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DIRITTO

PRIVATO,
M. BIANCA




Introduzione allo studio del diritto privato in generale

Nozione di diritto in senso oggettivo e soggettivo. La norma giuridica.
Il diritto in senso oggettivo è la norma giuridica, cioè la regola socialmente garantita della vita
di relazione.
La nozione di diritto in senso oggettivo, cioè quale norma giuridica, deve essere tenuta
distinta rispetto alla nozione di diritti in senso soggettivo. In senso soggettivo il diritto è una
posizione di vantaggio tutelata dalla norma giuridica. – Posizione giuridica riconosciuta al
soggetto a diretta tutela di un suo interesse.
Nel diritto soggettivo si distinguono:
1. Elemento formale, il contenuto: identifica la posizione del titolare; contenuto del
diritto possono essere anche facoltà e poteri
2. Elemento funzionale, l’interesse: in ragione del quale il diritto è costituito. Assume
un’importanza centrale nella teoria del diritto soggettivo, in quanto l’ordinamento
riconosce i diritto dei privati per la tutela dei loro interessi.
I diritti soggettivi possono essere classificati anche in base alla struttura, che li distingue in:
1. Diritti assoluti: sono i diritti valevoli nei confronti di tutti i consociati, cioè i diritti che
si strutturano come un rapporto di preminenza rispetto ai terzi. Appartengono a
questa categoria i diritti della personalità, i diritti fondamentali e i diritti reali.
2. Diritti relativi: sono i diritti valevoli nei confronti di determinati soggetti.
Appartengono a questa categoria i diritti di credito e i diritti familiari.

L’ ordinamento giuridico: norme e istituzioni
La complessità dei rapporti sociali esige una molteplicità di norme di diritto. L’insieme di tali
norme costituisce un ordinamento.
L’ordinamento giuridico è il diritto di una società, cioè l’insieme delle norme giuridiche che
governano una società.
L’istituzione è un gruppo sociale stabilmente organizzato.
Nell’ambito del nostro ordinamento giuridico la massima istituzione è lo Stato, che detiene il
potere legislativo ed esprime l’unità nazionale.

Caratteri della norma giuridica
1. Sanzionabilità: la norma giuridica è socialmente garantita da sanzioni esterne. La
sanzione esterna è una conseguenza sfavorevole prevista per l’inosservanza della norma e
comporta la privazione di un bene o di un effetto giuridicamente vantaggioso.
Le sanzioni sono di diverso tipo: penali (puniscono il trasgressore mediante una punizione
personale o patrimoniale); esecutorie (attuano specificamente l’interesse leso della violazione
della norma); risarcitorie (reintegrano il danno provocato dalla violazione della norma);
invalidatorie (privano di efficacia l’atto compiuto in violazione di una norma).
2. Imperatività: consiste nell’inderogabilità della norma giuridica. La norma è
inderogabile quando gli interessati non possono sostituirla nella sua applicazione con altre
norme legali o convenzionali.
3. Generalità: la norma è generale quando è rivolta ad una generalità di destinatari.
Questo carattere è stato inteso in relazione all’esigenza del rispetto del principio di
uguaglianza.
4. Astrattezza: la norma è astratta quando prevede un’ipotesi astratta e detta una regola
valevole per una serie indefinita di casi concreti riconducibili entro l’ipotesi prevista.

Fonti del diritto oggettivo
Le fonti del diritto sono gli atti o fatti dai quali traggono esistenza le norme giuridiche. Le fonti
del diritto si distinguono in diverse categorie, che hanno differente efficacia normativa in
quanto le une prevalgono sulle altre – l’ordine delle categorie normative secondo la loro
prevalenza costituisce la gerarchia delle fonti del diritto; l’indicazione gerarchica delle fonti
del diritto è contenuta nelle disposizioni preliminare al codice civile.
Le fonti formali del diritto devono ritenersi attualmente:
1. Leggi costituzionali: La legge è un precetto emanato dallo Stato nell’esercizio della sua
suprema potestà normativa, che è appunto la potestà legislativa. La Costituzione è la legge che
enuncia le basilari scelte politiche del nostro ordinamento e stabilisce la fondamentale
organizzazione e funzione dei pubblici poteri. La preminenza formale delle norme
costituzionali si traduce in un limite posto alle leggi ordinarie, le quali devono rispettare i
principi costituzionali. Tale limite è garantito attraverso il controllo della Corte Costituzionale,
che ha il compito di giudicare della legittimità costituzionale delle leggi.
2. Regolamenti e direttive comunitarie: sono le fonti normative del diritto comunitario.
I regolamenti comunitari sono gli atti normativi di portata generale direttamente applicabili
all’intero degli Stati membri. Nel contrasto tra legge statale e regolamento, è quest’ultimo a
prevalere. Il regolamento si sottrae al giudizio diretto di incostituzionalità, i regolamenti
europei non possono tuttavia prevalere sulla Costituzione e che in caso di contrasto essi
devono essere disapplicati. I regolamenti si pongono al vertice della gerarchia delle fonti, in
posizione parietaria rispetto alla Costituzione.
Le direttive sono altri atti normativi comunitari. A differenza dei regolamenti, che sono volti a
regolare i rapporti intersoggettivi dei cittadini dell’Unione, le direttive hanno come destinatari
gli stati membri, vincolandoli a realizzare determinati risultati attraverso le forme e i mezzi da
essi prescelti. Le direttive non hanno quindi di regola efficacia normativa nei rapporti tra
privati; si riconosce tuttavia che le direttive possano avere efficacia nei rapporti tra Stato e
privati, possano cioè costituire fonte di obblighi dell’ente pubblico nei confronti dei cittadini.
La mancata attuazione delle direttive, secondo la giurisprudenza, può dar luogo a
responsabilità extracontrattuale degli stati morosi verso i privati danneggiati.
3. Leggi ordinarie: sono in generale le leggi dello Stato, escluse quelle aventi carattere
costituzionale. Nell’ambito delle leggi ordinarie si distingue tra codici e leggi speciali.
Il codice è una legge che disciplina organicamente un’intera materia. Il codice non è una legge
formalmente superiore alle altre; l’importanza del codice risiede nella sistematicità e
compiutezza della sua disciplina. Il codice civile vigente è stato emanato nel 1942.
Si compone di 2969 articoli, ognuno dei quali ha una propria intitolazione detta “rubrica” e
può dividersi in più commi; il testo del codice si divide in sei libri (1. Delle persone e della
famiglia; 2. Delle successioni; 3. Della proprietà; 4. Delle obbligazioni; 5. Del lavoro; 6. Della
tutela dei diritti), preceduti da un gruppo di disposizioni preliminari sulla legge in generale,
che riguardano le fonti del diritto.
Le leggi speciali sono leggi statali che integrano il codice.
Per ovviare al problema del continuo aggiornamento di leggi, sono stati creati i “testi unici”,
raccolte di norme vigenti unitariamente coordinate ad opera di organi pubblici. Se il testo
unico è emanato nell’esercizio del potere legislativo, esso costituisce una nuova legge, e le
norme anteriori che non siano incluse nel testo devono considerarsi abrogate. Se invece il
testo unico è emanato nell’esercizio del potere regolarmente (senza delega legislativa), le
norme vigenti non subiscono alcuna modifica e conservano il loro vigore anche se non
richiamate dal testo.
4. Regolamenti: sono precetti normativi di grado inferiore alla legge emanata dallo Stato
o da altri enti pubblici nell’esercizio della loro potestà regolarmente. Si distingue tra
regolamenti indipendenti ed esecutivi. Il regolamento indipendente contiene una disciplina
autonoma del suo oggetto, mentre il regolamento esecutivo detta norme di attualità e di
specificazione di una disciplina principale. Il regolamento è sempre di grado inferiore alla
legge.
Hanno contenuto normativo e si parla al riguardo di fenomeno di delegificazione i
regolamenti delegati, ovvero i regolamenti emanati dal Governo dietro delega.
5. Usi normativi: anche detti consuetudini, sono quelle norme non scritte che un ambiente
sociale osserva costantemente nel tempo come norme giuridiche vincolanti. Gli usi non sono
norme emanate in base ad un procedimento formale, ma tendono a formarsi spontaneamente,
anche se la loro osservanza è poi quella propria delle norme di diritto.
Elementi costitutivi degli usi sono l’elemento oggettivo (o materiale), cioè la costante e
uniforme ripetizione nel tempo di un determinato comportamento, e un elemento soggettivo,
cioè il convincimento della vincolatività giuridica di quel comportamento.


Cenni sulla vita diritti soggettivi

Fatti e atti giuridici
I fatti e gli atti giuridici sono le cause che determinano il susseguirsi delle vicende dell’attività
giuridica e in particolare del rapporto giuridico.
Il rapporto giuridico è il rapporto che si instaura tra due soggetti regolato dall’ordinamento
giuridico; è il rapporto tra due soggetti titolari di due situazioni soggettive correlative. Le
principali vicende del rapporto giuridico sono la costituzione, la modificazione e l’estinzione;
tali vicende sono causate appunto dai fatti giuridici.
I fatti che accadono nella realtà possono suddividersi in fatti naturali (es. terremoto,
inondazione, morte o nascita di una persona, etc.) e fatti riconducibili ad un comportamento
dell’uomo (es. guida di un’autovettura, stipulazione di un atto, etc.). Tutti i fatti che
caratterizzano la vicende umana possono definirsi giuridici quando il loro accadimento
comporta determinate conseguenze giuridiche per l’ordinamento.
I fatti giuridici sono in generale gli eventi ai quali l’ordinamento ricollega determinati effetti
giuridici.
La nozione di fatto giuridico è strettamente collegata a quella di fattispecie; questa indica un
fatto astratto previsto dalla norma giuridica al quale l’ordinamento ricollega determinati
effetti giuridici. La fattispecie può anche essere intesa come fattispecie concreta, cioè come il
fatto reale cui si applica la norma giuridica.
I fatti giuridici si distinguono in due categorie:
a) Fatti giuridici naturali: eventi della natura ai quali l’ordinamento ricollega effetti
giuridici. – Es. la caduta di un albero produce danni ad un’autovettura.
b) Atti giuridici: sono in generale i comportamenti riconducibili all’uomo ai quali
l’ordinamento ricollega effetti giuridici.
Gli atti giuridici si distinguono in:
a) Atti illeciti: atti umani consapevoli e volontari contrari all’ordinamento giuridico.
b) Atti leciti: atti umani consapevoli e volontari conformi all'ordinamento giuridico. Si
distinguono a loro volta in: atti materiali (che consistono in una modificazione
materiale del mondo esterno; es. costruzione di un manufatto) e dichiarazioni (che
sono fatti comunicativi dell’opinione o della volontà die soggetti; es. dichiarazione ad
accettare l’eredità).
Nell’ambito delle dichiarazioni assumono valore preminente le dichiarazioni negoziali, che
sono le dichiarazioni di volontà del soggetto volte alla creazione di specifici effetti giuridici,
che sono voluti dall’autore dell’atto. Questa caratteristica delle dichiarazioni negoziali segna la
distinzione più accreditata tra negozi giuridici e atti giuridici in senso stretto, quali “atti
giuridici umani e consapevoli, in cui la volontà è diretta al compimento dell’atto ma non alla
produzione degli effetti giuridici, che sono voluti dall’ordinamento a prescindere dalla volontà
del soggetto autore dell’atto”.

Negozi giuridici
Le dichiarazioni negoziali, o negozi giuridici, vengono solitamente distinti rispetto agli atti
giuridici in senso stretto (o atti non negoziali).
I negozi giuridici sono dichiarazioni di volontà dirette a produrre effetti giuridici.
Gli atti giuridici in senso stretto sono comportamenti umani che rilevano in sé a prescindere
dalla volontà degli effetti giuridici.
La distinzione tra negozi giuridici e atti giuridici in senso stretto si coglie anche per la diversa
capacità che è richiesta dall’ordinamento: per compiere i negozi giuridici si richiede la
capacità di agire del soggetto. Gli atti giuridici in senso stretto sono atti consapevoli e
volontari che richiedono la capacità di intendere e di volere del soggetto che li compie, anche
se non richiedono la capacità di agire, come invece i negozi giuridici.
A differenza degli atti giuridici in senso stretto, che sono comportamenti dell’uomo rilevanti
per il diritto a prescindere dalla volontà del soggetto che li compie, il negozio giuridico è l’atto
con il quale il soggetto dispone della propria sfera privata. Il compimento dell’atto negoziale
richiede infatti la capacità di agire del soggetto, pena la sua annullabilità. Inoltre nel negozio
giuridico il soggetto vuole non solo l’atto ma anche l’effetto giuridico generalmente ricollegato
al compimento di quell’atto.

Soggetto e persona
Il soggetto è ogni centro di imputazione di diritti e di doveri. Mentre la nozione di soggetto
attiene semplicemente al dato formale, la nozione di persona fa riferimento ad un soggetto
che rileva per la sua particolare natura fisica o giuridica e che in connessione a tale natura è
dotato di capacità giuridica generale.
Le persone si distinguono in:
1. Persone fisiche: è la persona umana. Essa è dotata di soggettività sin dal concepimento.
Essa ha una sua unica realtà psicofisica, una sua dignità per la quale non solo esige
l’indiscriminato riconoscimento della capacità giuridica, ma si pone essa stessa come
fine ultimo dell’ordinamento.
2. Persone giuridiche: sono quelle organizzazioni stabili alle quali l’ordinamento
riconosce la capacità giuridica generale e l’autonomia patrimoniale perfetta.

Capacità giuridica
La capacità giuridica è l’idoneità del soggetto ad essere titolare di posizioni giuridiche. Essa è
generale quando il soggetto è astrattamente idoneo ad essere titolare di tutte le posizioni
giuridiche connesse ai suoi interessi e alla sua attività. Compete a tutte le persone fisiche e
giuridiche. La persona fisica acquista la capacità giuridica definitiva con la nascita e la
conserva fino al momento della morte.
La nozione di capacità giuridica è distinta dalla capacità di agire, che indica l’idoneità del
soggetto ad esplicare direttamente la propria autonomia negoziale e processuale.

Incapacità speciali e impedimenti
La capacità giuridica generale può accompagnarsi a singole incapacità speciali. L’incapacità
speciale è la preclusione del soggetto rispetto a determinati rapporti giuridici.
L’incapacità speciale può essere di due tipi:
1. Assoluta: quando la preclusione in capo al soggetto sussiste nei confronti di tutti i
consociati. (Es. ai minori di anni 15 sono preclusi i lavori nelle attività industriali).
2. Relativa: quando sussiste nei confronti i determinate persone. (Es. i parenti in linea
retta e i fratelli e sorelle non possono tra loro contrarre matrimonio – art. 87 c.c.)
La preclusione derivante da incapacità speciale rende nullo il negoziato costitutivo del
rapporto e non può essere rimossa mediante autorizzazione né mediante convalida.
L’incapacità speciale va quindi distinta rispetto agli impedimenti soggettivi, ovvero i divieti
suscettibili di rimozione mediante autorizzazione o convalida. L’impedimento non designa
una idoneità del soggetto ma una proibizione rimessa ad un giudizio di opportunità dei poteri
pubblici o dello stesso interessato.
L’incapacità speciale come anche gli impedimenti soggettivi non devono essere confuse con il
difetto di legittimazione. La legittimazione negoziale o processuale indica infatti la competenza
del soggetto a disporre o ad esercitare un diritto. La legittimazione spetta normalmente al
titolare; chi non è titolare del diritto e non ha un potere di rappresentanza non è di regola
legittimato ad alienare il diritto. Il negozio compiuto dal non legittimato è inefficace nei
confronti del titolare, ma può acquisire efficacia mediante ratifica o approvazione.

