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Indice
10.8 Attività
10.8.1 Attività relative ai capitoli 10.1 e 10.2: Domande di sintesi
10.8.2 Attività relative ai capitoli 10.3 e 10.4: Dai testi, agli approcci, ai
metodi
10.8.3 Attività relative ai capitoli 10.5 e 10.6: Dalla teoria alla pratica
didattica: riflessioni
10.8.4 Chiavi
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10.0 Guida al modulo
Nel terzo (10.3) si presenta la preistoria della disciplina “glottodidattica” fra scienze
dell’educazione e scienze della lingua, attraverso alcune figure di particolare rilievo e
una panoramica di metodi cronologicamente evidenziati, fino ad arrivare ai cosiddetti
“approcci scientifici”, cioè all’affermazione della disciplina stessa nella prima metà
del secolo scorso.
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10.1 Alcune definizioni preliminari
TEORIA (10.1.1.)
Fondato/infondato
APPROCCIO (10.1.2.) scientificamente
Adeguato/inadeguato
per realizzare
l’approccio
METODO
Coerente/incoerente al
suo interno
Adeguati/inadeguati al
TECNICHE & metodo e all’approccio
MATERIALI Efficaci/inefficaci nel
(10.1.4.)
raggiungere gli obiettivi
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10.1.1 Teoria
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10.1.2 Approccio
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10.1.3 Metodo
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10.1.4 Tecniche e Materiali
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10.2 “Navigare” nell’evoluzione metodologica: percorsi possibili
Quali sono i metodi e gli approcci principali, più noti o più significativi, che hanno
caratterizzato la storia della glottodidattica? E quali sono i criteri più efficaci per
poterli definire? Conformemente alla natura interdisciplinare della glottodidattica e
alla natura reticolare dei rapporti che intercorrono fra i fattori dell’atto didattico è
possibile “navigare” nell’evoluzione metodologica seguendo criteri diversi, ognuno
fondato su un particolare elemento da mettere in luce.
Alcuni dei criteri più significativi per affrontare la “navigazione” potrebbero
corrispondere, per esempio, alla comparazione di approcci e metodi sulla base delle
risposte che essi forniscono alle cinque, notissime, “classiche” domande, a cui spesso
si ricorre per affrontare, in modo sintetico e completo, una questione particolarmente
significativa: Quando? Come? Perché? Chi e che cosa? Dove?
Nei prossimi paragrafi risponderemo a queste domande singolarmente, cercando di
individuare, per ognuna di esse, dei percorsi possibili, da seguire nella nostra
“navigazione” nell’universo metodologico: individueremo innanzitutto un percorso
cronologico, che risponde alla domanda “quando?” (10.2.1), un percorso
“strumentale”, che risponde alla domanda “come?” (10.2.2) e un percorso scientifico,
che risponde alla domanda “perché?” (10.2.3), per poi soffermarci, in risposta alle
domande “chi? e che cosa?”, dapprima sulla dialettica evolutiva tra i fattori dell’atto
didattico (10.2.4), e poi sulle aree e le stagioni di sviluppo metodologico, in risposta
alla domanda “dove?” (10.2.5). Il paragrafo 10.2.6 presenta, infine, una sintesi dei
criteri esposti e propone un percorso tutto particolare, sintetico ma completo, capace,
a nostro avviso, di delineare i tratti salienti dell’evoluzione e delle caratteristiche dei
principali approcci e metodi della glottodidattica.
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10.2.1 Quando? Percorso cronologico
… _________________________1942_________________________________oggi …
precursori … …
…. approcci formalistici …
… metodi diretti …
approccio strutturalistico
approccio comunicativo
approccio umanistico-affettivo
approccio integrato
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10.2.2 Come? Percorso strumentale
Un criterio possibile per la classificazione degli approcci e dei metodi può essere
quello di impostare la descrizione sulla base degli strumenti, ovvero delle tecniche e
dei materiali utilizzati e privilegiati dagli approcci e dai metodi stessi.
Per fare questo è possibile partire da una classificazione di tecniche didattiche
(moduli 12 e 13) e considerare, eventualmente in ottica evolutiva, il ruolo di tali
tecniche negli approcci e nei metodi più noti.
In questo senso, per esempio, è possibile proporre una classificazione metodologica
sulla base del ruolo, della priorità e delle caratteristiche attribuite a certe tecniche, in
particolare in riferimento alle tecniche utilizzate per lo sviluppo delle diverse abilità
(modulo 9). Ecco allora profilarsi un percorso costruito sull’utilizzo o il non utilizzo
della traduzione, sull’uso o il non uso della lingua materna in classe, sulla presenza o
assenza di esercizi strutturali o di esercizi più creativi, sulla priorità delle abilità
scritte o di quelle orali, sul ruolo dei lavori di gruppo, sull’uso e il tipo di uso di
strumenti audio-visivi, ecc.
Tale criterio, incrociato con quello cronologico, favorisce l’impostazione di una
tabella di sintesi, in cui compare chiaramente, per ogni approccio o metodo, il ruolo
delle diverse tecniche didattiche.
Di seguito proponiamo un breve esempio, naturalmente da ampliare con indicazioni
molto più precise sulle diverse tecniche impiegate e sulle abilità esercitate, semplici e
integrate:
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10.2.3 Perché? Percorso scientifico
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10.2.4 Chi e che cosa? Dialettica dei fattori dell’atto didattico
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10.2.5 Dove? Aree di sviluppo e stagioni
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10.2.6 Criterio seguito
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10.2.6.1 Contesto storico
Nel definire il contesto storico nel quale approcci e metodi si sviluppano non
facciamo riferimento solo alle proposte metodologiche nate nel secolo scorso, in
epoca di glottodidattica affermata (dagli approcci strutturalistici a oggi – 10.4), ma
consideriamo anche parte della cosiddetta “protoglottodidattica”, meno nota ma
spesso illuminante per meglio comprendere certi modelli attuali (10.3.1, 10.3.2) e
quegli approcci e quei metodi che, pur imponendosi ancora nella prima metà del XX
secolo, hanno tuttavia radici molto più lontane. (10.3.3, 10.3.4).
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10.2.6.2 Teorie di riferimento
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10.2.6.3 Dinamica dei fattori dell’atto didattico
Per una corretta “navigazione” fra i metodi e gli approcci è utile mettere in evidenza
il ruolo assunto dai fattori dell’atto didattico e la dinamica delle loro relazioni, la
quale conferma, di norma, i principi teorici sui quali essi si basano.
Dal punto di vista dell’insegnante di italiano L2, che si trova ad adottare e ad aderire,
più o meno consciamente, a certe indicazioni metodologiche, tali osservazioni sono
molto utili, poiché permettono di acquisire una maggiore consapevolezza di come
gestire e organizzare il rapporto con la classe e con il singolo studente.
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10.2.6.4 Modelli operativi
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10.2.6.5 Tecniche, strumenti, sussidi
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10.3 Approcci pre-scientifici
Da sempre si riflette sul modo di insegnare e/o apprendere una lingua. Nella
preistoria della disciplina “glottodidattica”, o come alcuni dicono nella
“protoglottodidattica”, si incontrano scritti significativi sull’argomento.
Molti di questi testi, naturalmente, sottolineano l’importanza dell’uso della lingua
assai più che della riflessione sulla stessa in vista di un’acquisizione pratica,
spendibile nella comunicazione quotidiana.
In un percorso storico cronologico, vediamo alcuni di questi precursori della
glottodidattica, a base pedagogica prima e a base linguistica poi, fino ad arrivare agli
approcci scientifici recenti, cioè alla glottodidattica vera e propria.
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10.3.1 Alcuni precursori a base pedagogica
Il XXVI capitolo del primo libro dei Saggi di Montaigne, ad esempio, è un trattato di
pedagogia generale, in cui si raccomandano la formazione completa del giovane,
anche dal punto di vista dell’esercizio fisico e del divertimento, e l’insegnamento di
una lingua viene visto come insegnamento di lingua-cultura e di cultura umana nel
senso di cittadinanza del mondo a larghissimo raggio.
R. Ascham è l’autore di una Scholemaster in cui si prevede l’uso frequente della lode
da parte del maestro per motivare l’allievo e per sostenerlo nei momenti difficili.
J. Florio nei Primi e nei Secondi Frutti, che accompagnano il volume Giardino di
Ricreazione è un protoglottodidatta dell’italiano insegnato agli inglesi attraverso l’uso
di proverbi e di dialoghi sul gioco del tennis, sul teatro e sull’amore.
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10.3.1.2 Nel ‘600
Il grande pedagogista boemo del XVII secolo, Jan Amos Komensky, Comenio, fu
probabilmente anche il primo protoglottodidatta completo, consapevole che
qualunque educazione passa essenzialmente dall’educazione linguistica. Il suo nome
è rimasto nella preistoria della disciplina in quanto autore di una Didactica Magna,
che contiene le famose “otto regole d’oro per l’apprendimento efficace di qualunque
lingua”, la cui ultima riassume tutte le altre, e può essere trascritta come segue:
“Tutte le lingue si possono imparare con la pratica, associata alle regole più semplici,
che si riferiscono solamente ai punti di differenza con la lingua già conosciuta, e
mediante esercizi relativi a qualche oggetto familiare” (Titone 1986: 73).
