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Il gusto della fede

Capitolo 1.
Le regole alimentari ebraiche si inseriscono in un ampio sistema di leggi e norme
contenute nella Bibbia ebraica (Antico Testamento).
Quest’ultima si divide in tre parti: la Torah, i Profeti e gli Agiografi. Le regole
alimentari cui il popolo ebraico deve attenersi sono esposte nella Torah, più
precisamente nei libri del Levitico e del Deuteronomio, anche se una prima
distinzione tra animale puro e non puro si trova già nel libro della Genesi.
Tradizionalmente sia Torah scritta, sia quella orale (le tradizioni e le leggi che sono
state trasmesse da Dio a Mosè e successivamente messe per iscritto nel Talmud)
sono state trasmesse da Dio a Mosè sul Monte Sinai.
Tuttavia dal diciassettesimo secolo si inizia a pensare che tutti i suoi cinque libri della
Torah non siano opera di un unico autore,Mosè, come creduto dalle autorità cristiane
ed israelitiche e che probabilmente siano frutto di una combinazione di diverse fonti
scritte in circostanze storiche differenti.
Anche perchè se fosse stato lui lo scrittore, come avrebbe potuto descrivere
attentamente la sua morte nel Deuteronomio?
Tra la fine del diciottesimo e il diciannovesimo secolo gli studiosi hanno iniziato a
credere che Mosè non avesse messo mano ai Testi e che la stesura di quest’ultimi
fosse avvenuta in epoche successive per opera di autori diversi.
Questa ipotesi porta al pensiero che i Testi siano il risultato di una combinazione di
diverse fonti documentali di diversi periodi e che i personaggi possano anche non
essere realmente esistiti e che Abramo, Mosè ecc siano al pari di quelli mitologici.
L’archeologia ci propone risposte contraddittorie: infatti proprio dalla fine del 19
secolo, una serie di importanti scoperte ha portato gli studiosi a ritenere attendibili i
resoconti biblici per quanto concerneva la storia dell’antico Israele.
Della stessa opinione è l’archeologo Anati, che è giunto all’identificazione del Monte
Sinai, ovvero del luogo dove Mosè ottenne la Torah.
Dopo 30 anni di spedizioni, sono stati rilevati 300 siti e milioni di reperti che
testimoniano culti religiosi e centinaia di accampamenti di uomini che si fermarono ai
piedi di quella montagna.
Il luogo fu già sacro da quando l’homo sapiens ci mise piede, ma tra il 4000 e il 2000
a.C. (antica età del Bronzo) ci fu un’esplosione di sacralità, quando il popolo
d’Israele arriva e adora il Dio della Bibbia.
Inoltre le scoperte affermano che l’esodo avvenne 800 anni prima di quanto sostiene
l'esegesi: anzichè nel 1200, avvenne tra il 2200 e il 2000.
Tutto ciò dimostra che i Testi non sono mito e la narrazione biblica si incastra con la
storia.
Ciò che appare certo è che vi siano state diverse migrazioni semitiche da Canaan
verso l’Egitto e che gli egizi abbiano cacciato a forza un gruppo di questi immigrati,
ma non è dato sapere l’origine di essi.
Lo storico egiziano Manetho, nel 3 secolo a.C, narra di un’invasione avvenuta circa
15 secoli prima da parte degli Hyksos, ( chiamati da lui i re pastori) che si stabilirono
nel delta del Nilo e presero il potere. Recenti scavi archeologici avvenuti nel Nilo
Orientale, hanno dimostrato che la loro invasione sia stata piuttosto un graduale
processo migratorio da Canaan verso l’Egitto e non una campagna militare.
Inoltre Manatheo descrive come un re egiziano sia riuscito a sconfiggere questo
popolo, ipoteticamente tra il 1670 e il 1570 a.C.: 500/600 anni dopo l’esodo degli
Israeliti secondo Anati e 300/400 anni prima dell’esodo secondo la precedente
tradizione.
In realtà, il primo cenno agli Israeliti lo abbiamo grazie ad un’incisione nella stele di
Merneptah, figlio di Ramsete II, datata alla fine del 13 secolo e che presenta Israele
come un popolo residente a Canaan. Non è mai stata trovata nessuna testimonianza
che localizzi gli Israeliti in Egitto.
Come affermano Finkelstein e Silberman: ‘’ Israele non è presente né tra i
possibili nemici dell’Egitto, né fra gli amici, né fra le nazioni ridotte in
schiavitù‘’.
L’egittologo Redford ha ipotizzato che la violenta espulsione degli hyksos dall’Egitto
si sia tramandata nei secoli sino a diventare parte del vissuto comune per i popoli
cananei, ed è probabile che il testo biblico sia il risultato di una rielaborazione di
queste memorie, diventando un simbolo di speranza per un popolo che stava
cercando di cambiare la propria condizione di vita. Secondo questa ipotesi, è
probabile che la stessa conquista di Canaan da parte degli israeliti non sia mai
avvenuta, in realtà sembra che non ci fossero nemmeno fortificazioni.
Basandosi sulle testimonianze egizie,gli archeologi hanno ipotizzato che Canaan
nell'età del tardo bronzo, fosse una società stratificata, caratterizzata dal sorgere di
nuove tensioni sociali e forti disparità.
L'Élite urbana controllava la terra, la ricchezza e il commercio, mentre i contadini non
avevano né ricchezze né diritti: da qui nasce l’ipotesi che la popolazione sia migrata
tra le foreste dell’altopiano ( attuale Cisgiordania) dove i rifugiati avrebbero creato
una società più rispettosa, il popolo israelita.
Pertanto più che un’invasione c’è stata una rivoluzione nel modo di vivere,
perseguendo un mondo di giustizia ed equità.
La Bibbia ( testo di fede e non di ricerca storico-archeologica) ci narra che è stato
Mosè a codificare la Legge d’Israele, ma che è stato Dio a scriverla.
Per questo nessun re israelita pensò mai di formularne altre, lo stesso Gesù non lo
fece, come narrato dal Testo sacro, anzi lo rispettò, nonostante alcune riflessioni
critiche mosse verso le leggi riguardanti l’alimentazione.
Il nucleo del codice sono sicuramente i dieci comandamenti, ma essi sono solo il
cuore di tutto quello che è il complesso di leggi divine: nel corso dei secoli, i maestri
ebrei hanno raccolto tutto in 613 precetti.
Pare che gli israeliti possano aver tratto alcune delle loro norme alimentari dagli usi
egizi, nel tredicesimo secolo a.C, infatti fortezze egizie erano dislocate ovunque a
Canaan e ufficiali egizi amministravano gli affari della regione, seppur con
significative differenze. Sembra che la maggior parte delle regole mosaiche abbiano
avuto come motivazione una specie di rozza base scientifica piuttosto che pura
superstizione.
Gli animali da preda e carnivori erano considerati rischiosi e proibiti, quelli puri erano
in generale erbivori, con lo zoccolo fesso e ruminanti ( muflone, antilope, capriolo). I
maiali erano proibiti perché pericolosi se mangiati poco cotti, poiché potevano
ospitare parassiti. Gli Israeliti non toccavano nemmeno uccelli rapaci nè avvoltoi; il
cammello era considerato impuro perché troppo prezioso. Non potevamo mangiare
nemmeno pesci privi di pinne o di scaglie, (così come non potevano farlo gli egizi) e
non potevano nemmeno mangiare lepri e conigli, ma su quest’ultimi non si conosce il
perchè.
Anche sull’ambito del cibo, interviene l’archeologia, che ha dimostrato come non ci
siano tracce di ossa di maiale tra quelle recuperate negli scavi dei villaggi degli
Israeliti, segno che il maiale non venisse nè allevato nè tanto meno cucinato.
Mezzo milione di anni prima della composizione del testo biblico, gli israeliti scelsero
di non mangiare il maiale e gli Ebrei moderni seguono ancora questa scelta,
attestata, per altro, archeologicamente.
Anche per quel che riguarda le regole dell’igiene, gli ebrei devono molto alle pratiche
egizie, che risalgono al 2650 a.C. L'empirismo addirittura risale al codice di
Hammurabi. Per quanto riguarda, invece, la sezione della bibbia che tratta la lebbra
e i doveri diagnostici e terapeutici di una particolare parte di sacerdoti costituisce un
unicum.
La più grande differenza, invece, tra gli israeliti e gli altri popoli è stata introdotta
dalla legge del sabato. Lo Shabbat ( deriva da shevat, cessare e quindi implica la
cessazione di ogni attività lavorativa) non è soltanto un giorno di riposo, ma è un
giorno sacro in quanto commemorativo del riposo di Dio dopo la creazione.
Se, al giorno d’oggi, il giorno del riposo è un concetto dato per acquisito, al tempo
provocò una violenta reazione e atteggiamenti di impopolarità nei confronti del
popolo ebraico, che, anche in epoca romana, vennero accusati di essere pigri poiché
non lavoravano il sabato.
La tradizione ebraica, quindi, ritiene che ogni ebreo sia tenuto a osservare le regole
impartite dalla Torah: l’ebreo osservante non sarà colui che dimostrerà la fede
attraverso l’adesione ai principi teorici, ma colui che agirà secondo i precetti.
