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Michele Paleologo Prefazio Fisichella, dialogo entre el Emperador Bizantino y un Persa sobre la irracionalidad y violencia de la "Guerra Santa" del Islam. Relacion con el logos griego
Michele Paleologo Prefazio Fisichella, dialogo entre el Emperador Bizantino y un Persa sobre la irracionalidad y violencia de la "Guerra Santa" del Islam. Relacion con el logos griego
Michele Paleologo Prefazio Fisichella, dialogo entre el Emperador Bizantino y un Persa sobre la irracionalidad y violencia de la "Guerra Santa" del Islam. Relacion con el logos griego
prefazione di Rino Fisichella introduzione, traduzione e note a cura di Francesco Colafemmina
La lectio academica di Benedetto XVI nella sua
antica universit di Regensburg il 12 settembre del 2006 ha riportato in auge, malgr lui, un testo antico di notevole significato. Dimenticato da molti, conosciuto a tanti, i Dialoghi con un Persiano di Manuele Paleologo rappresentano un tentativo di apologetica del tardo medioevo che solo pochi esperti della materia conoscono. Se ai tanti commentatori della lezione di Regensburg fosse stato spiegato almeno il contesto storico e teologico di quelle pagine, probabilmente non si sarebbe assistito al gioco degli equivoci che ha dominato per settimane la scena internazionale con punte di violenza del tutto gratuite e ingiustificate. La pubblicazione dei Dialoghi, da questa prospettiva, si presenta come una risposta intelligente che, lontano dalle polemiche, permette di accostarsi al testo nella sua traduzione originale e completa. Esso costituisce un contributo di valore per verificare direttamente quanto i due protagonisti dellopera avessero reciproco rispetto e profonda stima luno dellaltro, tanto da far arrossire quanti hanno voluto speculare sulla vicenda con argomentazioni deboli e richieste pretestuose. Va dato il meritato riconoscimento a Francesco Colafemmina non solo per aver avuto lidea di pubblicare i brani in questione, ma soprattutto per la fatica compiuta di averne fornito una sua traduzione fedele al testo greco originale sia nel genere che nella terminologia, non sempre facilmente traducibile per gli inevitabili riflessi del sentire contemporaneo. La sua Introduzione ai Dialoghi permette di conoscere la personalit dellultimo grande imperatore romano e familiarizzare con la sua profonda fede e spiritualit. Bisogna dare atto a Colafemmina di essere riuscito bene nellimpresa non facile,
soprattutto per aver creato uno scenario storico
e contenutistico che favorisce la ricostruzione di un contesto necessario e inevitabile per la pi coerente comprensione dei personaggi coinvolti nel dialogo e delle loro rispettive considerazioni. I Dialoghi tra Manuele II Paleologo e lanonimo Persiano di cui sappiamo solo essere un muteriz, cio un uomo sapiente a cui tutti portavano rispetto non sono molto conosciuti nella storia dellApologetica. Come spesso avviene, la ricostruzione storica preferisce muoversi tra i pi facili viali dei famosi maestri e delle scuole di pensiero, piuttosto che addentrarsi nei complicati meandri di opere secondarie e autori sconosciuti. La dimenticanza di questi, tuttavia, non permette di avere una visione completa della problematica e la stessa ricostruzione storica lascia il fianco scoperto. Daltronde, anche alla luce dei fatti recenti, chi potrebbe dire con assoluta certezza che il Liber creaturarum del catalano Raimondo da Sebunda (1385-1436), rettore della prestigiosa scuola di Toulouse abbia avuto pi fortuna dei Dialoghi dellimperatore Paleologo? O, forse, il Dialogion de fide cattolica e il Contra perfidiam Mahumeti del certosino Dionigi di Ryckel (1402-1471) hanno argomentazioni pi delicate di quelle contenute delle pagine dei Dialoghi con il Persiano? Se, probabilmente, il De pace seu concordantia fidei del cardinale Nicol Cusano (14011464) ebbe maggior eco dei Dialoghi, chi pu attestare che lAdversus Iudaeos et Gentes dellumanista fiorentino Giannozzo Manetti (1396-1459) abbia avuto maggior influsso dello scritto di Manuele II? Gli autori citati sono contemporanei dellultimo imperatore romano, morto come monaco, e trovano pi o meno spazio nelle diverse storie dellapologetica, mentre nessuna di queste fa menzione dei Dialoghi. La storia, come si sa, percorre spesso sentieri che gli stessi storici non possono determinare. Con ragione osserva Colafemmina nella sua Introduzione: Attraverso le contorte vie della storia, possiamo attingere al significato autentico di questopera soltanto dopo esserci stupiti di una
