il profeta. Pazienza, dunque, vediamo
che succede, e stasera rincasando scriverò, non voglio correre il rischio di
sbagliarmi.»
Nel frattempo la buona novella aveva raggiunto i villaggi vicini e le
capanne sparse tra gli oliveti e nelle vigne. I contadini accorrevano da ogni
dove, posando il mantello a terra, e le contadine il fazzoletto, perché il
profeta ci passasse sopra... C'era una moltitudine di storpi, di ammalati, di
pezzenti. Ogni tanto Gesù girava la testa e guardava dietro di sé il suo
esercito. A un tratto avvertì una grande solitudine. Si girò ancora e gridò:
«Giuda!» ma il discepolo dal cuore duro camminava in coda, non lo
sentì.
«Giuda!» gridò ancora Gesù, disperato.
«Eccomi», rispose il Rosso, e scansò i discepoli per passare.
«Che cosa vuoi, Maestro?»
«Resta accanto a me. Giuda, tienimi compagnia.» «Non preoccuparti,
non ti lascio, Maestro!» Prese la corda dalle mani di Pietro e si mise a
condurre lui. «Non lasciarmi solo, Giuda, fratello», ripeté Gesù. «Perché
dovrei lasciarti, Maestro? Non siamo d'accordo?»
346
Finalmente arrivarono presso Gerusalemme, La città santa si levò
davanti a loro, sul monte di Sion, tutta bianca sotto il sole impietoso.
Passavano in un piccolo villaggio quando sentirono, da una parte all'altra
delle case, dei lamenti calmi, dolci, come la calda pioggia di primavera.
«Chi piangono? Chi è morto?» domandò Gesù rabbrividendo. Ma i con-
tadini che correvano dietro di loro risero.
«Non preoccuparti, Maestro, non è morto nessuno. Sono le ragazze del
villaggio che lavorano al mulino e cantano le lamentazioni.»
«Ma perché?»
«Per esercizio, Maestro. Per sapersi lamentare al momento opportuno.»
Superarono la salita pietrosa e ingrata ed entrarono nella città mangia-
trice d'uomini. Greggi tumultuose, variopinte, provenienti da tutti i ghetti
del mondo, ciascuna recante i profumi e i fetori del suo paese, si mescola-
vano; era l'antivigilia della festa immortale, tutti gli Ebrei erano fratelli.
Vedevano Gesù in groppa all'umile asinello, seguito da una turba che
recava rami di alloro, e ridevano:
«E chi è quello?»
I malati, gli storpi, i mendicanti, levavano il pungo minacciosi:
«Vedrete. E Gesù di Nazareth, re dei Giudei».
Gesù smontò, si affrettò a salire, a due alla volta, gli scalini del Tempio.
Raggiunse il portico di Salomone e si fermò. Si guardò attorno; avevano
drizzato dei banchi, una fitta folla di gente che vendeva la loro mercanzia,
mercanti, cambiavalute, osti, prostitute. Il fiele montò agli occhi di Gesù,
un sacro furore s'impadronì di lui. Alzò il bastone, prese d'infilata i betto-
lieri, i banchi, le botteghe; rovesciò i tavoli, colpì i mercanti e avanzò:
«Fuori di qui! Fuori di qui! Fuori di qui!» agitava il pungolo e gridava.
Dentro di lui sentiva crescere una preghiera appena mormorata, amaris-
sima: «Signore, Signore, che accada quello che hai deciso, ma presto. Non
ti chiedo altra grazia; presto, finché sono ancora in grado di sopportarlo».
La folla si precipitava dietro di lui, gridava anche lei, scalmanata:
«Fuori di qui! Fuori di qui!» e rovesciava i banchi. Al portico reale, sopra
la valle del Cedron, Gesù si fermò: da tutto il corpo si levava un fumo, i
lunghi capelli corvini gli si agitavano sulle spalle, gli occhi lanciavano
fiamme.
«Sono venuto per dare fuoco al mondo!» gridò. «Giovanni, nel deserto,
proclamava: Pentitevi! Pentitevi! Il giorno del Signore è vicino! E io vi
dico: Non c'è più tempo di pentirsi, ci siamo, ci siamo, sono io il giorno del
Signore. Giovanni nel deserto battezzava con l'acqua, io battezzo col fuo-
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co. Io battezzo gli uomini, le montagne, le città, i vascelli, vedo già il fuo-
co far presa ai quattro angoli della terra, ai quattro angoli dell'anima, e mi
rallegro. arrivato il giorno del Signore, il mio giorno!»
«Fuoco! Fuoco!» gridava la folla. «Appicchiamo il fuoco, incendiamo il
mondo!»
I Leviti presero le lance e le spade, Giacomo, il fratello di Gesù, si mise
alla loro testa con le sue medaglie appese al collo, incitando gli uomini.
Ma il popolo si scatenò, i discepoli presero coraggio e cominciarono a
spingere anche loro, tutti assieme, ruggendo. In alto, sulla torre del Palaz-
zo, le sentinelle romane li guardavano e ridevano.
Pietro prese da una baracca una torcia accesa.
«Diamogli addosso, fratelli, l'ora è arrivata!»
Allora molto sangue sarebbe scorso nelle corti del palazzo di Dio se le
trombe dei Romani, minacciose, non avessero risuonato dall'alto della
torre di Pilato. Il sommo sacerdote Caifa uscì dal Tempio e ordinò ai Leviti
di abbassare le armi. Aveva lui stesso, con grande abilità, teso la trappola
al ribelle, che vi sarebbe caduto sicuramente e senza chiasso.
I discepoli avevano circondato Gesù e lo guardavano con ansia.
Avrebbe dato il segnale? Che aspettava? Fino a quando avrebbe atteso?
Perché tardava, perché invece di alzare la mano e fare un segno al cielo,
guardava la terra ai suoi piedi? Lui forse non aveva fretta, ma loro erano
poveri, avevano sacrificato tutto, era venuta l'ora di riscuotere la
ricompensa per le loro pene.
«Maestro», disse Pietro sovreccitato, «deciditi, dai il segnale!»
Gesù, immobile, aveva chiuso gli occhi; il sudore gli imperlava la
fronte. «Il tuo giorno si avvicina, Signore, la fine del mondo è arrivata.
Sono io che l'arrecherò, lo so, sono io, ma con la mia morte...» ripeteva
dentro di sé; prendeva coraggio.
Giacomo si avvicinò a sua volta. Gli toccò la spalla per fargli aprire gli
occhi, lo scosse.
«Se non dai subito il segnale», disse, «siamo perduti. Quel che hai fatto
oggi significa morte.»
«Significa morte», aggiunse Tommaso, «e noi non vogliamo morire,
sappilo.»
«Morire!» gridarono Filippo e Nataniele. «Ma noi, sia mo venuti qui
per essere re!»
Giovanni appoggiò la testa al petto di Gesù. «Maestro», disse, «a che
cosa pensi?»
348
Ma Gesù lo respinse.
«Giuda, vieni vicino a me», disse, e si appoggiò al suo solido braccio.
«Coraggio, Maestro», gli mormorò il Rosso. «L'ora è giunta, non
copriamoci dí vergogna.»
Giacomo guardò Giuda con odio. Prima il Maestro non gli concedeva
neanche uno sguardo, e ora che cos'erano quei segni di amicizia, quei
conciliaboli segreti? Complottavano qualcosa tutti e due... «Che ne dici,
Matteo?»
«Io non dico niente; ascolto quello che dite voi, guardo quello che fate
voi e scrivo. È questo il mio lavoro.»
Gesù strinse il braccio di Giuda. Per un attimo lo prese la vertigine.
Giuda lo sorresse.
«Sei stanco, Maestro?» domandò.
«Sì, sono stanco.»
«Pensa a Dio per riposarti», disse il Rosso.
Gesù si riprese. Si rivolse ai discepoli. «Andiamocene», disse.
Ma i discepoli esitavano. Non volevano andare. Andare dove? Di nuovo
a Betania? Fino a quando? Non ne potevano più di andare avanti e
indietro.
«Credo che si prenda gioco di noi», disse a bassa voce Nataniele al suo
amico. «Io non vado da nessuna parte!»
Ma detto ciò, seguì gli altri discepoli che riprendevano, avviliti, la
strada di Betania.
Dietro di loro, i Leviti e i Farisei sghignazzavano. Un Levita giovane,
brutto e ingobbito, lanciò un pomodoro che colse in pieno Pietro.
