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Le tecniche didattiche

Questa sezione intende fornire dei contributi ai seguenti quesiti:


1. che cosa sono le tecniche didattiche?
2. quali sono le principali tecniche didattiche da utilizzare nell’insegnamento nella scuola se-
condaria?
Anzitutto, come per i metodi, non è possibile affermare in astratto l’esistenza di una tecnica miglio-
re delle altre: solo misurandosi con la complessità di una determinata tecnica, questa potrà risultare
adeguata, appropriata, opportuna o conveniente al contesto di apprendimento. Ogni tecnica, anche
la lezione frontale classica, è efficace se congruente con gli obiettivi posti: l’importante è avere la
consapevolezza che, qualunque sia l’obiettivo, non c’è un solo mezzo obbligato per raggiungerlo,
favorendo la sperimentazione di un’integrazione tra tecniche didattiche diverse.

Che cosa sono le tecniche didattiche


Il metodo si avvale di tecniche, ma non si identifica con esse, intendendo con quest’ultime “le mo-
dalità operative vere e proprie che si impiegano in un’azione formativa”.
La scelta del metodo didattico prevede una scelta strategica coerente con la teoria o approccio di ri-
ferimento; la tecnica didattica è invece strumentale, contingente agli obiettivi da raggiungere.
La parole proviene infatti dal greco (tekhnè = arte) nel senso di “arti e mestieri”, vale a dire di ciò
che è artificiale, creato dall’attività dell’uomo.
Diamo un altro paio di definizioni.
IL metodo è un insieme strutturato e coerente di intenzioni e realizzazioni orientate verso uno
scopo enunciato. La tecnica invece è un insieme coerente di mezzi, materiali, procedure che può
avere una finalità in sé e che può essere al servizio di metodi pedagogici diversi.
La tecnica didattica è l’insieme, la successione dei procedimenti impiegati per arrivare ad un ri-
sultato. Una tecnica corrisponde a un insieme di azioni concrete stabilizzate che si scompongono
in procedimenti, ciascuno dei quali ha il suo modo di impiego.

Strutturazione ed elencazione di tecniche didattiche

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Tecniche di  Dall’istruzione program-
formazione in- mata all’e-learning
dividuale  Mastery learning
Comunicazione ● Lezione
ad una via
Tecniche di discussione ● Metodo dei casi
● Incident progress
● Ricerca-azione in
Le tecniche di classe
formazione di Tecniche di simulazione ● Esercitazioni dimo-
gruppo Comunicazione a strative
più vie ● Esercitazioni di
analisi
● Laboratorio
● Role-playing
● In basket
● Business game
● Cooperative lear-
Le tecniche cre- ning
ative e coopera- ● Brainstorming
tive ● Sinettica
● Il metodo Papsa
● Sei cappelli per
pensare

Tecniche di discussione e tecniche di simulazione


Le tecniche di gruppo, per facilitarne l’analisi, si suddividono in due gruppi:
1. tecniche di discussione: l’elemento caratterizzante è la possibilità da parte degli allievi di
poter utilizzare in modo nuovo e proficuo le conoscenze e le facoltà di cui dispongono. Tra
queste: il metodo dei casi, l’incident, le tecniche di ricerca d’aula
2. le tecniche di simulazione: l’aspetto peculiare è che in essi, unitamente alla discussione di
gruppo, gli allievi sono chiamati a impersonificare determinati ruoli a fini formativi. Tra
questi: le esercitazioni, il role-playing, l’in basket, il business game
Le “tecniche di discussione” hanno trovato la loro realizzazione soprattutto attraverso il lavoro di
gruppo, in particolare il piccolo gruppo informale, riconoscendo l’ipotesi che, se si vuole modifi-
care il comportamento umano, la formazione deve avvenire attraverso la mediazione del gruppo,
piuttosto che attraverso l’individuo. Formato così un gruppo di dimensioni medie, 15-20 persone, si
dà inizio alla discussione, dove lo scopo è stimolare il pensiero dei partecipanti su problemi di mu-
tuo interesse cercando di sviluppare la ricerca di soluzioni.
Nelle “tecniche di simulazione”, invece, non si lavora su qualcosa che è già avvenuto, come avvie-
ne con il metodo dei casi, ma si formulano decisioni rivolte al presente, il momento in cui simu-
liamo, oppure a un tempo futuro (decisioni che possono verificarsi in situazioni future). Infine,
un’altra particolarità è che le decisioni si possono misurare, valutare e giudicare, mentre nelle tec-
niche di discussione vige il concetto che non esistono decisioni che possono considerarsi “giuste”
per eccellenza.

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Tipi di tecniche

Dall’istruzione programmata all’e-learning


L’istruzione programmata consiste in una serie di lezioni graduate, mediante sequenze, registrate in
modo tale da poter essere facilmente riprodotte su nastri magnetici, microfilm, oppure su testi messi
a disposizione dell’allievo direttamente o mediante le macchine.
I “principi psicologici” che la caratterizzano sono due:
1. la gradualità: ogni unità è graduata; in tal modo le possibilità di errori sono minimizzate.
L’allievo affronta principalmente nozioni elementari e, solo dopo aver risposto in modo e-
sauriente alle domande poste, affronta le nozioni più complesse. Ogni fase rende agevole la
comprensione di quelle successive;
2. il rafforzamento: l’immediata conferma circa la correttezza delle risposte fornite agisce co-
me “ricompensa” nei riguardi dell’allievo, rafforzando il suo processo di apprendimento.
Per quanto riguarda le “caratteristiche” di questa tecnica, basata su una serie di domande e risposte,
possiamo descriverne le fasi cronologiche come segue:
1. all’allievo si fornisce un’informazione alla volta; la materia è frazionata in unità costituite da
una o più frasi
2. ogni unità agisce come stimolo all’allievo a cui egli deve fornire una risposta immediata
3. l’allievo ha fa subito conferma sulla correttezza o meno della risposta data esaminando
l’unità successiva. In tal modo l’alunno partecipa al proprio apprendimento.
Il docente svolge un controllo tramite “riunioni programmate” per colmare eventuali lacune di al-
cuni allievi, o per sviluppare alcuni aspetti del programma rivelatisi interessanti.
Esistono fondamentalmente tre metodi di istruzione programmata:
1. metodo lineare
2. metodo ramificato
3. metodo misto.
Nel primo metodo l’istruzione programmata si presenta secondo “sequenze lineari di piccoli passi”
o secondo “sequenze ramificate”. Nella sequenza lineare ogni unità informativa è costituita da una
semplice frase che comprende pochi dati e da una domanda che implica le informazioni presentate.
Con la sequenza ramificata, a seconda delle risposte date dall’allievo, il programma prevede svilup-
pi differenti, ad esempio specifici programmi di recupero, oppure la possibilità di saltare alcune uni-
tà in formative e procedere più rapidamente per i soggetti più abili. Il metodo misto presenta ele-
menti dei due metodi illustrati.
I “sistemi intelligenti” si basano sulle teorie cognitivista e sono progettati per riprodurre le caratteri-
stiche di un insegnante umano. Si parla di “prodotti di autoformazione” su WEB WBT (Web Based
Training).
La formazione tramite Web è definire una strategia orientata a dare agli studenti la possibilità di
plasmare lo spazio dell’apprendimento secondo i propri bisogni o,m meglio ancora, ancorare la pos-
sibilità di interagire in modo flessibile con i materiali formativi e, più in generale, con tutto ciò che
è “formazione” attraverso il supporto delle reti da corsi a distanza all’imparare esplorando e navi-
gando.
Ciò che oggi chiamiamo “e-learning” nasce dall’integrazione di due diversi campi di sperimenta-
zione nelle tecnologie didattiche: con lo sviluppo di Internet e del World Wide Web, con la diffu-
sione del suo utilizzo nasce “l’online learning”.
L’e-learning mostra le seguenti caratteristiche:
- nuove forme di coinvolgimento degli alunni
- aumento della curiosità e della voglia di esplorare
- possibilità di simulare in rete situazioni con risvolti pratici
- sviluppo di forme di educazione assistita
- crescita della tutorship tra pari

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- crescita delle attività formative legate ai bisogni reali del mondo del lavoro
- sviluppo di pratiche formative
- aumento del bisogno di “intensità” nelle esperienze formative
- possibilità di garantire agli alunni feedback immediati sui loro bisogni formativi.
Quali sono i vantaggi dell’e-learning per l’utilizzo come tecnica di insegnamento?
1. utilizza i protocolli del W.W.W. e non richiede, quindi, all’allievo nessuna attrezzatura par-
ticolare che non sia un pc connesso ad Internet
2. introduce forti elementi di “flessibilità” nel processo di apprendimento: si gestiscono libe-
ramente tempi e percorsi di apprendimento
3. prevede l’uso integrato di “più codici” (testi, indagini, animazioni, suoni, filmati…), arric-
chendo l’esperienza formativa
4. l’”interattività”, ovvero la presenza di una forte componente comunicativa. L’esperienza
formativa è basata sulla condivisione delle conoscenze e sul confronto. Le soluzioni tecni-
che per consentire l’interscambio sono plurime (ambienti di comunicazione “asincrona” co-
me forum, mailing list, e-mail, oppure “sincrona”, come chat, videoconferenze…), ciascuna
delle quali presenta punti di forza e aspetti di criticità. Si realizza anche attraverso
un’organizzazione e articolazione dei contenuti che preveda la libera esplorazione iperte-
stuale dei materiali offerti e infine attraverso la possibilità di verificare il proprio personale
percorso attraverso una gamma articolata di operazioni di feedback
5. la “modularità”: la suddivisione dei contenuti in “moduli didattici”, segmenti significativi e
unitari in grado di far perseguire obiettivi
6. la presenza di una nuova figura di docente: il tutor esperto. E’ il “facilitatore” che supporta
l’allievo attraverso tutto il percorso formativo. Ha nuove competenze metodologiche mirate
all’apprendimento a distanza e particolari competenze relazionali. La sua azione si svolge a
più livelli: interagisce con ogni allievo per orientarlo nel percorso, per dare immediata rispo-
sta a eventuali difficoltà o indirizzare le sue domande laddove ci può essere soluzione al
problema che si è presentato; interagisce inoltre col gruppo degli allievi in qualità di “mode-
ratore” e “animatore” della comunità di apprendimento.

Mastery learning

Traducibile come “apprendimento per la padronanza” è un modello di azione didattica che mira a
un apprendimento efficace per il più alto numero di allievi.
La procedura prevede il “frazionamento” e l’ottimizzazione del lavoro didattico, per una democra-
tizzazione dell’educazione, è connesso all’apprendimento di abilità con lo sviluppo sistematico di
processi metacognitivi, decisionali e creativi. E’ una modalità di organizzazione didattica molto at-
tenta alle diversità individuali nei ritmi e nei tempi di apprendimento degli allievi. I procedimenti
sono i seguenti:
1. definizione operativa degli obiettivi: l’insegnante definisce le abilità concettuali e operative
che gli studenti devono raggiungere al termine dell’intervento didattico
2. frazionamento del contenuto in unità significative: si stabiliscono i “livelli intermedi” defi-
nendo gli obiettivi particolari in una successione di unità didattiche in grado di promuovere
progressivamente le abilità finali
3. elaborazione di “prove” in grado di verificare il raggiungimento o meno degli obiettivi
4. predisposizione delle “unità didattiche” tenendo conto il più possibile dello stato di prepara-
zione iniziale degli allievi
5. strutturazione di “attività integrative e di recupero” da proporre a quegli allievi che non a-
vessero ancora raggiunto i livelli intermedi di abilità
6. controllo che gli allievi non affrontino l’unità successiva se non hanno conquistato il “mini-
mo indispensabile” di dominio delle conoscenze e competenze previste dalle unità preceden-
ti.

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Nella scuola secondaria il mastery learning può essere proficuamente utilizzato come “metodo di
insegnamento individualizzato” per l’addestramento di specifiche “abilità tecniche” o con allievi
in situazione di handicap, o in presenza di disagi nell’apprendimento più o meno gravi, anche tem-
poranei.

La lezione

Appartiene ai metodi “espositivi” ed è un tipico esempio di “comunicazione ad una via”. Nono-


stante esistano diversi tipi di lezione, tale tecnica può essere impiegata efficacemente solo per il rag-
giungimento di obiettivi formativi di miglioramento di “conoscenze teoriche”.
Possiamo distinguere 4 tipi di lezione:
1. “metodo puro”: comporta la trasmissione unidirezionale dell’informazione. Il docente spie-
ga e gli studenti ascoltano. Benché presupponga l’ascolto attivo da parte dell’allievo, questa
tecnica si basa su una concezione ricettiva dell’apprendimento
2. “metodo interrogativo o attivo”: affonda le sue radici nel dialogo. Durante l’esposizione o
alla fine di essa, il docente formula domande agli studenti. Lo scopo fondamentale
dell’interrogazione è il feedback: verificare se il messaggio è stato compreso correttamente
e, in caso negativo, modificarlo e riformularlo
3. “metodo partecipativo”: durante la lezione gli alunni possono porre domande e intervenire
secondo modalità negoziate: periodi di ascolto (fase passiva) si alternano a periodi di inter-
vento (fase attiva). La partecipazione si completa con esercizi applicativi o altre attività co-
muni
4. “metodo riflessivo”: è anche definita “lezione per l’elaborazione” e rappresenta una partico-
lare modalità che trova origine nell’ambito di una concezione pedagogica realmente attiva,
che pone il partecipante al centro di un processo formativo, atto a non fornire risposte sicure
e definitive, ma che, al contrario, lo allena a porsi domande intelligenti e a sostare
nell’incertezza e nella ricerca personale di risposte.
Al di là degli svantaggi (sviluppo esclusivo di funzioni intellettuali, utilizzo prevalente del linguag-
gio verbale, esclusione degli interessi e delle motivazioni degli allievi) e dei vantaggi (efficienza
perché si presentano in breve tempo numerosi contenuti, l’argomento della lezione è delimitato, po-
ne le basi e organizza il campo per lo studio, presenta modelli di razionalità e codici linguistico-
semantici impostati secondo le regole della struttura disciplinare), la sua efficacia dipende in mas-
simo grado:
1. dalle “competenze professionali del docente”, ossia quanto egli sia competente nel “costrui-
re interventi eccellenti”, ricchi e articolati nei contenuti e affascinanti nel coinvolgimento
espositivo
2. dal personalizzare l’esposizione, rapportandola alle caratteristiche del gruppo, adattando i
codici linguistici, semantici ed esperienziali senza abbassare la qualità dell’insegnamento
3. dal “coinvolgere con strategie partecipative”, limitando i monologhi
4. dall’impiego di “sussidi e tecnologie didattiche” al fine di integrare la comunicazione ver-
bale con altri linguaggi.
Storicamente nella scuola sono andate affermandosi tre distinte modalità fondamentali di svolgere
la lezione:
1. lezione centrata sul contenuto: logocentrica
2. lezione centrata sull’allievo: psicocentrica
3. lezione centrata sull’azione spontanea: empiriocentrica
4. lezione integrale: come possibile integrazione.
Dal punto di vista strutturale, la lezione può essere scomposta in “tre fasi in progressione”:
1. fase iniziale (avvio della lezione). Lo scopo è di costruire le condizioni necessarie per
un’adeguata ricezione del messaggio. Finge da collegamento tra le conoscenze pregresse e
l’argomento della lezione. Il modo di cominciare la lezione determina il coinvolgimento de-

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gli studenti. Le parti della fase iniziale sono: a) la determinazione del tema della lezione e
degli obiettivi; b) l’individuazione, selezione e condivisione dei saperi preesistenti negli
studenti; c) promozione della motivazione iniziale; d) creazione del clima
2. fase centrale (il corpo della lezione per puntare all’essenza). Si compone di azioni messe in
atto dall’insegnante che costituiscono il nucleo essenziale della lezione: a) sviluppo ordina-
to e coerente dei concetti; b) transfer delle conoscenze; c) stimolo continuo verso
l’obiettivo; d) uso formativo della ridondanza; e) rinforzi tematici; f) feedback parziali; g)
conclusioni intermedie; h) uso degli esempi; i) uso dei mezzi didattici; l) partecipazione
dello studente
3. fase finale (conclusione per connettere). E’ il completamento della lezione. E’ un momento
fondamentale per i processi di consolidamento dell’appreso, di analisi per ulteriori appro-
fondimenti, di mantenimento dell’interesse personale. E’ costituita da: a) riassunto finale;
b) controllo finale; c) assegnazione dei compiti complementari; d) presentazione di rife-
rimenti anticipati; e) clima finale.
La tecnica della lezione può essere accompagnata dall’integrazione di altre tecniche (come il role-
playing), quando gli obiettivi formativi non riguardano esclusivamente la trasmissione di conoscen-
ze, ma sono legati alla sfera di competenze operative o comportamentali.

Il metodo dei casi (case method)


Consiste nell’affidare a un gruppo di persone il racconto fedele di un insieme di avvenimenti o di un
a situazione problematica e nel promuovere una discussione per analizzare il problema, per com-
prendere meglio le ragioni profonde degli eventi e dei comportamenti agiti dai diversi ruoli in gio-
co.
Gli “obiettivi” che la tecnica persegue sono due:
1. il primo è focalizzato sui “contenuti specifici del caso”: è finalizzato all’apprendimento di
competenze su come diagnosticare e intervenire in situazioni analoghe a quelle presentate
nel caso esposto e discusso
2. il secondo è focalizzato sulla “modalità di approccio al caso”: l’approccio è quello di favo-
rire lo sviluppo di capacità di analisi e di decisione mediante lo studio di situazioni e di pro-
blemi complessi. Il caso è, per così, un “pretesto” utile a sviluppare la capacità di compren-
dere e valutare situazioni complesse, di individuare le possibili opzioni, di effettuare le scel-
te più adeguate alla soluzione dei problemi.
Questa tecnica permette lo sviluppo delle seguenti “competenze”:
- analizzare le informazioni di cui si è in possesso e porre in evidenza le connessioni
- tentare una diagnosi anche senza essere in possesso di tutte le informazioni
- distinguere cause ed effetti
- collegare le proprie conoscenze, capacità e atteggiamenti nel tentativo di prospettare solu-
zioni al problema proposto
- prevedere gli effetti delle soluzioni alternative considerate sulla base di valori e criteri im-
pliciti
- sensibilizzare all’interazione e alla discussione creando condizioni che facilitano la com-
prensione reciproca
- assumere un atteggiamento ricettivo nei confronti dei compagni.
Tra le “motivazioni” di questo “successo” sono da ricercare principalmente le “caratteristiche” che
sono:
 elasticità: un medesimo “spaccato” può essere variamente utilizzato secondo le com-
petenze dello studente da una parte e delle abilità del docente dall’altra
 varietà: esistono diversi tipi di casi (lunghi, corti, singoli, in serie…) e ciò consente
un intenso impiego di questo metodo prima che si giunga all’assuefazione da parte
degli attori del processo formativo)

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 generazione di motivazione all’apprendimento: lo strumento consente un alto grado
di efficacia ed efficienza del processo di apprendimento dello studente motivandolo
a seguire il proprio sentiero di sviluppo delle conoscenze attraverso la partecipazione
attiva all’atto educativo. I casi, infatti, comportano l’esercizio di un ruolo attivo dello
studente
 limitata presenza di vincoli tecnici: consente un uso più agevole, e quindi maggiore,
dei casi rispetto agli altri metodi didattici che richiedono una particolare strumenta-
zione.
Si possono distinguere “sei tipi di casi”:
1. “casi di decisione”: descrivono da una parte una situazione di partenza resa esplicita e preci-
sa nei suoi particolari, dall’altra uno scopo, una situazione a cui si vuole arrivare. Il gruppo
deve individuare i mezzi o le soluzioni più adeguate. Si tratta di dedurre una soluzione dai
dati a disposizione
2. “casi di studio dei problemi”: differiscono dai precedenti nella situazione di partenza che sa-
rà meno definita. Infatti se forniranno informazioni necessarie rilevanti e, nello stesso tem-
po, informazioni irrilevanti (sarà il gruppo a decidere), ci si varrà in maggior misura del fat-
tore umano che a volte sarà predominante (i personaggi si faranno conoscere per il loro ca-
rattere, spesso indicato dal comportamento o condotta precedente), certe informazioni po-
tranno mancare o essere incomplete (per creare incertezza e indeterminazione)
3. “casi di studio dei casi”: il caso in oggetto è “reale” e viene presentato integralmente. Qui,
posto un problema, è stata presa almeno una decisione che, una volta attuata, ha fallito il suo
scopo. Quest’ultimo dato è fondamentale: “uno studio dei casi non deve mai far vedere una
soluzione che ha funzionato”; ciò per evitare di trasmettere l’idea che esista una “via miglio-
re”, una “soluzione-tipo”
4. “casi di identificazione dei problemi”: nei primi tre casi l’identificazione delle difficoltà, del
problema sollevato dal caso è evidente (c’è un tema centrale e uno o due temi connessi).
Una difficoltà che questo e gli altri casi non risolvono è quella di scoprire, di identificare i
problemi, non quelli apparenti ma reali, in una data situazione
5. “l’incident method” o “incident progress”: i componenti di un gruppo devono esaminare un
breve resoconto di una situazione stressante e devono portare alla luce i dati rilevanti prima
ancora di analizzare il problema (il metodo sarà trattato successivamente, a parte)
6. “serie di case method”: di tratta di una serie di incidents o sviluppi che vengono presi in e-
same, uno alla volta in ordine cronologico.
Proponiamo alcuni “suggerimenti” che partono dal presupposto che la discussione del caso avvenga
dopo una lezione di inquadramento:
a. dare una rapida lettura al caso prima della lezione, in tal modo quest’ultima diventa “attiva”,
poiché si individuano più facilmente i problemi sollevati dal caso
b. rileggere il caso prendendo appunti sulle parti più rilevanti e più complesse del caso
c. leggere il materiale di supporto al caso e le letture consigliate
d. analizzare il caso, utilizzando strumenti conoscitivi acquisiti negli insegnamenti specialistici
frequentati precedentemente dall’allievo.
Il ruolo del docente è quello di attivare e organizzare la discussione.
Per concludere, dobbiamo ricordare che all’interno dell’ampia argomentazione sulla tecnica del ca-
so, vi è una parte piuttosto consistente sui modi per la “costruzione di un caso”, ogni volta che i ca-
si disponibili non hanno molta attinenza con la situazione attuale di insegnamento.