dimensione spirituale tanto sublime quanto
aliena dalla nostra tradizione. A dispetto di tanti maestri di apologetica, Manuele II sembra essersi preso la rivincita, lui che proprio agli inizi dei Dialoghi diceva al Persiano avrebbe dovuto rivolgersi a coloro che per mestiere insegnano la nostra religione (I, 3), ai teologi! Caduti nel silenzio i grandi nomi di apologisti che nei loro scritti come usuale allepoca sia da parte cristiana che reciprocamente ebrea e mussulmana hanno spesso espressioni che fanno impallidire quelle che si trovano nei Dialoghi, torna alla ribalta uno scritto privato, stilato per informare il fratello di come si passavano le noiose giornate alla corte, che presenta tratti di genuina riflessione e con elementi di metodologia che hanno grande valore per il dialogo contemporaneo. Il primo tratto che merita di essere considerato, infatti, proprio la metodologia che i due interlocutori adottano. Emerge in maniera impressionante, ad esempio, che i due non si interrompono mai. Il loro linguaggio, pur fermo e preciso nelle argomentazioni non mai sguaiato e nessuno intende mai mettere laltro in uno stato di imbarazzo per quanto viene dicendo. interessante, invece, osservare che si danno spazi di silenzio elemento fondamentale per lascolto e la riflessione per favorire laccoglienza del discorso e trovare una risposta adeguata, frutto non dellemotivit del momento, ma della riflessione prolungata. Sul piano del rapporto interpersonale, inoltre, i due interlocutori mostrano di avere la consapevolezza del rango e del potere che possiedono; questo, tuttavia, non impedisce loro di entrare nel merito dei contenuti del dibattito, in alcuni momenti, con espressioni che oggi troveremmo certamente estranee al politically correct. In effetti, i Dialoghi sono un vero dibattito. Abituati come siamo ad avere una visione parziale del dialogo, il testo del Paleologo mostra con chiara evidenza che quando due interlocutori intendono intraprendere la via del dialogo devono avere chiara la loro identit e, in nome della verit a
cui aderiscono, non hanno alcuna intenzione di
abbandonare le proprie posizioni per accettare immediatamente quelle dellaltro. Al contrario. Qui emerge in modo chiaro che tanto il Persiano quanto Manuele II sono ben consapevoli della verit delle loro rispettive posizioni e nellesporre i contenuti della loro fede hanno in cuore di convincere laltro della bont della loro scelta. Lo fanno in maniera diversa: con passione e convinzione limperatore; con distacco e quasi indifferenza il Persiano. Ambedue, comunque, entrano nel vivo dei rispettivi contenuti e pur rispettandosi non negano quanto li divide. Ci che spinge il Muteriz a mettersi in ascolto dellimperatore detto da lui stesso in maniera diretta: Ho sempre avuto il desiderio di imparare a conoscere la vostra religione. E non mi sono mai imbattuto in alcun Cristiano che avesse una cultura e unesperienza religiosa tale da potermi spiegare alcunch in maniera chiara e proprio come lo desideravo (I, 2). Si nota che il desiderio di conoscere trova corrispondenza solo l dove viene riconosciuta non solo la competenza, ma anche la coerenza della vita. Si pongono insieme, infatti, cultura ed esperienza, come dire: la vera forma di comunicazione non si esprime nella sola conoscenza dei dogmi, ma anche nella testimonianza di vita che ne segue. Manuele II, da parte sua, esprime nei confronti del Persiano unattenzione degna di nota: Egli aveva, come naturale per queste ragioni, una mente non in grado di poter attingere adeguatamente al pensiero divino nascosto nelle Scritture; sicch discorremmo non come sarebbe stato opportuno, ma nella maniera in cui per lui sarebbe stato possibile comprendere ci che si diceva (Proemio, 4). Dalla prospettiva cristiana, questo ha un grande valore simbolico soprattutto se confrontato con i testi dellepoca dove largomentazione si fondava sullautorit della Sacra Scrittura. Limperatore, a differenza del teologo, comprende con maggior lucidit che non pu argomentare con il mussulmano sulla base dei vangeli ma deve trovare una strada diversa che gli permetta sia di essere
