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1. Un testo di partenza
Luca 12-13 presenta una sequenza di cose dette a tutti e di cose dette ai
discepoli alternativamente:
Lc 12,1 h[rxato levgein pro;" tou;" Cominciò a dire prima di tutto ai suoi
maqhta;" aujtou' prw'ton 1 discepoli:
Guardatevi dal lievito dei farisei, che è
ipocrisia…
Dico poi a voi, amici miei: Non abbiate
paura di quelli che uccidono il corpo…
Dico poi a voi: Chiunque mi confessa
davanti agli uomini … davanti agli angeli
di Dio.
Lc 12,13 Ei\pen dev ti" ejk tou' Gli disse poi uno della folla…
o[clou aujtw'/
oJ de; ei\pen aujtw'/ Gli rispose…
Ei\pen de; parabolh;n Disse poi la seguente parabola per essi…
pro;" aujtou;" levgwn Così è colui che ammassa tesori per se
stesso e non diventa ricco per Dio.
1. N. Geldenhuys, Commentary on the Gospel of Luke, Grand Rapids, Michigan 1979, an-
nota che prw'ton potrebbe essere l’inizio del discorso; contrario, con riserva, W. Hendriksen,
Exposition of the Gospel According to Luke, Grand Rapids, Michigan 1988, 658-659. M.-J.
Lagrange, Evangile selon Saint Luc, Paris, 3 ed., 1927, 351, è uno dei pochi che nota il
passaggio alternato del discorso dai discepoli alla folla.
LA 42 (1992) 85-108
86 A. NICCACCI
Lc 12,41 Ei\pen de; oJ Pevtro", Disse poi Pietro: Signore, è per noi che
Kuvrie, pro;" hJma'" th;n dici questa parabola o anche per tutti? 2…
parabolh;n tauvthn A chiunque è stato dato molto, molto sarà
levgei" h] kai; pro;" chiesto a lui…
pavnta"… Pensate che è la pace che sono venuto a
porre nella terra? No, vi dico, ma piuttosto
la divisione…
2. “Noi” indica i discepoli che seguono Gesù da vicino; “tutti” si riferisce agli ascoltatori in
generale. E’ l’opposizione tra il gruppo degli intimi e la folla degli ascoltatori che si verifica
nella predicazione in parabole. Le opinioni dei commentatori non sono concordi al riguardo.
3. Una traduzione del tipo “He also said to the crowds” (J.S. Kloppenborg, Q Parallels.
Synopsis, Critical Notes & Concordance, Sonoma, California 1988, 145), oppure “Diceva
ancora alle folle” (versione ufficiale della CEI), oscura l’alternanza degli indirizzati. Bene
invece Lagrange: “Il disait aussi pour la foule”, il quale annota: “La petite introduction
n’indique pas un nouveau sujet, mais plutôt une conclusion” (p. 375; differentemente a p.
430 a proposito di 16,1). Tale annotazione riveste una certa importanza in vista di ciò che
si dirà nel paragrafo seguente.
4. Normalmente le frasi introduttive dei discorsi vengono studiate dagli specialisti in quan-
to sono o non sono caratteristiche di uno o dell’altro degli evangelisti, senza chiamare in
causa la funzione delle forme verbali che vi compaiono. Ad esempio, l’introduzione e[legen
dev è caratteristica lucana secondo J. Jeremias, Die Sprache des Lukasevangeliums. Redak-
tion und Tradition in Nicht-Markusstoff des dritten Evangeliums, Göttingen 1980, 33. 224.
5. I commentatori, di solito, non vedono alcun collegamento ampio all’interno di Lc 12-13,
o lo vedono in modo diverso; si può consultare Hendriksen, 535-538. Per Lagrange, 351, il
tema generale è la salvezza che ormai bisogna porre al di sopra di tutto.
