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Due aspetti:

La povertà scelta da San Francesco

La povertà non scelta dei poveri

Sul decondo aspetto non è stato scritto molto. I poveri erano per Francesco la misura concreta della propria
scelta di povertà.

IIl libro verte sul rapporto tra Francesco ed i poveri.

Due ragioni:

La prima, generale, nasce dall’incertezza dei nostri giorni, in cui il rpogresso si confonde con
l’inquinamento. C’è un legame tra mancanza di speranza e mancanza di accoglienza: chi non aspetta niente
non aspetta nemmeno nessuno. C’è insofferenza verso i poveri, gli emarginati, i bisognosi. L’osservazione di
questa situazione è la prima ragione della scrittura dle libro.

La seconda ragione è più particolare: ad assisi qualche anno fa è stata emessa una ordinanza che vieta il
mendicantaggio (???). A seguito di questo diversi ecclesiasti hanno preso le distanze dall’ordinanza;
addirittura è stata scritta una lettera da diverse clarisse (discepole di santa chiara) di tutta europa, formata
da 15 monasteri, die di essi di assisi. C’è chi in città è stato favorevole, parlando di racket, sfrutamento,
malavita; chi è contrario dice che per prevenire questo ci sono già le forze dell’ordine, non serve vietare ai
mendicanti di mostrarsi.

In italia il numero di senza tetto è in crescita; se nel dopo guerra nelle barecche vivevano le persone del sud
italia, emegrate per cercare lavoro, adesso sono abitate dai profughi, rifugiati. Come affrontare questa
ondata crescente?

Capitolo 1

LA vita di San Francesco cambia dopo l’incontro con i lebbrosi. Negli emarinatid agli emarginati Franecsco
ritrova l’incontro con Cristo ed un nuovo rapporto col mondo circostante. Francesco presenta i Lebbrosi
come suoi masteri, come coloro che gli hanno insgenato la “dolcezza” della vita stessa. Questo in
contrapposizione anche ad altre figure che si erano dedicate alla cura degli ammalati, visti appunto solo
come oggetto di cure. Invece per Francesco l’amara visione dei lebbrosi si trasforma in dolcezza.
Agiografia: vita dei santi, tre regole: protagonista, scopo, modalità.

Il vero protagonista di una agiografia non è il santo, ma Dio. L’agiografo vuole spiegare come Dio abbia
toccato il cuore del santo. Il vero scopo della agiografia è promuovere l’edificazione di chi legge. Ogni
agiografia ha la modalità della ripetizione: ripete la vita di gesù cristo, il santo per eccellenza, di cui gli altri
santi non sono che riflesso, o copia sbiadita. Dimostrare nel racconto la santità di una persona passa per la
ripetizione [topos] di episodi già succesi ad altri santi.

Tommaso da Celano, agiografo di francesco, commette l’errore di non considerare giustamente l’incontro
con i lebbrosi: calca la mano sull’aspetto di penitenza, di mortificazione di sé, come prova di amore verso
Dio e di dirpezzo verso se stesso; invece questo non era il messaggio di Francesco. Pone nella sua biografia
l’incontro con i lebbrosi dopo altri eventi, come se fosse un tassello del percorso di “santità” di Francesco.
La visione agiografica distorce l’esperienza di francesco, la cui conversione parte proprio dall’incontro con i
lebbrosi ed in cui la “dolcezza” non comprende gli aspetti di mortificazione o di diprezzo. Sposta l’accento
dalla misericordia al disprezzo per se stessi. Non possiamo mettere in dubbio la veridicità dell’incontro tra
Tommaso e Francesco, ma ci può essere stata una rielaborazione.

La chiave di volta del racconto di Francesco è la misericordia, che si concretizza in un incontro, un contatto
fisico, in un prendersi cura dell’altro. Come Gesù non può più entrare in città dopo l’incontro col lebbroso
(vangelo di marco), così Francesco “uscì dal mondo”. Piò essere inteso sia metaforicamente, cambio di vita,
che letteralmente, cambia città.

Capitolo 2

Chi erano i poveri ai tempi di francesco?

Bronislaw germe, politico polacco, è stato anche uno storico esperto dei poveri nel medioevo.