La ricerca-azione in classe

E’ una tecnica espressione del metodo euristico partecipativo. Metodologicamente il ciclo della ri-
cerca-azione comprende le seguenti fasi:

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1. “identificazione dei problemi da risolvere”, delle cause di quei problemi, dei contesti e de-
gli ambienti in cui i problemi si collocano, delle risorse a disposizione e dei vincoli che co-
stringono a fare determinate scelte
2. “formulazione delle ipotesi di cambiamento” e dei piani di implementazione.
Facciamo un esempio: si affronta con gli studenti il problema relativo al rispetto dell’ambiente; una
volta precisate le diverse angolature di studio (identificazione del problema) si definisce l’ipotesi di
cambiamento (“vogliamo che la nostra scuola sia igienicamente ed ecologicamente pulita”). I piani
di implementazione dovranno tradurre l’ipotesi di cambiamento in progetti operativi (“le seconde si
occupano del giardino mettendo in atto le azioni x, y, z; le terze si interessano dei rifiuti riciclabi-
li…”)
3. “applicazione” delle ipotesi nei contesti-obiettivo dei paini formulati, quindi agire
4. “valutazione dei cambiamenti intervenuti” e revisione dei progetti e piani adottati
5. “approfondimento, istituzionalizzazione e diffusione” capillare delle applicazioni con valu-
tazione positiva.
Perché utilizzare la tecnica della ricerca-azione con gli studenti? Per comprendere
- la complessità dei sistemi in cui l’uomo interviene
- l’ammutinamento delle variabili: quando interviene il fattore umano è difficile isolare e
bloccare le variabili
- la parzialità del punto di vista del ricercatore
- la necessità di immergersi nella situazione studiata facendo ricerca sulla situazione-
problema (lo studente fa ricerca su se stesso, si sente coinvolto e corresponsabile)
- la presa in carico di percorsi euristici di ricerca (le soluzioni ai problemi reali raramente pos-
sono essere individuate secondo logiche algoritmiche; al contrario, esse richiedono percorsi
euristici).

Le esercitazioni dimostrative (o analogiche)

Si tratta di una grande varietà di dispositivi e di strumenti, per cui è consuetudine tentarne una clas-
sificazione in modo da rendere più chiara la trattazione. Possiamo distinguere:
1. esercitazioni dimostrative (o analogiche): hanno lo scopo di evidenziare fenomeni sociali
2. esercitazioni di analisi (o sul “qui ed ora”): hanno lo scopo di favorire l’0analisi delle rela-
zioni interpersonali che si sviluppano in aula.
Cominciamo dalle esercitazioni dimostrative o analogiche.
Le esercitazioni sono attività connotate come “gioco”. Sono costruite su situazioni fantastiche e non
facilmente rintracciabili nella realtà e la loro utilità è da ricercarsi nella possibilità che tali esercita-
zioni offrono nell’esaminare le relazioni esistenti tra alcune situazioni sociali artificiali e i processi
cognitivi reali degli individui coinvolti. Sono definite anche col termine di “giochi psicologici”, in-
dicando quegli strumenti che accelerano il processo e facilitano la presa di coscienza: essi attivano e
rendono manifesti processi sia intrapsichici che relazionali agevolando così il riconoscimento, la
comprensione, la gestione intenzionale.
Circa gli obiettivi del gioco, questi sono finalizzati a facilitare la presa di coscienza tipica dei propri
e altrui modi di funzionamento e delle dinamiche di gruppo e intergruppo.
In particolare, le esercitazioni sviluppano contemporaneamente sia il contenuto si una certa “area
tematica” (decisione, conflitto, negoziazione, comunicazione…), sia una certa fase o “livello della
dinamica relazionale” che il gruppo sta vivendo (livello individuale, diadico, piccolo gruppo, inter-
gruppo…).
Per comprendere meglio i due tipi di obiettivo possiamo utilizzare uno schema in cui si suddivido-
no i giochi psicologici in base agli obiettivi che sviluppano.

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DIDATTICA

DIDATTICA LINEARE.
Possono definirsi lineari quelle didattiche classiche in cui l’insegnante in modo diretto spiega e descrive agli studenti un argomento
senza preoccuparsi del loro coinvolgimento e della loro motivazione. Es. lezione frontale. Studente passivo.

DIDATTICA METACOGNITIVA.

Matrice teorico-culturale
Psicologia cognitivista e studi sull’apprendimento anni ‘70: –J.Flavell (studi su metamemoria; ruolo della conoscenza
metacognitiva). –A.Brown (ruolo del controllo metacognitivo). –J.G.Borkowsky et.al.(integrazione fra consapevolezza
e controllo: sviluppo del costrutto).
SCOPO: Promuovere la capacità di imparare ad imparare incrementando autoconsapevolezza e autoregolazione:
promuovere l’acquisizione di un atteggiamento strategico, rendendo l’allievo consapevole dei suoi processi cognitivi.
- Centratura non tanto sul cosa, ma sul come si apprende: in primo piano la riflessione sui processi della mente.
- Riconoscimento del ruolo attivo e responsabile del soggetto: attore del proprio apprendimento.
- Modello didattico tendenzialmente aperto e costruttivo (teach-back). Reciprocità/Dialogicità.
- Valorizzazione delle strategie che favoriscono l’ “esternalizzazione” dei processi mentali (rappresentazione in forma grafico-iconica di idee,
percorsi mentali e di azione; discussione e confronto in gruppo; valorizzazione dell’errore; autovalutazione…).
- Rinforzo delle basi affettive dell’apprendimento. (sostegno all’autostima ed al senso di autoefficacia; utilizzo di pratiche
incoraggianti…)
- Sviluppo dell’autonomia personale attraverso lo sviluppo dell’autonomia cognitiva.
- Assunzione di responsabilità individuale;
- Mancanza di delega a insegnanti e genitori;
- Completa attuazione del patto formativo.
- indica i traguardi;
- sviluppo di modalità di documentazione del lavoro fatto;
- sollecitazione dell’autovalutazione;
- confronto e condivisione
- impulso a impiegare in senso proattivo la riflessione sulla propria esperienza.
Ruolo del Docente: - crea un clima di classe adatto; - favorisce il confronto costruttivo e lo scambio reciproco; - costruisce il
materiale a beneficio degli studenti.
Controindicazioni •Approccio “mentalistico” all’esperienza. •Rischi di “saldatura”.

Efficacia della didattica meta-cognitiva si è vista in particolari campi dell’agire umano come ad esempio:
- Nel potenziamento della memoria, comprensione, apprendimento,
- Affinamento di competenze trasversali, come l’attenzione, la memoria, il metodo di studio,
(come anche consapevolezza, autoregolazione, autopromozione, controllo (Rosati parla di Uomo Totale).
- Apprendimento di abilità più prettamente curricolari, come la lettura e comprensione del testo, la matematica, la scrittura.
- Nei casi di presenza di soggetti affetti da ADHD, e in alcuni casi di ritardi mentali lievi.

L’intervento metacognitivo didattico, di fatti, si colloca in particolare nella pedagogia speciale.

Così l’approccio meta-cognitivo legato alle varie azioni didattiche “tende a formare la capacità di essere gestori dei propri processi
cognitivi, dirigendoli attivamente con valutazioni e indicazioni operative personali".

Apprendistato cognitivo
L'apprendistato cognitivo (cognitive apprenticeship) è una metodologia didattica sviluppata dai ricercatori americani Allan Collins,
John Seely Brown e Susan Newman, sostenitori della teoria pedagogica del costruttivismo sociale.

Si tratta di una proposta di organizzazione delle attività didattiche che riprende i principi dell'apprendistato tradizionale, della
cosiddetta "bottega artigiana" di un tempo, della didattica basata sulle competenze, della "concettualizzazione della pratica" e si
concretizza in un approccio che riserva maggiore attenzione agli aspetti metacognitivi e ai diversi contesti di applicazione del
processo di apprendimento.

Definizione di apprendistato cognitivo:


L'apprendistato è una pratica formativa che consiste nella partecipazione alle attività proprie di contesti lavorativi.

Nel caso di una formazione sul lavoro all'interno di un apprendimento tecnico-professionale le diverse modalità sono previste dal progetto educativo
dell'istituzione educativa di appartenenza. Un novizio che si avvia ad imparare un mestiere, una professione, una pratica è i n una posizione di
"partecipazione periferica legittimata" (descrive come le persone che apprendono partecipano a una comunità di praticanti e come, attraverso, un
processo sociale e collettivo diventano membri di una CdP), ma la sua posizione diviene sempre più centrale quanto più l'esperienza e la
partecipazione gli consentono di sviluppare abilità e conoscenze, cioè competenza.

Jean Lave e Etienne Wenger propongono un modello di "apprendimento situato" (Situated Learning), ed è in funzione dell'attività svolta, del contesto
e della cultura in cui avviene.

Altri riferimenti teorici in merito sono:


H.Gardner: apprendistato come ambiente cognitivo che “facilita il comprendere”.
L.Resnick: studi sull’efficacia formativa dell’apprendistato.
A. Collins et al.: apprendistato come strategia d’insegnamento.

Collins, Brown e Newman rivalutano i processi di modelling/coaching/scaffolding/fading, propri di un percorso di apprendistato, ai quali associano
una intensa attività di riflessione e concettualizzazione su quanto si fa e si impara.

L'apprendistato cognitivo si rifà, per alcuni aspetti, ai concetti espressi da Lev Semënovič Vygotskij sull'interiorizzazione e sulla zona di sviluppo
prossimale, concetti che indicano quanto nel processo di apprendimento dell'individuo siano rilevanti l'interazione con gli altri e l'aiuto degl i altri.

Lo sviluppo delle funzioni cognitive più complesse in un individuo emergono, secondo l'apprendistato cognitivo, con la collaborazione di individui
"esperti", che fungono per il soggetto come modelli: l'esperto esibisce la propria prestazione, guida, orienta e conduce l'apprendista verso nuove
competenze.

Il modellamento (modelling) permette all'apprendista di appropriarsi di saperi e procedure utili a situazioni specifiche o più largamente a contesti
sociali e di realizzare quella che viene definita: partecipazione guidata.

Il concetto di partecipazione guidata, secondo Barbara Rogoff, sostanzia il processo educativo come atto reciproco in cui l'alunno, l'apprendista,
acquisisce conoscenze attraverso la collaborazione con il tutor e attivamente contribuisce alla risoluzione di problemi muovendosi all'interno di
contesti di interazione casuali e informali (tutoring).

Il funzionamento cognitivo si modifica giorno per giorno grazie ai rapporti di apprendistato, che consistono in:
- allenamenti e assistenza da parte dell'esperto (coaching);
- in un sostegno e appoggio continuo attraverso indicazioni e feedback (scaffolding);
- in una graduale riduzione dell'assistenza (fading) man mano che l'apprendista diviene più competente ad articolare ciò che sta svolgendo e ad
esporre a voce alta l'esperienza di cui ha maturato consapevolezza;
- in una riflessione ponderata sulle sue prestazioni e nel confronto di queste con quelle dei pari o degli esperti, confronto che potenzia le abilità di
autocorrezione e di autoregolazione;
- infine, nell'esplorare e risolvere problemi in maniera autonoma e scegliendo percorsi e soluzioni nuove.

Un esempio di apprendistato cognitivo sono le comunità di pratica, contesti di apprendimento basati sulla condivisione, collaborazione e aiuto
reciproco in cui si genera conoscenza. In esse l'apprendente matura quella particolare energia psichica che sostiene il proce sso di apprendimento, la
motivazione, soprattutto se le situazioni di problem solving a lui prospettate sono reali. Le modalità sociali e di apprendistato in tali ambienti di
apprendimento si sono sviluppate maggiormente con l'avvento delle tecnologie multimediali. L'interazione che si intesse è tra gli esperti, gli
apprendisti e gli strumenti tecnologici culturalmente determinati.

La conoscenza è distribuita tra le persone, le fonti di informazioni, i dati raccolti, le tecnologie che ne sostengono l'organizzazione, tra gli
interlocutori, esperti e pari, con cui si comunica.

Elementi che sostengono l'apprendistato cognitivo

Contesto: Il contesto è il luogo dove si sviluppano i processi cognitivi, si stabiliscono interazioni sociali e si genera la conoscenza situata tipica degli
ambienti di apprendistato.

Incapsulamento dell'apprendimento: fenomeno che limita e circoscrive gli apprendimenti scolastici al ristretto ambito della scuola e pertanto
produce conoscenze non riutilizzabili. La modalità dell'apprendistato mira al superamento di questa tendenza e a determinare un sapere critico
generalizzato da poter spendere nelle diverse esperienze.

Comunità di allievi: l'apprendistato cognitivo si fonda sull'interazione sociale che crea expertise distribuita tra i vari componenti della comunità
attraverso pratiche collaborative.

Insegnamento reciproco: è il punto focale dell'apprendistato cognitivo che si determina in virtù del modellamento, dell'assistenza e del sostegno,
sia l'esperto sia l'apprendente assumono il ruolo di insegnante.

Metodi di insegnamento

Collins, Brown e Newman svilupparono sei metodi da applicare durante le diverse fasi dell'apprendistato cognitivo:
- i primi tre (modeling, coaching, scaffolding) sono il fulcro dell'apprendistato e sono legati all'area cognitiva e metacognitiva;
- i due successivi (articulation and reflection) sono sviluppati al fine di favorire la tecnica del problem-solving;
-l'ultimo passo (exploration) è pensato per aiutare a condurre l'apprendista all'indipendenza e per aiutare ad identificare e risolvere eventuali problemi.

Modelling: prevede che il maestro illustri e svolga un compito in presenza dell'apprendista, il quale può così costruire un modello concettuale grazie
all'esperienza (per esempio, un docente di matematica potrebbe illustrare a voce alta ogni singolo passaggio durante lo svolgimento di un compito,
fungendo da modello all'apprendista).
Coaching: Qui invece, l'esperto osserva i compiti svolti dall'apprendista, dando suggerimenti e feedback mirati allo sviluppo delle con oscenze e al
miglioramento delle prestazioni. Il maestro assiste continuamente secondo le necessità del ragazzo.

Scaffolding: In questo metodo, vengono strutturate le strategie e i metodi utili all'apprendista per migliorarne conoscenze e rinforzare
l'apprendimento e questo può avvenire per manipolazione, in maniera attiva o tramite il lavoro di squadra, il maestro fornisce un appo ggio
all'apprendista, uno stimolo e pre-imposta il lavoro.

Articulation: Questa fase evidenza l'importanza dell'indagine, del pensare ad alta voce e il ruolo critico degli studenti; attraverso l'indagine, gli
insegnanti pongono domande agli studenti per permettere loro di comprendere meglio il loro grado di conoscenza e per formare migliori modelli
concettuali; il pensare a voce alta, obbliga gli studenti ad articolare i propri pensieri mentre risolvono i problemi. Gli studenti assumono un ruolo
determinante nel momento in cui monitorano il lavoro svolto dai loro colleghi durante le sessioni di gruppo.

Reflection: In questa fase l'apprendista ha la possibilità di comparare i propri processi e metodi di problem solving con quelli di altri esperti o colleghi;
un metodo utilizzato è quello di comparare le precedenti performance di esperti e studenti, sottolineando gli aspetti comuni e quelli distanti, con lo
scopo di migliorarsi di volta in volta.

Exploration: Gli studenti devono risolvere i problemi in autonomia, in forma nuova, inoltre devono essere in grado di insegnare ai loro colleghi
strategie di problem-solving.

(Ruolo Docente/Esperto: modelling; scaffolding; definisce i passaggi chiave; tutoring; fading; monitoring).

LA DIDATTICA BREVE.
Si rifà alle teorie di Taylor. Si basa sull’essenzialità dei concetti. Nata una ventina di anni fa, la didattica breve, fu ideata come strumento per accelerare
l’aggiornamento dei docenti senza intaccare la qualità. La didattica breve cioè, utilizza tutte le metodologie utili a sintetizzare i concetti riducendo fino
al 50% i tempi necessari all’apprendimento di determinate discipline. Le metodologie di didattica breve variano da disciplina a disciplina poiché a
seconda dei contenuti si utilizzano strategie diverse per raggiungere determinati obiettivi La ricerca di metodologie innovative di didattica breve è
sempre viva e si basa sulla sequenza “contenuti – metodi – contenuti”.

LA DIDATTICA DELL’OSCURO.
Molta dell’attività dell’insegnante è evidente e diretta, ed è quella che possiamo chiamare la “didattica del chiaro”.
Accanto a tali attività ce ne sono altre che lo stesso docente non esprime con intenzionalità come, ad esempio, le sue prefer enze, le sue convinzioni, le
sue sicurezze o insicurezze, i suoi modi di pensare, elementi che vengono assorbiti inconsapevolmente dagli adolescenti e preadolescenti, inf luenzando
in tal modo i loro comportamenti e i loro modi di essere. I genitori guidano in maniera più diretta i loro figli, mentre gli insegnanti costituiscono un
esempio e una guida indiretta ma non meno incisiva. E’ evidente allora l’importanza che in questo caso hanno dinamiche affett ive per lo sviluppo dei
processi cognitivi degli studenti. Questo perché ciò che si è e ciò che si fa “insegna” molto più di qualsiasi contenuto trasmesso con le parole.

LA DIDATTICA ORIENTATIVA.
Una didattica basata sull’orientamento tende a favorire l’iniziativa del soggetto per il proprio sviluppo ed è quindi centrata su colui che
apprende quale autore delle proprie scelte e del proprio progetto. Deve avvalersi, quindi, di metodologie plurali e curricoli flessibili
secondo schemi in grado di:
• Incoraggiare i livelli di autogestione e autovalutazione (confronto con gli altri, saper dare un senso alle cose, coniugare l’evidenzia dei fatti con il
richiamo ai valori, individuare le alternative). • Porre il soggetto in condizione di conquistare la propria identità di fronte al contesto sociale. •
Favorire la capacità di valutare per decidere generare in lui la capacità decisionale basata su una conoscenza di sé. • Individuare e incoraggiare le
inclinazioni e quindi destare gli interessi per specifiche esperienze disciplinari.

In sostanza, si tratta di arricchire l’Io del discente di desideri e aspirazioni e di quelle abilità strategiche in grado di comprendere ed
affrontare in modo critico le difficoltà e le scelte di tipo personale formativo e lavorativo che la vita propone.
In questa prospettiva il docente assume molta rilevanza per motivare gli studenti alla autocotruzione e autovalutazione del proprio
sapere. Una didattica orientativa si configura, quindi, come un’azione di accompagnamento dell’allievo, durante il suo percorso di
apprendimento in modo da fargli acquisire: •Consapevolezza e conoscenza delle proprie caratteristiche e potenzialità e criticità.
•Capacità di metacognizione •Capacità di apprendere ad apprendere in modo autonomo.

METODO EURISTICO-PARTECIPATIVO: la ricerca-azione in classe.


METODO EURISTICO.
L’euristica è l’arte della ricerca, cioè quella parte della scienza che si occupa di scoprire i fatti, ciò che succede. In pedagogia il
metodo euristico è anche conosciuto come il metodo della scoperta e consiste nel condurre gradualmente l’alunno a scoprire da solo
ciò che si desidera egli conosca mediante un costante ed attivo suo coinvolgimento nei percorsi di ricerca e d interpretazione. Così
operando, l’alunno padroneggia le conoscenze acquisite ed è in grado di utilizzarle per le successive fasi di apprendimento.