DALL’AORISTO ALL’IMPERFETTO 87
2. Aoristo e imperfetto
6. E’ imbarazzante per me leggere l’opposto di quanto viene qui affermato in un’opera re-
cente sul verbo greco che usa la medesima terminologia: “It is noteworthy that in Greek the
basic narrative is laid down by the 3d Person Aorist, a common trait of the background
tense, while the Imperfect/Present introduces significant characters or makes appropriate
climatic reference to concrete situations, typical of the foreground tense. Also, when an
extended noteworthy description is given, the foreground tense is used” (S.E. Porter, Verbal
Aspect in the Greek of the New Testament, with Reference to Tense and Mood, New York -
Bern - Frankfurt a.M. - Paris 1989, 92); e più avanti: “The Aorist provides the backbone
for the narrative by describing a series of complete events (…)” (p. 206). Non capisco come
l’aoristo possa introdurre la “basic narrative” e insieme essere “the background tense”,
esprimere il “backbone” e insieme “framework” di una narrazione. Indicazioni migliori,
benché ugualmente legate all’aspetto del verbo (ritenuto elemento secondario nella presen-
te trattazione), si trovano in Smyth e più recentemente in Fanning (infra, § 3).
88 A. NICCACCI
Gn 3,14 ≥≥≥ vj;N:h'Ala, µyhiløa‘ h/;hy“ rm,aYow" Allora Yahveh Dio disse al serpente …
Gn 3,16 ≥≥≥ rm'a; hV;aih;Ala, Alla donna, invece, disse …
Gn 3,17 ≥≥≥ rm'a; µd:a;l]W All’uomo, invece, disse …
Lc 12,41 Disse poi Pietro: Signore, è per noi che dici questa parabola
o anche per tutti?
9
Lc 12,42-53 (Gesù parla ai discepoli con la parabola dell’amministratore)
Lc 12,54 Diceva poi anche alle folle…
legate tra di loro dal punto di vista sintattico (la seconda esige la prima) e
riferite allo stesso argomento (le due si completano a vicenda). Cito un al-
tro caso di questo genere in Luca:
Si possono citare altri casi analoghi in Luca: 6,3 (“disse Gesù”) → 6,5 (“e
diceva loro…”); 9,18-22 (“li interrogò … dissero … disse … disse … or-
dinò”) → 9,23 (“diceva poi a tutti…”); 10,1 (“designò altri settantadue e li
mandò”) → 10,2 (“diceva poi ad essi…”). Cito anche un paio di casi fuori
di Luca : Mc 7,6 (“egli disse loro”) → 7,9 (“e diceva loro…”); Gv 12,30
(“Gesù rispose e disse”) → 12,33 (“questo poi lo diceva significando…”).
Un fenomeno analogo fu notato, più di mezzo secolo fa, da Joüon in
un passo della Lettera di Aristea (§§ 187-300) in cui il re Tolomeo pone
una serie di domande ai settanta traduttori della Legge:
Joüon osserva che questi imperfetti non si possono spiegare con il senso
normale di azione durativa; per cui postula un imperfetto di continuazione
e propone di tradurre: “il interrogea encore” (p. 94). Per Joüon questa fun-
zione continuativa si spiega nel quadro del valore durativo dell’imperfetto,
mentre secondo la posizione sostenuta nel presente articolo, il valore
durativo non rappresenta la funzione primaria dell’imperfetto; in altre pa-
role, l’imperfetto che segue un aoristo non ha funzione di continuazione
ma di sfondo, perché non si colloca sul medesimo livello sintattico
dell’aoristo ma ne dipende (§ 3).
10. P. Joüon, “Imparfaits de ‘continuation’ dans la Lettre d’Aristée et dans les Evangiles”,
RSR 28 (1938) 93-96 (p. 93). Tra i passi dei vangeli in cui si verifica il medesimo feno-
meno Joüon cita, oltre quelli che ho segnalato sopra, i seguenti: Mc 8,34 (aoristo) → 9,1
(imperfetto); 14,60 → 61; 15,2 → 4; 15,9 → 12. 14; Lc 5,34 → 36; 12,42 → 54; 13,2 →
6; 13,15 → 18; 14,5 → 7; 17,37 → 18,1; 23,40 → 42; Gv 8,13 → 19. 22. 23. 25. 31;
6,61 → 65.
