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IL MISSORIUM DI TEODOSIO: TRA ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

IL MISSORIUM DI TEODOSIO:
TRA ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

“... è il momento disperato in cui si scopre


che quest’impero che ci era sembrato la somma
di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma,
che la sua corruzione è troppo incancrenita
perché il nostro scettro possa mettervi riparo,
che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi
della loro lunga rovina”
I. Calvino, Le città invisibili

1. Premessa
Celeberrimo, tra i non molti oggetti preziosi, che possediamo per la tarda antichità, il piatto di Teodo-
sio trova posto da molto tempo in ogni opera di trattazione generale della storia dell’arte romana e dei
modi di rappresentazione del sovrano. La particolare natura dell’oggetto, partecipe di quel ristretto
ambito di donativi imperiali rivolti ai più alti personaggi dello stato 1, il soggetto di carattere ufficiale e la
presenza di un’epigrafe hanno indotto la maggior parte degli studi a occuparsi da un lato del riconosci-
mento dei sovrani rappresentati e quindi della cronologia, e dall’altro dell’individuazione dell’occasione
specifica per la creazione del piatto. Questa duplice prospettiva, riconducibile all’interesse per la storia
ufficiale, ha fatto passare in secondo piano sia l’aspetto dell’analisi formale, condotto più come conse-
guenza e corollario della sua funzione 2, sia quello dell’esame della scena in esergo, considerata seconda-
ria rispetto alle immagini dei sovrani (Fig. 1).
Proprio quest’ultima, costituita – come è noto – da una figura femminile accompagnata da tre putti
alati, affrontata in verità sempre celermente e non del tutto risolta, ha attirato la mia attenzione. Mentre
cercavo di esplorare questo problema, mi sono imbattuto nella discussione intorno a una nuova proposta
di datazione del piatto, condotta sulla scorta di una diversa e accurata analisi formale, ossia dell’altro
aspetto generalmente trascurato 3. Per quanto, tuttavia, ciò non pesasse sul significato delle figure in eser-
go, appariva estremamente limitato occuparsi del manufatto senza considerare anche il riaperto proble-
ma dell’analisi del linguaggio utilizzato.
Cercherò, pertanto, di precisare meglio il tema collegato alla figurazione in esergo del piatto, per poi
riprendere la questione del linguaggio formale del missorium e dei suoi riflessi sulla cronologia dello
stesso, importante anche per una serie di possibili osservazioni di carattere metodologico.

2. Fortuna, Felicitas Temporum, Tellus: la scena in esergo nel linguaggio della propaganda impe-
riale
Per definire meglio la questione relativa ai significati delle immagini, occorre in primo luogo richia-
mare la natura ufficiale di tale oggetto, il cui carattere di dono imperiale lo pone nell’ambito dell’arte
ufficiale, ossia di una produzione specifica e assai ristretta, la cui committenza risale direttamente

1
Una chiara e sintetica analisi di questa categoria di 3
Una riproposizione generale delle questioni concernen-
manufatti preziosi in Painter 1991. ti il piatto è contenuta ora negli interventi del volume Teo-
2
Direi che la prima trattazione approfondita dell’oggetto dosio 2000. La prima dettagliata proposta di una ridefini-
è in Kiilerich 1993, in partic. 19-26 e 68-70. zione cronologica in Meischner 1996, poi ripresa e
approfondita in Meischner 2000.

ASAtene LXXXI, serie III, 3, Tomo I, 2003, 519-xxx 519


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Fig. 1 - Missorium di Teodosio (da Arce 1998).

all’imperatore 4. Proprio tale natura del piatto obbliga a una estrema attenzione nei confronti di tutti i par-
ticolari della decorazione, come del resto mostrano le precise analisi della raffigurazione principale, che
hanno messo in luce non solo l’attenta selezione di ogni elemento, ma anche la sua funzione semantica.
In altre parole: non c’è spazio in tali oggetti per elementi che siano “decorativi” in senso moderno, ossia
gradevoli al gusto, ma privi di una funzione comunicativa nell’insieme della raffigurazione. Se questo è
vero per la parte principale del piatto, dobbiamo considerarlo valido anche per le immagini dell’esergo.
Un’altra considerazione, fondamentale dal punto di vista metodologico, è il carattere elitario delle
forme e delle funzioni di questi oggetti. Segno della diretta benevolenza imperiale nei confronti di mem-
bri della più alta classe dirigente, essi parlano un linguaggio figurato, che deve essere evidentemente
ricondotto – per una sua corretta interpretazione – nell’ambito della più alta aristocrazia, per così dire
internazionale.
Per altro è stato messo in evidenza come questo tipo di manufatti e quindi questa forma di comunica-
zione non fosse esclusiva assoluta dell’imperatore, ma potesse essere allargata anche alle più alte cariche
dello stato, che sovente – attraverso di essi – esaltavano le proprie ricorrenze, come accade, per esempio,
col piatto in argento di Ardabur Aspar, rinvenuto nei pressi di Albenga, databile verosimilmente al 434 5.
In ogni caso, se da un lato il linguaggio figurato adoperato, estremamente sorvegliato nelle sue valenze
simboliche, risulta assolutamente funzionale all’espressione del potere e in sostanza all’affermazione di
uno status sentito e vissuto come massimo, dall’altro lato lo scopo stesso di questi oggetti, limitati a un
ristretto gruppo sociale, è legato ai meccanismi di espressione e di garanzia del potere, “for they were the
currency of the gift system which manteined the hierarchy of Roman society” 6. Di fatto ci troviamo di
fronte a un linguaggio codificato attraverso cui il potere trova espressione mediante la connessione con
tutte le sfere dell’immaginario, che in questa epoca si trova ad implicare.
La definizione di questi due aspetti funziona da limite entro cui muovere per un’azione ermeneutica.
Ciò detto, naturalmente, questi limiti continuano a rimanere ampi, per giungere comunque a una dimo-
strazione stretta; in questo caso specifico, per altro, probabilmente ancora più ampi che in altri. Bisogna
dunque fare ricorso al contesto culturale, intendendo con ciò, non solo il milieu generale del periodo, ma
anche – per quanto è possibile fare – i temi privilegiati dell’arte e in senso più ampio di tutta la produzio-
ne intellettuale di corte.

4
Grazie ad alcuni nuovi ritrovamenti, si è tornati di al pubblico con particolare risalto in età successiva, in un
recente sul tema, mostrando il valore di rappresentanza vano importante dell’edificio, quali “glorie di famiglia”,
intrinseco a oggetti come questo – e anche di entità più proprio per la loro capacità connotante (Gualtieri 2001).
modesta -, quali, ad esempio, le cinque lamine bronzee con 5
Painter 1991.
ritratti imperiali e il busto di Roma, rinvenuti nella villa di 6
Painter 1991, 73; sulla rappresentazione del dono nel-
Ossaia, a Cortona (AR), che dovevano costituire i principa- l’iconografia tardoantica vd. Ploumis 1997; sul sistema
li elementi della decorazione di loculi, facenti parte di mis- dello scambio dei doni nel circuito dell’aristocrazia tar-
silia imperiali, ma significativamente riutilizzati ed esposti doantica vd. di recente Wood 2000.

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Fig. 2 - Particolare dell’immagine in esergo (da Kitzinger 1989).

Una volta operato in questa direzione, occorrerà mettere in evidenza le aporie delle eventuali varie
possibilità interpretative, per arrivare a scegliere quella che da un lato non mostra anomalie rispetto alla
cultura corrente (o ne mostra di non importanti), e dall’altro appare “economicamente” più vantaggiosa,
ossia implica un minor numero di ipotesi 7.
Con queste rapide premesse mi accingo all’esercizio, nella consapevolezza, che approderò non alla
lettura, ma a una lettura, spero la più verosimile possibile.

Come è ben noto, nell’esergo del piatto si trova una grande figura femminile, non in posizione cen-
trale, ritratta semisdraiata e col corpo celato solo nella metà inferiore da una veste. Regge una grande
cornucopia. Intorno ad essa sono raffigurate alcune grandi spighe di grano, mentre tre putti alati si leva-
no in volo, col viso rivolto alla raffigurazione del settore superiore, come se recassero in dono ai sovrani
frutti e fiori (Fig. 2).
Dopo una prima lettura come Abundantia, quasi tutti gli esegeti hanno concordato sul riconoscimen-
to della personificazione di Tellus, che attraverso la cornucopia e le enormi spighe rimanda alla Felicitas
Temporum, ossia alla prosperità e al benessere della terra sotto il governo – secondo l’interpretazione
corrente – di Teodosio 8. D’altra parte basta un rapido confronto con le rappresentazioni di Tellus note,
per ricevere conferma a questa lettura 9. A ciò, inoltre, come è stato recentemente ricordato, si associa l’e-
spressione dell’idea propagandistica del dominio universale, ossia dell’estensione a tutto l’ecumene del
governo dell’impero 10.
Al di là di differenze non fondamentali, comunque, ormai gli studiosi tendono a riconoscere nella
figura femminile la personificazione di Tellus, diffusa in tutta l’arte imperiale, come segno capace di
fondere in sé e trasmettere in maniera generica e sommaria una serie di motivi consueti della propaganda
imperiale, sovente ripetuti nei panegirici, che vanno dalla Felicitas Temporum, all’Abundantia, all’Ae-
ternitas alla vastità del potere del sovrano. Di recente si è voluto recuperare il riferimento iconografico
ad Abundantia, attraverso la presenza della cornucopia, incrociandolo con l’allusione a Tellus, data dalla
presenza delle spighe, per un significato in cui il ruolo di Abundantia tornerebbe a essere preminente
(“Abundance of the Earth”), così che “the image signifies the prosperity of the empire with the ruler or
rulers as the source of the riches and well-being of the people” 11. Al di là della discutibile correttezza ico-

7
Ginzburg 1994, 8. mentre per Ghisellini 1994, 888, il soggetto a partire dal-
8
Da ultimo, con rassegna delle interpretazioni, Blazquez l’età imperiale “in connessione con altre manifestazioni
2000, 255 s. cosmiche, manifesta l’estensione del potere imperiale”;
9
Ghisellini 1994; una vasta trattazione critica dell’im- cfr. Kiilerich 1993, 23 e Kiilerich 1996, 96; vd. anche per
magine di Tellus nell’ambito della produzione dell’arte l’uso del tema Mastino 1986, in particolare 125 ss. Musso
imperiale in Musso 1983, 53-64. 1983, 53 s., invece, preferisce vedervi in questo contesto
10
MacCormack 1995, 319, che attribuisce al IV secolo l’allusione ai Felicia Tempora.
l’introduzione di questo significato per la figura di Tellus, 11
Kiilerich 2000, 273.