LA RICERCA-AZIONE.
Lo scopo della ricerca-azione è il cambiamento, delle persone, delle relazioni, del contesto. Metodologicamente il ciclo della ricerca-
azione comprende le seguenti fasi:
1. Identificazione dei problemi da risolvere, delle cause di quei problemi, dei contesti e degli ambienti in cui i problemi si
collocano, delle risorse a disposizione e dei vincoli che costringono a fare determinate scelte.
2. Formulazione delle ipotesi di cambiamento e dei piani di implementazione.
3. Applicazione delle ipotesi nei contesti-obiettivo dei piani formulati, (non si parla più, ma si agisce).
4. Valutazione dei cambiamenti intervenuti e revisione dei progetti e dei piani adottati.
5.Approfondimento, istituzionalizzazione e diffusione capillare delle applicazioni con valutazione positiva.
La ricerca-azione è un metodo per costruire la conoscenza partendo da un problema. La caratteristica della R/A sta nel fatto che tutti sono in ricerca,
docenti e discenti. Il sapere nasce dalla ricerca, non c’ è prima un sapere e poi una sua applicazione, ma si agisce, si riflette sull’ azione e si
formalizza.
Le fasi della ricerca-azione possono anche essere le seguenti:
1. Condizioni (azzeramento delle difficoltà di contenuto, formulazione della consegna, non inquinamento della prova);
2. Socializzazione (TA.CO.CA.);
3. Organizzazione della conoscenza ( grafi e tabelle);
4. sistemazione delle conoscenze (tabelle);
5. costruzione delle conoscenze (testo scritto).

La Token Economy.
Tradotta in italiano come economia simbolica, economia a gettoni o anche sistema di rinforzo a gettoni. E’ una tecnica psicologica
sviluppata sulla base della psicologia comportamentale.
Consiste in una forma di "contratto educativo", tramite il quale l'educatore stipula un accordo con il soggetto: ad ogni comportamento
corretto, quest'ultimo riceverà un gettone (o altri oggetti simbolici), e ad ogni infrazione, gliene sarà tolto uno o non gliene verrà
assegnato alcuno. In cambio di un certo numero di gettoni sarà garantito al soggetto l'accesso ad un determinato premio da lui molto
gradito. La tecnica viene utilizzata in diversi ambiti educativi, soprattutto per cercare di ottenere comportamenti adeguati al contesto.

METODOLOGIE E DIDATTICHE ATTIVE.


Le metodologie e didattiche attive si realizzano solo se nell’ambiente di apprendimento è presente uno stile relazionale
flessibile, che dà spazio agli interessi degli alunni e alle loro esperienze. Si pone al centro del processo lo studente,
valorizzando le sue competenze pregresse.
Non solo, ma per far sì che l'alunno non acquisisca solo conoscenze, ma soprattutto abilità e competenze, e tra queste quella di “imparare ad
imparare” nel modo per lui più giusto, dobbiamo servirci proprio di strategie e metodologie didattiche tese a valorizzare il potenziale di
apprendimento di ciascun alunno e a favorire la sua autonomia.

INTERDISCIPLINARIETA’.
E’ una metodologia didattica che consiste nell’esaminare la realtà nelle interrelazioni di tutti i suoi elementi, superando
in tal modo la tradizionale visione settorializzata delle discipline, in modo tale da favorire nell’alunno una conoscenza
globale più ampia e profonda e, perciò, più significativa.
Secondo Edgar Morin , occorre “allenare il pensiero dei bambini e degli adolescenti a dare un senso alla frammentarietà
delle informazioni, a ritrovare il filo rosso che connette le parti, anche imparando a selezionare ciò che è importante e
scartando ciò che è superfluo”.

CIRCLE TIME. (Letteralmente tempo del cerchio).


Il circle time è considerato una delle metodologie più efficaci nell’educazione socio-affettiva. I partecipanti si dispongono
in cerchio, con un conduttore che ha il ruolo di sollecitare e coordinare il dibattito entro un termine temporale prefissato.
La successione degli interventi secondo l’ordine del cerchio va rigorosamente rispettata. Il conduttore assume il ruolo di
interlocutore privilegiato nel porre domande o nel fornire risposte.
Il circle time facilita e sviluppa la comunicazione circolare, favorisce la conoscenza di sé, promuove la libera e attiva
espressione delle idee, delle opinioni, dei sentimenti e dei vissuti personali e, infine, crea un clima di serenità e di
condivisione facilitante la costituzione di un qualsiasi nuovo gruppo di lavoro o preliminare a qualunque successiva
attività.
Obietttivi: Favorire la conoscenza reciproca e la comunicazione tra tutti i membri del gruppo.
- Creare un clima sereno di rispetto reciproco in cui ognuno soddisfi il proprio bisogno di appartenenza e di individualità.
- Imparare a discutere insieme, ascoltando senza interrompere, accettando tutte le opinioni, sentendosi liberi di
esprimere la propria.
- Risolvere controversie e conflitti in maniera collettiva, evitando così interventi autoritari.

Si tratta quindi di una discussione democratica gruppale, che favorisce pro-socialità, percezione delle relazioni di aiuto,
condivisione delle problematiche e aumenta autostima e assertività favorendo il libero confronto e l’affermazione delle
proprie idee. L’insegnante si configura come facilitatore della comunicazione che favorisce il rispetto delle regole
comunicative.
DIDATTICA DEL COOPERATIVE LEARNING.
Matrice teorico-culturale
- Costruttivismo e prospetttiva socio-culturale
- Riflessione pedagogica (J.Dewey).
- Psicologia sociale (M. Deutsch).
- Ricerca psico-pedagogica (D. Jonhson e R.Jonhson, R. Slavin, S.Kagan e M.Kagan, E.Cohen).
- Zona di sviluppo prossimale (VYGOTSKIJ).

La matrice di tale didattica è da individuarsi nella pedagogia di Dewey che nel suo progetto educativo introdusse
l’utilizzo di gruppi di apprendimento basati sulla cooperatività.
SCOPO/FUNZIONI.
La didattica in questione consiste nel formare piccoli gruppi nei quali gli allievi lavorano insieme per svolgere attività di
apprendimento.
E’ previsto poi che essi ricevano valutazioni in base ai risultati conseguiti. La responsabilità finale è del gruppo per cui
tutti sono stimolati e motivati a lavorare.
Secondo Johnson, Johnson e Holubec (2008) le attività di apprendimento cooperativo dovrebbero prevedere la
contemporanea presenza dei seguenti 5 elementi fondamentali:
– Interdipendenza positiva (ogni membro si sente responsabile non solo del proprio lavoro ma anche quello degli altri)
– Responsabilità individuale e di gruppo (ovvero responsabilità condivisa sui risultati)
– Interazioni faccia a faccia
– Uso appropriato delle abilità collaborative
– Autovalutazione del lavoro e del gruppo.

- possesso di abilità sociali di base per l’interazione di un gruppo. - Interazioni tra alunni che sviluppano la socialità : indipendentemente dal
compito, tutti partecipano e contribuiscono.

L’interdipendenza positiva è considerata da numerosi autori come un elemento fondamentale del cooperative learning. Già Lewin e Deutsch, ma
anche Johnson e Johnson considerano infatti la presenza di interdipendenza positiva tra i membri come un aspetto che caratterizza i gruppi di
apprendimento cooperativo. Strutturare attività che prevedano l’interdipendenza positiva significa favorire la percezione degli alunni di far parte di un
gruppo e di dover lavorare tutti nella stessa direzione per portare a termine il compito con successo.
Un gruppo può essere caratterizzato dalla presenza di tre diversi tipi di interdipendenza (es., Johnson e Johnson, 1992): – Interdipendenza positiva
(Collaborazione tra i membri del gruppo); – Interdipendenza negativa (Competizione tra i membri del gruppo); – Assenza di interdipendenza (Lavoro
individuale; assenza collaborazione; Il proprio obiettivo non è correlato agli obiettivi del gruppo).
Una recente ricerca di Roseth, Johnson e Johnson (2008) mostra come le buone relazioni all’interno della classe incrementino in maniera significativa
l’apprendimento degli alunni. La presenza di un contesto collaborativo in classe favorisce l’apprendimento e il benessere psicosociale.
Esistono diversi modi per strutturare interdipendenza positiva tra i membri di un gruppo tra cui:
– Interdipendenza positiva dell’identità; degli obiettivi; della fantasia; della ricompensa; dei ruoli; delle risorse; del compito; della competizione. •
Varie ricerche mostrano come diversi tipi di interdipendenza positiva possono portare il gruppo ad ottenere risultati diversi (es., Mitchell, Johnson e
Johnson, 2002).
• La ricerca ha anche chiarito che prevedere più tipi di interdipendenza positiva contemporaneamente aumenta l’efficacia del gruppo collaborativo.
Ruolo Docente: (regista/facilitatore)
- definisce i traguardi da raggiungere; (definisce le regole del gioco)
- stabilisce la composizione dei gruppi,
- fissa le modalità di assegnazione dei ruoli,
- prepara il setting e i materiali
- spiega il compito
- struttura l’interdipendenza positiva
- (gestisce l’uso comune di risorse, riconoscimenti individuali ed al gruppo, insegnamento di abilità sociali)
- conduce la simulazione e il debriefing;
- valorizza il gruppo e cerca di far superare agli studenti la difficoltà a “mettersi in gioco”.
- revisione e controllo costante dell’attività svolta e le valutazioni individuali e di gruppo.

In particolare il suo compito è quello di Insegnare le ABILITÀ SOCIALI • competenza comunicativa,


•leadership distribuita, •negoziazione costruttiva dei conflitti, • soluzione di problemi, • capacità decisionale.
Quindi, compito del docente è quello di creare un clima cooperativo e l’uso di un modello di comunicazione efficace,
organizzare il gruppo in base ai ruoli e alle competenze degli allievi, osservare e intervenire solo quando è necessario.
Invece agli alunni è richiesto di osservare che tutti i componenti del gruppo partecipino attivamente che le informazioni
circolino e che le risorse vengano scambiate, che tutti comunicano e accettano le differenze individuali.
Tale didattica è utile quando si cerca di affrontare un compito complesso, in quanto la collaborazione rende il compito
meno pesante più affrontabile e quindi più motivante migliorando l’apprendimento e coinvolgendo anche gli alunni con
più difficoltà.
Passaggi Chiave: - messa a fuoco di situazioni problematiche, - organizzazione del compito, - studio autonomo e di
gruppo, - analisi del progresso e del processo, - ripetizione del ciclo di attività. Valutazione, feed back e
autovalutazione.
Ci sono due principali tipologie di cooperative learning:
Formale: è strutturato, facilitato e monitorato dall'educatore nel tempo ed è usato per compiti complessi. I gruppi possono variare da
2 a 6 persone impegnate in attività e discussioni che possono durare da pochi minuti a un periodo più lungo. Qualsiasi materiale o
compito può essere adattato a questo tipo di apprendimento.
Informale: integra l'apprendimento di gruppo nell'insegnamento espositivo e coinvolge piccoli gruppi (tipicamente di due persone)
che si dedicano ad approfondire il materiale di studio durante o alla fine della lezione (ad esempio in discussioni in cui ognuno si
rivolge al proprio partner). I gruppi comprendono da due a quattro studenti e possono cambiare da lezione a lezione. Questo tipo di
apprendimento permette agli studenti di elaborare, consolidare e conservare più a lungo le informazioni acquisite. La forma di
Cooperative Learning Informale rappresenta il ponte tra attività tradizionali e attività strutturate in Cooperative Learning. Con
Cooperative Learning Informale si indicano i vari modi di lavorare in gruppo (più o meno specifici) che possono precedere o seguire
una presentazione o spiegazione da parte dell’insegnante, un’esercitazione individuale, ecc.
Esempi di Cooperative informale sono: la discussione a coppie prima della lezione; la preparazione alla lezione a coppie; il
brainstorming a gruppi e poi collettivo; la presa di appunti e/o la schematizzazione a coppie; l’auto/eterovalutazione in coppie. Il
Cooperative Learning Informale è legato ad attività di durata breve, che possono essere adattate alle lezioni tradizionali.

TECNICHE DEL COOPERATIVE LEARNING


C'è un gran numero di tecniche di apprendimento cooperativo a disposizione (Schul, 2011; Kagan, 1994; Brown, 2001;
Slavin, 1990), tra cui ricordiamo quelle ideate da Elliot Aronson:
JIGSAW (PUZZLE)
Gli studenti entrano a far parte di due gruppi: il gruppo di casa (home group) e il gruppo di 'esperti' (expert group). Il gruppo di casa è eterogeneo e a
ciascun membro viene assegnato un argomento specifico diverso, per il quale diventa l'unico responsabile all'interno del gruppo. Una volta che
l'argomento è stato identificato, gli studenti lasciano il gruppo di casa e si riuniscono con i membri degli altri gruppi con cui condividono lo stesso
argomento. Nel nuovo gruppo (gruppo di esperti), essi studiano insieme il materiale relativo al proprio specifico argomento, prima di tornare al proprio
gruppo di casa. Una volta tornati nel gruppo di casa, ogni 'esperto' ha la responsabilità di insegnare agli altri membri del gruppo l'argomento assegnato,
in modo che anche gli altri lo apprendano.
JIGSAW II
Jigsaw II è una variante (Slavin, 1990) della tecnica Jigsaw, in cui ai membri del gruppo di casa viene assegnato lo stesso m ateriale di apprendimento,
ma ciascuno deve concentrarsi su parti diverse del materiale. Ogni membro deve diventare un "esperto" sulla propria parte e insegnare agli altri membri
del gruppo di casa.
REVERSE JIGSAW (JIGSAW AL CONTRARIO)
Si differenzia dallo Jigsaw originale durante la parte dell'attività dedicata all''insegnamento' (Hedeen, 2003), poiché gli studenti nei gruppi di esperti
insegnano a tutta la classe invece di tornare ai loro gruppi di casa per insegnare il contenuto di cui sono responsabili.
THINK PAIR SHARE (PENSARE IN COPPIA)
Gli studenti lavorano in coppia, per risolvere e rispondere ad una domanda o problema posto. Il docente propone il compito-stimolo; gli studenti possono
annotare i propri pensieri o semplicemente riflettere nella loro testa, poi, quando richiesto, si riuniscono a formare coppie e discutono le proprie idee e
poi ascoltano quelle del proprio partner. A seguito di questo dialogo alla pari, l'insegnante sollecita risposte da tutto il gruppo classe (Lyman, 1981).
RECIPROCAL TEACHING (INSEGNAMENTO RECIPROCO)
Si tratta di una tecnica cooperativa che consente a coppie di studenti di confrontarsi e discutere di un testo. I partner leggono a turno e si fanno
reciprocamente domande, ricevendo un feedback immediato (Brown & Paliscar, 1984). Questo modello consente agli studenti di ut ilizzare importanti
strategie metacognitive come chiarire, mettere in discussione, fare previsioni e riassumere.
STAD - STUDENT-TEAMS-ACHIEVEMENT DIVISIONS
Gli studenti sono inseriti in piccole squadre; la classe nel suo insieme segue una breve lezione su un argomento e successiva mente tutti gli allievi
studiano in gruppo e infine devono affrontare una verifica dell'apprendimento. Benché il test sia individuale, gli allievi sono classificati sulla base della
prestazione della squadra di appartenenza, per cui essi sono incoraggiati a lavorare insieme per migliorare il rendimento globale della squadra.

Tipi di Gruppo nell’Apprendimento Cooperativo:


Gruppi Informali: sono gruppi ad hoc, la cui durata va da pochi minuti a una lezione.
Gruppi Formali: la durata va dal tempo della lezione ad alcune settimane.
Gruppi di base: sono gruppi eterogenei a lungo termine della durata di almeno 1 anno.

PEER EDUCATION o EDUCAZIONE TRA PARI


Cornice Teorica: - Bandura (modeling e imitazione); Role-Modeling; - Teoria dell’azione del Contesto; - Rinforzo
positivo (Skinner); - Autoefficacia dei peer educators. È una metodologia che si sta diffondendo soprattutto per la
prevenzione di comportamenti a rischio, in quanto coinvolge attivamente i ragazzi direttamente nel contesto scolastico,
con l’obiettivo di modificare i comportamenti specifici e di sviluppare le life skills, cioè quelle abilità di vita quotidiana
necessarie affinchè ciascuno di noi possa star bene anche mentalmente.
In questa metodologia educativa i pari sarebbero dei modelli per l'acquisizione di conoscenze e competenze di varia
natura e per la modifica di comportamenti e atteggiamenti, generalmente relativi allo “star bene”, modelli efficaci in
misura spesso equivalente ai professionisti del settore.
Il peer non è un professore, non è esperto di un sapere scientifico preciso, ma sa gestire le relazioni: il suo ruolo è di
mediazione ed è per questo che è percepito come parte del gruppo.
Il peer educator è un ragazzo comune, con una consapevolezza maggiore dei processi comunicativi che si verificano nel gruppo dei
pari. Uno dei punti di forza della peer education è la riattivazione della socializzazione all'interno del gruppo classe. Il peer da solo
non trasforma nulla, ma è stimolo stesso della partecipazione: la classe, durante gli interventi, è coinvolta ed esortata
nell'elaborazione dei vissuti e delle esperienze.
La peer education dà agli adolescenti la possibilità di trovare uno spazio dove parlare di sé e confrontare le proprie esperienze “alla
pari”. Fa entrare lentamente la vita nella scuola: sono i peer a trasmettere e condividere esperienze, dubbi e incertezze con i pari. I
ragazzi coinvolti hanno le percezione di vivere un momento di vita informale all'interno del normale svolgimento della didattica
scolastica.
Come costruire un intervento di peer education? La progettazione comprende una serie di fasi:
- analisi dei bisogni dei destinatari,
- analisi delle risorse disponibili,
- finalità e obiettivi per rispondere ai bisogni dei destinatari,
- definizione del gruppo di lavoro,
- individuazione dei peer educator (secondo criteri fissati sulla base degli obiettivi stabiliti),
- formazione dei peer educator,
- progettazione e realizzazione degli interventi progettati,
- realizzazione degli interventi tra pari,
- valutazione.

Selezionati i peer educator, il gruppo ottenuto viene formato, utilizzando modalità interattive, come brainstorming,
giochi di ruolo, giochi cooperativi che aiutano i peer educator sia ad ampliare le loro conoscenze relative ai vari
comportamenti sia ad accrescere le abilità affettive, relazionali e comunicative utili a raggiungere i loro pari destinatari
del progetto.
Dal gruppo dei pari l’adolescente si sente compreso e sicuro e può sperimentare la propria autoefficacia, condividere
esperienze ed emozioni. Sulla base dell'esperienza di formazione, delle conoscenze e delle competenze in essa maturate,
delle caratteristiche specifiche dei destinatari, i peer educator progettano e realizzano iniziative connesse con i temi del
progetto, utilizzando gli strumenti di comunicazione che ritengono più adatti ai loro pari. In questa fase, i peer educator
possono, ad esempio, realizzare un video sul tema scelto, distribuire volantini, organizzare laboratori di animazione o
un ciclo di conferenze, etc.
La valutazione consiste nel verificare se i ragazzi sono diventati protagonisti e responsabili in prima persona della
propria educazione.

GIOCHI DI RUOLO. ROLE PLAYING.


TEORIA DEI RUOLI: “Il Sé nasce dai ruoli”: il comportamento e, di conseguenza, la nostra identità si strutturano attraverso
configurazioni di ruolo che noi giochiamo-interpretiamo a seconda delle varie situazioni. “Identità e comportamento sono, tra loro, in
una relazione ricorsiva: il comportamento causa l’identità che, a sua volta, causa il comportamento”. “Il ruolo è la forma operativa
che l’individuo assume come risposta ad una determinata situazione” (Jacob Levy Moreno).
Tecnica di drammatizzazione di comportamenti di ruolo sociali od organizzativi espressa attraverso una simulazione di situazioni
reali, nella quale non vengono analizzati, se non indirettamente, aspetti personali e soggettivi. È una metodologia didattica mirata
all’acquisizione di competenze relazionali (saper essere) connesse ad un profilo professionale.
Nel role playing sono proposte delle situazioni sociali e professionali tipiche, con un fine di formazione o di presa di coscienza dei
problemi. Non c’è un protagonista, ma solo un’occasione di “messa in azione”, un tema iniziale che dovrà tradursi in azione scenica
La messa in scena prevede la presenza di un conduttore/formatore, di uno o più attori e di altre persone che fungono da osservatori.
Esempi di competenze relazionali: ascolto attivo, gestione dei conflitti, comunicazione ecologica, gestione di un gruppo di lavoro,
collaboratività, orientamento al cliente, congruenza comunicativa, ecc….
LA PROGETTAZIONE
Descrizione evento relazionale: Obiettivo specifico: principali elementi di atteggiamento e comportamentali: • Dove accade (luogo). •
Quando accade (tempo). • A chi accade (persone). • Che rapporti ci sono tra queste persone (relazione). • Di che cosa si tratta
(problema)
IL Role Playing nella FORMAZIONE deve essere strutturato. Cioè si indica il contesto e la situazione psicologica dei ruoli giocati e si accenna il nodo problematico. Si
prevedono anche nel dettaglio le indicazioni relative a cosa deve essere detto e fatto.
L’ATTUAZIONE
Warming up: Questa fase comprende tutte quelle tecniche (brevi sketch e scenette, interviste, discussioni,...) volte a “riscaldare”
l’ambiente, a creare, se non ancora presente, un clima accogliente.
Azione: è la fase di gioco vero e proprio tra gli attori. Può comprendere tecniche particolari come l’inversione dei ruoli, il doppio
(l’assistente si pone alle spalle dell’attore e prova a dare voce a ciò che l’attore sembra non riuscire a esprimere. E’ una funzione di
sostegno, di accompagnamento).
Cooling off: Opposta al warming up, questa fase serve per uscire dai ruoli e dal gioco, a riprendere le distanze.
L’ANALISI E LA VALUTAZIONE (debriefing): 1. autoriflessione sull’esperienza (riflessioni sugli aspetti individuali
dell’esperienza): 2. messa a fuoco dei comportamenti e significati relazionali; 3. generalizzazione (esplorazione delle implicazioni
generali dell’esperienza).
Il role playing offre opportunità di apprendimento, In primo luogo legate al momento della messa in scena, della drammatizzazione, grazie al coinvolgimento che viene
stimolato; in secondo luogo legate al momento di commento, discussione, analisi di ciò che è avvenuto: delle parole, dei gest i, della postura, degli atteggiamenti, del detto e
del non-detto.
DEBRIEFING
Nei metodi attivi di apprendimento (come il role playing o le diverse forme di outdoor training) e nella didattica esperienziale, indica
il momento in cui, completata l’attività, il gruppo in formazione con la guida dell’insegnante/formatore torna riflessivamente su quello
che è accaduto per raggiungerne consapevolezza e fissarlo a quadri concettuali espliciti. E’ una riflessione autocritica di ciò che si è
fatto/appreso.
Si rivolgono agli alunni le seguenti domande: 1) Cosa hai imparato? (la risposta alla domanda manifesta il sapere acquisito relativo ai
concetti); 2) Come hai imparato? (qualità delle competenze raggiunte) 3) Quando hai imparato? (focus sugli stili cognitivi); 4) Che
voto daresti a questa attività e perché? (da 1 a 10). (indice di gradimento, motivazioni).
Il debriefing è la valutazione finale di un processo. Come il termine briefing, viene dal linguaggio militare, e letteralment e significa "andare a rapporto al termine di una
missione". In una riunione reale o virtuale con le persone che hanno partecipato al progetto, si confronta la relazione finale con il briefing, e si tirano le somme. Spesso il
debriefing apre nuove prospettive che richiedono di avviare un nuovo processo di problem setting. Tutto comincia con il briefing e finisce con il debriefing. Con il briefing
si entra nel gioco, con il debriefing se ne esce.

