L’autore di quest’opera, Ernst Cassirer, tratta del pensiero di Rousseau ma
soprattutto lo analizza in tutti i suoi aspetti. C’è da dire prima di tutto che lo stesso Rousseau si è rivelato essere una figura del tutto autentica e per certi aspetti controcorrente rispetto all’epoca nella quale egli si ritrova a vivere. Ci troviamo nel periodo dell’illuminismo, quel periodo durante il quale la ragione è l’unica fonte dalla quale ricavare ogni forma di conoscenza. Si perdono le superstizioni, ogni procedimento anche nell’ambito della natura viene definito come un vero e proprio meccanismo, argomento sul quale lo stesso Cassirer si concentrerà nella seconda parte di questo scritto. Prima di tutto Rousseau è stato almeno in parte influenzato dal movimento letterario, artistico e filosofico che prende nome di Sturm und drang, il quale esprime a pieno non solo il senso del sublime e della forza, ma soprattutto il senso di ribellione e di anticonformismo nei confronti di una società che sembra essere troppo rigida. Rousseau dunque, è almeno in parte definito una figura razionale perché all’interno del contratto sociale egli delinea la visione della sua società perfetta attraverso ragionamenti logici e meccanici, tant’è vero che lo stesso Immanuel Kant lo paragonerà allo stesso Newton, in quando sarà in grado di mettere al proprio posto in maniera razionale ed efficace ogni cosa, ogni visione e ogni concetto. Dall’altra parte, invece, lo stesso Rousseau sarà definito anche una figura irrazionale perché riprenderà quell’aspetto del sentimento che durante il periodo dei lumi era stato completamente abbandonato.
Nella prima parte di quest’opera Cassirer ci chiarisce il pensiero di Rousseau in
merito alla sua visione della società che lo circonda. La sua infanzia è stata comunque segnata da eventi molto importanti, tuttavia egli sostiene che la maggior parte dei suoi ricordi e dei bei momenti da lui vissuti sono racchiusi non proprio nella realtà che si ritrova a vivere quanto piuttosto nella sua visione onirica delle cose. il nostro personaggio, durante la sua crescita, ha la possibilità di recarsi a parigi dove incontra figure di grande spicco sociale tra le quali possiamo ricordare anche quella di Diderot, con il quale egli stringerà un vero rapporto di amicizia. Tuttavia, le nuove convenzioni sociali e il suo completo inserimento all’interno della stessa comunità lo portano a sviluppare una visione non del tutto positiva di quest’ultima. Prima di tutto, Rousseau racconta di essere stato accolto dalla comunità parigina a braccia aperte e con un calore così profondo ed ostentato che mai si sarebbe aspettato. A questo punto si chiede come sia possibile che delle persone a lui così sconosciute gli dimostrino così tanto affetto e giunge alla conclusione che probabilmente quella sorta di tenerezza rivolta a lui in realtà non è vera quanto piuttosto falsa, rappresenterebbe semplicemente un’ostentazione non vera che, ancora una volta, si rifà alle regole e alle convenzioni sociali. Secondo Rousseau, l’uomo pensa di aver vissuto ma è proprio a causa della società che cambia il suo modo di essere, il quale si conforma a quello di tutti gli altri. Nessuno, soprattutto in comunità, riesce ad esprimere e a mostrare a pieno la propria personalità perché tutti i comportamenti, modi di fare, verità, regole e leggi, ci vengono dati direttamente dalla società e arrivano a noi come delle verità assolute sulle quali basiamo il nostro stile di vita. È molto difficile, dunque, riuscire a separare la parte artificiale dell’uomo dalla sua origine primordiale, ma è proprio quello che cerca di fare Rousseau, mostrandoci la vera essenza dell’uomo. Stando all’interno della società parigina col passare del tempo si accorge che l’uomo non arriverà mai ad accettare completamente tutto ciò che gli viene imposto dall’esterno; lo stesso Rousseau ama fare le cose di sua spontanea volontà ma soprattutto senza limiti o