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L'ars nova

Dopo la morte di Federico II, mentre i Comuni dell'Italia settentrionale evolvevano verso la signoria e
s'affermavano i Comuni dell'Italia centrale (soprattutto quello di Firenze), si registrò l'ultima
ambizione teocratica della Chiesa, stroncata non più dall'Impero ma dai regni nazionali ascesi in
potenza: dal 1305 al 1377 i papi furono prigionieri del re di Francia (la cosiddetta cattività
avignonese): intanto il pensiero politico affermava l'autonomia dello stato e l'economia recava
all'ascesa della borghesia.

Ars nova francese

Secolo di straordinarie risoluzioni artistiche, dalla poesia di Dante e Petrarca alla pittura di Giotto, il
'300 svecchiò profondamente anche i ranghi della musica. Infatti con il termine ars nova si suole
designare la musica polifonica del '300 in Francia e in Italia: esso, che comparve per la prima volta nel
1320 come titolo di un trattato del teorico, poeta e compositore parigino Philippe de Vitry (1291-
1361), a quell'epoca non faceva riferimento a novità di carattere estetico o ideale, come più volte si è
pensato nei tempi moderni, ma, in conformità alla concezione medievale dell'ars, indicava
semplicemente le innovazioni che si andavano introducendo nella tecnica compositiva, soprattutto
per quanto riguardava la notazione mensurale (e il periodo dell'arte polifonica francese precedente,
esteso dalla scuola di Notre-Dame ai mottetti di Petrus de Cruce, fu subito definito ars antiqua).

Nel '300, epoca di transizione dal Medioevo al Rinascimento, durante la quale si assistette al
tramonto dei punti di riferimento politici e culturali del Medioevo, la Chiesa perse progressivamente
il monopolio della cultura e la polifonia trovò espressioni del tutto indipendenti dalla tradizione
ecclesiastica, giungendo in tal modo a rivolgersi anche a quello stesso mondo cortese vicino al quale
era vissuta la poesia trobadorica e trovierica: quindi con l'ars nova la musica polifonica conobbe un
notevole ampliamento sia delle risorse ritmiche che della varietà di scrittura e per la prima volta
accolse componimenti profani privi anche di quel tenue legame con la tradizione gregoriana che
poteva essere costituito dal tenor dei mottetti.

Una scrittura particolarmente ricca e varia si era già notata nei mottetti di Petrus de Cruce; un
carattere ancora più accentuato di transizione fra ars antiqua e nova presentano alcune delle
composizioni che nel 1316 furono inserite nel Roman de Fauvel, un poema satirico scritto pochi anni
prima (fra esse si trovano alcuni mottetti giovanili di Philippe de Vitry).

Le novità tecniche di rilievo dell'ars nova, esposte nel 1319 dal matematico dell'Università di Parigi
Johannes de Muris (1298-1350) e perfezionate l'anno successivo nell'Ars Nova di Philippe de Vitry,
consistono nel riconoscimento, accanto al metro ternario di derivazione modale e franconiana, anche
del metro binario, cioè del metro in presenza del quale non potrà aversi un valore perfetto, ma solo
un valore imperfetto.
Inoltre, i principi del mensuralismo
franconiano vengono estesi a una
scala di figure (ossia di forme grafiche
rappresentanti determinate durate)
assai più ampia: al di sopra della longa
si aggiunge la maxima, che, a
differenza della duplex longa, può
esistere anche come maxima perfetta
(di tre longae); trattamento analogo a
quello accordato alle altre figure
riceve la semibreve, ragion per cui
anche la brevis può essere perfetta o
imperfetta a seconda che contenga
due o tre semibrevi; al di sotto della
semibreve, sta la minima.

La possibilità di avere sia il metro


binario sia quello ternario, poi,
consente di non presentare lo stesso
metro lungo tutta la scala di valori,
nel senso che un determinato pezzo di
musica può contemplare, ad esempio,
una ternarietà nel rapporto fra longa e
brevis, una binarietà nel rapporto fra brevis e semibreve e una ternarietà nel rapporto fra semibreve e
minima [...].

Maximodus si chiamava il rapporto, ternario o binario, fra maxima e longa: perfetto se ternario,
imperfetto se binario; modus era il rapporto fra longa e brevis, l'unico conosciuto dall'ars antiqua
(infatti il termine modus si richiamava ai modi ritmici); tempus il rapporto fra brevis e semibreve;
prolatio la relazione fra semibreve e minima, chiamata «maggiore» se ternaria «minore» se binaria.

Philippe de Vitry escogitò inoltre l'uso dell'inchiostro rosso al posto di quello nero per le note
presenti in due al posto di tre, o in tre al posto di due, come le duine e le terzine degli odierni «gruppi
irregolari».

Il mottetto arsnovistico

Le composizioni rimaste di Philippe de Vitry consistono solo in mottetti. Il mottetto del '300, sempre
politestuale, in latino oppure in francese, aveva ridotto la presenza di contenuti liturgici o lirici che
erano stati caratteristici dell'età precedente, per assumere una funzione celebrativa, pubblica,
riconoscibile dalla presenza di argomenti politici, simili a quelli di certi conductus dell'inizio del '200.