FLIPPED CLASSROOM o CLASSE CAPOVOLTA


L’approccio didattico del tipo “insegnamento capovolto” è quella di fare in modo che i ragazzi possano studiare prima
di fare lezione in classe, anche attraverso dei video.
Può sembrare banale, ma questo approccio, assegnando flessibilmente ad altri tempi e spazi la fase di trasmissione delle
conoscenze, consente di “liberare” in classe un’incredibile quantità di tempo e, quindi, di poter curare maggiormente il
momento del reale apprendimento, significativo, con il supporto di un docente-facilitatore.
La flipped classroom (o insegnamento capovolto) consiste, infatti, nell’invertire il luogo dove si fa lezione (a casa
propria anziché a scuola) con quello in cui si studia e si fanno i compiti (a scuola e non a casa).
L’idea-base è che la lezione diventa compito a casa mentre il tempo in classe è usato per attività collaborative,
esperienze, dibattiti e laboratori. In questo contesto, il docente diventa una guida, una specie di “mentor”, il regista
dell’azione pedagogica. A casa viene fatto largo uso di video e altre risorse e-learning come contenuti da studiare,
mentre in classe gli studenti sperimentano, collaborano, svolgono attività laboratoriali.
In un approccio didattico di questo tipo, in cui allo studente viene richiesto di farsi carico in prima persona del proprio
processo di apprendimento, lo studente “impara ad imparare” e diventa più facilmente una persona “attiva”.
Ricordiamo, però, che essere «attivi» è un’opzione dell’io e richiede anche allo studente di prendersi sul serio, mettersi in gioco, lasciarsi sfidare,
poter ripartire in caso di errore … cioè un atteggiamento positivo, che può essere solo lo specchio di un atteggiamento positivo dell’adulto che ha
davanti (genitore o professore).
Facciamo un esempio: come spiegare le regole per scrivere una poesia
Il procedimento classico è il seguente:
• spiegazione del concetto di poesia e la poesia in letteratura • esempi di scrittura poetica • esercizi a casa di scrittura poetica •
interrogazione su quanto appreso.
A casa, però, il ragazzo potrebbe accorgersi di avere difficoltà a fare il compito da solo e, dopo qualche tentativo, potrebbe stancarsi e
scoraggiarsi.
Col metodo capovolto si potrebbe fare così:
• visione a casa di un video che mostra quali sono le idee e le tappe fondamentali per scrivere una poesia, con esempi pratici. •
Esercizi in classe di scrittura poetica in gruppo o singolarmente. • Verifica delle competenze.

DIDATTICA PER SFONDI INTEGRATORI


Cornice teorica: Psicologia della Gestalt; Teoria Sistemica della Comunicazione (Palo Alto); Pedagogia Istituzionale: P. Zanelli, A.
Canavero. Sfondo integratore
Il metodo della programmazione per sfondi integratori nasce dall’ esigenza di integrare soggetti in situazione di disabilità, tra i quali
gli alunni con ADHD. I fondatori della didattica per sfondi sono stati Andrea Canevaro e Paolo Zanelli, docenti di Pedagogia sociale
all’Alma Mater di Bologna, che credevano che il primo “sfondo” integratore”, utile ai discenti fosse il contenitore scolastico tour-
court.
“Quando si parla di sfondo integratore, si parla in primo luogo di uno sfondo istituzionale (particolare organizzazione contestuale di
spazi, tempi, mediazioni, regole di comunicazione) che favorisca l’autonoma organizzazione, da parte del bambino, delle proprie
strategie di costruzione del mondo, favorendo l’automotivazione e il vissuto di connessione spazio-temporale”. Canavero scrive che
la programmazione per sfondi integratori “muove dal riconoscere come ostacolo un evento che provoca difficoltà di integrazione
nelle nostre conoscenze”. Festinger (1973) li definisce come: “Ostacoli che provocano dissonanza cognitiva”.
Per sfondo integratore, s’intende un contesto, un vero e proprio sfondo che riesce ad integrare perfettamente i diversi pezzi del puzzle
didattico: •tempi, •spazi, •vissuto dell’alunno, etc.
Lo sfondo integratore è, dunque, un framework, una compagine che connette le varie attività didattiche di cui sono protagonisti i
discenti, in un insieme coeso e coerente.
Oggi, lavorare per sfondi integratori significa pensare ad un project work, che includa tutte le discipline, un po’ come succede per gli
esami di fine ciclo, con un unico grande tema comune. Questo può essere: un film, una fiaba, una nazione, un racconto, una
rappresentazione grafico – pittorica.
•Il project work per lo sfondo integratore deve includere tutte le discipline o i campi di esperienza della scuola dell’infanzia. Il grande
tema comune. Può essere qualsiasi cosa, in definitiva, che: •riesca a tenere insieme tutte le materie in maniera coerente; •abbia come
scopo ultimo degli obiettivi metodologici e didattici chiari e concisi, e soprattutto raggiungibili dalla classe; •preveda tempi e spazi di
esecuzione del project work adeguati, alle risorse e al personale di cui dispone l’istituto.
Lavorare per sfondi integratori oggi, dunque, prevede un solo grande dogma: inserire ciò che per gli alunni non è noto e familiare in
un contesto, dove si trovino a proprio agio, perché possano avvicinarsi senza remore e dissonanze cognitive alla materia.
DIDATTICA AUTOBIOGRAFICA
METODO AUTOBIOGRAFICO.
Il metodo (auto)biografico inizia a svilupparsi come corrente educativa, in situazioni di grande povertà e miseria esistenziale, intorno
alla figura dello studioso Paulo Freire, che approntava una nuova pedagogia sociale, “della strada”, raccogliendo e utilizzando le
tragiche storie di vita dei campesinos nelle favelas brasiliane (anni ‘60 e '70).
Letteratura personale attiva, racconto in prima persona è l'autobiografia (dal greco), oppure letteratura personale passiva o biografia,
quando gli autori scrivono storie di vita altrui.
Attualmente l’autobiografia conosce un nuovo successo, dovuto ad una maggiore elaborazione teorica e tecnico – procedurale e alla
sua diffusione sia nel lavoro sociale che educativo, senza esclusione di ambiti e di destinatari. La scuola, i servizi di comunità e di
animazione, l’educazione di strada, le iniziative per la prevenzione e, inoltre, bambini, adolescenti, adulti e anziani (nelle loro differenze
di genere o etniche) sono oggi rispettivamente i luoghi e i protagonisti di quello che è diventato un vero e proprio metodo, non più
affidato, come qualche anno fa, esclusivamente al trattamento clinico e terapeutico.
Diverse scuole regionali, diplomi universitari e corsi di laurea utilizzano il metodo autobiografico sia per formare i futuri
professionisti dell’educazione, sia come contenuto disciplinare poi trasferibile nel lavoro sociale.
Nel 1998, ad opera di S. Tutino con la direzione scientifica di D. Demetrio, è stata fondata ad Anghiari (AR) la Libera Università
dell’Autobiografia, dove, oltre ad approfondire lo studio di questo metodo, si tengono corsi, seminari, laboratori e soprattutto una
"scuola biennale" di formazione.
L’autobiografia in educazione
Da sempre le autobiografie sono una parte importante degli studi sull’educazione: memoriali, diari, resoconti delle più varie
esperienze educative sono una fonte storiografica straordinaria ai fini della ricostruzione di climi, contesti, vicende, situazioni, scelte
pedagogiche. Anche i "romanzi di formazione" di chi si è cimentato nel mestiere di educatore, o di chi ha ricostruito in tal modo il
senso delle sue vicende, delle peripezie affettive, delle avventure conoscitive sono riconducibili a questo ambito.
Nella prospettiva delineata dagli studi più recenti, l’autobiografia viene considerata un vero e proprio metodo educativo, capace di
portare concreti risultati in termini di recupero, cambiamento e nuova progettualità.
I fondamenti teorici
L’ utilità e l’importanza dell’uso del metodo autobiografico nelle pratiche educative, sono oggi motivate da Duccio Demetrio con le
seguenti ragioni:
• l’ammissione, da parte delle scienze fondate sui metodi quantitativi, che anche l’individuale, il soggettivo, il punto di vista
differente, deve trovare posto e riconoscimento. Le diversità, i casi non riconducibili a parametri, a tipi umani o a comportamenti
sociali preventivamente catalogati, rappresentano un incentivo utile per la continua revisione di premesse e stili cognitivi.
• per l’attenzione a come l’individuo, raccontandosi, costruisce l’immagine di se stesso, degli altri, del mondo che vive, attraverso
procedimenti cognitivi ed emotivi che ci dicono molto più di quanto il narratore esponga.
• per l’originalità pedagogica della situazione con cui si racconta di sé non saltuariamente, ma con regolarità e con l’assistenza di un
ascoltatore discreto ed attento. Il racconto si fa dialogo fra chi ascolta e pone nuovi interrogativi e il narratore stimolato ad esplorare
dentro di sé.
Secondo Bruner l'intelligenza è ricerca continua di significati per “leggere dentro” ai vari aspetti ontologici dell'esistenza.
Gli effetti dell’applicazione delle pratiche narrative in educazione/formazione, secondo Duccio Demetrio, sono:
• effetto di eterostima presente nel momento relazionale dell’incontro tra chi è protagonista di una vicenda e qualcuno che si mostri
interessato ad essa: il narratore si sente confermato e riconosciuto dalla disponibilità di uno sguardo, da parole incoraggianti, dal
tempo offerto. Anche cronologicamente, questo è il primo risultato che ci si prefigge di raggiungere.
• effetto di autostima durante il processo narrativo, che dimostra a chi parla o scrive che sa narrare e che gli vengono offerte
occasioni per esprimersi meglio: il narratore viene aiutato a ritrovare la sua soggettività attraverso la riscoperta della propria storia di
vita, nel piacere di sentirsi autorizzati a ritrovare la dignità dell’uso della prima persona. Con questo lavoro ci si prefigge, cioè, di far
riguadagnare un narcisismo primario disperso o mai nato.
• effetto di esostima al termine degli incontri, quando al narratore vengono riproposte le sue storie, affinché, da solo o ancora con
un’assistenza, possa precisare ed arricchire quanto detto attraverso altri linguaggi (grafici, visuali, fotografici): l’autobiografo si
riconosce attraverso quanto realizza e produce.
L’educatore autobiografo
Il lavoro con gli altri attraverso la ricostruzione della loro storia narrata mediante le più diverse forme comunicative (il racconto orale o scritto, il
disegno, il mimo, la recitazione, l’autovideonarrazione) implica, però, in primo luogo un’autoformazione da parte dell’educat ore o formatore.
Comporta cioè la preventiva applicazione su di sé delle pratiche e delle tecniche che, poi, si adotteranno con i soggetti con i quali si lavorerà, dal
momento che la raccolta delle storie di vita altrui ed i procedimenti di analisi relativi producono effetti personali in chi studia tali racconti e
invogliano ad interrogarsi sulla propria vicenda esistenziale.
L’educatore che lavora con il metodo autobiografico incontra spesso la difficoltà di porre le necessarie distanze tra la sua vita e il racconto di coloro
che aiuta, spesso a scapito di un sano equilibrio relazionale. Diventa quindi essenziale lo scambio e il contatto con i colleghi, per evitare "scivolamenti
empatici (l’identificazione con le situazioni raccontate o con il narratore) o retropatici (l’identificazione con gli eventi di una storia pregressa che gli
evocano momenti critici della propria)"1 . Inoltre, parlare delle storie di vita con cui si lavora insieme ai colleghi, oltre a portare un sollievo dalla
fatica del parlare – ascoltare – pensare, è utile per una più obiettiva ricostruzione e analisi dei racconti autobiografici.
Un elemento fondamentale del pensiero narrativo è la coerenza, che porta il narratore di sé a trarre il proprio racconto dall’insieme
caotico dei ricordi, disponendo le singole esperienze secondo un filo logico e dotato di significato.
Nella lettura e nell’analisi delle autobiografie, l’educatore può avvalersi di queste categorie:
i biografemi: sono gli eventi fondamentali, considerati come punto di riferimento all’interno della propria vita, momenti importanti, svolte, tappe del
proprio cammino;
i biosemantemi: sono le attribuzioni di significato riguardanti ciò che si sta raccontando o ricordando;
i bionoemi: le riflessioni del soggetto sull’esperienza evidenziano le idee generali;
i biomitemi: sono i miti personali presenti nella vita di ognuno (un personaggio importante, un oggetto, una condizione esist enziale, un evento, un luogo.
i biotemi: sono le tematiche ricorrenti, veri e propri fili conduttori che percorrono l’esistenza di un individuo e che emergono nel corso della narrazione;
i bioiconemi: sono le immagini, le metafore, le figure che il soggetto utilizza per esemplificare il suo pensiero e dare f orza al racconto.
"Ogni categoria potrebbe corrispondere ad una equivalente zona critica della storia, ovvero un momento da riproporre al narratore/scrittore con
domande che stimolino ulteriori chiarimenti".
STORYTELLING
Scopo: miglioramento della capacità espositiva; ascolto degli altri; costruzione di testi; focus sulla comunicazione.
Ruolo Docente: individua l’argomento; stimola gli studenti con immagini e testi; guida e monitora le attività.
Procedimento: scelta dell’argomento; costruzione del materiale; presentazione del materiale; attività vera e propria.

TEAM TEACHING
Significa letteralmente insegnamento di gruppo ed è una metodologia in cui gli insegnanti non lavorano più
isolatamente, ciascuno nella sua classe, ma cooperano con pari dignità e responsabilità professionale per l’ educazione
di un gruppo di alunni. Ciascun docente del team si occupa di uno specifico ambito disciplinare. I tempi della
programmazione comune servono per ogni opportuna verifica e valutazione e per flessibilizzare il curricolo in itinere.
METODO SPERIMENTALE Questo metodo introdotto dallo scienziato Galileo Galilei si fonda su alcuni punti fondamentali:
1. l osservazione accurata di un fenomeno;
2. la formulazione di una ipotesi (cioè di una spiegazione ragionevole da verificare);
3. la verifica della validità dell’ ipotesi con uno o più esperimenti (o con altre osservazioni);
4. la conclusione (se i risultati confermano l ipotesi fatta, essa si trasforma in una tesi).
PROBLEM POSING.
La strategia del problem posing si attua quando, dopo aver specificato la priorità di un oggetto, si procede a negarle una alla volta,
utilizzando, e se che cosa succederebbe? Attraverso la negazione di un dato certo si instaura un processo di rielaborazione creativa di
soluzione a problemi.

PROBLEM SETTING O PROBLEM FINDING.


Tecnica che ci permette di far fronte a una situazione problematica confusa, di definire qual è il problema da affrontare, rispondendo
alla domanda:- Che cosa mi si chiede di fare? In pratica si tratta di ragionare sulle priorità in cui vanno inseriti i dati del problema. Si
tratta di saper scegliere i dati da utilizzare e quelli da scartare.
Le fasi di questa analisi sono:
1. identificazione di tutti i problemi;
2. raccolta di informazioni sui problemi;
3. scelta del problema.
E una tecnica didattica che intende l’apprendimento come il risultato di un’attività di scoperta e per soluzione di problemi. Il problem solving è sempre preceduto dalla fase
di problem posing, quella cioè in cui l’alunno è chiamato a individuare chiaramente i termini della situazione problematica per poi passare all’ attuazione di una strategia
risolutiva. Il problem solving è, quindi, una metodologia di analisi utilizzata per individuare, pianificare ed attuare le azioni necessarie alla risoluzione di un problema.
Le fasi dell’analisi sono:
1. definizione del problema;
2. raccolta delle informazioni;
3. identificazione delle cause più probabili;
4. formulazioni di cause possibili;
5. sviluppo operativo dell’analisi;
6. controllo dei risultati.

PROBLEM NETWORKING O SCHIUMAGGIO


Questa tecnica consiste nell’ individuare i dati utili per l’impostazione del problema scartando quelli sovrabbondanti.

PROBLEM SOLVING METACOGNITIVO.


Il problem solving metacognitivo tende ad essere un'espansione applicativa di questi metodi, e la piattaforma per la
creazione di un ambiente di apprendimento modellato sulla didattica metacognitiva. L'ipotesi di lavoro presentata,
perciò, intende porre come punto di partenza privilegiato per percorsi di didattica metacognitiva, proprio il processo di
problem solving, che viene a sviluppare, in modo sempre più consapevole, abilità metacognitive di controllo esecutivo
del compito, monitoraggio delle componenti cognitive e quindi autoregolazione cognitiva.
Cosa è il processo di problem solving se non una routine metacognitiva? La routine del problem solving prevede diversi momenti,
durante i quali possono essere sviluppati diversi processi di controllo propri delle abilità metacognitive. Il problem solving
metacognitivo diviene quindi un palestra per l'abilità di autoregolazione poiché, in modo sempre più puntuale, i ragazzi saranno in
grado di monitorare i processi e di valutare i gradi di utilità, necessità, appropriatezza dei diversi processi risolutivi, nonché di
classificare le rappresentazioni personali di procedure, ed attiveranno positivi transfer degli apprendimenti. Creare un ambiente di
apprendimento rispondente a canoni di didattica metacognitiva, infine, potenzierà lo sviluppo di una generazione di "buoni
pensatori", che sapranno orientarsi in un panorama di vita in incessante e imprevedibile cambiamento, che saranno efficaci
risolutori di problemi e lifelong learners.
COMPITI DI REALTA’
«una situazione problematica, complessa e nuova, quanto più possibile vicina al mondo reale, da risolvere utilizzando conoscen ze e
abilità già acquisite e trasferendo procedure e condotte cognitive in contesti e ambiti di riferimento moderatamente diversi da quelli
resi familiari dalla pratica didattica. Pur non escludendo prove che chiamino in causa una sola disciplina, privilegiare prove per la cui
risoluzione l’alunno debba richiamare in forma integrata, componendoli autonomamente, più apprendimenti acquisiti. La risoluzione
della situazione-problema (compito di realtà) viene a costituire il prodotto finale degli alunni su cui si basa la valutazione
dell’insegnante» (Linee guida).
Propongono compiti che ci si trova ad affrontare nel mondo reale, personale o professionale; non sono esercizi scolastici
decontestualizzati
Pongono problemi aperti a molteplici interpretazioni, piuttosto che risolvibili con l’applicazione di procedure note; la complessità
dei problemi viene resa accessibile allo studente, ma non ridotta
Offrono l’occasione di esaminare i problemi da diverse prospettive teoriche e pratiche: non c’è una singola interpretazione come
non c’è un unico percorso per risolvere un problema; gli studenti devono diventare capaci di selezionare le informazioni rilevanti e
di distinguerle da quelle irrilevanti.
Inoltre: permettono più soluzioni alternative; sono complessi e richiedono tempo: giorni o settimane; forniscono l’occasione di
collaborare, perché propongono attività che non possono essere portate a termine da un solo studente: la collaborazione è
integrata nella soluzione del compito; sono un’occasione per riflettere sul proprio apprendimento, sia individualmente sia in
gruppo; -- possono essere integrati e utilizzati in settori disciplinari differenti; - sono strettamente integrati con la valutazione,
come accade nella vita reale, a differenza della valutazione tradizionale che separa artificialmente la valutazione dalla natura della
prova; sfociano in un prodotto finale completo autosufficiente, non sono un’esercitazione funzionale a qualcos’altro.
Lo studente diventa attore del proprio apprendimento mettendo in gioco:
autonomia: è capace di reperire da solo strumenti o materiali necessari e di usarli in modo efficace, relazione: interagisce con i
compagni, sa esprimere e infondere fiducia, sa creare un clima propositivo, partecipazione: collabora, formula richieste di aiuto,
offre il proprio contributo, responsabilità: rispetta i temi assegnati e le fasi previste del lavoro, porta a termine la consegna
ricevuta, nonché flessibilità e consapevolezza.
L’insegnante diventa una risorsa, ha un ruolo propositivo e di negoziatore, di mediatore, tutor e facilitatore.
Tra gli strumenti utili per valutare le prestazioni realizzate nelle varie prove e coinvolgere attivamente lo studente nel processo
valutativo delle sue competenze, risultano particolarmente efficaci le rubriche di valutazione, le schede di riflessione e
autovalutazione personale, le auto-narrazioni, il diario di bordo e il portfolio.
RUBRICA VALUTATIVA: E uno strumento per la valutazione delle prestazioni in un ottica di apprendimento autentico. Uno
strumento per identificare e chiarire le aspettative specifiche relative ad una prestazione e indicare il grado di raggiungimento degli
obiettivi prestabiliti.