«Bel colpo, Saul», gridarono delle voci, «hai fatto centro!»
Pietro avrebbe voluto girarsi, precipitarsi sul Levita, ma Andrea lo
trattenne.
«Abbi pazienza, fratello», disse, «verrà il nostro turno.»
«Ma quando, Andrea», mormorò Pietro, «quando? Non vedi in che stato
siamo?»
Umili, silenziosi, si misero in cammino. La gente che era venuta con
loro si era dispersa imprecando. Nessuno li seguiva più, nessuno posava il
suo mantello a terra perché il Maestro potesse passarci sopra. Adesso
l'asina la tirava Filippo. Dietro, Nataniele teneva la coda della bestia;
avevano fretta tutti e due di renderla al proprietario per non avere fastidi. Il
sole bruciava, soffiava un vento caldo, una nuvola di polvere si alzò;
soffocavano. Avvicinandosi a Betania videro a un tratto davanti a loro Ba-
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rabba e due suoi amici, due bestioni dall'aria selvaggia e con grandi baffi.
«Dove lo portate, il vostro Maestro?» gridò Barabba. «Parola mia, ha
reso l'anima!»
«Lo portano da Lazzaro per risuscitarlo!» risposero i compagni scop-
piando a ridere.
Quando arrivarono a Betania ed entrarono in casa, trovarono il vecchio
rabbino in agonia. Le donne, inginocchiate al suo capezzale, lo guardavano
andarsene, silenziose, immobili. Sapevano che non potevano far niente per
fermarlo. Gesù si avvicinò, posò la mano sulla fronte del vecchio. Il rabbi-
no sorrise ma non aprì gli occhi.
I discepoli si raccolsero nel cortile, con la bocca amara; tacevano. Gesù
fece cenno a Giuda.
«Giuda, fratello, il momento è arrivato. Sei pronto?»
«Ancora una volta, Maestro. Perché hai scelto me?»
«Tu sei il più forte, lo sai. Gli altri non hanno la forza. Ci sei andato?
Hai parlato col sommo sacerdote Caifa?»
«Gli ho parlato. Vuol sapere dove e quando.»
«Digli: la notte di Pasqua, dopo il pranzo pasquale, a Getsemani. Fatti
coraggio, Giuda, fratello. Anch'io mi faccio coraggio.»
Giuda scosse la testa senza una parola. Uscì in strada e attese che la
luna sorgesse.
«Che cosa è successo a Gerusalemme?» domandò la vecchia Salomè ai
suoi figli. «Che avete? Perché non parlate?»
«Io credo, madre, che abbiamo costruito sulla sabbia», rispose Giaco-
mo. «Credo che sia finita!»
«E il Maestro? E gli splendori? E gli abiti di seta ricamata, e i troni? Mi
ha ingannato allora?» chiedeva la vecchia. Guardava i figli, batteva le
mani, ma nessuno le rispondeva.
La luna comparve, malinconica, tutta tonda, sopra le montagne di
Moab. Si fermò un attimo sulla cresta della montagna, esitante. Guardò il
mondo e bruscamente si decise, si staccò dal monte e prese a salire. Il
borgo di Lazzaro, immerso nell'oscurità, sembrò improvvisamente imbian-
cato di calce e si mise a brillare, bianchissimo.
Il giorno si levò, i discepoli sì radunarono attorno al Maestro. Lui non
parlò, li guardò uno per uno, come se li vedesse per la prima volta, o per
l'ultima. Verso mezzogiorno aprì bocca.
«Desidero, compagni, festeggiare con voi la santa Pasqua. È il giorno in
cui i nostri antenati sono partiti, lasciandosi dietro la terra della servitù, e
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sono entrati nella libertà del deserto. Anche noi, in questo giorno di Pa-
squa, usciamo per la prima volta da un'altra servitù ed entriamo in un'altra
libertà. Chi ha orecchie intenda!»
Tutti tacevano. Quelle parole erano oscure, qual era questa nuova liber-
tà? Non capivano. Dopo un momento, parlò Pietro.
«Io so una cosa, Maestro. La Pasqua senza agnello non si festeggia.
Dove lo troviamo l'agnello?»
Gesù sorrise mestamente.
«L'agnello .è pronto, Pietro. In questo momento va lui stesso a farsi
sgozzare perché i poveri del mondo facciano una Pasqua nuova. Non
preoccuparti per l'agnello.»
Lazzaro, che rimaneva seduto in un angolo senza parlare, si alzò, posò
la mano scheletrica sul petto e disse:
«Maestro, ti devo la vita; e per cattiva che sia, vale sempre di più delle
tenebre della morte. Sarò io quindi a portare in dono l'agnello pasquale. Ho
un amico pastore sulla montagna, ci vado».
I discepoli lo guardarono stupiti. Dove aveva trovato, quest'uomo mez-
zo vivo e mezzo morto, la forza di alzarsi e di arrivare fino alla porta! Le
sorelle sì precipitarono su di lui per impedirgli di uscire; ma lui le respinse,
prese una canna per appoggiarsi e superò la soglia.
Penetrò nelle stradine del villaggio, le porte si aprivano al suo passag-
gio, le donne comparivano, impaurite, e si stupivano che quelle gambe
gracili potessero camminare, che quella schiena, curva, non si spezzasse.
Lui soffriva,.ma si faceva coraggio e ogni tanto cercava di fischiare per
mostrare che era ringiovanito, ma le sue labbra non riuscivano bene a
toccarsi. Rinunciò allora a fischiare e, serio, prese a salire il monte, verso il
pascolo del suo amico.
Non aveva fatto molta strada che vide davanti a sé Barabba, in mezzo
alle ginestre in fiore. Erano tanti giorni che ronzava attorno al villaggio,
aspettando che il maledetto risorto mettesse il naso fuori casa, per farlo
scomparire e impedire che gli uomini vedendolo pensassero al miracolo. Il
figlio di Maria era diventato assai pretenzioso da quando lo aveva risu-
scitato; bisognava quindi riprecipitarlo nella tomba, per avere pace!
«Ehi, disertore dell'Inferno!» gli gridò. «Ti ho trovato finalmente.
Dimmi, in nome del cielo, te la sei passata bene laggiù? Che cosa è me-
glio, la vita o la morte?»
«È lo stesso», rispose Lazzaro. Riprese la strada, ma Barabba allungò il
braccio e gli sbarrò il cammino.
351
«Scusami, vecchio reduce», disse, «ma arriva la Pasqua, io non ho
agnelli e ho giurato a Dio questa mattina di sgozzare come agnello il primo
essere vivente che avrei incontrato sul mio cammino, per festeggiare la
Pasqua come tutti. Porgi la gola dunque, sei fortunato, sei una vittima per
Dio.»
Lazzaro cacciò un urlo. Barabba lo afferrò per la gola, ma si spaventò.
Stringeva qualcosa di molle, come cotone; più molle ancora, quasi come
aria. Le unghie di Barabba entravano e uscivano, senza che ne venisse una
goccia di sangue. «Che sia uno spettro?» pensò, e la sua faccia butterata
dal vaiolo si fece smorta.
«Non hai male?» gli chiese.
«No», rispose Lazzaro, e gli scivolò tra le dita, per scappare.
«Aspetta!» ringhiò Barabba, e lo prese per i capelli. Ma i capelli e la
pelle del cranio gli rimasero in mano. Il cranio di Lazzaro si mise a scintil-
lare, giallastro, al sole.
«Maledetto!» mormorò Barabba tremando. «Non sarai un fantasma?»
Lo afferrò per il braccio destro e si mise a scuoterlo. «Di' che sei un
fantasma e ti lascio.»
Ma mentre lo scuoteva, il braccio di Lazzaro gli rimase in mano. Il
terrore s'impadronì di Barabba, gettò tra le ginestre fiorite il braccio
putrefatto e sputò per la nausea. La paura gli aveva fatto rizzare i capelli
sulla testa. Prese il coltello, aveva fretta di ucciderlo e di farla finita. Lo
prese con cautela, per la nuca, gli appoggiò il collo su una pietra per sgoz-
zarlo. Tagliava, tagliava, ma il coltello non affondava, era come attaccare
una matassa di lana. Il sangue di Barabba si gelò: sto sgozzando un morto?
pensò. Attaccò la salita per andarsene, ma lo vide muoversi ancora, e
temette che il suo maledetto amico lo trovasse e lo risuscitasse di nuovo.