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nografica della lettura 12, bisogna dire che nei fatti l’interpretazione rientra a pieno, anzi diventa quasi un
simbolo, delle letture generalmente proposte.
Nella sostanza, in effetti, vengono a intrecciarsi l’idea del dominio universale con quella della Felici-
tas Temporum, concepita per altro come un rinnovarsi ininterrotto e senza fine del benessere e della ric-
chezza, pensata prima di tutto come conseguenza di una vasta produttività agraria. Questi temi, ben noti,
si trovano al centro della propaganda imperiale con un’enfasi più o meno rafforzata per tutta la durata
dell’impero.
Ci troviamo, come succede spesso in questo tipo di studi, di fronte a una scena la cui lettura può esse-
re plurima, a causa sia della sua iterazione in contesti figurati diversi sia della sensibilità, dell’accortez-
za, dell’abitudine e in generale della cultura dello spettatore. La varietà di esegsi finora ricordata, tutte in
generale corrette, rientra però nel campo di quelle che E.H. Gombrich chiamava “significazioni”, ossia
le interpretazioni possibili e verosimili, che tuttavia non corrispondono necessariamente al significato,
ossia a ciò che, nel caso specifico, il committente intendeva fosse la figura femminile (Tellus, sicuramen-
te) con i tre putti 13.
Mi chiedo se sia possibile definire in maniera specifica il significato di questa scena, pur rimanendo –
è ovvio – nell’ambito del discorso generale della propaganda imperiale fin qui individuato. L’elemento
chiave, a mio avviso, è dato dalla presenza dei tre putti alati, che volteggiano intorno alla figura femmi-
nile, sui quali la critica o tende a sorvolare, oppure assegna interpretazioni particolarmente, ossia troppo,
elaborate.
Non a caso è proprio il numero dei putti alati l’elemento che non torna a confronto con le consuete
rappresentazioni di Tellus. In generale, infatti, quando utilizzati come karpoi, ossia come le personifica-
zioni dei frutti della Terra, i putti sono di norma in numero di uno o di due. Altrimenti, nella grande mag-
gioranza dei casi, i putti sono quattro, rappresentando spesso, ma non necessariamente, il ciclo delle Sta-
gioni 14. In quest’ultimo caso si distinguono generalmente per attributi specifici, che consentono di
riconoscere le singole Stagioni e di renderne così certa la lettura, secondo per altro un uso assai diffuso in
tutta l’arte romana 15.
Questo tipo di attestazione è talmente consueto, che ha portato a interpretare in questa maniera anche
l’immagine dell’esergo del missorium, inducendo a spiegare la forte anomalia della presenza di tre sole
Stagioni col fatto che “siamo nell’età dell’oro e l’inverno, solitamente rappresentato con addosso i vesti-
ti, è stato omesso” 16. L’ipotesi, ovviamente, è da respingere, dal momento che ogni volta che su un
monumento ufficiale si usano le Stagioni ci si riferisce idealmente all’età dell’oro, ma non per questo si
censura l’Inverno. Per altro il tema dell’Aeternitas, ossia del rinnovarsi perpetuo del tempo, è legato per
sua natura al ciclo stagionale completo. Anche accettando in via teorica tale interpretazione, essa non
sarebbe stata assolutamente compresa dagli stessi spettatori antichi, dal momento che il rinvio al ciclo
stagionale è sempre condotto attraverso il numero di quattro personaggi o quattro soggetti.
Rimane svincolata da ogni contesto culturale anche la lettura dei tre putti come espressione del Gau-
dium Publicum 17, che in un certo modo può ascriversi alle esegesi, che tendono a considerare i putti
meramente accessori o comunque elementi che, al pari delle spighe, servono al rafforzamento dell’e-
spressione di prosperità e di abbondanza, nonché tramite il loro gesto a porre enfasi sull’omaggio all’im-
peratore.
Tra le interpretazioni che cercano di leggere i tre putti in esergo insieme a quelli posti a decorazione
del frontone della struttura architettonica che inquadra le figure imperiali, si distingue quella di B. Kiile-
rich, che vorrebbe riconoscervi le cinque diocesi componenti le la parte orientale dell’impero, ossia
Oriens, Aegyptus, Asiana, Pontica, Thrakia 18. Ma nulla, in verità, consente di mettere in comunicazione
e anzi di sommare elementi dei due settori del piatto, così nettamente separati.

Se proprio nel numero di questi putti consiste l’elemento che distingue sostanzialmente questa scena
da quelle comunemente rappresentate è proprio su di esso che bisogna interrogarsi.
Nell’ambito dell’arte pubblica allo stato attuale l’immagine di Tellus accompagnata da tre soli putti
costituisce – a mia conoscenza – un unicum iconografico. Credo, tuttavia, che sarà possibile dimostrare
come l’unicità iconografica non corrisponda in questo caso a un isolamento nell’ambito del contesto cul-
turale più ampio, ma trovi rispondenza chiara in altri settori della produzione intellettuale e in generale

12
La cornucopia è l’attributo più comune per la rappre- 17
Arce 1976, 130 ss., che comunque tende a non consi-
sentazione di Tellus; vd. Ghisellini 1994, 887 s. derare particolarmente rilevante la presenza dei tre putti,
13
Gombrich 1978, 21 ss. uniformandosi in questo all’andamento generale delle
14
Ghisellini 1994. interpretazioni. In questo senso vd. anche K.J. Shelton, in
15
Per il tema, assai noto, vd. Hanfmann 1951, Parrish Weitzmann 1979, n°.64, 74-76.
1984 e da ultimo Canuti 1994; per il rapporto tra la figura 18
Kiilerich 1993, 24 con ampia rassegna delle altre inter-
di Tellus e il ciclo delle Stagioni, vd. Musso 1983, 55 ss. pretazioni.
16
MacCormack 1995, 319.

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delle conoscenze comuni per lo meno alla classe dirigente.


Esiste, invece, un piccolo gruppo di sarcofagi databili tra il III e il IV sec. d.C., in cui appare, a volte,
la figura di Tellus accompagnata da tre putti. In questi casi Tellus, contrapposta ad Oceano o a Teti, non
svolge un ruolo principale, assegnato invece a episodi del mito direttamente collegati al mondo funera-
rio, quali Endimione, Fetonte, Prometeo 19. Come è stato bene osservato, in simili contesti Tellus “può
rappresentare un elemento all’interno di un sistema cosmico: le personificazioni delle forze naturali del
Cielo, della Terra, delle Acque concorrono a formare un’intelaiatura a carattere universale e, pur non
partecipando direttamente all’azione mitica, costituiscono la cornice entro cui essa appropriatamente
può svolgersi” 20. In altre parole l’immagine di Tellus svincolata da un contesto di propaganda imperiale
torna ad acquistare il suo significato primario, ossia quello di personificazione della superficie terrestre,
dell’estensione del mondo, in concomitanza con la figura di Oceano che sovente l’accompagna. D’altra
parte non bisogna dimenticare che questa stessa idea è poi la base su cui vengono a sommarsi i diversi,
possiamo dire più ampi, significati, che diventano elemento corrente nella retorica di glorificazione del
sovrano.
Un’altra attestazione, difficile dire se pubblica o privata data la sua natura, ma senza dubbio legata a
un personaggio di rango assai elevato, consiste in un frammento di un tessuto rinvenuto ad Antinoë, in
Egitto, datato comunemente tra il III e il IV secolo 21. Si compone di un medaglione circolare in sé con-
cluso. Al centro di una fitta trama, che rappresenta un rigoglio ricchissimo di una vegetazione lussureg-
giante popolata di vari animali, è rappresentata una figura femminile, che regge un manto colmo di frut-
ti. Senza troppe spiegazioni viene riconosciuta per lo più come Autunno, per quanto si ammetta che
potrebbe trattarsi anche di Tellus. È accompagnata da tre figure di dimensioni decisamente inferiori.
Quella immediatamente al suo fianco le reca in dono una coppia di uccelli tenuti su un manto, che le
fascia le mani. Le altre, invece, reggono un falcetto e un tralcio di vite. La mancanza assoluta di ogni
contesto, tuttavia, che consentirebbe di definire meglio quest’ultima immagine, la rende di poca utilità al
fine della comprensione di quella dell’esergo del missorium di Teodosio. Le caratteristiche iconografi-
che, tuttavia, sembrano sufficienti per escludere ogni interpretazione che abbia a che fare con le Stagio-
ni.
Per cercare di comprendere meglio il senso dell’esergo conviene forse ripartire, anche in questa
espressione dell’arte ufficiale, dal nucleo semantico essenziale della personificazione, quello di Tellus,
appunto, senza aggiungere nessuno degli aggettivi e, per così dire, del surplus semantico adottato in
molta della retorica imperiale. Si tratta, in altre parole, di capire se esiste nella cultura dell’epoca – alme-
no in quella alta – un possibile legame tra la presenza dei tre putti, proprio in quanto tre, e l’idea stessa di
Tellus.
La connessione, in verità, appare quasi banale nel suo carattere immediato, ma non si possono non
riportare alla mente le parole di Orosio, che scrive non molti anni dopo rispetto la consueta datazione del
missorium, ossia durante l’impero di Teodosio II: “Maiores nostri orbem totius terrae, oceani limbo cir-
cumsaeptum, triquadrum statuere eiusque tres partes Asiam Europam et Africam vocaverunt…” 22.
Appare possibile pensare, dunque, senza troppe mediazioni, che i tre putti che accompagnano la figura di
Tellus e che recano omaggio al sovrano non siano altro che la personificazione delle tre regioni in cui la
totalità dell’ecumene è diviso.
Il passo in questione, per altro, ne richiama assai da vicino un altro ben noto di Plinio il Vecchio:
“Terrarum orbis universus in tres partes, Europam, Asiam, Africam…” 23. Per quanto dal punto di vista
degli studi geografici la divisione in tre parti venne superata presto dalla scienza greca, essa risultò assai
funzionale, invece, alle esigenze ideologiche di rappresentazione dell’impero romano, come esteso su
tutto l’universo. Non è un caso, infatti, se proprio con la politica augustea venne recuperata questa tradi-
zione e fortemente valorizzata in termini propagandistici 24.
L’esempio più eclatante è rappresentato dalla porticus Vipsania, che costituisce la forgiatura monu-
mentale e insieme l’inizio stesso di questo che diverrà un topos assai diffuso della retorica imperiale. La
grande porticus, iniziata dalla sorella di Agrippa e completata da Augusto, conteneva la rappresentazio-

19
Per questo gruppo di sarcofagi con relativa bibliogra- tuttavia, nella sua opera si attiene rigorosamente alla
fia vd. Musso 1983, 61 s. divisione in tre parti. Per la geografia di Orosio vd. Jan-
20
Musso 1983, 61. vier 1982.
21
In Weitzmann 1979, 179-180, n°.158. 23
Plin., N.H. III, 3.
22
Or., Hist., I, 2, I, “Gli antichi ritennero che la massa 24
Per l’ampia diffusione nel mondo romano a partire
della terra, circondata dalla fascia dell’Oceano, fosse dall’età imperiale delle concezioni spaziali – e quindi delle
composta di tre quadrati, e chiamarono queste parti Asia, conseguenti rappresentazioni cartografiche – che avessero
Europa ed Africa” (trad. A. Bartalucci). Continuando il al proprio centro Roma, nate dal recupero e dalla trasfor-
passo, Orosio spiega che esiste anche un’altra tradizione, mazione di una concezione ormai arcaica e non più utiliz-
per cui la terra sarebbe divisa solo in due parti, dovendo zata dalla scienza greca, ossia quella della terra tripartita,
considerare l’Africa e l’Europa una sola regione. Egli, vd. Arnaud 1987, 187 ss.