Sarebbe interessante stabilire un parallelo tra la nozione di “regola” per Comenio e
quella scaturita dalla Grammatica di Port-Royal, che si diffonde negli stessi decenni
nell’Europa occidentale.
“Le regole, che riassumono le lingue, devono essere grammaticali e non filosofiche”,
scrive Comenio nel 1627, mentre le regole del concepire, del giudicare e del
ragionare ci introducono alla definizione di “proposizione” voluta dalla Grammatica
generale e ragionata di Port-Royal di qualche decennio dopo. R. Titone, in chiave
glottodidattica osserva che imparare una lingua significa: “Stabilire ciò che è corretto
e come si costruiscono le frasi, e non tentare spiegazioni sulle cause e gli antecedenti
dei fatti linguistici” (Titone 1986: 73). Attraverso tale osservazione si può
intravvedere una lunga diatriba tra considerazione della lingua come uso e come
riflessione sulla stessa, che investirà di sé secoli di studi grammatologici in Europa,
dai quali emerge con fatica e solo in questi ultimi decenni una grammatica
pedagogica.
Anche una sorta di psicolinguistica applicata alla didattica è presente in questo
grande pedagogista. Il principio della gradazione scaturisce infatti dagli stadi
evolutivi, secondo i quali “la prima età è l’infanzia balbettante, in cui impariamo a
parlare confusamente: la seconda età è la fanciullezza in maturazione, in cui
impariamo a parlare correttamente; la terza età è l’adolescenza matura, in cui
impariamo a parlare elegantemente; la quarta età è la virilità vigorosa in cui
impariamo a parlare efficacemente”.
Il passaggio graduale dal confusamente all’efficacemente, attraverso le due tappe
intermedie del correttamente e dell’elegantemente, mostra una progressione di grande
interesse, che potrebbe essere applicata, ancora oggi, alla didattica linguistica dell’età
evolutiva sia in ambito di L1 che di L2.
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10.3.2 Alcuni precursori a base linguistica
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10.3.2.2 Nell’‘800
Nel XIX secolo si costituiscono scienze come la fonetica, che diviene autonoma dalla
linguistica prima che sia riconosciuta l’esistenza della linguistica sincronica stessa, e
la psicologia, le quali nutrono di sé la glottodidattica, dandole spessore teorico, e
contribuendo al costruirsi del suo universo epistemologico.
Fra i precursori della disciplina ricordiamo François Gouin che nel 1880 pubblicò
L’art d’enseigner et d’étudier les langues, che presentava il “metodo” delle Serie,
cioè della ripetizione di frasi, le quali venivano drammatizzate, perché fondate sulla
nozione di lingua come comportamento.
Il pilastro del “metodo naturale” di Gouin consisteva nella coscienza che imparare
una lingua fosse tradurre in quella stessa lingua non un autore o un altro, ma il vasto
libro della propria individualità, e riprendere poi una ad una tutte le percezioni per
immagazzinarle prima e per generalizzarle poi.
Dal punto di vista linguistico occorreva porre una distinzione tra linguaggio oggettivo
(delle Serie generali e particolari, relative alla casa, all’uomo nella società, alla vita
nella natura, alla scienza e alle professioni), linguaggio soggettivo (della psiche, delle
valutazioni estetiche, del giudizio) e linguaggio figurato, che, fondandosi su quello
oggettivo, arriva al metaforico attraverso il tema della dominante: non insegnate mai
“sradicare il vizio” senza aver prima insegnato “sradicare una pianta”.
La grammatica si riduceva a tre grandi capitoli: il verbo, la proposizione, le
espressioni modali.
Questa essenzializzazione del discorso linguistico e di quello didattico va nella
direzione di una grammatica pedagogica, non ridondante, semplice, elementare,
anche se nella Francia di fine XIX secolo essa passò quasi totalmente inosservata.
Mentre la moda grammaticalistica si imponeva con sempre maggior forza e il latino,
lingua ormai morta da più di un secolo, si riduceva a schemi grammaticali, a
declinazioni, a coniugazioni, a regole ed eccezioni, tali metodiche si andavano
applicando sempre più anche all’insegnamento delle lingue vive, nella sottostima
totale dell’oralità e della forza comunicativa di ogni sistema linguistico.
Le reazioni, però, non tardarono ad arrivare, provenienti da ogni parte d’Europa, per
bocca e sotto la penna di insegnanti e di teorici di scienze linguistiche e letterarie più
o meno conosciuti.
Fra questi ricordiamo Wilhelm Viëtor, il cui Der Sprachunterricht muss umkehren
(L’insegnamento deve cambiare strada) circolò anonimo in Europa, per parecchi anni
diffondendo l’importanza delle metodiche induttive, della fonetica, e l’inutilità del
lavoro con bocconi insignificanti di frasi.
Ma il cosiddetto “metodo” riformato mancava ancora di principi teorici solidi.
I tre grandi precursori della glottodidattica a base linguistica, nei primi decenni del
XX secolo, saranno: Henry Sweet, Otto Jespersen e Harold Palmer.
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10.3.3 Approccio formalistico (o della grammatica-traduzione)
Si tratta dell’approccio concepito per l’apprendimento della lingua latina a partire dal
secolo XVII e poi impropriamente applicato anche alla didattica delle lingue “vive”.
Il carattere di questo approccio consiste nel concepire la lingua come un corpus
statico, analizzabile attraverso una serie di regole (e di eccezioni a quelle regole).
Istituita l’identificazione tra conoscere la grammatica e conoscere la lingua, si mirava
a stimolare nell’apprendente la sola competenza grammaticale. La tecnica didattica
fondamentale era costituita dalla traduzione, intesa quale sistema di verifica per la
conoscenza delle regole.
Tale approccio, avversato da quei linguisti che intesero dimostrare la radicale
differenza fra una lingua letteraria e “morta” ed una “viva” e parlata, non produceva
alcuna vera competenza linguistica.
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10.3.3.1 Il metodo della lettura
Negli anni 1920 – 1930 in America si diffonde il metodo della lettura, basato
esclusivamente sullo sviluppo delle abilità dello scritto (modulo 9) e quindi mirato
alla lettura di opere scientifiche, professionali, letterarie, senza alcuna
preoccupazione per le abilità dell’orale.
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10.3.4 I Metodi diretti
Fin dalla metà del Settecento sono state poste le basi per risolvere il problema
dell’apprendimento pratico di una lingua (10.3.2.1), in opposizione all’approccio
grammaticale. Viene teorizzato l’ordine naturale dell’apprendimento linguistico, in
cui il “parlare” deve precedere lo “scrivere”, attraverso una successione ordinata:
leggere, ascoltare, scrivere, parlare.
Del pari si afferma progressivamente l’idea che la lingua straniera debba essere
insegnata anche all’adulto “come la madre insegna la lingua al bambino”, e che
pertanto lo studio della grammatica non debba iniziarsi troppo presto.
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10.3.4.1 Metodi diretti naturali e/o fonetici
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10.3.4.2 Metodi diretti semplificati
Si fondano sulla creazione di un vocabolario ridotto, scelto sulla base della frequenza
d’uso.
L’uso forzato di tale lingua di base conduceva però al costituirsi di espressioni
stereotipe e innaturali: difetto che può tuttavia correggersi facendo appello alla
graduazione delle strutture e agli esercizi strutturali orali (presentazione di frasi brevi
con caratteristiche fonetico-grammaticali di base, e poi strutture via via più
complesse e diversificate).
42
10.3.4.3 Metodi diretti eclettici
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10.4 Approcci scientifici
Si definiscono approcci scientifici gli approcci proposti dagli anni quaranta del secolo
scorso, in epoca cioè di “glottodidattica” vera e propria, disciplina la cui nascita,
come è noto, viene fatta coincidere con il 1942, anno di pubblicazione della Outline
guide for the practicle study of foreign languages di Bloomfield.
Da quegli anni, infatti, i metodi e le tecniche per l’insegnamento delle lingue straniere
si basano sempre meno sull’esperienza concreta o sul buon senso, ma sono il risultato
di una vera e propria “linguistica applicata” e, almeno inizialmente, della linguistica
dei “costituenti immediati” (modulo 0).
In questo capitolo si prenderanno in considerazione i principali approcci scientifici e
cioè l’approccio strutturalistico (10.4.1), l’approccio comunicativo (10.4.2) e
l’approccio umanistico-affettivo (10.4.3).
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10.4.1 Approccio strutturalistico
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10.4.1.1 Metodi audio-orali o audio-linguali
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10.4.1.2 Metodi audio-visivi (S.G.A.V.)