Dominò il panico, lo afferrò per le estremità, come si fa per strizzare un
panno bagnato prima di stenderlo, lo torse, poi gli diede una scossa; le
vertebre gli si spezzarono, si divise all'altezza della vita in due pezzi;
Barabba li nascose sotto i ginestri e fuggì di corsa. Correva, correva, per la
prima volta in vita sua aveva paura, non osava girarsi. «Ah», mormorò, «se
riesco a entrare a Gerusalemme, a vedere Giacomo, deve darmi un amuleto
per scacciare il demonio!»
Nel frattempo, in casa di Lazzaro, Gesù si chinava sui discepoli e si
sforzava di far entrare un po' di luce nel loro spirito, perché non si spaven-
tassero di quanto stavano per vedere, non fossero presi dalla disperazione.
«Io sono il cammino», disse, «e la casa dove voi siete diretti. Io sono
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anche il viandante e voi mi venite incontro. Abbiate fede in me, non
abbiate paura, qualsiasi cosa vediate, io non posso morire. Avete capito? Io
non posso morire.»
Giuda era solo in cortile e cavava sassi dal terreno col piede. Gesù
volgeva continuamente gli occhi su di lui, lo guardava e sul suo viso si
spandeva una tristezza inesprimibile.
«Maestro», disse Giovanni con un tono di rimprovero, «perché lo
chiami sempre vicino a te? Se lo guardi in fondo agli occhi, ci vedi un
pugnale.»
«No, Giovanni diletto», rispose Gesù, «non un pugnale. Una croce.»
I discepoli si guardarono, scossi.
«Una croce!» disse Giovanni, appoggiandosi al petto di Gesù.
«Maestro, chi è il crocifisso?»
«Chi si china su questi occhi e guarda, vedrà il suo volto sulla croce. Io
mi ci sono chinato e ho visto il mio.» I discepoli non capirono, si misero a
ridere.
«Hai fatto bene a dircelo», fece Tommaso. «Non mi chinerò mai sugli
occhi del Rosso.»
«Ci si chineranno i tuoi figli e i tuoi nipoti, Tommaso», rispose Gesù,
osservando dalla finestra Giuda che ora, sulla porta della strada, guardava
verso Gerusalemme.
Matteo si lamentò: «Maestro, le tue parole sono oscure», disse. Da tem-
po aveva pronto il suo calamo e non riusciva a capire nulla da poter an-
notare. «Le tue parole sono oscure, come vuoi che le scriva sulle mie
carte?»
«Io non parlo perché tu scriva, Matteo», rispose Gesù con asprezza.
«Hanno ragione a chiamarvi galli, voialtri imbrattacarte. Voi credete che il
sole non si alzi se non lo chiamate voi. Mi viene voglia di prendere i tuoi
fogli e la tua cannuccia e di buttare tutto nel fuoco!»
Matteo raccolse svelto le sue carte e ritirò la testa nelle spalle. La rabbia
di Gesù durava ancora.
«Io dico una cosa, e voi ne scrivete un'altra, e quelli che vi leggono ne
capiscono un'altra ancora! Io dico: croce, morte, regno dei cieli, Dio, e voi
che cosa capite? Ognuno di voi mette in ognuna di queste parole sacre le
sue passioni, i suoi interessi, quello che gli conviene, e la mia parola
sparisce, la mia anima si perde, non ne posso più!»
Si alzò, soffocava. D'un tratto si sentì il cuore e lo spirito riempirsi di
rabbia.
353
I discepoli se ne stettero zitti. Sembrava che il Maestro avesse ancora in
mano il pungolo e li colpisse, e che loro fossero buoi indolenti che
rifiutavano di muoversi. Il mondo era un carretto, loro vi erano aggiogati,
Gesù li pungolava e loro recalcitravano, non si muovevano. Gesù li guar-
dava e si sentiva sfinito. Lunga è la strada dalla terra al cielo, e loro rima-
nevano immobili.
«Fino a quando mi avrete tra voi?» esclamò. «Quelli tra voi che serbano
dentro di sé una domanda importante, si affrettino a interrogarmi. Quelli
che hanno una parola tenera da dirmi, me la dicano subito, mi farà bene.
Non voglio che abbiate dei rimpianti quando me ne sarò andato né che
diciate: 'Ah, non abbiamo avuto il tempo di dirgli una buona parola, non
gli abbiamo mai fatto capire quanto l'amavamo!' Allora sarà troppo tardi.»
Le donne, appartate in un angolo, il mento appoggiato alle ginocchia,
ascoltavano. Di tanto in tanto sospiravano, almeno loro capivano tutto, ma
non potevano dire niente. Improvvisamente Maddalena levò un gridò: ave-
va indovinato per prima, il lamento funebre era dentro di lei. Si alzò bru-
scamente, entrò nella camera in fondo, cercò il suo guanciale, trovò il fla-
cone di cristallo che aveva portato con sé, pieno di profumo di Arabia. Uno
del suoi amanti di un tempo glielo aveva regalato, come pagamento dí una
notte. Lo portava sempre con sé, da quando seguiva Gesù, e si diceva, l'in-
felice: Chi sa, Dio è grande; può darsi che verrà un giorno che potrà im-
pregnare di quel profumo la capigliatura dell'amato; può darsi che verrà un
giorno che lui accetterà di tenerla accanto a sé e di essere suo sposo. Con
questi desideri segreti nascosti nel fondo del suo essere, vedeva adesso la
morte dietro il corpo dell'amato; non l'amore ma la morta. E occorrevano
anche lì, come per le nozze, profumi. Prese il flacone di cristallo di sotto il
guanciale, l'appoggiò al petto e si mise a piangere. Piangeva sommessa-
mente, per non essere sentita; teneva il flacone sul seno e lo cullava, come
un bambino; poi si asciugò gli occhi, uscì e si gettò ai piedi di Gesù. E
prima che lui avesse il tempo di chinarsi per farla alzare, lei aveva spez-
zato il cristallo e versato il profumo sui santi piedi. Poi si sciolse i capelli,
asciugò piangendo i piedi profumati e, con quello che restava del profumo,
impregnò la testa adorata. Subito, poi, si accasciò di nuovo ai piedi del
Maestro e si mise a baciarli.
I discepoli erano sconvolti.
«Che peccato sprecare un profumo così caro», disse Tommaso il mer-
cante. «Se l'avessimo venduto, avremmo potuto nutrire tanti poveri.»
«Curare orfani», disse Nataniele.
354
«Comperare dei montoni», disse Filippo.
«Brutto segno», mormorò Giovanni sospirando. «Sono le essenze di cui
si profumano i morti ricchi. Non bisognava farlo, Maria. E se la morte
sente il suo profumo preferito e viene?»
Gesù sorrise.
«I poveri li avrete sempre con voi», disse, «me, no. Che importa che si
sia sciupato per farmi piacere un flacone di profumo? Ci sono dei momenti
in cui la Prodigalità sale al cielo e si accomoda accanto alla sua princi-
pesca sorella, la Nobiltà. E tu, diletto Giovanni, non affliggerti. La Morte
viene sempre. Meglio che venga con i capelli profumati.»
La casa profumava tutta come un ricco sepolcro. Apparve Giuda, gettò
un rapido sguardo al Maestro - che avesse rivelato il segreto ai discepoli e
loro avessero profumato il moribondo di essenze funerarie? Ma Gesù sor-
rise.
«Giuda, fratello», disse, «la rondine in cielo va più in fretta della cerva
sulla terra. Più in fretta della rondine va lo spirito dell'uomo. E più in fretta
ancora dello spirito dell'uomo va il cuore della donna», e accennò con lo
sguardo a Maddalena.
Pietro aprì la bocca.
«Abbiamo detto tante cose ma abbiamo dimenticato la più importante:
dove faremo Pasqua a Gerusalemme, Maestro? Io sono dell'idea di andare
alla taverna di Simone il Cireneo.»
«Dio ha deciso diversamente», disse Gesù. «Alzati, Pietro, prendi Gio-
vanni con te, andate a Gerusalemme. Vedrete un uomo con un orcio sulla
spalla, seguitelo. Entrerà in una casa, entrateci anche voi e dite al proprie-
tario: il nostro Maestro ti saluta e ti manda a chiedere: `Dove hai preparato
la tavola perché io festeggi la Pasqua con i miei discepoli?' Lui risponderà:
'Portate i miei saluti al vostro Maestro; tutto è pronto, che sia il
benvenuto!'»