Capacità di agire
La capacità di agire è la generale idoneità del soggetto a compiere e ricevere gli atti giuridici
incidenti sulla propria sfera personale e patrimoniale. La capacità di agire si specifica in
capacità negoziale e capacità di stare in giudizio.
La capacità di agire presuppone la capacità giuridica del soggetto, ma è comunque una
nozione distinta. Mentre la capacità giuridica indica l’idoneità del soggetto ad essere titolare
di posizioni giuridiche, la capacità di agire riguarda il diretto svolgimento della capacità
giuridica attraverso il compimento e la ricezione di atti di acquisto, perdita, modifica o
esercizio dei suoi diritti e obblighi. Quando la persona fisica difetta della capacità ad agire a
causa ad esempio della minore età, essa è pur sempre giuridicamente capace, e può essere
titolare di diritti personali e patrimoniali, ma di regola gli atti leciti che incidono sulla sua
sfera giuridica devono essere compiuti o ricevuti dal suo rappresentante legale. Se si tratta di
atti negoziali, l’incapacità di agire non comporta l’inefficacia dell’atto, ma la semplice
annullabilità; se e fino a quando l’atto non vengo eventualmente annullato, esso è produttivo
dei suoi effetti.

Incapacità di agire, l’incapacità legale.
Mentre la persona fisica è giuridicamente capace in quanto esistente, essa acquista la capacità
di agire con il raggiungimento della maggiore età, e può perderla a causa di infermità mentale
e di condanna penale.
Più precisamente, sono privi della capacità di agire:
1. I minori: persone fisiche che non hanno compiuto il 18esimo anno di età. L’incapacità
di agire del minore è prevista in funzione protettiva del soggetto, e cioè al fine di
evitare che la mancanza di un’adeguata maturità lo pregiudichi nella vita di relazione
2. Gli interdetti giudiziali: coloro che per infermità mentale sono dichiarati con
provvedimento giudiziale incapaci di agire.
3. Gli interdetti legali: coloro che hanno perduto la capacità di agire a seguito di condanna
a pena reclusiva non inferiore ai 5 anni.
L’incapacità di agire importa di massima l’idoneità del soggetto a compiere o ricevere gli atti
giuridici, salvo che diversamente non risulti in ragione della natura dell’atto e della causa
dell’incapacità. Gli atti devono essere compiuti o ricevuti dal rappresentante legale.
Accanto all’incapacità agire la legge prevede la ridotta capacità di agire, che non esclude
l’idoneità del soggetto a compiere e ricevere atti giuridici, ma richiede che taluni atti più
importanti siano compiuti con l’assistenza di un curatore.
Hanno una ridotta capacità di agire:
1. Gli emancipati: minori degli anni 18 che hanno contratto matrimonio.
2. Coloro che sono giudizialmente dichiarati inabilitati a causa di un’infermità mentale
che non è talmente grave da richiedere l’interdizione.


Cause di incapacità legale di agire:

a) Minore età: prima di raggiungere la maggiore età, il soggetto è un incapace legale a
prescindere dalla sua maggiore o minore maturità. L’incapacità di agire del minore è prevista
in funzione protettiva del soggetto, e cioè al fine di evitare che la mancanza di un’adeguata
maturità lo pregiudichi nella vita di relazione.
- Incapacità negoziale: l’incapacità di agire comporta principalmente l’incapacità negoziale,
cioè l’idoneità del minore al diretto compimento di atti negoziali incidenti sulla propria sfera
giuridica. Gli atti negoziali devono essere compiuti dal rappresentante legale. Gli atti negoziali
compiuti direttamente dal minore sono annullabili (art. 1425 c.c.); l’annullamento è stabilito a
favore del minore, e l’azione di annullamento è esercitata dal rappresentante legale del
minore, e non può essere esercitata da terzi. Se il minore ha dolosamente fatto credere
all’altro contraente di essere maggiorenne, il contratto non è annullabile.
Sono esclusi dalla regola dell’incapacità negoziale quegli atti nei quali si estrinsecano le libertà
fondamentali della persona, salva solo l’interferenza del genitore o del tutore giustificata dalla
funzione di educazione e di cura.
- Incapacità di stare in giudizio: il minore non può cioè essere direttamente attore o
convenuto nelle cause civili. In tal senso un’apposita previsione normativa dichiara che sono
capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno
valere (art. 75 c.c.). Il minore può stare in giudizio per mezzo del suo rappresentante legale
(art. 76 c.c.), il quale deve essere autorizzato dal giudice quando si tratta di promuovere
giudizi relativi ad atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.
- Incapacità extranegoziale, atti giuridici leciti e atti illeciti: con riguardo alla capacità di
compiere o ricevere atti giuridici in senso stretto, occorre considerare gli atti leciti, e cioè gli
atti non vietati ai quali la legge non ricollega determinati effetti giuridici.
In generale si ritiene non necessaria la capacità di agire.
Il minore può quindi compiere e ricevere atti giuridici in senso stretto salvo che si tratti di atti
pregiudizievoli (atti suscettibili ad eventi sfavorevoli). Il minore deve quindi reputarsi capace
di compiere gli atti valevoli ad acquisire o a salvaguardare un diritto; il minore deve invece
reputarsi incapace con riguardo agli atti che importino la perdita di un diritto o l’assunzione
di oneri o obblighi. In particolare, egli non è capace di ricevere atti che comportino l’onere di
una valutazione del loro significato e delle loro conseguenze.
Per quanto riguarda gli atti illeciti si ritiene comunemente che non sussiste una specifica
incapacità delittuale del minore. Questi è esentato da responsabilità solo in quanto si dimostri
che non era in grado di intendere e di volere al momento dell’illecito.
D’altra parte il problema della responsabilità del minore perde in buona parte la sua rilevanza
poiché la legge rende responsabili i genitori o i tutori per il danno arrecato dal figlio non
emancipato, o gli insegnanti o gli istruttori arti e mestieri, qualora l’illecito venga compiuto
dal minore nel tempo in cui è sotto la loro vigilanza.
Anche se il minore non risponde in quanto incapace di intendere e di volere, il terzo
danneggiato può ottenere il risarcimento del danno da parte dei genitori o dagli altri soggetti
che rispondono dell’illecito. Nel caso in cui il terzo non abbia ottenuto il risarcimento, la legge
prevede la possibilità che il giudice condanni l’incapace al pagamento di un equo indennizzo
(art. 2047 c.c.)

Rappresentazione legale del minore
Il minore è legalmente rappresentato dai genitori titolari della responsabilità genitoriale (art.
320 c.c.): per gli atti di straordinaria amministrazione la rappresentanza legale dei genitori è
congiunta, nel senso che l’atto deve essere compiuto da entrambi i genitori; per gli atti di
ordinaria amministrazione invece, la rappresentanza è disgiunta, nel senso che l’atto può
essere compiuto dall’uno o dall’altro dei genitori.
La morte di entrambi i genitori o la loro impossibilità di esercitare la responsabilità dà luogo
all’apertura della tutela e alla nomina di un tutore (art. 343/346 c.c.). Qualora il minore non
abbia parenti prossimi deve essere dichiarato in stato di adottabilità.
L’istituto della tutela è inteso a surrogare la responsabilità dei genitori attribuendo al tutore la
rappresentanza legale e analoghi poteri e doveri di cura della persona e del patrimonio del
minore.
Il protutore rappresenta il minore quando tra questo e il tutore vi è conflitto di interessi.

Emancipazione
L’emancipazione è lo stato di ridotta capacità di agire che il minore acquista con il matrimonio
(art. 390 c.c.). Questa conferisce al soggetto la piena capacità di agire per quanto attiene agli
atti di ordinaria amministrazione e agli atti di natura personale. Per quanto attiene invece agli
atti di straordinaria amministrazione l’emancipato deve compierli con l’assistenza di un
curatore.
L’emancipazione sottrae il soggetto alla rappresentanza legale del genitore o del tutore. Il
curatore non è un rappresentante legale, ma piuttosto presta consenso al compimento
dell’atto avente la natura di un’autorizzazione privata; l’atto è pur sempre compiuto dal
minore.
L’istituto dell’emancipazione ha un’applicazione del tutto marginale nell’attuale legislazione
in quanto la capacità di contrarre matrimonio si consegue solo con la maggiore età, e solo
eccezionalmente il minore di 16 anni di età può essere autorizzato dal giudice a contrarre
matrimonio.
Con il raggiungimento della maggiore età lo stato di emancipazione cessa comunque per dare
luogo alla piena capacità di agire del soggetto.

b) Interdizione giudiziale: stato giudizialmente dichiarato di incapacità di agire della
persona maggiorenne che a causa della sua abituale infermità mentale non è in grado di
provvedere ai propri interessi (art. 414 c.c.).
L’interdizione giudiziale comporta la perdita della capacità di agire e la nomina di un tutore
quale rappresentante legale. L’incapacità di agire dell’interdetto giudiziale è in funzione di
protezione del soggetto, che per le sue condizioni mentali non può provvedere
appropriatamente ai propri affari; anche se in funzione di protezione, questa costituisce una
grave menomazione dell’autonomia del soggetto, limitando anche l’esercizio dei suoi diritti
personali.
Per procedere all’interdizione devono sussistere due presupposti:
a) Il soggetto deve essere affetto da una abituale malattia mentale. Un accertamento negativo
sull’esistenza di tale presupposto esclude in radice la possibilità dell’interdizione. L’abituale
infermità sussiste quando le condizioni mentali del soggetto siano stabilmente alterate.
b) Il soggetto a causa dell’infermità mentale non deve essere in grado di provvedere
adeguatamente ai propri interessi. Non è sufficiente pertanto che il soggetto sia mentalmente
malato, ma occorre anche che l’infermità incida sulla sua attitudine a curare adeguatamente i
propri affari patrimoniali e personali.
Interdetto può essere dichiarato solo il soggetto che ha raggiunto la maggiore età, in quanto si
reputa che l’infermo di mente sia già sufficientemente salvaguardato dal suo stato di minore
età.
- Incapacità di agire dell’interdetto: a seguito della dichiarazione giudiziale d’interdizione il
soggetto perde la capacità di agire. Lo stato giuridico dell’interdetto è in larga parte
corrispondente a quello del minore, salvo alcune differenze che trovano ragione nella diversa
causa dell’incapacità.
Come il minore, l’interdetto è difetta della capacità negoziale. Gli atti negoziali devono essere
compiuti nel suo nome e nel suo interesse dal tutore. Gli atti compiuti direttamente possono
essere annullati su istanza del tutore dell’interdetto o dei suoi eredi o aventi causa. L’azione si
prescrive in 5 anni decorrenti dalla cessazione dello stato d’incapacità. Nel caso dell’interdetto
i diritti di libertà, solidarietà e partecipazione sono sottratti alla regola dell’incapacità, nei
limiti in cui essa si traduce in atti negoziali che non lo espongano ad un rilevante pregiudizio.
A differenza del minore, l’interdetto non può essere autorizzato al matrimonio (art. 85 c.c.). I
trattamenti sanitari sono autorizzati dal tutore.
Come il minore, l’interdetto difetta dalla capacità di stare in giudizio (art. 75 c.c.). questa
capacità gli è tuttavia riconosciuta nel giudizio di interdizione, anche a seguito della nomina
del tutore provvisorio, e nel giudizio di revoca dell’interdizione.
Per quanto riguarda gli atti giuridici leciti, l’interdetto può compiere e ricevere quegli atti che
non sono potenzialmente pregiudizievoli.
Per quanto attiene alla capacità delittuale, l’interdetto giudiziale si avvale di una presunzione
di incapacità di intendere e di volere che difficilmente potrà essere vinta dalla prova di un
lucido intervallo.
Del fatto dannoso e ingiusto dell’interdetto risponde chi è tenuto alla sua sorveglianza, salvo
che provi di non aver potuto impedire il fatto (art. 2047 c.c.). Responsabili sono ancora
eventualmente i precettori e gli istruttori per il tempo in cui l’interdetto si trovi sotto la loro
vigilanza (art. 2048 c.c.).
Se il danneggiato non può conseguire il risarcimento del danno, l’interdetto può essere
condannato ad un equo indennizzo (art. 2047 c.c.).
L’interdetto è legalmente rappresentato da un tutore. Come per il minore, il tutore
dell’interdetto lo rappresenta in tutti gli atti giuridici, ne amministra i beni, ha cura della
persona (art. 325/424 c.c.).

c) Interdizione legale: è lo stato di incapacità di agire della persona fisica maggiorenne
condannata per delitto non colposo alla reclusione per un tempo non inferiore ai 5 anni (art.
32/33 c.p.). L’interdizione legale rientra tra le pene accessorie. Essa ha quindi una funzione
sanzionatoria anche se vale ad assicurare la cura degli interessi patrimoniali del soggetto
affidati all’ufficio di un tutore che lo rappresenta legalmente.
Lo stato d’incapacità dell’interdetto legale corrisponde a quello dell’interdetto giudiziale, ma
solo per quanto concerne i diritti patrimoniali, escludendo in tal modo dal regime
dell’incapacità l’esercizio dei diritti personali o che non ammettono rappresentanza.

d) Inabilitazione: è lo stato giudizialmente dichiarato di ridotta capacità di agire della
persona maggiorenne che per le sue condizioni mentali o fisiche non è in grado di curare i
propri interessi economici.
Lo stato di ridotta capacità di agire dell’inabilitato corrisponde a quello del maggiore
emancipato. L’inabilitato può compiere e ricevere direttamente tutti gli atti di ordinaria
amministrazione e di natura personale. Per quanto attiene invece agli atti di straordinaria
amministrazione, occorre l’assistenza di un curatore.
L’inabilitazione può essere dichiarata quando la persona abbia raggiunto l’ultimo anno della
minore età e non sia propriamente in grado di provvedere ai propri interessi per una delle
seguenti cause:
a) Non grave infermità mentale
b) Prodigalità
c) Abuso abituale di alcolici o di stupefacenti
d) Sordomutismo e cecità dalla nascita (art. 415 c.c.)

- Incapacità naturale: è lo stato di fatto per della persona che non è in grado d’intendere e di
volere per una qualsiasi causa permanente o transitoria (art. 428 c.c.).
L’incapacità naturale non indica uno stato legale d’incapacità della persona né si traduce di
per sé nella perdita o nella riduzione delle capacità di agire del soggetto. La perdita e la
limitazione della capacità di agire della persona possono conseguire solo a seguito di una
sentenza di interdizione o di inabilitazione o di un provvedimento di amministrazione di
sostegno.
Chi non è in grado di intendere e di volere non è di per sé un incapace legale, ma i suoi atti
negoziali possono essere suscettibili di annullamento. La legge prevede inoltre che l’atto
possa essere impugnato da chi non era in grado di intendere e di volere al momento di
compierlo.


Cenni sui beni e sui diritti naturali

I beni in senso giuridico
Il codice civile definisce i beni come “le cose che possono formare oggetto di diritto” (art. 810
c.c.). In più ampio significato, bene è qualsiasi entità materiale o ideale giuridicamente
rilevante. La disciplina dei beni concorre quindi a disciplinare i diritti e a segnarne natura e
contenuto.

Beni economici
Si ritiene comunemente che la nozione giuridica di bene rifletta sul piano del diritto la
nozione di bene economico; tuttavia la nozione di bene giuridico è diversa e più ampia.
Connotato del bene giuridico è infatti la sua tutela giuridica; anche entità economicamente
non valutabili possono quindi essere beni giuridici in quanto giuridicamente tutelate, come i
beni essenziali di una persona.
L’uomo non è esso stesso un bene in senso giuridico in quanto non è oggetto di diritti ma
titolare di essi, e ragione ultima dell’ordine giuridico.