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10.4.2 Approccio comunicativo
Alla svolta degli anni settanta le analisi della lingua, sfociate nel concetto di
competenza linguistica, si ampliano e si arricchiscono di numerosi componenti, fino
alla definizione di “competenza comunicativa”, che comprende la competenza
linguistica, ma vi aggiunge diverse altre competenze, quali la competenza
sociopragmatica e quella extralinguistica, a loro volta comprensive di numerose e
complementari sottocompetenze (modulo 8).
La definizione di competenza comunicativa si deve a Dell Hymes, che nell’acronimo
S.P.E.A.K.I.N.G. (modulo 8) riesce a inserire tutti gli elementi costitutivi di un atto
comunicativo concreto.
L’approccio comunicativo scaturisce dunque da una maggiore attenzione alla
variazione della lingua e alla considerazione della stessa come comunicazione e
interazione. Gli elementi costitutivi di tale approccio fanno riferimento agli universali
linguistici (modulo 0), alle nozioni chomskiane di grammaticalità e di ricorsività
delle regole, mentre mettono in ombra le analisi contrastive fondanti l’approccio
strutturalistico (10.4.1) precedente.
Le declinazioni concrete di tale approccio sono il metodo situazionale (10.4.2.1) e il
metodo funzionale-nozionale (10.4.2.2).
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10.4.2.1 Il “metodo” situazionale
49
10.4.2.2 Il “metodo” nozionale-funzionale
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10.4.2.2.1 Le proposte europee
Negli anni settanta gli esperti della cooperazione culturale del Consiglio d’Europa,
coordinati dal prof. Van Ek, delineano un progetto di apprendimento delle lingue,
costituito da sei livelli crescenti di competenza, in cui il terzo, il Livello Soglia,
corrisponde alla minima competenza necessaria per “sopravvivere” con la L2, mentre
il sesto fa intravedere un ultimo settimo livello, che corrisponderebbe al bilinguismo
assoluto.
I Livelli Soglia prodotti dal 1973 in avanti sono raccolte di materiali empirici che
rispondono alle microfunzioni comunicative e alle micronozioni linguistiche
inventariate sulla base dei bisogni di alcune categorie di utenti, fra cui studenti
universitari e adulti lavoratori migranti.
Nel decennio 1990-2000 vengono dati alle stampe gli studi relativi al Quadro comune
europeo di riferimento, rispondente all’esigenza, emersa in quegli anni, di omologare
i livelli di apprendimento delle lingue a livello europeo e di unificare, nel limite del
possibile, i metodi di insegnamento e i processi di apprendimento.
Un capitolo del Quadro è specificamente dedicato ai livelli di competenza, che si
suddividono in tre grandi aree, ognuna a sua volta costituita da due sotto-livelli
(modulo 9):
A1) Contatto
A) Elementare
A2) Sopravvivenza
B1) Soglia
B) Intermedio
B2) Progresso
C1) Efficacia
C) Avanzato
C2) Padronanza
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10.4.3 Approccio Umanistico-Affettivo
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10.4.3.1 Risposta fisica totale (T.P.R.)
Questo approccio, messo a punto negli anni settanta dallo studioso americano Robert
Asher, è caratterizzato, come sottolinea il nome stesso, dalla “reazione fisica totale”,
ossia dal coinvolgimento totale, psichico e fisico, del discente nell’atto
dell’apprendimento e si rifà ad alcuni metodi “diretti” per l’enfasi sulle esperienze
ricettive: l’allievo è posto al centro del processo di apprendimento, viene motivato,
protetto dagli insuccessi, guidato verso l’autorealizzazione.
La lingua viene collegata con il movimento, le azioni e la fisicità degli studenti.
L’insegnante offre stimoli verbali e non-verbali, la cui acquisizione, concepita come
un processo lento e personalizzato, avviene in un ambiente particolarmente attento a
minimizzare situazioni ed esperienze frustranti o ansiogene.
La progressione procede da semplici ordini (“apri la porta”) a sequenze di
comportamenti diversi.
L’approccio si fonda, dunque, sul principio dell’accoppiamento parola-azione, sia per
produrre un coinvolgimento totale dei mezzi espressivi dell’allievo (linguaggio
verbale e non verbale), sia per permettere la cosiddetta delayed oral practice.
Tale approccio risulta particolarmente efficace per l’insegnamento precoce delle
lingue straniere, anche grazie alla sua forte componente ludica (Mastromarco c.d.s.).
Praticabile in aule di lingue possibilmente poco numerose, la T.P.R. ha tuttavia un
limite abbastanza notevole: l’uso insistito del modo imperativo può risultare infatti
troppo ripetitivo e sfociare, di conseguenza, nella monotonia e nella perdita
dell’attenzione da parte degli studenti.
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10.4.3.2 Community Language Learning / Community Counseling
Questo approccio, messo a punto alla fine degli anni Settanta da Curran, psicologo
gesuita americano, si fonda sulla psicologia di Rogers e traspone in didattica i
modelli della seduta psicoterapeutica a gruppi.
L’insegnante svolge il ruolo di “consigliere”, che aiuta, consiglia e cerca di
individuare lo stile apprenditivo degli allievi, pur rimanendo fuori dal lavoro di
apprendimento, che avviene prevalentemente in gruppo e in modo autodiretto.
Il discente è infatti considerato un “cliente”, al quale l’insegnante fornisce risposte e
sicurezza nei momenti di difficoltà (Cantoni 2003).
54
10.4.3.3 Natural Approach
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10.4.3.4 Suggestopedia / Ipnopedia
Questo approccio, messo a punto dallo psicanalista bulgaro Lozanov negli anni
sessanta, si fonda sul principio psicologico del “suggerimento”, che l’insegnante
effettua al gruppo di studenti, lasciando che essi stessi dettino il ritmo
dell’apprendimento.
Lozanov prende spunto dalla psicologia clinica per accelerare e migliorare il processo
di apprendimento di una lingua straniera, ponendosi l’obiettivo di creare un rapporto
interpersonale positivo tra insegnante e allievo. In che modo?
a) creando innanzitutto un ambiente sereno e stimolante, in cui si chiede
all’adulto di “tornar bambino”, cambiando nome e fingendo di essere sicuro
delle proprie capacità e di possedere un’intelligenza superiore alla norma;
b) successivamente si impartisce un insegnamento abbastanza “tradizionale”,
attraverso spiegazioni della grammatica e del lessico ed esercitazioni di ciò
che si è appreso in precedenza, basate sulla conversazione, sui giochi, e sugli
esercizi strutturali;
c) la lezione termina, infine, con una séance di circa un’ora tenuta in piccoli
“salotti” con poltrone comode e musica barocca dove, mentre i discenti fanno
esercizi di respirazione yoga, l’insegnante presenta nuove strutture e nuovi
vocaboli leggendo in lingua straniera, spiegando in lingua italiana e
utilizzando toni di voce particolarmente suggestivi.
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10.4.3.5 The Silent Way
Messo a punto dallo studioso elvetico-americano Gattegno negli anni Settanta, questo
approccio si fonda sul principio del silenzio da parte dell’insegnante, il quale deve
limitarsi a fornire input (o a gestire la macchina che lo fornisce: registratore, video,
ecc.) e a dare istruzioni, correggendo gli errori con gesti convenzionali piuttosto che
con parole, e lasciando, dunque, che siano gli allievi a scoprire ed esercitare i
meccanismi della lingua.
Con questo approccio Gattegno porta alla massima potenza la concentrazione
dell’attenzione sul discente. La silenziosa presenza dell’insegnante, che si limita a
fornire i modelli della lingua e a correggere solamente attraverso lievi cenni delle dita
(finger correction), è infatti finalizzata a creare un ambiente non competitivo, a
minimizzare l’ansia dello studente, a farlo riflettere su quanto ha appreso e a favorire
il suo intervento nell’aiuto e nella collaborazione dei compagni, per poter sviluppare,
accanto all’apprendimento di una lingua straniera, anche e soprattutto la
consapevolezza del proprio io.
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10.4.3.6 Interazione strategica
Tale approccio è stato teorizzato da Robert Di Pietro agli inizi degli anni ottanta e si
fonda su di una particolare concezione della comunicazione verbale, che non può
essere mai neutra, poiché le parole dei parlanti sono sempre strategicamente e
tatticamente connotate. L’interazione, infatti, non può essere considerata un semplice
scambio di informazioni, in quanto rimanda alla realizzazione di specifici obiettivi
tramite negoziazioni e strategie comunicative diverse.
Da ciò deriva la scelta del nome “interazione strategica”: interazione perché
l’insegnamento avviene in particolari contesti, chiamati sceneggiature, le quali
implicano l’interazione fra più persone; “strategica” perché tale interazione ha
l’obiettivo di far risolvere una situazione difficile utilizzando in modo strategico la
L2.
Poiché la comunicazione è orientata al raggiungimento di un obiettivo e la lingua è lo
strumento utilizzato per raggiungerlo, anche in classe è necessario, secondo Di Pietro,
riproporre la complessità dello scambio comunicativo reale.