I poveri, i senza volto e nome, non lasciano traccia nelle fonti scritte; abbiamo solo ciò che hanno
tramandato i ricchi.solo dal XIV cominciano i censimenti in alcune zone d’italia, del XIII secolo non possiamo
dire nulla di peciso.

È quindi difficile dire chi fossero i mendicanti ai tempi di francesco. Le fonti che abbiamo parlano più della
“povertà percepita” che di quella real, “vissuta”.

Il fattore determinante per diventare mendicante è l’insicureza alimentare. L’anno di nascita di Francesco è
ricorato come l’anno della “fame capitale”. Ci fu una forte carestia in tutta la penisola.

All’insicurezza alimenta si lega la mobilità della popolazione rurale. I più deboli si spotavano, da un villaggio
all’altro, come coltivatori di professione per cercare lavoro. Sono anche attratti dai borghi per ragioni di
sicurezza. La città diventa l’ultima spiaggia dei contadini in difficoltà.
Definizione di Michel Mollat: “il povero è colui che in modo permanente o temporaneo si trova in una
condizione di debolezza, di umiliazione, contraddistinta dalla mancanza – diversa a seconda delle epoche e
delle società – degli strimenti di potere e di considerazione sociale: denaro, relazioni personali, capacità di
influenza, potere, cultura, qualificazione tecnica, alti natali, vigore fisico, intelligenza, libertà e dignità
personali.”

Il vocabolario medievale per delineare chi era marginale è variegato: ci sono sia termine che esprimono la
miseria materiale che termini esprimenti debolezza e fragilità fiisca, culturale, giuridica, ma anche
mancanza di status o di potere. Il mondo dei poveri è un mondo privo di quei connotati legati alle gerarchie
dominanti (benestanti).

Il povero è anzitutto un debole.

Il pauper non è contrapposto al dives (ricco), ma al potens. È un termine che ha una forte connotazione
religiosa, poiché presente dai vangeli e nei sermoni. Eppure i sentimenti suscitati nella popolazione sono
contrastanti, dalla benevole misericordia alla condanna. I poveri sono visti sia come mezzo di salvezza per i
ricchi (che possono salvarsi soltanto attraverso la carità verso i pauper) sia come massa pericolosa, nemica,
affamata ed estranea.

La massa dei salariati invece teme i poveri non in quanto diversi ma in quanto simili, perché sono ad essi
separati soltanto dal salario, che può venir meno. La paura di condividerne la sorte spinge il popolo ad
attribuire ai poveri una sorta di “colpa” per cui sarebbe, appunto, poveri, così da potersi liberare dalla paura
di poter diventare essi stessi poveri (se non ho colpe, non corro rischi). Questa è la colpevolizzazione dei
poveri.

I lebbrosi sono visti sia come immagine del cristo sofferente, che come portatori della punizione divina. La
loro segregazione er obbligata, sia ai tempi del cristo stesso che nel medioevo. Inoltre nel medioevo si
credeva che la lebbra si trasmettesse per via sessuale, e vi era quindi un pesante giudizio morale. Era la
puniizone di Dio verso una libido non controllata.

Ci furono delle risposte al prpblema della povertà, sia istituzionali che culturali.

Nel 1179 il III concilio lateranense sencisce che le comunità di lebbrosi possano avere cimiteri, chiese e
sacerdoti; di fatto questp provvedimento istituzionale sancisce una situazione che già si verificava
spontaneamente, lì dove vi erano abbassanti malati da potersi dire comunità. Questo fu il punto di partenza
per molte altre istituzioni assistenziali per lebbrosi e per poveri.

Caso interessante è quello di Innocenzo III, nel XIII secolo, che vuole la creazione dell’ospedale di santo
spirito in Roma, come luogo di accoglienza per pellegrini, malati, mendicanti. Innocenzo dedicò anche una
sua personale riflessione sulla povertà. Spiega che accanto al dovere di restituire i beni sottratti con frode,
c’è il dovere di donare con liberalità ai poveri. “Zaccheo dona in maniera retta e divide in maniera retta,
poiché dona la metà dei suoi averi, e dei suoi averi dona anche le cose preziose e non soltanto ciò che vale
poco o è superfluo.” (zaccheo, ricco pubblicano citato nel vangelo di Luca)

E’ una forte riproposizione della dottrina tradizionale della chiesa: quella dell’elemosina.

