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Studi e Ricerche di Cultura Religiosa

Nuova Serie
ix

L’agiografia sarda antica e medievale:


testi e contesti
Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna

Dipartimento di Scienze Bibliche e Patristiche


L’agiografia sarda antica e medievale:
testi e contesti
Atti del Convegno di Studi
(Cagliari, 4-5 dicembre 2015)

a cura di

Antonio Piras e Danila Artizzu

Cagliari
2016
© 2016
PFTS University Press
Via Sanjust, 13
09129 Cagliari

isbn 978-88-98146-26-0

Progetto di ricerca finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna,


ai sensi della L.R. 7 agosto 2007, n. 7.

Comitato scientifico:
Cristina Cocco (Università di Cagliari), Antonio M. Corda (Università di
Cagliari), Fanny Del Chicca (Università di Perugia), Carla Falluomini (Università
di Perugia), Clara Fossati (Università di Genova), Rossana Martorelli (Università
di Cagliari), Giampaolo Mele (Università di Sassari), Antonio Piras (Pontificia
Facoltà Teologica della Sardegna), Stefano Pittaluga (Università di Genova),
Martin Wallraff (Universität München).

In copertina:
Antonio Porru, Sa Maista (2014),
Cagliari, Aula Magna della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna
(particolare)
Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini
nel Medioevo, fra la Sardegna e Pisa

Alberto Virdis
Università di Cagliari

Introduzione

N el panorama della produzione artistica medievale della Sardegna, e


in particolar modo nel campo della pittura, spicca la scarsità di illu-
strazioni relative al racconto della vita dei santi. Tale scarsità diventa vera
e propria assenza se si considerano le vite dei santi martiri sardi Saturnino,
Antioco, Efisio, Lussorio, Gavino e Simplicio, nei confronti dei quali il
culto era assai vivo nell’isola.
Negli stessi santuari sardi di Cagliari, Sant’Antioco, Nora, Fordongia-
nus, Porto Torres e Olbia, sorti presso i luoghi di martirio, nulla della de-
corazione figurativa pervenutaci consente di ricostruire la presenza di un
racconto agiografico per immagini relativo ai santi lì venerati.
Sebbene tale silenzio delle rappresentazioni figurative sia certo sor-
prendente, è però anche necessario ricordare che la complessiva esiguità
di testimonianze figurative prodotte in Sardegna (o giunte nell’isola) fra i
secoli V e XIV induce ad usare grande cautela prima di leggere tale dato
negativo come la spia di una mancata volontà di rappresentare per imma-
gini i racconti agiografici dei santi locali. Certo è che nelle testimonianze
pittoriche giunte fino a noi vi è una netta preponderanza di rappresen-
tazioni ‘iconiche’ dei santi, ovverosia di raffigurazioni di santi aureolati,
a figura intera, in piedi, spesso corredati da iscrizioni che ne specificano
l’identità, oppure isolati dal resto della decorazione pittorica per mezzo

L’agiografia sarda antica e medievale: testi e contesti, Cagliari 2016, 453-476.


di cornici, come se si trattasse di icone trasposte sulla superficie muraria,
laddove, invece, le scene narrative presenti nei cicli di immagini prodotti
nell’isola sono più di frequente dedicate al racconto della vita di Cristo.
Così, per esempio, avviene nella chiesa rupestre di Sant’Andrea Priu,
presso Bonorva, nell’ambiente denominato Tomba del Capo, la camera
maggiore di un complesso di domus de janas di età neo-eneolitica, rifun-
zionalizzato in età cristiana come chiesa e decorato in età altomedievale
con un ciclo pittorico che comprende, nella metà destra dell’ambiente più
interno, una teoria di santi aureolati, corredati da iscrizioni latine che qua-
lificano molti di essi come apostoli.
Secoli più tardi, in età giudicale, l’abside della chiesa abbaziale della San-
tissima Trinità di Saccargia fu decorata con un ciclo pittorico su più registri,
realizzato nella seconda metà del XII secolo, nella cui parte mediana si trova
una teoria di santi a figura intera ai lati della Vergine orante che occupa
la posizione centrale. Sempre a Saccargia, all’estremità sinistra del registro
inferiore, si può ancora riconoscere una figura di santo, solo parzialmente
visibile al giorno d’oggi, ai piedi del quale si inginocchia un’altra figura. Le
due immagini, interpretate solitamente come San Benedetto e l’abate ca-
maldolese di Saccargia che si prostra ai suoi piedi, sono comunque avulse
dal contesto narrativo adiacente, relativo ad un ciclo della Passione di Cristo.
Si conservano inoltre diversi lacerti di affreschi con figure ‘iconiche’ di
santi incorniciate e isolate dal loro contesto originario, ma che sembrano
configurarsi in maniera analoga alle immagini ‘iconiche’ di Saccargia o di
Bosa. Si tratta delle figure di S. Biagio e S. Benedetto ai lati di S. Cristofo-
ro presso la chiesa di S. Lorenzo a Silanus e dell’immagine con due santi
vescovi nella basilica di San Simplicio a Olbia, oggi staccate e collocate
presso l’abside.
Nel XIV secolo, nella cappella del castello di Serravalle a Bosa, oggi
intitolata a Nostra Signora de sos Regnos Altos, diverse figure di santi com-
pongono la decorazione a fresco; fra queste, una teoria di santi e sante
lungo la parete destra, alcuni santi francescani dipinti sulla parete sinistra
e infine, lungo la controfacciata, le immagini ‘iconiche’ di S. Cristoforo, S.
Martino e il povero, S. Giorgio e il drago, S. Costantino e S. Elena ai due
lati della Vera Croce, a comporre un mosaico di figure di santi non legate
da un unico contesto narrativo1.

1
R. Serra, Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, Nuoro, 1990, 57 e 62-63;

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L’elenco ‒ che potrebbe continuare ed includere anche esempi tratti
dalla produzione scultorea2 ‒ deve di necessità concludersi con la men-
zione dell’unica testimonianza artistica di un racconto per immagini della
vita di due santi, Nicola e Francesco, al centro delle tavole che compongo-
no la Pala di Ottana, realizzata da un pittore giottesco fra il 1339 e il 13443.
Se quindi, complessivamente, nella produzione artistica del Medioevo
sardo si deve constatare una netta preferenza verso le immagini ‘iconi-
che’ dei santi ‒ con modi che proseguiranno anche in età post-medievale,
come attestano i pannelli con figure di santi addossati ai pilastri cilindrici
della basilica di S. Maria del Regno ad Ardara ‒ è pur vero che niente,
allo stato attuale delle ricerche, esclude che potesse esistere in passato,
nei santuari martiriali dell’isola, qualche raffigurazione narrativa dedicata
all’illustrazione del racconto agiografico non conservatasi fino ai giorni
nostri; non rimane però alcuna traccia di tali rappresentazioni neanche
nelle testimonianze storiche e letterarie dei secoli successivi. Per trovare
un ciclo di immagini dedicate ad un santo martire della tradizione cultua-
le sarda è necessario spostarsi a Pisa, nel Camposanto monumentale, dove
negli anni 1390-91 fu affidato al pittore Spinello Aretino dagli Operai del
Duomo, Parasone Grasso e Colo di Salmulis, il compito di affrescare la
porzione della parete Sud compresa fra le due porte d’accesso, con Storie
della Vita e della Passione dei Santi martiri Efisio e Potito, le cui spoglie, a
quel tempo, si trovavano nel duomo della città tirrenica (figg. 1-3).
La datazione del ciclo affrescato, nota grazie ai documenti che atte-
stano il pagamento di somme elevate al pittore, permette di certificare
anche la velocità di esecuzione di Spinello, che nelle storie dei santi Efisio
e Potito realizzò uno degli episodi più celebrati della sua opera pittorica.
Già il Vasari ebbe modo di apprezzare il lavoro del pittore suo concit-
tadino, consegnandoci, nella Vita di Spinello Aretino, una preziosa testimo-
nianza proprio delle pitture che illustrano la vita e la passione di S. Efisio
nel Camposanto pisano, all’epoca molto più leggibili e complete che ai
giorni nostri.