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10.4.3.7 Project work
Il Project work può essere considerato uno sviluppo degli approcci comunicativi
poiché condivide con essi molti principi generali, fra cui la considerazione della
lingua come sistema dinamico e risultato di un’interazione, la considerazione
dell’apprendimento linguistico come processo di “negoziazione” di un significato in
un contesto socioculturale, la prevalenza del contenuto sulla forma, del processo sul
prodotto, dell’uso e dei bisogni linguistici sulla norma.
Aspetto peculiare di questo approccio è un insegnamento linguistico basato
sull’interazione fra la lingua stessa e il mondo reale:
“il project work […] cerca di finalizzare lo studio della lingua al compimento
di un progetto. Un progetto è quindi un programma di studio nel quale la L2 è
un mezzo per portare avanti un compito ben definito e non un oggetto di studio
in sé” (Ridarelli, 1998:173).
Alla base di questo progetto vi è il concetto di learning by doing, noto alla didattica
linguistica da molti anni, ma sviluppatosi metodologicamente solo negli anni ottanta.
Fra le proposte e le sperimentazioni più note del project work, degno di nota è il
Bangalore Project.
L’efficacia di questi approcci, basati sulla realizzazione di precisi compiti, è per ora
stata dimostrata per applicazioni a lungo termine e necessita dunque di ulteriori
sperimentazioni.
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10.5 La panacea: l’approccio integrato?
60
Fra i modelli didattici che per le loro caratteristiche possono essere considerati forme
particolari di approccio integrato ricordiamo il modello integrato di Allen, l’unità
didattica di Freddi e il modello olodinamico di Titone.
61
10.6 Sintesi conclusiva
Dopo aver navigato, in questo modulo, alla scoperta delle principali caratteristiche
dell’evoluzione metodologica, è possibile sintetizzare come segue i tratti salienti del
nostro percorso.
Dal punto di vista metodologico è oggi possibile riconoscere alcune certezze:
a) innanzitutto il superamento della nozione di metodo e la conseguente
limitatezza di una didattica fondata su questo concetto;
b) in secondo luogo la coessenzialità delle sfere pedagogica, psicologica e
linguistica, nonché dei livelli tattico, strategico ed egodinamico e della
bimodalità neurologica: elementi che, insieme, caratterizzano la
globalità del processo di acquisizione/apprendimento di una lingua
straniera;
c) infine la centralità dell’allievo e delle sue esigenze linguistiche e
psicopedagogiche.
63
10.6.1 Dal non-metodo al metodo, all’approccio, alle ipotesi
TEORIE
IPOTESI
APPROCCIO
METODO
TECNICHE &
MATERIALI
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Si tratta di un livello che va oltre la dimensione globale dell’approccio e che meglio
si lega alle diverse teorie di riferimento della glottodidattica e alla sua natura
interdisciplinare grazie alla propria essenza poliedrica, indefinita e, soprattutto,
sempre aperta a continue sperimentazioni, quindi a continue conferme o smentite.
65
10.7 Riferimenti bibliografici
ASHER J.J., Learning another language through actions: The complete teacher’s
guidebook, Sky Oaks Productions, Los Gatos, CA, 1977.
BALBONI P.E., Didattica dell’italiano a stranieri, Bonacci Editore, Roma, 1994.
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TROCME-FABRE H., J’apprends, donc je suis, Les Editions d’Organisation, Paris,
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67
10.8 Attività
68
10.8.1 Attività relative ai capitoli 10.1 e 10.2: Domande di sintesi
D) Quali sono i criteri utili per tracciare un percorso che definisca l’evoluzione
degli approcci e dei metodi glottodidattici?
69
10.8.2 Attività relative ai capitoli 10.3 e 10.4: Dai testi, agli approcci, ai metodi
Estratto n° 4: Comenio
70
B) Analisi delle introduzioni di manuali di italiano L2: leggete le introduzioni di
almeno cinque manuali di italiano L2 (pubblicati possibilmente in date diverse,
recenti e non). Per ogni manuale completate la scheda seguente.
Autore/i:
Titolo:
Data di edizione:
Casa editrice:
____________________________________________________________________
Analisi dell’introduzione
d) Altre osservazioni:
71
C) Nella tabella seguente (tratta da Andorno, Ribotta 1999: 31), sono indicati gli
schemi di lezione sul passato prossimo di due manuali di italiano per stranieri.
Che tipo di approccio seguono i due manuali?
Deduttivo Induttivo
Italiano Italiano
La lingua italiana per
stranieri
[I manuali citati sono: Bosc F., Peyronel S., Prevosto S, Italiano italiano 1,
Cooperativa di cultura Lorenzo Milani, Torino, 1976; Katerinov K., Boriosi M.C.,
La lingua italiana per stranieri. Corso elementare ed intermedio, Guerra, Perugia,
1976].
72
D) Osservazione degli indici: osservate gli indici di almeno cinque manuali di
italiano L2 (pubblicati possibilmente in date diverse, recenti e non). La
progressione e la tipologia degli argomenti suggeriscono un’impostazione
tipica di approcci e/o metodi particolari?
73
E) Sulla base dei punti seguenti (adattati da Andorno, Ribotta 1999), individuate le
caratteristiche di un metodo diretto e di un metodo strutturale
Metodo diretto
Particolarità: _____________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
Metodo strutturale
Particolarità: _____________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
74
10.8.3 Attività relative ai capitoli 10.5 e 10.6: Dalla teoria alla pratica didattica:
riflessioni
A) Alla luce delle attuali indicazioni del Consiglio d’Europa (10.4.2.2.1; modulo
9), in che modo pensate possa essere utile ai vostri studenti di italiano L2 la
possibilità di certificare le loro competenze?
B) Sulla base dei contenuti affrontati in questo modulo, a quale approccio vi siete
ispirati finora? Pensate di modificare il vostro stile di insegnamento? Se sì,
come e in funzione di quale approccio?
D) Forniamo, di seguito, una griglia utile per analizzare i manuali di italiano L2.
Analizzatene tre, a volta scelta, e considerate infine quale risponde meglio al
vostro tipo di approccio e ai bisogni dei vostri studenti.
75
10.8.4 Chiavi
10.8.1
Le risposte alle domande A), B), C) e D) sono da ricercare nei contenuti affrontati nei
capitoli 10.1 e 10.2.
10.8.2
A) Con questa attività si è voluto dare all’insegnante l’opportunità di riflettere su
alcuni testi dei precursori della glottodidattica, i cui lavori, riletti alla luce delle
attuali conoscenze, permettono di apprezzare meglio certe intuizioni, che
risultano innovative e quasi rivoluzionarie anche dopo centinaia di anni. Non vi
sono, dunque, interpretazioni univoche per questi testi, che del resto
andrebbero considerati nella loro interezza. Le indicazioni fornite di seguito
sono quindi da considerare semplici e incompleti suggerimenti interpretativi,
da ampliare e approfondire analizzando i brani proposti e discutendo con i
colleghi.
Estratto n° 4: Comenio
Accanto alla centralità dei bisogni e della pratica linguistica, si possono riconoscere
tratti dell’approccio contrastivo, così come di una sorta di approccio “proto-
comunicativo”.
76
Estratto n° 7: Wilhelm Viëtor
Si possono riconoscere tratti dei metodi audio-orali.
C)
Deduttivo Induttivo
Italiano Italiano X
La lingua italiana per X (anche se
stranieri parzialmente)
E)
Metodo diretto
77
Metodo strutturale
Particolarità: _____centralità della frase sul testo; psicologia comportamentista; metodi audio-orali
e S.G.A.V. (cfr. cap. 10.4.1).________________________________________________________
G) Risposta aperta.
10.8.3
Le risposte alle domande A), B), C) e D) sono aperte. Tali domande hanno l’obiettivo
di far riflettere l’insegnante sul proprio operato e di mettere in comune le proprie
esperienze con quelle di altri colleghi.
78
La glottodidattica
La glottodidattica, scienza interdisciplinare, può essere rappresentata come un “fiore
a quattro petali” (Balboni, 2000):
Scienze del
linguaggio e
Scienze
della
comunicazione dell’educazione
Glottodidattica
79
Educazione linguistica
80
Mete e obiettivi glottodidattici
“Le mete sono le finalità ultime dell’educazione, mentre gli obiettivi lo sono
dell’istruzione […].
Le mete rappresentano dei processi che si realizzano nel lungo periodo e non sono
verificabili in maniera diretta.
Le mete dell’educazione generale, di cui l’educazione linguistica fa parte, sono la
culturizzazione, la socializzazione e l’autopromozione. Specifiche dell’educazione
linguistica sono invece le mete glottodidattiche” (Cfr. Balboni 1999: s.v. “mete
educative”).
“Alcuni studiosi distinguono tra mete educative generali, che devono essere
perseguite anche dall’educazione linguistica, e mete glottodidattiche che sono invece
specifiche dell’educazione linguistica.
Le mete glottodidattiche sono: lo sviluppo delle abilità linguistiche; il rafforzamento
(in lingua materna) o lo sviluppo (nelle altre lingue) delle competenza socio-
pragmatica o funzionale; il rafforzamento o lo sviluppo delle grammatiche” (Cfr.