compreso nella sua esposizione sia di
contraddire la verit dellinterlocutore. Non so se il Paleologo avesse mai letto il Monologion di Anselmo, ma certamente la sua argomentazione trova riscontro in quanto il santo vescovo scriveva: Remoto Christo quasi nulla sciatur de Christo [] necessariis rationibus sine Scripturae auctoritate. La ragione, non la fede, la vera protagonista dei Dialoghi. Un passo esplicito conferma questa nostra lettura: Se tu credessi alle Scritture, io non avrei molto da dirti [] Visto che al momento non vuoi credere alle Scritture, facciamo che se quando uno di noi cita un passo della Scrittura laltro lo accetta, allora ci serviremo giustamente delle Scritture nel nostro dialogo, per quanto possibile. E qualora avvenga diversamente, non ci resta che servirci delle argomentazioni e cercare con verosimiglianza, per quanto ci concesso, dove sia possibile trovare la verit (I,7). Insomma, riscontriamo le tracce della genuina apologia che riconosce la sua magna charta nel testo di Pietro: Sempre pronti a dare ragione (apologa) della speranza che in voi (1 PT 3,15). Per entrare ancora pi direttamente nel merito dei contenuti necessaria unulteriore considerazione che possiede un valore rilevante. Probabilmente, il culmine dellargomentare di Manuele II si trova nellespressione: Il non agire secondo ragione alieno da Dio (VII, 3). Questa con- vinzione accompagna certamente lintera tradizione cristiana da sempre; la sua concettualizzazione, comunque, trova terreno fecondo ai tempi di Alberto Magno e Tommaso dAquino. Non il caso di far riferimento ai testi di Agostino o di Anselmo in proposito. La loro posizione ben conosciuta e trova riscontro in quella sintesi agostiniana del credo ut intelligam e intelligo ut credam che sfocer nella felice intuizione anselmiana della fides quaerens intellectum. Per secoli questa posizione fu il fondamento del pensare cristiano. Il cambiamento comincia a verificarsi con il sorgere delle universit allinizio del XIII
secolo. Questo porta con s la scoperta di
unaltra autorit che si affianca a quella della Scrittura, la ratio. La scoperta di Aristotele fatta in un primo momento dai commentari di Averro (1126-1198) , da questo punto, di importanza decisiva. Si sa che il maestro professava lIslam e, comunque, i suoi scritti furono visti con sospetto e lui stesso mor in disgrazia come eretico. La sua opera, comunque, penetrava nel pensiero occidentale e andava ad intaccare diversi contenuti della fede a cui anche i nostri Dialoghi fanno eco: la libert della creazione, lorigine e la fine del mondo, la divina provvidenza, la risurrezione e limmortalit, lincarnazione e la redenzione, la Chiesa e i suoi sacramenti in una parola, luso dellaristotelismo metteva in crisi il pensiero cristiano. Una prima reazione si ebbe con lo scritto di Alberto Magno voluto da papa Alessandro IV, Sullunit dellintelletto contro Averro, ma la vera sfida doveva venire in maniera pi positiva e profonda attraverso lintelligenza di Tommaso dAquino. Gli scritti di Aristotele cominceranno ad essere accessibili a partire dal 1230, Tommaso ne aveva ormai diretta conoscenza e comprendeva come, in primo piano, il vero problema che stava sul tappeto era la quaestio de veritate. I suoi commentari ad Aristotele mostravano che gli scritti del filosofo erano molto pi coerenti con la dottrina cristiana di quanto non pensasse Averro; anzi, la fede veniva a porsi come completamento e correzione di quanto il filosofo aveva scritto a tal punto da diventare un riferimento decisivo per lintero pensiero cristiano. Nel suo Summa contra Gentiles seu De veritate catholicae fidei, Tommaso, fin dalle prime battute, pone la questione del metodo apologetico: il sapiente tale se considera tutte le cose alla luce della verit; quindi, alla luce del principio primo da cui tutto deriva. La stessa rilevazione degli errori appartiene al desiderio che ognuno possiede per raggiungere la verit e, pertanto, questa fase necessaria tanto quanto la scoperta della verit stessa. Lo studio della sapienza scrive il Dottore Angelico il pi perfetto, sublime, utile e
giocondo, fra tutti gli studi delluomo [...]