DIDATTICA LABORATORIALE.
La didattica laboratoriale, già presente nella pedagogia dell’attivismo pedagogico di Dewey, è naturalmente attiva.
Essa privilegia l’apprendimento esperienziale “per favorire l’operatività e allo stesso tempo il dialogo, la riflessione su
quello che si fa”, favorendo così le opportunità per gli studenti di costruire attivamente il proprio sapere.
La didattica laboratoriale incoraggia un atteggiamento attivo degli allievi nei confronti della conoscenza sulla base della
curiosità e della sfida piuttosto che un atteggiamento passivo.
Essa ha il vantaggio di essere facilmente applicabile a tutti gli ambiti disciplinari: nel laboratorio, infatti, i saperi
disciplinari diventano strumenti per verificare le conoscenze e le competenze che ciascun studente acquisisce per effetto
delle sue esperienze laboratoriali.
Questa didattica si basa sui bisogni dell’individuo che apprende; promuove l’apprendimento collaborativo; consente lo sviluppo di
competenze. Grazie ad attività di tipo laboratoriale (che si possono svolgere semplicemente nell’aula o in ambienti con attrezzature
particolari), in cui gli studenti lavorano insieme al docente, si promuove un apprendimento significativo e contestualizzato, che
favorisce la motivazione.

I LABORATORI ESPERIENZIALI
Sono finalizzati a produrre materiali su tematiche o problematiche specifiche: video, depliant, spettacoli teatrali, giornalini. Si
ispirano all’apprendimento cooperativo e al fare cooperativo dove i soggetti collaborano insieme al fine di produrre qualcosa.
Obiettivo: È quello di consentire una conoscenza della tematica o del problema (es. Uno spettacolo teatrale sul bullismo o sui disturbi
del comportamento alimentare) di tipo emotivo attraverso un coinvolgimento diretto. Si parla di una conoscenza esperienziale
emotiva, corporea e sensoriale perché si conosce non solo con la mente ma anche con il cuore e con il corpo. Avviene la messa in
gioco del proprio corpo.

DEBATE
Scopo: superamento della paura del ‘pubblico’; autonomia; capacità di organizzare i materiali; miglioramento delle
capacità di argomentazione.
Ruolo Docente: spiega gli strumenti; fornisce gli stimoli; distribuisce i ruoli; guida il debate; ascolta gli studenti;
esprime una valutazione dell’esperienza.
Procedimento: - scelta dell’argomento; costruzione del materiale; presentazione del tema (topic); - creazione della
squadra; distribuzione dei materiali; supporto durante la fase della scelta argomentativa; - momento di debate; -
individuazione della squadra più convincente.
Mastery learning (Bloom, 1977)
• Approccio sistematico basato sull’individualizzazione. • Calibrazione dei tempi per acquisire la padronanza. • Verifica
e valutazione (oggettive) al temine di ogni fase. • Eventuale correzione in caso di insuccesso.
Fasi progettuali del Mastery learning: • Definizione degli obiettivi e dei livelli di padronanza • Suddivisione del corso in
unità più piccole per le quali si definiscono obiettivi specifici e operativi • Costruzione di prove diagnostiche (iniziali) e
formative (in itinere) • Elaborazione di itinerari compensativi con materiali alternativi e correttivi • Costruzione della prova
finale.

METODO DEI CASI


Il metodo dei casi consiste nel presentare agli studenti un caso, all'interno del quale devono prendere delle decisioni per
far fronte ad un problema (Hammond, 1976). Gli studenti di solito lavorano in gruppo.
Si tratta di un metodo basato sullo studio di casi (case studies), comune nelle scienze sociali e biologiche. Come metodo di
insegnamento, prevede la presentazione scritta di situazioni complesse (reali o virtuali, ma realistiche), che gli studenti devono
analizzare. Questa situazione è l'oggetto di un'indagine, è un'istanza o un esempio di una classe di fenomeni o situazioni reali. La
presentazione dovrebbe avere abbastanza informazioni affinché gli studenti possano comprendere il caso, e, se necessario, proporre
una soluzione.
Per scrivere uno studio di caso, l'insegnante deve:
Descrivere il problema o la questione, mettendo insieme le informazioni per risolverlo. Organizzare il caso in paragrafi, che includano
l'introduzione al problema, il contesto, le decisioni prese dagli attori, le procedure adottate per la soluzione dei problemi, i risultati derivanti dalle
azioni e i loro punti di forza e di debolezza, ecc. Scrivere la conclusione, formulando le domande cui rispondere.
I casi possono essere (AIF, 1988): Caso della decisione - il testo fornisce tutte le informazioni sulla situazione e l'obiettivo (una
decisione da prendere). Gli studenti devono trovare una o più soluzioni, cioè la decisione migliore, ricavandola dai dati disponibili.
Caso di studio dei problemi - la situazione di partenza non è definita in tutti i dettagli e gli studenti devono prima cosa selezionare le
informazioni e completare la raccolta dei dati, specificando meglio anche lo scopo della soluzione. Caso d'identificazione dei
problemi - simile al precedente, il testo presenta una situazione reale ma senza l’evidenza del problema. Gli studenti devono quindi
identificare precisamente il tipo di problema. Caso di studio dei casi: il testo descrive tutti gli aspetti significativi di una situazione (e
problema) reale, che non è stato risolto in modo soddisfacente. Sulla base dei dati attuali, gli studenti devono prospettare altre
soluzioni.

APPRENDIMENTO PER PROBLEMI - PROBLEM BASED LEARNING (PBL)


Il PBL è un metodo centrato sullo studente, in cui l'argomento da apprendere è contestualizzato come un problema
complesso, sfaccettato e realistico. In questo approccio, gli studenti possono lavorare singolarmente o in gruppo e
l'insegnante è un facilitatore dell'apprendimento che fornisce supporto appropriato, modella9 il processo e mon itora la
formazione. Questo metodo può essere utilizzato per migliorare la conoscenza dei contenuti e contemporaneamente
favorire lo sviluppo della comunicazione, il problem solving, il pensiero critico, la collaborazione e la capacità di auto -
dirigere l'apprendimento.
Il PBL parte da un problema in un contesto reale simulato, che coinvolge pratiche, regole, procedure, processi e problemi
etici che dovranno essere compresi e risolti. Si tratta di un metodo di indagine. L'insegnante dovrebbe fornire abbastanza
informazioni in modo che gli studenti possano capire quale sia il problema, e, dopo averci pensato e analizzato le
informazioni, dovrebbero essere in grado di proporre l'attività o la soluzione attesa.
Il problem-based learning comprende sette passi (Schmidt, 1983): Chiarimento del significato delle parole e dei concetti
che non sono chiari. Definizione del problema e dei termini per la revisione. Analisi del problema attraverso brainstorming
e individuazione di plausibili soluzioni. Analisi critica delle diverse soluzioni ed elaborazione di una bozza di
lavoro/rapporto con una descrizione coerente delle ipotesi risolutive. Definizione degli argomenti/temi oggetto
dell'apprendimento, con suddivisione del carico di lavoro di ricerca. Prosecuzione attraverso auto-apprendimento e lavoro
di ricerca individuale per colmare eventuali lacune in merito agli argomenti. Incontro con il gruppo, condivisione di
quanto appreso, sviluppo della versione finale del rapporto sul problema, con spiegazione e sintesi delle nuove
informazioni.

APPRENDIMENTO PER PROGETTI - PROJECT BASED LEARNING

Il Project Based Learning è un metodo basato sull'elaborazione di complessi progetti reali. Il progetto è quindi un
prodotto/servizio da realizzare (o una prestazione, una presentazione o altra cosa tangibile), che costringe gli studenti a
confrontarsi con il mondo reale e applicare le proprie conoscenze. Durante le attività del progetto, gli studenti imparano
e allo stesso tempo applicano e usano il loro apprendimento. Questo metodo ha anche un impatto sulla metacognizione e
sulle cosiddette competenze per la vita ("life skills": autogestione, problem solving, senso critico, comunicazione
efficace.).
Di solito il progetto è a lungo termine (più di due giorni di lezione e fino a un semestre), è centrale per il curriculum, si
concentra su temi interdisciplinari o sui concetti centrali di una disciplina e prevede la costituzione di gruppi di lavoro
collaborativo.
FASI
In linea di massima, il metodo può essere suddiviso in tre fasi:
Pianificazione - i discenti scelgono il tema; cercano e organizzano le risorse necessarie in una forma utilizzabile;
organizzano il lavoro collaborativo di gruppo. Creazione - gli studenti sviluppano l'idea del progetto, uniscono i
contributi del gruppo, costruiscono il progetto e, infine, presentano il lavoro alla classe. Elaborazione - gli studenti
condividono i progetti (artefatti) individuali o di gruppo in un piccolo gruppo o con l'intera classe, scambiano feedback
e riflettono sul processo di apprendimento e sugli stessi progetti.

CURRICOLO VERTICALE.
Il curricolo verticale è uno strumento disciplinare e metodologico realizzato dai docenti della Scuola Primaria e
Secondaria di primo grado per raggiungere le finalità generali espresse dalle Indicazioni Nazionali che pongono lo
studente al centro dell'azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi relazionali, corporei, estetici, etici,
spirituali, religiosi.
Esso perciò è espressione del P.T.O.F del nostro Istituto ed è parte integrante del progetto educativo in esso delineato; è
un percorso finalizzato allo sviluppo delle competenze fondamentali per decodificare la realtà; descrive l’intero
percorso formativo dello studente; è costruito nel rispetto dei vincoli dettati dalle Indicazioni Nazionali.
FINALITÁ (Come espresso dalle Indicazioni Nazionali)
L’azione della scuola si esplica attraverso la collaborazione con la famiglia (art. 30) nel reciproco rispetto dei diversi
ruoli e ambiti educativi, nonché con le altre formazioni sociali ove si svolge la personalità di ciascuno (art.2). Pertanto
riteniamo che il Curricolo Verticale abbia le finalità di: - dare continuità alla didattica e alla metodologia lungo il corso
dei vari cicli scolastici; - lavorare in modo coordinato al fine di costruire “obiettivi cerniera” nel rispetto delle
specificità di ciascun ordine di scuola; - favorire un confronto tra professionisti della scuola; - realizzare una migliore
formazione disciplinare e metodologica; - produrre nel tempo prove standardizzate di valutazione nel processo di
insegnamento-apprendimento, nonché di autovalutazione dell’istituto; - confrontarsi con altre agenzie educative del
territorio; - costruire rapporti di collaborazione con le famiglie..
Il curricolo verticale ed orizzontale, insieme alla rubrica di valutazione, costituisce il cuore del POF e PTOF, in quanto
fornisce indicazioni sugli apprendimenti e sulle competenze che gli alunni devono conseguire nelle diverse classi
dell'Istituto.
Il profilo dello studente al termine del Primo Ciclo di Istruzione, definito dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo, fa
riferimento alle competenze che l’alunno deve raggiungere nelle varie discipline ed alle competenze di tipo trasversale,
al cui sviluppo ogni disciplina deve concorrere.
Per delineare il percorso didattico e formativo degli alunni, qui di seguito è riportato un piano di lavoro che esplicita i
traguardi di competenza declinati, secondo livelli di complessità crescente, corrispondenti alle classi e all’età evolutiva
degli alunni. Il raggiungimento dei seguenti traguardi risulterà funzionale all’acquisizione delle competenze fissate.
Nel curricolo orizzontale sono state riportate le otto competenze chiave europee, in accordo con i traguardi di sviluppo
delle competenze disciplinari, ossia le fondamentali piste formative e didattiche da percorrere, che derivano dalla
rielaborazione degli apprendimenti disciplinari e che generano la capacità di utilizzarli anche e soprattutto in contesti
extrascolastici. Per ogni disciplina sono indicati i nuclei tematici, che segnalano gli aspetti fondanti e strutturali del
sapere.
Il curricolo orizzontale evidenzia per le diverse discipline gli apprendimenti ritenuti irrinunciabili, in quanto fondanti,
generativi e trasferibili, rispetto ai quali saranno elaborate le prove di verifica intermedie e conclusive. Particolare
attenzione è stata posta alla definizione dei traguardi di continuità, negli snodi formativi di passaggio fra Infanzia,
Primaria e Secondaria di primo grado.
Nella predisposizione del curricolo orizzontale si è inteso: -adeguare la proposta formativa ai bisogni culturali degli
alunni; -migliorare la qualità e l’efficacia delle azioni; -costruire un modello progettuale valido e organizzato basato
sull’informazione, sulla condivisione e sulla conseguente azione.
Per la Scuola dell’Infanzia i traguardi formativi sono declinati secondo campi d’esperienza, considerando le diverse
fasce d’età e le competenze chiave in uscita. Le discipline per la Scuola Primaria e per la Scuola Secondaria di I grado
sono considerate nella loro specificità, ma vengono proposte all’interno di quattro grandi assi culturali:
- ASSE DEI LINGUAGGI con Italiano – Lingue comunitarie – Musica – Arte – Ed. fisica.
- ASSE MATEMATICO con Matematica.
- ASSE SCIENTIFICO-TECNOLOGICO con Scienze e Tecnologia.
- ASSE STORICO-SOCIALE con Storia, Geografia.

Trasversalità: discipline e saperi si raccordano orizzontalmente su: formazione cognitiva; assimilazione di conoscenze e abilità;
acquisizione di competenze. Verticalità: è relativa allo sviluppo del curricolo per gradi di scuola. Organicità e coerenza: la
progressione attraverso età diversificate avviene per: strutture cognitive; capacità comunicative; organizzazione verbale; sviluppo
etico e sociale.
DIDATTICA PER COMPETENZE.
La Riforma della Scuola Secondaria così come prevista nei DPR 87 e 88 del 2010 pone grande importanza sul
passaggio dalla Didattica delle conoscenze alla Didattica delle competenze, innovazione che ne rappresenta sicuramente
l’aspetto più significativo (vedi in Pedagogia e Legislazione).

CHE COSA È LA DIDATTICA PER COMPETENZE


Una metodologia innovativa. La didattica delle competenze si fonda sul presupposto che gli studenti apprendono meglio
quando costruiscono il loro sapere in modo attivo attraverso situazioni di apprendimento fondate sull’esperienza.
Essa si basa su alcuni assunti fondamentali:
1. la valorizzazione dell’esperienza attiva dell’allievo, impegnato in “compiti significativi” che prevedono la soluzione di
problemi, la gestione di situazioni ancorate alla vita reale o molto vicine ad essa;
2. l’apprendimento induttivo, dall’esperienza alla rappresentazione, alla generalizzazione, fino al conseguimento del
modello teorico;
3. la valorizzazione dell’apprendimento sociale, cooperativo e tra pari;
4. la riflessione continua, la ricostruzione dei propri percorsi attraverso comunicazioni scritte ed orali;
5. l’assunzione costante di responsabilità di fronte ai compiti da gestire in autonomia, individualmente ed in gruppo; 6. la
centratura del processo di apprendimentoinsegnamento sull’azione degli allievi, piuttosto che su quella dei docenti, che
più spesso assumono invece il ruolo di facilitatori, registi, tutor.
Le linee guida allegate ai DPR 87 e 88/2010, istitutivi della Riforma, ribadiscono quanto detto con ulteriori interessanti
considerazioni utili ad orientare all’insegnamento per sviluppare competenze.
1. Una competenza si sviluppa in un contesto nel quale lo studente è coinvolto, personalmente o collettivamente,
nell’affrontare situazioni, nel portare a termine compiti, nel realizzare prodotti, nel risolvere problemi, che implicano
l’attivazione e il coordinamento operativo di quanto sa, sa fare, sa essere o sa collaborare con gli altri. 2. La
progettazione di un’attività formativa diretta allo sviluppo di competenze non può non tener conto della necessità che le
conoscenze fondamentali da questa implicate e le abilità richieste siano acquisite in maniera significativa.
3. Sul piano metodologico occorre promuovere una pratica formativa che preveda l’uso di metodi che coinvolgono
l’attività degli studenti nell’affrontare questioni e problemi di natura applicativa (alla propria vita, alle altre discipline,
alla vita sociale e lavorativa) sia nell’introdurre i nuclei fondamentali delle conoscenze e abilità, sia nel progressivo
padroneggiarli. La chiave di volta metodologica è un ambiente di lavoro nel quale si realizzano individualmente o
collettivamente prodotti che richiedono un utilizzo intelligente di quanto studiato o sollecitano un suo approfondimento.
Si tratta di promuovere una metodologia di insegnamento e apprendimento di tipo laboratoriale e l’ambiente nel quale si
svolgono i percorsi dovrebbe assumere sempre più le caratteristiche di un laboratorio nel quale si opera individualmente
o in gruppo nell’affrontare esercizi e problemi sotto la guida dei docenti.
La didattica per competenze è un modo differente di organizzare tutto l’insegnamento.
L’elemento strutturale di base è la cosiddetta “unità di apprendimento” o “unità formativa”, che ha per obiettivo il
conseguimento di una o più competenze e attorno alle quali viene costruita la “situazione pretesto” che richiede
all’alunno di portare a termine un compito ben preciso, con evidenze, produzioni, progettualità.
L’unità di apprendimento vera e propria ha carattere interdisciplinare e presuppone la progettazione e la gestione
congiunte da parte di più docenti. È evidente che percorsi di lavoro di questo tipo esigono progettazione e gestione
onerose dal punto di vista del tempo e delle energie e non possono essere molte durante l’anno.
Da ciò si evince che l’unità formativa interdisciplinare non può essere l’unico strumento attraverso il quale si percorre,
si documenta, si valuta la competenza.
È l’impostazione del lavoro quotidiano, in tutte le discipline organizzata nella prospettiva della competenza che fa la
differenza.
La didattica quotidiana infatti deve essere costantemente impostata prevedendo ampio uso di modalità induttive,
cooperative e sociali di apprendimento: Esercitazioni pratiche, costruzione di manufatti, esperimenti, visite. Utilizzo di
disegni, Lim, diapositive, foto, schemi, tabelle. Role playing, simulazioni.
L’organizzazione del gruppo classe dovrebbe prevedere dei momenti in cui gli alunni, in piccoli gruppi, conducono
esperimenti, progettano e realizzano esperienze, portano a termine compiti significativi.
Le esperienze di tirocinio, stage, Alternanza Scuola Lavoro, permettono all’allievo non solo di mobilitare conoscenze e
abilità acquisite a scuola in contesto reale, ma anche di misurare la propria persona in ambito lavorativo.
Un po’ di chiarezza sui termini
Nei documenti della Riforma le competenze vengono individuate secondo distinte tipologie secondo il contesto di
riferimento assunto. Si distinguono infatti Competenze: - chiave europee, - base per l’assolvimento dell’obbligo di
istruzione, - di indirizzo, - di fine percorso scolastico.
Le competenze chiave europee. Le indicazioni europee, a partire dalla Risoluzione del Parlamento di Lisbona del 2000, invitano
i Paesi membri ad impostare le proprie politiche formative in modo da permettere ai cittadini, nel percorso scolastico di base e lungo
tutto l’arco della vita, di conseguire competenze e non solo conoscenze e abilità.
In particolare, la Raccomandazioni del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18.12.2006, indica otto competenze chiave
indispensabili ad ogni cittadino per la realizzazione e lo sviluppo personale e sociale, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e
l’occupazione.
Tali competenze dovrebbero essere acquisite durante il percorso di istruzione e servire come base per l’apprendimento lungo tutto
l’arco della vita (long life learning). Le competenze chiave europee rappresentano il significato, il fine, il senso dell’istruzione.
Alcuni Paesi hanno indicato alle scuole di organizzare i curricoli proprio a partire dalla declinazione delle otto competenze chiave.
Questa non è stata la scelta operata dai documenti normativi del nostro Paese, tuttavia si ricorda che la responsabilità
dell’organizzazione del curricolo, a norma del DPR 275/99 (Regolamento dell’Autonomia), è delle scuole autonome.