Beni materiali, immateriali ed essenziali della persona
La nozione di bene giuridico comprende le varie categorie in cui i beni possono essere distinti.
Una prima distinzione si ha tra:
a) Beni materiali: sono le cose del mondo fisico percepibili con i sensi o con strumenti
materiali.
b) Beni immateriali: sono le invenzioni o le opere dell’ingegno.
Queste entità hanno una loro realtà oggettiva che conferisce loro rilevanza economica e
giuridica. Rispetto ai beni materiali e immateriali vanno ulteriormente distinti i beni
essenziali della persona, cioè i suoi essenziali valori (vita, salute, dignità, onore, etc.); questi
beni sono non patrimoniali in quanto insuscettibili di valutazione economica. Nell’attuale
ordinamento essi sono costituzionalmente garantiti, formando oggetto dei diritti
fondamentali dell’uomo.
Si conferma dunque che il bene giuridico è qualsiasi entità materiale o ideale giuridicamente
tutelata.

Cose
Il codice civile non definisce la cosa. A volte l’assume nell’ampio significato del linguaggio
comune, ossia nel significato di qualsiasi oggetto reale o ideale distinguibile dal soggetto. Più
comune è l’uso del termine “cosa” nel senso di “cosa materiale dotata di dimensione fisica”.
Tenendo presente questo ristretto significato può quindi dirsi che i beni sono tutte le entità
fisiche o ideali idonee a costituire in generale oggetto di diritti, mentre le cose sono beni
corporali.

Beni immobili e beni mobili
I beni immobili sono il suolo, le sorgenti, i corsi d’acqua, gli alberi e in genere tutto ciò che è
naturalmente o artificialmente incorporato al suolo (art. 812 c.c.). Sono considerati beni
mobili tutti gli altri beni (art. 812 c.c.).
La distinzione tra beni mobili ed immobili rileva principalmente con riguardo al regime
giuridico della circolazione. Per gli atti di alienazione dei beni mobili vige il principio della
libertà di forma. Al contrario, l’alienazione dei beni immobili è prevista la forma scritta pena
di nullità. La circolazione di beni mobili è poi ulteriormente agevolata dalla regola “possesso
vale titolo” (art. 1153 c.c.). Alla regola “possesso vale titolo” fa riscontro la mancanza di un
sistema di pubblicità e dei relativi oneri, che caratterizzano invece il regime di circolazione dei
beni immobili. I contratti che hanno ad oggetto i beni immobili sono infatti assoggettati agli
oneri della trascrizione e iscrizione nei registri immobiliari.

Beni generici e specifici; fungibili e infungibili; consumabili e inconsumabili
I beni mobili si distinguono ulteriormente in:
a) Beni generici: beni designati dalle parti o dalla legge con esclusivo riferimento ad un
genere – Es. Mi obbligo a venderti un cane.
b) Beni specifici: beni designati nella loro identità – Es. Mi obbligo a venderti il mio cane
cocker.
c) Beni fungibili: quelli che nel comune apprezzamento socio-economico sono considerati
in ragione della loro appartenenza ad un genere anziché della loro identità. Secondo la
definizione delle fonti si tratta di beni che rilevano in termini di peso, numero o
misura. La fungibilità è quindi un attributo oggettivo del bene verificabile alla stregua
di un sistema socio-economico, mentre la genericità è un modo di designazione
negoziale o legale del bene – Es. vino, olio, frumento, denaro.
d) Beni consumabili: beni la cui normale utilizzazione ne comporta la consumazione, cioè
la distruzione, l’esaurimento o la perdita – Es. cibo, benzina, denaro.
e) Beni inconsumabili: beni che non si distruggono, esauriscono o perdono con l’uso – Es.
macchine, vestiti.

Beni divisibili e indivisibili
I beni divisibili sono i beni suscettibili di frazionamento in due o più parti; la divisione va
accertata in base ai criteri materiale ed economico-funzionale.
L’indivisibilità può essere sancita da espressa disposizione di legge o può dipendere da un
atto giuridico di destinazione ad usi particolari incompatibili con il frazionamento.

Beni semplici e composti
I beni semplici sono quelli che nella valutazione giuridica costituiscono un tutto unitario, nel
quale la fusione degli elementi che li compongono è così perfetta che questi ultimi hanno
perduto la loro individualità – Es. libri, animali.
I beni composti sono i beni risultanti da più elementi che conservano la loro individualità
materiale ma concorrono al perfezionamento del tutto senza avere autonomia funzionale – Es.
un paio di scarpe, un mazzo di carte.

Beni pubblici, il demanio
I beni pubblici sono quelli che appartengono allo stato e agli altri enti pubblici.
Si distingue tra:
a) Demanio pubblico: che comprende lido del mare, spiaggia, porti, laghi, le autostrade, gli
aeroporti, gli immobili di interesse storico, archeologico e artistico. Condizione
giuridica di tali beni è l’inalienabilità.
b) Patrimonio indisponibile: comprende beni che non appartengono al demanio pubblico
ma che soddisfano un interesse generale, come ad esempio foreste, miniere e cave.
Condizione giuridica di tali beni è la vincolatività della destinazione (dalla loro
destinazione essi non possono essere distratti se non nei modi previsti dalla legge).

Pertinenze
Le pertinenze sono definite dal codice come “le cose destinate in modo durevole al servizio o
ad ornamento di un’altra cosa”.

Universalità
Le universalità di beni mobili sono pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e
che hanno una destinazione economica unitaria (art. 816 c.c.) – Es. Gregge, biblioteca.

Frutti
I frutti sono in generale i normali proventi economici ricavabili da una cosa.
Si distinguono in:
a) Frutti naturali: cose materiali che si ricavano diretta mente dalla cosa madre, vi
concorra o no il lavoro dell’uomo – Es. prodotti agricoli, legna, prodotti delle miniere.
b) Frutti civili: sono il reddito pecuniario che si ricava da una cosa in virtù di un rapporto
giuridico – Es. interessi dei capitali, rendite.

Patrimonio
Il patrimonio è il complesso di beni suscettibili di una valutazione economica e facenti capo ad
un soggetto.
La nozione di patrimonio acquista una specifica rilevanza in tema di responsabilità
patrimoniale, in quanto il codice prevede che il debitore risponda con tutti i suoi beni presenti
o futuri (art. 2740 c.c.)
Le limitazioni della responsabilità patrimoniale danno luogo alla creazione di patrimoni
separati. Il patrimonio separato è un complesso di beni e rapporti giuridici che, in forza di una
specifica destinazione, è sottratto alla responsabilità dei creditori generali del debitore ed è
riservato ai creditori della destinazione. Si distingue dal patrimonio autonomo, considerato
una variante soggettiva del patrimonio separato e definibile come “la somma di più patrimoni
separati facenti capo a più soggetti”.

La proprietà
- Diritti reali: i diritti reali sono i diritti che conferiscono un potere immediato e assoluto su
una cosa. Essi si distinguono in:
a) Diritti reali di godimento: quello per eccellenza è la proprietà, a fronte della quale si
collocano i diritti reali su cosa altrui. Diritti reali di godimento su cosa altrui sono la
superficie, l’enfiteusi , l’usufrutto, l’abitazione, l’uso, le servitù.
b) Diritti reali di garanzia: sono il pegno o l’ipoteca.
Carattere dei diritti reali sono:
a) Immediatezza: indica la diretta soggezione della cosa al potere del titolare del diritto
reale, nel senso che il titolare esercita il suo potere senza il tramite di una prestazione
altrui.
b) Assolutezza: indica la tutelabilità del diritto nella vita di relazione, e la conseguente
esperibilità di esso nei confronti di chiunque lo contesti o lo pregiudichi o sia
destinatario dei suoi effetti.
c) Inerenza: designa l’opponibilità del diritto a chiunque possieda la cosa o vanti un
diritto su di essa.
Oggetto dei diritti reali sono le cose materiali, è infatti in relazione a queste che può esplicarsi
quel potere immediato che rappresenta uno dei connotati essenziali dei diritti reali.
Oltre che per la materialità, l’oggetto dei diritti reali si caratterizza per la specificità; questa sta
ad indicare che oggetto del diritto possono essere esclusivamente cose specifiche e
attualmente esistenti. Questo carattere è anch’esso connesso a quello dell’immediatezza, in
quanto il potere immediato su una cosa presuppone che questa sia concretamente
determinata e attualmente esistente. Si coglie in tal modo una differenza rispetto ai diritti di
credito, che possono invece avere ad oggetto beni generici e beni futuri.
Tenendo presente che carattere essenziale dell’oggetto dei diritti reali è la specificità, può
intendersi come non esista la proprietà del patrimonio, ma la proprietà delle singole cose che
ne fanno parte.
- Principio del numero chiuso: i diritti reali sono assoggettati al principio del numero
chiuso, che indica la tipicità legale necessaria dei diritti reali.
In conformità di tale principio non è dato ai privati creare figure di diritti reali al di fuori di
quelle previste dalla legge né modificarne il regime.
Questo principio non è espressamente sancito dal codice, ma esso si desume dal rilievo che la
possibilità di creare figure atipiche è prevista solo in tema di contratti.
- Le obbligazioni reali: o obbligazioni ob rem o propter rem, sono le obbligazioni collegate
alla proprietà o al altro diritto reale su cosa immobile. Questo collegamento identifica nel
proprietario dell’immobile o titolare del diritto reale la persona dell’obbligato.
La giurisprudenza, dapprima orientata ad ammettere che la volontà dei privati possa
costituire obbligazioni reali, si è poi orientata in senso contrario, in base anche al principio del
numero chiuso dei diritti reali. Deve tuttavia escludersi che le obbligazioni reali rappresentino
figure di diritti reali; l’obbligazione reale è pur sempre un rapporto personale che attribuisce
una pretesa ad un determinato comportamento altrui.
- Gli oneri reali: è un vincolo che inerisce ad un immobile obbligando tutti i successivi
proprietari al pagamento in prestazioni periodiche.
- Diritto di proprietà: è il diritto reale che ha per contenuto la facoltà di godere e disporre
delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti
dall’ordinamento giuridico (art. 832 c.c.)
La facoltà di godimento del proprietario comprende tutte le possibili forme di utilizzazione
delle cose. Il proprietario può inoltre disporre a suo arbitrio delle cose in senso giuridico e in
senso materiale.
- Caratteri della proprietà: sono 7:
a) Realità: la proprietà è un diritto reale, anzi è il massimo dei diritti reali, il modello
perfetto rispetto al quale tutti gli altri diritti si qualificano come limitati. La realità
comporta l’immediatezza, l’assolutezza, l’inerenza e la materialità dell’oggetto.
b) Pienezza: ciò che distingue essenzialmente la proprietà dagli altri diritti reali è la
pienezza del diritto, cioè la generalità del potere di godimento a disposizione del bene.
Pienezza del diritto significa che la proprietà non conferisce specifiche facoltà ma un
potere che comprende la generalità delle forme di godimento e di disposizione della
cosa. – Fondamentale differenza rispetto ai diritti reali limitati, il cui contenuto è
invece delimitato con riferimento a determinati poteri.
c) Elasticità: intesa come idoneità del diritto a riespandersi automaticamente nel suo
normale contenuto a seguito del venir meno dei limiti che lo comprimevano, siano essi
diritti concorrenti sul bene o vincoli pubblicistici.
d) Esclusività: prevede che il proprietario può escludere altri dal godimento della cosa o,
in più ampi termini, che gli altri non devono invadere la sua sfera di godimento.
e) Indipendenza: l’indipendenza del diritto di proprietà indica che esso non presuppone
altri diritti sulla cosa. In ciò la proprietà si differenzia da altri diritti, che si dicono
anche “su cosa altrui” in quanto incidono sull’altrui diritto di proprietà, che ne
costituisce quindi il presupposto.
f) Imprescrittibilità: la proprietà è un diritto imprescrittibile. Il carattere
dell’imprescrittibilità del diritto risulta dall’imprescrittibilità dell’azione di
rivendicazione (art. 948 c.c.). Se il proprietario può rivendicare in ogni tempo le sue
cose, ciò vuol dire che il suo diritto di proprietà non si estingue per il mancato
esercizio.
g) Perpetuità: il diritto di proprietà è perpetuo. Esso non ha infatti limiti di tempo e non si
estingue con la prescrizione. Ai privati è di fatto vietato di creare forme di proprietà
temporanea. La legge può eccezionalmente prevedere ipotesi di proprietà temporanea.
- Garanzia costituzionale e funzione sociale della proprietà: la Costituzione non include la
proprietà tra i “diritti inviolabili” dell’uomo, ma enuncia due basilari principi:
1. Principio della garanzia costituzionale: esso è garanzia dell’istituto della proprietà
privata, garanzia del soggetto proprietario. Quest’ultimo significato recepisce il
principio di salvaguardia del diritto contro le espropriazioni abusive; enuncia infatti la
Carta costituzionale che la proprietà privata può essere nei casi previsti dalla legge e
salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale (art. 42)
2. Principio della funzione sociale: pone in nuova luce il diritto di proprietà. Sancisce
infatti al Costituzione che la legge determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti
della proprietà “allo scopo di assicurarne la funzione socialee di renderla accessibile a
tutti”.
- Proprietà fondiaria ed edilizia, confini e limiti: in riferimento all’oggetto si distingue tra:
1. Proprietà fondiaria: avente ad oggetto immobili. Ad essa di applicano le norme sui
confini e i rapporti di vicinato.
2. Proprietà edilizia: avente ad oggetto edifici costruiti o in via di costruzione e suoli
edificabili.
Essa è soggetta a vincoli urbanistici, ovvero limiti pubblicistici sanciti da leggi speciali e piani
regolatori per garantire il rispetto dell’ambiente urbano e naturale. Altro limite della
proprietà edilizia attiene alla facoltà di edificare, che rientra nel contenuto del diritto di
proprietà, ma il suo esercizio è subordinato alla preventiva autorizzazione o licenza
dell’autorità comunale.
- Divieto degli atti emulativi: il proprietario non può compiere atti che non abbiano altro
scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri; il codice (art. 883 c.c.) ha sancito in tal
modo il divieto degli atti di “emulazione”.
Requisiti della emulatività dell’atto sono:
1. Esercizio del diritto di proprietà: l’atto emulativo consiste in un atto di esercizio del
diritto di proprietà, cioè nell’esplicazione della facoltà di godimento o di disposizione
della cosa.
2. Finalità pregiudizievole: intesa come dolosa intenzione di arrecare danno o molestie.
3. Inutilità dell’atto: elemento costitutivo della fattispecie. È intesa nel senso della
mancanza di un interesse obiettivamente apprezzabile al suo compimento.
4. Danno e molestia altrui: il carattere pregiudizievole
- Proprietà fiduciaria, trust e proprietà destinata ad uno scopo: per proprietà fiduciaria si
intende la proprietà attribuita ad un soggetto, detto fiduciario, obbligato a gestire e a disporre
dei beni oggetto della fiducia nell’interesse di un altro soggetto, detto fiduciante. I limiti posti
a carico del fiduciario sono esclusivamente obbligatori e non incidono sul contenuto del
diritto di proprietà. La violazione determina solo l’obbligo di risarcimento del danno;
proprietario è allora unicamente il soggetto fiduciario, e non può quindi parlarsi
propriamente di uno sdoppiamento della proprietà. Il diritto di credito è di regola
inopponibile ai terzi; l’opponibilità può essere disposta solo dalla legge e non dai privati.
Uno schema strutturale analogo al negozio fiduciario ma con tutela reale si realizza con
l’istituto angloamericano del trust. Con esso un soggetto, il settlor, trasferisce la proprietà dei
suoi beni ad un altro soggetto, il trustee, il quale è tenuto a gestirli nell’interesse del settlor o di
un terzo, il beneficiary. Anche con il trust si realizza una sorta di proprietà fiduciaria o
nell’interesse altrui, tanto che con riferimento a questo istituto si è parlato di sdoppiamento
del titolo tra il trustee e il beneficiary. La differenza fondamentale rispetto al negozio fiduciario
è che tuttavia questa proprietà fiduciaria rileva all’esterno ed è dotata di una tutela specifica
che assicura al beneficiario la realizzazione del suo interesse. – In Italia non è stato introdotto
il sistema del trust, riconosce tuttavia i trust stranieri.
Un esempio di “trust all’italiana” è il negozio di destinazione patrimoniale: si parla di
proprietà destinata ad uno scopo quando una massi di beni o una parte del patrimonio di un
soggetto vengono destinati ad una specifica finalità. L’atto di destinazione è un atto di
organizzazione dei beni e di funzionalizzazione degli stessi ad una data finalità che prescinde
dal trasferimento degli stessi ad un soggetto terzo; questo atto è per sua natura atto non
traslativo., e questa sua caratteristica segna la distinzione tra l’atto negoziale di destinazione e
altri schemi negoziali, quale il trust e il negozio fiduciario che prevedono, oltre alla
destinazione, il trasferimento dei beni oggetto della fiducia o del trust ad un soggetto terzo.

