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LA SITUAZIONE PRESENTE

Un abbaglio di Renan

«Una religione fatta per la consolazione interiore di un piccolissimo-


numero d’eletti»: così Renan definisce il Cristianesimo dei due primi
secoli, alla fine della grande opera in cui si era proposto di commentarne
i testi fon dam en taliC i si domanda come ha potuto leggere questi testi,
per arrivare a simile definizione. Certamente non poteva tener conto
della"Didachè, che fu scoperta soltanto due anni dopo la pubblicazione
del suo Marc-Aurèle2. Ma per quanto persuasivo possa essere l’accento
della Didachè, non gli avrebbe fornito niente d’essenzialmente nuovo.
Come ha letto, Renan, repistola ai Romani, l’epistola agli Efesini, o la
prima a Timoteo? 3 E come si spiegava, al di fuori di ogni questione

1Marc-Aurèle, 31 ed., p. 626. Già, nella conclusione del suo Saint "Paul, Renan
parlava di «cet esprit de comité secret» che credeva''discernere nelle prime comunità
cristiane, aggiungendo inoltre, con quella mancanza di serietà che gli è troppo abi­
tuale, che «ce fut justement ce qui constitua la force indestructible de ces Églisesr
et fit d’elles des germes féconds pour l’avenir» (p. 563). V . al contrario J. Zeiller,
Le Royaume de Dieu et l'unité terrestre aux premiers temps du christianisme, nella
«R. apologétique», t. 64 (1937), p. 534-5.
2 La prima edizione del Marc-Aurèle b del 1881, la Didachè fu scoperta nel 1883.
Cfr. H. Delacroix, La Religìon et la Foz (1922), p. 99, che pensa di riassumere
l’esatta dottrina cattolica: «C’est à un moment donne de l’histoire du monde que
le surnaturel a fait irruption dans la nature,..».
3 Cerfaux, La théologie de l’tglise suìvant St. Paul, p. 147, nota: «Il cristianesi­
mo non appariva a Paolo sotto la specie di un’iniziazione a un rito misterioso, ma

231
La situazione presente

d ’autenticità, l'ordine con cui si chiude il Vangelo secondo S. Matteo:


«Insegnate a tutti i popoli»? 4 Non s’è mai imbattuto in certe pagine
degli Atti degli Apostolis, o in questo versetto dell’Apocalisse: «Dopo
di ciò guardai, ed ecco che c’era una grande folla, che nessuno poteva
contare, di ogni nazione, di ogni tribù, di ogni popolo e di ógni lingua»? 6 j
Ha ignorato la grande preghiera della lettera di Clemente romano? ‘
Non è rimasto colpito dalle preoccupazioni universali, di cui testimo­
niano alcune pagine dello stesso Erma o di S. Giustino? Infine, come
ha letto S. Ireneo, la cui ampia dottrina tuttavia non si è formata in
un giorno?
Ciò che resta vero è che all’epoca di Renan l’eco di quest’ampia dot­
trina era molto attutita. Se è vero che essa non fu mai rinnegata, non
tutte le epoche del Cristianesimo hanno avuto la medesima premura di
bere alle sorgenti che non cessano di diffonderla. È leale riconoscerlo. |
Certo, le grandi concezioni tradizionali che abbiamo ora ricordato, non
si dovevano accettare senza critica. Comportavano talvolta dell’arbitra­
rietà, e non si esprimevano sempre con un vocabolario molto studiato.
Bisognava anche prevenire un doppio miraggio, quello d’uno pseudc
misticismo sociale, e quello d'un nuovo millenarismo, che la loro inter­
pretazione superficiale rischiava di suscitare. Per questo, dovevano essere
trovate molte precisazioni, molte distinzioni. D ’altronde la fedeltà a una
tradizione non è mai ripetizione servile. Si imponeva dunque un doppio
lavoro di messa a punto e di adattamento, e la teologia l’ha più volte 1
compiuto con successo. Disgraziatamente questo lavoro indispensabile
talvolta ha perduto di vista il suo soggetto, che consisteva non nel velare
la dottrina o nel dissolverla, ma nel consolidarla e neU’iUuminarla. In
una parte dell’insegnamento corrente, soprattutto in una certa pratica

come un appello a tutta l'umanità. Se è vero che il Battesimo o la Cena potevano


paragonarsi a delle iniziazioni, ciò è sempre con la riserva che riniziazione è quella
■di un popolo nuovo che deve comprendere tutta l'umanità».
4 Mt., 28, 19 e Marco, -13, 32: «Bisogna prima che il Vangelo sia predicato i
a tutti i popoli».
5 Atti, 2, 5: assistevano al miracolo della Pentecoste alcuni «più Ebrei di tutte
le nazioni che sono sotto il cielo», ecc. E la menzione in Luca, 10, dei settantadue
discepoli: tanti quante le nazioni, secondo la tradizione. ebraica.
* Apocal, 7, 9; cfr. 21, 24-26; 22, 17.
~ «Dominus universae carnis... omnis spiritus creator et visitator, qui multiplicas
gentes super terram... Oramus te, Domine..., errantes a populo tuoconverte, ...ut
sciant gentes quoniam tu es Deus solus...», c. 59 (versione latina edita da don Mo-
rin, p. 55).