I discepoli si guardarono, pieni di stupore come dei bambini. Pietro
spalancò gli occhi.
«Dici sul serio, Maestro? Tutto è pronto? L'agnello, lo spiedo, il vino,
tutto?»
«Tutto», rispose Gesù, «andate, abbiate fede. Noi restiamo seduti a di-
scutere ma Dio non resta seduto, non discute, lavora per gli uomini.»
In quel momento si sentì un flebile lamento dal fondo della stanza. Tutti
si girarono, pieni di vergogna. Avevano dimenticato il vecchio rabbino e la
sua agonia. Maddalena accorse, seguita dalle tre donne, poi dai discepoli.
355
Gesù pose di nuovo la mano sulla bocca gelata del vecchio. Aprì gli occhi,
lo vide e gli sorrise. Agitò la mano e fece segno agli uomini e alle donne di
andarsene. Quando furono soli Gesù si chinò e gli baciò la bocca, gli occhi
e la fronte. Il vecchio lo guardava nel fondo degli occhi e il suo volto era
raggiante.
«Vi ho rivisti», mormorò, «tutti e tre: Elia, Mosè e te. Ora sono sicuro.
Me ne vado.»
«Addio, vecchio. Sei soddisfatto?»
«Sì. Dammi la mano, perché te la baci.»
Prese la mano di Gesù e vi tenne su a lungo le sue labbra di ghiaccio.
Lo guardò estasiato, gli disse addio e tacque. Poi, dopo
un momento: «Quando verrai anche tu lassù?» gli chiese. «Domani, il
giorno di Pasqua. A presto, vecchio.» Il vecchio rabbino incrociò le mani.
«Riprenditi il tuo servitore, Signore», mormorò. «I miei occhi hanno
visto il Salvatore!»
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no. Le tavole erano apparecchiate, e tre candelieri a sette braccia illumina-
vano l'agnello, il vino, il pane azzimo. E anche i bastoni, che essi doveva-
no tenere vicino mangiando, come pronti per un lungo viaggio.
«Siamo felici di trovarti», disse Gesù. Alzò la mano e benedisse l'ospite
invisibile.
I discepoli risero.
«Chi saluti, Maestro?»
«L'invisibile», rispose Gesù, e li fissò severo.
Cinse un ampio telo, prese una brocca d'acqua, s'inginocchiò, cominciò
a lavare i piedi ai discepoli.
«Maestro, non permetterò mai che tu mi lavi i piedi!» protestò Pietro.
«Pietro, se io non ti lavo i piedi tu non entrerai mai con me nel regno
dei cicli.»
«Allora puoi lavarmi non soltanto i piedi ma anche le mani e la testa»,
rispose Pietro.
Si misero a tavola. Avevano fame, ma nessuno osava allungare la mano
per mangiare. Il viso del Maestro era severo, e le sue labbra avevano una
piega amara. Gesù guardò i discepoli a uno a uno, Pietro alla sua destra,
Giovanni alla sua sinistra, tutti. E di fronte a sé il suo complice dal volto
rude e grave, dalla barba rossa.
«Prima di tutto», disse, «beviamo acqua salata per ricordarci delle
lacrime che hanno versato i nostri padri nella terra della schiavitù.» Prese
la brocca piena di acqua salata, riempì per primo, fino all'orlo, il bicchiere
di Giuda, poi versò qualche goccia nei bicchieri degli altri e infine riempì
il suo.
«Ricordiamoci delle lacrime, della sofferenza, della lotta che l'uomo
conduce per la sua libertà», disse, e vuotò d'un fiato il suo bicchiere pieno.
Anche gli altri bevvero, facendo delle smorfie. Giuda bevve il suo
bicchiere d'un fiato. Poi lo mostrò a Gesù e lo rovesciò. Non ce n'era più
neppure una goccia.
Gesù gli disse sorridendo: «Tu sei un coraggioso, Giuda. Tu sai soppor-
tare la più grande amarezza».
Prese il pane azzimo, lo divise. Poi distribuì l'agnello. Ognuno tese la
mano e mise sulla sua porzione le erbe amare imposte dalla Legge: l'ori-
gano, il lauro. Poi versarono sulla carne un sugo rosso in ricordo dei rossi
mattoni che gli antenati fabbricavano durante la cattività. Mangiarono
rapidamente, come ordina la Legge, e ognuno di loro stringeva in mano il
bastone e teneva un piede sollevato, per essere pronto a partire.
360
Gesù li guardava mangiare, ma non mangiava. Teneva anche lui il
bastone e aveva sollevato il piede destro, pronto al grande viaggio. Tutti ta-
cevano. Si sentivano solo le mascelle che macinavano, le lingue che lecca-
vano le ossa, i bicchieri di vino che si toccavano. Attraverso il lucernario,
sopra di loro, entrava la luna. Metà delle tavole erano immerse nella luce,
l'altra metà rimanevano in una penombra violetta.
Dopo un profondo silenzio, Gesù parlò:
«Miei fedeli compagni di strada, Pasqua significa passaggio. Passaggio
dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla libertà. Ma la Pasqua che cele-
briamo questa sera porta ancora più lontano. La Pasqua di questa sera vuol
dire: passaggio dalla morte all'immortalità. Io vado avanti, compagni, e vi
apro la via».
Pietro sussultò.
«Maestro», disse, «ancora una volta parli di morte. Ancora una volta le
tue parole sono come un pugnale a due lame. Se qualcosa ti minaccia,
parla francamente. Noi siamo i tuoi uomini.»
«È vero, le tue parole sono più amare di queste erbe amare, Maestro»,
disse Giovanni. «Abbi pietà di noi, parlaci chiaramente.»
Gesù prese la sua parte di pane rimasta intatta e la divise in bocconi tra i
discepoli.
«Prendete e mangiate», disse, «questo è il mio corpo.»
Prese poi il suo bicchiere pieno di vino e lo fece girare di bocca in
bocca. Ne bevvero tutti.
«Prendete e bevete», disse, «questo è il mio sangue.»
I discepoli mangiarono tutti un boccone di pane, bevvero un sorso di vi-
no, e il loro spirito vacillò. Il vino sembrava denso, come sangue, e il boc-
cone di pane scese dentro di loro come un carbone ardente. All'improvviso
sentirono tutti con terrore che Gesù metteva radici dentro di loro e
divorava le loro interiora. Pietro appoggiò i gomiti alla tavola e si mise a
piangere. Giovanni si appoggiò al petto di Gesù. Balbettò:
«Tu vuoi partire, Maestro, tu vuoi partire... partire...» Non riusciva a
dire null'altro.
«Non andrai da nessuna parte!» gridò Andrea. «L'altroieri hai detto:
'Chi non ha un coltello venda il suo abito per comperarne uno!' Noi vende-
remo i nostri vestiti, ci armeremo, e che la Morte venga a toccarti, se ha il
coraggio!»
«Voi mi abbandonerete tutti», disse Gesù pacatamente. «Tutti.»
«Io mai!» urlò Pietro asciugandosi le lacrime. «Mai!»
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«Pietro, Pietro, prima che il gallo canti tu mi rinnegherai tre volte.»
«Io? Io?» gemette Pietro battendosi il petto con i pugni. «Io ti rinneghe-
rò? Io sarò con te fino alla morte.»
«Fino alla morte!» ripeterono tutti i discepoli, esaltati, e si alzarono tutti
assieme.
«Sedete», disse con calma Gesù, «non è ancora l'ora. In questo giorno
di Pasqua devo confidarvi un grande segreto. Aprite il vostro spirito, aprite
i vostri cuori, non vi spaventate!»
«Parla, Maestro», mormorò Giovanni. Il suo cuore tremava come una
foglia di canna.
«Avete finito di mangiare? Non avete più fame? Il corpo è sazio? Può
finalmente lasciare che la vostra anima ascolti tranquillamente?»
Pendevano tutti dalle labbra di Gesù, tremanti.
«Compagni diletti», esclamò, «addio, io parto!»
I discepoli lanciarono un grido. Si gettarono su Gesù per impedirgli di
partire. Molti piangevano. Ma Gesù si volse tranquillamente a Matteo.