Riprende la dottrina biblica e rabbinica della Tzedakah, parola che in ebraico significa sia elemosina che
giustizia: l’assistenza ai poveri non è dunque un atto di grazia, ma un dovere. Fcendo l’elemosina si pratica
la giustizia, perché i beni degli uomini non sono che un prestito fatto da Dio. La carità non è dunque causa
dell’elemosina, ma ne condizione la modalità: chi dona deve farlo con spirito caritatevole.

L’elemosina ristabilisce l’ordine (equità) voluto da Dio al momento della creazione.

L’elemosina lava il peccato, ed il suo valore è quindi strettamente legato alla salzezza personale del
donatore. A partire dal XII secolo i laici non si accontentano più di donare ai monaci affinché sia donato ai
poveri, ma si assumono l’impegno di farlo personalmente; questa tendenza è incoraggiata proprio dalle
cariche ecclesiastiche.

Per riassumere: le pratiche dell’elemosina non intaccavano i pregiudizi riguardo ai poveri, perché non
intaccavano i meccanismi generatori di tali pregiudizi: la paura ed il disprezzo. I poveri rimanevano estranei
alla società dei sani.

Capitolo 3 Altri poveri

Tommaso da Celano definisce “altri poveri”: sono i poveri non lebbrosi. Racconta dell’episodio del
mendicante che entra nella bottega di Francesco per chiedere elemosina. Questo è forse segni di pressione
sociale dei poveri: non aspettano più la questua, ma entranoa chiedere elemosina. Francesco in questa
fase è mosso non dalla compassione ma dagli obblighi del codice sociale, per cui cede all’elemosina. La
cultura cortese è la prima cultura laica della storia europea. Nell’alto medioevo la cultura era cosa da
chierici, i nobili spesso non sapevano leggere e scrivere. Da XII secolo invece i nobili (a partire dalla francia
meridionale, dall’aquitania) diventano uomini di cultura. Si diffonde tra i nobili l’ideale della liberalitas,
ovvero del gusto di dare per il gusto del dare. Questo influenzerà tutta l’europa da lì a venire. Questa nuova
cultura cortese giunge anche in italia , nei ceti urbani.

Segue il racconto dell’incontro con i ladroni, dei banditi; Francesco viene deriso e percosso da essi, lanciato
in fosso pieno di neve; alla loro partenza riprende a camminare ed a cantare le lodi di Dio. Non ci sono solo
poveri buoni dunque, ma anche poveri violenti. Nel emdioevo il legame tra povertà e criminalità si
esprimeva nella dicotomia tra cittadini e selvatici (uomini della selva).
Capitolo 4 Poveri volontari

Dopo aver rinunciato ai beni materiali Francesco vive solo per due anni. Quando arrivano dei compagni (i
frates) li saluta come un dono di Dio, per lui la solitudine è una condizione penosa. Avviene il risveglio
evangelico di Francesco, che capisce come deve vivere con i suoi frates: seguendo quanto detto dal
vangelo. È una critica senza acredine alla gerarchia esistente; in vangelo può essere messo in pratica.

L’elemosina si configura come gesto evangelico, ed è il primo gesto che Bernardo (secondo dei frates)
compie, donando i suoi averi ai poveri; fa da modello a tutti gli altri che seguiranno.

Francesco non fa solo qualcosa per i poveri, ma seguendo il dettato evangelico diventa povero egli stesso.

Dunque i frati sono chiamati a chiedere l’elemosina non come mortificazione o penitenza, ma per
conformarsi alla vita di Cristo. Per lui il cuore della penitenza non è nella mortificazione personale, ma nella
scelta di mettere in pratica il vangelo. Dunque l’elemosina non può essere umiliazione.

Come conseguenza già da subito dei poveri furono accolti nel gruppo di Francesco, che si configurarono
inizialmente come laici e non come chierici. Nella fraternità ch sorge intorno a Francesco vengono
incorporati tutti, ricchi e poveri, colti ed ignoranti. Non è scontato che questa convivenza avvenisse
pacificamente, i ceti sociali si riproponevano negli altri ordini con la divisione in monaci di coro (provenienti
dalla nobiltà) e monaci conversi (provenienti dal popolo).