Avendo dunque assunto lufficio del sapiente, per divina bont, sebbene sorpassi le nostre forze, ci proponiamo di chiarire, secondo la nostra debolezza, quella verit che professa la fede cattolica, eliminando gli errori opposti [...] Per difficile combattere contro ogni errore singolo, per due motivi. Primo, perch non ci sono completamente noti i detti sacrileghi di tutti, in modo da ricavare da ci che dicono gli argomenti contro gli stessi loro errori [...] Secondo, perch alcuni di loro, come i maomettani e i pagani, non accettano come noi lautorit di qualche Scrittura, con la quale possano essere persuasi; mentre contro i Giudei possiamo disputare per mezzo dellAntico Testamento, e con gli Eretici per mezzo del Nuovo; ma i primi non accettano n lAntico n il Nuovo Testamento e, quindi, si rende necessario ricorrere alla ragione naturale a cui tutti devono per forza assentire; per essa manchevole nelle cose che riguardano Dio (I, 2). Per Tommaso, la conclusione una sola: la fede con la sua verit, pur eccedendo la verit della ratio, non sar mai contraria alle verit che la ratio raggiunge da s; essa, pertanto, ha un valore universale. Ritornando ai nostri Dialoghi, si legge con una nota di amarezza losservazione dellimperatore: Non avendo mai gustato la libert della Verit, non la desiderava quanto avrebbe dovuto (Proemio, 2). Se si vuole, qui si riscontra il nodo ligneo della questione: lesperienza della libert come frutto della conoscenza e della scoperta della verit. Una verit che non pu essere solamente dimostrata, ma mostrata come offerta di senso che apre spazi fino a quel momento inimmaginabili. Il Muteriz era curioso di conoscerla, ritorna spesso come un ritornello la sua richiesta: Dobbiamo trovare la verit [...] bisogna permettere, per quanto ci concesso, che la verit venga cercata, cos, ovunque essa sia (I, 10); tuttavia, non sembra disposto a immergersi in una verit che giorno dopo giorno apre sempre nuovi spazi di conoscenza e di libert. qui che si gioca uno dei temi fondamentali della
peculiarit del cristianesimo nel complesso
delle religioni. Limperatore se ne fa interprete quando dice: Noi cerchiamo lapprodo con la fede piuttosto che con il metodo, larte e il raziocinio. Tuttavia, per quanto possibile, ci serviamo di quelle argomentazioni che sono probabilmente giuste. Laddove la fede non persuade, abbiamo bisogno di una dimostrazione inconfutabile generale e concorde (I, 13). La fatica del credente spesso quella di mostrare la ragionevolezza dei suoi contenuti e delle proposte che ne derivano, evidenziando che non sono primariamente frutto della fede, ma della ragione che cerca la verit e in essa trova la libert corrispondente. Quanto avviene tra Manuele II e il Persiano chiaro: davanti alle argomentazioni stringenti dellimperatore, il Muteriz si convince, ma non riesce a credere. La sua richiesta di verit certamente sincera, ma non in grado di far compiere alla ratio tutto il suo percorso, quello di abbandonarsi al credere. Pi volte nel corso del dibattito emerge questa dimensione fideistica del saggio persiano che gli impedisce di oltrepassare la soglia per raggiungere la piena verit che la stessa ragione intuisce; il rimprovero che gli muove limperatore: Ci lo dici sempre e mai lo dimostri (VII, 22). Fede e ragione per il Muteriz vanno separate e non possono camminare insieme; quando c una non deve esserci laltra. Per limperatore, al contrario, luna richiede laltra e non pu esserci forza della fede senza la ragione, cos come non pu esserci forte ragione senza la certezza della fede. Al fondo si trova la radicale differenza tra le due religioni: una pensa di possedere la verit data una volta per sempre nel Corano, mentre il Cristianesimo sa che la sua verit una Persona, Ges di Nazareth, Dio che entra nella storia e, pertanto, rimarr sempre come una indagine e ricerca che trover riposo solo alla fine dei tempi. Se si vuole, i Dialoghi manifestano il desiderio profondo di conoscere la verit che anima da sempre luomo. Manuele II, in questo dibattito, emerge come una figura carica di passione e convinzione; in lui si nota una motivazione teologica, forse inaspettata ma non
per questo meno reale e convincente. Si potr