«Matteo», disse, «tu conosci a memoria le Scritture. Alzati e recita a
voce alta le parole profetiche di Isaia, perché il loro cuore si rinforzi. Le
ricordi?
«'S'è levato davanti agli occhi del Signore come un fragile alberello...'»
Matteo s'illuminò, si alzò in piedi di scatto. Era gobbo, storto, avvizzito,
le sue dita lunghe e magre erano sempre sporche di inchiostro. Ma improv-
visamente, inesplicabilmente, la gobba sparì, le guance gli si fecero lisce,
il collo gli si raddrizzò e si sentirono risuonare lungo le alte pareti della
stanza, piene di forza e di tristezza, le parole del Profeta:
S'è levato davanti agli occhi del Signore come un fragile alberello.
Che sorge dalla terra disseccata.
Non aveva né bellezza né splendore perché gli sguardi si volgessero a
lui;
Il suo viso non aveva nulla per piacerci,
Disprezzato, abbandonato dagli uomini,
Anima dolente, tormentata,
Abbiamo rivolto altrove i nostri occhi e l'abbiamo disprezzato.
Eppure egli ha preso su di sé tutte le nostre sofferenze.
È stato ferito dalle nostre colpe,
È stato schiacciato dalle nostre iniquità,
E le sue piaghe ci hanno guarito.
362
L'hanno flagellato, torturato.
E lui non ha aperto bocca,
Come l'agnello che si conduce al mattatoio,
Non ha aperto bocca.
«Basta», disse Gesù. Sospirò. Si volse ai compagni.
«Sono io», disse pacatamente, «è di me che parla il profeta Isaia, sono
io l'agnello; mi portano al mattatoio e io non aprirò bocca.»
Tacque, poi dopo qualche istante aggiunse:
«Dal giorno in cui sono nato mi portano al mattatoio».
Confusi, sgomenti, i discepoli lo guardavano. Si sforzavano di com-
prendere più di quanto avesse detto. E a un tratto, tutti assieme, piegarono
la testa sulla tavola e si misero a lamentarsi.
Per un momento anche il cuore di Gesù tremò. Come poteva lasciare i
suoi compagni piangenti e andarsene? Alzò gli occhi, vide Giuda. Ma
quello mantenne per un lungo momento gli occhi azzurri e duri fissi su
Gesù. Aveva indovinato quello che succedeva dentro di lui, aveva capito
che l'amore poteva paralizzare la sua forza. Lo spazio di un lampo, i due
sguardi si incontrarono e lottarono. Uno era severo, spietato, l'altro suppli-
ce e desolato. Lo spazio di un lampo, e subito Gesù scosse la testa, fece un
sorriso amaro e si girò nuovamente verso i discepoli.
«Perché piangete?» disse. «Perché temete il più compassionevole degli
arcangeli di Dio, quello che ama più gli uomini, la morte? È necessario che
io sia martirizzato, crocifisso, che discenda tra i morti. Ma dopo tre giorni
mi leverò dal mio sepolcro, salirò al cielo e siederò alla destra del Padre.»
«Ci lascerai ancora?» gridò Giovanni in lacrime. «Portami con te tra i
morti e in cielo, Maestro.»
«Il compito è pesante anche sulla terra, Giovanni diletto, bisogna che
restiate per rimanere qui sulla terra. Combattete nel mondo, amate, atten-
dete, e io tornerò!»
Ma Giacomo s'era già familiarizzato con l'idea della morte del Maestro
e pensava a quello che avrebbero dovuto fare quando fossero rimasti sulla
terra senza di lui.
«Non possiamo opporci alla volontà di Dio, né alla volontà del Maestro.
E tuo dovere, Maestro, morire come dicono i profeti, il dovere nostro è
vivere. Perché le parole che tu hai pronunciato non vadano perdute,
occorre che le fissiamo in Sacre Scritture nuove, che facciamo delle leggi,
che costruiamo le nostre sinagoghe, che scegliamo i nostri sommi sacer-
doti, i nostri Scribi e i nostri Farisei.»
363
Gesù si sentì sgomento.
«Tu crocifiggi lo spirito, Giacomo», esclamò. «No, non voglio!»
«Solo così potremo impedire allo spirito di farsi vento e di andarsene»,
rispose Giacomo.
«Ma non sarà più libero, non sarà più spirito!»
«Non importa. Somiglierà allo spirito. Per il nostro lavoro è sufficiente,
Maestro.»
Un sudore freddo inondò Gesù. Lanciò un rapido sguardo ai discepoli,
ma nessuno alzò la testa per partecipare alla discussione. Pietro guardò il
figlio di Zebedeo con ammirazione. «Lui sì che ha la testa sulle spalle, lui
ha preso il suo verso sulle barche del padre, che comandava. Ora, vedrete,
metterà in riga anche il Maestro...»
Disperato, Gesù tese le mani come per chiedere aiuto.
«Vi manderò lo Spirito Santo», disse, «lo spirito di verità. Lui vi guide-
rà.» «Mandaci presto lo Spirito Santo», gridò Giovanni, perché non ci
smarriamo, perché non ti perdiamo, Maestro.»
Giacomo scosse la testa, duro e ostinato.
«Questo spirito di verità di cui parli, anche questo spirito sarà crocifis-
so. Finché esisteranno gli uomini, Maestro, lo spirito sarà crocifisso, sap-
pilo. Ma non importa. Resta sempre qualcosa e quel poco ci basta, te l'ho
detto.»
«Non basta a me!» esclamò Gesù disperato.
Giacomo fu sconvolto nell'udire quel grido doloroso. Si avvicinò e pre-
se la mano del Maestro:
«Non ti basta, ed è per questo che ti crocifiggono. Perdonami se ti ho
contraddetto».
Gesù posò la mano su quella testa ostinata.
«Se è volontà di Dio che eternamente lo spinto sia crocifisso sulla terra,
sia benedetta la croce. Portiamola sulle spalle con amore, con pazienza,
con fiducia. Un giorno, sulle nostre spalle, si tramuterà in un paio di ali.»
Tacquero. Ora la luna era alta nel cielo. Una luminosità funerea s'era
sparsa sulle tavole. Gesù unì le mani.
«Il giorno è finito», disse. «Quello che dovevo fare l'ho fatto; quello che
dovevo dire l'ho detto. Ho fatto il mio dovere, penso. Unisco le mani.»
Poi fece cenno a Giuda di fronte a lui. Quello si alzò, si strinse la
cintura di cuoio, impugnò il nodoso bastone. Gesù gli fece un gesto con la
mano, come per dirgli addio.
«Questa sera andiamo a pregare sotto gli olivi del Getsemani, di là dalla
364
valle del Cedron. Va', in grazia di Dio, e che Dio sia con te, Giuda,
fratello.»
Giuda aprì la bocca, avrebbe voluto dire qualcosa, ma ci ripensò. La
porta era aperta, si precipitò fuori. Si sentirono i suoi piedi scendere pesan-
ti la scala di pietra.
«Dove va?» chiese Pietro preoccupato. Fece per alzarsi per seguirlo, ma
Gesù lo trattenne.
«La mano di Dio è in cammino», disse, «non metterti sulla sua strada.»
Il vento s'era levato, le fiamme dei candelieri a sette braccia oscillarono.
A un tratto un colpo di vento violento soffiò e le spense. La luna tutta
intera entrò nella stanza. Nataniele ebbe paura, si chinò verso l'amico.
«Non è vento questo, Filippo. È entrato qualcuno. Dio mio, e se fosse la
morte?» «E anche se fosse lei, che potrebbe farti?» gli rispose il pastore.
«Non viene per noi!»
Batté la mano sulla schiena dell'amico, che non riusciva a riprendersi.
«Le grandi tempeste sono per i grandi bastimenti», disse. «Noi siamo
barchette, gusci di noce, sia lodato Iddio!»
La luna si era impossessata del viso di Gesù e l'aveva divorato. Non
rimanevano di lui che due occhi nerissimi. Giovanni ebbe timore. Tese
furtivo la mano verso il volto del Maestro, per vedere se era ancora lì.
«Maestro», mormorò, «dove sei?»