Queste sono le otto competenze chiave indicate dalla Raccomandazione europea del dicembre 2006: 1.
Comunicazione nella madrelingua 2. Comunicazione nelle lingue straniere 3. Competenze in matematica e
competenze di base in scienze e tecnologia 4. Competenza digitale 5. Imparare a imparare 6. Competenze sociali e
civiche 7. Spirito di iniziativa ed imprenditorialità 8. Consapevolezza ed espressione culturale.
Le competenze di base per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione.
Il D.M. 139 del 2007 (Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione) all’art. 1
indica i saperi e le competenze di base per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione riferiti a quattro assi culturali:
1. asse dei linguaggi 2. asse matematico 3. asse scientifico–tecnologico 4. asse storicosociale.
Questi costituiscono “il tessuto” per la costruzione di percorsi di apprendimento orientati all’acquisizione delle
competenze chiave europee necessarie per preparare i giovani alla vita adulta e ai fini della futura vita lavorativa.
È utile rammentare che l’obbligo di istruzione si assolve con dieci anni di frequenza scolastica, quindi di norma con il
secondo anno di scuola superiore. Le competenze di base, con l’indicazione degli assi disciplinari di riferimento, sono
ben descritte nel D.M. 9/2010, relativo al Modello di certificazione delle competenze alla fine dell’obbligo di istruzione.
Le stesse competenze di base si ritrovano, e non poteva essere diversamente, nelle “Linee guida”: Allegato A” del 15 luglio 2010 –
specificate nelle singole discipline del primo Biennio e corredate con le relative Abilità e Conoscenze cui esse concorrono. Per facilità
di consultazione, con una operazione di “copia incolla”, si sono riunite in un elenco, posto in allegato, dette competenze, sia del biennio
Tecnico che del Professionale, con l’indicazione delle discipline che vi contribuiscono.
Le competenze di indirizzo.
Rappresentano le competenze derivanti dal percorso scolastico caratterizzante l’indirizzo di studio. Sono correlate prevalentemente
con le materie svolte nel secondo biennio e quinto anno.
Le competenze di fine percorso scolastico.
I DPR 87 e 88 / 2010 istitutivi della Riforma scolastica sono corredati da alcuni importanti allegati e in particolare negli allegati “C 8” per l’indirizzo
Tecnico e “B 1” per l’Indirizzo Professionale sono indicate le competenze di fine percorso scolastico che lo studente deve dimostrare di aver acquisito
per poter conseguire il diploma conclusivo. Esse rappresentano idealmente la somma delle competenze di base acquisite alla fi ne dell’obbligo
scolastico e delle competenze di indirizzo acquisite al termine del triennio. L’insieme è coerente con le competenze chiave europee.
COMPETENZE CHIAVE. 2018.
Il Consiglio dell’Unione Europea adotta una nuova Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente (22
maggio 2018) e che riprende quelle del 2006.
Le nuove competenze chiave: 1) competenza alfabetica funzionale. 2) competenza multilinguistica. 3) competenza
matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria. 4) competenza digitale. 5) competenza personale,
sociale e capacità di imparare a imparare. (comp. Trasversali/life skills) 6) competenza in materia di cittadinanza.
7) competenza imprenditoriale. 8) competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.
Sono definite le competenze chiave «quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, l'occupabilità,
l'inclusione sociale, uno stile di vita sostenibile, una vita fruttuosa in società pacifiche, una gestione della vita attenta alla salute e la
cittadinanza attiva. Esse si sviluppano in una prospettiva di apprendimento permanente.

MEDIATORI DIDATTICI.
In un ambiente di apprendimento quale può essere la scuola o la famiglia, essi sono tutti quegli oggetti – reali o
simbolici – catalizzatori del processo educativo.
Lo rendono più efficiente in quanto potenziano la comunicazione (verbale e non verbale) tra docenti e discenti, grazie alla loro
duttilità e adattabilità ai diversi stili educativi di questi ultimi.
Tra gli studi dei pedagogisti italiani riguardanti la mediazione didattica il volume più noto è probabilmente quello di
Elio Damiano, autore del libro “La mediazione didattica”, in cui definisce il mediatore didattico come “ciò che agisce
da tramite tra soggetto e oggetto nella produzione di conoscenza, sostituisce la realtà perché possa avvenire la
conoscenza, ma non si sostituisce alla realtà esautorandola, pur richiedendo di essere trattato come se fosse la realtà, ma
sempre, in quanto mediatore, conservando lucidamente la consapevolezza che la realtà non è esauribile da parte dei
segni, quali che essi siano”.
Tipi di mediatori didattici.
Sempre Damiano, in senso tassonomico, evidenzia 4 tipi di mediatori:
1- attivi: ovvero che ricorrono all’esperienza diretta (es. l’esperimento scientifico, learning by doing); 2- iconici: ovvero che
utilizzano il linguaggio delle icone (grafico e spaziale), fatto di immagini, schemi, mappe concettuali. 3- analogici: anche chiamati
“ludici”, poiché si basano sulle dinamiche del gioco e della simulazione (es. role-playing). 4- simbolici: che utilizzano codici di
rappresentazione convenzionali e universali (concetti astratti, locuzioni linguistiche, metafore, simboli, analogie, allegorie e figure
retoriche in generale…; es. lezione frontale espositiva).
I mediatori realistici
Secondo Brofenbrenner, la succitata classificazione di Damiano si baserebbe sulla maggiore o minore vicinanza dei
mediatori didattici alla realtà.
I mediatori attivi, in effetti, sono quelli più vicini a quest’ultima, poichè si basano sull’esperienza diretta: si potrebbero chiamare anche “empirici”,
dato che utilizzano molto lo strumento della sperimentazione – in laboratorio e non.
I pro di tali mediatori è che sono molto precisi perché un esperimento permette di “oggettivare” l’apprendimento, ma hanno tempi e costi di
realizzazione lunghi e onerosi. La stessa cosa vale per i mediatori analogici: drammatizzazioni, giochi di ruolo, attività di gruppo, che rendono
semplice la comprensione dei concetti da parte dei discenti, grazie al realismo in loro insito.
I mediatori distanti dalla realtà
I mediatori iconici e simbolici, a differenza di quelli attivi e analogici, sono più distanti dalla realtà e dunque non richi edono dispendio di risorse
materiali, quanto piuttosto di risorse intellettive da entrambe le parti coinvolte nel processo educativo: chi spiega e chi cerca di imparare. Dunque, essi
presentano il problema della loro difficile comprensione da parte degli alunni, che potrebbero semplicemente registrare i dati di apprendimento in
maniera mnemonica senza realmente assimilarli. È per questo che, normalmente, vengono utilizzati in concomitanza con la tecnica della ripetizione e
del rinforzo, anche perché sono economici da adottare in termini monetari e di tempo – e quindi ripetibili a piacimento, nel corso dell’esperienza di
apprendimento.
La tecnica del reticolato
Date le differenze tra i primi tipi e i secondi tipi di mediatori, è auspicabile che il docente li adotti con una strategia di
diversificazione che prevede l’utilizzo integrato di tutti i mediatori didattici di cui si è appena parlato.
Il percorso didattico mediato deve essere tuttavia reticolare, non lineare: ciò significa che dovrebbero essere utilizzati tutti i mediatori
didattici non in sequenza (dai più distanti ai più vicini alla realtà e viceversa), ma in maniera collegata tra loro, utilizzando quello o
quelli che più si addice (o si addicono) alla situazione. Questo permetterà un clima nella classe meno monotono, e un utilizzo dei
mediatori che rispetti maggiormente gli stili cognitivi di ciascun alunno.
Mappe Concettuali
Le mappe concettuali sono strumenti grafici per organizzare e rappresentare la conoscenza, sviluppati da Novak nel 1972 (Novak &
Musonda, 1991). Rappresentano una rete di relazioni tra concetti, in una struttura ad albero che si dirama verso il basso, da concetti-
padre, sovraordinati e più "inclusivi" a concetti-figlio subordinati. I concetti sono generalmente racchiusi in cerchi o cornici di qualche
tipo (identificati come nodi), mentre i rapporti tra i nodi sono indicati da una linea di collegamento che unisce due concetti. Le parole
sulla linea (parole legame o frasi legame) specificano la connessione - logica, argomentativa, causale, cronologica, predicativa, o altro
- tra i due concetti, per formare proposizioni. Una proposizione è una dichiarazione significativa che riguarda qualche oggetto o evento
dell'universo, un'unità semantica o di significato.
Sono presenti anche collegamenti trasversali (crosslinks) tra rami distanti dell'albero. Questi sono relazioni o collegamenti tra concetti
appartenenti a diversi segmenti o domini della mappa concettuale. I legami trasversali ci aiutano a vedere come un concetto di uno dei
domini di conoscenza rappresentati sulla mappa è legato ad un concetto in un altro dominio mostrato sulla mappa. Nella creazione di
nuove conoscenze, i legami trasversali rappresentano spesso dei salti creativi da parte del produttore di conoscenza.
Alle mappe concettuali inoltre si possono aggiungere esempi specifici di eventi o oggetti che aiutano a chiarire il significato di un dato
concetto. Normalmente questi non sono inclusi nelle cornici, dato che sono eventi o oggetti specifici e non rappresentano concetti.

APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO
Le mappe concettuali sono basate sulla psicologia dell'apprendimento di Ausubel (Ausubel, 1963, 1968). L'idea fondamentale è che
l'apprendimento avviene per l'assimilazione di nuovi concetti e proposizioni nel preesistente schema concettuale e proposizionale del
discente. Questa struttura della conoscenza posseduta da chi apprende, è anche definita come struttura cognitiva dell'individuo.
Ausubel distingue apprendimento meccanico e significativo.
L'apprendimento meccanico è la semplice memorizzazione di informazioni senza relazione con le conoscenze apprese in precedenza.
L'apprendimento significativo è l'opposto. Significa capacità di formalizzare il nostro pensiero, di comprendere le relazioni tra
concetti, di dare un senso a ciò che impariamo, di ricostruire e ristrutturare la nostra conoscenza ogni volta che impariamo qualcosa.
La conoscenza acquisita viene ricordata più a lungo, il successivo apprendimento di argomenti simili diventa più facile; le
informazioni apprese possono essere applicate a una vasta gamma di nuovi problemi o contesti, stimolando così la ricerca di nuovi
significati e un'elevata generalizzazione della conoscenza, caratteristica questa indispensabile per il problem solving e il pensiero
creativo. L'apprendimento significativo promuove anche strategie metacognitive (imparare ad apprendere, e riflettere sulla
conoscenza). In altre parole, l'apprendimento significativo è il modo per trasformare i dati in conoscenza e la conoscenza in saggezza.
Secondo Ausubel (1968), la distinzione meccanico-significativo non è una semplice dicotomia, ma piuttosto un continuum.
L'apprendimento significativo richiede tre condizioni:
1) Lo studente deve possedere conoscenze pregresse rilevanti. Le mappe concettuali possono essere utili per valutare le conoscenze
specifiche dello studente su un argomento.
2) Il materiale da apprendere deve essere concettualmente chiaro e presentato con un linguaggio ed esempi facilmente riconoscibili
sulla base della conoscenza pregressa dello studente. Le mappe concettuali possono essere utili per rispondere a questa condizione,
sia attraverso l'individuazione dei principali concetti generali posseduti dallo studente prima della formazione su concetti più
specifici, sia fornendo supporto per organizzare i compiti di apprendimento in una conoscenza progressivamente più esplicita che può
essere ancorata ai quadri concettuali in via di sviluppo.
3) Lo studente deve scegliere di apprendere in modo significativo. Questa è una condizione sulla quale l'insegnante ha solo un
controllo indiretto, e questo controllo consiste in primo luogo nell'utilizzare strategie di insegnamento e di valutazione che
incoraggino gli studenti a collegare le idee possedute con nuove idee, promuovendo l'apprendimento significativo.
Le mappe concettuali sono usate come strumento per l'apprendimento, ma anche come strumento di valutazione, incoraggiando in tal
modo gli studenti a utilizzare i modelli e le forme di apprendimento significativo (Mintzes et al., 2000; Novak, 1990; Novak &
Gowin, 1984). Esse sono anche efficaci nell'identificare sia le idee valide (corrette) che quelle non valide degli studenti, e la
conoscenza rilevante che uno studente possiede prima o dopo la formazione.
La struttura gerarchica di un particolare dominio di conoscenza dipende dal contesto in cui tale conoscenza viene applicata o
considerata. Pertanto, per costruire una mappa concettuale, è importante iniziare con un dominio di conoscenza che è molto familiare
allo studente. Per le prime mappe concettuali è anche utile selezionare un ambito di conoscenza limitato.
Per definire una mappa concettuale, la cosa migliore è costruire una domanda focale, una domanda, cioè, che specifica chiaramente il
problema o il quesito che la mappa dovrebbe aiutare a risolvere. Ogni mappa risponde a una domanda focale, e una buona domanda
focale può portare ad una mappa concettuale molto più ricca; non a caso il primo passo per imparare qualcosa è proprio quello di
porre le domande giuste.
DIDATTICHE INNOVATIVE, DDI

IL VIDEOMODELING
Il videomodeling è una procedura comportamentale utile al trattamento di un’ampia varietà di comportamenti, attraverso le vid eo registrazioni al
posto degli scenari reali.

Consiste nell’osservazione e nella successiva imitazione, da parte del bambino, di un video in cui viene mostrato un modello impegnato nello
svolgimento del comportamento target (Moderato & Copelli, 2010).

I modelli utilizzati possono essere non solo gli operatori ma anche i familiari o i pari. Nei soggetti con autismo, spesso, l’imitazione può risultare
difficoltosa, tuttavia gli studi in merito hanno evidenziato che i bambini imitano con maggiore facilità ciò che vedono nel video piuttosto che ciò che
osservano dal vivo.

La letteratura basata sulle evidenze scientifiche mette in luce i vantaggi di questa procedura:
- promuove la capacità di memorizzazione e imitazione (Hitchcock, Dowrick & Prater, 2003; Neumann, 2004);
- è efficace quando è difficile trovare un modello dal vivo (NAC, 2009);
- è utile con i bambini che apprendono con maggiore facilità attraverso il canale visivo (Shipley Benomou, Lutzker & Taubman, 2002);
- il video può essere visionato più volte (Charlop – Christy et al., 2000);
- promuove la generalizzazione degli apprendimenti poiché in video è possibile mostrare diversi scenari (Charlop – Christy et al., 2000);
- il video può fungere da rinforzatore (Charlop – Christy et al., 2000).

La procedura del videomodeling prevede una precisa ed attenta organizzazione del contesto. È importante che l’operatore organizzi prima il setting
e il materiale utile al bambino per svolgere l’attività proposta nel video.

Nel video, il modello mette in atto l’abilità target e riceve un rinforzatore per avere emesso quel comportamento. Subito dopo il bambino ripete
l’azione vista nel video e riceve un rinforzatore (Ergenekon, 2012).

In base al tipo di abilità da insegnare è possibile anche selezionare il tipo di videomodeling da utilizzare. Ne esistono diversi tipi:

- video modeling: nel video si vede il modello che emette il comportamento target;
- video self-modeling: il bambino viene filmato mentre emette il comportamento target;
- point-of-view video modeling: il comportamento target viene registrato dalla prospettiva del bambino;
- video prompting: suddivisione del video in più clip o fermo immagine che consentono una spiegazione passo dopo passo del compito da svolger e.

I comportamenti che è possibile insegnare con il videomodeling si riferiscono a diversi ambiti: le abilità di vita quotidiana; le abilità sociali, le abilità
di auto-accudimento; le abilità di gioco; il linguaggio e le abilità comunicative.

Autori come Nikopoulos e Keenan (2003) hanno studiato l’efficacia del videomodeling per promuovere i comportamenti sociali in bambini con autismo durante le attività
di gioco. I dati mostrano un miglioramento significativo nelle interazioni sociali dei bambini coinvolti nella ricerca. L’apprendimento è stato generalizzato anche con i pari
e si è mantenuto nel tempo ai controlli di follow-up effettuati dopo alcuni mesi.

Un altro studio molto interessante è quello condotto da Ergenekon nel 2012. L’autrice ha utilizzato il videomodeling per insegnare ai ragazzi con autismo a discriminare le
situazioni pericolose e aumentare la capacità di primo soccorso. I soggetti coinvolti nello studio hanno acquisito le competenze target e imparato ad applicare le
competenze di base di pronto soccorso a sé stessi e ad altri.

Per le sue caratteristiche il videomodeling è particolarmente efficace in ABA nel trattamento dei bambini con autismo (Nikopoulos & Keenan, 2006).

Aule disciplinari
“Quello che vogliamo vedere è il ragazzo alla ricerca della conoscenza, e non la conoscenza alla ricerca del ragazzo” (George Bernard Shaw).

L’ambiente non è più solo quello spaziale, ma anche relazionale, viene sviluppato il ragionamento e potenziata la personalizzazione
dell’apprendimento che viene definito “situato”, in quanto collegato con la disciplina di riferimento.

Pedagogia di riferimento: costruttivismo, Dewey, Kilpatrick, Decroly, Claparède, Montessori, Bovet, Ferrière, Washburne.

Didattica integrata

La didattica integrata propone percorsi che, esprimendo il cuore del proprio indirizzo di studi, integrano area umanistica e area
scientifica promuovendo competenze trasversali di cittadinanza.

Essa rappresenta una strategia utile alla realizzazione delle così dette educazioni (alla legalità, all’ambiente…), che per loro natura
richiedono un impegno interdisciplinare. Punti fermi sono il potenziamento del pensiero critico e delle pratiche comunicative,
argomentative e deliberative attraverso l’introduzione della retorica e mediante l’applicazione di una didattica per problemi e per
competenze.
Didattica per scenari

Una metodologia in cui ragazzi diventano i protagonisti, il docente propone uno scenario, e guida, orienta i gruppi, promuove
l’autonomia dei singoli. Viene stimolata la creatività e l’uso delle tecnologie.

Riferimenti pedagogici: costruttivismo e della psicologia cognitiva. Dewey e partecipazione attiva.

EAS

La metodologia EAS (Episodi di Apprendimento Situato) è stata introdotta dal prof. Pier Cesare Rivoltella, diffondendosi in Italia a
partire dal 2014.

L’unità con EAS è articolata in 3 fasi: preparatoria, operatoria e ristrutturativa,

attuando il capovolgimento della tradizionale lezione frontale.

In ciascuna fase vengono individuate sia le azioni del docente che quelle degli studenti, riconducendole ad una determinata logica didattica.

L’EAS, basata su un’accurata progettazione del docente (Lesson Plan), propone agli studenti esperienze di apprendimento situato e
significativo, che portino alla realizzazione di artefatti digitali, favorendo un’appropriazione personale dei contenuti.

Riferimenti pedagogici: la metodogia EAS ha come riferimento principale la “scuola del fare” di Freinet (con la sua “lezione a
posteriori”), ulteriori riferimenti sono riconducibili alla Montessori, a Dewey, Bruner, Gardner, Don Milani, alla Flipped Lesson.
Volendo scendere nei dettagli, la metodologia EAS fa suoi molti presupposti dell’attivismo pedagogico, del Mobile Learning e micro-
learning (Pachler), ed è da ricondurre al post-costruttivismo.

IBSE

L’ educazione scientifica basata sull’investigazione (IBSE) è un approccio induttivo all’insegnamento delle scienze che mette al centro
dell’apprendimento l’esperienza diretta. Le attività coinvolgono attivamente gli studenti nell’identificazione di evidenze rilevanti, nel
ragionamento critico e logico sulle evidenze raccolte e nella riflessione sulla loro interpretazione. Gli studenti imparano a condurre
investigazioni ma comprendono anche i processi che gli scienziati usano per sviluppare conoscenza. Efficace a tutti i livelli di scuola,
aumenta l’interesse e i livelli di prestazione degli studenti e sviluppa le competenze fondamentali per prepararsi ad affrontare il
mondo oltre la scuola.

Riferimento pedagogico: matrice costruttivista che parte dal lavoro di Dewey e Piaget. Carl Sagan.

Metodologia dell’espressione

La Metodologia dell’Espressione permette ai processi dell’apprendimento di svilupparsi in piena autonomia secondo il loro sviluppo
naturale. Incoraggia lo scambio fra l’interiorità e l’ambiente, accompagna la crescita personale, facilita l’espressione individuale. Si
applica facilmente nella Scuola dell’Infanzia e permette lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, dei processi mentali, della
comunicazione sociale, educa alla libera scelta e al senso di responsabilità .

Si avvale della cura educativa, dell’ascolto attivo, sincronizza tempi e opportunità, crea connessioni.
Può essere immaginata come un luogo fisico ben delineato, dove chiunque può manifestare i suoi talenti, sentirsi libero dal giudizio
ed acquisire dinamicità e biocentricità.

L’aula flessibile, si scompone secondo le esigenze didattiche e permette l’avventura e la scoperta, un laboratorio tuttavia stabile in
cui tutti possono misurare se stessi in ordine alla propria crescita. Self feeling, voce sound, yoga, traccia, pittura con materiali della
migliore qualità per conoscere le differenze. Coadiuvati da stereo, strumenti musicali, specchio, vestiti da travestimento, divanetti
per la lettura,

Tecnologie avanzate come Lim , Tablet, telecamere digitali, macchine fotografiche reflex, cavalletto, proiettore, usate secondo il
principio di lasciare che i bambini siano protagonisti del digitale, nel pieno sviluppo di uno spirito critico e personale .