DALL’AORISTO ALL’IMPERFETTO 91
3. Considerazione teorica
A questo punto osserviamo anzitutto, per motivi di metodo, che nel corso
di queste considerazioni, non ci occuperemo più dell’“aspetto” o della
“natura dell’azione”. Questi concetti, checché essi possano voler signifi-
care secondo i singoli studiosi, si riferiscono alla frase. Qui, viceversa, si
pone il quesito quale sia la funzione di questi tempi verbali in un testo.
Giacché nella lingua francese l’imparfait e il passé simple sono tempi nar-
rativi, si indaga quale è la loro funzione nelle narrazioni. Essi danno, per
l’appunto, rilievo a una narrazione articolandola in senso ricorrente in pri-
mo piano e sfondo. Nella narrazione l’imparfait è il tempo dello sfondo e
il passé simple il tempo del primo piano.
Che cosa sia nella narrazione lo sfondo e che cosa sia il primo piano
non è cosa che si può dire una volta per tutte se non si è ancora ammes-
sa la proposizione inversa, secondo la quale è sfondo tutto ciò che sta
all’imparfait e primo piano tutto ciò che sta al passé simple. Per ciò che
riguarda la distribuzione dell’imparfait e del passé simple nella narrazio-
ne non si hanno leggi immutabili, tranne che essi fondamentalmente ap-
paiono mescolati. La loro distribuzione dipende, in ogni singolo caso, dal
criterio del narratore, la cui libertà viene però limitata da alcune strutture
fondamentali dell’atto stesso del narrare. (Weinrich, Tempus, 128; corsi-
vi dell’autore)
The imperfect highlights the manner of occurrence while the aorist merely
relates the fact of it. This distinction can show up in contrasting paragraphs
or larger sections each containing predominantly aorists or imperfects, or as
a mixture of aorists and imperfects within the same paragraphs. In these
larger units, strings of imperfects give a tone of vivid, lively description
(which as a consequence seems to move more slowly), while aorists give a
straightforward recounting which moves along more rapidly (…)
On the other hand, the contrast of progressive imperfects with aorists may
involve the temporal feature of simultaneous vs. sequential occurrence.
The imperfect can be used of particular situations which were going on at
the same time as another event, while an aorist usually involves an
occurrence which took place in its entirety before the next situation
narrated and thus sets up a sequence of events. 13
12. H.W. Smyth, Greek Grammar, ed. G.M. Messing, Cambridge, Massachusetts 1956, §
1909. Secondo l’autore, la “subordinazione” sembra essere di tipo logico (un’azione è su-
bordinata a un’altra) non sintattico (una forma verbale è subordinata all’altra). La sua os-
servazione è comunque un passo nella direzione giusta.
13. B.M. Fanning, Verbal Aspect in New Testament Greek, Oxford 1990, 244. Tale volume
porta quasi lo stesso titolo, ed è uscito quasi nello stesso tempo di quello di Porter, che in-
fatti non viene citato da Fanning.
14. Tra gli esempi più chiari citati figura la frase giovannea ejkei'no" de; e[legen… (Gv 2,21
ecc.). Fanning rimanda a Mateos, Aspecto verbal, 107, ma francamente questo volume non
aiuta granché sull’argomento. Fanning conclude che i verbi di dire o di ordinare non pre-
sentano alcuna caratteristica speciale rispetto ad altri verbi.