Modi di acquisto e perdita della proprietà
- Modi di acquisto a titolo originario e a titolo derivativo: modi di acquisto della proprietà
e dei diritti in genere sono gli atti o fatti idonei a produrre l’effetto acquisitivo della proprietà
e degli altri diritti.
I modi di acquisto si distinguono in:
1. Modi di acquisto a titolo derivativo: sono quelli che presuppongono la precedente
titolarità del diritto in capo ad un determinato soggetto.
2. Modi di acquisto a titolo originario: sono quelli che producono l’effetto acquisitivo a
prescindere dalla precedente titolarità del diritto in capo ad un determinato soggetto.
Modi specifici di acquisto della proprietà a titolo originario sono: l’occupazione,
l’accessione, la specificazione, l’unione e la commistione; altri modi specifici di acquisto
della proprietà sono l’usucapione e il possesso in buona fede, che possono avere ad
oggetto, anche diritti reali su cosa altrui. Altro modo di acquisto che riguarda in
particolare la servitù è la destinazione del padre di famiglia.
Nei modi di acquisto a titolo derivativo il diritto del precedente titolare si trasferisce
all’acquirente, che quindi succede in quel diritto; nei modi di acquisto a titolo originario
invece, l’acquirente diventa titolare di un nuovo diritto.
- Occupazione: è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà consistente
nell’impossessamento di cose che “non sono di proprietà altrui”. Il codice include in questa
categoria “le cose abbandonate e gli animali che formano oggetto di caccia e di pesca” (art.
923 c.c.). L’occupazione consiste nell’atto di impossessamento cioè nell’acquisizione del
possesso della cosa. Essa non richiede l’elemento soggettivo della volontà diretta ad
acquistare la proprietà. L’occupazione non è pertanto un atto negoziale ma un atto giuridico
in senso stretto.
- Invenzione: modo di acquisto a titolo originario, è il ritrovamento di cosa smarrita. Essa è
prevista dal codice come:
1. Fonte dell’obbligo di consegnare l’oggetto ritrovato al proprietario o all’Autorità
pubblica.
2. Modo di acquisto della proprietà dell’oggetto in caso di un suo mancato reclamo.
La principale distinzione con l’occupazione è che qui si tratta non di cose abbandonate, ma di
cose presumibilmente appartenenti ad altri proprietari; infatti il fondamento dell’invenzione
è proprio la meritorietà sociale del ritrovamento del bene e della consegna alle Autorità.
Una disciplina particolare è riservata al tesoro, “cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata,
di cui nessuno può provare di essere il proprietario” (art. 932 c.c.).
- Accessione: modo di acquisto della proprietà per incorporazione al suolo di piantagioni,
costruzioni o opere (art. 934 c.c.). L’accessione è un modo di acquisto della proprietà a titolo
originario, ciò vuol dire che il proprietario delle cose incorporate non trasmette il suo diritto,
ma lo perde in conseguenza dell’acquisto esclusivo del proprietario del fondo. Elementi
costitutivi sono l’incorporazione di cose mobili nel fondo (privato o pubblico), e la stabilità.
Il codice prevede tre casi di accessione:
1. Incorporazione di opere fatte del proprietario del suolo con materiali altrui (art. 935
c.c.).
2. Incorporazione di opere fatte da un terzo con materiali propri (art. 936 c.c.).
3. Incorporazione di opere fatte da un terzo con materiali altrui (art. 937 c.c.).
La nozione di accessione si presta a ricomprendere le ipotesi di accessioni di mobili a mobili e
di immobili ad immobili. Quest’ultime consistono generalmente in incrementi del suolo che ne
accrescono l’estensione.
Nell’ambito delle accessioni di immobili ad immobili rientrano tradizionalmente:
1. Alluvione: accrescimento successivo ed impercettibile dei fondi rivieraschi di fiumi e
torrenti per l’azione dell’acqua corrente (art. 941 c.c.).
2. Avulsione: unione al fondo rivierasco di una porzione di terreno considerevole e
riconoscibile trascinata da altro fondo per forza istantanea dell’acqua corrente (art.
944c.c.).
- Specificazione: è la trasformazione per opera dell’uomo della materia altrui in una cosa
nuova (art. 940 c.c.). Il codice prevede la specificazione come modo di acquisto originario
della proprietà prevedendo le seguenti regole:
1. Chi opera la specificazione acquista la proprietà della cosa specificata ma è tenuto a
pagare il prezzo della materia.
2. Se il valore della materia è notevolmente superiore a quello del lavoro di
trasformazione, la proprietà della cosa specificata compete al proprietario della
materia, il quale è tenuto a corrispondere il prezzo del lavoro.
3. Fondamento dell’acquisto è il principio generale di appartenenza dei beni a chi li
produce.
- Unione e commistione: sono vicende di aggregazioni materiali di cose mobili che
confluiscono in un tutt’uno senza dar luogo ad una cosa nuova, e che rilevano come modi di
acquisto della proprietà delle singole parti.
L’unione è la congiunzione di più cose appartenenti a proprietari diversi.
- Modi di perdita della proprietà: la nozione di perdita del diritto designa in senso ampio la
sua estinzione, essa va quindi differenziata rispetto alla vicenda traslativa, che designa il
passaggio del diritto da un titolare all’altro.
Come per l’acquisto, anche per la perdita della proprietà occorre distinguere tra modi di
perdita dei diritti in generale e modi specifici attinenti al diritto di proprietà:
1. Perdita: estinzione conseguente all’acquisto altrui. Se un terzo acquista la proprietà del
bene a titolo originario, il precedente diritto di proprietà si estingue.
2. Abbandono: o derelizione, è l’atto mediante il quale il soggetto di disfa di cose di scarso
valore lasciandole in luogo aperto al pubblico. L’abbandono compiuto dal proprietario
comporta l’estinzione del suo diritto sulla cosa che, in quanto abbandonata, diventa
suscettibile di occupazione.

Diritti reali di godimento su cosa altrui
I diritti reali su cosa altrui sono diritti reali aventi ad oggetto un bene che è di proprietà di un
soggetto diverso dal titolare del diritto; coesistono con il diritto del proprietario e lo limitano
per tutta la loro durata. L’elasticità del diritto di proprietà importa la riespansione di esso una
volta estinto il diritto reale su cosa altrui che lo imitava.
I diritti reali su cosa altrui, in ragione della diversa funzione che realizzano, si distinguono in:
1. I diritti reali di garanzia: attribuiscono al titolare una garanzia sul bene di proprietà di
un altro soggetto. Appartengono a questa categoria: il pegno, l’ipoteca.
2. Diritti reali di godimento: attribuiscono al titolare il diritto di trarre dal bene talune
delle utilità che lo stesso è in grado di fornire. Tale diritto si sovrappone al diritto del
proprietario di godere della cosa e lo comprime.
Appartengono a questa categoria:
a) La superficie: diritto reale di godimento che conferisce il diritto di fare e mantenere
una costruzione sul suolo o nel sottosuolo altrui. In particolare attribuisce al titolare il
diritto di costruire un’opera sopra un suolo di proprietà altrui (e in deroga alla regola
dell’accessione, il superficiario acquista la proprietà dell’opera realizzata), e il diritto di
“mantenere” e alienare la costruzione di sua proprietà separatamente dalla proprietà
del suolo che resta al concedente.
b) L’enfiteusi: diritto reale di godimento che conferisce un’ampia facoltà di utilizzazione e
di disposizione di un fondo, con l’obbligo di migliorarlo e di pagare un canone al
proprietario. Si distingue dall’usufrutto, che è circoscritto al godimento del fondo, in
quanto sui frutti e sulle utilizzazioni del sottosuolo gli competono gli stessi diritti che
avrebbe il proprietario del fondo. L’enfiteusi è esclusivamente immobiliare; come
oggetto ha di regola l’immobile nella sua interezza, comprensivo di pertinenze e
accessori. Obbligo di migliorare il fondo influisce sul termine minimo dell’enfiteusi, che
non può essere inferiore a 20 anni; a differenza di altri diritti reali di godimento
l’enfiteusi può anche essere perpetua.
c) L’usufrutto: diritto reale di godimento che attribuisce al titolare il diritto di godere
della cosa e di trarne ogni utilità economica, salvo l’obbligo di rispettarne la
destinazione economica (art. 981 c.c.). Nel caso in cui l’usufrutto abbia ad oggetto beni
consumabili, si parla di quasi usufrutto, che si distingue dall’usufrutto in quanto
l’usufruttario diventa proprietario delle cose, salvo l’obbligo di restituire non gli stessi
beni ricevuti, ma altrettanti dello stesso genere. La natura dei beni del quasi usufrutto
esclude che in capo all’usufruttuario incomba l’obbligo di conservarne la destinazione.
La durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario (art. 979 c.c.);
l’usufrutto costituito a favore di persona giuridica non può durare più di 30 anni.
L’usufrutto si costituisce: per legge, per volontà dell’uomo, per usucapione (art. 1158
c.c.).
I diritti dell’usufruttario sono correlati al potere di godimento della cosa, pertanto
all’usufruttuario spetta: il possesso del bene e l’esercizio delle relative azioni
possessorie; i frutti naturali e civili; il potere di disporre per atto inter vivos del diritto
di usufrutto.
Gli obblighi dell’usufruttuario sono: il dovere di usare la diligenza nella gestione del
bene; l’obbligo di non modificare la destinazione economica del bene; l’obbligo di fare
l’inventario; l’obbligo di prestare garanzia della restituzione e conservazione del bene.
L’usufruttuario è responsabile per danni arrecati a terzi dalla cosa. Tale responsabilità
deriva dalla sua posizione di custode o dall’applicazione analogica delle norme sulla
responsabilità del proprietario.
L’usufrutto si estingue per: scadenza del termine o morte dell’usufruttuario;
prescrizione per non uso durato per 20 anni; per la riunione dell’usufrutto e della
proprietà nella stessa persona (consolidazione); per il totale perimento della cosa su
cui è costituito; per abuso dell’usufruttuario, il quale aliena i beni, li deteriora o li lascia
andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni (art. 1015 c.c.).
d) L’uso: è il diritto reale su cosa altrui che conferisce al titolare il diritto di servirsi di un
bene e, se è fruttifero, di raccoglierne i frutti limitatamente ai bisogni propri e della
propria famiglia. La facoltà di godimento incontra un limite quantitativo, in quanto
essa non va oltre quanto è necessario al fabbisogno personale e familiare del titolare.
Questo limite esprime la “funzione personale” del diritto, confermata dalla sua
incedibilità: il diritto d’uso non può infatti essere ceduto né l’usuario può dare la cosa
in locazione (art. 1024 c.c.).
e) L’abitazione: è il diritto reale su cosa altrui che conferisce al titolare la facoltà di abitare
una casa limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia (art. 1024 c.c.). Si tratta di
un’ipotesi d’uso che ha conservato una sua distinta previsione solo per tradizione
storica, l’abitazione è infatti regolamentata dalle stesse leggi dell’uso.
f) La servitù (o servitù prediale): consiste nel peso imposto sopra un fondo (fondo
servente) per l’utilità di un altro fondo (fondo dominante), appartenente ad un diverso
proprietario (art. 1027 c.c.). L’utilità è l’elemento funzionale della servitù, essa è data
infatti dal vantaggio obiettivo che il fondo trae dalla servitù, e che si traduce in una sua
qualità giuridica. Il titolare del fondo servente non è tenuto a compiere alcun atto per
rendere possibile l’esercizio della servitù da parte del titolare del fondo dominante,
salvo che la legge non disponga altrimenti (1030 c.c.). La servitù presuppone
l’appartenenza dei fondi a proprietari diversi e la vicinanza dei fondi stessi; l’esercizio
della servitù consiste nell’attuazione del potere di godimento che rientra nel contenuto
del diritto. In particolare le norme del codice sanciscono: la regola del minor aggravio
del fondo servente; il divieto di aggravamento del fondo servente; il divieto di
aggravamento o diminuzione dell’esercizio delle servitù; il divieto di spostamento delle
servitù.
Relativamente ai modi di costituzione le servitù si distinguono in servitù coattive
(costituite per legge) e servitù volontarie (costituite per contratto o testamento).
Relativamente al contenuto le servitù si distinguono in:
1. Appartenenti: hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio; possono
acquisirsi per usucapione.
2. Non appartenenti: non hanno opere visibili per il loro esercizio (es. servitù di
attingere acqua).
3. Continue: si esercitano mediante il mantenimento delle opere o dello stato dei
luoghi dai quali deriva direttamente il vantaggio per il fondo dominante. L’esercizio
di queste servitù non richiede quindi il fatto dell’uomo. È di regola apparente, in
quanto è resa manifesta dalle opere necessarie al suo esercizio.
4. Discontinue: l’esercizio della servitù si esplica attraverso il fatto attuale del titolare,
cioè attraverso atti di godimento dell’utilità offerta dal fondo servente.
5. Attive: servitù che realizzano il vantaggio del fondo dominante mediante opere o
attività del titolare del diritto.
6. Negative: servitù che realizzano il vantaggio del fondo dominante esclusivamente
mediante una limitazione delle facoltà del proprietario del fondo servente.
Modi di estinzione della servitù possono essere: la rinuncia da parte del titolare fatta
per iscritto; la scadenza del termine, se è stato apposto un termine; la confusione
(riunione nella stessa persona della qualità di titolare del fondo servente e dominante);
la prescrizione per uso ventennale.