F. Poli, La chiesa del Castello di Bosa : gli affreschi di Nostra Signora de Sos Regnos Altos,
Sassari, 1999.
2
Mi limito a citare, a titolo di esempio, la statua di Nino Pisano raffigurante un santo
vescovo, nel S. Francesco di Oristano; l’architrave con S. Costantino imperatore, S.
Pietro e S. Paolo, nella cattedrale bosana di S. Pietro extra muros.
3
N. Usai, “La pala di Ottana”, in Ikon, 3 (2010) 109-123.

Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini 455


Il Vasari, nella seconda edizione delle Vite, pone in diretto parallelo
la figura di Spinello con quella di Giotto4, considerando l’artista aretino
come l’ultimo grande pittore della tradizione giottesca con cui si chiude il
Trecento5; gli affreschi del Camposanto, per Vasari, sono l’opera «più bel-
la, più finita e la meglio condotta che facesse Spinello»6. Altre importanti
descrizioni sono quelle contenute nell’opera del 1593 di Giovan Battista
Totti, Descrizione del Campo Santo di Pisa in forma di dialogo e nel lavoro del
1816 di Rosmini e Lasinio7. A Giovanni Paolo Lasinio si deve anche una
serie di incisioni che illustrano le pitture di Spinello al Camposanto, docu-
mentano visivamente lo stato di conservazione degli affreschi all’inizio del
XIX secolo ‒ già all’epoca non esenti da importanti lacune ‒ e ci consen-
tono di ricostruire meglio le scene dipinte con gli episodi della vita e della
passione dei santi martiri sardi8 (fig. 4).
Le vicende conservative degli affreschi del Camposanto monumentale
di Pisa, come è noto, sono assai complesse: fonti ottocentesche attesta-
no che le efflorescenze saline causarono da subito considerevoli problemi
conservativi, se è vero, come riportava il Da Morrona nel 18169, che gli af-
freschi subirono un restauro già nel 1660 e che nel XVIII secolo le scene del
registro inferiore dedicate a San Potito versavano in pessime condizioni,
tanto da risultare difficilmente leggibili già allora. Al tempo delle incisioni
del Lasinio gli affreschi del registro inferiore erano già compromessi e le
storie di Sant’Efisio presentavano importanti lacune nelle parti alte dei
riquadri, occupate dagli sfondi paesaggistici.
Le vicende più recenti, poi, sono caratterizzate dall’incendio divampa-
to nel 1944, a seguito di un’azione bellica degli Alleati su Pisa, che causò

4
Sulla fortuna critica, le fonti, il catalogo delle opere e diversi altri aspetti della produ-
zione di Spinello Aretino si veda soprattutto la monografia di S. Weppelmann, Spinello
Aretino e la pittura del Trecento in Toscana, Firenze, 2011 (tr. it. aggiornata dell’originale
pubblicato in lingua tedesca nel 2003).
5
S. Weppelmann, Spinello Aretino, cit., 13.
6
G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Firenze, 1568.
7
G.B. Totti, Descrizione del Campo Santo pisano nella forma di dialogo, 1593; G. Rosini,
G.P. Lasinio, Descrizione delle pitture del Campo Santo di Pisa coll’indicazione dei monu-
menti ivi raccolti, Pisa, 1816.
8
G.P. Lasinio, Pitture a fresco del Camposanto di Pisa disegnate e incise da Giuseppe Rossi e
dal prof. cav. G.P. Lasinio figlio, Firenze, 1832.
9
Fonte citata in Weppelmann, Spinello Aretino, cit., 199.

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l’incendio del tetto del Camposanto con conseguenti gravi e immaginabili
danni sulle pareti affrescate. Durante l’incendio del 1944 andarono distrut-
ti alcuni riquadri del registro inferiore già staccati nel 1886 e ricomposti su
una lamina di metallo10. Queste vicissitudini portarono al distacco degli
affreschi (poi rimontati su telai e ricollocati in situ nel 1960), alla conte-
stuale scoperta delle sinopie, oggi esposte nel Museo delle Sinopie della
Primaziale pisana, appositamente creato, e ad un nuovo restauro al fine di
rimuovere le colle utilizzate negli interventi precedenti per il fissaggio su
tela degli affreschi staccati. Lo stato attuale delle pitture, come sottolinea
Stefan Weppelmann nella sua recente monografia su Spinello Aretino, «è
deplorevole; la superficie dipinta sembra quasi trasparente e ha pratica-
mente perduto il carattere di un affresco»11.
Il caso ha pertanto voluto che l’unica preziosa testimonianza figurativa
medievale di un racconto agiografico per immagini di un martire sardo
sia giunta a noi in uno stato di conservazione e di leggibilità assai pre-
cario; pertanto, mancando una tradizione iconografica precedente, alla
quale rifarsi, lo studio deve necessariamente partire da un confronto con
le fonti scritte, che viene qui proposto in forma parziale, in attesa della
pubblicazione dell’edizione critica della Passio Sancti Ephysii, preparata da
Graziano Fois e in corso di pubblicazione per il Corpus Christianorum12. Un
confronto più esaustivo consentirà di verificare quali fossero le fonti a cui
fece riferimento il pittore Spinello Aretino, e se fra queste figurano anche
gli antifonari miniati ‒ in cui sono menzionati e raffigurati i Santi Potito
ed Efisio ‒ il cui ruolo di possibile fonte figurativa per Spinello Aretino è
oggetto di interpretazioni discordanti13.

10
Per le vicende conservative del Camposanto di Pisa ed il catalogo delle opere si veda
M. Bucci, Camposanto monumentale di Pisa: affreschi e sinopie, Pisa, 1960.
11
Weppelmann, Spinello Aretino, cit., 71. Una più recente testimonianza iconografica
è riportata nell’ articolo di V. Scano, “Da Nora alle rive dell’Arno”, in Almanacco di
Cagliari, (2016).
12
Cfr. G. Fois, “Passio Ephysii, (BHL 2567)”, in Passiones martyrum Sardiniae, moderante
Antonio Piras ediderunt M.  Badas, G.  Fois, C.  Melis, A.  Piras, L.  Zorzi, Turnhout
(Corpus Christianorum. Continuatio Mediaevalis 279), sub prelo; ringrazio sentitamente
Graziano Fois per avermi concesso di consultare in anteprima l’introduzione al suo
lavoro.
13
Si tratta dei mss. E.8 e B.4 della Primaziale di Pisa, attribuiti a produzione pisana della
prima metà del XIV secolo, le cui miniature sono ritenute da Maurizia Tazartes delle

Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini 457


La letteratura specifica sull’argomento ha spesso considerato gli affre-
schi di Spinello a Pisa essenzialmente nell’ambito dello svolgimento della
produzione generale del pittore aretino e della pittura giottesca del tardo
Trecento14, ma non sono mancati anche alcuni studi che hanno propo-
sto un’analisi più dettagliata del ciclo dedicato ai Santi Efisio e Potito e
una proposta di lettura in chiave storica delle opere15. Troppo sbrigativa-
mente, però, la vicenda dei due santi legati alla Sardegna è stata descritta,
in riferimento alle pitture pisane, come quella di “due santi inventati” e
labile è sempre apparso il legame fra il culto di S. Efisio e l’isola in cui
ebbe origine. È dalla Sardegna, infatti, che il culto si diffuse verso Pisa,
nel cui duomo, in età medievale e fino al XIX secolo, si trovavano le reli-
quie, trasferitevi dalla Sardegna probabilmente alla fine dell’XI secolo, in
un momento compreso fra 1092 e 1126, secondo la ricostruzione proposta
da Max Seidel, oppure nell’anno 1088, come riportano diversi storici sei-
centeschi e ottocenteschi16.