Riferimenti pedagogici: Piajet, Montessori, A. Stern, Dewey, Russeau, Steiner, C. Rogers.


Metodo euristico partecipativo

Lo scopo della ricerca-azione è il cambiamento, delle persone, delle relazioni, del contesto.

Peer education

La metodologia della peer education, o educazione tra pari, comporta un radicale cambio di prospettiva nel processo di
apprendimento, ponendo gli studenti al centro del sistema educativo.Il focus è sul gruppo dei pari, che costituisce una sorta di
laboratorio sociale, in cui sviluppare dinamiche, sperimentare attività, progettare, condividere, migliorando l’autostima e le abilità
relazionali e comunicative. La peer education consente di veicolare con maggiore efficacia l’insegnamento delle life skills,
competenze indispensabili per il raggiungimento del successo formativo da parte di ogni studente.

Una strategia educativa che si basa su un processo di trasmissione di esperienze e conoscenze tra i membri di un gruppo di pari,
all’interno di un piano che prevede obiettivi, tempi, modi, ruoli e materiali strutturati.

Riferimenti pedagogici: matrice costruttivista. Ha antecedenti molto antichi, nel metodo del “mutuo insegnamento” (Bell, Lancaster).

Microlearning

Il micro-learning (detto anche bite-sized learning, ovvero “apprendimento a piccoli bocconi”, o in pillole, se vogliamo) è, come si
deduce dal nome, un approccio didattico focalizzato sulla minuzia delle unità di apprendimento (o unità didattiche).

“Apprendimento in formato micro”. Questo significa che la caratteristica principale di questo approccio è la granularizzazione della conoscenza,
ovvero il processo per cui l’oggetto di apprendimento viene frammentato in porzioni minime per favorirne lo studio e l’assimilazione. Queste unità
costituiscono le “learning nuggets”, ovvero le “pepite di apprendimento” in cui un corso può essere suddiviso al fine di renderne la fruizione più
agile.

Obiettivi del microlearning: Una progettazione didattica che abbraccia la teoria del microlearning ha l’obiettivo di segmentare il flusso di conoscenza
da trasmettere in brevi unità che consentono di formulare diversi percorsi formativi a seconda dell’ordine e del contesto di fruizione.

Caratteristiche di un corso microlearning: I contenuti sviluppati secondo le logiche del microlearning sono progettati per essere fruiti
da remoto e per coinvolgere l’utente in esperienze formative brevi ma significative e fortemente specifiche.

Per impartire una lezione in microlearning possiamo realizzare un’app dedicata, lanciare un blog, utilizzare formati come webinar e
infografiche, inviare pillole quotidiane, diffondere contenuti attraverso i social o creare una rubrica su Telegram.
Le principali cose da tenere a mente circa l’identità delle attività di microlearning sono la breve durata (solitamente tra i 3 e i 10 minuti), l’approfondimento di un unico
concetto o argomento e la possibilità di distribuire i contenuti multimediali che compongono l’esperienza attraverso i dispositivi mobili.

Ultimo aspetto degno di nota è la “smartness” del micro-learning: a differenza degli approcci di e-learning “tradizionali”, esso tende spesso ad avvantaggiarsi della
tecnologia tramite le notifiche “push” (quelle tipiche degli smartphone), che catturano l’attenzione dello studente. Così, ad esempio, quando un podcast dell’insegnante
sarà pronto per la visione, all’alunno (grazie a un’app dedicata alla didattica) arriverà una notifica sullo schermo del cellulare che lo avviserà del nuovo micro-contenuto.

Riferimenti pedagogici: Microteaching di Dwight W. Allen (Stanford University, anni ’60), a sua volta sviluppatosi nell’ambito del
costruttivismo e del costruzionismo.

Service learning
“Faciliterai l’apprendimento del discepolo se gli fai vedere l’applicazione che nella vita comune quotidiana ha tutto quello che gli insegni… Se gli mostri il valore di ogni
cosa, farai in modo che sappia quello che sa e possa usarlo.” Joan Amos Comenius (1593-1670), Didattica Magna.

Nel Service Learning l'apprendimento è servizio ed il servizio è apprendimento.

Il Service Learning è una metodologia di apprendimento attivo, è un apprendimento situato in un contesto.


Nel fare Service Learning il docente ampia l'ambiente di apprendimento dalla classe, alla scuola alla comunità fuori dalla scuola.

Il Service Learning è una proposta pedagogica che unisce il Service (la cittadinanza, le azioni solidali e il volontariato per la comunità)
e il Learning (l’acquisizione di competenze professionali, metodologiche, sociali e soprattutto didattiche), affinché gli allievi possano
sviluppare le proprie conoscenze e competenze attraverso un servizio solidale alla comunità. Si chiede agli studenti di compiere
concrete azioni solidali nei confronti della comunità nella quale si trovano ad operare.

Nel fare questo, gli studenti mettono alla prova, in contesti reali, le abilità e le competenze previste dal loro curriculum scolastico,
e richiamate non solo dalle Indicazioni nazionali per il curricolo, ma dagli orientamenti internazionali, che esplicitamente
raccomandano di collegare gli apprendimenti disciplinari alle competenze chiave o di cittadinanza.
Attraverso questo tipo di esperienza, che integra apprendimento e servizio, gli studenti interiorizzano importanti valori (giustizia,
legalità, uguaglianza, rispetto e cura per l’ambiente).
La pedagogia del Service Learning offre strumenti didattici per lo sviluppo di comportamenti pro sociali, come l’aiuto, il servizio, la condivisione,
l’empatia, il prendersi cura dell’altro, la solidarietà. Gli studenti sono protagonisti in tutte le fasi del progetto, dalla rilevazione dei bisogni, alla
progettazione degli interventi, alle azioni messe in campo, alla valutazione degli esiti. Sperimentano, in questo mondo, la fiducia nei loro confronti, e
diventano capaci di assunzione di responsabilità, di migliorare la qualità di vita delle persone, prendendosi cura degli altri e dell’ambiente.

Attraverso l’approccio pedagogico del Service Learning si crea un solido legame tra scuola e comunità sociale. La comunità scolastica si apre sempre
più al dialogo con i diversi attori presenti sul territorio: le famiglie, gli enti locali, il mondo produttivo, il Terzo Settore, il volontariato.

l metodo scientifico per le STEM

Dall’inglese Science, Technology, Engineering e Math. In realtà non si tratta di una metodologia didattica e neanche di 4 discipline a
sè stanti ma di 4 discipline integrate in un nuovo paradigma educativo basato su applicazioni reali ed autentiche.

Ciò che differenzia lo studio delle STEM dalla scienza tradizionale e dalla matematica è il differente approccio. Viene mostrato agli
studenti come il metodo scientifico possa essere applicato alla vita quotidiana. Le STEM consentono di insegnare agli studenti il
pensiero computazionale concentrandosi sulle applicazioni del mondo reale in un’ottica di problem solving.

Più di recente, inoltre, è sorta anche la necessità di includere la lettura tra le discipline da tutelare, evolvendo quindi da STEM o
STEAM in STREAM – con l’aggiunta della R per Reading.
L’idea è che la lettura è ancora un elemento che sviluppa senso critico che concorre al successo di ogni studente. Lettura e scrittura sono fondamenti
della comunicazione, qualsiasi disciplina si insegni.

TEAL

La Technology-Enhanced Active Learning (TEAL) è una metodologia progettata nel 2003 dal MIT di Boston.

La lezione frontale è spesso recepita passivamente dagli studenti; TEAL si propone di: unire lezione frontale, simulazioni e attività laboratoriali con le
tecnologie; progettare spazi con specifiche caratteristiche, arredi modulari e riconfigurabili a seconda delle necessità; creare interconnessione fra
tecnologie e strumenti diversi; stimolare il confronto fra pari, la ricerca in rete, la discussione delle tematiche, la loro rielaborazione attraverso una
sintesi condivisa in rete. Il metodo coniuga le lezioni frontali, le attività laboratoriali e l’attivismo pedagogico per dare vita a un apprendimento
arricchito e basato sulla collaborazione.

Tinkering

Tinkering è un termine inglese che vuol dire letteralmente “armeggiare, adoperarsi, darsi da fare”.

Il Tinkering viene oramai considerato, negli ambienti educativi a livello internazionale, un approccio innovativo per l’educazione alle
STEM, ed è menzionato nel PIANO NAZIONALE SCUOLA DIGITALE come uno strumento importante per lo sviluppo delle competenze
del 21° secolo e per l’educazione alle STEM.

Si parla di tinkering come di una forma di apprendimento informale in cui si impara facendo.
L’alunno è incoraggiato a sperimentare, stimolando in lui l’attitudine alla risoluzione dei problemi.

Tutte le attività vengono lanciate sempre sotto forma di gioco o sfida.

Lo scopo del tinkering è realizzare oggetti di vario genere utilizzando materiali di recupero, facilmente reperibili anche in casa.
Le cose che si possono costruire sono tantissime: circuiti elettrici, piccoli robot, giocattoli meccanici, piste per biglie, meccanismi di
reazione a catena, sculture.

Pedagogia di riferimento: costruttivismo di Dewey e Piaget.

Twletteratura

Il metodo propone la lettura di opere della letteratura, delle arti e della cultura e la loro divulgazione.
Questa metodologia, pubblicata sotto licenza Creative Commons, è stata sperimentata a partire dal 2012 da P. Costa, E. Montenegro
e P. Vaccaneo, attorno ai quali si è aggregata una comunità di diverse migliaia di appassionati e alcune centinaia di ‘riscrittori’ regolari.

La comunità sceglie un libro, lo legge e lo commenta, in base a un calendario condiviso, ‘riscrivendolo’ su Betwyll, l’app per il social reading di
TwLetteratura o su Twitter. Ciascun utente propone la sua interpretazione in forma di twyll e/o tweet : la riscrittura può es sere parafrasi, variazione,
commento, libera interpretazione, nonché essere associata a media diversi da quello originale (video, canzoni, disegni). L’uso di registri stilistici
differenti – secondo il modello dell’Oulipo – permette di sperimentare infinite combinazioni di decostruzione e ricostruzione del testo di partenza.
Social Reading.
Writing and Reading

L’obiettivo del Writing and Reading Workshop è trasformare le classi in comunità di lettori e scrittori competenti, critici ed appassionati.
Pedagogia di riferimento: Donald Murray, Donald Graves, Columbia University, Lucy Calkins, Nancie Atwell, Frank Serafini, Jenny Poletti Ritz.

VEDI http://www.metodologiedidattiche.it/2017/12/09/didattica-integrata/

TASK ANALYSIS (ANALISI DEL COMPITO)

Tecnica che serve a rappresentare le azioni che la persona deve eseguire per lo svolgimento di un compito.

“L’analisi del compito è un insieme di metodi che consente di scomporre in sotto-obiettivi più semplici e accessibili un compito-obiettivo inizialmente
troppo complesso per essere proposto nella sua totalità” (Ianes, 2006).

Il compito viene scomposto partendo dalla sua descrizione globale fino ad arrivare alla descrizione delle singole azioni necessarie
per la sua esecuzione. L’analisi del compito si basa sulla creazione di un elenco di tutte le operazioni, che la persona deve eseguire e
di tutte le informazioni che sono necessarie per raggiungere gli obiettivi (una sorta di algoritmo).

Molto spesso nell’insegnamento ad alunni con Bisogni Educativi Speciali gli obiettivi, che vengono definiti in base ad una prima
operazione di valutazione delle abilità possedute e dei deficit, devono essere ridotti ed organizzati in sequenze graduali per
difficoltà, che riescano a facilitarne l’apprendimento.

La metodologia delle Task Analysis prevede due momenti:


1-Descrizione del compito;
2-Analisi delle abilità componenti.

La ripetizione sistematica del comportamento, se viene rinforzata dall’ambiente (genitori, insegnanti, educatori, coetanei, …) viene generalizzata e
quindi ripetuta in altre situazioni e in altri contesti.

Tecniche utilizzate nella TA: Shaping e le tecniche del prompting e del fading rappresentano due momenti di un'unica metodologia
didattica (vedi Skinner in Psicologia). Il modeling o modellamento (Bandura).

Per poter parlare di APPRENDIMENTO è necessario:


- MANTENIMENTO nel tempo dei comportamenti e delle abilità acquisite,
- GENERALIZZAZIONE in contesti differenti.

METODO RULER
Il Metodo Ruler è stato messo a punto dal professor Marc Brackett e dal suo gruppo di ricercatori della Yale University
e R.U.L.E.R. è l’acronimo di:
Recognizing: riconoscere le emozioni nelle espressioni del volto, negli indizi vocali e nel linguaggio del corpo;
Understanding: comprendere le cause e le conseguenze delle emozioni; Labeling: classificare l’intera gamma delle
emozioni utilizzando un vocabolario ricco; Expressing: esprimere le emozioni in maniera appropriata nei vari contesti;
Regulating: gestire e regolarle le emozioni efficacemente per avere relazioni sane e raggiungere gli obiettivi.
Il fine di questo metodo è proprio quello di riconoscere, comprendere, definire, esprimere e gestire le proprie emozioni.
E se nelle materne si ottengono i risultati più veloci, nelle superiori gli studenti diventano parte attiva del progetto,
offrendo riflessioni e suggerimenti di grande creatività e profondità.

Il metodo Ruler inizia ad essere applicato soprattutto nelle scuole per cercare di creare un equilibrio all’interno delle
classi, sia tra gli alunni che tra gli alunni e gli insegnanti.
Fanno parte del Metodo Ruler anche le seguenti tecniche:
Il contratto emozionale, che impegna per iscritto ragazzi, insegnanti e genitori a dare la giusta importanza a quello che
provano per creare un ambiente di vita migliore; viene stabilito un programma ed un obiettivo da raggiungere ed
ognuno nel proprio ruolo si impegna in ciò che è stato concordato, infondendo così sia negli insegnanti che negli alunni
maggior responsabilità, autostima, senso di valore ed appartenenza al gruppo e senzo di socializzazione ed integrazione;
I meta-momenti, cioè i momenti in cui ognuno ragiona, trovando le parole migliori, sulle proprie emozioni, sulle loro
cause, su cosa comporterà il restare di un certo umore. È la fase in cui si sviluppano strategie per migliorare le pratiche
riflessive e le abilità di risoluzione dei problemi e di gestione delle emozioni; si realizza così un processo di profonda
conoscenza interiore, di comprensione dei propri desideri e si amplifica la capacità del problem solving;
Il blueprint, un questionario per dirimere i conflitti che viene somministrato in caso di litigio tra due studenti con la
consegna da parte dell’insegnate di rispondere alle domande del questionario, esplicitando così le ragioni emotive del
conflitto. Le risposte di uno vengono poi fatte conoscere all’altro, e questo permette a entrambi di capire il punto di
vista dell’avversario.
Si è riscontrato chiaramente, nelle scuole dove si è utilizzato il blueprint, che i bulli e le loro vittime erano portati a riflettere su
ragioni e conseguenze dei loro comportamenti, riducendo aggressività ed ostilità ed aumentando l’empatia, la socializzazione, la
tolleranza e l’integrazione del gruppo.
Inoltre con tale metodo si verificano meno situazioni conflittuali tra studenti ed insegnanti o situazioni di incomprensioni, perché il
metodo costringe le parti, tutte indipendentemente dal ruolo assunto, al chiarimento ed al superamento delle varie problematiche,
dissapori, tensioni, incomprensioni e nervosismi, il tutto a vantaggio di un apprendimento scolastico veramente formativo ed
accrescitivo, non solo per lo studente ma anche per la professionalità dell’insegnante.
Gli strumenti del Metodo RULER sono frutto di oltre venti anni di ricerche svolte dal team della Yale University e rendono possibile
l’integrazione dell’Educazione Emozionale nel curriculum scolastico per favorire la sicurezza psico-fisica a scuola, un clima
scolastico positivo, la qualità delle relazioni interpersonali e la riduzione di comportamenti aggressivi e di bullismo.
Il metodo Ruler propone una serie di attività e di strumenti, che, dove sono stati applicati, hanno portato in media a un aum ento dell’11 per cento nei
rendimenti, del 19 per cento dell’impegno e a un calo del 17 per cento nei problemi di comportamento. Il metodo migliora il clima in classe,
favorendo partecipazione, empatia e fiducia tra le persone, mentre fa diminuire bullismo, uso di alcol e droghe, ansia, iperattività e distrazione.

Il Metodo Mood Meter


ll Metodo Mood Meter è uno strumento utile a comprendere i propri stati d’animo e quelli degli altri, ed è un sistema applicato non
soltanto nelle scuole ma in tutti gli ambienti di condivisione sociale, come il lavoro, i luoghi di ritrovo sportivo o culturale, i luoghi
delle didattiche in cui viene insegnato a comprendere la propria capacità emotiva e l’empatia.

Con tale sistema tutti sono chiamati a riempire il diagramma scrivendo su dei post-it il proprio nome e l’emozione provata in quel
preciso momento e successivamente ad attaccare il post-it nel riquadro corrispondente. Questi piccoli gesti sono momenti di grande
consapevolezza e dichiarazione di Sé perché mettendo il nostro nome in bella vista non ci prendiamo la responsabilità e la
potenzialità di esprimere ciò che sentiamo.

Questo strumento ha lo scopo di educare i ragazzi a comprendere le emozioni e nello stesso tempo, di offrire agli insegnanti,
collaboratori, istruttori, direttori un mezzo attraverso cui far elaborare ai propri studenti, collaboratori, colleghi, corsisti o
appartenenti al gruppo i loro stati d’animo.

È scientificamente provato che, gestendo le emozioni, si riescono a prevenire i litigi in classe o nei gruppi, le situazioni d’ansia, di
tensione di nervosismo e anche quelle negative verso determinate persone o situazioni ambientali, andando a vantaggio
dell’insegnamento, della conoscenza del gruppo e del consolidamento di esso, delle capacità di apprendimento, di conoscenza e
tolleranza, e della possibilità di far emergere i potenziali di ogni singolo individuo.
È la possibilità di sviluppare Empatia, pensiero critico e la cosiddetta Intelligenza Emotiva.

Il Mood Meter viene chiamato anche “Diagramma delle emozioni” .


GESTIONE DELLA CLASSE, STILI COGNITIVI, DSA E BES

MODELLI DI GESTIONE DELLA CLASSE


Il modello di Jacob Kounin
le strategie più efficaci:
- Presenza efficace: Insegnante conosce in ogni momento ciò che accade in classe Gli allievi sentono di avere di fronte
un docente che li sa osservare
- Slancio e scorrevolezza: Saper catturare l’interesse Saper mantenere viva l’attenzione Trasmettere energia ed
entusiasmo
- Condurre più attività contemporaneamente: Tener conto di bisogni differenti Diversificazione delle attività
- Diversificare la didattica nel corso della didattica: Proporre attività diverse e motivanti Strutturare il programma in
modo da impegnare sempre gli allievi
- Effetto onda: Serve per prevenire comportamenti inadeguati Si riprende allievo di fronte alla classe vale per tutti È
più efficace con i bambini che con gli adolescenti.

Il modello di William Glasser


La qualità della scuola passa attraverso quella dell’insegnamento.
I bisogni fondamentali sono:
- Sopravvivenza; Appartenenza; Competenza; Libertà ; Gaiezza
- Docente deve operare scelte sui contenuti, privilegiando l’approfondimento e l’analisi, piuttosto che frammentarietà e superficialità.

Approccio educativo-facilitatorio.
l’insegnante:
- Sollecita gli studenti ad esprimersi.
- Propone attività personalizzate.
- Insiste su autovalutazione degli allievi.
- Favorisce clima di classe positivo.
- Utilizza metodi persuasivi, non repressivi.

Il modello di Lee Canter


Punto di partenza è il rispetto dei diritti del docente.
Il rapporto educativo si basa sul rispetto dei diritti reciproci. Insegnante ben preparato rispetta i diritti degli allievi nel momento
in cui:
- fissa le regole e ne richiede il rispetto,
- pretende affidabilità e serietà,
- formula consegne utilizzando un linguaggio puntuale,
- assume ruolo autorevole,
- promuove comportamenti collaborativi,
- favorisce clima positivo in classe,
- guida e orienta il percorso formativo degli studenti.

Assertività: Capacità di farsi valere con la persuasione, orientando le scelte e ottenendo il consenso altrui.

Il modello di Fredric Jones (1987).


“Gli insegnanti prendono ogni giorno circa 500 decisioni di conduzione della realtà di classe, che rende il loro lavoro secondo solo come
complessità e stress a quello dei controllori del traffico aereo”.
Il modello si basa su:
Precisa organizzazione della classe (ambiente fisico, aula, sistemazione banchi, posizione della cattedra);
insegnante deve poter raggiungere allievo nel più breve tempo possibile.
Ruolo della comunicazione non-verbale:
Controllo prossimale; Contatto oculare; Espressioni facciali; Postura del corpo; Segnali e gesti; Respirazione; Tono della voce.
Strategie di conduzione della lezione:
Usare sistema di incentivi
periodo da dedicare al disegno libero, ad attività libere, alla lettura di un libro…
La metodologia è lo studio dei metodi, inteso come riflessione epistemologica sulla loro natura/struttura.
E’ lo studio dei metodi della ricerca pedagogica e anche lo studio delle modalità di compimento dei processi di
insegnamento/apprendimento Si realizza attraverso un insieme di approcci filosofici scelti per costruire l’apprendimento
mentre il metodo è una maniera particolare di svolgere un’attività di insegnamento/apprendimento
Il metodo riguarda il come insegnare.
Con il termine “metodo didattico s’intendono i concetti e i principi che stanno alla base di un’azione formativa e che
pianificano in maniera articolata le variabili del processo di apprendimento.
UDA: UNITA’ DI APPRENDIMENTO.