94 A. NICCACCI
4. Imperfetto di sfondo
15. L. Renzi - G. Salvi, ed., Grande grammatica italiana di consultazione. II. I sintagmi
verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione, Bologna 1991, 73-74. 75. “Tempo” con
iniziale maiuscola sta a indicare il tempo verbale, distinto dal tempo fisico (p. 13); il termi-
ne “perfetto” viene preferito alla designazione tradizionale “passato”: “perfetto semplice”
per passato remoto, “perfetto composto” per passato prossimo (p. 15). E’ giusto che lonta-
nanza e vicinanza sono “spuri criteri semantici”; ma neppure la terminologia perfetto/ im-
perfetto è inattaccabile. Privilegia infatti il criterio dell’aspetto, che è pure semantico e va
ritenuto secondario, anche se non è possibile farne a meno del tutto (infra; nota 25).
16. Sulla subordinazione si veda la parte quarta dell’opera di Renzi - Salvi appena citata.
DALL’AORISTO ALL’IMPERFETTO 95
primo piano (aoristo) allo sfondo (imperfetto), come abbiamo già segnalato.
Talvolta però aoristo e imperfetto si seguono immediatamente e sono persi-
no collegati dalla congiunzione kaiv. I fautori della teoria dell’aspetto spiega-
no il fenomeno in base alla qualità dell’azione: le due forme verbali
indicano, rispettivamente, azione unica e puntuale e azione continuata o ripe-
tuta. Abbiamo però osservato sopra che l’aspetto non è la funzione principa-
le dell’imperfetto; dobbiamo chiederci perciò se non sia possibile spiegare
anche quel fenomeno con i principi dell’analisi proposta, cioè come un pas-
saggio dal primo piano allo sfondo. Consideriamo alcuni esempi:
17. Bene, sembra, la traduzione di Vaccari: “man mano li dava”, che esprime contem-
poraneità all’azione dello spezzare; meno bene il commento di Zerwick a questo passo (M.
Zerwick, Graecitas biblica Novi Testamenti exemplis illustratur, Roma, 5 ed., 1966, § 271).
Se fosse vero ciò che Zerwick scrive: “Sunt autem quaedam verba, quae ex natura sua
tendant ad hoc, ut in imperfecto ponantur. Huc pertinent 1) verba dicendi, ubi orationem
directam (imprimis longiorem) introducunt … Ita Sermo Montanus ejdivdasken aujtou;"
levgwn (Mt 5, 2) …” (§ 272), sarebbe da chiedersi per quale motivo il discorso escatologico,
anch’esso lungo, sia introdotto da un aoristo (Mt 24,2). Altre caratteristiche imposte all’im-
perfetto sono semantiche, costruite ad hoc, non hanno base sintattica (ad esempio, Zerwick,
§§ 272-273). E’ invece giusto, quanto alla sostanza, quello che Zerwick osserva più avanti:
“Imperfectum imprimis adhibetur de actione quae consideratur coepta et durans alia actione
intercedente …” (§ 275). Questo vuol dire che l’imperfetto indica relazione di contempo-
raneità, o più generalmente di dipendenza, dall’aoristo; questo e nient’altro.
96 A. NICCACCI
18. Una sequenza simile, in italiano, è quella analizzata in Renzi - Salvi, ed., Grande gram-
matica italiana, II, 77-78: “Miro girò l’interruttore. La luce lo abbagliava”. A differenza di
quella greca, essa è però asindetica.
DALL’AORISTO ALL’IMPERFETTO 97
Lc 13,10-11 «Hn de; didavskwn ejn mia'/ tw'n Stava poi insegnando in una
sunagwgw'n ejn toi'" savbbasin. delle sinagoghe di sabato.
kai; ijdou; gunh; pneu'ma e[cousa Ed ecco una donna che aveva
ajsqeneiva" e[th dekaoktw; uno spirito di infermità da
kai; h\n sugkuvptousa kai; mh; diciotto anni,
dunamevnh ajnakuvyai eij" to; era curva e non poteva
pantelev". raddrizzarsi in nessun modo.
Lc 13,12 ijdw;n de; aujth;n oJ ∆Ihsou'" Vistala Gesù la chiamò e le
prosefwvnhsen kai; ei\pen disse…
aujth'…/
dei tempi dello sfondo costituisce il rilievo della narrazione. Quello che
occupa il primo piano è il “fatto inaudito”, ciò che ritiene l’attenzione del
lettore/ ascoltatore; quello che viene posto nello sfondo rappresenta la cor-
nice e il supporto di esso.