vincoli temporali, perché se fosse il contrario allora il suo non sarebbe un lavoro ma diventerebbe piuttosto una vera e propria costrizione. C’è bisogno, dunque, della nascita di una comunità che sia in grado di sottomettere e dunque alienare tutti quei diritti naturali che fino a questo momento hanno portato scompiglio per il bene della collettività. Alienare in questo senso non significa perdere la propria libertà, quanto piuttosto acquisirne un’altra basata sugli aspetti morali ed eticamente civili che permettano all’uomo di realizzare la volontà generale, gestita dallo stato che è nominato e scelto direttamente dal popolo, al fine di vivere tranquillamente in società e in convivenza con tutti gli altri. A tal proposito Rousseau non può essere definito un portatore del comunismo perché non si è mai fatto garante delle classi sociali più basse, non ha mai voluto combattere la povertà quanto piuttosto le ingiustizie sociali, scaturite dalla violenza dei ricchi commercianti e dal loro approfittarsi della forza lavoro dei più poveri. Egli infatti sostiene che le proprietà e i possedimenti possono essere paragonati alle qualità dell’uomo: c’è chi ne ha di diverse rispetto agli altri ma questo non può divenire un motivo di lotta o guerra civile. Basta semplicemente rispettare le divisioni senza approfittarsi del prossimo e senza danneggiarlo. Da qui solleva il problema e la questione della teodicea. Chiariamo prima di tutto che per Rousseau la nascita dello stato non è stata voluta da Dio ma direttamente dall’uomo, dal momento che lo stato stesso nasce come frutto di volontà di tutti, dunque di una volontà generale. Dunque, la religione può essere definita il fondamento della società, la base sulla quale essa si fonda per garantire a tutti la felicità, per questo aspetto infatti la filosofia di Rousseau è stata anche definita filosofia dell’utile; l’uomo in questo modo si sente compreso e si sente al sicuro perché sa che esiste qualcuno al di sopra di lui che un giorno gli recherà giustizia. Tuttavia l’idea di Rousseau in merito alla presenza del male all’interno della società entra in contrasto con ciò che pensa la chiesa. Secondo la chiesa, come poi approfondirà lo stesso sant’agostino, l’uomo è naturalmente portato verso il male a causa del peccato originale che ha condannato e continua a condannare l’intera umanità. Rousseau, invece mostra un’idea completamente diversa. Secondo quest’ultimo, infatti, la presenza del male è data dall’aggregazione di tutti i membri della società che in mancanza di un patto o contratto sociale mirano esclusivamente al raggiungimento di interessi privati per i propri vantaggi. L’uomo, considerato singolarmente, non è affatto cattivo, ma lo diventa quando entra in contatto con la società caratterizzata da vanità, ricchezza, possedimenti, vantaggi personali e interessi privati. Ciò è causato anche dal problema della perfettibilità, secondo il quale l’uomo stesso non si limiterebbe a ciò che gli ha dato in dono la natura come qualità personali, ma tenderebbe a cercare in lui la perfezione, a volere sempre di più e ad incrementare il valore delle sue virtù. Questo scatenerebbe una vera e propria competizione che vede i singoli all’interno della comunità completamente divisi tra di loro. Per risolvere tale questione si necessiterebbe dunque di un vero e proprio patto sociale di cui abbiamo già parlato precedentemente; la nascita dello stato è legata alla giustizia che si ottiene solo tramite la volontà generale; il compito dello stato stesso , infatti, è quello di garantire l’avvenire dell’uomo ma soprattutto crescere insieme a quest’ultimo, per questa motivazione Rousseau critica il regime assoluto e tutto ciò che riduce parte della società in schiavitù. Tuttavia, pur dimostrando il suo ottimismo, il suo animo sarà sempre abitato da un certo pessimismo a causa di una società che è completamente diversa da quella descritta da lui nel contratto sociale.
