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Il ruolo del pianista in relazione all’evoluzione dello strumento pianoforte: progressi e

adattamento.

Studente: Papasergio Bruno

Non è facile definire con precisione il periodo di passaggio dall’arte clavicembalistica a quella
pianistica perché non bisogna pensare che il pianoforte si sia imposto senza lotte e incomprensioni
tuttavia occorre ammetere che l’immensa superiorità del pianoforte sui vecchi strumenti non
poteva palesarsi subito attraverso le prime fabbricazioni imperfette.
Si può facilmente affermare che il clavicembalo fu “duro a morire” ma una delle ragioni plausibili
della vittora seppur lenta del pianoforte sul clavicembalo consiste nel fatto che l’importante
produzione musicale della seconda metà del seicento e quella del seguente secolo, se ne avverte il
carattere polifonico, con un dialogo di voci e variazione della dinamica che producevano un suono
espressivo.
E’ verso la metà del Settecento che si inizia a respirare un’aria nuova dove la musica comincia ad
allontanarsi dall’antico originario dialogare polivocale a cappella e che puntava verso il bel canto e
all’influenza dello stile violinistico definito come monodismo.
Nella fase intermedia tra clavicembalo e pianoforte troviamo due grandi musicisti quali Haydn e
Mozart.
Haydn era un grande genio in materia orchestrale, Mozart invece era un celebre concertista e le
sue sonate sono considerate strumentalmente infinitamente superiori a quelle di Haydn.
In questa parte della produzione mozartiana, si incontra quel miracoloso equilibrio tra sentimento
e mezzi tecnici che nessun compositore ha più di quello posseduto.
Anche se la mentalità di Mozart rimase sino alla fine più clavicembalistica che pianistica, non sono
rare però nelle ultime sonate disposizioni già puramente pianistiche e che lasciano già intravedere
imminente Beethoven.
Con Ludwig van Beethoven la scrittura pianistica sviluppa al massimo grado le sue nuove
possibilità.
Con lui il pianoforte diviene orchestrale e subisce fortemente l'influsso del sinfonismo del
medesimo Maestro.
Le allusioni a contrasti ed impasti di varie famiglie strumentali sono evidenti e costanti: passi
violinistici, bassi pizzicati, tremoli di timpani sonorità tutte che sarebbero state irrealizzabili
sull'antico clavicembalo, e mediante le quali il genio beethoveniano seppe di colpo giustificare e
porre in sfolgorante luce l'invenzione di Cristofori.
Lo strumento è dunque immediatamente sfruttato nella pienezza delle sue più tipiche risorse, e la
forza impetuosa, del nuovo sinfonismo trova in quel pianismo il suo intero sviluppo.
Mirabile esempio di collaborazione tra un'arte che aveva urgenza di trovare il mezzo fonico atto ad
esprimere la propria eloquenza, il proprio impulso storico, e uno strumento che attendeva
l'avvento di quest'arte per poter mostrare al mondo la totalità delle proprie infinite possibilità.
È stato non di rado rilevato come non sempre vi fosse, tra mezzi tecnici-pianistici di Beethoven, la
immensità del suo pensiero, quel meraviglioso e perfetto equilibrio che si trova ad esempio in
Mozart.
Ma la musica di Beethoven appartiene a quel tipo eccezionale di arte ove, in un certo qual modo,
la sonorità necessaria all'espressione viene nondimeno raggiunta lo stesso, anche se i mezzi
potevano parere dapprima insufficienti, e questo in virtù di quella legge secondo la quale ogni
musica ha la sua sonorità particolare e finalmente realizzabile anche attraverso deficienze di
scrittura strumentale, deficienze che spetta all'esecutore di correggere o di attenuare.
Beethoven trovò nel pianoforte del suo tempo uno strumento certo assai più docile e prossimo al
suo pensiero che non l'orchestra del medesimo.
E’ con Frédéric François Chopin che la letteratura del pianoforte raggiunge un'altezza che non
doveva mai più essere superata.
In questa musica, il pianoforte viene per la prima volta adoperato senza nessun riferimento né
allusione all'orchestra e il musicista ne sfrutta quel ch'esso strumento ha di proprio e
inconfondibile: timbri, esigenze della tastiera con una pedalizzazione infine totalmente nuova.
La musica di Chopin è infatti, fra tutte quelle scritte nel nostro strumento, l'unica completamente
impossibile a trascrivere per altri mezzi fonici.
Mai forse si vide nella storia della musica una così perfetta aderenza fra pensiero e mezzi
strumentali posti a sua disposizione.'
Ma ciò che vivifica quei mezzi sonori pre lisztiani e ne fa cosa magica e totalmente nuova, è
l'essenza stessa della musica di Chopin, nella quale il pianismo ha una funzione strettamente
musicale (lirica, per meglio dire), o non è in realtà che una perfetta materializzazione nel tramite
della quale si comunica agli uditori il sogno meraviglioso del poeta-musicista.
I capolavori maggiori di Chopin sono densi di un lirismo ardente e appassionato, di altissima
poesia, di sentimenti maschi e vigorosi (Chopin non era delicato che in apparenza), di una nobiltà e
di un 'elevatezza d'espressione che ben pochi altri maestri raggiunsero.
Egli passò quasi tutta la vita nei salotti aristocratici, e quindi, a somiglianza con Schubert, scrisse
musica prevalentemente da salotto.
Ma, come abbiamo già notato per quell'altro musicista, la definizione musica da salotto, che
doveva prendere a poco a poco durante l'Ottocento quel significato peggiorativo che siamo oggi
ormai avvezzi a conferirle, voleva in realtà dire musica da camera.
Era nei salotti dell'epoca che Chopin trovava il suo pubblico.
Infine con Listz, il pianoforte esce dall’intimismo chopiniano e senza perdere nessuna delle qualità
cantabili e poetiche valorizzate da Chopin raggiunge la sua piena totale potenza realizzando un
vero e proprio sinfonismo pianistico totalmente autonomo e indipendente da quello orchestrale.

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