Balboni 1999: s.v. “mete glottodidattiche”).
81
Didassi
82
I fattori dell’atto didattico: dal triangolo alla costellazione
ALLIEVO
INSEGNANTE OGGETTO
fig.1
ALLIEVO
INSEGNANTE OGGETTO
fig. 2
ALLIEVO
AMBIENTE
INSEGNANTE OGGETTO
fig. 3
Tale modello ricorda il modello S.O.M.A. (Sujet, Objet, Milieu, Agent) di Légendre
(Germain, 1989), che grazie al quarto fattore, l’ambiente, amplia il tradizionale
triangolo preludendo a ciò che alcuni oggi definiscono “costellazione” (Dabène,
1995), termine con il quale si vogliono evidenziare i numerosi e sempre più
complessi rapporti che intercorrono tra le diverse componenti dell’atto didattico (fig.
4).
LA COSTELLAZIONE DIDATTICA
Rappresentazioni Discipline di C
C sociali ricerca O
O N
N Oggetti d’insegnamento/ T
T apprendimento E
E (Lingua, discorso, testo) S
S T
T O
O
E
S D
O U
C C
I Apprendenti Insegnanti
A
A T
L Pratiche I
Materie
E linguistiche V
d’insegnamento
O
fig. 4
84
Le domande delle “5 Wh-”
85
Leonard Bloomfield (1887-1949)
86
La “protoglottodidattica”
87
Strutturalismo
88
Comportamentismo
89
Nozione
90
Funzione
“La lingua viene usata per espletare delle funzioni, cioè con degli scopi di azione
sociale e di espressione personale.
Dai primi del secolo, con Cassirer, attraverso Wittgenstein, Jakobson e altri, fino a
Halliday, si sono avuti vari modelli funzionali. I due modelli principali sono quelli di
Jakobson e di Halliday.
Il primo modello (privilegiato nell’insegnamento della lingua materna) è basato sul
modello matematico dell’informazione e individua sei funzioni a seconda
dell’elemento della comunicazione su cui viene focalizzata l’attenzione, secondo le
seguenti coppie:
- emittente: funzione emotiva [o espressiva, per alcuni autori]
- destinatario: funzione conativa [o appellativa, per alcuni autori]
- canale: funzione fàtica
- codice: funzione metalinguistica
- argomento: funzione referenziale
- forma del messaggio: funzione poetica.
[…]
Il modello di Halliday si basa sull’osservazione dello sviluppo linguistico e individua
sette funzioni, che possono essere sintetizzate da brevi espressioni usate per
realizzarle:
- funzione strumentale: “voglio...”, “dammi...”
- funzione interazionale: “io e te”, “ciao”
- funzione regolatoria: “fai/facciamo...”, “porta là...”
- funzione informativa: “ti dico che...”, “... è fatto così”
- funzione euristica: “perché...?”, “come...?”
- funzione personale: “mi sento...”
- funzione immaginativa: “facciamo finta che...”, “supponiamo che...”.
L’approccio comunicativo rimanda al modello di Halliday.
Nella glottodidattica italiana si sta diffondendo un modello che integra le analisi di
Jakobson e Halliday e individua sei funzioni che si realizzano con un numero limitato
(e quindi controllabile e programmabile) di atti comunicativi:
- funzione personale: dire il proprio nome, esprimere lo stato fisico, ...
- funzione interpersonale: salutare, ringraziare, ...
- funzione regolativo-strumentale: chiedere per avere, ordinare, ...
- funzione referenziale: chiedere e dare informazioni, ...
- funzione poetico-immaginativa: usare la lingua per creare mondi alternativi (“c’era
una volta...”) e con rima, similitudini, ecc.
- funzione metalinguistica: chiedere e dare il significato di una parola, spiegare una
regola, ecc.”.
Torna al paragrafo 10.2.3
91
Competenza comunicativa (si veda anche il modulo 8)
92
Profilo d’apprendente
93
Français Fondamental
94
Robert Galisson
95
Grammatica pedagogica
96
L’alfabeto fonetico internazionale (A.P.I.)
L’alfabeto fonetico internazionale, definito coi simboli attuali nel 1888, riconosciuto
in ambito scientifico internazionale, permette la trascrizione dei suoni di qualunque
lingua. Per approfondimenti si veda Galazzi, 1996.
97
Henry Sweet
98
Otto Jespersen
99
Harold E. Palmer
Harold E. Palmer (1877-1949) tenne i primi corsi serali di didattica delle lingue
straniere all’University College di Londra, e si recò in Giappone negli anni ‘20 per
pianificare e migliorare l’insegnamento dell’inglese.
In The scientific Study and Teaching of Languages e in The principles of language
Study insistette molto sull’importanza dell’intonazione e della graduazione del
vocabolario.
La sua linguistica era costituita dagli studi di lessicologia, di morfologia, di semantica
e dagli studi ergonici (cioè sintattici): egli arrivò a costruire una “carta ergonica”
della lingua francese, in cui sono studiate le possibili combinazioni di “pezzi” di frase
o di sintagmi della lingua francese. L’analisi psicologica del processo di
apprendimento stava alla base della sua metodologia, considerata come un processo
di “assimilazione inconscia”, per la quale si devono prendere in considerazione
soprattutto precedenti studi nella lingua e la motivazione dello studente.
L’autore elabora alcuni principi generali ed altri speciali, che toccano la preparazione
iniziale, la formazione degli abiti, l’accuratezza, la graduazione, la proporzione, la
concretezza, l’interesse e l’ordine razionale di progressione.
Anche la segregazione, cioè l’evidenziazione e la messa in luce di un problema
linguistico particolarmente difficile da affrontare, deve accompagnare il periodo di
incubazione, che porta alla memorizzazione di “pezzi” di lingua assimilabili
attraverso l’associazione materiale, la traduzione, la definizione e il contesto.
100
Esercizi strutturali
Esercizio di ripetizione:
Luigi prende la mela Luigi prende la mela.
Esercizi di sostituzione
Luigi prende la mela Luigi la prende.
Luigi prende il libro Luigi lo prende.
Esercizi di trasformazione
Luigi prende la mela e la mangia Luigi prende la mela per mangiarla.
101
Le funzioni
Vedi funzione.
Torna al paragrafo 10.4.2.2
102
Il Livello Soglia
Dal punto di vista della storia dei metodi, la risposta ai bisogni comunicativi degli
apprendenti modifica i contenuti dei corsi di lingua, che non sono più graduati
secondo parametri di difficoltà crescente, bensì secondo esigenze di funzionalità e di
frequenza.
Un notevole contributo alla definizione degli approcci nozionale-funzionale e, più in
generale, comunicativo, è stato offerto dagli studi promossi nella seconda metà degli
anni ‘70 dal Consiglio d’Europa sui bisogni linguistici dei cittadini nei loro
spostamenti in altri paesi comunitari.
Gli esperti del Progetto Lingue vive del Consiglio d’Europa elaborano a questo scopo
i concetti di “Livello Soglia” (livello minimo di competenza linguistica utile per la
“sopravvivenza”) e di “unità capitalizzabili di apprendimento” (possibilità di
analizzare in parti o “unità” l’insieme dei dati e delle capacità da acquisire in L2).
Il Livello Soglia definisce il grado minimo di competenza comunicativa necessario
all’adulto per socializzare, ossia per inserirsi nel luogo di studio, lavoro e residenza
stabilendo rapporti personali con i nativi.
Per ciascuna lingua sono stati individuati le strutture e i vocaboli necessari,
distinguendo tra le forme di cui basta una conoscenza ricettiva, al fine di
comprendere l’interlocutore, e quelle che devono essere padroneggiate anche sul
versante produttivo.
La preoccupazione del Progetto Lingue vive di migliorare concretamente il livello
dell’insegnamento delle lingue europee contribuisce alla nascita di numerose
pubblicazioni gemelle, contenenti i sillabi nozionali-funzionali per inglese, francese,
tedesco, italiano e spagnolo, ecc. allo scopo di offrire a docenti e autori di materiali
didattici uno strumento utile per la pianificazione dei contenuti dei corsi di lingue per
adulti fino a un livello linguistico “di sopravvivenza”.
Ecco allora, per esempio:
il Threshold-Level del 1973, il Niveau-Seuil del 1976, e il Livello Soglia per l’italiano
del 1981.
103
Il Livello soglia per l’italiano
Il Livello Soglia per l’italiano è stato elaborato da Nora Galli De Paratesi nel 1981.
Il gruppo di riferimento, formato da apprendenti adulti che intendono trascorrere
periodi più o meno lunghi in Italia, è ulteriormente suddiviso in sei sottogruppi:
a) visitatori senza lavoro;
b) studenti di italiano in università estere o italiane;
c) studenti di altre materie presso università italiane;
d) tecnici venuti in Italia per corsi di addestramento professionale;
e) commercianti che vengono in Italia per affari;
f) studiosi che vengono in Italia per scopo di ricerca.