Alcune leggi sono facilmente comprensibili, come quelle contro l’omicidio, il furto
ecc; altre possono essere spiegate come richieste di commemorazione di eventi
storici e religiosi: lo Shabat, il Pesach, Rosh ha Shannà, Yom Kippur… ma vi è
un’altra categoria di più difficle comprensione ed essa riguarda le regole alimentari:
norme che devono essere acettate perchè simbolo di un sistema di vita.
Le regole alimentari esprimono soltanto una parte dell’insieme di regole che l’ebreo
deve seguire per avvicinarsi il più possibile alla qedushah, ovvero alla santità.
Il sacro deriva da una scelta, che ha per oggetto azioni e cose della vita di ogni
giorno. Il sacro non è una dimensione metafisica, ultraterrena, irraggiungibile, ma è
alla portata di ogni uomo. Per ogni ebreo tendere al sacro è l’obbligo fondamentale
che deve guidare le sue azioni. Nella tradizione ebraica, il Sacro è l'ideale di
perfezione che coinvolge l’uomo in tutto ciò che lo riguarda: dove si muove, nei suoi
comportamenti ecc… La sacralità, quindi, dipende da una scelta: non è parte di
qualcosa, ma si basa sulle azioni dell’uomo.
Lo stesso concetto di “Terra Santa” non può essere parte dell’ebraismo e si può dire
che il luogo, una volta assolto il suo ruolo di ospitare la rivelazione divina, sia tornato
alla normalità.
Dal momento in cui è stato distrutto il Santuario di Gerusalemme, che agli occhi di
ogni ebreo simboleggiava la presenza del divino in mezzo agli uomini, la divinità si
trova in ogni casa e in ogni luogo di preghiera.
La casa è importante perché è il corrispettivo femminile della sinagoga per gli
uomini e il luogo dove la kosherut può esprimersi al meglio.
Vegliando sull’osservanza delle leggi alimentari e su quelle dello Shabbat, sulla
purezza della famiglia e sull’educazione dei bambini, osservando il dovere
dell’ospitalità e tutti quei doveri che impongono la carità e l’amore per il prossimo,
sottoposta a nessun altro controllo oltre a quello di Dio, la donna è garante
dell’osservanza e della religiosità di coloro i quali vivono nella sua casa.
Il ruolo della donna nella Bibbia può sembrare molto inferiore a quello maschile.
In realtà ha un ruolo fondamentale nella discendenza in quanto l’ebraismo è
matrilineare, inoltre ha il compito dell’osservanza della kosherut e dello Shabbat.
Lo stesso termine ishà (donna) deriva da ish (uomo), tuttavia possiamo notare che
nella Bibbia l’unico essere che Dio fa nascere da materia già vivente (la costola di
Adamo) è proprio la donna.
Ed è proprio la donna, nella Genesi verrà chiamata Eva, madre di tutti i viventi, ad
avere reso possibile l’inizio della storia del genere umano. Si afferma addirittura che
Dio abbia donato alla donna una particolare dote intellettuale che, se debitamente
coltivata, sovrasterebbe quella degli uomini. Ogni donna ha il ‘’potere ‘’ di vedere ciò
che è assolutamente invisibile per il proprio marito.
Questo potere di chiama binah, ossia la capacità di analizzare e comprendere in
profondità situazioni in apparenza simili e di conoscere l’animo delle persone.
Si deve anche ricordare che la Torah copre un lasso temporale di 15 secoli, quindi
non si può paragonare la figura di Sarah a quella della regina Esther.
Approfondendo il testo, si può inoltre notare che non vi è professione o condizione
cui la donna non abbia partecipato (sapiente, profetessa, giudice ecc.) e anche in
campo strategico-militare le donne offrono il loro contributo decisivo (Deborah,
Giaele).
E’ inoltre importante ricordare anche le mogli dei Re, come Iezavel, moglie del Re
d’Israele, che non solo proseguì il culto del profeta Elia, ma riuscì anche ad avere
una decisiva influenza sulla società sua contemporanea; oppure Esther, moglie
ebrea del Re di Persia, che riuscì a ritagliarsi uno spazio nel potere governativo tale
da riuscire a salvare il popolo ebraico dalla persecuzione del primo ministro Aman.
E’ quindi importante ricordare come l’esistenza del popolo d’Israele sia strettamente
legata alla figura femminile, sia a livello spirituale che a livello fisico: Eva è la prima
donna che diede vita all’umanità mentre Ruth è la Moabita che scelse la Terra
d’Israele e che porterà l’umanità alla redenzione che la concluderà.
Tuttavia secondo l’impostazione tradizionale rabbinica, la posizione dell’uomo e della
donna nei confronti della legge ebraica è differente. La legge ebraica è differente: si
divide in divieti e norme positive e, ad esempio, la questione dello studio della Torah
è un diritto- dovere piuttosto complesso perché le donne sono state tradizionalmente
escluse, ma nelle comunità riformate ( dove le donne hanno gli stessi diritti-doveri
degli uomini) lo studio della Torah non è precluso alle donne, che se vogliono
possono anche accedere al rabbinato.
( Ebraismo riformato→ Nasce in Germania, ma il fulcro principale è negli Stati
Uniti. Si differenzia per un'interpretazione più morbida dei precetti. Il precetto non è
inteso alla lettera, molti vengono smussati in funzione dei tempi. C'è progressismo
per quanto riguarda l'omosessualità e c'è un concetto di inclusività maggiore,
accettano anche i convertiti e i figli di padre Ebro. L'attesa del messia non è vista
come l'attesa vera è propria, ma è visto in chiave simbolica.)
Resta il fatto che all’interno della famiglia è la donna che si occupa della cucina e dei
rituali dei giorni festivi che altrimenti andrebbero persi. .
L’alimentazione ha una grande importanza nella tradizione e nella normativa ebraica:
basti pensare che il primo divieto impartito ad Adamo ed Eva fu di carattere
alimentare e alimentare fu la trasgressione.
I precetti alimentari sono contenuti nel Levitico e nel Deuteronomio.
Sono più numerosi i divieti che non le concessioni, divieti che non si riferiscono
soltanto a ciò che viene portato in tavola, ma anche ad altre questioni, come il
legame del cibo con culti idolatrici o la sua provenienza illecita ecc..Un alimento per
essere consumato deve essere kosher, ovvero preparato nel pieno rispetto delle
regole alimentari ebraiche.
L’atto stesso di alimentarsi non è risolto soltanto al soddisfacimento immediato dei
sensi, ma ha lo scopo di prepararlo alla vita che è soprattutto servizio divino.
È difficile risalire alle motivazioni originarie a causa delle quali queste regole
alimentari si siano affermate.
Si è ritenuto che il consumo di determinati tipi di carne potesse essere nocivo,
oppure che la kosherut avesse una sorta di finalità culturale volta alla salvaguardia
della specificità del popolo ebraico. O, ancora, che fosse legata alle esigenze
dell’economia agricola e pastorale dell’antico Israele.
A noi piace pensare che i precetti abbiano valore educativo, poiché ha lo scopo di far
comprendere all’uomo che non può disporre di tutti i beni.
Il cibo kosher è suddiviso in tre categorie:
1. Cibi a base di carne
2. Cibi a base di latte
3. Cibi Parve (neutrali) come frutta, verdura uova e pesce.
Se però questi alimenti sono cucinati insieme a uno degli altri due diventa di quella
categoria. E.g. Uovo cucinato nel burro diventa categoria latte.
Per poter essere leciti i quadrupedi devono essere ruminanti e avere lo zoccolo
diviso in due.
Più difficile è determinare quali siano i volatili permessi. Esiste solo un elenco di
animali proibiti: lo struzzo, il gufo, l’avvoltoio e altri, la tradizione orale ha stabilito che
il volatile kosher non deve essere rapace ( per la natura violenta di questi animali).
L’astensione avrebbe lo scopo di introdurre nel proprio corpo la malvagità e la
violenza di questi animali.
È un po’ più preciso invece il criterio per riconoscere gli animali acquatici permessi:
quelli con pinne e squame.
Esclusi quindi molluschi, crostacei, mammiferi, anguilla, pesce spada, squalo etc.
Il latte e i suoi derivati, che provengono da un animale kosher, sono kosher a loro
volta. Tuttavia devono essere controllati dalla mungitura fino al confezionamento.
Una posizione centrale nello kosherut è occupata dalla separazione tra carne e latte.
La tradizione ha poi vietato qualsiasi mescolanza di carne e latte nell’ambito dello
stesso pasto.
Per consumare latticini dopo aver mangiato carne è richiesta un’attesa di sei ore.
Motivazione: il latte è il primo alimento dell’uomo, prodotto e offerto
spontaneamente, ottenibile senza un intervento cruento, la carne invece presuppone
l’allevamento o la caccia e la morte dell’animale. Il divieto di mescolare carne e
latte potrebbe indicare che non bisogna mischiare quello che è un equilibrio
tra l'innocenza e il delitto. La mescolanza comporta la confusione di valori.
La divisione deve concernere anche gli strumenti di cucina e il luogo dove si
cucinano gli alimenti ( compresi gli attrezzi ).
Il pane dev’essere sempre parve, non può dunque contenere nè burro, nè latte, nè
strutto, né può essere cotto negli stessi forni dove viene cotto il pane non kosher.
L’animale deve anche essere, inoltre, esente da difetti fisici e da malattie e deve
essere macellato ritualmente secondo la shechitah, ossia mediante un taglio rapido
alla gola con un coltello affilatissimo. Questo rito ha lo scopo di far riflettere sulla
crudezza dell’atto che si sta compiendo e non per nulla lo shochet deve recitare una
benedizione prima di procedere alla macellazione.