Il possesso
Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio
della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 c.c.). Da questa definizione emerge che il
possesso non è un diritto come lo sono la proprietà o altri diritti minori, ma una situazione di
fatto, ciò che integra il possesso è infatti l’esplicazione di un potere sulla cosa a prescindere
dal diritto di possederla.
La situazione di fatto è giuridicamente rilevante: è produttiva di effetti giuridici ed è oggetto
di tutela giuridica.
- Elementi costitutivi:
1. Corpus possessionis: il primo elemento costitutivo è il potere di fatto sulla cosa,
ovvero la sua disponibilità di fatto; possiede la cosa chi la tiene nella sua sfera di
controllo, avendone la concreta possibilità di disposizione. La disponibilità di fatto
caratterizza il possesso diretto della cosa; il possesso può tuttavia essere anche
indiretto, cioè attuato mediante la detenzione di un terzo, (soggetto che ha la
disponibilità di fatto della cosa in via vicaria, art. 1140 c.c.).
2. Animus possidendi: inteso come la volontà del soggetto di possedere la cosa come se
egli ne fosse il proprietario. Tale elemento varrebbe a distinguere il possesso dalla
detenzione, situazione connotata dall’animus detiendi, quale consapevolezza di
disporre della cosa in nome altrui.
- Oggetto: suscettibili di possesso sono tutte le cose materiali aventi una realtà
oggettivamente percepibile. Insuscettibili di possesso sono invece i crediti, i diritti e i beni
immateriali. Per espressa previsione normativa possono essere oggetto di possesso i titoli di
credito (art. 1157 c.c.), più precisamente oggetto del possesso in questo caso è il documento,
non il diritto incorporato.
- Acquisto del possesso: può aver luogo a seguito di impossessamento i di consegna. È l’atto
giuridico di apprensione della cosa senza o contro la volontà di un precedente possessore.
Gliatti compiuti con altrui tolleranza sono idonei all’acquisto del possesso (art. 1144 c.c.).
La consegna è un atto giuridico in senso stretto diretto ad ammettere il destinatario nella
disponibilità di fatto della cosa. Il possesso può acquistarsi anche mediante il costituto
possessorio, che designa l’acquisto del possesso mediante l’assunzione della posizione di
possessore indiretto. Il costituto possessorie può realizzarsi in due distinte ipotesi:
1. Acquisto del possesso di un bene detenuto da un terzo.
2. Acquisto del possesso di un bene che rimane nella detenzione dell’alienante.
- Effetti del possesso: il possesso rileva anzitutto come oggetto di tutela contro le altrui
aggressioni. Il possesso rileva poi principalmente come titolo per l’acquisto dei frutti; al
riguardo il codice distingue tra possesso in buona fede e possesso in mala fede.
il possessore in buona fede è colui che possiede ignorando di ledere l’altrui diritto (art. 1147
c.c.); egli fa suoi i frutti della cosa posseduta fino al giorno della domanda di rivendicazione
(art. 1148 c.c.). egli ha poi diritto al rimborso delle spesa fatte per le riparazioni straordinarie
e può inoltre avvalersi del diritto di ritenere la cosa finché non gli siano corrisposte le
indennità dovute.
Il possessore anche se di mala fede ha:
1. Diritto al rimborso delle spese per la produzione e il raccolto dei frutti naturali.
2. Diritto al rimborso delle spese per le riparazioni straordinarie del bene.
3. Diritto all’indennità per i miglioramenti recati alla cosa, nella minor misura tra
l’importo della spesa e l’aumento di valore della cosa (art. 1150 c.c.).
- Detenzione: disponibilità di fatto sulla cosa in nome altrui. La detenzione comprende due
gruppi di ipotesi:
1. Detenzione qualificata: ha titolo in un diritto personale di godimento del bene (es.
comodato precario, locazione) o in un potere di gestione nell’interesse altrui (es.
mandato, curatela testamentaria).
2. Detenzione non qualificata: ipotesi in cui il detentore tiene la cosa a disposizione
del possessore. Rientrano in questa ipotesi la detenzione per ospitalità o per
ragioni di servizio o lavoro.
- Regola del “possesso vale titolo”: l’acquirente di cosa mobile alienata dal non legittimato
ne diventa proprietario mediante il possesso di buona fede (art. 1153 c.c.). Questa regola
introduce un modo di acquisto a titolo originario della proprietà, che risponde all’esigenza di
certezza e celerità della circolazione delle merci e dei beni mobili in generale. Nella
valutazione della legge questa esigenza prevale su quella della tutela della proprietà.
I presupposti sono:
1. La non legittimazione dell’alienante: l’acquisto opera in favore di colui al quale
sono alienati i beni mobili da parte di chi non è proprietario (art. 1153 c.c.).
2. Il possesso: da solo non è sufficiente, e va integrato dalla buona fede e dal titolo.
3. La buona fede: si intende l’ignoranza di ledere l’altrui diritto.
4. Il titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà.

L’usucapione
È il modo di acquisto della proprietà o di altri diritti reali di godimento che si realizza
mediante il possesso continuato del bene per il tempo stabilito dalla legge (art. 1158 c.c.).
Questo titolo di acquisto della proprietà risponde all’esigenza di attribuire definitività e
certezza giuridica alla pacifica utilizzazione del bene protrattasi nel tempo.
Gli elementi costitutivi dell’usucapione sono:
1. Il possesso: l’importanza del possesso si spiega in ragione del fondamento
dell’usucapione quale modo di acquisto del diritto che favorisce chi utilizza il bene nel
tempo a fronte del proprietario che lo trascura.
Ai fini dell’usucapione il possesso deve essere palese e pacifico; il codice stabilisce
infatti che il possesso acquistato in modo violento o clandestino non giova per
l’usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata (art.
1163 c.c.).
2. Il tempo: per usucapire la proprietà degli immobili o degli altri diritti reali immobiliari
sono necessari 20 anni di possesso continuato (art. 1158 c.c.). – Se in buona fede il
posso si riduce a 10 anni.
Non sono invece requisiti necessari la buona fede e il titolo astrattamente idoneo all’acquisto
derivativo della proprietà.
Oggetto dell’usucapione sono i diritti di proprietà e gli altri diritti reali di godimento, in
particolare l’enfiteusi, l’usufrutto, la superficie, l’uso, la servitù (fatta eccezione per quelle
apparenti e coattive), i titoli di credito e le universalità di mobili. Non sono usucapibili le
universalità di diritto (es. l’eredità).
L’acquisto per usucapione è a titolo originario, l’acquisto non è infatti subordinato alla
posizione del precedente titolare (come gli acquisti a titolo derivativo), ma al ricorso dei
presupposti di legge (possesso e tempo). L’acquisto è automatico e avviene per legge, ma è
d’interesse dell’acquirente far risultare il suo acquisto in via giudiziale.
L’usucapione abbreviata designa speciali figure di usucapione che richiedono tempi inferiori
rispetto a quelli dell’usucapione ordinaria e ulteriori particolari requisiti. Questa è prevista in
due ipotesi:
1. Nell’ipotesi di acquisto in buona fede di un immobile dal non proprietario, detta anche
usucapione decennale (art. 1159 c.c.). In questo caso i presupposti sono: la non
legittimazione dell’alienante; la buona fede; il titolo astrattamente idoneo all’acquisto;
la trascrizione del titolo; il possesso continuato per 10 anni. Nel caso di beni mobili
registrati l’usucapione si compie decorso il termine di 3 anni.
2. Nell’ipotesi di usucapione della piccola proprietà rurale. Tale figura è stata introdotta
nel codice civile da una legge speciale (art. 1159 bis c.c.). È stata introdotta al fine di
favorire la proprietà contadina, quindi con un fine spiccatamente sociale. Oggetto di
questa usucapione sono i fondi rustici situati in comuni montani o aventi un basso
reddito. Il tempo per usucapire è ridotto a 15 anni, e a 5 anni in favore di chi abbia
conseguito in buona fede il possesso del fondo in base ad un titolo astrattamente
idoneo all’acquisto.

Azioni a tutela del possesso
Le azioni possessorie sono rimedi processuali specifici a tutela del possesso. Le azioni
possessorie appartengono al diritto sostanziale in quanto determinano il contenuto della
posizione giuridica del possessore, apprestando a suo favore la tutela contro determinate
ingerenze. In particolare, il diritto del possesso si identifica come il diritto a non subire
spoglio e molestie nel possesso.
Le azioni a tutela del possesso sono:
1. Azione di reintegrazione: (o di spoglio), è l’azione volta a reintegrare nel possesso del
bene chi sia stato vittima di spoglio violento o clandestino (art. 1168 c.c.). Il possesso o
la detenzione qualificata del bene costituiscono i presupposti dell’azione e sono
oggetto di prova a carico dell’attore. L’onere probatorio non è soggetto a particolari
restrizioni, ed è per questo preferita all’azione di rivendicazione.
Lo spoglio è la privazione totale o parziale della cosa o, più in generale, il fatto che
impedisce durevolmente al possessore l’esercizio del possesso. Caratteri dello spoglio
sono la violenza e la clandestinità. Secondo la dottrina elemento dello spoglio sarebbe
il cosiddetto “animus spoliandi”, ovvero la volontà di depredare la vittima, tuttavia di
questo requisito il codice non fa cenni.
L’azione di reintegrazione è volta al ripristino della situazione possessoria violata;
deve essere proposta entro un anno dal compimento dello spoglio.
2. Azione di manutenzione: è l’azione volta a far cessare la molestia del possesso (art.
1170 c.c.). La molestia (o turbativa), consiste nell’attività che ostacola o rende più
gravoso il possesso. A differenza dello spoglio, la molestia non priva il possessore del
bene, ma ne pregiudica l’esercizio. Legittimato è solo il possessore; l’azione di
manutenzione è concessa precisamente a chi sia possessore da oltre un anno e possa
vantare un possesso continuo, non interrotto, non violento né clandestino. L’azione
non compete al detentore ed è soggetta al termine annuale di decadenza.
3. Denunzia di nuova opera: rimedio cautelare specifico previsto per prevenire il danno
che si teme possa derivare all’esecuzione di un’opera (art. 1171 c.c.). Presupposti per
la denunzia sono: la nuova opera, il pericolo di danno.
4. Denunzia di danno temuto: rimedio cautelare specificatamente previsto per prevenire
un danno che potrebbe compiersi ad un immobile da un albero, edificio o altra cosa
(art. 1172 c.c.). A differenza della denunzia di nuova opera essa non presuppone
un’attività in corso di cui si chieda la sospensione, ma una situazione dei luoghi di cui si
chiede la rimozione o la modifica idonea a scongiurare il danno temuto.
La denunzia di nuova opera e di danno temuto sono tuttavia al tempo stesso azioni a tutela
della proprietà e azioni a tutela del possesso; hanno quindi duplice natura.