Per quanto riguarda la narrazione italiana, la situazione è delineata bene
nella citazione che segue:
21. Bagioli - Deon, “Il tempo verbale nel testo”, 73 (il testo citato è della Bagioli).
22. Niccacci, Lettura sintattica. I criteri sono esposti nel § 7.
100 A. NICCACCI
23. Non sottolineo gli imperfetti che compaiono in frasi dipendenti, come in Gv 11,6 (ejn w|/
h\n tovpw/).
DALL’AORISTO ALL’IMPERFETTO 101
6.1. Giovanni 11
1 «Hn dev ti" ajsqenw'n, Lavzaro" ajpo; Bhqaniva", ejk th'" kwvmh" Mariva" kai;
Mavrqa" th'" ajdelfh'" aujth'".
2 h\n de; Maria;m hJ ajleivyasa to;n kuvrion muvrw/ kai; ejkmavxasa tou;" povda"
aujtou' tai'" qrixi;n aujth'", h|" oJ ajdelfo;" Lavzaro" hjsqevnei.
3 ajpevsteilan ou\n aiJ ajdelfai; pro;" aujto;n levgousai,
lll
9 ajpekrivqh ∆Ihsou'",
Oujci; dwvdeka w|raiv eijsin th'" hJmevra"…
llllllllllllllllll
ejavn ti" peripath'/ ejn th'/ hJmevra/, ouj proskovptei, o{ti to; fw'" tou'
kovsmou touvtou blevpei:
10 eja;n dev ti" peripath'/ ejn th'/ nuktiv, proskovptei, o{ti to; fw'" oujk
e[stin ejn aujtw'/.
11 tau'ta ei\pen, kai; meta; tou'to levgei aujtoi'",
Lavzaro" oJ fivlo" hJmw'n kekoivmhtai: ajlla; poreuvomai i{na ejxupnivsw
llllll
aujtovn.
12 ei\pan ou\n oiJ maqhtai; aujtw'/,
lll
15 kai; caivrw di∆ uJma'" i{na pisteuvshte, o{ti oujk h[mhn ejkei':
ajlla; a[gwmen pro;" aujtovn.
16 ei\pen ou\n Qwma'" oJ legovmeno" Divdumo" toi'" summaqhtai'",
lll
17 ∆Elqw;n ou\n oJ ∆Ihsou'" eu|ren aujto;n tevssara" h[dh hJmevra" e[conta ejn tw'/ mnhmeivw./
18 h\n de; hJ Bhqaniva ejggu;" tw'n ÔIerosoluvmwn wJ" ajpo; stadivwn dekapevnte.
19 polloi; de; ejk tw'n ∆Ioudaivwn ejlhluvqeisan pro;" th;n Mavrqan kai;
Maria;m i{na paramuqhvswntai aujta;" peri; tou' ajdelfou'.
20 hJ ou\n Mavrqa wJ" h[kousen o{ti ∆Ihsou'" e[rcetai uJphvnthsen aujtw'/: Maria;m
⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄
de; ejn tw'/ oi[kw/ ejkaqevzeto.
21 ei\pen ou\n hJ Mavrqa pro;" to;n ∆Ihsou'n,
Kuvrie, eij h\" w|de oujk a]n ajpevqanen oJ ajdelfov" mou:
llllll
22 ªajlla;º kai; nu'n oi\da o{ti o{sa a]n aijthvsh/ to;n qeo;n dwvsei soi oJ qeov".
23 levgei aujth'/ oJ ∆Ihsou'",
∆Anasthvsetai oJ ajdelfov" sou.
lll
levgousin aujtw'/,
Kuvrie, e[rcou kai; i[de.
lll
35 ejdavkrusen oJ ∆Ihsou'".
⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄
36 e[legon ou\n oiJ ∆Ioudai'oi,
“Ide pw'" ejfivlei aujtovn.
lll
41 h\ran ou\n to;n livqon. oJ de; ∆Ihsou'" h\ren tou;" ojfqalmou;" a[nw kai; ei\pen,
Pavter, eujcaristw' soi o{ti h[kousav" mou.
llllllllllllll
⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄
kai; hJ o[yi" aujtou' soudarivw/ periedevdeto.
levgei aujtoi'" oJ ∆Ihsou'",
lll
⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄⁄
47 sunhvgagon ou\n oiJ ajrcierei'" kai; oiJ Farisai'oi sunevdrion kai; e[legon,
Tiv poiou'men o{ti ou|to" oJ a[nqrwpo" polla; poiei' shmei'a…
llllllllllllll
49 ei|" dev ti" ejx aujtw'n Kai>avfa", ajrciereu;" w]n tou' ejniautou' ejkeivnou, ei\pen
aujtoi'",
lllllllllll
ÔUmei'" oujk oi[date oujdevn,
50 oujde; logivzesqe o{ti sumfevrei uJmi'n i{na ei|" a[nqrwpo" ajpoqavnh/ uJpe;r
tou' laou' kai; mh; o{lon to; e[qno" ajpovlhtai.
51 tou'to de; ajf∆ eJautou' oujk ei\pen, ajlla; ajrciereu;" w]n tou' ejniautou' ejkeivnou
ejprofhvteusen o{ti e[mellen ∆Ihsou'" ajpoqnhv/skein uJpe;r tou' e[qnou",
52 kai; oujc uJpe;r tou' e[qnou" movnon ajll∆ i{na kai; ta; tevkna tou' qeou' ta;
dieskorpismevna sunagavgh/ eij" e{n.
53 ajp∆ ejkeivnh" ou\n th'" hJmevra" ejbouleuvsanto i{na ajpokteivnwsin aujtovn.
54 ÔO ou\n ∆Ihsou'" oujkevti parrhsiva/ periepavtei ejn toi'" ∆Ioudaivoi",
ajlla; ajph'lqen ejkei'qen eij" th;n cwvran ejggu;" th'" ejrhvmou, eij" ∆Efrai;m
legomevnhn povlin, kajkei' e[meinen meta; tw'n maqhtw'n.
55 «Hn de; ejggu;" to; pavsca tw'n ∆Ioudaivwn, kai; ajnevbhsan polloi; eij"
ÔIerosovluma ejk th'" cwvra" pro; tou' pavsca i{na aJgnivswsin eJautouv".
56 ejzhvtoun ou\n to;n ∆Ihsou'n kai; e[legon met∆ ajllhvlwn ejn tw'/ iJerw'/
eJsthkovte",
lll
Tiv dokei' uJmi'n… o{ti ouj mh; e[lqh/ eij" th;n eJorthvn…
57 dedwvkeisan de; oiJ ajrcierei'" kai; oiJ Farisai'oi ejntola;" i{na ejavn ti" gnw'/
pou' ejstin mhnuvsh/, o{pw" piavswsin aujtovn.
6.2. Osservazioni
kai; ajnevbhsan polloi; eij" ÔIerosovluma ejk th'" cwvra" pro; tou' pavsca i{na
aJgnivswsin eJautouv".
56 ejzhvtoun ou\n to;n ∆Ihsou'n kai; e[legon met∆ ajllhvlwn ejn tw'/ iJerw'/
eJsthkovte",
lll
Tiv dokei' uJmi'n… o{ti ouj mh; e[lqh/ eij" th;n eJorthvn…
57 dedwvkeisan de; oiJ ajrcierei'" kai; oiJ Farisai'oi ejntola;" i{na ejavn ti" gnw'/
pou' ejstin mhnuvsh/, o{pw" piavswsin aujtovn.