Le parti grasse sono proibite ( vanno al signore ) e anche il nervo sciatico non è
da consumarsi ( punto in cui Giacobbe venne colpito)
Prima di essere consumato l'animale deve essere dissanguato ( divieto del sangue ).
Siccome il processo di purificazione è molto complesso nei quarti posteriori degli
animali, solitamente questa sezione viene direttamente venduta al mercato non
ebraico.
La carne macinata deve essere salata e il fegato cucinato sulla griglia.
Nella Genesi si potrebbe evincere che l’umanità sia stata creata vegetariana e che
sia diventata carnivora solamente dopo una successiva autorizzazione divina,
poiché il suo consumo non è un fatto scontato o naturale.
Per alcuni, il permesso di mangiare carne sarebbe determinato dalla necessità di
fornire all’uomo, in qualsiasi condizione, la possibilità di sopravvivere con
un’alimentazione differenziata; per altri il permesso di mangiare carne segnala la
posizione dell’uomo al vertice della scala del creato.
Ad ogni modo gli ebrei, secondo la Bibbia, ottennero il permesso di consumare
carne in modo graduale. Non tutte le parti dell’animale sono comunque commestibili.
Si dice che la kosherut fosse stata data agli uomini per mantenerli in un migliore
stato di salute, anche se non tutti nutrivano la medesima convinzione.
Per alcuni non è la salute del corpo l’obiettivo della Toràh, ma la salute dell’anima.
Ad ogni modo, al giorno d’oggi, l’idea che kosherut sia in qualche modo sinonimo di
cibo di qualità fa sì che moltissime persone cerchino di acquistare cibo con
certificazione kosher: su 10,5 milioni di americani che consumano cibo Kosher, solo
il 20% è ebreo, gli altri sono islamici, vegetariani o intolleranti al lattosio.
Anche in Italia, le aziende che richiedono la certificazione kosher è in aumento,
poiché si ritiene indispensabile per rispecchiare la trasparenza nel prodotto.
Il cibo kosher è diventato simbolo di garanzia ed è sempre più ricercato da persone
non ebree ( vegetariani, vegani, celiaci ecc)
Rispettare nei minimi dettagli le regole alimentari ebraiche non è semplice,
soprattutto al di fuori dello Stato d’Israele, In Italia, ad esempio, ad eccezione di
Roma, Milano, Venezia e Firenze, è davvero difficile trovare approvvigionamenti di
alimenti ebraici.
I rabbini riformati hanno ritenuto che un atteggiamento del ‘’ tutto o niente’’ fosse
inappropriato e differiscono solo per alcuni tratti dal modo di concepire la kosherut
delle comunità ortodosse.
Questo perché la tradizione è legata al Tempio di Gerusalemme e al fatto che
l’uccisione degli animali fosse legata al loro sacrificio; successivamente con la
distruzione di esso, i rabbini riformati si sono sentiti in dovere di modificare la
tradizione e ciò che differisce dagli Ortodossi è la possibilità di poter seguire anche
solo in parte le regole della kosherut.
Gesù era ebreo e l’ultimo pasto che consumo con i suoi discepoli è registrato nel
Nuovo Testamento, nel qualche veniamo informati del fatto che si stava celebrando
la Pasqua ebraica. Tuttavia non vengono riportati quali piatti vennero serviti.
Pesach
Pesach deriva dalla radice p-s-h che contiene in sé il concetto di passaggio, di
passare oltre.
Il nome della festa si collega infatti al passaggio dell’angelo distruttore che durante la
liberazione della schiavitù colpì le case degli Egizi, ma oltrepassò quelle ebraiche.
Si celebra, quindi, l’uscita del popolo ebraico dall’Egitto.
E’ una festa che celebra l’intervento di Dio in favore degli ebrei.
La Torah prescrive di mangiare, la sera del 15 di Nissan (tra marzo e aprile),
accompagnato da azzime e erbe amare, il Korban Pesach, l’agnello che nel
pomeriggio era stato immolato.
Tuttavia con la distruzione del Tempio, dal 70 d.C, quel sacrificio venne meno e si
prese l’abitudine di porre sulla tavola una zampa d’agnello arrostita: soltanto un
ricordo del sacrificio.
L’uso delle azzime (divieto per tutti gli 8 giorni di cibarsi di cibo lievitato) è
determinato dal ricordo del pane che gli ebrei si portarono dietro, in corsa dalla
liberazione dalla schiavitù, senza poterlo fare lievitare.
Il pasto più importante è la sera (seder).
Il cibo ( che ha un rimando biblico) comprende:
• Azzimi
• Erbe amare
• L'uovo sodo che ha sostituito la figura dell'agnello
• Il charoset un impasto di datteri e noci ( che per il colore ricorda i mattoni che gli
ebrei costruirono quando erano schiavi in Egitto ).
La narrazione culinaria di Pesach prosegue poi nell’arco dell’anno: nel sabato in cui
si legge la porzione di Torah che narra l’uscita dall’Egitto e il passaggio del Mar
Rosso è tradizione di alcune regioni italiane mangiare un piatto che si chiama ruota
di faraone, che sarebbero tagliatelle nel brodo di cappone con salsiccia d'oca pinoli e
uvetta. Rappresentano l’uscita dall’Egitto.
Shabba
Lo Shabbat rappresenta la festa più importante dell’intero calendario ebraico.
È la giornata dedicata al riposo, di conseguenza la preparazione dei pasti dovrà
avvenire il pomeriggio precedente.
I pasti dello Shabbat sono tre: la cena del venerdì sera,il pranzo del sabato, la se
‘udah shleshit (apericena).
La cena del venerdì sera è costituita da pietanze preparate con particolare cura e
condivise con familiari e amici attraverso momenti conviviali e di preghiera.
Al centro del tavolo devono esserci due hallot, pani speciali a forma di treccia per il
sabato.
Piatti più comuni: tagliolini con la bagna brusca,( spazio italiano),kugel di mele,
zimmes di carote di carote etc.
Tre erano le feste di pellegrinaggio: Pesach, Shavuot e Sukkot.
Shavuot ricorda il dono della Torah, è detta anche festa delle primizie, perché si
offrivano le primizie in occasione del pellegrinaggio al Tempio.
Si celebra il 6 del mese di Sivan (tra maggio e giugno).
I pasti sono tradizionalmente a base di latte per rappresentare la dolcezza dello
studio della Torah.
Piatti tipici: gnocchi alla romana, finocchi alla parmigiana, blintzes al formaggio, torta
panna e fragole.
Succot è invece detta anche festa delle capanne.
Incomincia il 15 del mese di Tishrì (settembre-ottobre), dura sette giorni e ricorda i
quarant’anni che gli ebrei trascorsero nel deserto prima di giungere in Israele. Per
ricordare la precarietà di quel tempo gli ebrei costruiscono una Sukkà, una capanna
sul balcone di casa o in giardino.
In questa sukkah la famiglia deve consumare almeno un pasto al giorno e,
possibilmente, ricevere gli amici. La festa si conclude con altre due festività. Durante
Succot si preparano soprattutto cibi ripieni e si offrono dolci come la torta di datteri.
Rosh ha-shanà
Detto anche capodanno ebraico,ha anch’esso le sue tradizioni culinarie.
È il giorno del giudizio, cade l’1 e il 2 di Tishrì e sarebbe l’anniversario della
creazione del mondo. Uno dei suoi nomi è anche ‘’ il grande corno’’ e si usa
suonarne uno come simbolo di rinascita e serve a portare verso il pentimento.
Il primo giorno del mese di Tishrì è designato come giorno di astensione dal lavoro.
Vengono serviti piatti la cui dolcezza sia di buon augurio, si consuma anche la
melagrana ( i suoi semi rappresentano i meriti che si vogliono raggiungere nell’anno
nuovo) e il pesce ( tramite la preghiera, chiedono di crescere e moltiplicarsi come
fanno i pesci).
Hanukkah
La festa delle luci, dura otto giorni e comincia il 25 di Kislev (poco prima del Natale
cristiano).
Ricorda la vittoria dei Maccabei contro Antioco IV Epifane di Siria, nel 165 a.C.
Il Talmund collega a questo evento un miracolo legato ad un’ampollina d’olio che ha
permesso l’accensione della menorah per la durata di otto giorni. Questo è il motivo
per cui, anche oggi, si accende una candela in più rispetto alla sera precedente, sino
ad avere l’intero candelabro illuminato.
Il menù è vario: ravioli di spinaci, riso con uvette, pollo fritto, oca ripiena, frittelle di
noci etc.
Purìm
Festività amata dai bambini perchè è il carnevale ebraico, si festeggia il 14 di Adar
(febbraio-marzo). Ricorda una vicenda dove si dice che gli Ebrei riuscirono a
scampare al massacro progettato da Aman, ministro del re persiano Assuero,
(grazie ad Esther).
Durante questa festa ci si maschera, si balla, si mangiano dolci e si beve.
Si mangiano ravioli di spinaci, polpettone di tacchino, minestra d’orzo, orecchie di
Aman. Inoltre, durante la funzione sinagogale, vi è l’abitudine di pestare i piedi e fare
rumore ogni volta che viene pronunciato il nome di Aman.