non seguire limperatore nel momento in cui esprime giudizi che appartengono al contesto storico di uninterminabile guerra che lo aveva perseguitato lungo il corso dei quasi quarantanni di impero. Il suo argomentare, comunque, rimane forte, lineare e carico di ci che oggi chiamiamo la logica dellincarnazione. Seguire il suo ragionamento riporta al dilemma che da sempre segue il cristianesimo: cur Deus homo? Perch Dio si fatto uomo rimarr come linterrogativo che trova riscontro solo se si accoglie levento di Ges di Nazareth come il rivelatore e la rivelazione ultima del Padre. Il perch dellincarnazione non una domanda retorica, ma immette in quella problematica che pone domande allantropologia e alla religione nel loro mutuo rapportarsi, chiedendo di dare risposte cariche di senso e definitiva pena il rimanere nellincertezza e nel dubbio esistenziali. Il perch dellincarnazione permette a Manuele II di andare diritto al cuore del mistero cristiano per far emergere la sua originalit dinanzi alla legge mosaica e alluniverso delle religioni. In particolare, comunque, la cosa si imponeva nei confronti dellIslam verso il quale limperatore si muoveva con argomentazioni di una logica stringente. Paleologo viveva sulla sua pelle la perenne conquista di nuove terre e imperi che veniva fatta con la violenza della spada da parte dei sultani. Questo poneva certamente degli interrogativi a un uomo di fede come lui che aveva esperienza del cristianesimo come un processo di evangelizzazione che vantava dei martiri, ma non ne faceva. Nonostante questo, il suo era il tentativo di comprendere una religione che avrebbe distrutto il suo stesso Impero e dominato il cuore del cristianesimo, Aghia Sophia. Questo non avveniva come un fatto post eventum, al contrario. Ci che spingeva Paleologo al dialogo con lIslam era il desiderio di conoscere e dare ragione della sua fede al Persiano che lo interrogava. Era chiamato a dare una
ragione a qualcosa di nuovo, di diverso e
lontano dal suo credo, ma doveva farlo in nome della verit. Non si va lontano se si pensa che questi Dialoghi sono caratterizzati da una antesignana teologia della storia, con la quale si tenta di dare senso e risposta allinterrogativo impresso dalla dinamica della storia. Non poteva essere estraneo a Manuele II linterrogativo di come fosse che lIslam mettesse a repentaglio la cultura e la conquista del cristianesimo. La domanda diventava provocazione quando pensava che la storia della salvezza in cui credeva, quella che progressivamente si era sviluppata dal villaggio di Nazareth fino a diventare un impero che oltrepassava la grandezza di quello antico romano, veniva messa in discussione e perfino distrutta dallIslam. Una religione che pur onorando Ges, tuttavia negava il suo vangelo come Parola di Dio offerta agli uomini per la salvezza di tutta lumanit e impediva al suo regno di estendersi. Rileggere queste pagine in un periodo come il nostro che soprattutto a livello politico vede aperta la questione sullingresso della Turchia nellUnione Europea non privo di attualit. La vicenda di Manuele II potrebbe aiutare non poco per addentrarsi nei meandri di una questione certamente complessa per il peso storico e culturale che possiede. Soprassedere su questa dimensione, tuttavia, potrebbe rendere pi facile il faticoso lavoro del politico, ma non aiuterebbe a trovare la via pi coerente da percorrere per guardare al futuro con maggior lungimiranza e intelligenza. I tempi dellimperatore Paleologo furono segnati, come si sa, dai particolarismi nazionali che vedevano Bisanzio ormai lontana e non meritevole di essere difesa. Eppure, Costantinopoli era stata il centro e il cuore pulsante dellImpero. Da l proveniva la tradizione che univa loriente e loccidente in una sintesi tanto unica quanto feconda che aveva permesso a diversi regni e culture di fondersi insieme per diventare Europa. A distanza di pi di cinque secoli
la storia sembra ripetersi. LEuropa di oggi
vede lantica Bisanzio distante, lontana e ha paura per la sua diversit culturale che i secoli hanno imposto. Le radici di quella terra, tuttavia, anche se rare e secche sono cristiane. Santa Sofia potr anche essere stata trasformata in un museo, ma il volto del Pantocrator non ha potuto essere tolto. stato coperto, non distrutto. Efeso, Antiochia, Tarso, la Cappadocia con i loro segni permangono nel ricordare la fecondit della presenza cristiana e la ricchezza intellettuale che ne scaturita. La figura di Manuele II segno anche di questo. Da una parte egli ricorda lattenzione che si deve a questa terra e a ci che ha prodotto; dallaltra, invita a non sottovalutare le provocazioni presenti che dovrebbero scuotere non poco la generale indifferenza dei paesi europei. Ragione e fede devono riprendere inevitabilmente il loro cammino comune. Benedetto XVI, a pi riprese, ha ribadito che questa strada non solo permette al cristianesimo di essere fecondo nella via dellevangelizzazione, ma consente anche ai non credenti di accogliere il messaggio di Ges Cristo come ipotesi carica di senso e decisiva per lesistenza. Riprendere tra le mani il dialogo tra un imperatore cristiano e un Muteriz mussulmano del XV secolo potrebbe essere unefficace provocazione, soprattutto nellattuale complesso mutamento culturale in cui siamo inseriti, per comprendere quanto sia decisiva la conoscenza corretta dei fenomeni, limportanza del saper dare ragione della propria fede e la necessit di raggiungere la verit come porto sicuro per dare alla vita la certezza definitiva di cui ha bisogno. Rino Fisichella