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Un abbaglio di Renan

in uso— meno per affermazioni formali che per spiacevoli omissioni,


meno per deviazioni positive che per insufficienza di spirito cattolico, e
meno. nell’insegnamento dei Pastori che nelle tesi della Scuola— s'era
infiltrata una dose più o m>eno forte, talvolta fortissima, d’individuali­
sm o8, che uno sforzo assai felice si applica oggi a eliminare un po’
dovunque.
Si è segnalato più di una volta a questo riguardo Tinfiusso congiunto
della logica aristotelica e del diritto romano sulla elaborazione teologica
durante il medioevo9. Questi due ammirevoli strumenti di precisione,
che dovevano essere strumenti di progresso, non erano, effettivamente,
esenti da pericolo. Il diritto romano rischiava d’introdurre nell’esposi­
zione dei misteri uno spirito giuridico molto poco conforme alla loro
natura; e la logica aristotelica si mostrava ribelle alle concezioni orga­
niche e unitarie che avevano trovato da tempo, per certi riguardi, una
alleata nella mentalità platonica. In modo più generale, è certo che l'in­
telligenza logica—-quella dell'homo faber, più che quella dell 'homo sa­
piens— comincia col dividere gli oggetti, col «definirli», e isolarli per.
collegarli insieme artificialmente; e non s meno certo che, nella sua avi­
dità di chiarezza analitica, si spazientisce di ogni idea misteriosa... Con­
dizione della scienza essa comporta un riscatto. Senza dubbio conviene
anche aggiungere che la teologia della storia, che aveva nel pensiero dei
Padri un posto considerevole, non aveva saputo trovarsi— o darsi— la
base indispensabile, una filosofia della storia alquanto sistematizzata; vo­
gliamo dire una filosofia della storia in quanto tale, una filosofia del
tempo umano10. Le indicazioni di Gregorio di Nissa e d’Agostino non
erano che allettanti inizi, non bastavano per portare in chiaro e per im­
porre l ’idea d’una durata spirituale, essenziale per ciascuno e comune a
tutti, nell’interno della quale tutti i nostri atti s’iscrivono in un ordine
concreto. In queìl’imperiosa preoccupazione di razionalità, che è una del­
le sue grandezze, il pensiero medievale doveva dunque fatalmente tra­
scurare un aspetto delle cose che si presentava ancora in maniera così
confusa.
8 La cosa è stata più volte constatata, ed è stata l’oggetto di giudizi severi. Così
Capelle, parlando del dogma della Chiesa, Sposa e Corpo mistico del Cristo: «L’in-
dividualisme avait rongé peu à peu la consdence de ce dogme... Il faut le repren-
dre». Cours et conférences des semaines liturgiques, t. 9, 1931, p. 17.
9 Mersch, op. land., t. 2, p. 158-161; cfr. p. 298-299. Don Rousseau, in Irénikon,
1933, p. 16-17.
10 Indicazioni a tale riguardo in Fessard, Théol. et Histoire: Dieu Vivant, n. 8,
soprattutto pp. 58-65.

233
La situazione presente

Ma con bisogna, esagerare e giudicare da abusi tardivi, che non era­


no inevitabili. Ciò che si perdeva da una parte poteva essere riguada­
gnato dall’altra. Si conoscono, per esempio, le risorse che offriva, me­
diante rifacimento, la morale sociale àt]l,Eiica a Nicomaco11. Più im­
portante, dunque, benché più diffusa e meno direttamente afferrabile,
sembra essere qui l’azione d’una seconda causa. Piuttosto che a deter­
minata concezione particolare, all’uso di certi sistemi filosofici o di certa
tecnica mentale, le deviazioni individualistiche, che si constatano du­
rante questi ultimi secoli, sono dovute a uno sviluppo generale dell’in­
dividualismo. Esse ne sono un aspetto fra cento altri. Si tratta qui' di un
fenomeno universale, che d’altronde è impossibile definire in una for­
mula, come condannare senza distinzioni, e anche circoscrivere in date
precise, benché lo si veda coincidere con la lenta dissoluzione della cri­
stianità medioevale. Senza distinzione di scuole, sarebbe stato impossi­
bile che non avesse posto la sua impronta ugualmente, qua o là, sulla
teologia. Il mondo teologico, per quanto talvolta si creda effettivamente
chiuso alle influenze dell’esterno, non può sempre restare impermeabile
alle correnti del secolo, e non è sempre quando se ne crede meglio pro­
tetto, che vi resiste e con la maggiore efficacia. Accade che queste cor­
renti lo penetrino per il suo bene; può anche avvenire però che ciò sia
per il suo male— soprattutto, forse, quando non se ne accorge, e si trova
allora incapace di dirigerle... «Se nei tempi moderni, ha scritto il Padre
Philippe de Régis, nell’ascetica, nella predicazione, perfino nella teolo­
gia, e nella stessa liturgia, questo santuario per eccellenza della vita
collettiva, l’individualismo sembra aver preso un posto troppo invaden­
te, disprezzando un punto di vista che è tuttavia in primo piano nel gran­
de pensiero di Cristo e della Chiesa, bisogna semplicemente concludere
che c’è qualche cosa che non è affatto in ordine». E lo stesso autore
aggiungeva facendo intravedere con tale conclusione l ’importanza che
può assumere questo dibattito teologico: «Forse l’errore marxista e le­
ninista non sarebbe nato o non si sarebbe propagato con così spaventose
rovine, se si fosse sempre dato alla collettività il posto che le spetta
tanto nell’ordine naturale quanto nell’ordine soprannaturale» 12.

11 D'altronde il P. Mersch osserva (p. 159, n. 2) che «surtout à la seconde époque


scolastique, au xvi siede», il vecchio diritto romano penetra la teologia in una ma­
niera indiscreta. Pochi esempi sarebbero più sorprendenti di quello della teologia
di Baius.
Quelques réfiexions sur le matérialìsme dialectique, in «Unitas», die. 1935, p. 12.
Teologia c controversia

Teologia e controversia

Sai due punti essenziali della Chiesa e dell'Eucaristia un altro ne­


mico è stato giustamente denunciato: la controversia13. Un grave tri­
buto dovette essere pagato talvolta alle sue esigenze. «È una grande di­
sgrazia, si è detto, aver imparato il catechismo contro qualcuno». È da
temere infatti, prima di tutto, che così sia stato imparato solo a metà;
e anche se tutto ciò che se ne ritiene, è alla lettera rigorosamente esatto,
la grettezza del punto di vista e la sproporzione delle parti, non rischia­
no, in certi casi, di equivalere in pratica a un’idea falsa? Se l’eresia è
per la dottrina ortodossa un’occasione di progresso, come testimonia
tutta la storia della Chiesa e come i dottori fin dai primi secoli si com­
piacciono a ricordare w, essa comporta anche il pericolo d’un progresso
unilaterale, occasione esso stesso— la .storia lo prova ugualmente— di
nuovi errori, se Firrigidimento che salva non è subito seguito da uno
sforzo d’approfondimento. La difesa necessaria delle verità minacciate,
con le sue operosae dzsputationes, può, se non si sta attenti, allontanare
l’attenzione dalle oratione2 quoiìdianae, e d ò che la Chiesa «non ha mai
taciuto nelle sue preghiere» può così momentaneamente sparire da certe
esposizioni15. Chi dirà il male che fa allora l’eretico o il falso spiritua­
le, non soltanto diffondendo le sue tesi, ma anche provocando con d o­
la propria condanna, con gli inevitabili risucchi e le «parzialità» che ne
seguono? Abbiamo troppo imparato il nostro catechismo contro Lutero,,
contro Baio o anche contro Loisy... Dopo Lutero, che l’aveva profanata,,
non si è più osato, per molto tempo, parlare della «libertà cristiana».
Contro i detrattori della Messa, molti si sono creduti obbligati ad esa­
gerare l’idea tradizionale che il Concilio di Trento aveva sanzionato, e
vollero trovare sull’altare un sacrifido indipendente, in qualche modov
dal Calvario, come se fosse necessario a ogni costo che avvenisse ogni
volta un’immolazione reale e quasi una «distruzione» della vittima of­
ferta16. Da decreti come la Bolla dì S. Pio v contro Baio si sono tirate