In questa seconda analisi dei vv. 54-57, per due volte si verifica la tran-
sizione temporale: imperfetto di antefatto → ajllav/ kaiv + aoristo, una tran-
sizione simile, ma inversa, a quella esaminata sopra: aoristo → kaiv +
imperfetto di sfondo (§ 4). Si produce un passaggio altrettanto brusco, con
l’imperfetto che si appoggia alla forma di primo piano che segue. In italia-
no si può tradurre senza problemi: “Per questo motivo Gesù non circolava
più apertamente tra i giudei ma andò da lì alla regione vicino al deserto…
Intanto era vicina la pasqua dei giudei e molti salirono a Gerusalemme da
quella regione…” 24.
Nel complesso, in Gv 11 si contano 32 blocchi di testo nella linea nar-
rativa principale (livello 1), 8 (oppure 10) blocchi nella linea secondaria
(livello 2) e 29 blocchi a discorso diretto (livello 3). Benché le parti a dia-
logo siano davvero numerose, la narrazione è compatta e si muove rapida-
mente. Infatti le parti a dialogo vengono agganciate al livello principale
dalle formule introduttive che utilizzano forme verbali di primo piano
(aoristo e presente storico), eccetto una volta alla fine (v. 56). Troviamo
forme verbali di livello secondario nell’inizio (antefatto) e nella fine (con-
clusione); di quelle che compaiono nel corpo della narrazione, nessuna in-
terrompe seriamente la linea principale della comunicazione. Le forme di
livello secondario servono a disseminare, lungo la narrazione serrata e ca-
rica di tensione, circostanze con funzione esplicativa o ritardante: amore di
Gesù (v. 5), suo riferimento alla morte (v. 13), distanza di Betania e pre-
senza di molti giudei (v. 18-19), posizione di Gesù (v. 30), descrizione del
sepolcro (v. 38b).
In fondo, il capitolo esaminato può essere considerato rappresentativo
della narrativa giovannea: rapida, diretta, con molti dialoghi.
24. Si confronti: “Suonavano le 8 ed egli si alzò” (Renzi - Salvi, ed., Grande grammatica
italiana, II, 77). Questa frase presenta una forma di subordinazione testuale reale benché
implicita; con subordinazione esplicita si direbbe: “Quando suonavano le 8, egli si alzò”,
che è frase equivalente a quella citata. Si veda quanto detto sopra (§ 4 fine).
DALL’AORISTO ALL’IMPERFETTO 107
7. Conclusione
25. Weinrich è categorico al riguardo (si veda il testo citato sopra, al § 3), forse fin troppo.
Io penso che la semantica non si possa escludere del tutto; dev’essere però un criterio su-
bordinato, non primario. Weinrich, probabilmente, reagisce a un malcostume purtroppo
108 A. NICCACCI
frequente nell’analisi sintattica, che si può esemplificare nel modo seguente: l’imperfetto (o
altra forma verbale) nei vari contesti indica questo aspetto, si traduce con questa forma ver-
bale, dunque l’imperfetto ha questa funzione. Si aggiunga che tutto il processo è spesso
infarcito di “esegetismi” non sempre di ottima lega, per cui si costringe una forma verbale
ad esprimere tutto quello che passa nella mente dell’interprete. Per essere corretto il proce-
dimento dell’analisi sintattica dev’essere rovesciato: prima esaminare la morfologia del ver-
bo e la proposizione in cui esso compare (livello grammaticale), poi il collegamento delle
proposizioni nel testo (livello sintattico e linguistico-testuale) allo scopo di scoprire la fun-
zione di ciascuna delle forme verbali; dopo, e solo dopo, trovare la forma verbale che svol-
ge la medesima funzione nella lingua della traduzione. Nessun livello di analisi può essere
separato dall’altro. Il testo è l’ambiente vitale dell’analisi. Una lingua si impara sui testi,
non sulle grammatiche. Ringrazio i colleghi Lino Cignelli e G. Claudio Bottini per la revi-
sione del presente scritto, anche se non ho potuto accogliere tutti i loro suggerimenti.