Cenni sui diritti di obbligazione

Rapporto obbligatorio
L’obbligazione è lo specifico rapporto giuridico in forza del quale un soggetto, detto debitore,
è tenuto ad una determinata prestazione patrimoniale per soddisfare l’interesse di una altro
soggetto, detto creditore. Oltre a designare la posizione debitoria, il termine obbligazione
indica il rapporto che intercorre tra debitore e creditore, denominato comunemente rapporto
obbligatorio.
Il rapporto obbligatorio può definirsi come il rapporto avente ad oggetto una prestazione
patrimoniale che un soggetto (debitore), è tenuto ad eseguire per soddisfare l’interesse di un
altro soggetto (creditore). Il rapporto obbligatorio si struttura in due posizione correlative:
alla posizione passiva, il debito, corrisponde infatti una posizione attiva, il credito.
L’obbligazione esprime una figura giuridica unitaria alla quale il nostro codice dedica una
disciplina generale (art. 1153 c.c.).
Elementi costitutivi dell’obbligazione o del rapporto obbligatorio sono: le due posizioni
soggettive di debito e di credito, la prestazione, l’interesse del creditore. Il debito è la
situazione giuridica passiva del rapporto obbligatorio, comunemente indicata come
obbligazione (debito = obbligazione). Il dovere designa in generale una posizione di giuridica
necessità imposta al soggetto nell’interesse altrui; l’obbligazione si designa come dovere a
contenuto patrimoniale e come dovere specifico. Sotto questo profilo l’obbligazione si
distingue quindi rispetto ai doveri generici che interessano la vita di relazione, ossia ai doveri
che l’ordinamento impone nei confronti della generalità dei consociati.
L’obbligazione deve essere distinta rispetto alla soggezione, ovvero la posizione puramente
passiva del destinatario di un potere altrui. Il titolare della soggezione si limita a subire le
modifiche alla sua sfera giuridica prodotte dall’esercizio dell’altrui potere. L’obbligazione è
invece una posizione in base alla quale il soggetto è tenuto ad eseguire una data prestazione
per il soddisfacimento di un interesse altrui.
Il credito è il diritto all’adempimento, cioè il diritto del creditore all’esecuzione della
prestazione dovutagli; il diritto di credito rientra nella categoria dei diritti soggettivi relativi,
in quanto il soggetto creditore può esercitare il suo diritto solo nei confronti del soggetto
debitore.
La prestazione è l’oggetto del rapporto obbligatorio.
L’interesse del creditore è elemento funzionale del rapporto obbligatorio. L’interesse è inoltre
elemento costitutivo del rapporto obbligatorio nel senso che l’obbligazione è essenzialmente
strumento di soddisfacimento dell’interesse del creditore. L’interesse creditorio non deve
necessariamente essere un interesse economico; secondo il codice la prestazione deve avere
carattere patrimoniale e deve corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del
creditore (art. 1174 c.c.).
I soggetti del rapporto obbligatorio sono i titolari delle correlative posizioni di debito e di
credito, cioè il debitore (detto soggetto passivo, è il soggetto tenuto all’adempimento
dell’obbligazione) e il creditore (detto soggetto attivo, è il soggetto nei cui confronti il debitore
è obbligato). Debitore e creditore non sono elementi costitutivi del rapporto obbligatorio, ma i
presupposti soggettivi di esso. Che il rapporto obbligatorio debba far capo a due distinti
titolari trova conferma nella figura della confusione: l’obbligazione si estingue infatti a seguito
del riunirsi in un’unica persona della posizione debitoria e creditoria.
Principio di determinatezza: debitori e creditore devono essere determinati o determinabili;
questa caratteristica segna anzitutto la distinzione tra obbligazioni da una parte e doveri
generici dall’altra. I doveri generici sussistono nei confronti della generalità dei consociati,
regolando la vita di relazione; l’obbligazione impone invece un dovere specifico nei confronti
del soggetto che è portatore del particolare interesse da soddisfare. Il creditore è a sua volta
titolare della pretesa dell’adempimento nei confronti esclusivi dell’obbligato. Il diritto di
credito si conferma quindi come diritto relativo.
- Obbligazione naturale: è un dovere sociale o morale giuridicamente non vincolante. Essa
non è sanzionata in diritto mail suo spontaneo adempimento non ammette ripetizione della
prestazione eseguita (art. 2034 c.c.). Questo è l’unico effetto che si riconosce all’obbligazione
naturale. Esempio di obbligazione naturale è l’assistenza familiare.
- Fonti dell’obbligazione: fonti dell’obbligazione sono in generale le fattispecie idonee a
produrre rapporti obbligatori. Secondo il codice sono fonti d’obbligazione: il contratto, l’atto
illecito e qualsiasi atto o fatto idoneo a produrla in conformità dell’ordinamento giuridico (art.
1173 c.c.). Anche se derivante dal contratto, il rapporto obbligatorio non deve essere confuso
con il rapporto contrattuale; esprimono infatti nozioni diverse, in quanto l’obbligazione indica
in generale il vincolo per cui una prestazione è dovuta da un soggetto ad un altro, mentre il
rapporto contrattuale indica il complesso unitario delle posizioni attive e passive scaturenti
dal contratto. Oltre che effetti obbligatori, il contratto può essere fonti di altri effetti: effetti
reali, effetti estintivi, soggezioni, etc.
L’ atto illecito è fonte dell’obbligazione di risarcimento del danno come prescritto dalla regola
generale dell’illecito, secondo la quale qualunque fatto dannoso o colposo, che cagione ad altri
un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
Quanto alla formula del codice che rinvia a qualunque atto o fatto idoneo a produrre
obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico, si tratta di fonti diverse dal contratto o
dall’illecito, tradizionalmente chiamate quasi contratti. Esse sono in particolare:
1. Promesse unilaterali: è il negozio unilaterale mediante il quale il soggetto si impegna ad
eseguire una determinata prestazione. Questa non produce effetti obbligatori al di
fuori dei casi ammessi dalla legge (art. 1987 c.c.). A tal proposito il nostro ordinamento
ha sancito il principio di tipicità, a conferma del principio di esclusività del contratto.
2. Promesse al pubblico: negozio mediante cui un soggetto si impegna pubblicamente ad
eseguire una prestazione in favore di chi si trovi in una determinata situazione o
compia una determinata azione (art. 1989 c.c.).
3. Gestione di affari altrui: si ha quando il soggetto assume consapevolmente e senza
esservi obbligato la cura dell’interesse di chi non è in grado di provvedervi (art. 2028
c.c.)
4. Pagamento dell’indebito: è l’esecuzione di una prestazione non dovuta. L’indebito si
distingue in oggettivo (quando l’adempiente esegue una prestazione in base ad un
titolo inesistente o inefficace – art. 2033 c.c.), e soggettivo (quando l’adempiente
esegue un debito altrui nell’erronea credenza di essergli debitore – art. 2036 c.c.).
5. Ingiustificato arricchimento: esprime la regola secondo cui chi si arricchisce senza una
giusta causa a danno di un altro è obbligato, nei limiti dell’arricchimento, a
indennizzare chi ha subito la correlativa diminuzione patrimoniale (art. 2041 c.c.).
- Oggetto dell’obbligazione, la prestazione: oggetto o contenuto dell’obbligazione è la
prestazione, ovvero il programma materiale o giuridico che il debitore è tenuto a realizzare e
a cui il creditore ha diritto. Requisiti legali della prestazione sono:
1. Patrimonialità: carattere specifico della prestazione, la quale “deve essere suscettibile
di azione giuridica” (art. 1174 c.c.). Essa precisamente vale a distinguere l’obbligazione
rispetto agli obblighi giuridici di contenuto non economico.
2. Possibilità: indica che essa è astrattamente suscettibile di esecuzione. La possibilità
deve essere materiale e giuridica, nel senso che non devono sussistere né impedimenti
di fatto né di diritto.
3. Liceità: indica che la prestazione integra un comportamento conforme alle norme
imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. Una prestazione illecita difetta del
requisito della doverosità
4. Determinatezza (o determinabilità): la prestazione è determinata quando essa è
specificata in tutti i suoi elementi oggettivi. La prestazione è determinabile quando il
titolo o la legge fissano i modi della successiva determinazione. La determinabilità
implica un’incertezza della prestazione, ma questa incertezza non esclude l’esistenza
del vincolo obbligato.
- Criteri legali di determinazione della prestazione: il contenuto dell’obbligazione è
determinato dal titolo, dagli usi e dalla legge. Titolo dell’obbligazione è principalmente il
contratto, che rileva normalmente come fonte del rapporto obbligatorio e al tempo stesso
come fonte determinativa del suo contenuto. Le determinazioni che hanno fonte contrattuale
vanno accertate in base alle norme sull’interpretazione dei contratti.
Altra fonte di determinazione della prestazione è costituita dagli usi, richiamati relativamente
a prestazioni contrattuali tipiche (es. il corrispettivo dovuto al prestatore di lavoro
autonomo).
- Buona fede e diligenza: il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regola
della correttezza (art. 1175 c.c.). La correttezza o buona fede in senso oggettivo è un
fondamentale principio di solidarietà che il codice sancisce nella disciplina del contratto e
nella disciplina dell’obbligazione. La buona fede sancita a carico dei soggetti del rapporto
obbligatorio si specifica nell’obbligo della salvaguardia. Precisamente, nel rapporto
obbligatorio ciascun soggetto ha l’obbligo di salvaguardare l’utilità dell’altro nei limiti in cui
ciò non comporti un apprezzabile sacrificio; la buona fede impone a ciascuna delle parti di
agire in modo da preservare gli interessi dell’altro a prescindere da specifici obblighi
contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem ledere.
La buona fede va distinta rispetto al canone di diligenza, che è invece criterio di
determinazione della prestazione specificamente dovuta dal debitore. Mentre la buona fede
esprime una doverosità, che si ferma al limite di un apprezzabile sacrificio, e pertanto una
doverosità attenuata, la diligenza esprime una doverosità piena.
La diligenza dovuta dal debitore si pone come criterio fondamentale di determinazione della
prestazione obbligatoria e insieme come criterio di responsabilità. Il debitore è tenuto alla
diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 c.c.). I singoli aspetti della diligenza sono: la
cura, la cautela, la perizia, la legalità.
- Obbligazione di dare e di dare: l’oggetto della prestazione costituisce un punto di
riferimento per alcune classificazioni generali delle obbligazioni.
Una classificazione tradizionale divide le obbligazioni in: obbligazioni di dare (che hanno a
contenuto il trasferimento di un diritto o la consegna di un bene), di fare (in senso lato si
definiscono obbligazioni da fare tutte le obbligazioni aventi ad oggetto un’attività materiale o
giuridica che non consistono in un dare, mentre in senso stretto sono obbligazioni di fare
quelle aventi ad oggetto un’attività materiale) e di non fare.
- Obbligazioni di mezzi e di risultato: le obbligazioni di mezzi sono quelle in cui il debitore è
tenuto a svolgere un’attività a prescindere dal conseguimento di una determinata finalità (es.
medici, avvocati, etc.); le obbligazioni di risultato sono quelle in cui il debitore è tenuto a
realizzare una determinata finalità a prescindere da una specifica attività strumentale (es.
obbligazioni pecuniarie, obbligazioni d’appaltatore, etc.).
La differenza tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultati è la differenza tra due diversi
contenuti della prestazione dovuta: nella prima la prestazione dovuta prescinde dall’esito,
nella seconda ciò che è dovuto è il risultato.
- Promessa del fatto del terzo: è quella che impegna il debitore all’agire altrui. Chi promette
l’obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare l’altro contraente se il terzo
rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso (art. 1381 c.c.). Il codice prevede
l’obbligazione del fatto del terzo come effetto di una promessa.
- Obbligazioni negative: è l’obbligazione che ha ad oggetto un comportamento omissivo del
debitore, consistente in un non dare o in un non fare. Sotto l’aspetto del contenuto
l’obbligazione costituisce un divieto, ossia un precetto giuridico negativo, ma essa si distingue
nettamente rispetto ai doveri extracontrattuali di non ledere l’altrui sfera giuridica; va tenuta
separata anche dalla servitù, quale diritto reale costituito a carico di un fondo a vantaggio di
altro fondo. Il comportamento omissivo del creditore deve corrispondere ad un interesse del
creditore: l’apprezzabile interesse del creditore è l’elemento distintivo dell’obbligazione
negativa, ma è anche un primo requisito di liceità.
L’obbligazione negativa è regolamentata dalla disciplina comune delle obbligazioni, fatte salve
le deroghe che si giustificano in ragione del suo contenuto omissivo. Con riguardo alla
disciplina l’obbligazione negativa presenta le seguenti particolarità:
1. Adempimento: risultano insuscettibili di applicazione le norme sulla capacità e sulla
legittimazione dei soggetti, sull’imputazione, sulla surrogazione, sulla mora del
creditore e sulla liberazione coattiva.
2. Indivisibilità e cumulatività: la prestazione omissiva è indivisibile, non essendo
suscettibile di essere eseguita per parti.
3. Prescrizione: l’inerzia del debitore non fa decorrere la prescrizione in quanto il diritto
del creditore si realizza proprio mediante tale inerzia. Il termine di prescrizione inizia
piuttosto a decorrere dal momento in cui il debitore mette in atto il comportamento
vietato.
4. Inadempimento: il debitore risponde per l’inosservanza dell’obbligazione negativa
secondo le comuni regole della responsabilità contrattuale, e il creditore può avvalersi
di massima dei comuni rimedi contro l’inadempimento.
- Obbligazioni alternative: sono le obbligazioni in cui sono dovute due o più prestazioni, ma
un solo adempimento (art. 1125 c.c.). Gli elementi che caratterizzano l’obbligazione
alternativa sono:
1. Pluralità dell’oggetto: è data dal fatto che tutte le prestazioni sono dovute fin dalla
costituzione del rapporto obbligatorio e fino al momento della concentrazione, cioè
fino al momento in cui sia esercitato il potere di scelta dell’una o dell’altra. –
L’obbligazione alternativa si distingue quindi da quella facoltativa dal momento che in
quest’ultima è dovuta sì una prestazione, ma il debitore ha la facoltà di liberarsi
eseguendone una diversa.
2. Unicità dell’adempimento: il debitore è tenuto ad eseguire una sola delle prestazioni
dovute. Il debitore, più precisamente, si libera eseguendo la prestazione prescelta.
- Obbligazioni facoltative: (o con facoltà alternativa), sono le obbligazioni in cui è dovuta
una prestazione ma il debitore ha la facoltà di liberarsi eseguendone un’altra.
- Termine dell’obbligazione: è il tempo dell’adempimento, cioè il tempo nel quale o durante
il quale la prestazione deve essere eseguita.
- Luogo della prestazione: è dove la prestazione deve essere eseguita.

Obbligazioni pecuniarie
Le obbligazioni pecuniarie sono le obbligazioni aventi ad oggetto una somma di denaro (art.
1224 c.c.). La specialità delle obbligazioni pecuniarie è data dalla specialità del denaro, che
non è di regola né un bene di consumo né un bene produttivo, non essendo direttamente
idoneo a soddisfare un determinato bisogno né a produrre altri beni. A differenza dei beni in
natura, il denaro è piuttosto un bene caratterizzato dalla sua autonoma funzione quale mezzo
generale di acquisto dei beni e di pagamento.
Il denaro è monopolio dello Stato ed ha un corso legale, ossia è un mezzo legale di pagamento.
Il valore nominale del denaro è il valore numerico del denaro segnato sulla moneta ed indicato
in multipli e sottomultipli dell’unità di misura monetaria. Il valore nominale si distingue
rispetto al valore reale, ossia il potere di acquisto del denaro. Il potere di acquisto in confronto
con la valuta straniera è espresso dal cambio.
- Principio nominalistico: è la regola secondo cui le obbligazioni pecuniarie si eseguono in
conformità del loro importo nominale. Tale principio è alla base del pagamento dei debiti
pecuniari, che si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del
pagamento e per il suo valore nominale (art. 1277 c.c.). Al principio nominalistico sono
assoggettate le comune obbligazioni pecuniarie, dette di valuta. Il principio nominalistico non
si applica alle obbligazioni di valore.
- Debiti di valuta e debiti di valore: le obbligazioni di valuta sono le obbligazioni pecuniarie
aventi ad oggetto sin dall’origine la prestazione di un importo nominale di denaro che può
essere determinato o determinabile mediante parametri fissi. I debiti di valore sono i debiti
pecuniari determinabili esclusivamente in ragione di un dato valore economico. La distinzione
tra debiti di valuta e di valore è intesa in termini di contrapposizione da parte della
giurisprudenza, la quale mostra di reputare i debiti di valore come debiti non pecuniari
sottratti alla disciplina delle obbligazioni pecuniarie.
- Interessi: sono le prestazioni pecuniarie percentuali e periodiche dovute da chi utilizza un
capitale altrui o ne ritarda il pagamento. Caratteri degli interessi sono:
1. Pecuniarietà: gli interessi hanno contenuto pecuniario, in corrispondenza
all’obbligazione pecuniaria cui accedono.
2. Percentualità: gli interessi sono dovuti in misura percentuale rispetto all’obbligazione
principale, cioè al capitale. La misura percentuale degli interessi è detta saggio.
3. Periodicità: intesa come funzionale dipendenza dal tempo.
4. Accessorietà: gli interessi sono dovuti in quanto è dovuto il capitale. Se il titolo di
credito è nullo, annullato o risolto, viene meno anche l’obbligazione degli interessi.
- Interessi usurari: sono in generale gli interessi esorbitanti rispetto al valore di mercato.
Secondo l’art. 644 legge 108/1996, l’usura costituisce reato.
- Anatocismo: è il diritto agli interessi sugli interessi (art. 1283 c.c.). Essi decorrono dal
giorno della domanda sugli interessi che siano scaduti e dovuti da almeno 6 mesi. – Per i primi
6 mesi non spettano quindi interessi anatocistici.

Adempimento
L’adempimento è l’esecuzione della prestazione. La prestazione designa ciò che è dovuto,
ossia il programma obbligatorio; l’adempimento è l’attuazione di tale programma.
L’adempimento è quindi il modo normale di estinzione dell’obbligazione. L’adempimento può
consistere, in relazione al vario contenuto della prestazione, nel compimento di atti giuridici,
nello svolgimento di un’attività materiale o nella realizzazione di un risultato.
Carattere specifico dell’adempimento è la doverosità: l’adempimento si qualifica precisamente
come fatto dovuto in quanto costituisce attuazione dell’obbligazione. In mancanza
dell’obbligazione l’adempimento è indebito. Alla doverosità dell’adempimento è connesso il
carattere dell’imputabilità al debitore.
Come attuazione dell’obbligazione l’adempimento richiede la sua riferibilità al soggetto
obbligato: non basta che un fatto sia astrattamente corrispondente al contenuto del rapporto
obbligatorio ma, per aversi adempimento, occorre che lo svolgimento dell’attività o il
realizzarsi del risultato dovuto siano riferibili alla sfera giuridica del debitore. Questo
riferimento è dato da un nesso causale o giuridico che collega l’adempimento alla persona
dell’obbligato.
La validità d’adempimento indica in generale l’esattezza soggettiva e oggettiva della
prestazione eseguita; la validità dell’adempimento esprime un giudizio di conformità al
programma obbligatorio: l’adempimento è valido se la prestazione è esattamente adempiuta.
La nozione di validità dell’adempimento non va confusa con quella di validità del contratto.
Con riguardo al contratto la validità attiene al momento costitutivo, e vuol dire conformità ai
requisitivi di liceità, capacità e integrità del consenso. Nell’adempimento la validità attiene al
momento esecutivo, e vuol dire esattezza della prestazione. L’inesattezza della prestazione
integra l’inadempimento. L’adempimento parziale è l’esecuzione di una parte della
prestazione idonea a soddisfare proporzionalmente l’interesse del creditore. Di regola il
creditore può rifiutare un adempimento parziale, salvo che questo sia ammesso dalla legge o
dagli usi (art. 1181 c.c.).
- Legittimazione ad adempiere: requisiti soggettivi dell’adempimento sono la legittimazione
dell’adempiente, detta legittimazione ad adempiere, e quella del destinatario, detta
legittimazione a ricevere. La legittimazione ad adempiere designa la competenza del soggetto
ad eseguire la prestazione.
La nozione di legittimazione non va confusa con quella di titolarità del rapporto obbligatorio.
La titolarità del rapporto obbligatorio è la spettanza delle posizioni di credito e di debito.
Titolari del rapporto obbligatorio sono il debitore e il creditore. La legittimazione è invece il
potere che compete al soggetto di attuare le posizioni di debito e di credito.
- Adempimento del terzo: si ha adempimento del terzo quando un soggetto esegue
l’obbligazione altrui in nome proprio al di fuori dell’esercizio di un’autorizzazione negoziale o
di un ufficio. Il terzo può agire di propria iniziativa oppure su accordo con il debitore. In ogni
caso l’adempimento del terzo si caratterizza come adempimento autonomo nel senso che il
terzo non adempie quale rappresentante, ausiliario o sostituto del debitore e neppure come
titolare di un ufficio. Accanto all’interesse apprezzabile del creditore a che la prestazione non
sia eseguita da persona diversa dell’obbligato, la legge prevede l’opposizione del debitore
manifesta al creditore quale causa che legittima quest’ultimo a rifiutare la prestazione del
terzo (art. 1180 c.c.).
L’adempimento del terzo ha per effetto l’estinzione dell’obbligazione del debitore nei
confronti del creditore. All’adempiente non compete il diritto di rimborso se se il pagamento
integra un atto di liberalità; in caso contrario l’adempiente potrà far valere il diverso titolo in
base al quale ha eseguito l’obbligazione e potrà giovare della surrogazione se ne ricorrono i
presupposti.
- Legittimazione a ricevere la prestazione: designa la competenza del soggetto ad accettare
la prestazione con effetto liberatorio per il debitore.
- Pagamento al creditore apparente: il pagamento fatto al non legittimato è inefficacie nei
confronti del creditore. Il debitore rimane quindi obbligato ad eseguire la prestazione. Il
pagamento al creditore apparente indica l’ipotesi in cui il debitore è liberato se esegue il
pagamento in buona fede a chi appare legittimato a riceverlo (art. 1189 c.c.).
- Quietanza: la prova del pagamento è di regola un onere a carico del debitore. Prova
documentale tipica è la quietanza, dichiarazione scritta con la quale il creditore attesta di aver
ricevuto il pagamento in essa indicato.
- Imputazione del pagamento: l’imputazione del pagamento è il riferimento della
prestazione al debito da estinguere tra più debiti di eguale natura del debitore verso il
creditore. In ragione della sua fonte l’imputazione si distingue in:
1. Imputazione volontaria: di distingue a sua volta in imputazione per atto del debitore e
per atto del creditore.
2. Imputazione legale: art. 1194 c.c.
- Mora del creditore e liberazione coattiva del creditore: la mora del creditore è il ritardo
nell’adempimento imputabile al creditore, il quale senza motivo legittimo non accetta o non
rende possibile la prestazione offertagli nelle forme di legge o nelle forme d’uso (art. 1206
c.c.).

Modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento
L’estinzione dell’obbligazione è la vicenda terminale del rapporto, ossia il venir meno delle
posizioni di debito e di credito. L’obbligazione è destinata ad estinguersi mediante
l’adempimento, ossia mediante l’attuazione del programma obbligatorio imputabile al
debitore. L’adempimento è quindi il modo normale di estinzione dell’obbligazione. I modi di
estinzione dell’obbligazione si distinguono in satisfattivi (modi di estinzione dell’ obbligazione
che soddisfano l’interesse originario o altro interesse succedaneo del creditore) e non
satisfattivi (modi di estinzione che comportano la perdita del credito senza soddisfare
l’interesse creditorio né un interesse succedaneo).
I modi di estinzione diversi dall’adempimento sono:
1. Dazione in pagamento: è la prestazione che il debitore esegue, con il consenso del
creditore, in sostituzione di quella dovuta (art. 1197 c.c.).
2. Novazione: la novazione oggettiva è il contratto mediante il quale le parti estinguono
l’obbligazione originaria sostituendo ad essa una nuova obbligazione con oggetto o
titolo diverso. Si distingue dalla novazione soggettiva quale contratto che sostituisce
un nuovo debitore a quello originario, che viene liberato. Anche la novazione
soggettiva estingue l’obbligazione originaria, ma si tratta di un’estinzione che rileva
come vicenda soggettiva del rapporto; la novazione oggettiva invece non sostituisce i
soggetti, ma estingue il rapporto obbligatorio, mutandolo in altro rapporto diverso per
l’oggetto o per il titolo. Due sono gli elementi caratterizzanti della novazione: l’intento
novativo (volontà delle due parti di estinguere l’obbligazione sostituendola con una
nuova obbligazione) e la diversità della nuova obbligazione. – Non satisfattivo
3. Remissione: è il negozio unilaterale mediante il quale il creditore rinuncia
gratuitamente al diritto di credito. Ha struttura unilaterale in quanto si perfezione con
la sola volontà del creditore. – Non satisfattivo.
4. Compensazione: è in generale l’elisione di due reciproche obbligazioni, fino al limite
della loro concorrenza. Ognuna delle due parti realizza il proprio diritto conseguendo il
soddisfacimento di un interesse succedaneo a quello originario, ossia l’interesse ad
essere liberato dal proprio credito. La compensazione può essere di tre tipi: legale,
giudiziale o volontaria, a seconda che operi in forza di legge, di provvedimento del
giudice o per volontà delle parti.
5. Confusione: modo di estinzione dell’obbligazione che ha luogo quando le posizioni di
debitore e di creditore si riuniscono nella stessa persona (art. 1253 c.c.).
6. Impossibilità sopravvenuta: l’obbligazione si estingue per l’impossibilità sopravvenuta
della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore (art. 1256 c.c.).


I contratti in generale

Nozione di contratto
Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un
rapporto giuridico patrimoniale. La figura del contratto è regolata dall’art. 1321 c.c., il quale
detta una disciplina generale ed una disciplina specifica di singoli tipi di contratto. La nozione
di contratto coglie i due momenti essenziali, ovvero:
1. Momento soggettivo: identifica il contratto quale atto decisionale delle parti, e
precisamente come accordo. Sul piano sociale l’accordo è una manifestazione di
volontà, e come tale deve quindi essere inteso.
2. Momento oggettivo: identifica il contratto come autoregolamento di rapporti giuridici
patrimoniali, ovvero la disposizione o la regola che le parti pongono in essere mediante
il loro accordo.
Il contratto rappresenta il principale strumento di esplicazione dell’autonomia privata.
Il codice riconosce il principio dell’autonomia privata quale:
1. Potere del soggetto di liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti
imposti dalla legge.
2. Potere del soggetto di autodeterminare i propri rapporti con terzi mediante contratti
tipici o atipici, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento giuridico (art. 1322 c.c.).
Oltre che come potere di decidere della propria sfera giuridica personale e patrimoniale,
l’autonomia privata può essere vista come un diritto di libertà, e quindi come un diritto
fondamentale della persona.
- Negozio giuridico: la figura del contratto si inquadra nella categoria del negozio giuridico,
definito come “l’atto di volontà diretto ad uno scopo rilevante per l’ordinamento giuridico”.
Nell’ambito della nozione di negozio giuridico rientrano tutti gli atti di autonomia privata, a
struttura bilaterale, plurilaterale o unilaterale, a contenuto patrimoniale o non patrimoniale.
- Delibera: il contratto, come figura di accordo, deve essere tenuto distinto alla delibera, quale
“atto decisionale del gruppo, cioè atto con il quale il gruppo manifesta la volontà in ordine ad
un interesse di sua competenza”. La delibera è pur sempre esercizio di autonomia privata ma
l’interesse del quale essa decide è un interesse del gruppo, ovvero un interesse comune dei
partecipanti. La distinzione tra delibera e contratto si coglie allora in ciò, che nell’accordo
ciascuna delle parti decide in ordine ad un proprio interesse, mentre nella delibera ciascun
partecipante concorre ad una decisione in ordine ad un interesse del gruppo.
- Rapporti contrattuali di fatto: sono quei rapporti modellati secondo il contenuto di un
determinato contratto tipico, che non scaturiscono da atti di autonomia privata ma da un
mero contatto sociale. Generalmente i casi considerati riguardano rapporti che alla fonte
hanno in realtà un accordo tacito.

Classificazione dei contratti
I contratti si possono distinguere secondo schemi generali che rispecchiano determinate
esigenze della vita di relazione. Altre distinzioni si fanno in riferimento agli effetti, ai
presupposti formali o soggettivi. In particolare troviamo:
1. Contratti di alienazione: sono in genere i contratti che hanno per oggetto una
vicenda derivativa, cioè contratti che hanno per oggetto il trasferimento di un diritto o
a costituzione di un diritto reale limitato (usufrutto, ipoteca, pegno, etc.). Carattere
comune di tali contratti è la natura derivativa della vicenda programmata. L’acquisto
in essi previsto presuppone infatti l’anteriore appartenenza del diritto o di una più
ampia posizione giuridica in capo ad un determinato soggetto. L’esecuzione di tali
contratti richiede pertanto la legittimazione dell’alienante a disporre del diritto
alienato. – Es. vendita della proprietà, costituzione dell’usufrutto, cessione del credito,
etc.
2. Contratti ad effetti reali e contratti ad effetti obbligatori: i contratti ad effetti reali
o traslativi sono i contratti che producono l’acquisto del diritto in capo all’alienatario
per effetto del consenso legittimamente prestato. – Es. la vendita di un determinato
bene. Di regola il contratto di alienazione è traslativo e quindi produce l’immediato
trasferimento del diritto reale quando ha per oggetto: il trasferimento della proprietà
di un bene determinato, il trasferimento o la costituzione di un diritto reale, il
trasferimento o la costituzione derivativa di altri diritti.
Contratti di alienazione ad effetti obbligatori sono i contratti aventi ad oggetto cose
determinate solo nel genere; in tali contratti il diritto si trasmette a seguito della
individuazione (art. 1378 c.c.). Contratti ad effetti obbligatori sono i contratti che
obbligano l’alienante a far acquistare il diritto all’alienato.
3. Contratti consensuali e contratti reali: i contratti ad effetti reali non devono essere
confusi con i contratti reali, cioè i contratti che si perfezionano con la consegna della
cosa che ne è oggetto. – Es. il mutuo, il comodato, il deposito, il contratto costitutivo di
pegno, il riporto. In questi contratti la consegna non è un mero momento esecutivo del
contratto, bensì un elemento costitutivo, nel senso che senza la consegna il contratto
non s’intende formato.
I contratti consensuali sono i contratti che si perfezionano con il consenso. A questa
categoria appartengono sia i contratti ad effetti obbligatori che i contratti ad effetti
obbligatori.
4. Contratti ad esecuzione istantanea e contratti di durata: i contratti ad esecuzione
istantanea sono i contratti la cui esecuzione avviene in un’unica soluzione; i contratti
di durata sono invece i contratti la cui esecuzione è destinata a durare nel tempo. Alla
seconda categoria appartengono i contratti ad esecuzione continuata, in cui la
prestazione di una parte è caratterizzata dalla continuità nel tempo (es. contratto di
locazione) e i contratti ad esecuzione periodica, in cui sorge l’obbligo di rinnovare nel
tempo una data prestazione (es. contratto di somministrazione).
5. Contratti a prestazioni corrispettive: sono i contratti in cui la prestazione di una
parte trova remunerazione nella prestazione dell’altra. Sono anche detti
sinallagmatici. La corrispettività comporta l’interdipendenza delle prestazioni,
interdipendenza che esprime in generale il condizionamento di una prestazione
all’altra. Al riguardo si distingue tra sinallagma genetico (che indica l’interdipendenza
iniziale delle prestazioni, nel senso che l’impossibilità iniziale di una prestazione
rende nullo l’intero contratto) e sinallagma funzionale (che indica l’interdipendenza
delle prestazioni nell’attuazione del contratto, nel senso che una parte può rifiutarsi di
eseguire la prestazione se l’altra parte non esegue la propria e può essere liberata se la
controprestazione diviene impossibile per cause non imputabili alle parti o se ci è un
grave inadempimento della controparte (art. 1453 c.c.). La corrispettività non si
identifica con l’onerosità, non basta cioè il dato dell’esistenza di prestazioni a carico
delle due parti per identificare il nesso di corrispettività. Nozione diversa dalla
corrispettività è quella dell’equivalenza delle prestazioni: l’equivalenza oggettiva
indica che il valore economico di una prestazione corrisponde al valore dell’altra.
6. Contratti a titolo oneroso e a titolo garantito: il contratto è a titolo oneroso quando
alla prestazione principale corrisponde una prestazione principale a carico dell’altro.
Il contratto è a titolo gratuito quando conferisce un bene o un servizio senza una
corrispondente prestazione a carico del beneficiario.
7. Contratti commutativi e contratti aleatori: il contratto è commutativo quando
l’entità delle reciproche prestazioni non dipende da fattori casuali, ma è già
determinata o dipende dalla determinazione di un terzo. Al contratto determinativo si
contrappone il contratto aleatorio. Il contratto è aleatorio quando è a carico di una
parte a rischio di un evento casuale che incide sul contenuto del suo diritto o della sua
prestazione contrattuale.