possibili fonti figurative per gli affreschi di Spinello, cfr. M. Tazartes, “Leggenda e
storia in un ciclo di affreschi di Spinello Aretino nel Camposanto di Pisa”, in Ricerche
di Storia dell’Arte, 36 (1988) 69-80. Di diverso parere Weppelmann, Spinello Aretino, cit.,
204, secondo il quale le miniature degli antifonari, non presentando legami formali e
stilistici con gli affreschi, non sarebbero alla base della realizzazione pittorica dell’ar-
tista aretino al Camposanto pisano. L’esposizione dei manoscritti E.8 e B.4 è prevista
nel nuovo Museo dell’Opera del Duomo di Pisa, in corso di restauro al momento
della redazione del presente articolo.
14
Le più antiche descrizioni degli affreschi risalgono al 1488; nel XVI secolo lo stesso
Giorgio Vasari, come già riportato, dedicò agli affreschi pisani alcune righe nella Vita
di Spinello Aretino, nella seconda edizione delle Vite, così come più tardi fece il cano-
nico Giovan Battista Totti nel 1593 e, due secoli dopo, il Lanzi nel 1795. Al XIX seco-
lo risalgono le descrizioni del Rosini, le incisioni del Lasinio già citate, la menzione
contenuta nella New History of Painting in Italy di Crowe e Cavalcaselle, del 1864 e gli
studi di I. B. Supino. Fra gli studi più recenti, realizzati nell’ambito del XX secolo, si
menziona il Catalogo della mostra del 1960 (Bucci, Camposanto monumentale, cit.), gli
studi di A. Caleca et al., Museo delle Sinopie del Camposanto Monumentale, Pisa, 1979;
quelli di E. Carli, La pittura a Pisa dalle origini alla “bella maniera”, Ospedaletto, 1994
e, più di recente, la monografia del 2011 di S. Weppelmann, Spinello Aretino, cit.
15
Cfr. Tazartes, “Leggenda e storia”, cit.; M. Tazartes, “Due santi inventati. Le sto-
rie di Efisio e Potito nel Camposanto di Pisa”, in Art e Dossier, 50, 5 (1990) 24-31;
Weppelmann, Spinello Aretino, cit.
16
La datazione è stata proposta da Max Seidel sulla base dell’analisi dell’elenco dei giorni
festivi in cui l’arcivescovo di Pisa doveva portare il pallio; la festività del santo non è pre-

458 Alberto Virdis


Il culto di S. Efisio fra Nora, Cagliari e Pisa
Prima di procedere alla lettura del racconto per immagini delle vicende
di S. Efisio al Camposanto monumentale pisano, ritengo importante met-
tere a fuoco alcuni elementi relativi al culto del santo e alla sua diffusione
nei secoli altomedievali fra la Sardegna e Pisa.
Proprio agli anni a cavallo fra i secoli XI e XII si possono ricollegare
alcuni episodi salienti: il trasferimento delle reliquie a Pisa e la donazione
del santuario di Nora ai monaci Vittorini di Marsiglia. Il santuario norense
è giunto fino ai giorni nostri, con poche alterazioni, nella sua redazione
protoromanica di fine XI secolo, attribuita dalla critica proprio alle ma-
estranze giunte in Sardegna al seguito dei Vittorini o comunque attive
nell’isola nei cantieri legati alle chiese donate e ricostruite dagli stessi mo-
naci17 (fig. 5). La stessa donazione del santuario di S. Efisio di Nora si inse-
risce nell’ambito di una serie di donazioni effettuate dal giudice di Cagliari
Costantino-Salusio II ai Vittorini che includeva altri due fra i più impor-
tanti santuari martiriali della Sardegna meridionale: quello di S. Saturnino
a Cagliari e quello di S. Antioco nell’isola omonima. Al momento della do-
nazione ai Vittorini non è chiaro che tipo di santuario esistesse sul litorale
di Nora, nel luogo in cui fu poi costruito l’edificio protoromanico attuale;
ad un probabile martyrium precedente può essere ricondotto soltanto un
ambiente semi-ipogeo sottostante l’attuale chiesa di S. Efisio, a cui attual-

sente nella bolla papale di Urbano II del 1092 ‒ quella in cui il pontefice affida a Daiberto
il diritto metropolitano sulla Corsica ‒ ma è presente, invece, nella bolla di Onorio II
del 1126, in cui si ricorda anche la festività nel giorno di S. Efisio «cuius corpus in eadem
ecclesia requiescit», cfr. M. Seidel, “Dombau, Kreuzzugsidee und Expansionspolitik.
Zur Ikonographie der Pisaner Kathedralbauten”, in Frühmittelalterliche Studien.
Jahrbuch des Instituts für Frühmittelalterforschung der Universität Münster, 11 (1977) 357.
Fra le fonti più antiche che riportano il trasferimento delle reliquie a Pisa nell’anno
1088 cfr. R. Roncioni, Istorie Pisane libri XVI, Firenze, 1884, 114, https://goo.gl/IysjJR
(consultato il 30/05/2016); P. Tronci, Memorie istoriche della città di Pisa, Livorno, 1682,
30, https://goo.gl/DhquBD (consultato il 30 Maggio 2016).
17
Nel santuario sono stati rilevati, in particolar modo da Roberto Coroneo, alcuni stile-
mi architettonici di origine franco-catalana quali, per esempio, l’estradosso dell’absi-
de rientrante sul filo dell’imposta, le piccole luci, gli archi doubleaux. Cfr. R. Coroneo,
Architettura e scultura dalla metà del Mille al primo ‘300, Nuoro, 1993; R. Coroneo, R.
Serra, Sardegna preromanica e romanica, Milano, 2004; P.G. Spanu, Martyria Sardiniae.
I santuari dei martiri sardi, Oristano, 2000, 77-81.

Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini 459


mente si accede dalla navata Sud, e che si estende in lunghezza nella parte
terminale della chiesa per tutte e tre le navate, con una copertura a botte e
una piccola cupola, in corrispondenza della navatella Nord18 (figg. 6-7). A
questo edificio preesistente, di datazione e planimetria originaria incerte,
edificato su un’area cimiteriale nel suburbio dell’antica Nora, è possibile
riferire19 gli elementi marmorei (capitelli, plutei) rinvenuti in mare presso
l’isolotto di S. Macario, nelle vicinanze di Nora, che trovano confronti
con analoghe produzioni campane della seconda metà del X secolo20. È
pertanto plausibile che tali elementi di arredo liturgico, perfettamente
a giorno nel contesto della produzione tirrenica di fine X secolo - inizi
XI, fossero destinati al martyrium che precedette la chiesa vittorina, ma
nessuno di questi elementi scultorei, decorati per lo più con motivi fito-
zoomorfi, consente di riconnettere in maniera decisiva la decorazione dei
marmi rinvenuti in mare con il culto del Santo venerato a Nora21.
Ad un periodo compreso fra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo ri-
salgono anche le prime attestazioni storiche del culto di Efisio22; la stessa