Dati questi destinatari, viene fatta l’analisi dei loro bisogni comunicativi sulla base
delle componenti delle interazioni che essi si troveranno ad affrontare in L2:
a) argomenti (lessico di base o specialistico);
b) ruoli sociali e psicologici degli interlocutori (interazione fra pari o
inferiore/superiore, scambi emotivamente neutri o con tensioni psicologiche);
c) situazioni ambientali (dove si svolge l’interazione);
d) interazione connessa con gli argomenti (funzioni comunicative);
e) attività linguistiche (orali o scritte);
f) atti comunicativi (come esprimere le funzioni comunicative selezionate);
g) nozioni generali e specifiche;
h) grado di abilità.
Infine vengono presentate le liste degli atti comunicativi e delle nozioni generali e
specifiche che costituiscono il corpus su cui potranno basarsi i docenti e gli autori di
materiali didattici per graduare i propri contenuti, o per fare gli adeguamenti
necessari nel caso di destinatari diversi.
A più di venti anni di distanza dalle prime riflessioni sul tema dei bisogni
comunicativi, è ormai prassi consolidata che il docente di lingua indaghi sulle
variabili individuali degli apprendenti prima di definire i contenuti e successivamente
gli obiettivi didattici di un corso.
104
Bimodalità
“Secondo questo concetto, che è uno dei cardini della neurolinguistica, la lingua non
attiva solo le aree di Broca e di Wernicke, cioè le circonvoluzioni dell’emisfero
sinistro che governano il linguaggio verbale, ma coinvolge entrambi gli emisferi:
- l’emisfero destro (che coordina anche l’attività visiva) ha una percezione globale,
simultanea, analogica del contesto e presiede alla comprensione delle connotazioni,
delle metafore, dell’ironia;
- l’emisfero sinistro (che secondo la teoria della dominanza cerebrale presiederebbe
alle funzioni superiori) è la sede dell’elaborazione linguistica, ha una percezione
analitica, sequenziale, logica (causa-effetto, prima-dopo) e presiede alla
comprensione denotativa.
La glottodidattica umanistica, nel suo sforzo di procedere secondo natura, ritiene
essenziale attivare entrambe le modalità del cervello, per sfruttare al meglio la
potenzialità di acquisizione della persona” (Cfr. Balboni, 1999: ad vocem
“bimodalità”).
105
Il modello del Monitor
“Gli individui imparano delle lingue seconde soltanto se riescono ad ottenere un input
comprensibile e se il loro filtro affettivo è sufficientemente basso da permettere il
passaggio dell’input. Quando il filtro è ‘abbassato’ e viene presentato un input
106
comprensibile (e compreso) l’acquisizione è inevitabile – l’’organo mentale linguistico
funziona infatti automaticamente così come ogni altro organo’”.
(CILIBERTI 1994: 53; cfr. anche KRASHEN S. 1985)
Sistema appreso
Krashen ha elaborato questa teoria negli anni Settanta, mettendola alla base del suo
approccio naturale e riprendendo la nozione chomskiana di LAD (meccanismo di
acquisizione linguistica), con cui individua i principi che ne spiegano la natura e il
funzionamento).
La distinzione tra acquisizione inconscia e apprendimento razionale si fonda sul fatto
che nell’acquisizione è la competenza che genera lingua, mentre l’apprendimento è
preposto essenzialmente alla funzione di monitor, cioè al controllo dell’esecuzione
linguistica.
Perché si attivi il LAD occorre che non sia presente alcun filtro affettivo e che esso
riceva un input comprensibile, collocato nel giusto livello dell’ordine naturale di
acquisizione.
Oltre alle ipotesi suddette Krashen aggiunge una regola, la rule of forgetting: si ha
acquisizione senza problemi solo se ci si dimentica che si sta imparando la lingua,
solo quando ci si concentra sul contenuto pragmatico e sul portare a termine la
transazione in cui si e’ impegnati.
La maggiore critica rivolta alla teoria krasheniana è certamente l’opposizione
eccessivamente rigida fra i concetti di acquisizione e di apprendimento; oggi non
sembra infatti esservi ragione di postulare una così netta differenziazione fra contesti
di apprendimento naturali ed istituzionali, poiché sia l’interazione sia la riflessione
metalinguistica giocano un ruolo determinante nello sviluppo, anche spontaneo, delle
conoscenze linguistiche.
107
Delayed oral practice
La delayed oral practice è una metodologia che si basa sulla necessità di lasciare un
certo tempo tra il momento in cui un testo viene presentato per la comprensione e il
momento in cui si chiede allo studente di utilizzare elementi presenti in quel testo.
Tale prassi si fonda sul rispetto di quel “periodo silenzioso” che caratterizza sia
l’acquisizione della lingua materna sia l’apprendimento spontaneo di una seconda
lingua.
Per aiutare gli allievi a superare il periodo di silenzio si possono proporre la
ripetizione regressiva o forme di drammatizzazione, che riducono il filtro affettivo
(cfr. Balboni, 1999).
108
Il Bangalore Project
Condotto da Prabhu a Madras, in India, nel 1985, questo progetto si basa sull’ipotesi,
formulata da Prabhu stesso, che la forma si apprende meglio quando l’attenzione del
discente è rivolta al significato.
Il progetto consisteva nel proporre agli studenti una serie di problemi da risolvere
utilizzando la lingua inglese, che dunque costituiva non più il fine
dell’apprendimento, bensì il mezzo per raggiungere un obiettivo “altro”, direttamente
connesso alla realtà del discente.
Una esemplificazione da parte dell’insegnante precedeva la realizzazione dei compiti,
ai quali seguiva un momento di verifica centrato sulla risoluzione del problema
piuttosto che sulla lingua prodotta.
109
Modello B-A-B semiotico transazionale
110
I principi minimi della bimodalità emisferica: direzionalità, formalizzazione e
affettività
111
Il modello integrato di Allen
112
L’unità didattica di Freddi
113
Il modello olodinamico di Titone
114
affettiva, cognitiva e psicomotoria di un individuo caratterizzando così un approccio
veramente integrato.
Dal punto di vista pedagogico, la vastità e l’apertura di questo modello sono
riconoscibili nella scelta delle tecniche didattiche utilizzate per sviluppare le varie
componenti dell’apprendimento. Ad ogni livello corrispondono, infatti, tecniche
diverse e appropriate: per il consolidamento delle abilità tattiche sono da preferire,
per esempio, le tecniche sviluppate dai metodi di matrice strutturalista, mentre quelle
caratteristiche dei metodi “deduttivi-cognitivi” favoriscono le abilità strategiche e
quelle derivate dall’approccio umanistico-affettivo” sono invece più adatte al livello
ego-dinamico. (Danesi 1988)
Tutto ciò si basa su una visione integrata del processo di apprendimento, in cui, in un
contesto didattico, gli elementi positivi di ciascun metodo vengono combinati e
adattati alla situazione contingente, sulla base delle caratteristiche, delle richieste e
dei progressi dei singoli.
115
Il ruolo dell’insegnante oggi
Ecco come alcuni autori hanno recentemente definito il ruolo dell’insegnante alla
luce dell’approccio integrato e delle attuali tendenze metodologiche:
• “Se è vero che un insegnamento rigido e autoritario non è più né ben visto né
oggettivamente accettabile, l’immagine del docente moderno somiglia piuttosto a
quella di un consigliere serio e preparato, che sostiene l’apprendente ma non si
annulla, anzi lo assiste, osserva la classe e se stesso per migliorarsi, insegna a
imparare e a programmare.
[…]. In un certo senso l’insegnante ‘facilitatore’ si fa sempre di più ‘compagno di
studi’ non solo in quanto personaggio meno autoritario che condivide le
esperienze di classe ma anche nell’atteggiamento ‘riflessivo’ e programmatico, di
ricerca continua e modificazione degli atteggiamenti, con una forte propensione ad
un approccio ‘cognitivo’ e ‘costruttivistico’ nei confronti della sua attività” (Serra
Borneto 1998: 21, 36).
116
Estratto n° 1: Roger Ascham (tratto da: Titone, 1986, pp. 60-61)
Da Sir Roger Ascham, The Scholemaster, 1570; in particolare «The second booke»
(The second booke teaching: the ready way to the Latin tong, pp. 92-107).
117
Estratto n° 2: Michel de Montaigne (tratto da: Titone, 1986, pp. 64-66)
Dal libro I, cap. XXVI, degli Essais (a cura di A. Thibaudet, La Pléiade, Paris 1950:
1a ediz. 1580, 2a ediz. 1595; edizione critica sull’esemplare di Bordeaux a cura di F.
Strowski, 5 voll., Paris 1906-1933).
«Vorrei anzitutto conoscere bene la mia propria lingua, e quella dei miei vicini, con i
quali debbo trattare gli affari più comuni. Non v’è dubbio che il greco e il latino sono
ornamenti grandi e belli, ma li dobbiamo comprare a prezzo troppo caro. Vi dirò qui
come si possono comprare meno cari del solito, secondo un modo sperimentato da
me stesso. Chiunque voglia, lo può usare.