L’unità di apprendimento è un percorso formativo interdisciplinare:

● che ingaggia lo studente nel ruolo di protagonista del processo di apprendimento.


● articolato intorno ad un tema ed organizzato in fasi di sviluppo temporale,
● finalizzato all’acquisizione/mobilitazione delle conoscenze e delle abilità,
● necessarie a promuovere le competenze culturali e sociali,
utili ad affrontare e risolvere una situazione-problema (compito di realtà), (vedi).
che prevede la creazione di un elaborato detto prodotto finale,
cui dare rilevanza tramite una presentazione “pubblica” (ad altre classi, a scuola, ai genitori, alla cittadinanza).

Il prerequisito per lo sviluppo delle competenze in un’UdA è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità,
che possono essere:

- sviluppate all’interno dell’UdA, lungo le fasi di svolgimento, come risorse indispensabili ad affrontare il compito di
realtà;

- già state sviluppate in precedenza e riprese nell’UdA mediante il compito di realtà;

- promosse contestualmente allo svolgimento stesso del compito di realtà.

Il compito di realtà permette di mobilitare le conoscenze e le abilità nella risoluzione di una situazione-problema
complessa, inedita, aperta a più soluzioni (o con una soluzione a cui si può arrivare in diversi modi) e attinente alla vita
reale.

L’UdA è un percorso che ha il fine di rendere gli studenti protagonisti del loro apprendimento, per cui necessita
dell’adozione di metodologie didattiche:
- induttive, in cui l’allievo arrivi a concettualizzare ed astrarre a partire dall’osservazione e dall’esperienza empirica;
- laboratoriali, in cui il sapere venga praticato e tradotto in un saper fare (learning by doing);
- cooperative, in cui il collaborare in gruppo o il peer tutoring diventino occasioni per creare una zona di sviluppo
prossimale in cui tutti gli alunni possano accrescere le loro competenze (cooperative learning);

Un’UdA, solitamente, è composta da:


- una parte introduttiva, che presenta informazioni generali quali:
gli assi/insegnamenti coinvolti;
i risultati di apprendimento attesi in termini di competenze, abilità e conoscenze;
i pre-requisiti indispensabili ad affrontarla;
il valore formativo del percorso;
la durata complessiva;
- una parte più dettagliata, detta piano di lavoro dell’UdA, in cui il percorso viene articolato in fasi
progressive o parallele, per ognuna delle quali vengono esplicitati:
- i contenuti da affrontare,
- le attività e strategie didattiche da utilizzare, i tipi di prova (verifica, prova di competenza o compito di realtà)
ed i criteri di valutazione;
- la durata;
- una pianificazione temporale dello svolgimento delle fasi, tramite un diagramma di Gantt.
- griglie per l’osservazione sistematica e rubriche di valutazione delle competenze.
Infine, la durata delle unità di apprendimento può variare:

- Small: 12-15 ore con massimo 3 fasi.


- Medium: 20-25 ore e massimo 5 fasi.
- Large: 30-40 ore o più, minimo 6 fasi e varie competenze da promuovere.

1. Da dove iniziare
Gli approcci per avviare una progettazione di un’unità di apprendimento possono essere molteplici.
Si può cominciare da un tema comune interdisciplinare da sviluppare o da un compito di realtà che preveda
un elaborato o un prodotto finale da realizzare. In alternativa, si possono individuare prima le competenze
da raggiungere o consolidare per poi definire il compito di realtà funzionale a questi obiettivi.

È importante che i docenti tengano a mente le conoscenze e le abilità in possesso degli studenti in ogni fase
della progettazione.

2. Selezionare contenuti e obiettivi.

A seguire, occorre selezionare le competenze obiettivo da promuovere, le conoscenze e le abilità da


sviluppare e gli insegnamenti coinvolti a livello interdisciplinare.
Si possono sia approfondire dei saperi già trattati trasversalmente, sia seguire dei contenuti ancora non
trattati in ottica mono-disciplinare, adattandoli poi al collegamento tra due o più ambiti.
3. Individuare i compiti di realtà.

I compiti di realtà sono utili per promuovere e valutare le competenze acquisite attraverso le UdA.
Per questo motivo la progettazione può prevedere uno o più compiti di questo tipo.
Nel caso di un compito unico, se ampio è preferibile prevedere fasi intermedie che permettano una graduale valutazione. Nel caso
di più prodotti, l’approccio può essere mono-disciplinare per ciascun prodotto con un macro-tema comune.

4. Organizzare l’UdA in fasi.

La seconda parte dell’unità di apprendimento prevede la stesura di un piano di sviluppo diviso in fasi.
Ogni fase deve avere un titolo, un aspetto didattico in termini di contenuti, attività, strategie e prodotti e
infine una valutazione.

Le fasi di un’UdA possono essere concatenate oppure parallele e autonome, a seconda delle competenze da
sviluppare.
Ogni fase è di solito svolta da un insegnamento, sviluppa competenze e saperi, deve essere utile al prodotto finale
dell’UdA e al raggiungimento degli obiettivi.

5. Selezionare attività e strategie didattiche.

Le strategie didattiche da utilizzare devono essere coinvolgenti e partecipative, dall’utilizzo del gioco al
brainstorming o apprendimento cooperativo in gruppi.

Ogni fase deve prevedere un prodotto intermedio utile a valutare le competenze, abilità e conoscenze
promosse tramite prove tradizionali o di competenza.

6. Individuare gli strumenti di valutazione e i criteri.

Per la realizzazione del compito di realtà è fondamentale definire criteri e strumenti di valutazione.
Questo processo può essere realizzato costruendo una rubrica di valutazione oppure tramite griglie di
osservazione sistematica correlate alla valutazione dei livelli di competenza degli studenti coinvolti.
Il docente potrà scegliere una prova tradizionale o di competenza, strutturata o non strutturata, per rilevare
il livello di abilità e conoscenze ed eventualmente modificare l’unità di apprendimento.

7. Fare un cronoprogramma.

Gli interventi possono essere calendarizzati con un cronoprogramma utilizzando il diagramma di Gantt, per
stabilire il periodo dell’insegnamento e le ore dedicate.
In questo modo il docente ha la possibilità di rimodulare le attività, se necessario, basandosi sui risultati delle
valutazioni intermedie e di programmare gli interventi didattici.

8. Preparare il documento per gli studenti.


Un punto centrale della programmazione per unità di apprendimento nella scuola secondaria di secondo
grado è quello della presentazione delle UdA agli studenti, che deve avvenire in maniera semplice e chiara a
tutti.

La consegna dell’UdA deve includere i seguenti punti:


- cosa è richiesto agli alunni;
- quali sono le motivazioni alla base di queste richieste;
- quali sono le modalità in cui verranno svolti i compiti;
- i prodotti da realizzare, modalità, tempi, strumenti a disposizione;
- come sarà svolta la valutazione.

I tipi di UdA da progettare

UdA d’asse: è un percorso che coinvolge gli insegnamenti di un asse culturale e verrà progettata dai
dipartimenti d’asse dell’area generale.

UdA pluriasse: coinvolge insegnamenti di più assi culturali, anche in modo trasversale alle aree generale e di indirizzo.

UdA di indirizzo: è un percorso caratterizzante l’indirizzo di studi e sarà progettato dal dipartimento d’asse
scientifico, tecnologico e professionale, che avrà il compito di promuovere le competenze professionalizzanti,
cercando di coinvolgere anche le discipline dell’asse di area generale.

La partecipazione degli insegnamenti di area generale si limiterà ad un intervento mirato e funzionale allo sviluppo delle
competenze di indirizzo.
VALUTAZIONE (Approfondimento).

In ogni unità di apprendimento si possono valutare:

● le competenze culturali promosse nei compiti di realtà proposti, ossia quelle appartenenti agli assi culturali e
contenute negli allegati delle Linee guida.

● le competenze chiave per la cittadinanza attiva (8 competenze chiave UE o del DM 139/07) trasversali a tutti gli assi
culturali.

● le conoscenze ed abilità che sono state mobilitate ed utilizzate dallo studente nell’affrontare il compito di realtà,
collegate a delle competenze di riferimento e appartenenti agli assi, nonché ai singoli insegnamenti
Quali compiti proporre nell’UdA.

Per valutare le competenze si


potrà:

● osservare lo svolgimento del


compito di realtà,
● valutare i prodotti elaborati,
● valutare la relazione di
ricostruzione dell’attività da parte
dell’allievo,
● somministrare prove di
competenza.

Per valutare le conoscenze e le abilità si potranno stabilire criteri qualitativi per attribuire un voto in decimi anche ai
prodotti intermedi e finale e alla relazione individuale.

Nel caso in cui l’UdA preveda anche delle fasi introduttive basate sull’acquisizione di conoscenze e abilità necessarie
ad affrontare i compiti di realtà delle fasi successive, si potranno somministrare al temine di queste anche prove di
verifica tradizionali, cui attribuire voti in decimi.
STILI INSEGNANTE
ATTRIBUZIONI (INTELLIGENZA)
L’insegnante “entitario”: concepisce l’intelligenza come un tratto stabile,
tende ad attribuire il fallimento a mancanza di abilità (e a porre l’alunno in situazioni facili per evitargli l’insuccesso).
L’alunno capisce di non essere bravo e si demotiva.
L’insegnante “incrementale”, ritiene l’intelligenza modificabile,
si pone più obiettivi di apprendimento che di prestazione.
Pone i ragazzi di fronte a compiti stimolanti che li portano ad impegnarsi senza temere il fallimento (che è
considerato come normale e prevedibile del processo di apprendimento).
(simile a concezione strutturalista dell'intelligenza).

RISPETTO ALLA COMUNICAZIONE CON LA FAMIGLIA DEL DISCENTE

L’approccio degli insegnanti con i genitori può seguire tre modelli di comunicazione, che definiscono la
modalità che può assumere la relazione tra scuola e famiglia.

La comunicazione genitoriale: l’insegnante si pone come una persona di famiglia utilizzando modalità
comunicative di tipo affettivo quali la comprensione e l'accudimento dei genitori.
Il colloquio informale davanti alla scuola diviene uno strumento privilegiato di comunicazione. Il rischio di questo modello può consistere
nell'alimentare la dipendenza del genitore dalle decisioni dell’insegnante con ridotte possibilità di attivare le risorse autonome della famiglia, l'eccesso
di affettività rischia di mascherare una richiesta di sostituzione educativa del genitore da parte dell'insegnante.

La comunicazione direttiva: l'insegnante si pone soprattutto come un rappresentante della scuola e


sottolinea la sua dimensione istituzionale; gli strumenti comunicativi privilegiati sono i giudizi e la
comunicazione prevalentemente valutativa.
Il genitore si sente incapace di sostenere i compiti educativi e di apprendimento e tende evitare l'incontro con
l'insegnante o cerca lo scontro.

La comunicazione competente: l’insegnante sostiene la relazione con i genitori al fine di condividere una
lettura del percorso scolastico in funzione degli obiettivi di apprendimento; utilizzando strumenti tecnici ed
empatici l'insegnante attraverso la comprensione emotiva e la competenza didattica aiuta i genitori nella
promozione delle potenzialità del figlio, al fine di rendere la relazione educativa il più funzionale possibile ed
il raggiungimento di obiettivi condivisi.

Il genitore è visto come una risorsa e non come un problema, la dimensione è prevalentemente
collaborativa.

Modalità comunicative dei genitori.


Possono essere presentate almeno quattro tipologie di genitori in base alle caratteristiche che emergono dall' incontro
con i docenti.

- Sfidante: questi genitori non riconoscono l'autorità dell'insegnante; hanno un vissuto di scarsa autostima.
Svalutazione e ansia possono caratterizzare questi genitori che attribuiscono alle comunicazioni degli
insegnanti un disvalore o un attacco.
- Sottomesso: dipendenza dalla figura di autorità. (scarsa autostima).
- Assente.
- Partecipativo.
Il modello The Overlapping Spheres of Influence Model di Epstein (1996), che si ispira alla visione di Bronfenbrenner
(1986), enfatizza la cooperazione tra scuola e famiglia attraverso due sfere più o meno sovrapposte o separate, in
base a tre forze in gioco:
- il tempo;
- le caratteristiche e le pratiche della famiglia;
- la filosofia e le prassi della scuola.

Per Epstein le attività fondate sull’alleanza tra scuola e famiglia sono raggruppate in sei categorie:

Parenting; Communicating; Volunteering, Learning at home;


Decision making (Coinvolgimento dei genitori nelle decisioni a livello di commissioni scolastiche, consiglio di classe, di istituto );
Collaborating with the community.

Il costrutto di stile comunicativo di Robert Norton e applicazioni in ambito educativo.


Norton (1983) definisce lo stile comunicativo:
“il modo in cui una persona interagisce a livello verbale, non verbale e paraverbale al fine di segnalare come il
significato letterale debba essere recepito, interpretato, filtrato e compreso”.

Lo stile, in sintesi, coinvolge tre elementi portanti nel processo comunicativo:


contenuto, identità, relazioni interpersonali.

Norton ha identificato 11 stili comunicativi:


- Dominante.
A livello di tratti di personalità, la comunicazione dominante rimanda a:
assertività, positività, competitività, sicurezza di sé, metodicità, presuntuosità, attività.

- Drammatico.

- Polemico.
è esigente nei confronti dell’interlocutore, tollera difficilmente opinioni diverse dalle sue, vuole sempre e comunque andare fino in
fondo alle discussioni. Tale modalità stilistica può avere diverse sfumature.

- Animato.
Il comunicatore animato usa in maniera frequente e prolungata il contatto visivo e le espressioni facciali e lascia trasparire facilmente
le proprie emozioni.

- D’impatto o d’effetto.

- Rilassato.

- Attento.
- feedback: - empatia: - ascolto.

- Aperto.
Espansività, affabilità, convivialità, gregarietà, schiettezza, loquacità, franchezza.

- Amichevole.

- Preciso
L’undicesima modalità di stile è una variabile dipendente rispetto alle altre e viene definita: Immagine Comunicativa.
STILI (STUDENTE)
STILI ATTRIBUTIVI E APPRENDIMENTO:

Nello stile di attribuzione definito come «pedina»:


L’alunno mette in atto delle attribuzioni esterne, sia in caso di successo che di insuccesso,
ma può mettere in atto strategie per migliorare la situazione.

Altri stili attributivi:


Stile abile:
Credenza: le cose riescono bene perché si è bravi; se non riescono non si è bravi ed è inutile provare.

Stile depresso
Attribuzione causale: successo = cause esterne; insuccesso = mancanza di abilità.
Stile negatore: successo = causa interna; insuccesso = causa esterna.

• Motivazione (per i 3 stili sopra): evitare il fallimento.

Stile impegno strategico:


Attribuzione causale:
- il successo è dovuto all’impegno,
- l’insuccesso alla mancanza di impegno o di utilizzo di strategie adeguate.

Stili cognitivi e di apprendimento


In generale possiamo dire che per stile cognitivo si intende:
un approccio generale preferito nell’esperienza, nell’elaborazione delle informazioni e nella
rappresentazione della realtà.
Cadamuro (2004) definisce lo stile di apprendimento come:
“la tendenza di una persona a preferire un certo modo di apprendere-studiare;
riguarda la sua modalità di percepire e reagire ai compiti legati all’apprendimento,
attraverso la quale mette in atto/sceglie, i comportamenti e le strategie per apprendere.

Modello di Kolb:

Kolb è l’autore che più di ogni altro si è occupato di stili di cognitivi e di apprendimento.
Egli introduce il concetto di apprendimento esperienziale, un processo dove la conoscenza è creata attraverso
l’osservazione e la trasformazione dell’esperienza. Kolb intende l’apprendimento come una riflessione sulle azioni.

Secondo questo modello, pertanto, le persone baserebbero il loro apprendimento su quattro modalità:
- le esperienze concrete (EC);
- l’osservazione riflessiva (OR);
- la concettualizzazione astratta (CA);
- la sperimentazione attiva (SA).
Dalla loro combinazione risultano i seguenti STILI di Apprendimento:

1) Il tipo CONVERGENTE:
Tende ad essere un concettualizzatore astratto, interessato alla sperimentazione attiva.
Abile nell’applicazione pratica delle idee,
tende ad affrontare i problemi in base a un ragionamento ipotetico-deduttivo.
Per lui, la migliore teoria del mondo non vale nulla se non ha applicazioni pratiche immediate.
Si rivela proficuo nel problem solving.

2) DIVERGENTE:
E’ all’opposto del convergente. Preferisce l’esperienza concreta e l’osservazione riflessiva.
Riesce a vedere i problemi da vari punti di vista.
Riescono al meglio in quelle situazioni che necessitano di brainstorming.

3) ASSIMILATORE:
Sono più teorici che pratici e attivano una metodologia coerente e precisa, sono ricercatori scientifici.

4) ACCOMODATORE:
Piace l’esperienza concreta, sono abili nell’attività di sperimentazione attiva che applicano all’esperienza
concreta. Sono pensatori pratici, flessibili, intuitivi ai quali piace apprendere per prove ed errori più che per
analisi.

Lo strumento utilizzato per misurare questi quattro stili di apprendimento è il Learning Style Inventory, un questionario
attualmente molto utilizzato (Cadamuro, 2004).

Modello di Honey e Mumford:


- L’attivista.
- Il riflessivo;
- Il Teorico;
- Il pragmatico.

Modello di Gregorc:

1.Concreto-sequenziale: (piace l’ordine, la praticità e la stabilità, apprezzano la logica (sequenziale), sono ben
organizzati e ricercano la perfezione).
2.Concreto-casuale: (apprendimento per prove ed errori, piace esplorare, intuitivo).
3.Astratto-sequenziale (raccolgono e organizzano una gran quantità di immagini mentali e confrontano le
informazioni lette, ascoltate o viste).
4. Astratto-casuale: (sono persone empatiche e sono caratterizzate da una profonda consapevolezza del
comportamento umano, emozioni, sentimenti).

In generale possiamo classificare gli stili di apprendimento nei seguenti:

STILE ANALITICO: Seriale. Analizza un elemento alla volta e risolve i problemi in maniera sequenziale e logica (Pensiero
convergente).
STILE GLOBALE: Olistico. Non apprendono in maniera lineare ma a balzi. Di fronte ad un testo o ad una immagine,
tenderà a cogliere inizialmente l'aspetto globale. Quadro generale. Sono efficaci nella sintesi e nel pensiero
divergente.

STILE SISTEMATICO: Procede gradualmente prendendo in esame tutte le variabili singolarmente. Preferisce lavorare
con i dati e con i fatti.
STILE INTUITIVO: Preferisce lavorare con i principi e le teorie. Odia la ripetitività.
Procede per ipotesi che cerca di confermare.
STILE VISIVO: Apprende meglio con immagini, mappe, schemi video, disegni e tabelle.
STILE VERBALE: Apprende meglio ascoltando e studiando i testi scritti, ricorda meglio le parole sentite o lette.

STILE DIPENDENTE: Campo-dipendente. Tendono a


subire il contesto piuttosto che esercitare un
controllo attivo su di esso.

STILE INDIPENDENTE: Campo-indipendente. E' in


grado di percepirsi come elemento separato più o
meno dal campo circostante: ha più possibilità di
interiorizzare l'organizzazione dello spazio e di
modificarla.

STILE INDUTTIVO: Si basa sull' osservazione.


Predilige partire dal fenomeno (particolare) e
arrivare a formulare la teoria (generale);
imparando per scoperta.

STILE DEDUTTIVO: Parte dalla teoria per arrivare al


fenomeno; dal generale allo specifico.

MOTIVAZIONE
La motivazione sostiene il processo di apprendimento.

Una motivazione è diretta quando mira ad ottenere oggetti che sono immediatamente fruibili e piacevoli;
è indiretta quando spinge ad ottenere oggetti non immediatamente piacevoli in sé, ma che permettono di raggiungere
altri oggetti che lo sono (ad esempio, superare un esame per ottenere un premio);

Intrinseca quando proviene da spinte interiori (ad esempio, il bisogno di affermarsi):


quando un alunno si impegna in un’attività perché la trova stimolante e gratificante di per sé.

Estrinseca quando proviene dall’ambiente esterno (ad esempio, lavorare per percepire del denaro, ricevere lodi,
riconoscimenti, buoni voti o evitare situazioni spiacevoli).

I motori interni alla motivazione intrinseca sono:


- l’interesse (inter-esse, l’essere fra le cose),
- la curiosità epistemica,
- l’effectance (ossia il bisogno di avere padronanza delle situazioni e dell’ambiente circostante),
- l’autodeterminazione. (anche sfida con se stessi).

La motivazione raggiunge il suo scopo solo se è sostenuta da processi attentivi, i quali in gran parte sono condizionati
da fattori emotivi.

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