13 Per esempio, da G. Gasque, per la dottrina eucaristica, in 'Eucbaristìa, p. 433-34,


14 Così Origene, In Num., hom. 9, n. 1 (B., p. 55). Agostino, De Gen., c. Manich.,
1. 1, n.. 2 (P .L . 34, 172-3); In psalm. 54, n. 22 (36, 643); De Civ. Dei, 1. 16, c. 2,
n. 1 (41, 477). Guglielmo di S. Thierry, De sacram. altaris, c. 11 (ISO, 359-61).
S.Tommaso, Contro, errores graecorum, pref.; ecc.
15 Cfr. Agostino, De. dono perseverantiae, c. 7, n. 15 e c. 23, n. 63 (P. L. 45,
1002 e 1031).
16 Vedi M. Lepin, l'Idée du Sacrifice de la Messe, 21 parte, Dal Concilio di Trento
ai giorni nostri. Un altro esempio celebre è quello della professione di fede eucari-
La situazione presente

fuori talvolta strane cose, e a quali deformazioni si arriverebbe se, per


•esempio, si prendesse il giuramento antimodemista non per il documen­
to difensivo che, con ogni evidenza, vuole essere, ma per una sintesi
teologica dalle proporzioni equilibrate? Un settore rafforzato del bastio­
ne non è tutta la città! 17 La maternità dottrinale della Chiesa è ben
lungi dal ridursi al potere giudiziario che esercita contro l’errore. Opere
di magistero straordinario, le stesse definizioni di fede provengono, il
più delle volte, da una «reazione di difesa», che obbliga la loro scelta
e la forma della loro enunciazione 15. È ciò che ricordava Franzelin al
Concilio Vaticano:

Le scopo dei santi Concili,— spiegava ai ventiquattro Padri incari­


cati d’esaminare lo schema che aveva preparato,— non fu mai l’esposi­
zione della dottrina cattolica in se stessa, finché si era nel suo tranquillo
possesso... Ma fu quello di render noti degli errori minacciosi e dì esclu­
derli con una dichiarazione della verità che è direttamente loro opposta.
Da ciò proviene che i decreti siano divisi sempre in due parti: l’emm-
ciazione dell’errore nel sue carattere particolare, con la sua condanna;
e la dichiarazione della dottrina cattolica nella ragione formale con la
quale si oppone all’errore. Queste due parti si richiamano talmente Puna
con l’altra, che talvolta sono unite negli stessi canoni.
Da questo scopo risalta chiaramente che in una definizione dogma­
tica, non soltanto la scelta dei punti della dottrina, ma anche la forma
essenziale della loro esposizione dipende necessariamente dalla forma
con cui si presenta l’errore che si tratta di svelare e condannare. Così,
la dottrina cattolica vi deve essere proposta sotto l’ aspetto formale con
il quale s’oppone all’errore nel suo proprio carattere 19...

La grande teologia non s’è mai limitata a commentare e giustificare

stica, redatta dal Card. Umberto, che dovette firmare Berengario al concilio romano
del 1055. Vedere anche la strana osservazione del Card. Trevisanata al concilio Va­
ticano; non bisognerebbe più parlare di «corpus Christi mysneum», perché i Gian­
senisti se ne sono serviti per insinuare i loro errori (Mansi, t. 5, col. 761).
17 Dopo l’opera dei dottori che avevano difeso «i bastioni di Gerusalemme», don
Gréa pensava giustamente che bisognava mostrare la stessa Gerusalemme: De l'Égli-
se et de sa divine constitution, p. ix.
1S Cfr. Gerbet, Coup d’oeil sur la controverse cbrétzenne (1832), p. 156: «Nel
corso ordinario delle cose, la Chiesa non definisce gli articoli di fede se non in oc­
casione delle eresie die attaccano successivamente le differenti parti del simbolo».
19 Ada et decreta sacr. condì, recent, collectio lacensis, t. 7, col. 1611-2. Si può
rilevare in questo linguaggio un bridolo d’eccesso. V. tuttavia ibìd. col. 84, 397 e
921, le dichiarazioni analoghe di mola Padri del Concilio (Gasser, vesc. di Brixen;
Simor, ardv. d’Eztergom; Dechamps, arriv. di Malines). S. Tommaso, 2a 2ae, q. 1,
a. 9, ad 2m; a. 10, c. e ad lm.
Teologia e controversia

■dei testi, la cui autorità, per quanto assoluta, non impedisce il loro ca­
rattere occasionale, frammentario, e spesso più negativo che positivo20.
Uno zelo male illuminato qui metterebbe capo solo ad un minimo dot­
trinale, a detrimento tanto del pensiero che della vita cristiana. La fe­
deltà perfetta alle decisioni della Chiesa in materia di fede non può es­
sere che un punto di partenza. «Tagliare le strade all’errore, diceva
S. Cirillo di Gerusalemme, per avanzare quindi per la sola via reale» 21.
Di più, cosa meno comunemente notata «per un fenomeno storico
assai frequente, per una nuova applicazione e una nuova verifica d’una
vecchissima legge degli antagonismi» " , l’opposizione stessa tra le due
dottrine, non sussiste senza implicare certi presupposti comuni. Di qui
un altro pericolo per il teologo che sacrifica troppo alle necessità della
controversia. Nella sua lotta contro l’eresia, più o meno si mette sempre,
che egli lo voglia o no, nel punto di vista dell’eretico. Accetta spesso le
questioni come questi le pone, di modo che, senza partecipare ai suoi
errori, gli può accadere di fare implicitamente al suo avversario delle
concessioni tante più gravi quanto più esplicitamente lo contraddice.
Si potrebbe forse sostenere che l ’esegesi cattolica, in certe sue grettez­
ze, non fu mai influenzata In queste senso dalla concezione protestante
della Bibbia? Riandando un po’ indietro nei tempi possiamo vedere oggi
che la «filosofia separata» di questi ultimi secoli ha trovato il suo cor­
relativo e contemporaneamente il suo antagonista in una «teologia se­
parata». Il ritorno alle grandi dottrine tradizionali, e specialmente al
tomismo, sembra su questo punto cosa fatta. Ma durante tre secoli circa,
■contro le correnti naturalistiche del pensiero moderno e contro le con­
fusioni dì un agostinismo fuorviato737 molti non avevano visto salvezza
se non in una fossa scavata tra la natura e il soprannaturale. Ora, con
-questa tattica, si opponevano doppiamente al fine che si proponevano.
Da una parte difatti non badavano che più si separa, meno si distingue
veramente. Col separare così facilmente l’anima dal corpo, i «primitivi»
non ne fanno giustamente e per ciò stesso il suo «doppio»? Così il so-