I cibi tradizionali sono: orecchie di Aman: uova zucchero e farina ripieno di uvetta,
miele e datteri (Il colore interno scuro è stato per anni fonte di discriminazione
perché si riteneva che fossero biscotti ripieni di sangue.), paste bianche di Purim,
salame di mandorle, ravioli di spinaci.
L’importanza del cibo è ancora maggiore quando questo, con i digiuni, viene a
mancare.
I digiuni più lunghi sono quelli di Yom Kippur e del 9 di Av: in entrambe le occasioni
ci si astiene dal cibo e dalle bevande per 25 ore. Gli altri digiuni prevedono
l’astinenza dall’alba al tramonto.
Al digiuno si deve accompagnare la preghiera, la confessione dei peccati, la lettura
della Torah e l’umiliazione. Yom Kippur è il giorno di espiazione ed è la festa più
solenne di tutto il calendario ebraico. Cade 10 giorni dopo Rosh ha-Shanà.
Al termine del digiuno vi è l’usanza di offrire il caffè o tè con ciambelle. A seguire il
pasto sarà piuttosto leggero.
I digiuni minori invece ricordano eventi storici.
Capitolo 2.
Il cristianesimo con oltre 2 miliardi di fedeli è ancora la prima religione su scala
mondiale, tuttavia continuando a questo ritmo sarà l’Islam la religione più diffuso al
mondo. Inoltre la religione cristiana da sempre ha dovuto fare i conti con numerose
divisioni interne. Il minimo comune denominatore è la figura di Gesù Cristo come
personaggio storico.
Una tale frammentazione dottrinale corrisponde ad altrettanta frammentazione sul
piano delle tradizioni.
La vera e grande variabile è però quella geografica: le tradizioni infatti variano anche
all’interno del medesimo gruppo di fedeli a seconda del luogo geografico in cui è
inserito.
Gesù era ebreo e gli ebrei attribuiscono molta importanza al digiuno, pratica già
presente nei popoli antichi. Essendo lui ebreo, tutta la sua predicazione va vista
nell’ottica dell’ebraismo.
Il digiuno non fu un elemento di innovazione dell’ebraismo, perché i popoli antichi già
lo praticavano.
La Bibbia stessa offre numerosissimi esempi di utilizzo del digiuno, come quello
della regina Esther che salvò il popolo d’Israele, o come Gesù stesso che trascorse
40 giorni nel deserto e venne tentato dal diavolo. Fu lo stesso deserto in cui anni
prima Gioacchino, il padre di Maria, si ritirò per chiedere a Dio di poter avere un
figlio.
Per quanto riguarda i Testi Sacri, essi sono contenuti nel Nuovo testamento che
insieme all’Antico Testamento compone la Bibbia cristiana.
I Vangeli si dividono in due categorie: canonici, ovvero accettati e apocrifi, ossia
nascosti, perchè dipingevano Gesù in maniera troppo ‘’da favola’’ o perchè gnostici.
Quello di Tommaso assomiglia alla raccolta degli Hadith mussulmani.
Marco,Matteo e Luca sono sinottici perché hanno una struttura talmente simile da
essere sovrapponibile, quello di Giovanni è sapienziale , ossia la narrazione di
eventi storici o meno viene lasciata da parte per le riflessioni spirituali.
Per quanto riguarda la Kosherut, abbiamo diverse testimonianze, in parte
contraddittorie:
Vangelo di Matteo: i farisei si chiedono perchè mentre loro digiunano, i discepoli
non lo fanno;
Vangelo di Tommaso: i discepoli chiedono a Gesù cosa mangiare, se pregare e
fare l’elemosina e lui risponde di non fare ciò che essi stessi odiano.
E’ vero che Gesù è legato alle tradizioni ebraiche, ma allo stesso tempo sembra che
se ne voglia discostare, che non sia così rigido. Gesù però non rinnegò mai il suo
essere ebreo, infatti le discussioni sul cibo crearono un ampio dibattito.
Dopo la morte e resurrezione di Gesù, la comunità cristiana iniziò un lento percorso
di emancipazione: smise di essere una congregazione interna all’ebraismo e con il
passare del tempo ottenne numerosi consensi.
La chiave di volta fu l’universalità del messaggio cristiano: ci si rivolgeva ad
una comunità aperta a tutti.
A questo punto, diventa fondamentale fare chiarezza riguardo alla purezza degli
alimenti. Emblematico l’episodio in cui Pietro va a casa del centurione Cornelio,
desideroso di convertirsi. Egli si distacca dagli ebrei, in quanto per loro era
inconcepibile mangiare insieme a persone non circoncise. Pietro accettò cibo da un
pagano. Prima di ciò vi è un episodio in cui sarà proprio Dio a mandare a Pietro un
banchetto pieno di animali impuri. Pietro fu rimproverato per questo.
La svolta arrivò con San Paolo di Tarso, che si occupò soprattutto di evangelizzare i
non-ebrei.
Il concilio di Gerusalemme (50 d.C.) fu convocato da Paolo per chiarire la
situazione, poiché lui era un ebreo ellenizzato ( di cultura greca).
La decisione fu quella del superamento definitivo della tradizione ebraica in senso
ampio. L’unico divieto che permane è quello del sangue ( di mangiare animali morti
per soffocamento, impudicizia o carni offerte agli idoli).
Il divieto di sangue avrà durata differente a seconda dell’area geografica di
riferimento.
Nel corso della storia la linea libertaria della comunità cristiana aumenterà sempre di
più, abbandonando anche i pochi divieti stabiliti a Gerusalemme dai primi apostoli.
Così, fu, ad esempio, per il divieto di consumare sangue di animali e di astenersi
dalle bestie uccise tramite soffocamento.
È opportuno interrogarsi su come mai tale volontà di trasgressione si sia manifestata
soprattutto nella penisola iberica e nella regione albigese. Si possono fare alcune
considerazioni basate sul contesto geo culturale.
La penisola iberica dell’Ottavo secolo potrebbe essere definita come un melting pot.
Una terra in cui i cristiani furono costretti a confrontarsi contemporaneamente con
una radicata presenza ebraica e con le invasioni dei califfi musulmani, accentuando
una volontà di distinzione.
Il divieto di consumare sangue nel Nord Africa fu abolito da Sant’Agostino nel IV
secolo poiché già praticamente caduto in disuso; restò, invece formalmente in vigore
per tutto il Medioevo nella Penisola Iberica e in Francia,forse per distinguersi da
ebrei e mussulmani. Ciò causò un acceso dibattito nella curia, tanto da far
intervenire il pontefice.
L’abolizione definitiva si ebbe solo nell’ambito del Concilio di Basilea, Ferrara e
Firenze (1442).
Un altro divieto che si fece luogo a partire proprio dall’Ottavo secolo fu quello che
riguardava il consumo della carne di cavallo. Divieto che ha origine diverse da
quello ebraico e musulmano. Alcune pratiche pagane prevedevano il sacrificio dei
cavalli alla divinità dei boschi, per poi cibarsene. Papa Gregorio III invitò San
Bonifacio a vietarne l’uccisione: il divieto ebbe quindi come unico obiettivo
quello di eliminare i residui pagani presso le popolazioni appena cristianizzate.
Anche Papa Zaccaria ribadì lo stesso divieto.
La pratica di cibarsi di carne di cavallo è detta ‘’ippofagia rituale’’ e il divieto era
circoscritto perché in altre zone, come l’Italia, venivano utilizzate.
Ancora oggi il consumatore europeo tende per varie ragioni a non includere la carne
di cavallo nella propria alimentazione.
Ben diverso è tuttavia l’approccio culturale con cui la questione viene affrontata dai
paesi latini rispetto a quelli di cultura anglosassone. In Italia mangiare carne equina
non è così comune, ma accettato a livello sociale, mentre nella cultura anglosassone
il cavallo godrebbe del pet status. Ricorda horsegate del 2013.
I primi a predicare una vita basata sull’astensione dai piatti a base di carne furono,
già nell’alto Medioevo, gli ordini monastici.
Era infatti credenza che una condotta del genere potesse avvicinarli a Dio.
Tuttavia tra le convinzioni e i fatti concreti vi è un abisso,infatti sarebbe stato duro
vivere come San Celestino, digiunando tutti i giorni e mangiando pane e acqua
saltuariamente o San Nicolao delle flue che si cibò dell'eucaristia.
L’astensione delle carni era più o meno praticata, mentre tale rigidità non venne
applicata al pesce. Ogni ordine aveva le sue regole.
Quando però la riforma protestante nel Cinquecento cominciò a prendere piede,
si fece largo anche nella Chiesa cattolica l’idea che in realtà istituzionalizzare e
irrigidire l’astensione alle carni fosse una buona risposta alle critiche sulla lascivia e il
lusso mosse dai padri riformatori alla Corte di Roma.
Per quanto riguarda il formaggio, le uova e il pesce, l’atteggiamento dell’istituzione
ecclesiastica non fu sempre univoco.
Inizialmente il pesce era vietato al pari della carne, ma subì un lento corso di
riabilitazione. Restavano tuttavia esclusi i pesci grassi (anche delfini, balene).
Dopo la riforma protestante e il concilio di Trento (1945-1563), il mangiar magro
divenne un vero e proprio tratto distintivo dei cattolici nei confronti di coloro che
avevano scelto invece di abbracciare la Riforma; il pesce divenne l’emblema del
mangiar magro e venne introdotto ‘’il Venerdì di magro’’.
