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I FIUMI
L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua
Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole
Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo
Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia
Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità
Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita
Questi sono
I miei fiumi
Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure
Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo
I versi sono brevi, c’è un lessico espressionista, la sintassi è ridotta. Tutto questo è sintomo
dell’influenza del Futurismo che, all’inizio del ‘900, era stato molto importante per i letterati.
La raccolta “Allegria” è caratterizzata da una serie di temi che ritornano, tra cui la necessità di
fratellanza in un momento come la Prima guerra mondiale in cui le persone si sentono
estremamente sole, soprattutto nella vita di trincea.
Ungaretti vuole darci l’idea, in tutta la raccolta, di come lui si senta parte di un qualcosa di
collettivo.
Ricapitola, attraverso i fiumi della vita del poeta, tutta la sua biografia.
Perché una raccolta di poesie che parla di guerra si chiama “Allegria”? Perché sono quei pochi
momenti di euforia, di felicità in una situazione drammatica come quella della guerra.
Per quanto riguarda la metrica, i versi sono sia parisillabi sia imparisillabi. Non c’è una struttura
rimica coerente. Ci sono delle rime che tornano (la rima in -ato per esempio) però è un desiderio
di creare una struttura vicina ad una assonanza più che ad una rima vera e propria.
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna
C’è l’io protagonista che riflette su quello che sta vedendo e ce lo fa raccontare dall’io lirico che in
qualche modo si identifica con il paesaggio, infatti abbraccia l’albero mutilato.
In questo momento in cui comincia a riflettere si trova in un momento di pausa dalla guerra, dice:
Mi sono chinato a ricevere il sole
Questo è l’Isonzo
in questo momento lui è sull’Isonzo e riconosce una docile fibra dell’universo, si sente in armonia
con il tutto. Sembra che in questo breve momento di tranquillità in cui sta prendendo il sole, si
sente in pace con tutto, come se persino la guerra avesse senso.
Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre
Il primo è il Serchio, un fiume della zona di Lucca in Toscana da cui veniva la famiglia di Ungaretti
che si era trasferita in Egitto. Lui sente il bisogno di ricapitolare la sua vita a partire dai suoi
antenati, non solo i suoi genitori nati e cresciuti in Toscana e poi si sono trasferiti ad Alessandria,
ma tutto il suo albero genealogico. Il fiume seguente è il Nilo.
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Il Nilo, in Alessandria d’Egitto, dove lui nasce nel 1888, rappresenta la sua prima gioventù, quella in
cui è ancora inconsapevole. Il fiume successivo è la Senna e fa riferimento agli anni parigini dopo il
suo trasferimento nel 1912, gli anni in cui ha cominciato a conoscersi meglio.
Conclude dicendo:
Questa è la mia nostalgia
cioè questo è il suo ricordo, sta riflettendo e ci sta raccontando ma non dobbiamo dimenticare che
questa sua esperienza, per quanto drammatica, non potrebbe esistere senza la guerra. Quindi
l’Isonzo rappresenta contemporaneamente sia una morte (lui si trova come una reliquia) ma
anche una rinascita perché riprende le sue quattro ossa ed esce dal fiume.
Sottolinea come paradossalmente nel corso della guerra ci sono grandi momenti di vitalità in cui la
sua vita gli sembra una “corolla di tenebre”. Cioè ci sono dei momenti di serenità persino nei
momenti in cui la vita gli sembra solo tenebre, solo insicurezza, solo momenti di oscurità che
rappresentano l’esperienza collettiva della guerra.
Questa poesia è sia l’esperienza singola del poeta sia l’esperienza collettiva della prima guerra
mondiale.
Il poeta resiste nel paesaggio come un albero mutilato: una “dolina”, cioè il paesaggio scavato e
privo di vegetazione, completamente abraso dalla particolare conformazione geologica del Carso,
ma anche dalle ferite, dai colpi inferti dalla guerra, dai bombardamenti, dall’uso dei gas, da tutte le
altre orribili tecnologie moderne che in quel momento, per la prima volta, il popolo italiano e tutti i
popoli europei venivano a conoscere nel loro volto più terribile. Questo paesaggio lunare trova un
solo rappresentante, un solo sopravvissuto: l’albero mutilato. Rispetto alle altre poesie, qui
Ungaretti non celebra i sommersi, bensì il salvato, cioè fondamentalmente se stesso, raccontando
la sua biografia. Il compito del poeta per Ungaretti è di scrivere una bella biografia e i fiumi, nella
loro brevità che è tipica anche della poesia di Ungaretti, sono una vera e propria autobiografia.
Rispetto alla disgregazione de L’Allegria, questi fiumi preannunciano il momento della
ricomposizione; ricostruiscono il tessuto (la “docile fibra dell’universo”, come la definisce
Ungaretti) del soggetto nella continuità con la natura e con la storia. Non si tratta solo della storia
familiare, di un individuo, ma anche della storia di una comunità. Quell’italianità, quella patria che
Ungaretti non aveva conosciuto per nascita e che aveva vissuto come estraneità nel suo periodo
parigino, viene invece clamorosamente incontrata e celebrata nel momento più difficile, più
tragico, cioè il momento della guerra. Nell’identificazione dell’uomo con la natura è evidente
l’influsso del panismo d’annunziano. L’esperienza del bagno nell’Isonzo acquista anche anche il
valore simbolico di una purificazione battesimale, che rigenera l’uomo e lo pacifica con l’universo.
Questa pacificazione è espressa attraverso una serie di similitudini (come un sasso, come una
reliquia, come un acrobata) che rappresentano l’identità tra passato e presente suggerendo
un’immagine che rinvia all’infanzia egiziana del poeta ( come un beduino).