20 L. De Grandmaison, Jésus-Christ, t. 2, p. 216-7. Mgr Batiffol, Bull, de littéra-


.ture ecclésiastique, 1906, p. 176. Anselmo Stolz, «Nouveaux» dogmes, in Irénikon,
1935. M. D. Chenu, Rev. des sciences philosophiques et th é o lo g 1935, p. 706.
Gfr. Kleutgen, Die Theologie der Vorzeit, t. 1, p. 98 (citato da Stolz, p. 150); J. de
'Tonquedec, in Guy-Grand, La renaissance religieuse, p. 147.
21 Catechesi 16, c. 5 (P. G. 33, 924).
— Péguy, L’Argent (ed. opere complete p. 395).
23 Cfr. Deux augustiniens fourvoyés: Baius et Jansénius, in «Rech. de Science
religieuse», ott. e die. 1931.
La situazione presente

prannatuxale, privato dei suoi vincoli organici con la natura, tendeva ad


essere concepito da alcuni soltanto come una semplice «soprannatura»,.
un «doppio» della natura, E d’altra parte, questa cosa così ben separata,
quale inquietudine poteva ormai ispirare al naturalismo? Questo non
l’incontrava più in nessuna parte del suo cammino, poteva rinchiudersi
in un isolamento simile, con il vantaggio che pretendeva d’essere il tutto _
Nessun segreto rimorso veniva a turbare la serenità del suo bell’equili­
brio... Nel momento in cui pensava di opporsi di più alle negazioni na­
turalistiche, tale dualismo ne subiva dunque fortemente la spinta, e la
trascendenza di cui credeva di mantenere gelosamente il soprannaturale
si trovava, di fatto, in esilio. X pensatori più risolutamente laici trova­
vano in lui, suo malgrado, un alleato24.

Chiesa, eucaristia

Queste note trovano qui la loro applicazione naturale. Abbiamo già


infatti costatato che la moderna teologia della Chiesa aveva qualche
volta sofferto delTindividualismo protestante, che esso correggeva troppo
dall’esterno. Ma senza insistere su quest’ultima lagnanza, è facile accor­
gersi che il nostro trattato della Chiesa, nella sua armatura classica, s’è
costituito soprattutto in due tempi: prima, per opposizione alle dottri­
ne dei giureconsulti imperiali e regi25, poi, per opposizione alle dottri­
ne protestanti26. Di qui quell’accento che fu messo sui diritti del po­
tere ecclesiastico nella cristianità di fronte al potere civile, poi sulle pre­
rogative della gerarchia e specialmente del papato nell’interno della so-

La storia dell’apologetica oSre più d’un esempio di questa situazione parados­


sale, dal lamento dei «Jouraalistes de Trévoux» sul «sotterfugio dei deisti» che-
non vogliono «nemmeno esaminare se c’è una religione divina» (L'Esprìt des Jour-
nalistes de Trévotix, t. 4, 1771, p. 240), fino agli sforzi del Cardinal Pie, nelle sue
famose istruzioni sinodali, per aver ragione dello stesso rifiuto che gli opponeva il
«filosofismo» dei suoi contemporanei: sforzi veramente drammatici, destinati d’anti­
cipo alla sconfitta dalla sua teologia [CEuvres, t. 2, 3 e 5). £ ciò di cui doveva ac­
corgersi ben presto il cardin. Dechamps {La question religieuse, CEuvres, t. 3, p. 189)..
Cfr. Surnaturel (1946) p. 174-75.
25 Si è potuto stampare con questo titolo: «Il più antico trattato della Chiesa»-
il De regimine christiano di Giacomo di Viterbo, che fu scritto nel 1301 in occa­
sione del conflitto fra Bonifacio vin e Filippo il Bello (ed. Arquillière, 1926).
26 S. Tromp, S .I., Corpus Còristi quod est Ecclesia, I, p. 15: «Nullus quoque
fere tractatus existit, qui tantopere lege actionis et reactionis subiit ìnftuxus «ad-
versariorum».
Chiesa, eucaristia

cietà religiosa; o meglio ancora tale posto fu fatto a questi due oggetti,
•che la solidarietà spirituale dei membri del Corpo mistico fu più d’una
volta praticamente dimenticata— e con ciò stesso la dottrina dell’auto­
rità della Chiesa non poteva essere che imperfettamente approfondita.
Si sa che se il Concilio Vaticano fosse potuto venire a capo del suo pro­
gramma, le proporzioni sarebbero state più facilmente ristabilite. Un
S. Pier Damiani, che pure era cardinale di Santa Chiesa romana, soste­
gno energico del papato, collaboratore del futuro Gregorio v i i nella gran­
de opera di riforma ecclesiastica, non esitava tuttavia a dire: «Tutta la
Chiesa, in un certo modo, forma solo un’unica persona. Come è la stessa
in tutti, è tutta intera in ciascuno; e come l’uomo è chiamato micro­
cosmo, così ogni fedele è per così dire la Chiesa in miniatura» 77. Nos
utìque sumus Ecclesia28, dichiarava ancora in nome di tutti, preti e laici,
in uno dei suoi sermoni. Nessuno poteva ingannarsi sul pensiero di
questo grande «uomo di Chiesa», ma con ciò tutti erano risvegliati al
sentimento delle loro responsabilità, e nello stesso tempo alla santa fie­
rezza del loro cattolicesimo.
Il nome di «cattolico» era tuttavia allora di un uso meno corrente
d ’oggi. Divenne più che mai necessario a partire dal secolo xvi, per
simboleggiare la fedeltà cristiana integrale non solo contro le rivolte ma
anche contro le «parzialità» dell’eresia. Primitivo o moderno, luterano
o calvinista, ortodosso o liberale, il protestantesimo si presenta abitual­
mente come una religione d’antitesi— e non è nelle esposizioni «libera­
li» che questo carattere è meno accentuato. Rito o morale, autorità o
libertà, fede o opere, natura o grazia, preghiera o sacrificio, Bibbia o
papa, Cristo salvatore o Cristo giudice, sacramentalismo o spiritualismo,
misticismo o profetismo... Il cattolicesimo non accetta questa spartizio­
ne, e si rifiuta di non essere altro che un protestantesimo rovesciato.
È accaduto, talvolta, che questo bel nome di cattolico, che si è potuto
così giustamente tradurre per «comprensivo» 79} termine «accogliente
come le braccia che si aprono, largo come l’opera di Dio, termine me­
raviglioso di ricchezza e pieno di echi infiniti»30, non fosse sempre ben