«Non me ne sono ancora andato, Giovanni diletto», rispose Gesù. «So-
no scomparso per un attimo perché pensavo a una cosa che mi disse un
giorno un asceta sulla montagna santa del Carmelo. 'Ero', mi disse, 'im-
merso nei cinque trogoli del mio corpo, come un maiale.' 'E come li sei
liberato, padre mio?' gli ho chiesto. 'Hai lottato a lungo?' E lui mi ha
risposto: 'Per nulla. Un mattino ho visto un mandorlo in fiore e sono stato
liberato'. Un mandorlo in fiore, Giovanni diletto, ecco come stasera, per un
attimo, mi è apparsa la morte.»
Si alzò.
«Andiamo», disse, «è giunta l'ora.»
Gesù precedeva, i discepoli venivano dietro, pensierosi.
«Andiamocene», disse sottovoce Nataniele al suo amico. «Sento puzza
di complicazioni.»
«Ci stavo pensando», rispose Filippo, «ma portiamoci anche Tomma-
so.»
Cercarono Tommaso al chiaro di luna, ma quello se l'era già svignata tra
i vicoli. Rimasero tutti e due indietro e, al momento di entrare nella valle
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del Cedron, si lasciarono distanziare dagli altri, poi si misero le gambe in
spalla.
Gesù discese con quelli che restavano nella valle del Cedron, risalì
dall'altro versante, prese il sentiero che portava all'orto del Getsemani.
Quante volte avevano passato la notte sotto quegli olivi antichi, parlando
della misericordia di Dio e delle iniquità degli uomini!
Si fermarono. Quella sera i discepoli avevano mangiato e bevuto abbon-
dantemente, avevano sonno. Smossero la terra con i piedi, si sistemarono
per dormire.
«Ne mancano tre», disse il Maestro cercando attorno a sé. «Che cosa gli
sarà successo?» «Sono scappati...» rispose Andrea in collera.
Ma Gesù sorrise. Disse:
«Non giudicarli, Andrea. Un giorno, vedrai, torneranno tutti e tre, e
ognuno di loro porterà una corona, la più regale delle corone, fatta di spine
e di semprevivi!» Poi si accostò a un olivo, sentendosi d'improvviso
stanchissimo.
I discepoli erano già coricati. Avevano trovato delle grandi pietre da
usare per guanciale, si erano messi comodi.
«Vieni a sdraiarti tra noi, Maestro», disse Pietro sbadigliando. «Andrea
farà la guardia.»
Gesù si staccò dall'albero.
«Pietro, Giacomo, Giovanni», disse, «venite con me.»
La sua voce era piena di tristezza e di autorità.
Pietro fece il sordo, si stirò, a terra, sbadigliò di nuovo. Ma i due figli di
Zebedeo lo presero per le braccia e lo trascinarono.
«Andiamo», dissero, «non ti vergogni?»
Pietro si avvicinò al fratello:
«Andrea, non si sa che cosa può succedere; dammi il tuo coltello».
Gesù camminava davanti; uscirono di sotto gli olivi e arrivarono a una
radura. Gerusalemme scintillava davanti a loro, vestita di luna, tutta bian-
ca. Sopra la loro testa un cielo di latte, neppure una stella, e la luna piena,
che avevano visto levarsi prima, precoce, era adesso sospesa nel mezzo del
cielo, e immobile.
«Padre», mormorò Gesù, «Padre che sei nei cicli, Padre che sei sulla
terra, il mondo che tu hai creato e che noi vediamo è bello, e il mondo che
noi non vediamo è bello. Non so, perdonami, non so, Padre, quale dei due
è più bello.»
Si chinò, prese una manciata di terra, la respirò. L'odore penetrò profon-
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damente nel suo corpo. Dovevano esserci nelle vicinanze dei lentischi, la
terra odorava di resina e miele. Se l'appoggiò sulla guancia, sul collo, sulle
labbra.
«Che profumo», mormorò, «che calore, che fraternità!»
Le lacrime lo presero. Strinse la terra nella mano e non avrebbe più
.voluto separarsene. Mormorò:
«Entreremo assieme, sorella mia, assieme, nella morte. Non ho altra
compagnia». «Non ne posso più», disse Pietro sfinito. «Dove ci porta?
Non ho intenzione di andare oltre. Io mi corico qui.»
Ma mentre cercava attorno a sé un incavo comodo per stendersi, vide
Gesù venire lentamente verso di loro. Subito si ringagliardì e gli si avviò
incontro.
«Maestro», disse, «presto sarà mezzanotte. Qui si sta bene per sdraiar-
si.»
«Figli miei», disse Gesù, «la mia anima è profondamente triste. Tornate
a stendervi sotto gli alberi, io rimango qui allo scoperto per pregare. Ve ne
supplico, non dormite. Vegliate, pregate con me questa sera. Figli miei,
aiutatemi a passare quest'ora così difficile.»
Volse il viso verso Gerusalemme.
«Andate», disse, «lasciatemi solo.»
I discepoli si allontanarono un po' e si rannicchiarono sotto gli olivi.
Gesù si gettò a terra, le labbra incollate al suolo. Il suo spirito, il suo cuore,
le sue labbra non si staccavano dalla terra. Erano diventati terra.
«Padre», mormorò, «Padre, sto bene qui, terra contro terra, lasciami
così. Il calice che mi dai da bere è amaro, troppo amaro, non ne posso
più... Se è possibile, Padre, allontanamelo dalle labbra.»
Tacque. Rimase in ascolto, cercando di sentire nella notte la voce del
Padre. Aveva chiuso gli occhi, chi sa, Dio è buono; forse verrà dentro di lui
il Padre, gli sorriderà con compassione, gli farà un cenno. Attese, attese
tremando. Non sentì niente, non vide niente. Si guardò attorno, era solo.
Ebbe paura, si alzò, si mosse per ritrovare i suoi compagni, per farsi forza.
Li trovò tutti e tre addormentati. Toccò Pietro col piede, poi Giovanni, poi
Giacomo.
«Non vi vergognate?» disse con tristezza. «Non avete la forza di pre-
gare un po' con me?»
«Maestro», disse Pietro, che non riusciva a tenere gli occhi aperti,
«Maestro, l'anima è pronta ma la carne è debole, perdonaci.»
Gesù tornò nella radura e cadde in ginocchio sulle pietre.
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«Padre», esclamò ancora, «il calice che mi tendi è amaro, troppo amaro.
Allontanamelo dalle labbra.»
L'aveva appena detto che vide alla luce della luna, su di lui, un angelo
dal volto pallidissimo, severo, che scendeva. Le sue ali erano fatte di luna
e teneva tra le mani un calice d'argento. Gesù nascose la faccia tra le mani
e crollò a terra.
«È questa la tua risposta, Padre? Non hai dunque pietà?»
Attese un po'. Pian piano aprì le dita per vedere se l'angelo era ancora su
di lui. Era sceso ancora più giù; il calice ora toccava le sue labbra. Lanciò
un grido, allargò le braccia e cadde a terra riverso.
Quando tornò in sé, la luna s'era spostata di un cubito nel cielo e l'ange-
lo si era dissolto nel chiarore. Lontano, sulla strada di Gerusalemme, erano
comparse, sparse, delle luci che si muovevano, come di torce accese. Si
avvicinavano? Si allontanavano? Dove andavano? La paura lo prese di
nuovo assieme al desiderio di vedere degli uomini, di sentire delle voci
umane, di toccare delle mani amate. Partì di corsa alla ricerca dei suoi
compagni.
Dormivano ancora tutti e tre e i loro visi fluttuavano, inondati dalla
luna, sereni. Giovanni aveva preso per guanciale la spalla di Pietro e Pietro
il petto di Giacomo, che aveva appoggiato la sua testa nera e riccioluta su
una pietra; dormiva a braccia spalancate sotto il cielo. E si vedevano i suoi
denti brillare tra i baffi e la barba corvina. Doveva star facendo un bel
sogno, rideva. Gesù ebbe pietà di loro e stavolta non li scosse per svegliar-
li; tornò sui suoi passi in punta di piedi. Ricadde faccia a terra e si mise a
piangere.
«Padre», disse a voce bassissima, come se volesse che Dio non l'udisse,
«Padre, sia fatta non la mia volontà ma la tua, Padre.»
Si alzò, guardò di nuovo verso la strada di Gerusalemme. Le luci si era-
no fatte più vicine; si vedevano con chiarezza le ombre che si agitavano
attorno a esse e delle armature che mandavano lampi.