18
Ivi.
19
Questa l’ipotesi formulata in R. Martorelli et al., “Il ruolo delle isole maggiori e
minori nella diffusione del culto dei santi. Dinamiche e modalità di circolazione
della devozione”, in Isole e terraferma nel primo Cristianesimo. Atti dell’XI Congresso
Nazionale di Archeologia Cristiana a cura di R. Martorelli, A. Piras, P.G. Spanu,
Cagliari, 2015, 243. Si ipotizza un insediamento monastico nel sito in cui sorge il san-
tuario di Sant’Efisio e ad una comunità monastica si riconduce anche il toponimo di
S. Macario cui è intitolato l’isolotto che fronteggia il tratto di costa su cui sorgeva la
città di Nora e presso cui furono rinvenuti i marmi. A tale insediamento potrebbero
essere ricondotti anche i toponimi di Su Cunventu e Su Cunventeddu ivi attestati. Nel
santuario semi-ipogeo che oggi si trova sotto la chiesa protoromanica di S. Efisio,
sono state rinvenute due tombe e un’iscrizione funeraria a mosaico con formule epi-
grafiche e ornati riferiti ai secoli IV-VI, cfr. R. Coroneo, Scultura mediobizantina in
Sardegna, Nuoro, 2000, 105.
20
R. Coroneo, Scultura mediobizantina, 101-105; R. Coroneo, Arte in Sardegna dal IV alla
metà dell’XI secolo, Cagliari, 2011, 448-451.
21
Le altre ipotesi formulate (un precedente santuario dedicato a S. Efisio, poi sommer-
so a causa dei fenomeni di erosione costiera; un differente santuario, forse intitolato a
S. Macario) sono riportate in Coroneo, Scultura mediobizantina, cit., 102. Cfr. anche R.
Serra, “La chiesa quadrifida di S. Elia a Nuxis (e diversi altri documenti altomedievali in
Sardegna)”, in Studi Sardi, XXI (1968-70) 30-61; R. Serra, “I plutei tardobizantini dell’isola
di San Macario e di Maracalagonis (Cagliari)”, in Archivio Storico Sardo, XXX (1976) 59-76.
22
Per es. l’attestazione della chiesa di S. Efisio di Nora nel 1089 e la menzione, nel 1119,

460 Alberto Virdis


Passio troverebbe la sua attestazione più antica in un codice pergamenaceo
del XII secolo, oggi alla Biblioteca Apostolica Vaticana23.
In questo contesto, i decenni a cavallo fra i secoli XI e XII rappresenta-
no, quindi, un punto di snodo importante; l’analisi della storia dell’insedia-
mento della città di Nora rende però problematica la ricostruzione della
traslazione delle reliquie e le cronologie proposte24. A voler accogliere la
cronologia proposta da M. Seidel (1092-1126) ‒ convincente per quanto
riguarda la diffusione del culto a Pisa ‒ si dovrebbe contestualmente ri-

della chiesa di S. Euvisi de Quart; cfr. P. Tola, Codice Diplomatico di Sardegna, I, 1, a cura
di A. Boscolo, F.C. Casula, Sassari, 1984, I, docc. XVII, p. 161, XIX, p.163 e XXIV, pp.
196-197. Cfr. anche Spanu, Martyria Sardiniae, cit., 61.
23
Ivi, 62. Si tratta del Cod. Vat. lat. 6453, cc. 201-208, edito in Analecta Bollandiana, III
(1884), 362-377. Tutte le citazioni dal testo latino della Passio riportate nel presente ar-
ticolo, laddove non diversamente indicato, sono tratte dall’edizione del manoscritto
vaticano riportata negli Analecta Bollandiana.
24
Cfr. Seidel, “Dombau, Kreuzzuge”, cit.; P.G. Spanu, Martyria Sardiniae, cit., 73-74 e
n. 68, secondo il quale le reliquie dei santi Efisio e Potito (queste ultime importate in
Sardegna dall’Italia meridionale) sarebbero state portate a Pisa da Nora nel 1088; così
pure R. Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna, Roma, 1999, 206, n. 101. La contestuale
donazione ai Vittorini, avvenuta l’anno seguente, si potrebbe spiegare con riferimento
alla volontà di assicurare protezione al santuario di Nora, così come anche agli altri
santuari martiriali dell’isola, minacciati dai Pisani cercatori di corpi santi. Nella sua
ricostruzione Spanu rimanda agli studi di Domenico Filia, cfr. D. Filia, La Sardegna
Cristiana. Storia della Chiesa, Sassari, 1909-1929 (ristampa: Sassari, 1995); il Filia fa riferi-
mento alle ipotesi del Vidal, il quale nel 1639, negli Annales Sardiniae, riportò all’anno
1088 il trasporto delle reliquie dalla Sardegna verso Pisa: il luogo di partenza però
non è specificato. Cfr. S. Vidal, Annales Sardiniae, Firenze, 1639, 126, http://goo.gl/
MZwcgC [documento pdf ] (consultato il 30 maggio 2016). Il Filia fa inoltre riferimen-
to alle Istorie pisane di Raffaello Roncioni, canonico e arciprete della primaziale pisana,
visuto a cavallo tra il XVI e XVII secolo, il quale, nell’enumerare le principali reliquie
custodite nel duomo di Pisa riporta anche i corpi “di santo Efeso e Potito, e di San
Cesello e Camerino martiri, portati l’anno MLXXXVIII di Sardegna”, cfr. Roncioni,
Istorie pisane, cit., 114. Il Filia cita anche la Storia di Sardegna di Giuseppe Manno (1826-
27), il quale a sua volta si rifà alle Memorie istoriche della città di Pisa del mons. Paolo
Tronci del 1682. Il Tronci, agli anni 1087-88, riporta che “in questi tempi furono tra-
sportati a Pisa i Corpi de’ SS. Martiri Efeso, e Potito, come si legge nel libro antico
scritto in carta pecora, quale si conserva nella Chiesa Primaziale”; non è precisato,
però, quale fosse il luogo di provenienza delle reliquie; cfr. P. Tronci, Memorie istoriche
della città di Pisa, Livorno, 1682, https://goo.gl/XJspvj (consultato il 30 Maggio 2016).

Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini 461


costruire una situazione sarda in cui i monaci Vittorini, ai quali era appe-
na stato donato il santuario di Nora, avrebbero dovuto acconsentire alla
traslazione delle preziose reliquie del santo lì venerato; sembrerebbe più
facile ipotizzare che la traslazione possa essere avvenuta prima del 1089,
quindi o nell’anno 1088, come riportato da una tradizione storiografica
che rimonta al XVII secolo25, oppure nei secoli precedenti all’XI, in un mo-
mento in cui la città di Nora era verosimilmente abbandonata già da tem-
po (probabilmente fin dall’inizio dell’VIII secolo) e la popolazione doveva
essersi stanziata nell’immediato entroterra (a Pula o in villaggi sparsi nelle
vicinanze)26. Un’ipotesi alternativa è quella che vede un trasferimento del-
le reliquie del santo da Nora a Cagliari ‒ laddove poi il culto si radicherà27
‒ al fine di garantire alle sacre spoglie una protezione migliore di quella
che avrebbero potuto avere in un piccolo santuario situato davanti ad una
costa esposta alle scorrerie musulmane; tale trasferimento si dovrebbe cir-
coscrivere nei secoli in cui la città antica di Nora era già definitivamente
abbandonata e il preesistente santuario (qualunque fossero le sue dimen-
sioni e la sua ubicazione) non poteva offrire garanzie di tutela alle reliquie.
Un’ipotetica traslazione a Cagliari si può collocare in una data non meglio
precisabile compresa fra i secoli VIII e XI; da Cagliari, poi, forse proprio
nell’anno 1088, le reliquie avrebbero potuto prendere la via di Pisa, dove
sono attestate con certezza per la prima volta nel 112628.

