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CRISI DEL 1929 (al 32)

Nella seconda metà degli anni Venti cresce la produzione industriale dei beni di consumo
durevole come il frigorifero, la radio etc.. Molti consumatori li compravo avvalendosi dei
prestiti concessi dalle banche.
C’è un piccolo granello però, poiché questi beni una volta acquistati non si sostituiscono
nell'immediato. Si sfruttano finché durano e il ritmo della sostituzione delle merci è piuttosto
basso. Il rallentamento si ripercuote anche nell’economia.
I risparmiatori comprano le azioni di queste nuove imprese e mentre il mercato si sta
saturando, la borsa cresce come un treno. I risparmiatori danno per scontato che il prezzo
delle azioni continui a crescere. Infatti una volta cresciute vengono vendute. Questo si chiama
bolla speculativa.
Nell’autunno del 29’ tutto questo meccanismo smette di funzionare: non vi è più relazione tra
valore delle azioni (positivo) e il mercato (negativo), così si iniziano a vendere le azioni. Cosi
il valore delle azioni decresce vertigionosamente fino ad arrivare al maredi nero del 29
ottobre 1929 in cui vengono venduti titoli azionamri per un valore di 16 mln di dolari.
Il cataclisma si ripercuote anche sulle banche. I soldi concessi a lungo-medio termine, non c'è
possibilità di ottenere soldi nell’immediato. La banca comincia ad avere difficoltà a pagare
gli interessi sui depositi, facendo allontanare i risparmiatori dalle banche.
Le imprese statunitensi non hanno più soldi per mandare avanti l’azienda per la flessione
della domanda sia per la crisi bancaria. Hanno poche soluzioni o chiudono o rallentano la
produzione. Si iniziano a licenziare gli operai o ad abbassare i prezzi dei salari. Se gli
impiegati non hanno più stipendio non riescono più a comprare beni.
Così inizia la grande depressione.
Le banche e i risparmiatori smettono di investire nei titoli tedeschi, le banche tedesche vanno
in crisi poiché non sono più in grado di restituire i soldi ricevuti dagli operatori finanziari
statunitensi. Questo si ripercuote nelle imprese tedesche.
Dalla germania, la crisi si trasmette anche alla francia, gran bretagna, italia.
La maggior parte dei paesi pensano che la soluzione sia nella svalutazione della moneta e
alzando i costi doganali; ne consegue che il mercato globale crolla.
NEW DEAL
Questo “nuovo patto”, in concreto, fu un grande insieme di interventi sulla spesa pubblica,
sulla tassazione, sulla regolazione e sulle politiche monetarie. Il principale autore fu proprio
Roosevelt, che vinse le elezioni del 1932. Il New Deal durò dal 1933 al 1938 e viene
comunemente diviso in due fasi: il primo e il secondo New Deal (quest’ultimo dal 1935 al
1938). L’approccio non fu sistematico: il governo federale cercò di risolvere i problemi mano
a mano che si presentavano.
Roosevelt si insediò nel marzo del 1933 con una larga maggioranza nei due rami del
parlamento. Nei primi mesi dell’anno il paese aveva appena toccato il fondo della crisi
economica: sia in termini di disoccupazione che di PIL – che all’epoca, come misura
statistica, ancora non esisteva. Nei primi cento giorni circa del suo mandato, Roosevelt
incontrò il Congresso tutti i giorni e fece approvare la prima serie di misure del suo New
Deal, la cosiddetta “Sessione dei 100 giorni”.
Il primo atto, approvato il 9 marzo del 1933, fu uno di quelli destinati a durare ancora oggi. Si
chiamava Emergency Banking Act (EBA) e stabiliva che nessuna banca avrebbe potuto
operare negli Stati Uniti senza l’approvazione e la supervisione della Federal Reserve, la
banca centrale. Come l’EBA, molte altre delle riforme più durature del New Deal riguardano
la regolamentazione.
Ad esempio i controlli sulla borsa vennero affidati nel 1934 alla SEC, l’equivalente della
nostra CONSOB, che esiste tutt’ora. Lo stesso Banking Act conteneva anche il Glass-Steagall
Act, la legge che separava le banche commerciali, che cioè raccoglievano denaro presso i
risparmiatori e lo prestano, e le banche d’investimento, che invece investono i proprio capitali
e offrivano consulenze.
Oltre che a regolare, il New Deal cercò anche di intervenire direttamente nell’economia.
Decine di agenzie federali e programmi furono creati in quegli anni, tutti contraddistinti da
sigle: CWA, CCC, NRA, AAA e FERA. Era quella che all’epoca gli americani chiamavano
“la zuppa alfabetica” e che ai repubblicani ostili a Roosevelt ricordava la volontà di
pianificare l’economia del regime fascista di Mussolini e di quello comunista di Stalin.
L’ultima sigla, la FERA, fu uno dei programmi più efficaci – ed era anche uno dei più
semplici: consisteva in una serie di interventi diretti per fornire a quel 25% di americani
disoccupati denaro, cibo e vestiti.
IL SECONDO NEW DEAL
Nel 1935 cominciò quindi una seconda serie di interventi, ancora più radicali dei precedenti,
che gli storici hanno ribattezzato Secondo New Deal.
Molte delle riforme di questa fase sono durate a lungo: come il sistema fiscale estremamente
progressivo – cioè più pesante per i ricchi che per i poveri – che fu sostanzialmente cambiato
soltanto da Reagan negli anni ’80. Alcune sono in vigore – almeno nell’impostazione –
ancora oggi: come le riforme delle pensioni, dell’assistenza e della protezione sociale e il
riconoscimento giuridico dei sindacati.
Scava la buca riempi la buca
La misura rimasta più celebre di tutto il New Deal è certamente la creazione della Works
Progress Administration (WPA) e di altri programmi simili: grandi enti statali che
assumevano milioni di disoccupati per costruire grandi opere pubbliche come strade, dighe e
scuole. Questi programmi devono la loro fama anche a una famosa battuta dell’economista
John Maynard Keynes che disse che in tempi di crisi lo Stato avrebbe dovuto assumere alcuni
disoccupati per scavare buche e altri disoccupati per riempirle. Keynes è spesso associato al
New Deal perché, sintetizzando brutalmente alcune delle sue teorie, sosteneva che la spesa
pubblica poteva sostenere in tempo di crisi gli investimenti e i consumi. In realtà, pochi new
dealers conoscevano Keynes, anche dopo la pubblicazione nel 1935 del suo libro più famoso.

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