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ne dipinta dell’ecumene, come ricorda Plinio 25 e di conseguenza dell’estensione dilatata e resa con enfa-
si del territorio dell’impero.
Recentemente è stato proposto in maniera convincente, che la grande raffigurazione dovesse svolger-
si sui tre bracci del portico 26. Ci troveremmo, pertanto, di fronte a una rappresentazione della terra
desunta da una particolare – e ormai superata - tradizione greca, che considerava l’orbe tripartito, in fun-
zione della necessità ideologica di far apparire l’impero romano esteso tanto quanto la terra conosciuta e
Roma al centro del tutto: “La carte d’Agrippa devait être une illustration majeure de cette géographie
nouvelle conçue en marge de la science grecque pour mieux servir les desseins de la politique impériale
romaine” 27. Per altro, se è corretta l’ubicazione proposta per la porticus Vipsania da F. Coarelli a fianco
del Catabulum, ossia della sede del cursus publicum, il significato propagandistico del monumento
diviene ancora più forte ed esplicito, dal momento che l’impero avrebbe provvisto col suo sistema viario
e di corrieri la saldatura e l’unificazione di tutto l’orbe in una rete tenace 28.
In sostanza con Augusto (e Agrippa), e in maniera monumentale proprio attraverso l’apparato deco-
rativo della porticus Vipsania, si recupera e si trasforma in funzione ideologica una cosmografia che,
dividendo il mondo in tre parti, non solo consente di considerare Roma il centro dell’ecumene, ma anche
di spostare ai margini della rappresentazione le terre non (ancora) conquistate 29. Questa visione, per
altro, può essere adottata e modificata, perché il punto di partenza, il riferimento vero non è il cosmo
come nella scienza greca (almeno in tanta di essa), bensì la terra abitata 30.
D’altra parte è proprio utilizzando tale concezione, che Lucano produce un’immagine della diviniz-
zazione di Nerone, come Kosmokrator, che lo pone al centro del mondo, ossia sulla verticale celeste di
Roma, centro della superficie terrestre 31. Ben presto, e l’esempio di Nerone lo conferma, l’idea diviene
elemento integrante del modo non solo di propagandare l’immagine dell’impero, ma anche di pensare
l’impero stesso. Appartiene a questo nucleo dell’ideologia imperiale anche il costume, già in uso nella
tarda repubblica, come mostra il terzo trionfo di Pompeo, ma anche il funus triumphale di Augusto, di
utilizzare le immagini delle personificazioni delle nationes sottomesse per esprimere la vastità dello sta-
to e la sua potenza 32. Non è un caso, quindi, se la stessa opera di Orosio assume come modello fonda-
mentale per la concezione della rappresentazione dell’ecumene quella elaborata nel monumento di
Agrippa 33. Alla stessa maniera, tuttavia, non poche altre simili operette tardoantiche utilizzano il medesi-
mo modello 34.
Per tornare all’immagine nell’esergo del missorium, infine, dato il carattere certo della personifica-
zione di Tellus, il numero dei putti alati e la diffusione nella mentalità romana (e nella propaganda impe-
riale) della concezione tripartita dell’ecumene farebbero pensare che i tre putti portatori di doni non fos-
sero altro che l’esplicitazione delle grandi regioni che formano l’universo terrestre. In questa maniera,
quindi, anche i putti vengono compresi in quell’ottica di attenta progettazione e di discorso simbolico
serrato, che sottende a tutti gli elementi di quest’opera, da cui erano rimasti sostanzialmente esclusi. La
loro presenza, così, riconquista quel significato pieno, che doveva in effetti avere nell’ambito di un dis-
corso figurato, in cui nulla è privo di funzione semantica.
In sostanza, prima di qualunque altro discorso, il significato della scena è quello dell’estensione uni-
versale dell’impero; il dominio del sovrano è così vasto e benigno, che le tutte e tre le regioni dell’uni-
verso - Europa, Africa ed Asia - recano grate segni di omaggio all’imperatore. Su questo significato,
ossia su questo che è l’intento primario del committente, si possono giocare come conseguenza gli altri
temi comuni nella propaganda, che ruotano usualmente del resto intorno all’immagine di Tellus, quali,
appunto, quello dell’Abundantia o della Felicitas Temporum, richiamati dalle grandi spighe, che riem-
piono lo spazio intorno alla figura femminile. Resta, tuttavia, in primo luogo il tema dell’universalità del
potere imperiale, topos che – come abbiamo visto – trova inizio con la nascita stessa dell’impero. Del
resto basta leggere i capp. 26-33 delle Res Gestae, per vedere come la rassegna delle imprese militari (e
diplomatiche) di Augusto, naturalmente espresse in maniera enfatica, costituisca sostanzialmente il pro-
clama dell’impero universale. In conclusione, non stupisce che un concetto così importante nell’ideolo-
gia imperiale, e che percorre, apparendo con frequenza, tutta la vita dell’impero stesso, venga rappresen-
tato in maniera specifica e ben definita in un prodotto dell’arte ufficiale, dal forte valore propagandistico,
quale appunto il missorium di Teodosio.

25
Plin., N. H., 3, 17; per la porticus vd. F. Coarelli in che non a caso sostiene che “Lucain semble donc se faire
LTUR IV, 1999, 151-153. l’écho moins de la science grecque que de documents, de
26
Trousset 1993. convictions et de centres d’intérêts propres au Haut-Empi-
27
Trousset 1993, 141 s. re romain”.
28
Per il Catabulum vd. F. Coarelli in LTUR I, 1993, 32
Vd. ora Torelli 1999, 400 s.
256. 33
Janvier 1982, 200; Trousset 1983, 148 s.;
29
Trousset 1993, 148. 34
Trousset 1993, 150 ss.; vd. in generale per la questione
30
Arnaud 1987, 184 s. Molè 1985, 695 ss., che propone una lettura dell’ “Exposi-
31
Luc., Ph., I 46-66; vd. il commento in Arnaud 1987, tio totius mundi et gentium”; cfr. Arnaud 1987, 181 ss.

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IL MISSORIUM DI TEODOSIO: TRA ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

3. Il linguaggio formale e la cronologia del missorium di Teodosio


Ammesso che sia giusta la lettura proposta dell’immagine in esergo, appare chiaro che l’interpreta-
zione non viene messa in crisi dal linguaggio formale adottato, né tantomeno da una eventuale variazio-
ne della cronologia del piatto. Quale tema della propaganda imperiale così formulato, infatti, esso rima-
ne valido e in uso sia che – nel caso specifico – l’oggetto venga datato all’epoca di Teodosio I, sia che lo
si assegni all’età di Teodosio II. Ciononostante, occupandomi del manufatto, non ho potuto non cogliere
alcune anomalie anche nel linguaggio formale, non sempre considerate con la dovuta attenzione, che in
qualche maniera penso possano essere utili al dibattito recentemente riaperto e tuttora in corso 35. Sareb-
be limitante, tuttavia, e probabilmente fuorviante, a mio avviso, vedere l’argomento principale della que-
stione nella cronologia del missorium, mentre apparirebbe più importante per la questione generale por-
re al centro del problema l’idea del cosiddetto classicismo teodosiano, ovvero – ancora meglio - del
contesto artistico in cui l’oggetto deve trovare posto. Per altro, proprio questa polemica offre spunti inte-
ressanti per riflettere sui modi di utilizzo e sulle capacità del linguaggio artistico di fornire elementi per
la cronologia di un manufatto, in rapporto anche ai dati storici. Soprattutto per questo motivo sono stato
indotto a prendere parte al dibattito, in particolare per valutare dall’esterno i termini di una polemica, che
riveste ormai questioni di metodo fondamentali.

Prima di cominciare occorre ricordare che come è accaduto a molti degli oggetti – o dei monumenti –
eclatanti del mondo antico, anche al missorium di Teodosio è successo di entrare negli studi sulla scorta
di una tradizione antiquaria mai effettivamente discussa, così da trasformarsi in una sorta di luogo comu-
ne, e come tale autorevole, per quanto priva di una vera e propria riflessione critica. La forza delle tradi-
zioni è proprio quella di non avere necessità di dimostrazione, nel senso che le valutazioni che le com-
pongono appaiono giuste di per se stesse, senza necessità di essere dimostrate, in quanto sancite da una
lunga esistenza (e spesso da una ancor più lunga sequenza di adesioni). Infatti il peso di alcune afferma-
zioni e convinzioni tradizionali sta sostanzialmente nell’intensità della loro iterazione. Di conseguenza
accade che la prima risposta critica a uno studio, come quello di J. Meischner 36, che si interroghi sulla
validità della tradizione, sia proprio quella di ricordare come la formulazione di una nuova ipotesi “pone
en duda y cuestiona una larguísima y prestigiosísima tradición de investigadores...” 37. In sostanza la
messa in crisi di una tradizione sarebbe già di per se stessa un atto che tende all’errore. Al contrario, evi-
dentemente, pare meno grave un errore sancito e quindi perpetuato dall’autorità della tradizione. È
importante però, a questo punto, riassumere sinteticamente gli argomenti delle due posizioni.
Dopo il primo studio di J. Arce, condotto soprattutto dal punto di vista dei dati storico-epigrafici, su
alcuni aspetti notevoli dell’oggetto, la situazione appariva normalizzata, con l’assegnazione del piatto al
388, ovverossia all’anno dei Decennali di Teodosio I 38. Secondo tale lettura, pertanto, comparivano sul
piatto oltre a Teodosio, naturalmente, in posizione centrale e di dimensioni maggiori rispetto agli altri
due regnanti, che lo affiancano, Valentiniano II alla sinistra dell’osservatore e Arcadio, sul lato opposto,
via via più piccoli 39. Nel personaggio di dimensioni ancora inferiori che, mani velate, riceve un rotulus
dall’imperatore, sarebbe da individuare un funzionario appena nominato, occasione stessa della fabbri-
cazione del piatto. Il recupero dell’oggetto nei pressi di Augusta Hemerita ha fatto pensare che si trattas-
se, precisamente, della nomina del vicarius Hispaniarum, che aveva sede proprio in quella città.
È stato notato che l’espressione della gerarchia dei sovrani rappresentata nel piatto, così come solita-
mente interpretato, non corrisponde alla gerarchia effettiva, dal momento che non Teodosio, bensì
Valentiniano II, era l’Augusto più anziano 40. Si interpreta, tuttavia, con eccessiva facilità questa scelta
figurativa come il frutto della volontà di Teodosio di esprimere la propria supremazia di fatto nel gover-
no dell’impero, riconosciuta, pertanto, anche da Valentiniano II, che avrebbe acconsentito ad apparire in
secondo piano rispetto all’imperatore più giovane, legittimandone di conseguenza la superiorità.
Questa lettura, frutto della discussione della tradizione antiquaria, che inizialmente aveva conosciuto
anche posizioni differenti 41, non tiene in alcuna considerazione la questione del linguaggio artistico
adottato, ossia dell’aspetto formale della decorazione del piatto, assolutamente ininfluente, pertanto, nel-
la costruzione di tale interpretazione.
Solo alcuni anni fa, un’attenta analisi delle forme e dei modi del linguaggio utilizzato per la rappre-
sentazione figurata ha dubitato della correttezza delle convinzioni acquisite, dal momento che sembrava
più opportuno, alla luce delle osservazioni formulate, considerare il missorium una produzione occiden-
tale dell’età di Teodosio II, piuttosto che una produzione orientale riferita all’ambito di corte di Teodosio
I 42. L’argomentazione di fondo di questa interpretazione traeva origine, quindi, dall’analisi del solo