«Vengono... Vengono», mormorò Gesù e le ginocchia cedettero sotto di
lui. E proprio in quel momento, su un giovane cipresso, venne a posarsi un
usignolo. Gonfiò la gola: la luna piena, i profumi della primavera, la notte
calda e umida lo avevano inebriato, e un Dio onnipotente era entrato in lui,
lo stesso Dio che aveva creato il cielo e la terra e le anime degli uomini, e
si mise a cantare. Gesù aveva sollevato la testa, l'ascoltava. Questo Dio
sarebbe il vero Dio degli uomini, quello che ama la terra e la fragile gola
degli uccelli. Sentì sorgere dentro di sé, dal fondo delle sue viscere, un
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altro usignolo, che rispose al richiamo del primo e si mise a sua volta a
cantare le pene eterne e le eterne gioie, Dio, l'amore, la speranza...
L'usignolo cantava e Gesù tremava. Non sapeva di avere dentro di sé
tante ricchezze, tante gioie e tante colpe, invisibili e dolcissime. Le sue
viscere fiorirono, l'usignolo svolazzava tra i rami e non poteva più, non
voleva più andarsene. Dove andare? Perché partire? Il Paradiso è su questa
terra... E mentre Gesù ascoltava il canto dei due uccelli ed entrava senza
spogliarsi del corpo, in Paradiso, udì delle voci roche; le torce accese si
avvicinarono, le armature di bronzo lo sovrastarono, e nel mezzo delle
fiamme e del fumo - gli parve di scorgere Giuda - due solide braccia lo af-
ferrarono e una barba rossastra gli punse il volto. Gli sembrò per un attimo
di aver lanciato un grido e perso conoscenza. Ma aveva avuto il tempo di
sentire l'alito forte di Giuda, che aveva incollato la bocca alla sua, e di
sentire il suono della sua voce rauca, disperata:
«Ti saluto, Maestro».
La luna stava per raggiungere le montagne lattiginose della Giudea.
Una brezza gelida si levò, le unghie e le labbra di Gesù si fecero blu;
Gerusalemme si levava sotto la luna cieca e smorta.
Gesù si girò, vide i soldati e i Leviti.
«Inviati di Dio, siate i benvenuti», disse, «andiamo!»
Per un attimo vide in mezzo alla ressa Pietro che aveva tirato fuori il
coltello per tagliare l'orecchio di un Levita.
«Rinfodera il tuo coltello», ordinò. «Se rispondiamo al pugnale col
pugnale, quando, nel mondo, cesseranno i massacri?»
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che guardava verso Gerusalemme e suonava il flauto...
L'indomani tutto il villaggio sfilò per vedere il nuovo Lazzaro. Il negret-
to correva, faceva le commissioni, tirava l'acqua dal pozzo, andava a mun-
gere le pecore, aiutava Marta ad accendere il fuoco, poi andava ad accuc-
ciarsi sulla soglia e suonava il flauto. I contadini venivano con i loro doni,
latte, pannocchie di granoturco, datteri, miele, per augurare il benvenuto
allo strano visitatore che somigliava tanto a Lazzaro. Vedevano il negretto
sulla soglia, lo stuzzicavano e ridevano; lui rideva con loro.
Il notabile cieco entrò anche lui, allungò la sua grossa mano, tastò le
ginocchia, le cosce, le spalle di Gesù, scosse la testa e scoppiò a ridere.
«Accidenti, ma voi non ci vedete!» gridò ai contadini che avevano
riempito il cortile. «Non è Lazzaro. Non ha lo stesso alito, la sua carne non
è della stessa pasta e sta attaccata alle ossa; un'ascia non riuscirebbe a
separarle.»
Gesù, seduto in cortile, mescolava verità e menzogna, ridendo.
«Non sono Lazzaro, piccoli miei, non abbiate paura, è proprio morto!
Semplicemente mi chiamo anche io Lazzaro, mastro Lazzaro, e faccio il
falegname. Un angelo dalle ali verdi mi ha portato davanti a questa casa e
mi ha fatto entrare!»
Dicendo ciò guardava il negretto, che scoppiava a ridere.
Il tempo scorreva, come acqua di Giovinezza, e abbeverava il mondo.
Le spighe morirono, i grappoli d'uva si misero a brillare, le olive si gon-
fiarono d'olio; e i melograni in fiore si caricarono di frutti. Venne l'autun-
no, poi l'inverno, nacque il figlio. Maria, puerpera, contemplava distesa il
neonato e non si stancava di ammirarlo. Dio mio, come aveva fatto quella
meraviglia a uscire dal suo seno? «Ho bevuto dell'acqua di Giovinezza»,
diceva Maria sorridendo, «ho bevuto dell'acqua di Giovinezza e non mo-
rirò.»
È notte buia, piove, la terra si apre e accoglie il cielo nel suo seno e lo
trasforma in limone. Mastro Lazzaro è sdraiato sui trucioli nella sua bot-
tega, tra le culle e le madie non ancora terminate, nell'ombra fitta; pensa al
figlio appena nato, pensa a Dio, ascolta la pioggia e si rallegra. Per la
prima volta nel suo spirito Dio ha preso forma di un bambino; lo sente
piangere nella camera vicina, lo sente ridere e danzare sulle ginocchia del-
la madre. «Dio era così vicino, dunque», pensa carezzandosi la barba nera,
«i suoi piedi rosati erano così teneri, è così facile fargli il solletico e farlo
ridere, lui, l'onnipotente, basta che le dita dell'uomo lo accarezzino?»
Il negretto che faceva finta di dormire nell'angolo opposto, accanto alla
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porta, sbadigliò. Udiva sorridendo i movimenti del neonato, soddisfatto.
Ora, di notte, ora che nessuno lo vedeva, era ridiventato angelo; aveva
spiegato le sue ali verdi sui trucioli e riposava.
«Gesù», bisbigliò nel buio, «Gesù, dormi?»
Gesù fece finta di non sentire, perché gli piaceva molto sentire, senza
parlare, nel silenzio della notte, il figlio appena nato. Si limitò a sorridere.
Si era affezionato molto a quel negretto; tutto il giorno gli faceva le com-
missioni, l'aiutava a lavorare il legno e la sera, quando il lavoro s'interrom-
peva, sedeva sul gradino della porta e suonava il flauto; Gesù l'ascoltava e
dimenticava la stanchezza della giornata. Quando spuntava la prima stella,
mangiavano tutti assieme alla stessa tavola e il negretto non smetteva di
ridere, di scherzare, di prendere in giro l'infelice Marta, di stuzzicarla sulla
sua verginità, raddoppiando le risate.
«Noialtri, laggiù, nel mio paese, in Barberia», diceva guardando Marta
con un'aria maliziosa, «se ci brucia dentro di fare qualcosa, non lo nascon-
diamo, non ci avveleniamo il sangue, come voialtri Ebrei. Ho voglia di
mangiare una banana, che sia mia o di un altro, che differenza fa? La man-
gio; voglio nuotare, nuoto; voglio baciare una donna, la bacio. Il nostro
Dio non ci sgrida, è anche lui nero, ama i neri, porta anelli d'oro alle orec-
chie e fa anche lui quello che vuole. È il nostro grande Fratello e abbiamo
tutti e due la stessa madre, la Notte.»
«E muore, il vostro Dio, negretto?» gli chiese una sera Marta per stuz-
zicarlo.
«Finché ci sarà un nero vivo, vivrà!» rispose lui chinandosi a solleti-
carle la pianta dei piedi.
Tutte le sere, quando si spegnevano le luci, l'angelo custode spiegava le
ali al buio e veniva a sdraiarsi accanto al suo compagno. Parlavano sotto-
voce per non essere sentiti e l'angelo dava dei consigli per l'indomani. Poi
ritornava negretto, si trascinava nei trucioli e si addormentava.
Ma quella sera non aveva sonno.
«Gesù», ripeté più forte, «Gesù, dormi?»
Vedendo che non riceveva risposta, si alzò. Si avvicinò a Gesù e lo
scosse:
«Ehi, mastro Lazzaro, lo so che non dormi. Perché non rispondi?»
«Non ho voglia di parlare, sono felice», rispose Gesù, e chiuse gli oc-
chi.
«Sei contento di me?» chiese l'angelo gonfiando il petto. «Hai qualcosa
da rimproverarmi?»
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«Niente, figlio, niente... Il mio cuore si è scaldato.» Si sollevò. «Quanto
mi ero ingannato», mormorò, «che deserto, che erta salita fiancheggiata di
precipizi avevo intrapreso per trovare Dio! Gridavo, la mia voce riecheg-
giava nella montagna deserta, tornava a me e io credevo che fosse una
risposta!»