25
Cfr. supra, n. 16 e n. 24.
26
Per questi aspetti cfr. il recente contributo a cura di R. Martorelli et al., “Il ruolo del-
le isole”, cit., 243. Cfr. anche R. Coroneo, Scultura mediobizantina, cit., 104-105. Sulle
cronologie della città di Nora in età tardo-antica e bizantina, cfr. G. Bejor, “Una città
di Sardegna tra Antichità e Medio Evo: Nora”, in Orientis radiata fulgore. La Sardegna
nel contesto storico e culturale bizantino. Atti del Convegno di Studi (Cagliari, 30 novem-
bre ‒ 1 dicembre 2007), a cura di L. Casula, A.M. Corda, A. Piras, Cagliari, 2008, 95-113.
27
Un luogo di culto intitolato al santo e menzionato come sanctum Ephyseum, ubicato“in
supradicta villa de Stampace”, è attestato nel 1263 dall’arcivescovo Federico Visconti
nel corso della sua visita pastorale in Sardegna. Cfr. P. Tola, Codice Diplomatico di
Sardegna, I, 1, cit., doc. CIII, 382. Si veda anche l’edizione critica a cura di Nicole
Beriou: I. La Masne De Chermont, N. Beriou, Les sermons et la visite pastorale de
Federico Visconti archevêque de Pise, 1253-1277, Roma, 2001, 1063-1064, http://www.tor-
rossa.com/resources/an/2250813# (consultato il 30 maggio 2016).
28
Alle vicende legate alla traslazione delle spoglie di S. Efisio dalla Sardegna verso Pisa,
se, come si ipotizza, le reliquie furono portate nella città tirrenica dal capoluogo sar-
do e non direttamente da Nora, poterono non essere estranee le vicende insediative

462 Alberto Virdis


Proprio alcuni elementi della Passio sembrerebbero far riferimento al
contesto storico dei secoli altomedievali VIII e IX, ovverosia a quella tarda
età bizantina che rappresenta il momento storico in cui potrebbe essere
maturata la redazione della leggenda agiografica del santo, la quale ci è
tramandata, però, da codici pergamenacei più tardi29.

S. Efisio e le immagini: la leggenda agiografica


La leggenda racconta la storia del giovane Ephysius, nato ad Aelia Ca-
pitolina, ovverosia Gerusalemme, da madre pagana, Alexandria e padre
cristiano Christophorus al tempo delle persecuzioni anti-cristiane dell’im-
peratore Diocleziano. Efisio fanciullo viene presentato dalla madre Ale-
xandria, una delle donne più in vista di Aelia Capitolina, a Diocleziano, nel
momento in cui questi si era recato ad Antiochia. L’imperatore accoglie
benevolmente il giovane Efisio e gli conferisce l’incarico di comandare
l’esercito in funzione anti-cristiana. Così Efisio assume il comando di una
truppa e, preso congedo dall’imperatore, si trasferisce nell’Italia meridio-
nale; giunge presso Tranum (Trani) e poi da lì si muove verso Urittania
(talvolta riportata come Utticania), in Apulia. In questo luogo avviene la
prima apparizione di Dio ad Efisio: il Signore irrompe dal cielo con grande
fragore e causa la caduta di Efisio da cavallo. Efisio chiede al Signore di
poterlo conoscere e poter vedere la potenza della sua grandezza; appena
pronunciate tali parole, in cielo rifulge una croce di cristallo e una voce
tonante che dice “Io sono il Cristo, il Figlio del Dio vivo, crocifisso dai

della stessa città di Cagliari nei secoli altomedievali: alla fine dell’XI secolo, infatti, era
probabilmente giunto a compimento il processo di abbandono della Karalis antica,
avvenuto gradualmente e “a macchie” (in un modo meno repentino di quello che
probabilmente portò all’abbandono di Nora all’inizio dell’VIII secolo) secondo mo-
dalità che la ricerca archeologica degli ultimi anni sta contribuendo a delineare. Cfr. il
contributo di R. Martorelli, “Riferimenti topografici nelle Passiones dei martiri sardi”
in questi stessi Atti; cfr. anche R. Martorelli, D. Mureddu, “Cagliari: persistenze e
spostamenti del centro abitato fra VIII e XI secolo”, in Settecento-Millecento. Storia,
Archeologia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo. Atti del Convegno di Studi (Cagliari,
17-19 ottobre 2012), a cura di R. Martorelli con la collaborazione di S. Marini, Cagliari,
2013, 207-234; R. Martorelli, “Cagliari bizantina: alcune riflessioni dai nuovi dati
dell’archeologia”, in European Journal of Post-Classical Archaeologies, 5 (2015) 175-200.
29
Cfr. supra, n. 12; Martorelli, “Riferimenti topografici”, cit.

Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini 463


Giudei e da te grandemente offeso”30. Il Signore dona quindi ad Efisio la
croce, affinchè possa con essa combattere e vincere i suoi nemici; viene
quindi creato dux dell’esercito di Cristo e, così come per Costantino31, il
Signore gli dice che per mezzo della croce avrebbe sconfitto i suoi nemici:
«in virtute crucis quam tibi ostendi vinces omnes inimicos tuos»32. Efisio guarda
il palmo della sua mano e vi trova impressa una croce.
La Passio prosegue raccontando che Efisio dopo queste vicende si recò
a Gaeta e lì mandò a chiamare un artigiano esperto nella lavorazione
dell’oro e dell’argento affinchè gli realizzasse una croce simile a quella che
egli recava impressa sulla sua mano, in oro e argento. L’artigiano reagisce
manifestando il suo timore verso la realizzazione di una simile opera poi-
ché sarebbe potuto incorrere nella pena capitale. Infine accetta di realiz-
zarla, dietro le insistenze di Efisio: una volta realizzata questa croce aurea,
però, sulla superficie di essa, compaiono miracolosamente tre immagini
non realizzate da mano umana, ma acheropite, corredate da tituli in gre-
co (in ebraico in altre versioni della Leggenda): in alto Emanuel, a sinistra
Gabriel e a destra Michael.
L’artigiano Joannes cerca quindi di distruggere tali immagini, ma a nul-
la valgono i suoi sforzi: «perterritus nimis crucem et eius imagines destruere la-
boravit; sed minime quod voluit perficere valuit, quia Dei voluntati contraire non
potuit»33. Efisio scopre la croce con le tre immagini e chiede all’artigiano la
ragione delle figure lì presenti, ricordandogli che la croce da lui richiesta
non prevedeva alcuna figura. Efisio, resosi conto dell’evento miracoloso,
adora la croce fra le lacrime.
Come è noto, la leggenda agiografica di Sant’Efisio deriva in maniera
molto vicina dalla seconda leggenda di San Procopio, come dimostrò il
Padre bollandista Hippolyte Delehaye, in uno studio del 1909 divenuto

30
Così nel cod. Vat. Lat. 6453, cc. 201-208, edito in Analecta Bollandiana, III (1884), 362-
377: “Qui es, domine? Ostende te mihi, ut videam magnitudinis tuae potentiam. In
ipsa autem hora apparuit ei crux in similitudine crystalli, et vox de coelo audita est:
Ego sum Christus, filius Dei vivi, quem crucifixerunt Judaei, quem tu persequeris”.
31
Sulla ripresa dell’exemplum costantiniano nell’agiografia di S. Efisio cfr. A.M. Piredda,
“L’exemplum costantiniano nell’agiografia sarda”, in Diritto e Storia [rivista online],
13 (2015), n. 22, http://www.dirittoestoria.it/13/contributi/Piredda-Exemplum-
costantiniano-agiografia-sarda.htm (consultato il 25/05/2016).
32
Cod. Vat. lat. 6453, cc. 201-208, edito in Analecta Bollandiana, cit.
33
Ibidem.