35
Vd. n.3. 1993, 19-26.
36
Meischner 1996. 40
Arce 1998, 172.
37
Arce 1998, 169. 41
Blázquez 2000, 253 ss.
38
Arce 1976. 42
Meischner 1996; vd. anche Meischner 2000. L’unica
39
Per una puntuale sintesi delle considerazioni comuni voce di assenso rispetto a questa nuova lettura è finora, e
alla tradizione vd. Arce 1998, 172 ss; vd. anche Kiilerich per quanto mi risulta, Blázquez 2000.

525
GIAN LUCA GRASSIGLI

aspetto che la tradizione aveva pressoché totalmente trascurato.


Ai problemi posti dalla sua nuova analisi J. Meischner proponeva una risposta, individuando durante
il regno di Teodosio II un momento specifico, che giustificasse insieme il decennale dell’imperatore e la
presenza di due augusti, e quindi corrispondesse all’occasione del piatto.
L’Autrice cercava, in sostanza, la definizione di un nuovo contesto storico, che potesse dar ragione
simultaneamente e in modo coerente di tutte le differenti indicazioni emerse dall’analisi dei diversi com-
ponenti il piatto stesso. Contando sul fatto che, soprattutto in età tarda, molto spesso le ricorrenze delle
vicende imperiali corrispondevano più a particolari esigenze politiche, che non a un calcolo esatto della
ascesa al trono, individuava nel 421 l’anno di esecuzione del piatto, o comunque dell’avvenimento rap-
presentato nel piatto. In quell’anno, infatti, Teodosio II, mentre accettava la nomina ad Augusto di Valen-
tiniano III, ancora infante, si trovava a governare insieme a Onorio. In questa stessa occasione Teodosio
II accettava, poiché postuma, la nomina ad Augusto di Costanzo III, padre dello stesso Valentiniano,
nonché marito di Galla Placidia, sorella di Onorio. Proprio Galla Placidia, che inizia la serie delle abilis-
sime governanti della famiglia teodosiana, sarebbe stata la regista occulta di tale sviluppo di strategie per
la successione, e quindi anche, in qualche modo, l’ispiratrice del piatto. Nella scena tradizionalmente
interpretata come la nomina di un funzionario, infatti, si sarebbe dovuto leggere la proclamazione postu-
ma ad Augusto di suo marito 43.
Anche secondo questa interpretazione, esattamente come per quella tradizionale, la disposizione e le
proporzioni delle figure dei sovrani non corrispondono alla situazione ufficiale, dal momento che Ono-
rio era l’imperatore più anziano, ma ancora una volta si sarebbe proceduto secondo termini propagandi-
stici, per affermare la predominanza dell’imperatore orientale, per quanto più giovane.

La lettura proposta da J. Meischner, naturalmente, ha fatto riaprire la discussione. Come non di rado
accade, tuttavia, nelle situazioni in cui esiste un’importante tradizione, la polemica spesso verte a favore
o contro di essa, come se fossero possibili solo posizioni assolute, e non occorresse magari, invece,
riflettere sul dato eventualmente scontato della prima e sul carattere innovativo della seconda. In partico-
lare, nel caso della critica al discorso prodotto da J. Meischner, non si è distinto tra analisi e soluzione
proposta, come se il respingere, anche correttamente, la soluzione al problema aperto dalla nuova anali-
si, eliminasse di per sé anche il problema, che invece, come è logico, rimane. Per cancellarlo, se mai,
occorrerebbe dimostrare il carattere erroneo dell’analisi e non della soluzione.
In particolare J. Arce, che si è a più riprese occupato della questione, se da un lato ha respinto con
argomenti storici precisi e puntuali la nuova soluzione, dall’altro non ha potuto dimostrare l’infondatez-
za dell’analisi se non – e qui si apre un problema sostanziale – negando valore storico in sé agli argo-
menti connessi alla storia delle forme e del linguaggio artistico 44. Proprio per questo è importante soffer-
marsi sulle sue considerazioni.
È vero naturalmente, come sostiene, che la questione del missorium non può essere ridotta esclusiva-
mente a un problema artistico; tuttavia fanno pensare le considerazioni conseguenti a questo assunto:
“los criterios estilísticos y los paralelismos formales resultan en el fondo inasequibles y aleatorios” 45, il
che, in un certo modo, equivale a negare l’esistenza della possibilità di una storia dell’arte, o per lo meno
di una storia delle forme, essendo questa legata sostanzialmente all’inclinazione del singolo studioso. Ne
deriva, naturalmente, che “los contextos históricos son de mayor credibilidad, precisamente porque
explican motivos y causas, porque dan razón a la explicación de la emergencia de un lenguaje y no de
otro” 46. I dati “storici”, che in questo caso consistono nel documento epigrafico, nonché le testimonianze
delle fonti assumono pertanto un valore in sé superiore a quello dei fenomeni legati all’espressione arti-
stica. Tutto ciò è come dire che, dato il quadro storico principale, a cui la materia artistica non appartiene
a pieno titolo (in quanto troppo dipendente dalla sensibilità dei singoli studiosi), le interpretazioni della
cultura artistica sono valide solo se confermano il quadro storico già definito a parte dagli storici, ma non
sono in grado di dialogare criticamente con esso. Per cui la validità e la correttezza dell’interpretazione
formulata da uno storico dell’arte (o meglio fondata su un’analisi storico-artistica) sono date dalla loro
coerenza col quadro storico già delineato prescindendo da essa: se l’analisi storico-artistica conferma il
quadro storico delineato è corretta, altrimenti risulta frutto dell’inclinazione arbitraria di uno studioso.
Ma l’arte, le idee che trasmette, il linguaggio che sceglie e produce, le istanze che comunica, i mec-
canismi sociali ed economici che mobilita, non appartengono essi stessi al contesto storico? Non hanno
anche loro un proprio ruolo autonomo nella definizione del quadro storico generale? In più occorre con-
siderare che i dati storico-epigrafici non sono sempre necessariamente inequivocabili. Basta pensare, ad
esempio, a come si passi in secondo piano, anzi non si consideri affatto, il problema suscitato dall’inter-
pretazione di J. Arce delle tre figure imperiali. L’inversione di posto nella gerarchia, ossia l’identifica-

43
Vd. Meischner 2000. 45
Arce 2000, 283, ma anche Arce 1998, 171.
44
Arce 1998 e Arce 2000. 46
Arce 2000, 283, ma anche Arce 1998, 171.