Nella seconda parte, invece, Rousseau approfondisce la ripresa del concetto di
natura inteso non più come un semplice meccanismo ma ne rivela direttamente l’anima, parliamo dunque di una visione che nel secolo dei lumi era andata completamente persa dal momento che ogni cosa era vista in maniera completamente razionale. A tal proposito, molti pensatori hanno delinato la figura di Rousseau come un vero e proprio individualista; egli sostiene di preferire le lunghe passeggiate immerso nella natura, nell’ambiente che tanto sente vicino e dal quale si fa avvolgere completamente, un ambiente lontano dalle convenzioni e dagli schemi imposti dall’esterno e dalla società, addirittura dice di preferirlo all’uomo. Ciò potrebbe risultare contraddittorio con quanto affermato da lui nel contratto sociale dal momento che parla di una vera e propria aggregazione dei singoli in un gruppo solido e compatto. In realtà Rousseau tratta di questa sua visione in relazione alla società all’interno della quale lui stesso è immerso durante quel periodo, una società che egli non ritiene giusta per nessun aspetto. Tutta questa visione infatti sarà approfondita nell’Emilio, opera che tratta della formazione da parte di Rousseau di questo suo allievo, tenuto volontariamente lontano dalla comunità perchè negativa per quelli che invece sono i valori trasmessi al fanciullo stesso, il quale deve far parte di una società completamente diversa e ispirata ad altri valori per la quale la sua non è ancora pronta. Questo aspetto, se analizzato attentamente, rivela esattamente ciò che noi abbiamo sostenuto prima, e cioè che Rousseau nel contratto sociale parla di una comunità idealizzata secondo la sua visione, quella che potrebbe essere definita corretta e perfetta se solo si avesse la forza e la volontà di rivoluzionare il tutto mirando al bene collettivo. La necessità di quest’ultimo la si può apprendere solo tramite la ragione e il sentimento inteso sia secondo una visione naturalistica sia secondo una visione idealistica, ma questa stessa ragione non può essere sviluppata tramite un aiuto dall’esterno. La stessa conoscenza delle cose non avviene attraverso una figura che ci faccia da mediatrice, quanto piuttosto avviene in prima persona , attraverso l’esperienza che ci permette di delineare la realtà delle cose che ci circondano. È proprio per questo che lo stesso Rousseau sostiene che la religione ha un problema di fondo, in quanto risulta essere non una conoscenza che abbiamo verificato e appreso in prima persona ma un qualcosa che ci viene trasmesso da altre persone e chi crede a tutto ciò senza interrogarsi minimamente sul fatto stesso è come se credesse ad una serie di fantasticherie che gli vengono raccontate. La conoscenza delle cose secondo Rousseau avviene prima di tutto in un tempo stabilito. L’apprendimento non va forzato e non va somministrata alcun tipo di conoscenza da parte dell’insegnante perché ogni cosa ha il suo tempo. Questa stessa conoscenza avviene tramite i cinque sensi che ci permettono di entrare a contatto col mondo circostante. Sulla base di queste informazioni grazie al momento dinamico che ci permette di entrare n comunicazione con la parte più profonda del nostro io, riusciamo a collegare tra di loro le varie risorse attraverso il meccanismo del giudizio. La ragione è ciò che ci permette di unificare queste informazioni che ci arrivano in maniera distaccata e frammentaria, dopodiché siamo noi a formulare un giudizio, una conclusione su ciò che abbiamo direttamente appreso. Può capitare molto spesso che questo giudizio possa essere sbagliato, ma non lo è nel nostro pensiero, lo è nel nostro volere dunque nella pratica, perché l’arrivo delle informazioni risulta essere sempre corretto. Ciò avviene dunque per la natura, raccontata anche all’interno delle poesie che fino a questo momento con l’epoca dei lumi avevano perso la loro essenza ed erano diventate vuote di contenuto, puro ornamento estetico. Rousseau riprende gli antichi pilastri della poesia e ne recupera completamente l’anima.
In conclusione, è proprio attraverso la coscienza che si genera questo sentimento al
cui interno è contenuta la ragione che ci permette di agire correttamente. In merito a ciò molti pensatori come lo stesso Aristotele, hanno sostenuto che l’uomo è portato naturalmente ad aggregarsi con tutti gli altri uomini. Rousseau sostiene il contrario; l’uomo non è cattivo, è semplicemente egoista e ciò che lo spinge ad unirsi non è una sua necessità o il suo istinto quanto piuttosto la stessa ragione che permette di sviluppare a pieno sentimenti come l’amore verso il prossimo e l’autoconservazione. Non potrebbe essere diversamente (come ad esempio sostenuto da diderot), semplicemente perché questo significherebbe prima di tutto che l’uomo ragioni in maniera filosofica, cosa assolutamente impossibile, e poi perché il suo istinto, come abbiamo già abbondantemente sostenuto, non è caratterizzato da una necessità di aggregazione col prossimo ne di aiuto reciproco. Ciò si sviluppa solo col tempo e con l’aiuto e il supporto della ragione, elementi che l’uomo non trova fuori di sé ma appunto dentro di se, attraverso la sua crescita personale, morale ed etica. Ciò che lo lega alla comunità e allo stato è la ragione, ma naturalmente egli sarà sempre portato a comportarsi diversamente. La coscienza dunque è un istinto, scaturito da un certo impulso ed è proprio all’interno di questa che si sviluppa la ragione che permette la conoscenza esatta e corretta delle cose. questa guida il nostro modo di essere e di agire nell’ambito della collettività, perché delinea la nostra personalità sia come singoli sia come membri di una comunità, la quale deve garantire la libertà dell’uomo.
Il piccolo mondo e il resto del mondo: "Quando questa consapevolezza si infrange, la sensibilità si disperde e diventare essere umani a pieno titolo non è più scontato"