A partire dalla seconda metà del Quattrocento cominciò a diffondersi in Europa il
merluzzo, commercializzato sotto forma di stoccafisso (essiccato) o baccalà (sotto
sale). Si narra che il vescovo geografo Olao Magno avesse fatto di tutto per
introdurre il consumo dello stoccafisso (carne grassa) anche durante il Venerdì
magro.
Due carni particolari sono quella del Castoro e del Capibara, la cui carne è stata
ammessa per il Venerdì di Quaresima perché considerati pesci.
Il digiuno e l’astinenza presentano anche un valore sociale e comunitario.
La legge del digiuno prescrive di fare un unico pasto giornaliero pur concedendo al
fedele di assumere quantità minime di cibo al mattino e alla sera.
L’astensione invece proibisce, oltre alle carni, anche quei cibi o bevande che sono
da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi.
Le ultime disposizioni sono riportate nella Costituzione apostolica Paemiteni di
Paolo VI.
In questi termini, il digiuno e l’astensione vanno osservati due giorni l’anno: il
Mercoledì delle Ceneri, giorno di inizio della Quaresima e il Venerdì Santo.
Il digiuno del Sabato Santo è consigliato in preparazione alla Pasqua.
L’astensione invece deve essere osservata in tutti i singoli venerdì di Quaresima.
Sono tenuti a osservare il digiuno tutti i maggiorenni fino al’ 60° anno iniziato, mentre
per quanto riguarda l’astensione sono coinvolti anche i fedeli minorenni a partire dai
14 anni. Gli Ortodossi praticano la monofagia, ma l’astensione è molto più rigorosa e
i fedeli cattolici sono invitati a osservare le pratiche del digiuno e dell’astinenza degli
ortodossi quando si trovano ospiti in quelle nazioni. Esiste anche la xerofagia che è
il consumo di cibi secchi, pratica effettuata anche dagli Ortodossi. Il digiuno nero
sono le giornate in cui non si mangia e beve nulla. Se un cristiano si trova in zona
ortodossa, deve adattarsi.
I Protestanti ritengono che i Cattolici siano lascivi (persone molli che non rispettano
le regole che loro stessi danno.) L’opera Roma Papale dipinge la città di Roma e non
si risparmia dal mandare frecciatine al clero. Descrive un giorno di digiuno in cui non
si digiuna davvero.
Capitolo 3.
La Chiesa cattolica prevede ancora oggi sette sacramenti che possono essere
considerati come tappe fondamentali per la vita di un cristiano.
I Sacramenti sono: Battesimo,Cresima,Confessione, Matrimonio,Ordinazione
sacerdotale,Unzione degli infermi, Eucaristia.
Alcuni possono essere impartiti una volta nella vita,come il matrimonio, altri
avrebbero invece bisogno di una pratica attiva e continuativa.
Fra questi c’è l'Eucaristia, che dovrebbe essere replicata almeno a cadenza
settimanale. Alla base di questo sacramento c’è un pasto: l’Ultima cena.
Il pasto comunitario e la seguente ritualizzazione sono elementi trasversali a tutte le
religioni. Inoltre l’Ultima cena si colloca in continuità con l’ebraismo ed è per certi
versi tributaria del quadro rituale delle cene giudaiche. Nell’Ultima cena Gesù dopo
aver preso il pane lo spezzò e lo distribuì fra i suoi discepoli invitandoli a mangiare
quello che lui stesso definì come il suo corpo. Stessa cosa accadde per il vino,
paragonato al proprio sangue. Di primaria importanza è la formula “Fate questo in
memoria di me”, espressione che racchiude la più profonda essenza dell'Eucaristia.
Il Vangelo di Giovanni non riferisce niente riguardo alla preghiera eucaristica e nel
parziale racconto dell’Ultima cena non inserisce nessun riferimento alla morte di
Gesù. Questo fa pensare che in realtà l’Ultima Cena non sia stata proprio un
banchetto pasquale. Secondo la narrazione di Giovanni la morte di Cristo sarebbe
avvenuta alla vigilia di Pasqua nello stesso momento in cui venivano uccisi gli agnelli
al tempio. Pertanto in assenza di un agnello non avrebbe mai potuto essere un
convivio per festeggiare Pesach. Ancora oggi la Chiesa cattolica crede
fermamente nel concetto di transustanziazione e quindi la completa
trasformazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Gesù. Prima di
ricevere l'Eucaristia il fedele è ottenuto a osservare una minima forma di digiuno
della durata di un’ora. È altrettanto importante ricordare la stretta connessione
tra l'Eucaristia e la Confessione. Dio ha scelto in alcune occasioni di manifestarsi
nella storia proprio tramite l’ostia consacrata.
La Chiesa non ha mai fondato la propria predicazione sui miracoli, tuttavia ha
riconosciuto che occasionalmente Dio interviene in modo più visibile e può cambiare
persino l'apparenza del pane e del vino nel Suo corpo e nel sangue.
All’inizio, le comunità cristiane delle origini praticavano la ‘’frazione del pane’’ come
gesto identitario. Tramite questa pratica si distinguevano dagli altri culti.
La questione della presenza di Cristo nell'Eucaristia emerse solo dal 9 secolo (nel
Medioevo).
Le varie teorie e dispute:
● Pascasio Radberto: sostiene che il corpo di Cristo presente nell'eucaristia
sia lo steso nato dalla Vergine Maria. Questa carne e questo sangue
sarebbero velati per non scandalizzare il fedele. Teorizzò la
transustanziazione ( il pane e il vino si sarebbero davvero potuti trasformare
nel corpo di Cristo.) Questa teoria divenne quella dominante.
● Berengario di Tours: rifiutò questa teoria per abbracciarne un’altra, quella
della consustanziazione: secondo cui il corpo di Cristo si troverebbe nel
pane e nel vino in modo simbolico. Questa teoria venne abbracciata anche da
Martin Lutero.
● Tommaso d’Aquino: metterà ordine alla disputa.Quest’ultimo abbraccerà la
teoria di Pascasio nel Concilio Lateranense IV, 1215.
Proprio a causa di questa teoria ci fu un dibattito tra la chiesa e la Riforma.
Ad oggi la Chiesa crede nella transustanziazione e nel suo valore simbolico, cosa
che viene nuovamente confermata nel Concilio di Trento.
Stessa cosa sostiene il Cattolicesimo, infatti prima dell’Eucarestia sarebbe
necessario un breve digiuno per essere pronti ad accogliere il corpo di Cristo.
Eucaristia e Confessione vanno di pari passo in quanto per prendere il corpo di
Cristo, si dev’essere confessati.
Su questo argomento sono nati i primi dibattiti tra Chiesa e Riforma, la prima
appoggia la transustanziazione e la Riforma che si allontana da esso.
Le differenze tra le negazioni dei riformisti:
Martin Lutero: si distanzia dalla maggior parte dei riformatori, perché recupera, in
un certo senso, la concezione di Berengario.
Zwingli: vedeva il sacramento come un semplice atto di commemorazione.
Calvino: negò entrambe le teorie. Riconosce un valore all'eucaristia, ma puramente
spirituale.
Transustanziazione = chiesa cattolica; Consustanziazione= chiesa luterana;
Simbolista= le altre chiese riformate;
Il pezzo di pane è stato protagonista di una serie di miracoli. La Chiesa non ha mai
assunto una linea univoca,poiché si rende conto che il rischio di autosuggestione è
elevato. La fede individuale non deve basarsi sul miracolo. Detto ciò, ha riconosciuto
dei miracoli, non li nega in toto.
In Italia ci sono numero luoghi dove essi sono avvenuti, 28 località documentate,
circa 28-30 miracoli. Due a Torino e due ad Asti.
● Miracolo di Trani: si trova in Puglia. La protagonista è una donna ebrea,
intorno all’anno 1000. Trani è un luogo dove vi è una comunità ebraica. Non
riuscendo a concepire la presenza di Dio all'interno dell’ostia, chiede ad
un’amica cristiana di trafugarne una; la donna butta il pane in una pentola
piena d’olio bollente e l’ostia si trasforma in un pezzo di carne sanguinolenta
che inonda la cucina. La donna si mise a urlare e correre per il paese e tutti
accorsero a vedere il miracolo. Ciò che rimane della carne è nella Chiesa di
Sant’Andrea.
● Miracolo di Torino: anche qui abbiamo un furto di oggetti sacri e vasellame
nei pressi di Olux, territori contesi con la Francia e i Savoia (questo
avvantaggia i ladri nei loro furti). Il ladro si dirige a Torino per rivendere la
merce, ma in Piazzetta Corpus Domini il mulo su cui trasportava la merce si
blocca; il ladro bastonò il mulo tanto che esso si inciampò e cadde tutto:
tranne un oggetto che si sollevò in aria. Non si sa se un oggetto o l’ostia, ma
ciò permise alle persone di scoprire il ladro. Ci sono poche fonti su questo
evento.
● Miracolo di Canosio e Dronero: Canosio ferma l’esondazione di un torrente;
Dronero placa il vento che alimentava un incendio.
Capitolo 4.
Un alimento che riveste un ruolo sacro e profano è senz’altro il pane. Esso fa parte
di tutte le culture mondiali, con o senza lievito, di diverse farine ecc...
È stato sempre considerato un trait d’union fra umanità e divinità.