L’originalità di Francesco è nella non divisione in ceti, nella parità tra i frates.

Capitolo 5 Poveri Cattivi

Francesco ha un’atteggiamento di condivisione e partecipazione alle fatiche dei poveri, aiutandoli anche
fisicamente. Poveri non sono soltanto i mendicanti, ma anche coloro che fanno lavori faticosi e precari,
come i contadini. Inoltre li difendeva dagli insulti “chi tratta male un povero fa ingiuria a Cristo”.

Francesco fa fare una penitenza ad un suo fratello che si prende gioco di un povero; la penitenza è
giustificata dal fatto che nella condizione del povero vi è l’immagine riflessa della condizione del Cristo, e
peccare contro i poveri equivale dunque a peccare contro Cristo. Nel povero Francesco non vuole
considerare null’altro che questa immagine di gesù: non gli interessano i “peccati” del povero, né le sue
inclinazioni; i poveri non sono né buoni né cattivi, sono tutti “poveri” in egual maniera.

Può Francesco dirsi buonista? Le risposte a questa domanda sono state diverse da parte dei frati
francescani. L’esempio di Francesco è quello del “facere misericordiam”, ovvero vincere il male col bene.
Questa non è ingenuità, ma l’unico modo per vincerer il male dal cuore degli uomini.
Capitolo 6 Il desiderio di distinguersi

Anche all’interno dei fratelli francescani si pone il problema della distinzione tra frati colti e frati provenienti
dalle classi basse. Inoltre Gregorio IX chiarisce che i frati, pur non potendo possedere nulla come la Regola
di Francesco sancisce, abbiano “l’utilizzo” di ciò che gli occorre. È una trasformazione rispetto all’inizio, in
cui il voto di rinuncia e povertà era totale.

I frati intellettuali prendono il sopravvento, primi fra tutti quelli della provincia inglese. Nel 1239 viene
deciso nelle Costituzioni che soltanto i chierici (intellettuali) potessero entrare nell’ordine, e non i laici (chi
non ha padronanza della lingua scritta). Inoltre nella disposizione 64 dice “I frati non stiano per strada o nei
luoghi pubblici a chiedere l’elemosina”. I poveri sono allontanati dentro e fuori dall’ordine.

Questi cambiamenti radicali hanno coinciso con l’urbanizzazione degli ordini minori; l’entrata nelle città ed
il contatto le elités cittadine hanno dato il via ad una sostanziale modifica dell’identità stessa dei frati.

Anche l’elemosina cessava di essere la fonte di sostentamento dei monaci, e venica sostituita dai lasciti
testamentari e le offerte.

Due punti di riflessione: il fatto che la povertà “contagi”, e che ad andare con i poveri si assumano quelle
caratteristiche che dei poveri si diprezzano; e che si possa essere giudicati “infami”, cioè privi di bona fama.
Da qui la necessità di distinguersi dai poveri e diventare chierici. È il momento del passaggio dalla povertà
vissuta alla povertà pensata.

La tendenza di alcuni frati di mantenersi fedele agli insegnamenti di Francesco e la progressiva


chiericizzazione dell’ordine si ritrova in diverse Pericopi (brevi estratti di un testo), come scontro dialettico
tra l’elemosina esagerata e totale di Francesco e un’utilizzo più oculato e tradizionale dei beni usati
dall’ordine.

Capitolo 7 i poveri nella memoria Francescana

Nell’eccezionalità di Francesco trovano fondamento e giustificazione quello che divenne il più numeroso
ordine religioso del XIII secolo. IN una pericope si racconta come Francesco si infligga come penitenza il
mangiare dalla stesso piatto di un lebbroso, che lui chiama “fratello cristiano”. Si evince da questo racconto
che agli inizi i frati probabilmente vivevano con i lebbrosi stessi; anche la Porziuncola (il luogo considerato
da Francesco come caput et mater di tutti gli altri luoghi francescani) sorgeva nei pressi di un ospedale dei
lebbrosi.

Molto sentito da Francsco è il rapporto tra elemosina e giustizia: “l’elemosina è l’eredità e la giustizia
dovuta ai poveri”. Ancora una volta l’elemosina non è beneficenza, è un atto dovuto ai poveri.

