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GIUSEPPE UNGARETTI

 Ungaretti nasce ad Alessandria D’Egitto nel 1888.


 la sua famiglia era toscana, zona di Lucca, dove trascorre buona parte della sua gioventù;
 il padre lavorava nel canale di Suez e trascorre buona parte della sua infanzia lì ma non sarà
un’infanzia allegra;
 studia il francese che sarà la sua prima lingua di apprendimento.
 nel 1912 lascia l’Africa e si trasferisce a Parigi, ascolterà i maggiori esponenti ed intellettuali del
‘900;
 quando nel 1915 l’Italia entra in guerra, lui partecipa come volontario quindi sente questo legame
con l’Italia nonostante lui abbia trascorso tutta la sua vita fuori e forse è proprio questo che gli fa
sentire questo fortissimo desiderio di appartenenza all’esercito italiano;
 si arruola e questa esperienza della guerra fu fondamentale in tutte le sue poesie;
 “Il porto sepolto” è una raccolta del 1916, “Allegria di naufragi”;
 dopo la guerra si trasferisce a Roma, si sposa e ha 2 figli ma uno dei due muore a soli 9 anni
causando un dolore immenso ad Ungaretti che farà confluire tutto questo dolore in una raccolta di
poesia chiamata appunto “Il dolore”;
 negli anni ‘30 si sposta in Brasile dove insegna lingua e letteratura italiana all’università di San
Paolo, poi ritorna in Italia nel 1942 e inizierà ad insegnare all’università ‘La Sapienza’ di Roma. È
stato un professore di “chiara fama”, viene sospeso perché vicino al fascismo ma alla fine ritorna
ad insegnare;
 trascorre la sua lunga vita in Italia e muore nel 1970.

I FIUMI

Mi tengo a quest’albero mutilato


Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso


In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato

L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua

Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole

Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo

Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia

Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità

Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita

Questi sono
I miei fiumi

Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.

Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure

Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia


Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre

I versi sono brevi, c’è un lessico espressionista, la sintassi è ridotta. Tutto questo è sintomo
dell’influenza del Futurismo che, all’inizio del ‘900, era stato molto importante per i letterati.
La raccolta “Allegria” è caratterizzata da una serie di temi che ritornano, tra cui la necessità di
fratellanza in un momento come la Prima guerra mondiale in cui le persone si sentono
estremamente sole, soprattutto nella vita di trincea.
Ungaretti vuole darci l’idea, in tutta la raccolta, di come lui si senta parte di un qualcosa di
collettivo.
Ricapitola, attraverso i fiumi della vita del poeta, tutta la sua biografia.
Perché una raccolta di poesie che parla di guerra si chiama “Allegria”? Perché sono quei pochi
momenti di euforia, di felicità in una situazione drammatica come quella della guerra.
Per quanto riguarda la metrica, i versi sono sia parisillabi sia imparisillabi. Non c’è una struttura
rimica coerente. Ci sono delle rime che tornano (la rima in -ato per esempio) però è un desiderio
di creare una struttura vicina ad una assonanza più che ad una rima vera e propria.

Mi tengo a quest’albero mutilato


Abbandonato in questa dolina
L’albero mutilato è una personificazione di un compagno di Ungaretti, come se l’albero sostenesse
il peso dell’esperienza di guerra di Ungaretti ma contemporaneamente è esso stesso un soldato
mutilato. Ungaretti ci ricorda che l’esperienza della guerra ha colpito sia gli uomini sia la natura,
perché lui intende descrivere l’esperienza della guerra come un’esperienza di fragilità collettiva,
quindi il poeta e l’albero si trovano quasi abbracciati in questo attimo di felicità nonostante lo
sconforto collettivo.
Tutta la poesia è una lunga riflessione sulla sua esperienza anche come poeta: lui si trova in una
situazione di pausa dalla guerra, si ferma a scrivere e a osservare e riflette sulla sua condizione.
Sempre nella prima strofa dice:

E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna
C’è l’io protagonista che riflette su quello che sta vedendo e ce lo fa raccontare dall’io lirico che in
qualche modo si identifica con il paesaggio, infatti abbraccia l’albero mutilato.

Stamani mi sono disteso


In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato
Il primo fiume in cui si ferma è l’Isonzo. C’è questo momento in cui lui si riposa nel fiume e diventa
come un morto all’interno del fiume, come se il fiume lo circondasse come un’urna attorno ad una
reliquia. Essendo il poeta circondato dalla morte a causa della guerra, è metaforicamente morto.
Il lessico che Ungaretti usa per raccontare questa esperienza è un lessico di morte e religione.
Questo racconto di morte del poeta all’interno del fiume Isonzo diventa però anche una specie di
battesimo come se il poeta, stando all’interno del fiume, si fosse purificato in qualche modo. Il
fiume è l’Isonzo, che si trova in Friuli Venezia Giulia. Lui parte da questo fiume, e poi dopo inizia a
ricapitolare i fiumi della sua vita.
L’Isonzo lo leviga come un sasso, cioè lui è presente all’interno di questo fiume come se fosse
morto.