464 Alberto Virdis


celebre, in cui mise a confronto le due leggende agiografiche34. Più di re-
cente Pier Giorgio Spanu ha proposto una lettura più approfondita del
racconto agiografico ipotizzando la derivazione della Passio Sancti Ephysii
da una versione intermedia della seconda leggenda di S. Procopio andata
perduta35, dovuta ad un agiografo di provenienza italo-meridionale, inte-
ressato ad ambientare lì (fra l’Apulia e Gaeta) parte delle vicende militari
della vita di S. Procopio. Questo sarebbe il motivo che risiede dietro l’am-
bientazione in Italia meridionale anche di parte delle vicende di Efisio,
prima che l’azione si sposti in Sardegna36.
L’apparizione miracolosa delle tre immagini acheropite sulla croce che
Efisio ordina all’artigiano Joannes contiene un chiaro riferimento alla con-
troversia iconoclastica che divise il mondo bizantino nei secoli VIII e IX. Il
racconto agiografico enfatizza la reazione dell’artifex il quale prima vuo-
le sottrarsi al compito di realizzare una croce in oro e argento, temendo
la pena capitale, poi prova a cancellare le immagini («imagines destruere
laboravit»37) sempre per timore della propria incolumità, compiendo esat-
tamente l’azione che stava alla base della controversia iconoclastica: la di-
struzione e cancellazione delle immagini. Lo stesso Efisio, quando giunge
prima dell’alba a vedere l’operato dell’artigiano, si sorprende e si rivolge a
questi chiedendogli la ragione di quelle immagini sacre, poiché, gli ricor-
da, gli era stata richiesta la sola realizzazione di una croce, senza alcuna
immagine: «Nonne dixit tibi ut crucem mihi tantum facere et alias nullo modo
figuras?»38. La croce, durante la controversia iconoclastica divenne l’unico
simbolo di cui era ammessa la raffigurazione, e l’episodio della Passio, ca-

34
H. Delehaye, Les légendes grecques des saints militaires, Paris, 1909, 77-89. Cfr. anche H.
Delehaye, Les légendes hagiographiques, Bruxelles, 1955, 119-139.
35
Spanu, Martyria Sardiniae, cit., 68.
36
Per la contestualizzazione geografica e storica delle vicende narrate nella Passio di
S. Efisio, che rimandano all’orizzonte cronologico dell’Italia meridionale e della
Sardegna tardo-bizantina del X secolo, ovverosia al momento in cui avrebbe avuto
origine il racconto agiografico del martire sardo, pur nel contesto di una indubitabile
derivazione complessiva dalla leggenda di S. Procopio, si rimanda allo studio di Spanu
più volte citato: Spanu, Martyria Sardiniae, 61-81. Si vedano anche P. Maninchedda,
Medioevo latino e volgare in Sardegna, Cagliari, 2007, 89-90; Martorelli, “Riferimenti
topografici”, cit.; Fois, “Passio Ephysii”, cit.
37
Cod. Vat. lat. 6453, cc. 201-208, edito in Analecta Bollandiana, cit.
38
Ibidem.

Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini 465


lato in un contesto bizantino di VIII-IX secolo, può essere letto come se
Efisio avesse cercato di salvare il buon artigiano Joannes ordinandogli la
realizzazione di una semplice croce, senza immagini.
Ma le immagini sacre compaiono sulla croce in una ierofania, e as-
sumono, presumibilmente, la consistenza di un rilievo a sbalzo, data la
consistenza del materiale prescelto: una lamina d’oro e argento. Questo
aspetto della leggenda trattiene l’eco di una delle teorie cardine del pen-
siero iconofilo bizantino del IX secolo, espresse, per esempio, negli scritti
di Teodoro Studita: quella dell’immagine sacra come matrice di un sigillo
che si imprime sulla cera; la matrice rappresenta il divino, mentre l’imma-
gine lasciata per impressione sulla materia (la cera, nel caso del sigillo, la
lamina metallica nel caso di un rilievo) assume una dimensione sacra per
via del contatto con la matrice39.
Lo stesso episodio, narrato con alcune variazioni anche nella Leggenda
di San Procopio, fu letto nel 787, durante la quarta sessione del II Conci-
lio di Nicea ‒ che segnò un ritorno alla liceità del culto delle immagini,
durata fino all’813 ‒ come argomento a sostegno delle immagini sacre. La
decisione di inserire questo passaggio nel racconto agiografico di S. Efisio
e di indulgere sui dettagli citati, può essere interpretata, più che come
una semplice ripresa di un passaggio presente nel racconto usato come
modello (la leggenda di S. Procopio), come una precisa volontà di riferirsi
a quel difficile e controverso momento storico, sottolineando la strenua
iconodulìa della Chiesa sarda e dei suoi martiri40.
Dopo questi eventi, il racconto prosegue con una nuova battaglia
del soldato Efisio causata dall’invasione della regione di Gaeta da parte
dell’esercito di una barbarica gens nemica, poi denominata Saraceni. Usan-
do la croce come vessillo, Efisio sconfigge gli avversari. Lo stesso episodio
‒ tratto anch’esso dalla seconda leggenda di S. Procopio ‒ nella Passio San-

39
Sulla vasta letteratura critica sulla teoria dell’icona e sulle sue applicazioni nelle im-
magini acheropite, cfr. J. C. Schmitt,“L’Occident, Nicée II et les images du VIIIe au
XIIIe”, in Nicée II. 787-198, a cura di F. Boesfplug, N. Lossky, Paris, 1987, 271-311; H. L.
Kessler, G. Wolf (a cura di), The Holy Face and the Paradox of Representation, Bologna,
1998; J. Wirth, “Faut-il adorer les images? La théorie du culte des images jusq’au
concile de Trente”, in Iconoclasme, a cura di J. Wirth, C. Dupeux, P. Jezler, Paris, 2001,
28-37; B. Pentcheva, “Painting or Relief: The Ideal Icon in Iconophile Writing in
Byzantium”, Zograph, 31 (2006-7) 7-14.
40
Cfr. Piredda, “L’exemplum costantiniano”, cit., par. 2.

466 Alberto Virdis


cti Ephysii viene duplicato in favore di un’ambientazione sarda: giuntagli
la notizia di un’invasione delle pianure della Sardegna da parte di un’altra
barbarica gens, Efisio si imbarca alla volta dell’isola, giunge presso un fiume
(il Tirso), in locum qui Arvorea nuncupatur e sbaraglia i nemici ‒ storicamen-
te identificati come le popolazioni barbaricine dell’interno dell’isola ‒ ad
locum qui Tirus dicebatur ‒ ovverosia presso il porto di Tharros.
Efisio invia poi una lettera all’imperatore Diocleziano nella quale fa
professione di fede cristiana; l’imperatore rinvia al governatore locale, il
praeses Iulicus, l’incarico di convertire nuovamente al culto pagano Efisio,
oppure di condannarlo a morte.
Efisio viene quindi giudicato nel tribunale di Cagliari, torturato, messo
in carcere (il luogo che la tradizione locale ha successivamente identificato
nell’ambiente ipogeo sottostante la chiesa di S. Efisio, nel quartiere caglia-
ritano di Stampace) e, infine, risanato per intervento divino.
Efisio si reca nel Templum Apollinis di Cagliari e lì le statue degli dei
pagani crollano a terra. Efisio viene quindi sottoposto a nuove torture per
ordine del vicarius Flavianus, che aveva sostituito Iulicus. Un soldato, Arche-
laus, cerca di uccidere il santo con la spada, ma questa miracolosamente si
configge in terra e risparmia Efisio, il quale, a seguito di una nuova seduta
del tribunale viene infine condannato a morte per decapitazione; viene
accompagnato in locum qui dicitur Nuras e qui, prima dell’esecuzione, pre-
ga il Signore affinchè protegga i cagliaritani; infine la condanna ha luogo.
Queste, in sintesi, le vicende narrate dalla Passio41: diversi sono i riferi-
menti e le spie che riconducono il racconto ai luoghi, alle denominazioni
di cariche e titoli onorifici, alla cultura e, in generale al contesto storico
della Sardegna tardo-bizantina, per la cui analisi si rimanda agli studi speci-
fici42. Ciò che è significativo è segnalare come, dopo i decenni fra XI e XII
secolo che videro la traslazione delle reliquie a Pisa, la donazione del san-
tuario di Nora ai monaci Vittorini e la redazione della Passio che trattiene
diverse spie di un culto precedente, il culto di S. Efisio in Sardegna assuma
una battuta d’arresto. Vi sono scarse attestazioni di chiese intitolate al san-
to (fra queste quelle di Nora e Cagliari, legate direttamente ai luoghi della

41
Per un’analisi più dettagliata si rinvia al saggio di P.G. Spanu più volte citato (cfr.
supra, n. 35) e al testo della Passio nell’edizione di G. Fois di prossima pubblicazione;
Fois, “Passio Ephysii”, cit.
42
Cfr. Spanu, Martyria Sardiniae, cit.; Martorelli, “Riferimenti topografici”, cit.; Fois,
“Passio Ephysii”, cit.

Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini 467


vita e morte del santo) e una scarsa diffusione nell’onomastica e nella to-
ponomastica43; si dovrà attendere il XVI secolo e l’età della Controriforma
per assistere ad una ripresa della devozione verso S. Efisio, fino ad arrivare
al voto espresso dalla Municipalità di Cagliari nel 1656.
A Pisa, invece, il culto appare più vivo anche durante il Medioevo: di-
versi calendari ricordano la deposizione delle reliquie nella cattedrale, in
cui si trovava un altare dedicato a S. Efisio, e riportano, inoltre, le festività
in onore dei SS. Efisio e Potito; nel XIV secolo vengono prodotti due anti-
fonari corredati da miniature che raffigurano i due santi44 e un inventario
del 1369 menziona un reliquiario di argento dorato, a forma di campanile,
simile alla torre del duomo45. Pisa, pertanto, sembrerebbe aver portato via
dalla Sardegna, insieme alle reliquie, la stessa devozione per il santo. Nella
città tirrenica, comunque, non si assiste tanto ad una diffusione di massa
della devozione verso S. Efisio ‒ dei santi sardi sarà S. Lussorio/Rosso-
re ad avere maggior fortuna in terra pisana ‒ quanto all’appropriazione
del santo come emblema della potenza cittadina sulla Sardegna. Appro-
priarsi delle reliquie di due santi venerati localmente nell’isola e dedicare
loro un altare nel duomo e un reliquiario con la stessa forma della torre
campanaria, essa stessa simbolo della città, aveva un chiaro significato di
appropriazione di un culto religioso per farlo diventare simbolo civico di
una potenza marittima, militare e politica, che oltretirreno si esplicava in
modo particolare nei confronti della Sardegna.
Sulla facciata del duomo di Pisa, l’epigrafe celebrativa delle vittorie pi-
sane del 1016 contro i Saraceni, per i quali la Sardegna sarebbe dovuta es-
sere sempre debitrice nei confronti della città, si pone sulla stessa linea in-
terpretativa. Però, rispetto al momento in cui vennero apposte le epigrafi
del duomo, Pisa, nel XIV secolo, aveva ormai perso ogni possedimento
in Sardegna, in seguito alla conquista aragonese della parte meridionale
e orientale dell’isola, così come aveva perso il ruolo egemone nei traffici
tirrenici e mediterranei, che aveva avuto nei secoli XI e XII, in seguito alla
sconfitta contro Genova nella battaglia della Meloria del 1284: è in questo

43
Fois, “Passio Ephysii”, cit.
44
Cfr. supra, n. 13. Si vedano anche Carli, “La pittura a Pisa”, cit., 86 e A. Caleca, “Rotuli
e codici miniati”, in La Cattedrale di Pisa, a cura di G. Garzella, A. Caleca, M. Collareta,
San Miniato, 2014, 233-243.
45
«Campanile de argento aurato ad similitudinis campanilis maioris ecclesie factum, in quo
sunt de reliquiis Eufisii et Potiti», cfr. Tazartes, “Leggenda e storia”, cit., 71.

468 Alberto Virdis


contesto storico che si collocano gli affreschi di Spinello Aretino nel Cam-
posanto monumentale di Pisa.

Le storie dei Santi Efisio e Potito al Camposanto


Il ciclo pittorico, affidato a Spinello Aretino, fu realizzato negli anni 1390-
91 e descrive, in tre grandi riquadri, sei scene della vita e della passione di
S. Efisio, accuratamente scelte fra i diversi episodi offerti dalla Passio. Nel
primo riquadro (fig. 1) viene introdotto il personaggio di Efisio negli epi-
sodi giovanili, prima della conversione, ed è immediatamente presentato
nella narrazione come un soldato. Sulla sinistra del primo riquadro, è raffi-
gurato inginocchiato davanti a Diocleziano ad Antiochia, circondato dalla
corte imperiale; nell’episodio centrale, sempre abbigliato con delle vesti
azzurre che consentono di identificarlo visivamente in tutta la narrazione,
è raffigurato con abiti militari mentre ottiene dall’imperatore il bastone
del comando, con il compito di perseguitare i Cristiani. Sulla destra, la pri-
ma scena di battaglia: Efisio si configura ancora una volta come un miles,
ma durante il combattimento a cavallo avviene la prima apparizione di
Dio dalle nubi. Efisio, raffigurato in alto, sulla destra della composizione,
ascolta la chiamata del Signore: la croce rifulgente narrata nella Passio,
descritta dal Vasari, oggi non è più visibile e neppure lo era al tempo delle
incisioni del Lasinio.
Nel secondo riquadro si passa direttamente alle vicende sarde, saltan-
do quelle ambientate a Gaeta (il Battesimo e le vicende dell’artigiano e
della croce aurea su cui appaiono le immagini divine): Efisio si trova già
in Sardegna, “in quel luogo chiamato Arborea”, presso un fiume che nelle
pitture ha la funzione di spartire il riquadro in due campi. All’estremità
sinistra Efisio prega il Signore per ottenere la vittoria contro la barbarica
gens, più in basso Efisio è raffigurato nuovamente con le vesti azzurre,
abbigliato e pettinato come un giovane nobile del XIV secolo, inginoc-
chiato a terra con le mani giunte di fronte ad un angelo a cavallo che reca,
sull’armatura, la croce bianca in campo rosso della città di Pisa: si tratta
del virum eunucho cubiculari ac palatii primo similem della Passio, ovverosia
un uomo simile ad un eunuco ‘cubiculario’ posto a guardia del Palazzo
imperiale (o del palazzo del rappresentante locale)46. Costui dona ad Efisio

Il termine cubicoularios ricorre in uno dei sigilli (Georgios cubicoularios) rinvenuti in


46

Sardegna presso S. Giorgio di Cabras: l’espressione utilizzata nella Passio indica il

Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini 469


uno stendardo crocesignato e la romphea («in dextera manu suam rompheam
utraque parte acutam tenentem et desuper sanctae et vivificae crucis similitudi-
nem portantem»)47, quel giavellotto appuntito in entrambe le estremità, con
il quale Efisio avrebbe dovuto combattere i nemici dei Cristiani.
Sullo sfondo al centro del riquadro è raffigurata la città turrita e murata
che secondo il racconto della Passio dovrebbe essere il locum qui Arvorea
nuncupatur, precisamente Tirus/Tharros: in realtà la descrizione della cit-
tà, oggi apprezzabile quasi solamente dalle incisioni ottocentesche del La-
sinio (fig. 4), ricorda molto di più una città portuale, con una cinta muraria
articolata che si chiude davanti alla linea di costa, diverse torri e un paesag-
gio collinare a ridosso del mare. Questa città è con buona probabilità una
rielaborazione del pittore della città di Cagliari come poteva presentarsi
a fine XIV secolo, realizzata o sulla base di ricordi personali o, più plausi-
bilmente, di una descrizione effettuata da qualche mercante o da qualche
pisano che aveva conosciuto Cagliari e/o vi si recava ancora.
Nella parte destra del riquadro è raffigurata una nuova scena di batta-
glia, una costante fino a questo momento della narrazione: Efisio in Sar-
degna combatte la gens barbarica (le popolazioni Barbaricine dell’interno)
con l’aiuto degli angeli («victoria sibi de coelo subministrata per angelum»)48.
Le lance scandiscono orizzontalmente lo spazio, articolandolo in piani di
profondità ed enfatizzando il movimento della battaglia. In basso, un sol-
dato disarcionato viene colpito alla testa da un soldato in piedi: si tratta del
brano pittorico che il Vasari elogiava come “molto ben fatto”.
Nel terzo riquadro Efisio non viene più rappresentato come un soldato
ma come un testimone della fede: dopo un salto di diversi episodi, Efisio,
abbigliato con le ormai consuete vesti azzurre, viene condotto in tribuna-
le, a Cagliari, davanti a Flavianus. Il tribunale è rappresentato come un’ar-
chitettura trecentesca di imitazione classica, con loggiati aperti, scanditi
da esili e alte colonnine tortili.
Nella parte centrale, Efisio viene condannato al rogo: posto entro una
fornace, descritta come una struttura in mattoni coperta da una cupo-
letta, il santo prega il Signore; le sue preghiere vengono esaudite poiché