Negli antichi riti pagani pani dalle forme simboliche venivano usati a scopo
propiziatorio e forse proprio a partire da queste tradizioni sono entrati nel folklore e
nella tradizione di molte religioni italiane.
Un esempio sono i pani che gli Egizi e i Maya preparavano da deporre nelle
tombe, (usanze sviluppate in modo autonomo); i pani ben augurali per le nozze
come la ‘’minca’’ di Pesaro.
Anche fuori dall’Italia il pane riveste quasi sempre il ruolo di protagonista e la
diffusione è quasi universale per quanto riguarda i riti funebri.
Il cristianesimo ha attribuito a un alimento già sacro di per sé un significato simbolico
immenso dal momento in cui Gesù si autodefinisce il pane della vita e questo
alimento rappresenta l'eucaristia. Grazie a questo sacramento, la sacralità diventa
assoluto.
La tradizione alimentare è legata anche a San Paolo ( ebreo ellenista), nonostante le
sue origini, lui difese il pane senza lievito.
Ancora oggi non si conosce la natura di quella diffidenza verso il lievito: diffidenza
che accomuna sia ebrei che cristiani.
Ogni area geografica ha una forte portata simbolica e ogni area ha diverse varianti di
un alimento.
L’alimento può evolversi come elemento identitario, mentre altre volte sfocia nella
ritualità e sacralità.
Nella zona delle Alpi occidentali a cavallo tra Piemonte e Francia sono nati dei
particolari tipi di pane.
Il caso più emblematico fu quello del grissino, la cui creazione è legata alla città di
Torino.
Ci sono diverse teorie sulla sua origine: una di queste colloca la loro nascita nel
Trecento, quando, a seguito di un’importante carestia, il pane si rimpicciolì fino a
ridursi a una misera strisciolina. Un’altra leggenda vede invece coinvolta la famiglia
reale. Si racconta che il piccolo Vittorio Amedeo non digerisse la mollica del pane e
che il padre Carlo Emanuele II avesse convocato dei maestri panettieri a cui
commissionò un pane buono sano e ben cotto. Siamo nella seconda metà del
Seicento e già Napoleone chiamava questa ricetta bastoncini di Torino.
Per meglio comprendere la profonda relazione che lega il pane al cristianesimo, è
opportuno raccontare per sommi capi il ruolo di questo fenomeno nella festa
patronale che si svolge nel comune di Ceres, a 40 km da Torino, nelle Valli di
Lanzo.
La lingua di riferimento è quella Francoprovenzale.
La festa patronale, il giorno di Ferragosto in concomitanza con la solennità cattolica
della Madonna Assunta, era rivolta agli abitanti di Ceres o al massimo a quelli dei
paesi limitrofi.
Tuttavia, quando nel 1916 fu inaugurata la stazione, iniziò un periodo di apertura
turistica che fece diventare Ceres un importante centro di villeggiatura. La festa si
distribuisce dal 14 al 16 e le sue figure centrali sono i priori e le priore. Analizzando
la festa su un piano strettamente cronologico, è possibile accorgersi di numerosi
cambiamenti sia per quanto concerne l’organizzazione sia per la pianificazione.
I primi elementi a cambiare riguardavano appunto i priori. L’abito maschile era
cambiato, mentre quello femminile no.
Anche i diversi tipi di pane rituale hanno subito nel corso del tempo alcune
variazioni:
● il peun d’la tcherità è il protagonista assoluto: un grosso tipo di pane non
lievitato e tondeggiante. In origine a pasta dura con decorazioni presenti sulla
sommità rialzate, diventa poi più morbido. Si ipotizza l’origine della festa nel
Seicento, dopo una forte epidemia di peste. Le punte rappresenterebbero le
sofferenze presenti sulla terra. Per Mèisòst vengono preparate due forme di
tcherità. Per il 15 agosto vengono sormontate da un ramo di pino decorato
con nastri multicolori e portate in testa delle priore fino alla chiesa. Dopo la
benedizione, i due pani vengono tagliati e distribuiti ai presenti.
● I galeut sono sono pani più piccoli e presentano nella parte superiore una
sporgenza in rilievo dipinta di rosso che ricorda la cresta di un gallo. Funzione
beneaugurale e scaramantica. Venivano custoditi almeno per un anno e
nascono come ricompensa per i parenti dei priori, e tutti coloro che avevano
contribuito alla buona riuscita della festa.
Un altro pane conosciuto è il Pan Bouilli, tipico della Valle d’Arene ed è stato oggetto
di numerosi studi, tra cui quelli di Maget. Fino alla fine degli anni ‘60 era la fonte di
sussistenza del villaggio. La produzione venne interrotta a causa dei grandi
spostamenti dovuti all’industrializzazione e lo sradicamento della popolazione. La
produzione venne ripresa tramite accordi privati.
Nel 1976 assunse un ruolo identitario rituale e sacrale.
Capitolo 5.
Non c’è ombra di dubbio che, secondo quanto affermato nella Genesi, alle origini
l’umanità fosse vegetariana.
In seguito poi alla disobbedienza di Adamo ed Eva, l’uccisione di Abele e il diluvio
universale, la situazione cambia. Infatti nella nuova alleanza che Dio sigla con Noè è
chiaro il riferimento al nuovo ordine alimentare che regolerà il rapporto
uomo-animali. All’essere umano viene data la possibilità di nutrirsi anche della
carne, tuttavia non sembra essere una concessione benevola.
Diversamente da altre religioni la fede cristiana non prevede alcuna legge
alimentare, tuttavia in alcuni ambienti il vegetarianismo è percepito come il modo più
corretto e rispettoso di alimentarsi.
Le prime notizie della presenza di valdesi in Piemonte sono datate 1210, con
l’Editto di Ottone IV ed è del 1312 la prima notizia di una donna bruciata viva per
valdesia a Pinerolo.
I valdesi prendono nome da Pietro Valdo, mercante di Lione il quale decidere di
vendere i propri bene e di predicare il vangelo ai suoi concittadini. I suoi seguaci
vengono scomunicati e condannati dall’Inquisizione. Fu uno dei tanti movimenti a
carattere pauperistico.
Le funzioni erano svolte in case o grotte, ma con l’adesione nel 1532 alla Riforma
protestante incominciarono a costruire i loro templi.
Prima dell’adozione i valdesi predicavano il loro culto in segreto e la maggior parte di
loro viveva nelle cosiddette Valli Valdesi, in Piemonte.
La Controriforma però picchia duramente e venne firmato un accordo con cui
Emanuele Filiberto obbliga i valdesi di esercitare la propria fede solo entro i confini
delle due valli che vengono conosciute come valli valdesi.
La peste del 1630 fa soccombere molti pastori e con l’arrivo di nuovi pastori da
Ginevra importa il francese nelle valli, l’altra lingua minoritaria era l’occitano.
Le ostilità ricominciano nel 1655 con le stragi delle Pasque Piemontesi.
Nonostante siano state siglate alcune paci Vittorio Amedeo II emette un nuovo editto
contro i valdesi, i quali optano per la resistenza armata, ma vengono sopraffatti dalle
truppe franco-sabaude. Le ostilità cessarono con l’intervento dei Paesi protestanti.
Alla fine Vittorio Amedeo II accetterà che la popolazione valdese sia trasferita in
Svizzera e in Germania.
Nel 1689 dalla Svizzera i valdesi organizzano una spedizione e vincono la
resistenza, rimettendo piede nelle valli natie, dove resteranno confinati fino alla
promulgazione dello Statuto di Carlo Alberto (17/02/1848).
Il valdese della valle del Pellice non si identifica attraverso criteri religiosi,
bensì tende a ricorrere a criteri di tipo etnico e familistico.
L’essere valdesi non può essere riconducibile a Calvino, quanto piuttosto al
sentirsi parte di un’eredità storica.
Nel 2015 il Papa ha incontrato il moderatore della chiesa valdese. E’ stata la prima
volta che il Papa ha messo piede nel Tempio.
Ad oggi l’elemento religioso che fu frutto delle persecuzioni non è
fondamentale per determinare l’identità valdese. Ad oggi Valdesi si nasce.
Viene data molta importanza alla questione etnica e in secondo luogo di
discendenza. E’ una sorta di ‘’religione etnica’’.
Le Valli restano Valdesi perché costituiscono una realtà geo culturale.
A causa delle innumerevoli persecuzioni, la cucina valdese è ricca di elementi
naturali dell’ambiente alpino.
La loro tradizione culturale è povera e ricca di elementi che si trovano nella natura:
bacche, fiori,,erbe varie e i loro derivati come olio.
Non ci sono divieti perché il cibo è sacralizzato.
Lo studioso che più di chiunque altro ha riportato alla luce le ricette della tradizione
valdese è lo chef valdese Walter Eynard.
Egli stesso racconta che, confinati in una sorta di ghetto alpino e in condizioni più
drammatiche rispetto ad altre popolazioni di montagna, i valdesi hanno sviluppato
abilità come la coltivazione del lino e della canapa, la lavorazione della lana e del
piumino d’oca, originali tecniche di trasformazione del latte, ma anche pratiche di
erboristeria e medicina naturale.
La Supa Barbëta è una zuppa molto povera che si prepara con prodotti tipici delle
valli alpine. La base è un brodo di gallina con ortaggi. A parte abbiamo cavolo verza,
grissini, toma, burro e spezie. Si uniscono i due elementi e si passa in forno con
aggiunta di burro fuso. È un piatto a strati "secchi" e poi si unisce il brodo. Il termine
deriva dal "barba" sopra citato
Un dato caratteristico delle valli valdesi è inoltre l’uso di abitudini proprie di altre
culture mitteleuropee (tedesca e inglese).