Ho tirato su le mie quattro ossa e me ne sono andato come un acrobata sull’acqua.


È come se il poeta, dopo essersi purificato nel fiume, si sente pronto a ripartire. È quasi come un
Cristo, come se l’acqua gli avesse dato la forza di diventare un acrobata, qualcuno che va oltre.
Subito dopo però, nella strofa successiva, dopo che in questa strofa c’è stata una natura
umanizzata, entra a gamba tesa la guerra.
Già avevamo visto l’albero mutilato e gli altri riferimenti alla guerra, ma nella quarta strofa c’è
davvero la guerra:

Mi sono accoccolato vicino ai miei panni sudici di guerra


Presente in cui il poeta si trova davvero dentro la guerra; lui descrive anche elementi pratici della
sua esperienza di guerra. Immaginiamo che si è tuffato in acqua, si è purificato, i suoi vestiti sono
una montagna di abiti che lui si è tolto e che ha lasciato sul fiume. Dopo si accoccola vicino ai suoi
vestiti sudici di guerra, non solo i suoi vestiti sono sporchi ma metaforicamente c’è una bruttura di
guerra, qualcosa di crudele che lui non riesce a cancellare. Lui si purifica come persona, ma dai
suoi vestiti non riesce a togliere la guerra.
Sempre nella quarta strofa dice “come un beduino”- riferimento alla sua esperienza di nascita e
crescita in Africa. I panni sudici di guerra non sono solo i panni del poeta Ungaretti, ma sono anche
i panni di tutti i soldati come lui perché la guerra per Ungaretti è un momento di vita collettivo.

In questo momento in cui comincia a riflettere si trova in un momento di pausa dalla guerra, dice:
Mi sono chinato a ricevere il sole
Questo è l’Isonzo
in questo momento lui è sull’Isonzo e riconosce una docile fibra dell’universo, si sente in armonia
con il tutto. Sembra che in questo breve momento di tranquillità in cui sta prendendo il sole, si
sente in pace con tutto, come se persino la guerra avesse senso.

Ma subito dopo dice:


Il mio supplizio è quando non mi credo in armonia
Soffre quando non ha questo senso di tranquillità e pace, quando sente un senso di guerra che
spezza quel sentimento di comunità umano e anche quel desiderio di sentirsi in armonia con il
mondo circostante. Lui però ora è tranquillo, è come se fosse abbracciato dal fiume.

Ma quelle occulte mani


le mani del fiume abbracciano il poeta e lo fanno sentire in un raro momento di pace.
Proprio in questo momento ripassa le epoche della sua vita, infatti dice:
Ho ripassato le epoche della mia vita
cioè ricorda tutta la sua biografia attraverso i fiumi dei luoghi dove ha abitato.
Questi sono i miei fiumi
cioè questi sono i fiumi della mia esperienza biografica come Ungaretti, ma sono anche
l’esperienza collettiva di guerra che ora ci sta raccontando.

Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre
Il primo è il Serchio, un fiume della zona di Lucca in Toscana da cui veniva la famiglia di Ungaretti
che si era trasferita in Egitto. Lui sente il bisogno di ricapitolare la sua vita a partire dai suoi
antenati, non solo i suoi genitori nati e cresciuti in Toscana e poi si sono trasferiti ad Alessandria,
ma tutto il suo albero genealogico. Il fiume seguente è il Nilo.

Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Il Nilo, in Alessandria d’Egitto, dove lui nasce nel 1888, rappresenta la sua prima gioventù, quella in
cui è ancora inconsapevole. Il fiume successivo è la Senna e fa riferimento agli anni parigini dopo il
suo trasferimento nel 1912, gli anni in cui ha cominciato a conoscersi meglio.

E in quel suo torbido


Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto
Ha acquisito la consapevolezza dell’età adulta. Torbido perché gli anni parigini sono stati gli anni di
estrema inquietudine in cui stava cercando di trovare il suo posto nel mondo, e poi questi lo
condurranno ad arruolarsi per la guerra.
Da una parte c’è il Serchio -la sua famiglia-, da una parte il Nilo -la sua infanzia-, e poi la Senna -il
suo affacciarsi alla vita adulta-.