27 Liber qui appellaiur Dominus vobiscum, c. 5 e 10 (P. L. 145, 235 e 239).


28 Sermo 12, in Dedicatione Ecclesiae {P .L . 144, 909). Prospero, In psalm. 148:
«Tota enim in Christo Ecclesia unum corpus est; et quod recte agit quaelibet porrio,
tota sibi vindìcat plecitudo» (P. L. 51, 423). Cfr. Galat., vi, 10: otxsfot <ni<; mcrrsw<;.
29 P. Rousselot e L. De Grandmaison, in Christus, La religion chrétienne, nuova
ed. (1932), p. 338-342.
30 Pierre Charles, La robe sans couture, p. 11.
La situazione presente

compreso da tutti i figli della Chiesa. Invece d’evocare, contemporanea­


mente ad un’ortodossia vigilante31, la dilatazione del Cristianesimo e la.
pienezza dello spirito cristiano, al contrario è venuto a segnare in alcuni
come una riserva, un restringimento, e la professione di cattolicesimo'
s’associava volentieri allora con un particolarismo diffidente e poco trat­
tabile. Il lamento dell’Abate Ruperto— sempre troppo attuale, perché il.
male che denuncia è male troppo umano— era di un’attualità più in­
quietante: «Cura Antiquus dierum dixerit: Dabo tibi gentes haeredita-
tem tuam et possessionem tuam termincs terrae,— futuri tamen erant
qui haereditatem eius nimium vellent angustare! » 32. Certe forme poco-
teologiche d’insistenza sul principio d’autorità nella Chiesa apparivano -
come una precauzione presa riguardo ad una religione per se stessa pe­
ricolosa. Senza questa decadenza dello spirito cattolico in troppi spiriti,,
come spiegare che abbiamo potuto tollerare l’opposizione sacrilega, sta­
bilita da alcuni scrittori profani, tra cristianesimo e cattolicesimo, gli,
uni rimproverando alla Chiesa d’aver tradito lo spirito del suo Fonda­
tore, gli altri lodandola perché addormentava, in mancanza di meglio,
lo spirito cristiano? H fatto che, in questi ultimi, questo spirito era or­
dinariamente chiamato «spirito ebraico», o «spirito protestante», e che­
la sua essenza era sempre confusa con le sue deformazioni, non cambia­
va niente al fondo delle cose. Poiché era proprio il senso reale delle
Scritture, era proprio il cristianesimo autentico, senza alcun equivoco
possibile, che si prendevano di mira. Il deposito sacro di cui la Chiesa,
ha ricevuto la custodia «per animare il mondo e per vivificare tutti gli,
uomini» 33, questo deposito che è la sua ragione d’essere, per la preser­
vazione del quale ha il diritto d’esigere dai suoi figli tutti i sacrifici, ecco
che veniva respinto, nell’atto stesso in cui si celebrava la Chiesa. Si con­
gratulavano con la Chiesa perché toglieva il vigore— il suo «veleno»— a
quel vino nuovo del Vangelo, «che continuamente ringiovanisce il vaso-

31 Dal iv sec. cathólìcus equivale, in certi casi, aortodosso, in opposizione all’ere­


sia. Ma non perde però il suo senso fondamentale. Quando S.Agostino, per es.
parla delle «vera cattolica membra Christi», «catholicus» è già l’equivalente d’or­
todosso, ma non è ancora usato che come epiteto, e mantiene dal contesto una re­
ferenza al senso d’«universale»; De C. Dei, 1. 18, c. 51, n. 1; cf. c. 50 (P. L. 41,
612 e 613). Distinzione molto netta in Floro, Expositio missae, c. 48, n. 3 dove le-
due parole sono spiegate l’una dopo l’altra (Due, p. 124). Ugualmente, lettera del
papa Zaccaria, 1° maggio 748: «orthodoxae protessionis et catholicae unitatis»-
(M. G. H., Concilia, t. 2, p. 48).
32 De div. officiti, 1. 10, c. 1 (P. L. 170, 263).
33 Ireneo, Adv. Haer., 3, 24, 1 (P. G. 7, 966).

~)Af\
Chiesa, eucaristia

che lo contiene» 34. Nel potere ecclesiastico si voleva vedere soltanto


un’istituzione del tutto umana, a servizio d’un piccolo gruppo umano
guardiano d’un «ordine» deliberatamente chiuso. Ma lo Spirito d'unità
non permette che si dissoci così la Sposa dallo Sposo3S. La Sposa non
poteva essere sedotta, e lo splendore della Cathoiica brilla oggi, puris­
simo, in numerosi cuori cristiani.
Quest’azione restrittiva delle controversie non aveva mancato di eser­
citarsi nemmeno nella teologia dell’Eucaristia. Molti protestanti, special-
mente in Francia, i pastori Claude e Aubertin, esponevano con compia­
cenza come la Chiesa primitiva aveva operato il suo rinserramento e
trovato la forza di coesione nella celebrazione della Cena. Oggi ancora
alcuni storici rifiutano di mettere questa Cena della prima generazione
cristiana in rapporto con l’istituzione del Cenacolo. Da principio, ci di­
cono, non fu che una comunione di fedeli fra di loro, nell’attesa appas­
sionata della venuta di Cristo e del Regno 36: tutt’ai più un convito cor.
Cristo già misteriosamente presente in mezzo ai suoi, non una mandu-
cazione ài Cristo. Da allora, nonostante l’insegnamento così preciso di
S. Paolo, nonostante una tradizione massimamente ferma e urgente37,
questo simbolismo d’unità che altri esaltavano a detrimento dei realismo
eucaristico, divenne quasi sospetto alla teologia, già meno disposta da
qualche tempo a comprenderlo, per le ragioni che abbiamo visto. Si ebbe-
la tendenza a non vedervi più che un «simbolismo secondario», un «si­
gnificato di secondo piano», anzi una semplice «moralità» o «conside­

