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WILLIAM STANLEY MILLIGAN è il primo americano ad esser stato dichiarato non colpevole di gravi

crimini per motivi di infermità mentale.


(La sua storia è piuttosto nota, anche perché raccontata in un libro (Una stanza piena di gente di Daniel Keyes) e
ripresa più di recente nel film Split di M. Night Shyamalan, in cui la vicenda clinica di Billy ha preso i contorni,
decisamente fuorvianti, di un fanta-horror. )
Billy soffriva di un disturbo dissociativo dell’identità (DID), un tempo noto come “disturbo di
personalità multipla”. La sua condizione venne alla luce alla fine degli anni Settanta, quando,
all’età di ventidue anni, rapì e stuprò tre studentesse e fu arrestato. Le autorità notarono alcuni
comportamenti insoliti e coinvolsero un’équipe medica che portò alla luce la presenza di 24
personalità distinte (uomini, donne, adulti e bambini). Il disturbo aveva fatto la sua comparsa in
tenera età, in seguito alle violenze inflittagli dal patrigno, un uomo disturbato che aveva
ripetutamente abusato di lui.

La storia di Billy 
Billy viveva in uno stato spesso confusionale, con rari momenti di lucidità. Passando
continuamente da una personalità all’altra, viveva con discontinuità la propria identità e le proprie
azioni, non riuscendo a giustificare gli avvenimenti in cui era coinvolto e riportando continue
amnesie. I rari momenti di consapevolezza, intollerabili per Billy, lo indussero più volte a tentare il
suicidio. Dopo una vita spesa tra ospedali psichiatrici e prigioni, e dopo essersi riabilitato
numerose volte con altrettante ricadute, nel 1988 Billy Milligan ottenne il rilascio definitivo perchè
ritenuto dai medici “integrato”, ossia guarito dal Disturbo dissociativo di cui era affetto.
Morì di cancro nel 2014, all’età di 59 anni.
Quello di Milligan è probabilmente un caso estremo, così come estremi e poco realistici sono i
tanti casi portati sul grande schermo (la “personalità multipla” è un tema amatissimo dal cinema)
ma il disturbo dissociativo d’identità esiste davvero. Vediamo di che cosa si tratta.

IL DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITÀ, contrariamente a quanto si possa pensare, non è una


condizione così rara: secondo l’American Psychiatric Association ci sono  70 milioni di casi in tutto il
mondo. Naturalmente, in questo numero i casi gravi e complessi come quello di Billy sono solo una
piccola percentuale mentre più numerosi sono i casi di due personalità.

Alla base di questo disturbo ci sono spesso esperienze di violenza cronica ed estrema subite
durante l’infanzia, e molti dei sintomi, tra cui il disagio, la confusione ed il turbamento, sono
condizionati dalla contiguità del trauma. 
Di fronte a ripetute violenze, la psiche dell’individuo mette in atto un meccanismo inconscio di
dissociazione durante la quale alcuni elementi psichici si separano dal restante sistema. Come se la
mente si attrezzasse per canalizzare il dolore all’interno di condotti differenti e quindi sopportarlo
meglio. 
Alcuni autori sono arrivati a definirlo un fattore di resilienza evolutiva: come se l’individuo,
costretto ad adattarsi a un contesto insopportabile, trovasse in questa separazione l’unico modo
per resistere. In parole semplici, si ipotizza che la mente si dissoci in una parte “cattiva”,
meritevole dei maltrattamenti e degli abusi, e in una parte “apparentemente sana”, che non
comunicano tra di loro. Questo meccanismo difensivo attivato dalla mente per proteggersi e
fronteggiare il dolore, diventerebbe però, con il passare del tempo, disadattivo, dannoso e
patologico per la persona.
La matrice traumatica del Disturbo dissociativo è oggi confermata e riconosciuta, tanto da essere
inclusa nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5) e
inserita non a caso accanto ai disturbi da trauma. Non si parla più, dunque, di un fenomeno oscuro
e soprannaturale, ma di una grave e dolorosa condizione di sofferenza psichica.

Secondo la Società Internazionale per lo studio della dissociazione, il Disturbo dissociativo


dell’identità non può derivare da una mente matura e unificata che si frantuma, ma piuttosto dal
fallimento di una normale integrazione. Che cosa vuol dire? Le persone con DID non hanno mai
avuto un’identità completa, ma solo frammenti di personalità: diversi stati del sé dissociati, ossia
non collegati tra loro. È proprio l’insieme delle identità alternative a costituire la personalità
(multipla) della persona affetta da DID.
Ogni personalità ha proprie modalità di percepire, relazionarsi e considerare l’ambiente e il sé, con
caratteristiche anche molto diverse tra loro come il nome, il sesso, il tono di voce, l’età, la
calligrafia, la gestualità, il temperamento, le abilità. 
Secondo lo psichiatra americano Philip Coons, che alla fine degli anni ‘90 ha condotto uno studio
su 50 pazienti con DID, ogni personalità potrebbe addirittura mostrare allergie e malattie differenti
(per esempio disturbi della vista) e proprie memorie autobiografiche.

Un’importante caratteristica del DID riguarda l’AMNESIA (perdita di memoria): i pazienti infatti


mostrano spesso difficoltà a ricordare eventi attuali e passati. Può capitare che si ritrovino in un
luogo senza sapere come e perché ci siano finiti o di non ricordare di aver compiuto alcune azioni.

Le diverse personalità si manifestano alternativamente a seconda degli stimoli provenienti


dall’ambiente e il passaggio da una personalità all’altra avviene in uno stato di trance rapidissimo.

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