ruolo dell’angelo nella burocrazia celeste attraverso un titolo ancora attivo in quella
terrena. P.G. Spanu, La Sardegna bizantina fra VI e VII secolo, Oristano, 1998.
47
Cod. Vat. lat. 6453, cc. 201-208, edito in Analecta Bollandiana, cit.
48
Ibidem.

470 Alberto Virdis


le fiamme si rivolgono contro i suoi aguzzini. Sulla destra, la scena del
martirio vero e proprio: in un luogo che non somiglia in nulla al litorale
di Nora in cui la Passio ambienta la scena del martirio, ma bensì nei pressi
di un bosco alberato, Efisio viene decapitato; gli angeli, in alto, ne elevano
l’anima al Signore.
Il ciclo delle storie di S. Potito, che continuava sulle stesse pareti del
Camposanto, nel registro inferiore, prevedeva anche la scena della trasla-
zione delle reliquie dalla Sardegna a Pisa. Questa scena, descritta da alcuni
studiosi prima del completo deperimento dello strato pittorico, raffigura-
va un’inedita e dettagliata veduta marina della città con le imbarcazioni
che giungevano nel porto di Pisa e la raffigurazione di case e persone, ol-
tre ad una fedele veduta del duomo in cui si scorge il dettaglio del mosaico
con la Maestà sulla lunetta del portale principale49.

Osservazioni finali
L’analisi del testo della Passio Sancti Ephysii ha consentito di evidenziare,
nel racconto della vicenda delle immagini acheropite e della croce aurea,
un’interessante spia di un retaggio di età mediobizantina che rappresen-
ta il possibile momento storico di elaborazione del testo della leggenda
agiografica, come già ampiamente messo in luce da numerosi studi50; da
un punto di vista figurativo, invece, la prima testimonianza pervenutaci, il
ciclo di Spinello Aretino al Camposanto monumentale di Pisa, appartiene
ad un orizzonte culturale e figurativo ormai ben distante da quello inqua-
drato dalla Passio. In questo caso le immagini propongono una diversa
immagine del santo.
Spinello Aretino lavorò agli affreschi del Camposanto in maniera mol-
to rapida, come è noto dai documenti, e con grande autonomia compo-
sitiva poiché non esisteva una consolidata tradizione iconografica delle
vicende dei due santi Efisio e Potito destinata a fungere da modello visivo.
Per quanto concerne il rapporto con le fonti, nelle scene dipinte, il rac-
conto per immagini sembra seguire molto da vicino il testo della Passio,
come si è più volte cercato di evidenziare. Non si tratta però di una pe-
dissequa illustrazione di tutti i passaggi del racconto agiografico testua-
le: l’autonomia descrittiva rispetto al racconto testuale risiedette, infatti,

49
Il mosaico fu realizzato nel 1329; cfr. Weppelmann, Spinello Aretino, cit. 203.
50
Cfr. supra, n. 36.

Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini 471


proprio nella scelta delle scene da raffigurare, soltanto sei, in gran parte
destinate ad illustrare la figura di Efisio come combattente piuttosto che
come martire. Efisio combatte contro i Barbari/Saraceni e diventa così
un santo “crociato”, un santo civico, ormai pisano, come illustra molto
bene, per esempio, la scena del secondo riquadro, in cui Efisio prende in
consegna lo stendardo crocesignato, emblema di Pisa, da un angelo che
reca un’armatura con la croce bianca in campo rosso (fig.2).

Abstract
La ricostruzione del rapporto fra il culto di S. Efisio e le immagini, in età me-
dioevale, si scontra con l’assenza di testimonianze figurative in Sardegna; l’unica
raffigurazione della leggenda agiografica del santo è quella degli affreschi di Spi-
nello Aretino al Camposanto monumentale di Pisa (1390-91). Il confronto fra le
pitture e il testo della Passio consente di elaborare alcune riflessioni sulla diffusio-
ne del culto di S. Efisio nei secoli XI-XIV fra la Sardegna e Pisa, che negli affreschi
del Camposanto rielabora la figura del martire della leggenda agiografica per
creare una sorta di ‘eroe civico’ della potenza perduta della città marinara.

The reconstruction of the relationship between the devotion to St. Efisio and the images,
in the Middle Ages, clashes with the lack of figurative evidences in Sardinia; only the
frescoes by Spinello Aretino in the Camposanto in Pisa (1390-91) show a narrative of
the saint’s hagiographic legend. From the comparison between the paintings in Pisa and
the text of the Passio some considerations can be drawn on the spread of the cult of St.
Efisio between 11th and 14th century in Sardinia and Pisa, which, in the frescoes of the
Camposanto, revises the figure of the martyr saint deriving from the hagiographic legend
and creates a sort of ‘civic hero’ of the maritime Republic’s lost power.

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Fig. 1. Camposanto monumentale di Pisa. Spinello Aretino, Sant’Efisio davanti all’impe-
ratore Diocleziano; prima apparizione del Signore ad Efisio (Foto di Kaho Mitsuki, licenza
Creative Commons, fonte: https://goo.gl/vxZxQC).

Fig. 2. Camposanto monumentale di Pisa. Spinello Aretino, Sant’Efisio combatte in Sarde-


gna (Foto di Kaho Mitsuki, licenza Creative Commons, fonte: https://goo.gl/KPSKUL).

Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini 473


Fig. 3.
Camposanto monumentale di Pisa.
Spinello Aretino, Sant’Efisio condotto davanti al tribunale a Cagliari,
torturato e condotto al martirio
(Foto di Kaho Mitsuki, licenza Creative Commons, fonte: https://goo.gl/CdJPJh).

Fig. 4.
“Combattimento di S. Efeso contro i Pagani di Sardegna”, copia della medesima scena affre-
scata da Spinello Aretino nel Camposanto monumentale di Pisa, in un’incisione otto-
centesca tratta da G.P. Lasinio, Pitture a fresco del Camposanto di Pisa disegnate e incise da
Giuseppe Rossi e dal prof. cav. G.P. Lasinio figlio, Firenze, 1832.

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Fig. 5.
Nora
(Pula, Cagliari).
Santuario di S. Efisio,
interno
(Foto di Gianni
Careddu, licenza
Creative Commons,
fonte: https://goo.
gl/3KMfpg).

Fig. 6.
Nora (Pula, Cagliari).
Santuario di S. Efisio,
planimetria e sezione con indi-
cazione delle fasi cronologiche,
tratta da R. Coroneo,
Architettura Romanica dalla
metà dal Mille al primo ‘300,
Nuoro, 1993, 40.

Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini 475


Fig. 7.
Nora (Pula, Cagliari).
Santuario di S. Efisio, ambiente semi-ipogeo
sottostante la parte orientale della chiesa protoromanica
(Foto di Gianni Careddu, licenza Creative Commons, fonte: https://goo.gl/OjzuRg).

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