526
IL MISSORIUM DI TEODOSIO: TRA ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

zione di Teodosio I nella figura centrale, anziché di Valentiniano II, e quindi del rilievo maggiore asse-
gnato all’Augusto più giovane, risulta assai dubbia, per non dire improbabile, nell’ambito di un linguag-
gio simbolico così fortemente codificato e attento ai particolari, corrispondente del resto a una cultura
che fa dell’aspetto cerimoniale – e quindi della messa in scena rigidamente pianificata dell’assetto socia-
le – un elemento fondante. Questo punto, pertanto, assume una forza probante così vaga da essere per lo
meno equivalente, nell’ottica di J. Arce, alle dimostrazioni basate su elementi storico-artistici. Voglio
dire che anche l’ottica “storica” mostra aspetti assai meno oggettivi e di per se stessi evidenti di quel che
non si pensi normalmente, ma che vengono – almeno in questo caso – del tutto trascurati.
Per questo motivo, di fronte alla proposta di J. Meischner, mi sarei aspettato certo un’opera di verifi-
ca critica del suo lavoro, ma anche la considerazione almeno della possibilità della correttezza della sua
analisi storico artistica, la quale viene ad assumere – se esatta – un’importanza decisiva per la ridefini-
zione del profilo storico dei periodi considerati. Un po’ banalizzando, infatti, si può dire che se il lin-
guaggio formale usato per la decorazione figurata del piatto è esclusivo dell’età di Teodosio II, occorre
che anche gli storici partecipino al tentativo di vedere il piatto inserito in questo nuovo contesto, mentre
se tale linguaggio è possibile anche durante il regno di Teodosio I, occorre riconsiderare profondamente
la visione generale che si ha dell’arte ufficiale di questo periodo.
Nello stesso tempo occorre riconoscere anche una parte di ragione a J. Arce nel momento in cui
denuncia la soggettività delle valutazioni artistiche. Come vedremo successivamente, intorno al piatto di
Teodosio si sono svolte analisi certamente contraddittorie, che se da un lato dipendono dalla mancanza
di chiarezza del contesto artistico di questa fase, dall’altro sono proprio la conseguenza del condiziona-
mento sulle letture dello sforzo dei vari esegeti di aderire comunque alle posizioni tradizionali.
La pretesa univocità di interpretazione e attribuzione, infatti, che dovrebbe costituire essa stessa un
fattore di convalida dell’interpretazione tradizionale, stando almeno al discorso di J. Arce, dipende più
dalla forza della tradizione stessa, che inserisce l’oggetto in quella lista di pezzi di fatto non discutibili,
che non da una effettiva omogeneità di posizione delle analisi, che la costituiscono.
Ne fornisce un esempio importante, tra gli altri, non solo per autorevolezza, ma anche per il suo carat-
tere di estraneità totale a questa polemica, la considerazione di G.A. Mansuelli, che non mette in crisi l’at-
tribuzione tradizionale, pur sottolineando, rispetto al riferimento più sicuro per l’arte ufficiale teodosiana,
ossia la base dell’obelisco dell’Ippodromo di Costantinopoli, come il missorium sia “troppo compassato
e «formale» per fare testo, molto diverso dai rilievi dell’Ippodromo” 47. Risulta, dunque, ben chiaro come
possa crearsi e insieme implementarsi, rafforzandosi, una tradizione e nello stesso tempo come a una con-
divisa e generalizzata assegnazione cronologica possano poi corrispondere, in verità, analisi molto diver-
se. Così l’attenzione e la sensibilità per la forma artistica conduce G. A. Mansuelli a rilevare una frattura
netta tra il missorium e l’arte ufficiale, a cui di fatto lo si assegna; netta al punto – voglio sottolinearlo – da
renderlo superfluo alla ricostruzione del contesto artistico, in quanto inadatto “a fare testo”. Però, anziché
far funzionare tale frattura in senso critico, la si sottrae al discorso storico, assegnandola – senza di fatto
spiegarla – alla questione dello stesso sviluppo delle forme, tramite l’uso di due aggettivi, quelli sì indefi-
niti, quali compassato e formale, di cui il secondo tra virgolette, che hanno il solo compito di evitare il cor-
to circuito critico, che verrebbe di conseguenza. Tutto ciò per dire che l’uniformità di giudizio, che sembra
emergere da una tradizione, in verità può nascondere un’ampia varietà di analisi differenti.
Sia pur in maniera più superficiale una sorta di discrasia viene colta nell’esame delle forme anche da
S.G. MacCormack, che vede nel piatto una serie di elementi legati al passato ed altri che, invece, antici-
pano il linguaggio bizantino. Ma ciò che più conta per il prosieguo della nostra analisi è la considerazio-
ne intorno al “che di incorporeo”, che caratterizza le figure del missorium, dovuto alla impossibilità di
rappresentare in termini pienamente realistici l’essenza della maestà imperiale 48.
Se nel caso di G.A. Mansuelli ci si limita, per così dire, a non trarre conseguenze dall’emersione di un
problema critico, in altre situazioni è l’analisi stessa a risultare viziata dalla volontà di aderire o di dimo-
strare la correttezza della tradizione. Vediamo così che E. Kitzinger da un lato è costretto a mettere in
evidenza il fatto che per il missorium “non c’è diretta continuità con la lanx [di Corbridge] o con qualsia-
si altra opera dei decenni precedenti a noi nota” 49, isolando quindi il prodotto rispetto a tutti gli altri
manufatti dello stesso tipo, non solo precedenti, ma anche contemporanei o di poco successivi, quali ad
esempio la patera di Parabiago. In altre parole viene colta, anche in questo caso, una differenza sostan-
ziale rispetto alla produzione coeva. Dall’altro lato, però, tale differenza viene estesa – a mio avviso arti-
ficialmente – a tutta l’arte teodosiana, o meglio a quel poco dell’arte teodosiana, che conosciamo. È a
questo punto, che si è costretti a compiere un errore perfino banale nella lettura formale, sostenendo che
“in essi [ossia nei rilievi della base dell’obelisco di Teodosio e nel missorium] troviamo il medesimo
dualismo stilistico: simmetria e ordine geometrico sono uniti a un modellato attento, morbido, a un’ac-
curata elaborazione del dettaglio” 50. Curiosamente è proprio il contrario di ciò che, invece, riconosce

47
Mansuelli 1988, 109. 49
Kitzinger 1989, 39.
48
MacCormack 1995, 314. 50
Kitzinger 1989, 40.

527
GIAN LUCA GRASSIGLI

Fig. 3 - Patera da Parabiago Fig. 4 - Piatto del Tesoro di Mildenhall


(da Musso 1983). (da Kitzinger 1989).

S.G. MacCormack nelle figure del piatto, caratterizzate da incorporeità. In effetti, come vedremo meglio
dopo, se c’è una caratteristica di cui la decorazione del piatto di Teodosio, a differenza dei rilievi della
base dell’obelisco 51, si trova assolutamente privo, è proprio l’adozione del modellato assunto come mez-
zo espressivo. Anzi, in verità, nel missorium questo intento plastico manca completamente. Ma appare
ancora più interessante la posizione di B. Kiilerich, che per cercare di unire il linguaggio del missorium a
quello dei rilievi della base dell’obelisco, capovolge di fatto la lettura sopra citata. Al di là della forte
simmetria e della cura dei particolari, egli così legge le figure del piatto: “The shallow relief is worked in
a graphic, linear style with more resemblance to painting than to relief. There is little depth, the relief
being flattened into little more than two planes. [...] The bodies are flat, almost without volume, but the
forms may be discerned by draperies...” 52. Siamo quindi ben lontani dal senso del modellato individuato
da E. Kitzinger. Per altro, pur con una serie di distinguo in relazione ai lati della base dell’obelisco, B.
Kiilerich riconosce tale piattezza come un elemento delle figure imperiali anche di quest’ultimo monu-
mento.
Basterebbero, credo, questi esempi per mettere in evidenza i problemi di una tradizione, la cui univo-
cità è più apparente che reale, senza considerare il problema critico generale, visto, ma assolutamente
eluso, da E. Kitzinger, di un’arte che appare slegata completamente dalle esperienze che la precedono.
Per quanto il discorso di J. Meischner si sviluppi soprattutto sulla base dei confronti con i dittici ebur-
nei e con opere scultoree riferibili direttamente alla corte imperiale, giustificati in parte da una tematica
ufficiale, la mia analisi prende origine dalla coeva produzione di piatti argentei. In effetti, come cercherò
di mostrare, un semplice discorso di analisi formale, che ponga il piatto in relazione prima di tutto con i
grandi argenti coevi e poi con la produzione di dittici eburnei di IV e V secolo, mette in evidenza in
maniera chiara vicinanze e dissonanze. Ci si muove, è bene ricordarlo, nell’ambito di un panorama arti-
stico ancora non ben definito dai critici moderni, che, in alcuni casi, proprio per provare a uscire da tale
impasse hanno cercato di superare una ricostruzione storica basata su problemi di storia della forma e del
linguaggio artistico, ponendo l’attenzione decisiva sulle questioni relative al rapporto tra temi e schemi
figurati o i meccanismi di committenza 53.
Voglio sottolineare ancora una volta come il mio intento non sia quello di assegnare il missorium alla
prima metà del V secolo piuttosto che alla seconda metà di quello precedente, compito che lascerei,
eventualmente, più volentieri agli storici; mi preme, piuttosto, segnalare come, sulla base delle cono-
scenze attuali, tale opera debba essere considerata una assoluta eccezione rispetto alla produzione degli
anni di Teodosio I.
Se si osservano il piatto con satiro e menade dal Tesoro di Mildenhall, la scena centrale di Achille a
Sciro su un piatto da Kaiseraugst, la patera con vari soggetti religiosi e cosmogonici da Parabiago, non-
ché la lanx di Corbridge, tutti disposti su un arco cronologico che dalla metà del IV secolo si snoda fino

51
Per il monumento vd. ora Kiilerich 1998, con bibl. prec. ni di studio dell’arte tardoantica e la ricerca di una nuova
52
Kiilerich 1993, 71. impostazione, che tratti, giustamente, in maniera unitaria
53
Vd. Elsner 1998, per un quadro generale delle tradizio- arte pagana e cristiana.

528
IL MISSORIUM DI TEODOSIO: TRA ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

Fig. 5 - Piatto dal Tesoro di Kaiseraugst (da Kitzinger 1989).

alla fine dello stesso, pur nelle rispettive differenze, si coglie un comune linguaggio formale 54. Non si
tratta, qui, di una selezione artificiosa, funzionale alla dimostrazione dell’isolamento del missorium,
quanto della messa in gioco degli elementi più rappresentativi di una produzione artistica diffusa 55.
A vari livelli di esecuzione si nota, innanzi tutto, la ricerca della resa di una spazialità naturale, secon-
do la lunga tradizione, che siamo soliti definire naturalistica. Risulta vero anche nella patera di Parabia-
go, dove non ci troviamo di fronte a una scena unitaria, ma a tanti gruppi, ciascuno dei quali concepito
nell’ambito di una propria spazialità ben intesa e altrettanto ben realizzata (Fig. 3). Strettamente connes-
sa a tale maniera espressiva risulta la libera e articolata disposizione dei corpi nello spazio naturale,
sovente rappresentati di scorcio o impegnati in non semplici torsioni, possibili proprio perché collocati
in una realtà percepita e raffigurata secondo anche la resa illusionistica della profondità. Lo strumento
primario adoperato, sentito evidentemente come funzionale a tale intento rappresentativo, e, ovviamen-
te, valido dal punto di vista estetico, è quello della resa pittorica ossia dell’utilizzo in senso espressivo
del modellato a scapito dell’uso della linea, del singolo segno. Ciò risulta particolarmente evidente nelle
due figure del piatto di Mildenhall, nella plastica e vigorosa muscolatura del satiro, con un rilievo assai
mobile e vario nei tratti del torace e più lento e sfumato nelle gambe, così come nella parte superiore del
corpo della menade e nel gioco della sua veste (Fig. 4). Per quanto in maniera meno raffinata e condotta
per masse decisamente più compatte e meno scandite al loro interno, lo stesso mezzo espressivo è usato
nella scena di Achille a Sciro da Kaiseraugst (Fig. 5) o con notevole efficacia nelle figure della patera da
Parabiago, dove l’uso della linea è di fatto assente.
Occorre a questo punto soffermarsi un istante sulla scena della lanx di Corbridge, l’unica esplicita-
mente collegata da E. Ktizinger al piatto di Teodosio, anche se poi, in conclusione, lo studioso ne smen-
tisce – come abbiamo visto – un’ispirazione comune 56. Sebbene non riuscita perfettamente, anche in
questo caso è riconoscibile la ricerca di una resa spaziale di stampo naturalistico, sostenuta dall’anda-
mento della chioma dell’albero, dalla disposizione di alcune figure, colte di tre quarti, e dalla sistemazio-
ne degli elementi architettonici. Anche nel fregio animalistico della fascia inferiore, escluso dalla dimen-
sione della scena principale, è evidente la volontà di disporre le figure nell’ambito di una spazialità
effettivamente tridimensionale, per quanto non tutte eseguite correttamente. E se, in questa opera, l’uso
della linea è senza dubbio più accentuato rispetto agli altri argenti esaminati, come risulta chiaro sia nei
contorni assai marcati, in modo particolare nella scena principale, sia in alcune parti, quali il torso della

54
Per il catalogo e la bibliografia sugli argenti rimando a 55
Una rassegna complessiva di questi oggetti in Toyn-
Toynbee-Painter 1986. bee-Painter 1986.
56
Kitzinger 1989, 39.