Francesco qui interpreta il precetto evangelico in senso assoluto; mente in Luca troviamo scritto “quel che è
superfluo, datelo in elemosina”, col permesso tacito di etnere il necessario, per Francesco il dono è totale.
L’elemosina è uno strumento per portare giustizia in un mondo profondamente ingiusto.
Capitolo 8 dove sono andati a finire i lebbrosi?

Negli affreschi della Basilica Superiore di Assisi non c’è riferimento ai lebbrosi. Probabilmente questo
perché si correva il rischio di trasformare l’ordine in mero assistenzialismo verso i malati, o di provocare
scissioni interne (frate Giovanni della Cappella tentò l’uscita dall’ordine presentando una regola alla sede
pontificia). Per questo motivo Tommaso da Celano, autore dell’agiografia principale di Francesco, spostò
l’eventoi dell’incontro con i Lebbrosi in una parte avanzata della sua opera, e non come prima parte (pur
essendo cronologicamente la prima esperienza di conversione di Francesco). Anche per questo in altri
documenti ufficiali i lebbrosi non sono più nominati.

Per recuperare l’importanza dei lebbrosi e dell’incontro Francesco lo menzionerà nel suo Testamento.
L’evento dell’incontro col lebbroso giustifica la conversione di Francesco davanti al Crocefisso di San
Damiano, davanti al quale Francesco si commuove; proprio in virtù dell’incontro col lebbroso Francesco
può “abbandonare il mondo” una volta incontrato il Crocefisso.

Nell’allegoria della povertà, opera di Giotto, troviamo la santa povertà con i piedi nudi tra i rovi, i quali
dietro divengono rose, a significare i frutti spirituali che la povertà produce. La povertà è data in sposa a
Francesco da Cristo in persona. Povertà riceve l’anello da Francesco e lo dona a Speranza, mentre Carità
dona loro il cuore.

Sono presenti due fanciulli, uno che tira un sasso ed un altro che molesta povertà con un bastone:
simboleggiano il disprezzo che da sempre è stato provato verso i poveri. Lo stesso messaggio arriva da altre
tre figure, che guardano con disappunto la scena (come i concittadini di Francesco fecero il giorno della sua
conversione). La povertà è rappresentata con lo stesso volto di Cristo, essa è il volto del Dio fatto uomo.

Nel quadro è presente un solo povero, che riceve metà mantelloda un giovane, ma nessun lebbroso. Non ci
sono i poveri di strada, i mendicanti. Non solo nel quadro, ma in nessuna parte di assisi i lebbrosi sono
ricordati.

Capitolo 9 Poveri come Lupi

Il povero, l’infame, era considerato alla stregua di un animale, di una bestia feroce. Nella storia del Lupo di
Gubbio Francesco si reca fuori della città per fermare un lupo che uccideva bestie e persone, terrorizzando i
contadini. Francesco gli parla (frate lupo) e nel nome del cristo gli fa promettere di non fare più del male, e
fa promettere ai cittadini di nutrirlo fino alla fine dei suoi giorni.

Il lupo probabilmente simbolegga un fuorilegge, per una equazione tra i concetti di “lupo” e di “bandito”.
All’inizio della storia i cittadini hanno paura, e si sono armati, ma le armi non risolvono il loro problema;
Francesco, che non è armato, è l’unico che può parlare: vuol bene al lupo ed è mosso a compassione verso
gli abitanti di Gubbio. Francesco dice “io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male”. Francesco non
nega né blandisce la violenza, la condanna, ma la vuole superare. Francesco non vuole giustificare il Lupo
ma comprenderlo. Questa storia fa da eco ad un’altra pericope, in cui si parla di uomini feroci e non di lupi.

Anche qui Francesco comprende le ragioni dei violenti e grazie all’atteggiamento misericordioso ottiene un
mutamento del cuore.

Ma nella pericope del lupo Francesco deve superare un altro ostacolo: dopo aver convinto il lupo, deve
convincere gli abitanti di Gubbio. Anche loro non sono esenti da colpa: la loro colpa è quella, implicita, di
non aver nutrito il lupo, cioè di non aver praticato l’elemosina.

Una volta sancito l’accordo, il vero miracolo è la vittoria sulla paura; il lupo vive per altri due anni tra gli
uomini, fino a morire di vecchiaia, senza più molestare alcuno od essere molestato.

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