34 Ibid.
55 De baptismo, 1. 4, c, 1, n. 1: «haec est una quae tener et pcssidet omnem sui
sponsi et domini potestatem» (P. L. 43, 155). Cfr. Card. Cerejevia discorso del
18 nov. 1938: «La Chiesa non è soltanto un'ammirevole organizzazione, è soprat­
tutto un vaso mistico che contiene «il dono di Dìo», è la portatrice di Cristo...
Volere una Chiesa vuotata del suo tesoro... afiermantesi esclusivamente con l’equi­
librio della sapienza umana della sua organizzazione o del suo governo, è scristia­
nizzare la Chiesa stessa, rinnegare la Redenzione, continuare l’opera di laicizzazione
moderna» («Documentatoli catholique», t. 38, p. 1503).
36 Così M. Goguel, L'Eucharistie des origines à Justin martyr (1910), o H. Lietz-
mann, Messe und Herrenmahl (1926). Da allora M. Goguel è tornato a una conce­
zione molto più vicina a quella degli storici cattolici: Le róle de VApótre dans la
constitution des sacrements chrétiens, nella «Revue de I’histoire des religions», t. i,
p. 171-204. In questa questione, vedi lo studio del P. De Montcheuil, L'Eucharistie
dans le N. Testament, in «Mélanges théologiques» (1946).
37 «Sicut a maioribus traditum est», diceva per esempio Gregorio di Bergamo,
cosciente dell’importanza capitale di questa dottrina! Tractatus de ventate corporis'
Christi, c. 18 (Heurter, p. 78).

241
La situazione presente

razione edificante». Se dunque era conservato con rispetto come un te­


stimonio del passato, si era tentati di confinarlo in qualche appendice,
per assorbirsi spesso unicamente nella dimostrazione della Presenza reale.
Il vincolo stesso di questa Presenza con la realtà del Sacrificio era trop­
po trascurato perché se ne potessero trarre tutte le lezioni. Nonne opor-
tuli haec facere, et illam non omittere? Non era questo, forse, l’esem­
pio dato dai Padri del Concilio di Trento? 38 S. Pascasio Radberto, te­
stimone nel ix secolo del realismo eucaristico, Durando di Troarn, Lan­
franco, Guitmondo, difensori della stessa fede contro Berengario nel-
Pxi secolo, riprendendo per conto loro il simbolismo allora corrente e
proclamando che vi vedevano la dottrina stessa della Chiesa, non tene­
vano, forse, anche essi a sottolineare con forza il frutto d’unità operato,
dal Mistero dell'Altare? 39 Non è forse possibile, precisamente, mostra­
re come le due verità, che la tradizione ci trasmette, sono solidali, non
potendo questo stesso frutto d’unità essere se non illusorio, senza la
realtà della Presenza? 40

Il rinnovamento

Quando un male è visto nelle sue cause, diviene più facile portarvi
rimedio. Già s'annunzia il rinnovamento desiderato. La delusione cau­
sata in ogni ordine dai frutti amari dell’individualismo, e il bisogno
sentito ovunque di liberarsi dalle lotte occasionali per fare opera di sin­
tesi, gli creano un clima favorevole. Una conoscenza migliore— ancora
38 «Il concilio dichiarerà che l’Eucaristia è simbolo anche del corpo mistico. Oggi,
per lo scrupolo di cadere nell'equivoco, non ci si serve più di questo linguaggio»:
P. Batifiol, L'eucharistie, p. 243. Mgr. BatiSoI spiega lui stesso assai curiosamente
la dottrina di S. Agostino come l’eredità d’una «tradizione africana».
39 P. Radberto, De corpore et sanguine Domini, c. 10 (P. L. 120, 1304 e 1306).
Durando di Troarn, Lanfranco, Guitmondo d’Aversa: v. sopra c. xn, p. 78 nota 55.
La tradizione è in via di rinnovarsi. La teoria della Res sacramenti ritorna in fa­
vore: in un sol numero della «Vie Spirituelle», agosto 1937, si trova richiamata e
utilizzata due volte, da don Vonier e dal P. Roguet.
^ Così Cirillo Aless., In jo., 11, 11: «Benedicendo coloro che credono in lui per
mezzo della comunione mistica con un solo corpo, egli li fa cosi concorporei- con
se stesso e fra di loro» (P. G. 74, 560). Ilario, Sulla Trinità, 1, 8 (infra, Testo 20).
Agostino, Sermo Denis 3, n. 3: «Ne dissolvamini, manducate vinculum vestrum»
{P. L. 46, 828). P. Radberto, Lettera a Frudegardo, appendice: «Quod si vere Deus
homo est, ut credimus, vera et caro Christi in hoc fidei sacramento est, vera et in
nobis per hoc praestatur unitas, et in corpore Christi vera adoptio» (120, 1361 C).
Fulberto di Chartres, Epist. 5 (141, 202 B). Algero di Liegi, De sacramentis, 1. 1,
c. 3 (180, 747-8 e 751).
Il rinnovamento

troppo imperfetta— del periodo patristico, e contemporaneamente della


teologia medievale della sua età d ’oro, studiate in continuità l’una con ■
l ’altra, gli assicurano già serie garanzie. I teologi sono al lavoro. Uno
di essi ve li invitava poco fa con termini alquanto aspri: «Bisogna, di­
ceva, strappare il nostro insegnamento di scuola dall’individualismo in
cui l’abbiamo lasciato impigliarsi, dal xvi secolo, sembra, in nome della
chiarezza e per motivi di controversia. Invece di costruire i nostri trat­
tati della Grazia e dei Sacramenti, dell’Eucaristia e perfino della Chie­
sa, come se davanti a Dio Redentore non vi fosse mai altro se non un
polverio d’individui, ciascuno regolante per proprio conto il bilancio del­
le sue relazioni personali con Dio, come davanti agli sportelli di questo
mondo passano successivamente contribuenti, viaggiatori e amministra­
ti, senza legame organico tra loro,— invece di ciò, bisognerà rimettere
in primo piano il dogma del Corpo mistico, nel quale consìste la Chiesa,
in cui vi sono membra articolate, un solo sistema nervoso, un solo si­
stema sanguigno e una sola testa; poiché il mistero del Verbo incarnato
è prima di tutto il mistero del nuovo Adamo e del capo dell’Umanità»41.
Il compito può sembrare pesante. Ma non è preparato soltanto da
ieri. Per non citarne altri, più isolati o più modesti, uno sforzo come
quello della Scuola cattolica di Tubinga, inaugurato più di un secolo fa,
testimonia ancora oggi d’una linfa potente. Si poteva leggere nel 1819,
neU’articclo-programma del suo organo ufficiale, la Theologische Quar-
tdschrift, che cercava di definire lo Spirito e l’Essenza del cattolicesi­
mo: «Il fatto centrale è la rivelazione del piano realizzato da Dio nel­
l ’umanità: questo piano è un tutto organico die si sviluppa progressi­
vamente nella storia». Drey, Mòhler e i loro discepoli hanno magnifi­
camente commentato questa definizione 42, e i lavori recenti dei loro suc­
cessori restano fedeli all’ispirazione prima della Scuola43. Altre pubbli­
cazioni, venute da tutti i punti dell’orizzonte teologico, sono altrettanti
ruscelli, promesse del potente fiume di cui ha bisogno il nostro secolo.