529
GIAN LUCA GRASSIGLI

Fig. 6 - Lanx da Corboridge (da Kitzinger 1989).

statua, o il panneggio di Atena (?), le possibilità del plasticismo vengono sfruttate nella resa dei volti,
degli arti che emergono dagli abiti, e – nelle tre figure femminili centrali – nel tentativo di far trasparire
le gambe al di sotto delle lunghe vesti. Anche se con bassissimo rilievo, l’uso del modellato è complessi-
vamente accentuato nel fregio animalistico (Fig. 6). Di fronte alla lanx viene da pensare a una concezio-
ne sostanzialmente simile a quella degli altri argenti, ma eseguita, o per via dei modelli o per via delle
capacità dell’artigiano, con molta più fatica.
Le stesse considerazioni svolte per gli argenti sopra descritti rimangono valide per i pezzi che com-
pongono il Tesoro dell’Esquilino 57, e in misura particolare per la celeberrima cassa di Proiecta e il cofa-
netto da toeletta, che vi si accompagnava. Sia nelle scene di carattere mitologico, sia nelle raffigurazioni
dei singoli personaggi la cifra espressiva adottata è quella della resa della realtà secondo un chiaro inten-
to naturalistico, realizzato esclusivamente attraverso l’uso capace del modellato.
Passiamo a questo punto all’analisi della decorazione del missorium di Teodosio.
Occorre subito mettere in evidenza la diversità tematica tra il piatto e gli argenti esaminati. Questo,
ovviamente, può costituire di per sé una spiegazione della differenza del linguaggio formale. Spiegherei,
tuttavia, tale differenza non tanto con la sterile perpetuazione di modelli in senso lato classicistici per i
temi pagani, quanto piuttosto con la necessità e quindi la volontà di esprimere significati diversi connes-
si alla rappresentazione del sovrano. In questo senso l’isolamento del missorium può costituire esso stes-
so uno strumento espressivo.
A questo punto, tuttavia, l’analisi formale deve essere ancor più corretta.
La lettura di E. Kitzinger individua nel missorium un dualismo stilistico, che caratterizzerebbe tutta
l’arte teodosiana, ossia – come già ricordato sopra – l’attenzione per “simmetria e ordine geometrico”, a
cui verrebbe a contrapporsi “un modellato attento, morbido” 58. Abbiamo già visto come questa analisi
contraddica altre interpretazioni. Per altro, questa definizione accosta elementi appartenenti ad aspetti
molto diversi. Mentre la simmetria e l’ordine geometrico hanno a che fare con l’aspetto compositivo, il
modellato, invece, appartiene esclusivamente ai mezzi espressivi. Non c’è contrapposizione tra i due: si
può rappresentare una scena connotata da forte simmetria, sia in modo pittorico, sia in modo disegnati-
vo, ovvero tramite l’uso del modellato o quello del segno.
Se mai è riscontrabile un dualismo nel piatto di Teodosio, lo si trova a livello compositivo e dei
modelli adottati, tra la scena principale e quella in esergo. La forte simmetria, supportata da una rigida
frontalità, tipica delle rappresentazioni ufficiali dell’arte imperiale, contrasta in questo caso con la com-
posizione svincolata da questi canoni, che troviamo nella scena della Tellus. Quest’ultima non solo non è
collocata in posizione centrale, ma nemmeno inserita in un sistema di simmetrica regolarità, come appa-
re dalla disposizione delle figure che la accompagnano. Né la Tellus né i putti alati, per altro, appaiono in
posizione frontale. In questo senso, ma solo in questo, essa richiama gli altri piatti d’argento esaminati.
Non è possibile dire, tuttavia, che a questa diversità di concezione compositiva e di modelli iconografici

57
Da ultimo Painter 2000, con bibliografia precedente. 58
Kitzinger 1989, 40.

530
IL MISSORIUM DI TEODOSIO: TRA ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

corrisponda una diversità di linguaggio formale,


rispetto alla scena principale. Entrambi i soggetti,
infatti, sono resi mediante la medesima modalità
espressiva, che privilegia la linea, il tratto, rispetto
all’uso del modellato, a cui si accompagna l’asso-
luto disinteresse per la creazione di una spazialità
di tipo naturalistico. In questo senso ci troviamo
di fronte a una precisa coerenza di un linguaggio
formale applicato a modelli e temi radicalmente
differenti.
Ciò risulta con chiarezza dal torso di Tellus,
costituito sostanzialmente da una superficie deli-
mitata dal segno di contorno, così come dalle sue
gambe, definite semplicemente dalla linea che
descrive su un solo lato il contatto col vestito, ma
che scompaiono, poi, al di sotto di esso, nascoste
dai solchi delle pieghe. Queste ultime danno vita a
una superficie sviluppata in maniera del tutto indi-
pendente dalla presenza di un corpo reale. L’atten-
zione per la superficie, piuttosto che per il volu-
me, la si coglie bene anche nella resa della scena
principale. A parte la mancanza di un vero rappor-
to spaziale tra il corpo degli imperatori e i troni su
cui dovrebbero sedere, l’interesse dell’artefice
sembra concentrarsi sui giochi decorativi delle
vesti dell’imperatore, il cui andamento, ancora
una volta, è del tutto svincolato dall’idea della
presenza di un corpo al di sotto della veste. Ciò
risulta in maniera eclatante nella rappresentazione
di Teodosio I e di Onorio, praticamente privi della
gamba sinistra, di cui sembra intravvedersi l’esi-
stenza di un possibile ginocchio, invece, nella
figura di Valentiniano III 59 (Fig. 7). La situazione
non cambia per i busti dei tre sovrani, ancora una
volta definiti semplicemente dalla linea del con-
torno, sulla cui superficie si tracciano segni som-
mari per una indicazione puramente grafica del
Fig. 7 - Particolare della figura principale
panneggio, per concentrarsi poi sui particolari del missorium (da Arce 1998).
decorativi delle stoffe. L’andamento del panneg-
gio, tuttavia, assume un valore fondamentale – per
quanto generalmente non molto considerato -, dal momento che costituisce uno dei più chiari recuperi
nell’intenzione di un particolare classicistico. Anche in questo caso, tuttavia, manca completamente l’e-
spressione della presenza plastica di un corpo. Per nulla diversa la resa delle immagini delle guardie, i
cui visi, senza corpo, emergono dalle grandi superfici decorate degli scudi.
Come si può vedere siamo molto distanti, anche nella scena di soggetto per così dire bucolico, dal
linguaggio espressivo adottato negli altri argenti esaminati. Anche volendo interpretare gli errori nella
composizione e nella dislocazione delle figure come segno dell’incapacità dell’artigiano di aderire a
modelli precisi e non a un assoluto disinteresse per la resa spaziale, occorre ammettere che ci si trova di
fronte a un’opzione linguistica definita. Siamo ben lontani dalla massiccia presenza delle immagini
imperiali sedute rappresentate nei rilievi della base dell’obelisco di Costantinopoli, fatto erigere da Teo-
dosio I (Figg. 8-9). Nonostante l’erosione abbia senza dubbio fortemente attenuato, in questo, le possibi-
lità di percezione del rilievo, è ben rilevabile la stereometria delle figure, la cui corporeità, per quanto
resa sinteticamente, non è certo nascosta dalle vesti. In questo senso basta vedere il panneggio che si ten-
de sulle gambe dei sovrani, per mettere in rilievo la spinta verso l’interno di entrambi gli arti, e il vuoto,
in cui si ammassano le pieghe, tra una gamba e l’altra. Da tale punto di vista il linguaggio espressivo
adottato, nonostante la diversità tematica, che presuppone una sintassi compositiva legata alla necessità

59
In questo senso, a mio avviso, è erronea la similitudine medesimo schema figurato, quello appunto della posizione
che Kiilerich 1993, 69 (poi anche in Kiilerich 1998, 40 e delle gambe, non implica di per sé l’utilizzo del medesimo
52) compie tra piatto e base dell’obelisco. L’adozione del linguaggio, che anzi in questo caso appare assai differente.

531
GIAN LUCA GRASSIGLI

Fig. 8 - Base sud-ovest dell’obelisco di Teodosio a Costantinopoli (da Kiilerich 1993).

Fig. 9 - Base nord-ovest dell’obelisco di Teodosio a Costantinopoli (da Kiilerich 1993).

532
IL MISSORIUM DI TEODOSIO: TRA ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

Fig. 10 - Piatto di Ardabur Aspar


(da Painter 1991).

della frontalità e della simmetria, appare risentire di quello che abbiamo descritto per i grandi piatti
argentei. Anche nelle figure dei barbari inginocchiati, che porgono doni all’imperatore, si può vedere
bene la potenza materiale delle masse che, in maniera certo più sintetica rispetto agli argenti, definisco-
no, tuttavia, la consistenza dei corpi. Ancora una volta, tenendo conto della diversità della composizione
imposta dal tema ufficiale, si può mettere in evidenza l’intento di definire una spazialità nelle schiere
delle guardie armate dell’imperatore, con la successione delle teste su più piani e l’emersione delle lance
sullo sfondo di una sintetica quinta architettonica, funzionali all’espressione di una certa spazialità.
L’isolamento del missorium di Teodosio nell’ambito della produzione artistica della seconda metà
del IV secolo risulta ancora più accentuato, al confronto con uno dei più tardi piatti argentei noti, quello
del console Ardabur Aspar, del 434 d.C. 60 (Fig. 10). Quest’ultimo, fatte sempre salve le differenze quali-
tative, appare eseguito secondo un linguaggio assai vicino a quello del missorium imperiale. La linea,
che delimita superfici praticamente piane, ha preso il sopravvento su qualunque uso del modellato.
Anche in questo caso le figure sono delineate da un profondo solco di contorno, mentre l’attenzione del-
l’artefice è tutta volta attraverso l’uso della linea alla descrizione di porzioni di superfici delle vesti, che
dovrebbero suggerire il panneggio. La rappresentazione della figura, infatti, è tutta risolta, a parte il viso
e le mani, nella raffigurazione degli abiti. Anche qui vediamo il medesimo problema del rapporto inesi-
stente, dato anche dall’assoluta mancanza di una spazialità naturalistica, tra il corpo del personaggio e il
trono. In questa maniera il trono diventa quasi un semplice attributo, perdendo nella rappresentazione la
funzione di sostegno, lasciata all’induzione dello spettatore 61. La stessa impressione di scivolamento dal
trono suscitata per questo motivo dalla figura del console è indotta anche dall’immagine del figlio, che
pure è ritratto in piedi, per l’irregolarità nella definizione della superficie del podio. Il medesimo lin-
guaggio viene utilizzato, naturalmente, anche per le personificazioni di Roma e di Costantinopoli poste
ai lati della scena centrale.
Ma il confronto diventa a mio avviso ancora più significativo, quando affiancato a quello che si può
condurre sulla base dei dittici eburnei, i quali hanno il vantaggio di presentare sovente soggetti e schemi
iconografici comuni a quelli del missorium 62.