L’elemento distintivo sta nella forte valenza che la cultura protestante assegna al rito
del cibo.
Capitolo 6.
L’induismo si è sviluppato nella Penisola Indiana e attualmente è la religione più
diffusa.
L’India nasce come Stato indipendente il 15 agosto 1947 proclamandosi
democrazia laica all’interno della quale le minoranze religiose avrebbero goduto
degli stessi diritti della maggioranza indù.
Nonostante ciò oggi il primo ministro guida un partito creato come ala politica di
un’organizzazione che sostiene la supremazia indù.
Attualmente, secondo la Carta Costituzionale, l’India è una repubblica federale laica
in cui le minoranze esistono e dovrebbero godere delle stesse libertà e stessi diritti
del popolo indù. In pratica, gli episodi di intolleranza si sono verificati: lo stesso
Gandhi venne ucciso da un estremista della sua stessa religione.
L’induismo è diffuso nell’India e in Nepal, ma l’emigrazione ha portato questa
religione anche in altre zone, come negli Stati confinanti.
Che cos'è l'induismo?
L'enciclopedia Treccani ci dice che l'induismo è un "termine moderno derivato dal
nome del fiume Indo che all'inizio del XIII gli inglesi iniziarono ad usare per
indicare il complesso di credenze e pratiche religiose dell'India ".
Due sono i ragionamenti che dovrebbe suscitare questa definizione.
1) Ragionamento di tipo geografico: perché ha preso il nome proprio dal fiume
Indo ( che scorre al Nord, ma principalmente nel Pakistan )
2) Perché l'induismo è un termine che nasce così tardi e nella modernità?
Perché va a designare un complesso di credenze. Non è una religione monoteista, è
un termine collettivo che raccoglie moltissime pratiche e credenze dell'India.
È stato creato dagli occidentali in maniera non inclusiva, perché non comprendevano
questi culti e non facevano parte di quelli monoteisti più famosi. L'induismo è una
realtà eterogenea e il termine è un cappello sotto il quale si raggruppano molte
pratiche e culti.
Le peculiarità dell'induismo :
● È una realtà eterogenea fatta di culture filosofiche molto diverse e anche
molto distanti. Vi sono delle credenze in comune ovviamente, di modo che
siano riconducibili ad un unico "ceppo";
● L'accettazione della teoria della reincarnazione, "Metempsicosi" (la
trasmigrazione delle anime in nuovi corpi )
● Le teorie legate al karma
● Accettazione di quattro testi sacri che prendono il nome di Veda.
Le pratiche induiste sono fra le più antiche al mondo.
In questo caso rispondiamo al primo interrogativo: si presume che la cultura
filosofica induista sia nata nella valle dell'Indo nel 6000 a.C.
Molto prima delle religioni monoteistiche. L'induismo pur adorando più dei è una
religione monoteistica: queste divinità sono riconducibili ad un unico dio supremo
che di volta in volta prende sembianze diverse.
È l'unica religione ad essere monoteistica e politeistica allo stesso tempo.
Potremmo definirla come religione "panenteistica" ( Dio è in ogni cosa ).
Panteismo = tutto è dio
Panenteismo= dio è potenzialmente in ogni cosa.
Tra le teorie di base dell'induismo vi è la credenza nella reincarnazione e nel karma,
per cui il comportamento in vita influisce su ciò che sarai nella vita successiva.
Se il tuo karma è positivo la tua anima si reincarna fino ad arrivare a quello che nel
linguaggio indù si chiama "Moksha".
La Moksha è la liberazione definitiva dal ciclo delle rinascite, l'anima è libera e
non deve reincarnarsi.
Mangiare un cibo proibito va ad influire sul ciclo del Moksha: il cibo proibito
indebolisce il corpo e comporta altre conseguenze negative.
Valenza rafforzata da specifiche leggi e dagli atteggiamenti dei diversi leaders politici
che si sono susseguiti alla guida del Paese.
Si potrebbe parlare di una sorta di ritorno al vegetarianismo che a partire dal VII
secolo a.C. aveva incominciato ad imporsi soprattutto tra gli strati della popolazione
di caste superiori.
Questa è una modificazione introdotta nel tempo: le popolazioni passate infatti
mangiavano di tutto, compresa la carne di bovino. La credenza si è innestata nel
corso della storia.
Ancora adesso, anche se gli induisti non sono vegetariani, c'è una corrente interna
che spinge al vegetarianesimo.
Lo stesso stato indiano spinge verso questa corrente, creando il "Ministero per la
medicina ayurvedica", una tradizionale medicina indiana che sponsorizza una
dieta latto vegetariana.
Nonostante ciò, bisogna ricordare che i due testi fondamentali della medicina
ayurvedica non hanno alcuna disposizione che proibisca il consumo di carne, al
contrario in determinati casi ne viene prescritto il consumo al fine di sconfiggere
diverse malattie.
I testi sacri che sono alla base della civiltà indiana non disdegnavano la carne
bovina, né accordavano particolare protezione alle vacche. C’è da dire però che con
la crescita della popolazione e il passaggio ad una vita agricola, i buoi cominciano
sempre di più ad essere adoperati per tirare l’aratro.
In questo contesto nasce il buddhismo: Buddha (563-483 a.C.) è il primo a
condannare i sacrifici degli animali e la loro uccisione.
Per secoli buddhismo e induismo lottarono per conquistare il popolo indiano.
Alla fine vince l’induismo dopo aver abbandonato dei sacrifici animali e aver scelto la
non violenza.
Sarà poi Gandhi a dare un forte impulso alla sacralità dei bovini come cuore
della fede indù e simbolo di identità culturale adoperato nella lotta contro i
dominatori inglesi.
Al giorno d’oggi l’India è il Paese che dispone del maggior numero di bovini al
mondo ed è stato istituito un servizio di ambulanze per le vacche che ne hanno
bisogno. Questa venerazione tra origine dalla dottrina della trasmigrazione delle
anime: occorrerebbero ottantasei trasmigrazioni delle anime per diventare esseri
umani, l’ultima di queste è appunto il bovino.
La vacca è anche simbolo politico.
Il fatto che gli inglesi fossero assassini di vacche e mangiatori di bistecche fu la
scintilla che causò la disobbedienza civile e poi l’indipendenza.
Ottenuta quest’ultima il Partito del congresso, maggioritario, assunse come simbolo
nazionale la vacca e il vitello, cosa che favorì gli analfabeti che dovettero esprimere
il proprio voto contrassegnando con una X il simbolo prescelto.
L'art. 48 della costituzione federale vieta la macellazione dei bovini. Questo fa
dell'India il paese con il maggior numero di bovini al mondo: oltre 200 milioni di
bovini. Essendo animali sacri a loro viene riservato un trattamento speciale rispetto
alle altre specie animali.
C'è un servizio ambulanza apposta finanziato da una ONG che va in assistenza di
questi animali che spesso sono in situazioni di difficoltà.
Ciò è dovuto anche al fatto che, proprio per l'elevato numero di bovini presenti nella
nazione, le persone non possono permettersi di curare l'elevato numero di animali
Come per qualsiasi altra fede, anche nell’induismo le festività fanno emergere l’alto
valore simbolico del cibo.
L'induismo, per una natura, è una delle confessioni più portate al dialogo
interreligioso. Questo perché è un insieme di pratiche, non un'istituzione (
come la Chiesa di Roma ).
Questa tendenza non significa che, nel contesto sociale dell'India, non vi siano
conflitti. Per anni gli indù hanno additato i musulmani come assassini di vacche. Il
cibo quindi diventa anche un metro di giudizio e di discriminazione sociale.
Senza contare che i nazionalisti indù identificano ancora adesso musulmani e
cristiani con il termine dispregiativo di "mleccha" che vuol dire barbaro all'incirca.
Se una volta gli indù erano soliti vendere gli animali domestici ai musulmani, come
quelli più vecchi per intenderci, dal 2017 tale pratica non è consentita. È vietato
vendere le vacche per usi alimentari.
Tra le svariate feste sacre ricordiamo:
● Pongal, festa del raccolto che si celebra in uno stato federale dell’India. Dura
tre giorni ed è legata al primo raccolto del riso in corrispondenza del solstizio
d’inverno. Il termine pongal in tamil significa bollire: infatti il riso del primo
raccolto viene bollito nel latte ed è di buon auspicio.
● Ramanavami. Si celebra la nascita di Rama, una delle incarnazioni di Vishnu
e i devoti accorrono ai templi a lui dedicati portando come offerta un dolce di
semolino.
● La festa del Krishna Janmashtami celebra la nascita di Krishna,
incarnazione di Vishnù ed inizia con un digiuno dei devoti sino a mezzanotte.
Le offerte sono soprattutto dolci.
● Festività del Dipavali, la festa della luce, in cui è tradizione scambiarsi doni e
preparare dolci tipici come i gulab jamun e i rasgulla.