-4-1 E. Masure, Semaine sociale de Nice (1934), p. 230-231.


42 Vedi gli studi su Mòhlex dei Padri Congar e Rouzet, O. P., in «Irénikon»
1935; e Pierre Chaillet, S. L, L’Esprit du Christianìsme et du Catbolicisme, in
«Revue des Se., philos. et théol.», 1937.
43 II pubblico francese conosce almeno i nomi di Karl Adam, grazie ad alcune
traduzioni. Si sa già ciò che l’ecclesiologia deve ai lavori e all’insegnamento del
Padre Pierre Charles. V. specialmente La Robe sans couture, «Museum Lessianum»,
1923, e alcuni articoli come Le pouvoir absolu dans ì’Églìse, e Còristi Vicarius
nella «Nouvelle Revue théologique» 1925 e 1929, sulla dolcezza e la fierezza del­
l’obbedienza cattolica.

243
La situazione presente

Ma perché parliamo di libri e di scuole? Ciò che precisamente dà fiducia


che non si tratti d’una semplice agitazione superficiale, è il fatto che i
teologi, interpreti della Tradizione vivente, sono essi stessi spinti da un
rinnovamento che prima s’iscrive nei fatti, perché sgorga dalle profon­
dità della coscienza cattolica. Se si vuole un esempio, non sono molto
significativi i successi religiosi di Péguy e di Claudel? Soprattutto, s’in­
dovina tutta la dottrina latente che contengono quei grandi movimenti
nei quali s’afferma oggi la vitalità della Chiesa, movimento missionario,
movimento liturgico— così differente da certa moda arcaicizzante o setta­
ria che servì solo a ritardarlo— ; movimenti sociali, come la jo c del
Belgio e della Francia... Solamente s’indovina anche quale bisogno essi
hanno, se devono compiere le loro promesse, d’essere sostenuti e guidati
con tutta chiarezza: quale compito dunque s’impone ancora, sul piano
propriamente teologico, d’elaborazione dottrinale.
Giacché non basterà più copiare l’antichità cristiana e il medioevo.
Non potremo rivivere il vasto umanesimo dei Padri e ritrovare lo spi­
rito della loro esegesi mistica, se non con uno sforzo d’assimilazione
rrasformatrice. La casa che dobbiamo a nostra volta costruire, per conto
nostro— perché, sulle sue fondamenta eterne, la Chiesa è un perpetuo
cantiere— dalla loro epoca ha più volte cambiato stile, e, senza crederci
superiori ai nostri Padri, dobbiamo darle lo stile nostro, cioè quello che
risponde alle nostre necessità, ai nostri problemi. Rompendola con un
individualismo nefasto, non guadagneremmo niente a sognare d’un im­
passibile ritorno al passato: chimera che genera gli scismi, o puerilità
che dissecca lo spirito. Soltanto a condizione di riconoscere prima l’estre­
ma diversità delle teorie che, sui mille soggetti in cui la verità religiosa
entra in contatto con le nostre preoccupazioni umane, sono state profes­
sate durante la nostra storia cristiana; e a condizione di vedere chiara­
mente in quale larga misura queste teorie dipendono da uno stato so­
ciale, intellettuale, culturale, sempre in movimento— solo a queste con­
dizioni potremo dopo, con tutta sicurezza, ammirare l’imponente unità
della vasta corrente tradizionale, che porta nei suoi flutti continuamente
rinnovati, pura di ogni contaminazione, la medesima indefettibile fede.
Soltanto dopo aver sentito veramente fino a quel punto siano necessa­
riamente differenti da S. Paolo o da Origene, da Tommaso d’Àquino o
da Bossuet, da un monaco della Tebaide, da un artigiano del medioevo,
da un nuovo convertito della Cina, nei nostri modi umani di reagire— e
anche di reagire alla Rivelazione nei nostri modi umani di pensare— e
perfino di pensare il Dogma; soltanto allora sentiremo in tutta la sua
Il rinnovamento

profondità l’intimità della nostra comunione con tutti in questo mede­


simo Dogma, di cui tutti essi vivevano, come ne viviamo noi oggi: in
eadem dottrina eademque sententia. Allora il ritorno alle sorgenti an­
tiche sarà tutto il contrario d’una fuga in un passato morto. Compren­
deremo che ci sarebbe molto dannoso rinunciare tanto alle acquisizioni
molteplici, che ci hanno procurato secoli di analisi e di ricerca scientifica,
quanto alle definitive chiarificazioni che sono sorte dalle controversie.
Non condanneremo l’analisi riflessiva o l’esperienza spirituale come se
non fossero altro che una psicologia individualista o una introspezione
segnata di narcisismo, come non confonderemo, con un analogo contro­
senso, la riflessione trascendente con un idealismo astratto, disincarnato.
Perfino nelle nostre critiche dell’individualismo, riconosceremo che fu­
rono legati ai loro sviluppi molti progressi umani e che è più doveroso
sormontarlo, l'individualismo, che rinnegarlo. Respingeremo anche l’idea
che l’età moderna, fuori della Chiesa, non avrebbe conosciuto altro che
errore e decadenza. È un’illusione, questa, una tentazione, alla quale
abbiamo anche troppo ceduto. L’èra della «filosofia separata» fu prov­
videnziale, come tutte le altre, e i fruiti dell’immenso sforzo di riflessio­
ne che s’è compiuto, che si compie ancora ogni giorno sotto il suo segno,
non devono essere lasciati per colpa nostra fuori del cattolicesimo. E ne­
cessaria, certamente, maggior chiaroveggenza generosa per accogliere ciò
che è nato fuori di noi, di quel che non ne occorra per accogliere dò che
aveva vissuto, e dargli, entro noi stessi, una vita rinnovata. È necessa­
rio anche, per evitare equivoci, un discernimento più acuto44. Così,
l’opera che oggi s’impone, è, per più riguardi, più delicata di quella che
s’imponeva al tempo dei Padri, al tempo di S. Tommaso d’Aquino, o
anche al tempo delT«umanesimo». Reclama un insieme di virtù oppo­
ste, condotte le une e le altre a un alto grado d’eccellenza, e puntellate
le une sulle altre fino a un estremo grado di tensione. Chi non si sen­
tirebbe schiacciato e anticipatamente scoraggiato da tali esigenze, per
quanto modesta possa essere la sua ambizione di partecipare al grande
compito comune? Ma ancora una volta la fede riporta la vittoria, e colui