60
Painter 1991. Teodosio ai rilievi della base dell’obelisco fosse così evi-
61
Kiilerich 1998, 40 estende, secondo me erroneamente, dente, non sarebbe riconosciuta da parte dei singoli com-
questa caratteristica anche alle figure imperiali in trono, mentatori in aspetti di volta in volta differenti.
raffigurate sulla base dell’obelisco di Teodosio a Costanti- 62
Per quanto ovviamente da rivedere dal punto di vista
nopoli. Si tratta di un meccanismo assai simile a quello già interpretativo, rimane fondamentale per questo genere di
messo in evidenza per alcune considerazioni di E. Kitzin- manufatti Delbrueck 1929; vd. anche Volbach 1952; per
ger, funzionale sostanzialmente al tentativo di aderire a una revisione generale del problema vd. ora i saggi in Cut-
una tradizione. Se, infatti, la vicinanza del missorium di ler 1998; utili questioni generali anche in Bühl 2001.

533
GIAN LUCA GRASSIGLI

Fig. 11 - Dittico dei Simmaci e dei Nicomaci (da Kitzinger 1989).

Partendo dal celeberrimo dittico dei Simmaci e dei Nicomaci, assegnato al tardo IV secolo, si può
vedere bene come il linguaggio artistico adottato sia comune a quello già definito per gli argenti 63 (Fig.
11). Le grandi figure di sacerdotesse vengono collocate in uno spazio pienamente definito secondo la
tradizione naturalistica, mentre gli eleganti panneggi assecondano, sottolineandoli, gli atteggiamenti e la
plasticità dei corpi. Risulta meno raffinato, ma non per questo diverso da questo modo espressivo, il dit-
tico con Asclepio e Igea, databile al IV secolo, ora a Liverpool 64. Il modellato mosso sottolinea la plasti-
cità dei corpi, articolati in uno spazio reale. Si potrebbe naturalmente obiettare che i soggetti dei due dit-
tici ora esaminati sono assai più prossimi a quelli degli argenti, rispetto alla rappresentazione della
maestà imperiale offerta dal missorium di Teodosio. Ma a parte il fatto che, come abbiamo visto, anche
l’esergo del piatto imperiale adotta il linguaggio della rappresentazione ufficiale, esistono dittici che
mutuano il soggetto dall’arte ufficiale, ma utilizzano il medesimo modo espressivo degli argenti di età
teodosiana, che è anche quello, del resto, dei rilievi dell’obelisco dell’ippodromo di Costantinopoli.
È utile cominciare dal dittico di Probiano, collocato agli anni intorno al 400 65 (Fig. 12). A parte le sce-

63
Rimando per la bibl. a Kiilerich 1991, con nuova inter- 64
Volbach 1952, n°.57, 40, taf. 15.
pretazione. 65
Kitzinger 1989, 42, n.37, con bibl.

534
IL MISSORIUM DI TEODOSIO: TRA ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

Fig. 12 - Dittico di Probiano (da Kitzinger 1989).

ne nella parte inferiore, con figure liberamente articolate nello spazio, i due personaggi in trono si diffe-
renziano fortemente rispetto a quelli del missorium, avvicinandosi piuttosto ai sovrani sull’obelisco teo-
dosiano. Pur rappresentati in rigida frontalità, essi appaiono connotati da una netta volumetria, ben scan-
dita non tanto nel torso, quanto nel gioco del mantello sulle gambe, i cui panneggi funzionano proprio
nel senso di mettere in evidenza la presenza concreta degli arti.
Da questo punto di vista il confronto risulta particolarmente interessante, dal momento che, trovan-
doci di fronte al medesimo schema, è possibile cogliere la radicale differenza del linguaggio adoperato.
Stante la solida volumetria e la precisa spazialità, appare ben definito anche il rapporto con l’imponente
trono, sul quale pienamente trovano appoggio i corpi.
Il medesimo discorso risulta corretto anche per il coevo dittico eburneo con scene di caccia al cervo
ora a Liverpool, nella cui porzione superiore sono rappresentati tre personaggi seduti, e anche nel dittico
eburneo dei Lampadii (Fig. 14), da datare anch’esso al 400 66. In quest’ultimo, tuttavia, la resa della volu-
metria dei corpi appare più incerta, ma l’effetto è dovuto in massima parte al fatto che non sono rappre-
sentate le gambe, segno inequivocabile, una volta di più, che si trattava di un punto fondamentale per lo

66
Rimando per entrambi a Kitzinger 1989, 46, n.40.

535
GIAN LUCA GRASSIGLI

Fig. 13 - Dittico dei Lampadii (da Kitzinger 1989).

schema della figura seduta, confermando pertanto il valore discriminante, che è stato ad esso assegnato
anche in questa analisi.
Risulta ancora più interessante, dal mio punto di vista, il confronto con il dittico di Costanzo III, assai
vicino per le forme del linguaggio artistico all’argento di Ardabur Aspar 67. Ciò, naturalmente, non stupi-
sce, data la contiguità cronologica tra i due pezzi, e la comunanza tematica. Entrambe le valve del dittico
presentano una divisione in tre fasce orizzontali, di cui la centrale di dimensioni notevolmente maggiori.
È nel registro centrale, infatti, che si trova la figura di Costanzo III, stante, realizzata con le stesse moda-
lità di Ardabur Aspar. Il capo, di proporzioni aumentate, e le estremità, emergono da un largo vestito,
scandito in panneggi di ampie dimensioni, percorsi – nelle parti superstiti – da una fitta decorazione. Al
di sotto, scene di barbari vinti, invece, si snodano, per ciò che si può vedere, secondo schemi tradiziona-

67
Volbach 1952, 325, n°.35, taf.8.

536
IL MISSORIUM DI TEODOSIO: TRA ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

Fig. 14 - Dittico di Costanzo III (da Volbach 1952).

li, legati alla tradizione classicistica. La fascia superiore mostra un soggetto analogo a quello del misso-
rium, ai rilievi della base dell’obelisco, nonché alla rappresentazione di Ardabur Aspar, ossia il signore
in trono. I due imperatori, in questo caso, sono affiancati dalla coppia, anch’essa seduta, costituita dalla
personificazione di Roma e di Costantinopoli. La fascia è piuttosto rovinata, ma in ogni caso sembra di
poter riconoscere con facilità gli stessi modi espressivi visti per Ardabur Aspar e per il missorium, col
corpo che scompare al di sotto della veste, la quale si risolve in maniera autonoma soprattutto nella ricca
decorazione. Come si può ancora percepire con molta chiarezza, il motivo quadrangolare procede in
maniera del tutto autonoma rispetto a come dovrebbe procedere l’andamento di un panneggio rapportato
alla presenza, al di sotto della veste, di un corpo reale.
L’analisi condotta sugli elementi più evidenti del linguaggio formale, in considerazione anche sia dei
temi adottati sia del tipo di produzione, mostra l’isolamento del missorium nel contesto della produzione
artistica teodosiana, e una comunanza di linguaggio, invece, con opere collocabili nella seconda parte
del regno di Teodosio II.
In una certa maniera l’analisi del classicismo teodosiano condotta da B. Kiilerich rende canonico tale
isolamento, individuando una grande varietà di correnti nell’arte del periodo 68. Non a caso considera non
producente distinguere in questo momento tra i concetti di “classicistic” e di “classicizing” 69. Proprio per
questo, tuttavia, l’isolamento del piatto diventa ancora più eclatante. Infatti, quando, cercando di sinte-
tizzare tra le varie correnti, giunge a un’unica definizione del classicismo dell’arte di Teodosio, essa si
adatta bene solamente al missorium: “the Theodosian concept of the human form shows a tendency
towards incorporeality: the body verges on being immaterial, non-physical entity. Because of this lack of
interest in anatomy individual parts often form a rather incongruous whole, with some parts entirely out
of proportion. The drapery thus becomes the focal point for stylistic variation and development” 70.

Tutto ciò, tuttavia, non basta per fissare una datazione del piatto al V sec. Infatti, se accomunato da
sostanziali elementi del linguaggio formale a prodotti di questo periodo, per altri aspetti esso riconquista
una sorta di unicità anche rispetto ad essi. Alcuni elementi, infatti, quali il rigido ordine compositivo, la
ricchezza e la varietà del panneggio della veste dell’imperatore, il calligrafismo della sua decorazione
determinano un richiamo all’antico rafforzato in generale dalla presenza essenziale e dominante dell’ar-

