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Corso di Psichiatria
Docente Prof. C. Cedro
Secondo recenti stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno circa
1.000.000 persone muoiono per suicidio. Se consideriamo che per ogni suicidio
vengono coinvolti, sul piano della sofferenza esistenziale o delle ripercussioni
sociofamiliari, tutte le persone che erano legate affettivamente al suicida, capiamo
come il suicidio rappresenti una problematica di carattere sociale molto rilevante.
Rilevanti risultano anche le implicazioni sul piano personale e sociale dei tentati
suicidi, dal momento che possono essere causa di invalidità permanente.
Il tasso di suicidio, se consideriamo il ciclo della vita, segue un andamento che
potremmo definire a “gobba di cammello”. Il primo picco si colloca nel pieno della
gioventù, approssimativamente tra i 24 e i 35 anni di età. I tassi di suicidio
continuano ad aumentare fino alla mezza età. Il secondo picco, in quasi tutti i paesi
del mondo, si riscontra tra gli anziani maschi di età superiore ai 75 anni. L’elevata
incidenza in età avanzata, sottolinea quanto il suicidio possa rappresentare un
problema di rilievo in ambito psicogeriatrico. Riguardo ai dati relativi al parasuicidio si
osserva come tra i maschi il tasso più alto (414/100.000) è stato registrato ad
Helsinki in Finlandia e il più basso (61/100.000) a Leida in Olanda con un rapporto
di 7:1 tra questi paesi. Per le femmine, il tasso più alto si è registrato in Francia a
Pontoise (595/100.000) e il più basso (95/100.000) a Quipuzcoa in Spagna. I
parasuicidi sono più spesso appannaggio del sesso femminile con l’eccezione di
Helsinki (Finlandia), dove i tassi registrati per i maschi risultano più elevati di quelli
per le femmine. L’età di picco per i parasuicidi, sia in termini di numeri assoluti che
relativi, cade sicuramente nella prima parte del ciclo della vita e in particolare tra i 15
e i 44 anni di età, benché si registrino rimarchevoli differenze tra paesi e sessi. (De
Leo e L. Pavan, 2002)
Il soggetto che ha tentato un suicidio è sicuramente a rischio di ripeterlo. Tra i
principali fattori di rischio di ripetizione dell’atto suicidarlo, possiamo considerare:
Posto che l’atto suicidario può essere la risultante di molteplici fattori di ordine
biologico, sociologico e psicologico, la prevenzione primaria si presenta la più difficile
da realizzare ma sicuramente anche la più efficace. La prevenzione primaria fa
riferimento alle possibilità di intervento che possono evitare l’instaurarsi di quegli
elementi che nell’individuo possono rappresentare fattori predisponesti alla condotta
suicidaria. Fa parte della prevenzione primaria agire sulle circostanze in grado di
determinare la comparsa di problemi psicologici e comportamentali, prestare cioè
attenzione all’educazione emotiva, considerandone sia le componenti individuali che
sociali. Ad esempio, sembrerebbe di grande importanza dare al bambino già dai
primi anni di vita una corretta educazione emotiva, riconoscendo come fondamentale
l’acquisizione delle capacità di mentalizzazione delle emozioni e della loro
comunicazione. Occorre emancipare la strutturazione dell’autostima dal doverismo e
dall’esclusiva accettazione degli altri; evitare i condizionamenti cognitivi che
ipertrofizzano la vergogna e la colpa; promuovere in ogni senso un’immagine
realistica del sé, che non deve essere in nessun caso condizionata dall’essere per il
dover essere, secondo aspettative sociali o familiari che non lasciano spazio alla
possibilità di accettare come possibili ed inevitabili i fallimenti nel corso della vità. La
prevenzione primaria del suicidio dovrebbe trovare, quindi, ampio spazio di studio e
di ricerca nell’ambito psicopedagico.
De Leo e Pavan (2002) suggerisce come sia anche importante una maggiore
sensibilizzazione verso i concetti di vita e di morte, con particolare attenzione al
significato del gesto suicidario e dei comportamenti che lo possono preannunciare.
In quest’ottica può risultare utile promuovere campagne di informazione sulla
depressione per aumentare le possibilità di identificarla, dal momento che questa
rappresenta in assoluto il maggior fattore di rischio suicidario. Campagne di
informazione andrebbero promosse anche al fine di diminuire il consumo di alcool e
droghe. Ancora, un controllo migliore andrebbe rivolto ai media, al fine di
deromanticizzare qualsiasi resoconto o narrazione pubblica riguardante eventi
suicidari.
La gran parte degli studiosi ritiene che la maggioranza dei soggetti suicidi soffrivano
di un disturbo mentale, più o meno manifesto e che, tra i diversi disturbi, la
depressione è certamente quello potenzialmente più rischioso. Questa stretta
connessione tra malattia mentale e comportamento suicidario ci porta a concludere
che i metodi efficaci di trattamento e di prevenzione dei disturbi mentali, ed in
particolare dei quadri depressivi, possano ridurre l’incidenza degli agiti suicidari.
Pertanto parlare di prevenzione e terapia del suicidio significa parlare di trattamento
dei disturbi psichici. Tanto la psicoterapia che gli psicofarmaci che la terapia
combinata (psicofarmaci + psicoterapia) vengono utilizzati efficacemente nel
trattamento dei disturbi depressivi e delle altre turbe psichiche e, pertanto, sono da
considerarsi utili nel prevenire il comportamento suicidario.