Il mio defunto padre, dopo aver fatto tutte le indagini possibili a un uomo, tra dotti e
sapienti, circa un sistema superlativo di educazione, si rese conto dei difetti
predominanti all’epoca; gli fu detto che il tanto tempo che impieghiamo
nell’apprendere le lingue, che poi non costavano nulla agli antichi Greci e Romani,
era l’unica ragione per cui non riuscivamo a raggiungere la loro grandezza di animo e
di conoscenza. Io non credo che questa sia l’unica ragione. Ad ogni modo,
l’espediente trovato da mio padre fu questo: mentre ero ancora lattante e prima che
mi si sciogliesse la lingua, mi mise sotto le cure di un Tedesco, che morì in fama di
grande medico in Francia, del tutto ignaro della nostra lingua e assai ben versato in
latino [Il Dottor Horstanus, poi professore di medicina al Collège de Guyenne di
Bordeaux].
Questo uomo, che egli aveva chiamato espressamente, e che era pagato assai bene, mi
teneva costantemente in braccio. C’erano anche due altri con lui meno istruiti, per
curarmi e sollevare lui. Costoro non mi parlavano in altra lingua che in latino. Quanto
agli altri familiari della casa di mio padre, era regola inviolabile che né mio padre
stesso, né mia madre, né alcun valletto o alcuna cameriera, non usassero altre parole
in mia presenza se non quelle in latino che ciascuno aveva imparato per chiaccherare
con me.
È cosa meravigliosa vedere come tutti approfittarono di questo provvedimento. Mio
padre e mia madre impararono abbastanza latino in questa maniera da comprenderlo,
e acquisirono sufficiente abilità per usarlo quando necessario, come pure i servi
maggiormente dedicati al mio servizio. Insomma, noi ci latinizzammo tanto che il
contagio intaccò altresì i nostri villaggi da ogni parte, dove si trovavano ancora
parecchi nomi latini per gli artigiani e per gli utensili che hanno preso radice
attraverso l’uso. Quanto a me, avevo più di sei anni prima che sentissi parlare
francese o perigordiano come se fossero arabo. E senza mezzi artificiali, senza libri,
senza grammatica o regole, senza sferza e senza lacrime, io avevo imparato un latino
tanto puro quanto era posseduto dal mio maestro, poiché non avrei potuto
contaminarlo o alterarlo. Se come prova volevano darmi un tema alla maniera
scolastica, mentre agli altri lo danno in francese, a me dovevano darlo in latino
grezzo per tradurlo in buon latino. E Nicholas Grouchy, che scrisse il De comitiis
Romanorum, Guillaume Guerente, che scrisse un commento ad Aristotele, George
Buchanan, il grande poeta scozzese, Marc-Antoine Muret riconosciuto dalla Francia e
118
dall’Italia come il migliore oratore del suo tempo, i miei maestri privati, mi hanno
spesso ripetuto che nella mia infanzia io possedevo quella lingua in maniera così
pronta e scorrevole che essi avevano timore di avvicinarmisi. Buchanan, che io in
seguito incontrai nella casa del Maresciallo de Brissac, mi disse che stava scrivendo
sulla educazione dei bambini e che prendeva la mia educazione come modello;
poiché egli era allora incaricato dell’educazione di quel Conte de Brissac che poi si
rivelò tanto valoroso e coraggioso.
Quanto al greco, di cui io non ho praticamente quasi nessuna conoscenza, mio padre
aveva divisato di farmelo insegnare artificialmente, ma con un metodo nuovo, in
forma di divertimento e di esercizio. Noi lanciavamo le nostre coniugazioni come una
palla avanti e indietro, come coloro che imparano l’aritmetica e la geometria con
giochi del tipo della dama e degli scacchi. Poiché tra le altre cose gli era stato
consigliato di insegnarmi a godere della conoscenza e del dovere di mia spontanea
volontà e per mio desiderio, e di educare la mia mente con delicatezza e libertà, senza
alcun rigore e forzatura. Egli fece tutto con tanto scrupolo religioso che, siccome
alcuni pensano che disturba le tenere menti dei bambini lo svegliarli il mattino
d’improvviso, e strapparli subitaneamente e violentemente dal sonno, in cui sono
immersi molto più profondamente di noi, egli mi faceva svegliare con il suono di uno
strumento; e mai mi mancò persona che facesse questo per me.
Questo esempio basterà per farvi giudicare del resto, oltre che per lodare sia la
prudenza che l’affetto di un padre tanto buono […].
[…] quel brav’uomo, avendo tanta paura di fallire in un affare tanto caro al suo cuore,
alla fine si lasciò trasportare dalla comune opinione, che sempre segue il capo come
in un branco di oche, e si allineò con la consuetudine, non avendo più attorno a sé
quegli uomini che gli avevano dato i primi consigli e che egli aveva portato
dall’Italia. E allora mi mandò, all’età di circa sei anni, al Collegio di Guyenne, che
era allora fiorente e il migliore della Francia. E colà, niente poté essere aggiunto alle
cure che egli aveva avuto per me, sia nello scegliere maestri personali competenti che
in tutti gli altri aspetti della mia educazione, in cui aveva sostenuto metodi particolari
contrari all’uso scolastico corrente. Ma, a parte tutto ciò, era tuttavia una scuola. Il
mio latino prontamente degenerò, e da allora, per mancanza di pratica, ho perduto
tutta l’abilità di usarlo. E tutto ciò che questa nuova fase della mia istruzione poté
ottenere, fu di farmi saltare immediatamente alle classi superiori; poiché quando
lasciai la scuola a tredici anni, avevo finito il mio corso (come lo chiamano); e in
verità senza alcun beneficio da poter citare ora».
119
Estratto n° 3: Claude de Sainliens (tratto da: Titone, 1986, p. 85)
«Rehearse after supper the lesson which you will learn tomorrow morning... and read
it six or seven times... then, having said your prayers, sleep upon it... you shall see
that tomorrow morning you will learn it easily and soon, having repeated the same
but twice».
[Prova dopo cena la lezione che imparerai domattina… e leggila sei o sette volte…
poi, dopo aver detto le tue preghiere, dormici sopra… vedrai che domattina la
imparerai facilmente e in fretta, ripetendola solo un paio di volte]
(Passo tratto da C. De Sainliens, The new boy, riportato in Titone, 1986, p. 85; la
traduzione è nostra).
120
Estratto n° 4: Comenio (tratto da: Titone, 1986, pp. 72-73)
Dalla Didactica Magna (ed. ital.: Didactica Magna. Passi scelti. Introd., trad. e note
di G. Calò, Cedam, Padova 1956).
122
Estratto n° 5: Abbé Pluche (tratto da: Borello, 1996, p. 41)
123
Estratto n° 6: François Gouin (tratto da: Borello, 1996, pp. 68-69)
Nel suo lavoro, Gouin narra dei difficili tentativi da lui compiuti nell’apprendere il
tedesco basandosi sui metodi grammaticali allora in voga, e spiega invece come fosse
il figlio un giorno a suggerirgli l’idea destinata a diventare il fondamento del proprio
metodo. Il ragazzo era stato condotto a visitare un mulino ed era tornato assai eccitato
da quanto aveva visto: voleva un mulino tutto suo e non la smise sino a quando la
famiglia non si decise a costruirgliene uno in miniatura. Quando il mulino fu
montato, il ragazzino si mise a giocare, riproducendo la scena del mulino reale «non
come l’aveva vista, ma come lui l’aveva immaginata tra sé quando l’aveva
‘generalizzata’. Mentre faceva tutto ciò, descriveva ad alta voce le sue azioni,
indugiando su una parola, e tale parola era sempre il verbo, mentre le altre parole
venivano e svanivano in qualche modo…
Fu nel corso di questa operazione, fatta e ripetuta incessantemente, ‘ripetuta ad alta
voce’ che un lampo m’attraversò la mente d’improvviso, ed io esclamai a bassa voce
tra me e me, ‘trovato! adesso capisco!’. E seguendo con nuovo interesse questa
preziosa operazione per mezzo della quale avevo intuito il segreto tanto a lungo
inseguito, ebbi la visione di una nuova arte, quella di apprendere una lingua».
Gouin sviluppò in chiave glottodidattica questa idea, sviluppando sequenze logiche di
eventi semplici (note come “serie di Gouin”).
Il suo modo di procedere in classe era il seguente:
1. l’insegnante spiega nella L1 il contenuto generale della scena;
2. esegue le azioni, descrivendo in L2 quanto fa;
3. le azioni vengono segmentate e rieseguite.
Tutto ciò avviene prima oralmente, e poi per iscritto.
In una selezione abbiamo dalle 15 alle 30 frasi; 50 selezioni costituiscono una serie,
ed una combinazione di diverse serie forma una serie generale.