Vitry non proseguì lungo la strada additata da Petrus de Cruce, della prevalenza della voce superiore,
preferendo invece far dialogare il motetus e il triplum in modo paritario: al di sotto stavano una o due
voci con carattere di tenor (il secondo tenor, quando c'era, era chiamato contratenor), che approfittavano
dell'ampia scala di valori e di rapporti dell'ars nova per adoperare note più lunghe di quelle delle voci
superiori (ad esempio, se queste ultime erano scritte con semibrevi e minime, e di conseguenza il loro
rapporto era costituito dalla prolatio – maggiore o minore – il tenor e il contratenor usavano longae e
breves, e quindi per loro era rilevante il modus – perfetto o imperfetto); in tal modo, il metro e il ritmo
della composizione erano come stratificati in più piani diversi e contrastanti.
Tipica di questi mottetti è l'isoritmia, cioè un certo tipo di organizzazione del ritmo e della melodia
del tenor, secondo cui da un lato i valori delle note erano disposti ripetendo sempre una certa
successione di valori, detta tàlea, e dall'altro la melodia, non molto lunga, veniva ripetuta più volte;
ogni ripetizione della melodia era detta color, e l'ultimo color spesso si presentava con i valori
diminuiti secondo una certa proporzione, ad esempio dimezzati; costruito con criteri di matematica
razionalità, il tenor era l'impalcatura che reggeva tutta la composizione e prevedeva un'esecuzione
strumentale.

Ars nova italiana

È solo a partire dal '300 che l'Italia presenta una produzione polifonica apprezzabile per quantità e
qualità: dell'epoca precedente, durante la quale in Francia già fioriva la civiltà musicale del
mensuralismo, fecondata dalla speculazione universitaria parigina, restano poche testimonianze
polifoniche, strettamente circoscritte all'ambito liturgico e mostranti uno stile assai più arcaico.
Tuttavia nel '200 non erano mancati contatti tra la cultura universitaria parigina e quella delle
università dell'Italia settentrionale, soprattutto per quanto riguarda l'università di Padova, grazie ai
viaggi che gli studenti usavano compiere fra un'università e l'altra; inoltre, influenze culturali francesi,
anche nel campo delle arti figurative, si erano fatte sentire a Napoli, dove regnava la dinastia degli
Angioini (si ricordino Adam de la Halle, e anche Philippe de Vitry che dedicò un mottetto celebrativo
al re di Napoli).

Un episodio importante è rappresentato dall'apparizione, in una data imprecisata fra il 1318 e il


1326, di un trattato del teorico e compositore Marchetto da Padova («maestro di canto» del Duomo
di quella città, vissuto tra la fine del '200 e l'inizio del '300), intitolato Pomerium (Frutteto, titolo
metaforico derivato da pomus, che significa 'melo'); che espone un sistema di notazione mensurale
diverso da quello francese, più elaborato di quello franconiano ma meno progredito di quello di
Philippe de Vitry.

Rispetto a quest'ultimo il sistema di Marchetto, che rimarrà in uso nella polifonia italiana per i primi
due terzi del secolo, si mostra meno razionale e organico, ispirato a criteri più pratici. Invece di
estendere i principi del mensuralismo franconiano ai rapporti fra brevis e semibreve e fra semibreve e
minima, come faceva l'ars nova francese, Marchetto considerò direttamente il rapporto fra brevis e
minima, articolandolo in varie divisiones corrispondenti ognuna al numero di minime che una breve
poteva contenere. Si potevano così avere la divisio quaternaria (quando la brevis conteneva quattro
minime), la senaria imperfecta (quando conteneva sei minime raggruppate in tre semibrevi, ciascuna
comprendente due minime), la senaria perfecta (sei minime raggruppate in due semibrevi, ciascuna
comprendente tre minime), la novenaria (nove minime). Fin qui si trattava soltanto di dare nomi
diversi a rapporti già presenti nel sistema francese, che li definisce coi concetti di tempus e di prolatio,
ma tipicamente italiane erano la divisio octonaria (otto minime, quindi metro binario) e la
duodenaria (dodici, quindi metro ternario).

Nel corso del pezzo poi dei punti separavano i gruppi di note di valore totale equivalente a una breve,
similmente ai punti di Petrus de Cruce (dalla cui notazione questa sembra derivare direttamente,
senza la mediazione di Philippe de Vitry); la semibreve aveva un valore fluttuante, potendo
comprendere un numero variabile di minime, e quando era necessario attribuirle un valore
particolarmente grande, si usava una semibrevis maior, distinta dalla minima per il gambo discendente
anziché ascendente.

A Padova, oltre a Marchetto, visse Antonio da Tempo, che nel 1332 scrisse e dedicò ad Alberto della
Scala Delle rime volgari, un trattato di metrica che codificò le principali forme poetiche del tempo,
comprese quelle destinate ad essere musicate, ed acquistò grande autorità presso i poeti e i
compositori.
Una vera fioritura artistica della polifonia italiana è documentata solo a partire circa dal 1340.
Nonostante il gran numero di musiche pervenute e ascritte a vari compositori, si trattò comunque di
un'arte assai meno diffusa nella società di quanto non fosse quella francese, che, partita dalle
università, aveva conquistato gli ambienti cortesi: l'ars nova italiana, praticata per lo più da ecclesiastici
e da pubblici funzionari, limitò la sua circolazione a ristretti cenacoli di intenditori, mentre la musica
preferita dagli ambienti mondani, quella delle «allegre brigate» della società cittadina italiana, a cui
per esempio accenna Boccaccio nel Decameron, era monodica e consisteva in ballate, canzoni e danze
strumentali, la cui musica è pervenuta in misura assai scarsa, giacché di norma la monodia non si
metteva per iscritto.

La prima zona di diffusione della polifonia italiana trecentesca è rappresentata da alcune città
dell'Italia settentrionale, dove la nuova musica fu apprezzata dai rispettivi signori: Mastino II della
Scala, di Verona, suo fratello Alberto, di Padova, e Luchino Visconti di Milano. E' fra queste città
che si colloca l'attività dei primi arsnovisti: Jacopo da Bologna e Giovanni da Cascia (detto anche
Iohannes de Florentia; Cascia è un villaggio presso Firenze), che fioriti verso la metà del secolo,
disputarono a Verona gare musicali componendo musiche sugli stessi testi.

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