L'angelo si mise a ridere.
«Da soli non si può trovare Dio, bisogna essere in due, un uomo e una
donna. Tu non lo sapevi, te l'ho insegnato io. Così, con Maria, tu hai tro-
vato Dio, che cercavi da tanti anni. Ora sei seduto nell'oscurità, lo senti
ridere e piangere e sei felice...»
«È quello Dio, è quello l'uomo, ecco la strada», mormorò Gesù
chiudendo di nuovo gli occhi.
La sua vita passata gli attraversò lo spirito come un lampo, sospirò. Al-
lungò la mano e incontrò quella dell'angelo.
«Angelo custode», disse, teneramente, «figlio mio, se non fossi venuto
tu io sarei stato perso. Non lasciarmi mai più.»
«Non me ne andrò, non temere. Non ti lascio: tu mi piaci.»
«Quanto durerà questa felicità?»
«Finché io sarò con te, finché tu sarai con me, Gesù di Nazareth.»
«Eternamente?»
L'angelo sorrise.
«Che vuol dire eternamente? Non sei ancora riuscito a liberarti dei pa-
roloni, Gesù di Nazareth? Dei paroloni, delle grandi idee, dei regni dei
cieli? Neppure tuo figlio è riuscito a guarirti, allora?»
Batté l'impiantito col pugno.
«Eccolo il regno dei cieli, è la terra. Eccolo Dio, è tuo figlio. Eccola
l'eternità, è ogni istante, Gesù di Nazareth, ogni istante che passa. L'istante
non ti basta? Allora, sappilo, neppure l'eternità ti basterà.»
Tacque. Dei passi leggeri risonarono nel cortile, piedi nudi che si avvi-
cinavano.
«Chi è?» disse Gesù alzandosi.
«Una donna», rispose l'angelo sorridendo. Andò a tirare il chiavistello
della porta.
«Che donna?»
L'angelo agitò il dito come per rimproverarlo.
«Te l'ho già detto, l'hai dimenticato? Non ci sono al mondo due donne,
ce n'è una sola. Una con innumerevoli facce. È una di queste facce che
arriva. Alzati ad accoglierla. Io me ne vado.»
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Strisciò come un serpente tra i trucioli e scomparve.
I piedi nudi si fermarono davanti alla porta. Gesù si girò verso il muro,
abbassò le palpebre e fece finta di dormire. Una mano spinse la porta,
l'aprì. Una donna scivolò nella bottega, trattenendo il respiro. Camminava
lentamente; arrivò nell'angolo dove Gesù era sdraiato e, senza parlare,
senza far rumore, si accoccolò ai suoi piedi.
Gesù sentì il calore della donna salirgli ai piedi, alle ginocchia, alle co-
sce, al cuore, alla gola. Allungò la mano, trovò le trecce della donna, cercò
nel buio il suo viso, la gola, il petto. Lei si inarcava, piena di speranza, di
sottomissione, e taceva. Tremava soltanto, e su tutto il suo corpo il sudore
si imperlava come brina.
Con voce flebile e tenera, piena di compassione, l'uomo parlò.
«Chi sei?»
La donna tremava e taceva. Gesù si pentì d'averla interrogata, aveva
dimenticato ancora una volta le parole dell'angelo. Che gli importava di sa-
pere il suo nome, da dove veniva, il disegno, il colore, la bellezza o la brut-
tezza del suo viso? Era il volto femminile della terra, il suo petto era op-
presso, una folla di figli e di figlie erano in lei, che soffocavano e non riu-
scivano a uscire, e lei era venuta a trovare l'uomo perché aprisse loro la
via. Il cuore di Gesù traboccò di compassione.
«Sono Ruth», mormorò la donna, tremando.
«Ruth? Quale Ruth?»
«Marta.»
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Gesù era seduto nel cortile sotto l'antico pergolato; la lunga barba bian-
ca gli scendeva sul petto scoperto. Era il giorno di Pasqua; si era lavato,
aveva messo degli abiti puliti, si era profumato i capelli, la barba, le ascel-
le; la porta era chiusa, non c'era nessuno accanto a lui; le sue donne, i figli
e i nipoti ridevano nella casa, e il negretto, fin dall'alba arrampicato sul
tetto della casa, guardava verso Gerusalemme, silenzioso e corrucciato.
Gesù si guardò le mani, erano diventate troppo grosse e deformate; le
vene, azzurre e secche, sporgevano, e su tutti e due i dorsi la vecchia ferita
misteriosa aveva cominciato a cancellarsi e a sparire... Scosse la testa bian-
ca e sospirò:
«Come sono passati in frettagli anni, come sono invecchiato! Le mie
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donne sono invecchiate anche loro, e gli alberi della mia corte, e le porte e
le finestre, e le pietre che calpesto...»
Ebbe paura. Chiuse gli occhi. Senti scorrere dalla sommità della testa,
attraversando la gola, il petto, le reni, le gambe, e perdendosi sotto i piedi,
come acqua, il Tempo.
Udì dei passi nel cortile e aprì gli occhi: era Maria. L'aveva visto spro-
fondato nei pensieri ed era venuta a sedersi ai suoi piedi. Gesù le posò una
mano sui capelli, quei capelli un tempo corvini e divenuti anch'essi tutti
bianchi. Una tenerezza invincibile s'impadronì dì lui: «Tra le mie mani è
incanutita», pensò, «tra le mie mani è incanutita...» Si chinò e le parlò:
«Quante volte, Maria amata, ti ricordi ? Quante volte le rondini sono
tornate, dal giorno benedetto in cui ho attraversato da padrone la soglia
della vostra casa? In cui ho aperto da padrone il tuo seno, Maria? Quante
volte abbiamo fatto semina, messe, raccolta delle olive insieme? I tuoi
capelli sono diventati bianchi, Maria, delicata sposa, quelli di Marta la
valorosa, si sono fatti bianchi anche loro».
«Sì, mio amato, siamo incanutiti», rispose Maria; «gli anni passano...
Questo pergolato, che ci ripara adesso, l'abbiamo piantato l'anno che è
venuto il maledetto gobbo che ti aveva gettato il malocchio e ti aveva fatto
svenire, ti ricordi? Da quanti anni ormai mangiamo i suoi grappoli?»
Il negretto scivolò senza far rumore dal muro della terrazza e si piazzò
davanti a loro. Maria si alzò e se ne andò. Non amava quello strano ser-
vitore; non cresceva, non invecchiava, non era un uomo, era uno spirito,
uno spirito maligno, era entrato nella casa e non voleva più andarsene; i
suoi occhi neppure, schernitori e audaci, le piacevano, né le conversazioni
a bassa voce che aveva con Gesù di notte.
Il negretto si avvicinò, con gli occhi pieni di scherno e i denti che scin-
tillavano, bianchi e aguzzi.
«Gesù di Nazareth», bisbigliò, «ora la fine è vicina.»
Gesù si volse, sorpreso:
«Che fine?»
Il negretto si mise un dito sulle labbra.
«La fine è vicina», ripeté. Si accovacciò davanti a Gesù e lo guardò ri-
dendo.
«Vuoi lasciarmi?»
Gesù provò all'improvviso una gioia, un sollievo.
«Sì, è la fine. Perché ridi, Gesù di Nazareth?»
«Buon viaggio, negretto. Quello che volevo l'ho avuto; non ho più
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bisogno di te.»
«È così che ti separi da me, ingrato? Invano dunque ho penato per te,
per tanti anni, per darti tutte le gioie che desideravi?»
«Se avevi l'intenzione di annegarmi, come un'ape, nel miele, hai perso il
tuo tempo, negretto. Ho mangiato miele fino a saziarmi, finché ho potuto,
ma non mi ci sono bagnato le ali.»
«Che ali, illuminato?»
«La mia anima.»
Il negretto fece una risata cattiva.
«Credi di avere un'anima, povero infelice?»
«Sì. Non ha bisogno di angeli custodi né di negretti; è libera.»
L'angelo custode s'infuriò.
«Ribelle!» urlò. Afferrò un sasso da terra, lo strinse tra le mani, lo
ridusse in polvere che disperse nel vento.
«Sta bene», disse, «vedremo.» E si diresse verso la porta imprecando.
FINE
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