68
Kiilerich 1993, 189 ss. 70
Kiilerich 1993, 187.
69
Kiilerich 1993, 10.

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GIAN LUCA GRASSIGLI

chitettura, del tipo dei capitelli scelti, nonché dalla presenza nell’esergo di un’ambientazione bucolica,
che rendono il missorium distante anche dalla produzione del tempo di Teodosio II. In questa serie di ele-
menti si può vedere, se proprio occorre usare tale categoria, una vocazione classicistica, ossia la volontà
di richiamare alla mente i migliori imperatori del passato, che nei confronti possibili con i materiali di V
secolo viene con tutta evidenza a perdersi.
Da questo punto di vista a mio avviso il problema rimane ancora aperto e soprattutto assume una
duplice prospettiva, che richiederebbe una revisione critica sia da parte degli storici, sia da parte degli
storici dell’arte. Da un lato credo che in sede di analisi e di interpretazione storica del soggetto, si
dovrebbe tenere conto e cercare ragione senza pregiudizi anche della possibilità di una datazione al V
secolo. Nello stesso tempo, in ambito storico artistico, occorrerebbe liberare il missorium dalle gabbie
interpretative in cui è stato costretto, per farlo aderire al cosiddetto “classicismo teodosiano”, di cui per il
suo linguaggio formale non può evidentemente fare parte, almeno così come definito di solito. Piuttosto
si tratta di verificare se nella produzione artistica ufficiale, ci sia posto per un linguaggio diverso da quel-
lo finora individuato. Solo in questa maniera, ossia liberandosi da steccati ormai sclerotizzati, sarà possi-
bile uscire da questo circolo chiuso, dando conto finalmente dell’opera inserita in un contesto veramente
allargato. Perché anche il linguaggio artistico, alla stregua degli altri elementi, costituisce un aspetto
imprescindibile, per cui valutare e comprendere storicamente un oggetto.
In questo senso, forse, collocando l’opera nella stretta élite dell’alta aristocrazia della corte di Teodosio
I è possibile darne una ragione completa. Il missorium diventerebbe così il frutto di una complessa e raffi-
nata operazione intellettuale. Da un lato, infatti, si recuperano singoli particolari (panneggio, equilibrio
compositivo, inquadramento architettonico, capitelli), che rinviano al linguaggio – e quindi evocano la
realtà – dei grandi sovrani del passato, che hanno fatto grande l’impero e coi quali, evidentemente, si sug-
gerisce un’identificazione. Di quel linguaggio, tuttavia, non si può recuperare la sostanza, ossia la forza
naturalistica, che ne costituiva parte integrante, perché non in grado di esprimere le nuove forme di conce-
zione e di percezione della maestà imperiale. Quest’ultima, ormai tutta volta a dare di sé un’immagine lega-
ta a una dimensione soprannaturale, tende a farsi rappresentare come icasticamente svincolata dalla realtà
materiale, di cui il corpo è più di ogni altra cosa segno ed espressione. In questo senso va riconsiderata la
caratteristica sottolineata da B. Kiilerich, già menzionata sulla tendenza alla incorporeità delle figure 71.
Ciò che tiene insieme l’intera composizione delle scene del missorium è l’eliminazione della dimen-
sione naturalistica. Solamente l’adozione di una spazialità, che esiste in quanto circostante e sottoposta
all’immagine del sovrano, permette di mantenere unite, ossia di mettere in relazione tra loro, le singole
figure sia della scena principale sia di questa con la composizione in esergo. Il sovrano è l’origine della
dimensione, anzi è la misura e l’elemento ordinatore di uno spazio, che esiste per servirlo e per metterlo
in evidenza, per onorarlo. Anche lo spazio, insomma, diventa una funzione della maestà imperiale.
La concezione naturalistica, infatti, frutto di un’operazione razionale, è incapace di esprimere in que-
sta fase la sostanza della figura imperiale e quindi la figura imperiale stessa, poiché sottopone tutte le
realtà che comprende allo stesso parametro di misura, conoscendo un solo e unico canone dimensionale.
Ma ora ci si trova di fronte a un’entità che, in quanto al di sopra delle normali leggi di natura, non è com-
mensurabile con le altre realtà esistenti, le quali contribuiscono a formare il mondo delle immagini, ossia
persone, personificazioni, animali e cose.
Per questo occorre inventare uno spazio che non ubbidisca più alla legge di natura, ma che sia capace
di contenere due ordini di grandezza non paragonabili, esprimendone insieme la assoluta diversità. In
altre parole, la concezione spaziale naturalistica, vincolando tutto ciò che contiene a un canone di misura
oggettivo e altro da ogni figura rappresentata, implica la presenza di una grandezza o – se si vuole – di
una entità superiore a ogni soggetto della rappresentazione. Al contrario, la concezione e la forma di rap-
presentazione adottate nel piatto di Teodosio eliminano – superano – l’utilizzo di un canone oggettivo e
altro, perché è raffigurata l’entità superiore, ossia l’imperatore, che è al di sopra di tale canone, essendo
egli stesso origine e ordinatore dello spazio stesso.
In questo senso si può pensare anche a un’arte non simbolica, ma funzionale all’utilizzo di un’unità
di misura svincolata dalla dimensionalità naturale, perché collegata, invece, a quella della potenza impe-
riale, che diventa termine unico di confronto e di paragone. Uno spazio diverso, quindi, che esiste in
quanto atmosfera in cui l’imperatore esiste, e una dimensione diversa, rapportata all’unico canone o se si
vuole all’unica dimensione completa, che è quella dell’imperatore.
Perciò – lo si può vedere bene dal piatto – i normali termini di riferimento sia relativi alle dimensioni
sia all’idea di divisione dello spazio, di sopra e sotto o di davanti e dietro, perdono di significato, in
quanto tutto è raffigurato e opera in funzione dell’imperatore.
Non che il piatto rappresenti l’invenzione assoluta di un linguaggio nuovo, esistendo già una serie di
espedienti formali qui utilizzati nella lunga tradizione dell’arte romana. Piuttosto nel missorium viene

71
Vd. p.00, n.00.

538
IL MISSORIUM DI TEODOSIO: TRA ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

applicato solo questo tipo di linguaggio, per di più portato alle sue estreme conseguenze.
Che ci si trovi in una dimensione altra da quella naturalistica è espresso immediatamente dall’assolu-
to disinteresse non solo per un certo tipo di spazialità, ma anche per ogni forma di corporeità. Come
abbiamo visto, le grandi vesti, riccamente decorate, insieme all’accentuazione del volume della testa,
sono ciò che rende visibile l’essenza delle figure, per il resto non esplicitate attraverso il corpo. Anche
questo costituisce una delle estreme conseguenze dell’idea della superiorità imperiale, che non può cor-
rispondere semplicemente a un corpo più grande, ma evidentemente a una qualità dell’essere. In questo
senso risulta possibile e coerente all’interno di un sistema compiuto l’espressione “dimensionale” di un
rango, che non è più semplicemente una gerarchia sociale, ma ha a che fare con una sorta di scala del-
l’essenza umana. In questo senso l’ottica è così univoca e coerente, che anche la personificazione della
Terra, posta nell’esergo, pur appartenendo pienamente a uno schema di lunga tradizione ellenistica, vie-
ne rappresentata semplicemente tramite una linea di contorno. Non ha più corporeità, ma nell’immagine
è semplicemente una superficie delimitata dal perimetro.
Se la misura della realtà è l’imperatore, le altre figure si dislocano per dimensione, quasi potremmo
dire per intensità ontologica, diminuendo man mano si allontanano dalla qualità imperiale. Le tre figure
regali sono le uniche la cui funzione è semplicemente quella di apparire, di esistere, assumendo pertanto
un valore puramente iconico. La loro funzione è risolta semplicemente nella presenza, nell’esistere. Non
è un caso, perciò che siano le sole ad essere sedute.
Al contrario tutte le altre immagini esistono in quanto si relazionano con l’imperatore, perché servo-
no a fare qualcosa per lui. In primo luogo l’espressione sintetica della guardia del corpo imperiale, per-
sonaggi distinti, che lo accompagnano in ogni momento e che alludono alla sua intangibilità, alla sua
alterità rispetto al mondo, da cui è separato da una serie di filtri, di cui le guardie costituiscono un’imma-
gine concreta. Il palazzo, così, è riassunto in maniera da sembrare quasi una teca, uno spazio architetto-
nico prezioso, funzionale sostanzialmente a custodire, a dare ricovero all’imperatore. Non c’è alcun rife-
rimento iconografico a un’architettura globale – per quanto la tradizione possedesse gli schemi per le
immagini generali di ville e palatia –, ma semplicemente una struttura essenzialmente allusa, che da un
lato mette in rilievo la figura dell’imperatore, seguendone l’andamento e costituendo con l’arco una sor-
ta di grande nimbo, mentre dall’altro appare priva di esistenza come realtà materiale alla stessa maniera
dei corpi. Anche l’edificio, quindi, è importante non in sé, bensì quanto tabernacolo dell’essere supremo.
A leggi analoghe obbediscono anche le figure in esergo. Mentre in apparenza esse sono nettamente
separate dalla scena principale, sia per la divisione dei due spazi data dalla sintetica scalinata, sia per il
fatto di essere appunto in esergo, di fatto i tre putti alati, partendo dalla personificazione di Tellus, si
rivolgono all’imperatore, onorandolo con l’omaggio dei cesti ricolmi, costituendo nel frattempo col loro
stesso significato, l’espressione del carattere universale del potere imperiale.
In conclusione, quindi, il naturalismo, che sottopone a un’unica unità di misura e a uno spazio comune
tutte le realtà, non è in grado di esprimere – almeno a questi livelli elitari – il senso dell’essere dell’impera-
tore, così come si è venuto definendo nel tempo, la cui superiorità nei confronti degli umani obbliga alla
definizione di una spazialità diversa, di cui egli sia l’elemento ordinatore. Nello stesso tempo la ieraticità e
la sostanza incorporea delle figure trasferisce alla scena quella dimensione sovrumana che costituisce
ormai l’essenza profonda della maestà imperiale. È notevole il fatto che tale dimensione sia dominante al
punto da investire anche la figura in esergo, che discende interamente da una tradizione naturalistica, fatto
che spiega la necessità di una traduzione nel nuovo linguaggio e quindi – forse – gli errori che la caratteriz-
zano. Con questa rigorosa coerenza formale, tuttavia, si dà ancora più forza all’espressione di una realtà
davvero altra rispetto a quella comunemente umana. Ci troviamo così di fronte a un linguaggio interamen-
te e coerentemente nuovo – cosa che non si può dire del resto della produzione teodosiana nota -, spinto al
massimo della sua coerenza e delle sue possibilità espressive, quasi un eccezionale esperimento linguisti-
co, e che può trovare realizzazione in quanto applicato a un’opera legata a una ristrettissima élite.
Se questa lettura è giusta, e quindi capace di collocare il missorium con le sue particolarità nel conte-
sto dell’arte della seconda metà del IV secolo, bisogna dire che questo linguaggio viene adottato dalla
produzione artistica successiva, ma in maniera meno rigorosa, concentrandosi sull’espressione della
ieraticità dell’imperatore, ma abbandonando il coerente richiamo ai massimi imperatori del passato. In
un qualche modo, diventando espressione corrente, si abbassa il livello intellettuale dell’operazione.
Non credo che queste considerazioni chiudano la questione del missorium (rimane da dimostrare e da
spiegare, tra l’altro, la posizione di supremazia di Teodosio), ma ritengo che possano essere una direzione
secondo la quale continuare l’indagine. L’analisi delle forme, infatti, è capace, se condotta senza pregiudi-
zi, di dare conto di aspetti del significato storico del missorium che sfuggono, senza ombra di dubbio, a
qualunque indicazione epigrafica, e a suggerire, secondo una prospettiva autonoma, delle indicazioni spe-
cifiche per la datazione. Ma il problema, evidentemente, va ben oltre la “semplice” cronologia, toccando
il significato pieno dell’oggetto in relazione al contesto storico che solo è stato in grado di produrlo.

Gian Luca Grassigli

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GIAN LUCA GRASSIGLI

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in Teodosio 2000, 301-314.

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GIAN LUCA GRASSIGLI

ΠΕΡIΛΗΨΗ SUMMARY

ΞΕΝΕΣ ΛΑΤΡΕΙΕΣ ΚΑΙ Ι∆ΙΩΤΙΚΑ ΙΕΡΑ ΣΤΗΝ Titolo manca


ΚΛΑΣΙΚΗ ΑΤΤΙΚΗ: ΜΕΡΙΚΕΣ ΠΕΡΙΠΤΩΣΕΙΣ Titolo manca

Το δεύτερο ήµισυ του 5ου π.Χ. αιώνα In the archaeological museum of Kimolos an
attic red-figured bell-krater fragment coming
from the cemetery of the island in Ellinika is
kept. It preserves part of the front view scene
and its theme is the myth of the rape of
Europa. The figures of Europe, and Zeus
transformed into a bull, as well as those of Eros
and Hermes as guides of their trip are partially
preserved.
The vase is attributed to Filottrano Painter and
is one of the variations of the same theme he
had painted. Its closest parallel is found in the
archaeological museum of Ferrara, while a
small krater fragment from Corinth with the
same theme is also recognised to be one of the
same painter’s works. All three are dated
around the end of the second quarter of 4th
century BC.

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