Questi sono i miei fiumi


Ripercorsi nell’Isonzo
Nell’ottica in cui tutti i fiumi fanno parte del sistema chiuso delle acque del globo, l’Isonzo contiene
in quel momento al suo interno tutte le esperienze di Ungaretti.

Conclude dicendo:
Questa è la mia nostalgia
cioè questo è il suo ricordo, sta riflettendo e ci sta raccontando ma non dobbiamo dimenticare che
questa sua esperienza, per quanto drammatica, non potrebbe esistere senza la guerra. Quindi
l’Isonzo rappresenta contemporaneamente sia una morte (lui si trova come una reliquia) ma
anche una rinascita perché riprende le sue quattro ossa ed esce dal fiume.
Sottolinea come paradossalmente nel corso della guerra ci sono grandi momenti di vitalità in cui la
sua vita gli sembra una “corolla di tenebre”. Cioè ci sono dei momenti di serenità persino nei
momenti in cui la vita gli sembra solo tenebre, solo insicurezza, solo momenti di oscurità che
rappresentano l’esperienza collettiva della guerra.
Questa poesia è sia l’esperienza singola del poeta sia l’esperienza collettiva della prima guerra
mondiale.

Il componimento si articola in quattro parti:


 prima parte (vv. 1-8). E’ notte: il poeta, abbandonato in una dolina vuota e triste, come un
circo prima e dopo lo spettacolo, osserva il cielo e si abbandona al ricordo;
 seconda parte (vv. 9-41). Il poeta rievoca un bagno rigeneratore nell’Isonzo compiuto al
mattino, che gli ha regalato un raro momento di pace, consentendogli di ritrovare l’armonia con se
stesso e con l’universo.
 terza parte (vv. 42-62). Le acque dell’Isonzo,il fiume tragico, il fiume di sangue del Carso, il
fiume su cui per dodici terribili battaglie i fanti italiani furono lanciati all’assalto del sadico generale
Cadorna contro le mitragliatrici austriache, fanno affiorare alla memoria del poeta i momenti più
importanti della sua vita, legati ad altri fiumi: il Serchio, in Lucchesia, da dove proveniva la sua
famiglia; il Nilo, sulle cui sponde egli nacque, crebbe e si sentì ardere dal desiderio di nuove
esperienze; la Senna, il torbido, il malessere esistenziale in cui Ungaretti è cresciuto e ha
conosciuto la sua vocazione letteraria.
 quarta parte (vv. 63-69). La lunga rievocazione si chiude con un ritorno al presente, a
“questa nostalgia”, che da’ alla lirica una struttura circolare.

Il poeta resiste nel paesaggio come un albero mutilato: una “dolina”, cioè il paesaggio scavato e
privo di vegetazione, completamente abraso dalla particolare conformazione geologica del Carso,
ma anche dalle ferite, dai colpi inferti dalla guerra, dai bombardamenti, dall’uso dei gas, da tutte le
altre orribili tecnologie moderne che in quel momento, per la prima volta, il popolo italiano e tutti i
popoli europei venivano a conoscere nel loro volto più terribile. Questo paesaggio lunare trova un
solo rappresentante, un solo sopravvissuto: l’albero mutilato. Rispetto alle altre poesie, qui
Ungaretti non celebra i sommersi, bensì il salvato, cioè fondamentalmente se stesso, raccontando
la sua biografia. Il compito del poeta per Ungaretti è di scrivere una bella biografia e i fiumi, nella
loro brevità che è tipica anche della poesia di Ungaretti, sono una vera e propria autobiografia.
Rispetto alla disgregazione de L’Allegria, questi fiumi preannunciano il momento della
ricomposizione; ricostruiscono il tessuto (la “docile fibra dell’universo”, come la definisce
Ungaretti) del soggetto nella continuità con la natura e con la storia. Non si tratta solo della storia
familiare, di un individuo, ma anche della storia di una comunità. Quell’italianità, quella patria che
Ungaretti non aveva conosciuto per nascita e che aveva vissuto come estraneità nel suo periodo
parigino, viene invece clamorosamente incontrata e celebrata nel momento più difficile, più
tragico, cioè il momento della guerra. Nell’identificazione dell’uomo con la natura è evidente
l’influsso del panismo d’annunziano. L’esperienza del bagno nell’Isonzo acquista anche anche il
valore simbolico di una purificazione battesimale, che rigenera l’uomo e lo pacifica con l’universo.
Questa pacificazione è espressa attraverso una serie di similitudini (come un sasso, come una
reliquia, come un acrobata) che rappresentano l’identità tra passato e presente suggerendo
un’immagine che rinvia all’infanzia egiziana del poeta ( come un beduino).

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