Le parti
Parte del contratto in senso sostanziale è il titolare del rapporto contrattuale, cioè il soggetto
cui è direttamente imputato l’insieme degli effetti giuridici del contratto; parte del contratto o
contraente in senso formale è l’autore del contratto, cioè chi emette le dichiarazioni
contrattuali costitutive. La nozione di parte fa riferimento ai soggetti dell’atto (parte formale)
o del rapporto (parte sostanziale); tuttavia la dottrina ritiene che tale nozione prescinda dai
soggetti, e debba piuttosto essere identificata nella posizione di interesse che si contrappone
ad un’altra posizione di interesse. La parte sarebbe, precisamente, il centro di interessi e
rimarrebbe unica anche se comprensiva di più persone.
- Contratto plurilaterale: è il contratto costituito da più di due parti in senso sostanziale. La
pluralità delle parti è riscontrabile nei contratti con comunione di scopo, cioè i contratti
diretti allo svolgimento di un’attività comune o alla creazione di un’organizzazione comune.
- I contratti della Pubblica Amministrazione: sono in generale gli accordi che lo Stato e gli
altri enti pubblici non economici stipulano con i privati per costruire, modificare o estinguere
rapporti giuridici patrimoniali.
- Legittimazione: è il potere di disposizione del soggetto in relazione ad una determinata
situazione giuridica. La legittimazione contrattuale è il potere della parte di determinare gli
effetti giuridici previsti dal contratto. La legittimazione è un requisito soggettivo di efficacia
del contratto; la mancanza di legittimazione non comporta pertanto l’invalidità del contratto
ma l’inefficacia di esso rispetto all’oggetto di cui la parte non è competente a disporre. Di
regola il soggetto è legittimato a disporre delle posizioni che ricadono nella sua sfera
giuridica. Eccezionalmente il soggetto può avere la legittimazione a disporre dell’altrui sfera
giuridica; tale legittimazione può essere in nome proprio o altrui (rappresentanza).
- Nozione di rappresentanza. Rappresentanza diretta e indiretta: la rappresentanza è il
potere di compiere atti giuridici in nome di un altro soggetto (il rappresentato). Il contratto
concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato produce direttamente
effetto nei confronti di quest’ultimo. Il rappresentato è dunque la parte sostanziale del
contratto, colui che assume la titolarità del rapporto contrattuale; il rappresentante è solo la
parte formale del contratto: egli non è destinatario degli effetti del contratto né responsabile
della sua esecuzione. Questa nozione, che identifica la rappresentanza nella legittimazione ad
agire in nome altrui, concerne propriamente la rappresentanza diretta. Tale potere di agire in
nome altrui è attribuito mediante la procura. La rappresentanza indiretta, detta anche
rappresentanza di interessi in senso proprio, indica invece la legittimazione del soggetto ad
agire in nome proprio nell’interesse altrui. Il rappresentato non diviene quindi parte del
contratto, e gli effetti del contratto non si producono di regola in capo al rappresentato ma in
capo al rappresentante indiretto, il quale è tenuto a riversarli sul rappresentato.
- Rappresentanza volontaria, legale e organica: la rappresentanza può essere legale o
negoziale, a seconda che abbia un titolo nella legge o in un atto di conferimento del
rappresentato (procura). Mediante la rappresentanza volontaria il soggetto può farsi
sostituire da altri nel compiere o ricevere atti giuridici. Per l’incapace legale l’istituto della
rappresentanza è necessario in quanto altrimenti rimarrebbe irrealizzata la disponibilità della
sfera giuridica dell’incapace stesso; di qui la qualificazione di tale rappresentanza come
necessaria. Figura peculiare di rappresentanza è la rappresentanza organica, che indica il
potere rappresentativo che compete agli organi esterni di un ente giuridico.
- Procura e mandato: la procura è il negozio unilaterale mediante il quale il soggetto
conferisce ad un altro il potere di rappresentarlo. La procura può essere generale (quando
conferisce al rappresentante il potere di compiere tutti gli atti relativi alla gestione degli
interessi patrimoniali del rappresentato o alla gestione di una determinata attività) o speciale
(quando conferisce al rappresentato il potere di compiere singoli atti giuridici). La procura
generale non comprende gli atti di straordinaria amministrazione che non sono in essa
indicati (art. 1708 c.c.) né quegli atti che devono essere specificatamente autorizzati dal
rappresentato.
Solitamente la procura si accompagna ad un rapporto di mandato o ad un altro rapporto
gestorio in base al quale il rappresentante è obbligato a compiere un’attività di gestione per
conto del rappresentato. Accanto alla procura si distingue quindi il contratto in base al quale il
procuratore s’impegna a compiere una certa attività per conto del rappresentato; tipico è il
mandato, ovvero il contratto in base al quale il mandatario si obbliga a compiere atti giuridici
per conto del mandante. Se il mandante conferisce al mandatario il potere di rappresentanza
troveranno applicazione insieme le norme sul mandato e quelle sulla rappresentanza (art.
1704 c.c.).
- Capacità e stati soggettivi: i soggetti del potere rappresentativo sono il rappresentante,
cioè il titolare del potere di rappresentanza, e il rappresentato, cioè la persona in nome della
quale il potere è esercitato. Nella rappresentanza volontaria la legge richiede la capacità di
agire del rappresentato (art. 1389 c.c.). Ciò si spiega in quanto lo stato di incapacità legale non
consentirebbe al soggetto di controllare adeguatamente l’operato del rappresentante; la
capacità di agire del rappresentato si pone come condizione legale di efficacia del contratto
concluso dal rappresentante. L’incapacità sopravvenuta del rappresentato è causa di
estinzione del potere rappresentativo.
Nella rappresentanza volontaria non è invece richiesta la capacità di agire del rappresentante;
l’istituto dell’incapacità di agire è infatti disposto a tutela del soggetto per preservarlo dal
pregiudizio derivante dallo svolgimento dell’autonomia negoziale. La legge richiede piuttosto
che il rappresentante sia in grado di intendere e di volere (art. 1389 c.c.)
- Spendita del nome del rappresentato: affinché il negozio possa considerarsi stipulato dal
rappresentante nell’esercizio del suo potere occorre che esso sia compiuto in nome del
rappresentato. La spendita del nome del rappresentato è pertanto requisito di qualificazione
dell’atto come rappresentativo. La semplice esistenza del potere di rappresentanza non basta
di per sé a far presumere che l’atto sia compiuto dal rappresentante nella sua qualità; d’altro
canto non è necessario che vi sia un’espressa dichiarazione di spendita del nome
rappresentato. Ciò che importa è che l’atto appaia al terzo, alla stregua di una normale
valutazione, come atto compiuto dal rappresentante. In definitiva la spendita del nome del
rappresentato significa esternazione del potere rappresentativo.
- Conflitto di interessi: il rappresentante deve esercitare il suo potere di rappresentanza
conformemente all’interesse del rappresentato. Il contratto concluso dal rappresentante in
conflitto d’interessi con il rappresentato è annullabile se il conflitto era conosciuto o
riconoscibile da parte del terzo (art. 1394 c.c.). Ciò che rileva non è quindi che l’atto sia
svantaggioso per il rappresentato, ma che il rappresentante sia portatore di un interesse
incompatibile con quello del rappresentato.
Il conflitto di interessi è tipicamente presente nell’ipotesi del contratto con se stesso, ovvero il
contratto nel quale il rappresentante assume la posizione di parte sostanzialmente
contrapposta al rappresentato, oppure stipula in rappresentanza delle parti contrapposte. La
legge prevede specificatamente l’annullabilità del contratto concluso dal rappresentante con
se stesso, salvo le ipotesi in cui il rappresentante sia stato specificatamente autorizzato a
concluderlo.
- Abuso del potere rappresentativo: vi è abuso del potere rappresentativo quando il
rappresentante agisce in conflitto di interessi con il rappresentato, quando trascura o lede
l’interesse di quest’ultimo o si discosta dalle istruzioni ricevute. L’abuso non va confuso con il
difetto del potere rappresentativo, abuso significa infatti un cattivo uso del potere
rappresentativo di cui il rappresentante è comunque titolare. L’atto è comunque efficace, ma
dà luogo alla responsabilità del rappresentante per il suo inadempimento.
- Estinzione del potere rappresentativo: cause di estinzione del potere rappresentativo
sono: la revoca della procura, la rinunzia da parte del rappresentante, la sopravvenuta
capacità o il fallimento del rappresentato o del rappresentante, la scadenza del termine, il
verificarsi della condizione risolutiva, l’estinzione del rapporto di gestione.
La revoca può essere espressa o tacita; si revoca tacita quando il rappresentato tiene un
comportamento incompatibile con la volontà di mantenere al rappresentante il potere
rappresentativo. La revoca, che sia tacita o espressa, dev’essere riportata a conoscenza di terzi
con mezzi idonei; il revocante che non assolve tale obbligo non può opporre la revoca al terzo
contraente, salva la possibilità di provare che questi al momento della conclusione del
contratto sapeva che la procura era stata modificata o revocata. La procura non può essere
revocata nell’ipotesi in cui il potere rappresentativo sia conferito anche nell’interesse del
rappresentante o di terzi.
- Difetto di rappresentanza; caso del falso rappresentante: il difetto di rappresentanza
riguarda l’ipotesi del contratto stipulato da chi non ha alcun potere rappresentativo o eccede i
limiti della procura (falso rappresentante). In difetto del potere di rappresentanza il contratto
non è efficace né rispetto al rappresentato (l’imputazione degli effetti del negozio
direttamente in capo al rappresentato discende dal potere di rappresentanza dello stipulante,
quindi se questo non sussiste il negozio rimane come tale estraneo alla sfera giuridica del
rappresentato), né al rappresentante (inefficace in quanto si tratta di un atto compiuto in
nome del rappresentato) né al terzo contraente (l’efficacia del contratto presuppone
l’operatività del contratto nei confronti del rappresentato).
L’inefficacia del contratto stipulato da falso rappresentante non significa che tale contratto sia
nullo o annullabile, il contratto è semplicemente privo di un requisito di efficacia che può
essere integrato successivamente mediante la ratifica del rappresentato. La ratifica è il
negozio unilaterale mediante cui il soggetto rende efficace nei propri confronti l’atto del non
autorizzato. La volontà del ratificante è diretta ad accettare l’operato del falso rappresentante,
nonostante la sua mancanza di legittimazione. Il risarcimento cui è tenuto il falso
rappresentante non ha ad oggetto l’interesse positivo, ovvero l’interesse che sarebbe stato
soddisfatto dall’atto inefficace, ma l’interesse negativo, cioè l’interesse del terzo a non essere
partecipe o destinatario di un atto inefficace.
La disciplina del falso rappresentante si applica anche al rappresentante apparente, ovvero a
colui che in base a circostanze univoche mostra di avere un potere rappresentativo che in
realtà non ha.
- Rappresentanza indiretta: tutte le problematiche riguardanti la rappresentanza diretta
non riguardano la rappresentanza indiretta. La rappresentanza indiretta, detta anche “di
interessi”, indica il potere del soggetto di compiere atti giuridici in nome proprio
nell’interesse altrui. A differenza della rappresentanza diretta, in cui il rappresentante sulla
base di una procura è legittimato ad agire in nome del rappresentato e quindi gli atti compiuti
dal rappresentante si producono direttamente nella sfera del soggetto rappresentato, nella
rappresentanza indiretta il rappresentante agisce in nome proprio e gli effetti si producono
nella sua sfera giuridica. Egli è quindi tenuto a trasferire questi effetti in capo al soggetto
rappresentato. Di qui la diversa qualifica di rappresentanza indiretta.
- Contratto per conto di chi spetta: o per conto dell’avente diritto, è il contratto stipulato in
rappresentanza di chi risulterà titolare di una data posizione giuridica.
- Contratto per persona da nominare: è il contratto nel quale una delle parti (lo stipulante)
si riserva il potere di nominare entro il termina legale (3 giorni) o convenzionale altra
persona quale parte sostanziale del contratto.

Formazione del contratto
- Accordo: può definirsi come il reciproco consenso delle parti in ordine alla conclusione del
contratto. L’accordo integra la fattispecie contrattuale in quanto l’accordo è il fatto nel quale si
identifica il contratto. – Accordo come incontro di volontà.
L’accordo è espresso quando risulta dalle dichiarazioni di volontà delle parti. L’accordo tacito
quando le parti manifestano la loro volontà mediante comportamenti concludenti, che non
costituiscono mezzi di linguaggio diretti ad esprimere la volontà contrattuale e dai quale
tuttavia, secondo le circostanze, si desume l’implicito intento negoziale.
Il silenzio indica l’inerzia del soggetto che non manifesta una volontà positiva o negativa.
Quale comportamento omissivo il silenzio non è idoneo a perfezionare l’accordo, che richiede
invece l’incontro delle manifestazioni di volontà delle parti. Si ritiene tuttavia che l’accordo si
possa perfezionare nonostante il silenzio della parte quando sia la legge ad attribuire il valore
di consenso all’inerzia del soggetto; si ritiene inoltre che possa valere come manifestazione
tacita il consenso di silenzio circostanziato, ossia il silenzio accompagnato da circostanze tali
da renderlo significativo come sintomo rivelatore dell’intenzione della parte.
- Conclusione del contratto mediante scambio di proposta e di accettazione: lo schema
principale di informazione del contratto è quello che si articola nella proposta e
nell’accettazione. La proposta è una manifestazione attuale di volontà contrattuale aperta
all’adesione del suo destinatario; l’accettazione è l’atto di accoglimento della proposta.
In generale, il contratto si considera concluso nel momento e nel luogo in cui il proponente ha
avuto notizia dell’accettazione dell’altra parte (art. 1326 c.c.). Requisito specifico della
proposta è la completezza; la proposta è completa quando contiene la determinazione degli
elementi essenziali del contratto.
Requisiti specifici dell’accettazione sono:
1. Conformità: indica la totale adesione della proposta; l’accettazione deve cioè essere
interamente conforme alla proposta.
2. Tempestività: l’accettazione deve pervenire entro il termine fissato nella proposta.
L’accettazione tardiva è inefficace.
- Revoca e caducazione della proposta e dell’accettazione: fino al momento della
conclusione del contratto ciascuna della parti può revocare il proprio consenso. La revoca
dell’atto è diretto a cancellare un precedente atto giuridico, ossia a privarlo di efficacia
giuridica. La legge riconferma espressamente il principio della revocabilità con riguardo alla
proposta (art. 1328 c.c.) o all’accettazione (art. 1328 c.c.). La proposta può tuttavia essere
irrevocabile per volontà dello stesso proponente. La revoca è efficiente se pur ingiustificata; la
revoca ingiustificata può dar luogo a responsabilità precontrattuale.
- Proposta irrevocabile: il potere di revoca del proponente rappresenta un inconveniente
per l’oblato, il quale non può contare con certezza sulla conclusione del contratto alle
condizioni indicate nell’offerta. Al fine di agevolare l’accettazione il proponente può rendere
ferma la sua offerta per un certo tempo; in tal caso la proposta è irrevocabile fino allo scadere
del termine previsto.
- Conclusione del contratto mediante l’inizio dell’esecuzione: la regola secondo cui il
contratto è concluso quando il proponente ha conoscenza dell’accettazione dell’oblato trova
una prima deroga nei casi in cui la prestazione deve essere eseguita senza una preventiva
risposta. In questi casi il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio
l’esecuzione (art. 1327 c.c.).
- Adesione al contratto aperto: è un’altra particolare ipotesi di formazione del contratto, che
concerne l’adesione successiva di nuove parti, tipica dei contratti con comunione di scopo,
dove le parti cooperano per la realizzazione di un interesse comune. Se non è diversamente
stabilito le adesioni devono essere dirette all’organo costituito per l’esecuzione del contratto
(art. 1332 c.c.), che deve intendersi come l’organo rappresentativo esterno. In mancanza di un
organo rappresentativo l’adesione deve essere comunicata a tutti i contraenti originari. Il
nuovo contratto è concluso nel momento in cui l’ultimo contraente ha ricevuto l’atto di
adesione.
- Offerta al pubblico: è un’offerta di contratto rivolta ad una generalità di destinatari o a
chiunque ne voglia profittare (art. 1336 c.c.). Il contratto si conclude quando un soggetto
accetta la proposta e il proponente ha notizia dell’accettazione. Secondo la regola generale
l’accettazione non conforme vale come controproposta; in ogni caso il rifiuto del singolo lascia
ferma l’inefficacia dell’offerta e quindi anche chi rifiuta può successivamente accettare.
- Proposta di contratto con obbligazioni del solo proponente: tale proposta è irrevocabile
appena ricevuta dal destinatario e per la conclusione del contratto è sufficiente il mancato
rifiuto del destinatario. Precisamente, il destinatario può rifiutare la proposta entro il termine
richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi: se non si rifiuta tempestivamente, il contratto è
concluso.
- Obblighi negoziali di contrarre:
1. Contratto preliminare: è il contratto mediante cui una o entrambe le parti si
obbligano alla stipulazione di un successivo contratto, detto definitivo. Il preliminare che
vincola entrambe le parti viene chiamato bilaterale, mentre il preliminare che obbliga una
sola parte è chiamato unilaterale. Il codice regola la forma del contratto preliminare,
stabilendo che deve avere la stessa forma del contratto definitivo (art. 1351 c.c.) e
prevedendo la trascrizione del contratto preliminare e il rimedio dell’esecuzione in forma
specifica nel caso di inadempimento dell’obbligo di contrarre. Effetto principale del
preliminare è quello di obbligare le parti alla stipulazione del contratto definitivo. Nello
schema del preliminare l’attuazione delle prestazioni finali è subordinata allo stipulazione del
contratto definitivo. Il preliminare può anche prevedere una parziale anticipata esecuzione
delle prestazioni finali; si parla in tal caso di preliminare ad effetti anticipati.
Il contenuto del contratto può essere modificato qualora ciò sia richiesto dalla parte o rientri
nei poteri di questa o del giudice. Due presupposti sono necessari per ottenere l’esecuzione in
forma specifica del preliminare: il ritardo del promittente, l’esecuzione e l’offerta della
controprestazione, se esigibile.
2. Patto di opzione: è il contratto che attribuisce ad una parte il diritto di costituire il
rapporto contrattuale finale mediante una propria dichiarazione di volontà (art. 1331
c.c.). L’atto dell’opzionario

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