Le serie generali sono in tutto cinque: la casa, l’uomo nella società, la natura, le
scienze e le professioni. Ogni serie generale è suddivisa: ad esempio la casa si divide
in vestiti, acqua, fuoco, riscaldamento, orto, stalle, cucina, giardino, incontri con
gente del luogo; la posizione dell’uomo nella società è suddivisa in scuole, chiesa,
servizio militare, giochi, feste, malattie; le professioni comprendono il sarto, il
cappellaio, il falegname, l’idraulico, il fabbro, il muratore, e così via.
L’intero sistema presenta 50.000 frasi ed 8.000 parole.
Vediamo come Gouin metteva in pratica il proprio sistema:
«… supponiamo di essere ad una lezione di francese, che incomincia con l’esercizio
con cui iniziamo gli allievi al nostro metodo: ‘Apro la porta della classe’. In primo
luogo annuncio questo scopo e lo presento come tale; poi enuncio nella lingua
materna degli allievi i modi in cui, in successione, tale scopo può essere raggiunto:
Cammino verso la porta cammino
Mi avvicino alla porta mi avvicino
Mi avvicino sempre di più mi avvicino di più
Arrivo alla porta arrivo
Mi fermo alla porta mi fermo
124
Allungo la mano allungo
Afferro la maniglia afferro
Giro la maniglia giro
Apro la porta apro
Tiro la porta tiro
La porta si muove si muove
Apro del tutto la porta apro
Lascio andare la maniglia lascio andare
125
Estratto n° 7: Wilhelm Viëtor (tratto da: Borello, 1996, p. 71)
Wilhem Viëtor (1850-1918) pubblicò nel 1882 un volumetto, ampliato nel 1905, dal
titolo Der Sprachunterricht [...]: ein Beitrag zur Uberbuerdungsfrage con sotto
l’epigrafe Quosque tandem. In questo lavoro Viëtor attaccava con molto sarcasmo
tutti i seguaci di Plötz ed insisteva perché la lingua parlata diventasse la base
dell’istruzione.
L’insegnante deve padroneggiare la fonetica e deve aver vissuto abbastanza a lungo
nella nazione straniera per impadronirsi della pronuncia corretta ed essere in grado di
insegnarla. È infatti attraverso l’orecchio che il bambino acquisisce la lingua materna,
ed è attraverso l’orecchio che un adulto incomincia lo studio di una lingua straniera.
Una lingua poi, non si compone di parole ma di “gruppi di parole” (speech patterns),
di frasi che significano qualcosa. È quindi necessario smettere di insegnare liste di
parole apprese faticosamente, pezzi di frasi privi di interesse, paradigmi
grammaticali.
La grammatica deve essere appresa induttivamente e la traduzione deve essere
considerata un’arte che richiede “molta maturità di conoscenze della lingua straniera
prima che vi si possa indulgere”.
Le teorie di Viëtor si diffusero in tutt’Europa ed in America, grazie anche alla rivista
Die neuren Sprachen da lui fondata.
126
Estratto n° 8: Maximilian Berlitz (tratto da: Titone, 1986, pp. 143-144)
Da M.D. Berlitz, Berlitz Method for teaching modern languages (M.D. Berlitz Publ.
New York 1907, pp. 3-6, 9-10, 19).
«Il metodo Berlitz è una imitazione del processo naturale con cui il bambino impara
la lingua materna. In esso, la traduzione come mezzo per acquisire una lingua
straniera è stata abbandonata interamente. Dalla prima lezione, lo studente ascolta
solamente la lingua che sta studiando. Le ragioni di questa modalità di introdurre la
nuova lingua sono le seguenti:
1. In tutti i metodi traduttivi, gran parte del tempo è occupata da spiegazioni nella
lingua materna degli studenti, mentre ben poche parole nella lingua da imparare sono
dette durante la lezione. È ovvio che tale procedimento è contrario al buon senso.
2. Colui che cerca di acquisire una lingua straniera mediante la traduzione, non riesce
ad afferrarne lo spirito né si abitua a pensare in essa; al contrario, ha sempre la
tendenza a basare tutto ciò che dice sopra ciò che direbbe nella sua lingua materna
[…].
3. La conoscenza di una lingua straniera acquisita tramite la traduzione è
necessariamente difettosa e incompleta; poiché non esiste per ciascuna parola di una
lingua l’esatto equivalente nell’altra. Ogni lingua ha le sue peculiarità, le sue
espressioni idiomatiche e giri di frase, che non si possono rendere con la traduzione.
Inoltre, le idee convogliate da una espressione in una lingua sono frequentemente non
le stesse di quelle convogliate dalle stesse parole in un’altra. Questo fatto innegabile
da solo basta a mostrare chiaramente che tutti i metodi traduttivi sono difettosi, e
prova che ogni lingua va imparata per se stessa. Ciò è anche confermato dalla ben
nota esperienza del viaggiatore in un paese straniero. Egli impara con poco sforzo la
lingua straniera, mentre lo studente a scuola, nonostante il suo faticoso lavoro sulla
grammatica e sugli esercizi di traduzione, invano cerca per anni di ottenere gli stessi
risultati.
L’istruzione mediante il Metodo Berlitz è per lo studente quello che il soggiorno in
un paese straniero è per il viaggiatore. Egli ascolta e parla soltanto la lingua che
desidera imparare, come se si trovasse in un paese straniero. Ha tuttavia il vantaggio
che la lingua è stata disposta per lui in maniera metodica e sistematica.
Allo scopo di farsi capire, il maestro nel Metodo Berlitz fa ricorso dapprima a
lezioni-oggetto. Le espressioni della lingua straniera vengono insegnate in diretta
associazione con la percezione; lo studente così si forma l’abitudine di usare la lingua
straniera spontaneamente e facilmente, come con la sua lingua materna, e non nelle
127
inutili giravolte della traduzione. Le difficoltà della grammatica, che sovente sono
create solo dalla traduzione e dal conseguente paragone con la lingua materna, sono
grandemente alleggerite. … È anche evidente che il valore delle varie parole e
costruzioni si comprende molto meglio e più facilmente per mezzo degli esempi
pratici e vividi delle lezioni-oggetto (lezioni basate su oggetti concreti) che non per
mezzo delle regole astratte della grammatica teorica.
Ciò che non si può insegnare mediante lezioni-oggetto, si chiarisce mettendolo in un
contesto appropriato: cioè, le parole nuove sono usate insieme ad espressioni già
acquisite in tal modo che il significato del nuovo diviene perfettamente chiaro dal suo
legame con ciò che precede e segue. Negli stadi più avanzati, le parole nuove
vengono sovente spiegate mediante semplici definizioni contenenti il vocabolario già
acquisito.
L’intiero blocco di parole usate nelle lezioni è offerto principalmente in forma di
conversazione tra insegnante e studente. L’ordine seguito è tale da fornire sempre il
più necessario e il più utile in primo luogo, così che, se lo studente interrompe dopo
solo poche lezioni, ha acquisito una conoscenza sufficiente della lingua da essere
capace di farne un uso pratico. […]».
128
Estratto n° 9: Otto Jespersen (tratto da: Borello, 1996, p. 86)
«…la prima condizione per una buona istruzione nelle lingue straniere sembrerebbe
quella di fare in modo che l’allievo abbia il massimo da lavorare con la lingua stessa
... deve esservi immerso e non ricevere una spruzzata ogni tanto; bisogna buttarcelo
dentro, e deve essere portato a sentirsi come nel proprio elemento, in modo che possa
divertirsi come un buon nuotatore».
(Passo scelto da E. Borello, tratto da: O. Jespersen, Come si insegna una lingua
straniera, Firenze, Sansoni, 1935; ed. inglese: How to teach a foreign language,
London, Allen & Unwin).
129
Estratto n° 10: Harold Palmer (tratto da: Borello, 1996, p. 89)
In The principles of language study […], Palmer definisce il proprio metodo come un
“multiple line of approach”, cioè una scelta di tutte le tecniche utili per
l’apprendimento: all is good which tends towards good. Ogni metodo secondo
Palmer può essere utile in un dato momento per un determinato scopo: non bisogna
farsi condizionare da un metodo particolare, escludendo ogni altra possibilità. A
proposito della traduzione ecco, ad esempio, cosa scriveva: “…At appropriate
moments and for specific purposes, make the fullest use of all sorts of translation
work; at other moments, and for other purposes, banish translation entirely”.
130
Griglia di analisi dei manuali (Tratto da C. Bosisio, Appunti del corso di didattica dell’italiano come lingua seconda, a.a.
2003/2004, materiale utilizzato per lavori di gruppo)
Titolo
Anno di pubblicazione
Tipo di metodo/approccio :
- Formalistico
- Diretto
- Strutturalistico (*Audio-orale / *Audio-visivo)
- Funzionale-Comunicativo (*Situazionale / *Nozionale-funzionale)
- Umanistico-Affettivo
- Altro (approccio integrato, …)
Materiale:
Contenuto:
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deduttivo/induttivo); tipo di progressione degli argomenti
grammaticali
Aspetti interculturali
Ruolo dell’orale
Ruolo della L1
Ruolo dell’insegnante
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