44 V. su ciò Marcel Légaut, La condition chrètienne, p. 19: «Quando venite,


Signore..., nascosto sotto l’immensa fermentazione di questa generazione che darà
al mondo un vino nuovo, ci sono pochi cristiani che sappiano riconoscervi, perché
pochi sono quelli die vi aspettano. Molti, purtroppo, non si figurano la Chiesa se
non in una maestosa e intemporale immobilità. Questa sicurezza è per essi il rifu­
gio contro tutte le inquietudini, ma anche l'ostacolo che li allontana da ogni in­
contro con Voi...».
La situazione presente

che sa d’essere debole, si raccoglie, implorando con tutta la Chiesa i2


Soffio dello Spirito.
Nel fervore col quale si propaga e si vive oggi la dottrina tradizio­
nale del Corpo mistico, conviene riconoscere, crediamo, proprio l’opera
di questo Soffio. Ma una tale dottrina porterà essa stessa i frutti che
siamo in diritto d’attendere soltanto se arriva a costituirsi dei fonda­
menti profondi. Bisogna badare bene, con cura, di non lasciar credere
che nel suo risorgere non ci sia altro che un entusiasmo passeggero. Già
molti si spazientiscono della scolastica nuova, miscela d’astrazioni e di
metafore, in cui rischia d’impantanarsi. Altri s’inquietano ■forse non
senza almeno qualche apparenza di ragione del misticismo vago e delle
speculazioni amorfe, che qua e là sono il prezzo del suo successo 45. Più
grave ancora sarebbe il pericolo, se lo stesso splendore, delle formule
paoline e dei loro commenti, abbagliando certi spiriti, provocasse in essi
la risurrezione d’una specie di gnosi, e se l’ebrezza cerebrale, che ne ri­
sulterebbe, dovesse far svanire l’incanto del Vangelo, giudicato troppo
umile. Paolo non è che un servitore e un interprete. La sua dottrina
ispirata non basta, non può dispensare da un perpetuo riferimento al
solo Maestro, al solo Figlio in cui Dio ci ha tutto dato, essendosi espres­
so tutto interamente per mezzo suo. Ma un tale pericolo, del tutto ipo­
tetico, può essere scongiurato da una direzione prudente. In ogni caso,
molti problemi sono ancora da approfondire, molte applicazioni da met­
tere a punto, affinché lo slancio al quale assistiamo non sia compromes­
so. Uno sforzo dottrinale s’impone. Se il Dogma è immutabile nella sua
essenza, la teologia non è mai una cosa fatta.

45 Le analisi di M. L. Cerfaux nella Théologie de l’Église suivant saint Paul; pos­


sono aiutare a parare questo pericolo, senza diminuire, come certi hanno sembrato
di temere, la forza del misticismo paoIino. £ dò che abbiamo cercato di mostrare
nella Vie Spirìtuelle del 1° maggio 1943, p. 470-483: L'Église dans Si. Paul. In una
lettera del 18 gennaio 1943, Mons. Groeber, arcivescovo di Friburgo in Brisgau,
manifestava la sua inquietudine a tale riguardo; cfr. Don Lialine, XJne étape en ec­
clésiologie, Vencyclique Mysiiti Corporis, in «Irénikon», 1946, p. 151. (La stessa
enciclica mette a punto le cose). Più recentemente il P. L. Bonyer tornava su un
pericolo analogo, con una severità forse un po’ eccessiva, ma con una giusta preoc­
cupazione di rettitudine dottrinale: «Che dire di quelle speculazioni senza fondamen­
to né scritturale né patristico, in cui il Corpo mistico, invece di designare, come il
l(z Xpic-to in S. Paolo, la stessa Chiesa visibile, prolungata e spiegata dalla realtà
cCì\
invisibile che non può esserne distaccata, diviene non so quale altra realtà, prima
distinta dalla Chiesa visibile, poi separata da essa, e in via d’esserle opposta?...»
Catbolicisme et CEcumenisme, ne «La Vie Intellectuelle» del giugno 1945, n. 23.
XI
PERSONA E SOCIETÀ

II mistero della persona

La prima difficoltà che si presenta è troppo ovvia per passare inav­


vertita, e troppo grave per essere elusa. Mettere in rilievo, come FaAb­
biamo fatto noi, il carattere sedale del dogma e ciò che si potrebbe chia­
mare l’elemento unitario del cattolicesimo, non vuol dire forse dimi­
nuire od oscurare pericolosamente quel? altra verità, non meno essen­
ziale, che la salvezza è per dascuno un affare personale, che al Giudizio
«nessuno troverà soccorso in nessun altro», e che le persone sono di­
stinte per l’eternità? Già le affermazioni di tanti mistici sull’«unità» del­
l’anima con Dio, urtano con diffidenze tenaci, e quando non ci si vede
una pia esagerazione o un lirismo che esclude ogni rigore nell’espressio­
ne, sono condannate come panteistiche. Il pericolo di panteismo non
sarà forse raddoppiato, se bisogna veramente prendere sul serio la for­
mula agostiniana, in cui si condensa, come l’abbiamo visto, la dottrina
esposta fin qui: unus Christus amans seipsum? Non si dovrà almeno
riconoscere che nella tradizione cristiana concernente la salvezza del­
l’uomo esistono due insegnamenti difficilmente conciliabili? Non sol­
tanto le tre grandi immagini scritturali: Regno dei deli dei vangeli
sinottici; Corpo sodale di S. Paolo; Vita mistica di S. Giovanni, sono
irriducibili, e non si prestano a essere organizzate in un sistema unico;
ma l’idea che esprimono, dascuna a suo modo, sembra a prima vista
incompatibile— soprattutto nel caso di S. Paolo e di S. Giovanni— -con

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