● La Ganesha Chaturthi è una festa che cade in agosto-settembre ed è
dedicata a Ganesha, il Dio che rimuove gli ostacoli. Vengono preparati dolci
particolari, i modaka, con farina di riso, un ripieno di cocco e zucchero di
canna. Ganesha viene raffigurato con la testa di elefante nell’atto di tenere in
mano o di avere ai suoi piedi i laddu, palline dolci fatte con farina di ceci,
zucchero e ghi. Il cocco rappresenta l’ego del devoto che deve essere
spaccato per superare tutti i condizionamenti.
Anche alcuni sacramenti induisti sono legati al cibo, tuttavia deve essere
sempre utilizzato con parsimonia.
In questo senso va pensato il digiuno, un metodo scientifico per dare al corpo un
riposo fisiologico.
A seconda del metodo di preparazione ci sono due stati in cui i cibi possono essere
presentati: kacca e pakka, in senso lato crudo o cotto.
Si considera kacca un alimento cotto in acqua mediante bollitura, si considera pakka
un alimento fritto per immersione in un grasso animale o vegetale.
Il primo tipo è destinato all’alimentazione quotidiana familiare ed è molto facilmente
soggetto a contaminazione, per cui nella sua preparazione si moltiplicano le
accortezze per salvaguardarne la purezza.
Se un cibo pakka viene mischiato con cibo kacca si degrada e diviene
anch’esso kacca.
Concludiamo con un culto che si è sviluppato dalla tradizione indù e si è sviluppato
al di fuori dello spazio indiano.
Questo culto è il culto di Krishna.
Tutto ebbe inizio nel 1500 quando nella zona del Bengala si creò una forma di culto
nei confronti di Krishna. Questo culto si distanziò dalle altre pratiche indù come unico
e vero dio. Noi sappiamo che le varie divinità indù si collegano a una sola, in
questo caso, invece, c'è solamente Krishna.
Era per certi sensi un eresia perché non vedevano Krishna come uno dei tanti
Avatar, ma era davvero dio. Non ebbe un'ampia diffusione,ma restò in una
situazione di minoranza fino al secolo scorso, fuori dalla penisola indiana.
Nel 1966 verrà fondata a New York la International Society for Krishna
Consciousness. Questo movimento che vede in Krishna il dio unico prende il
nome comune di Hare Krishna.
Oggi per come sono strutturati appaiono più vicini ad una setta che ad una religione
vera e propria. Questo perché per entrare negli Hare Krishna sono previsti tre riti di
iniziazione.
Terminata la procedura di iniziazione ogni aspetto della vita dell'adepto viene in un
certo senso controllato. Sono vegetariani e prima di consumare il pasto lo offrono a
Krishna che in qualche modo lo santifica.
Capitolo 7.
La dottrina islamica contiene numerose indicazioni sulla corretta maniera di nutrirsi.
L’uomo è strumento e beneficiario del miracolo di Dio che rinnova la creazione in
ogni istante.
Il sostentamento che Dio dona alle sue creature non corrisponde alla
soddisfazione di un bisogno fisico, ma piuttosto ad una comunicazione di
risorse spirituali che trovano negli alimenti e nelle bevande il luogo per la loro
somministrazione.
Il gesto di invocare il nome di Dio prima di bere/mangiare e quello di lodare il signore
corrispondono alla manifestazione del ricordo e del riconoscimento del dono che Dio
ci fa offrendoci il sostentamento grazie al quale siamo in grado di operare.
Un musulmano dovrebbe mangiare e bere “Con la destra”, “a partire dai bordi” e
“non tutto d’un fiato, ma due o tre sorsi per volta”.
Quest’ultima espressione rinnova al musulmano la prospettiva con la quale bisogna
accostarsi al nutrimento che deve rappresentare un momento di conoscenza e di
comunione con Dio.
“Partire dai bordi”, “da quello che è più vicino a te” rinnova la tradizione culturale
quando si mangiava insieme a gruppi intorno un unico grande piatto, dove le mani
destre dei commensali, partendo dal bordo, convergevano verso il centro,chiamato
‘’Baraka’’ fino a trovarsi unite nel centro, dove la benedizione discende.
Il digiuno, pilastro della fede del musulmano, non comporta un’interruzione del
nutrimento spirituale e comporta un grado di perfezione superiore anche a quello
della preghiera, poiché quest’ultima è la messa in opera di un colloquio con Dio,
mentre il primo è da considerarsi piuttosto come una contemplazione a Dio.
Il musulmano dimentica la sua pancia e i suoi appetiti e scopre il gusto della
presenza spirituale, un mondo superiore. Quando il credente ha sentito questo gusto
non se ne distacca più anche quando riprende regolarmente a mangiare.
La notte più importante ricorda la "Notte del Destino": la discesa del Corano
nell'animo di Maometto ( anche se lo rivela gradualmente ).
I pasti permessi durante questo mese sono due: il suhur ( prima dell'alba ) e
l'iftar ( dopo il tramonto ).
Durante tutto il giorno c'è il divieto del cibo e delle bevande
Capitolo 8.
L’Islam muove da una visione unitaria della realtà che non separa mai totalmente la
dimensione spirituale da quella apparentemente più esteriore delle azioni concrete.
In tale prospettiva ogni comportamento può diventare per i musulmani vero e proprio
atto di culto.
Riguardo al cibo, è definito come Halal tutto ciò che è lecito mangiare, Haram ciò
che è proibito.
Ci sono solo quattro categorie di cibi che sono proibite.
● Le carcasse
● Il sangue
● Le bestie uccise invocando altro nome diverso da quello di Dio.
● Divieto di vino e sostanze intossicanti in genere.
Vi è anche la categoria dei cibi "dubbi o sconsigliati". E.g la carne equina. Non
è ufficialmente proibita, ma è una categoria di cibo sconsigliata. Le altre
prescrizioni vengono da hadith o dalla tradizione
Le regole alimentari, essendo religiose, per essere realmente adempiute in tutta la
loro portata, devono integrarsi all’interno di una prospettiva religiosa globale.
I riferimenti per conoscere quali siano le regole da seguire non possono essere
ricavati da singoli versetti coranici, ma è piuttosto l’insieme di tutta la Rivelazione che
deve costituire il paradigma di riferimento. Fonti fondamentali sono Il Corano e la
sunna, ossia l’esempio che si ricava dalle azioni e dai comportamenti tenuti dal
Profeta Muhammad durante la sua vita.
L’interpretazione e la traduzione invece dei principi contenuti in essi costituiscono
l’oggetto del fiqh, il diritto islamico, il quale fa riferimento anche a fonti giuridiche
secondarie e sussidiarie. Nonostante si parli di diritto islamico, il fiqh non viene
schematizzato in un codice unitario di regole e norme da applicare
meccanicamente.
Nel tempo si sono consolidate almeno quattro scuole islamiche sunnite così come
una diversa scuola interpretativa si è delineata all’interno dell’Islam sciita.
Per quanto riguarda l’ambito alimentare, il termine halal non deve essere limitato ad
indicare alcune categorie di cibi, ma deve sancire in modo più ampio il corretto
rapporto che il credente deve tenere verso cibi e bevande.
Il principio di base stabilito dal Corano è quello della generale liceità e bontà per
l’uomo di tutta la creazione; sono piuttosto le cose proibite ad essere espressamente
indicate.
La procedura rituale di macellazione si rifà ad un rito istituito dal profeta Abramo,
patriarca di una discendenza profetica la quale si sono manifestate tutte e tre le
espressioni del monoteismo. Il rito della macellazione rituale halal, che prevede a
menzione del nome di Dio, la iugulazione e il dissanguamento segue dunque le
prescrizioni abramiche osservate anche dagli ebrei per la macellazione kosher ed è
un segno concreto che ci ricorda questa vicinanza e Fratellanza spirituale.
A fronte di rischi di esclusivismo e di strumentalizzazione della religione ai fini di
divisione a cui talvolta si assiste oggi, è bene ricordare che quando in Italia la
presenza islamica era ancora molto ridotta e non era reperibile carne macellata
halal, le prime famiglie musulmane italiane utilizzavano proprio la carne venduta
nelle macellerie ebraiche, conforme anche ai requisiti del rito islamico e dunque
lecita per i musulmani. Ciò che per gli ebrei è kosher per i musulmani è halal.
Capitolo 9.
L’Islam costituisce la religione più diffusa nel mondo per numero di fedeli.
I musulmani, soprattutto a livello europeo, stanno inoltre acquisendo un potere
d’acquisto sempre maggiore e tutto ciò rende estremamente interessante il
potenziale di questo settore di mercato, costituito essenzialmente dai prodotti
alimentari halal e dalla finanza halal (conforme alle prescrizioni che regolano per i
musulmani il corretto rapporto tra uomo e denaro).
Tuttavia il commercio internazionale di prodotti alimentari halal è ancora al momento
relativamente ridotto. Vi è quindi una forte domanda eticamente orientata ancora
insoddisfatta, gap ancora più marcato in Italia, dove la presenza islamica è molto più
recente rispetto agli altri Paesi europei.
Per accostarsi in modo avvincente ad una produzione che venga incontro ad
esigenze religiose come quella dei prodotti halal è necessario rendersi conto che
non potrà trattarsi soltanto di adattamenti tecnici delle procedure, ma che tali
adattamenti dovranno essere visti anche nell’ottica di acquisire una nuova sensibilità
e un’apertura verso esigenze che non sempre sono riconducibili a motivazioni
contingenti come salute, igiene, costi di mercato etc.
In Italia un lavoro di traduzione dei principi islamici nel contesto della produzione
agro-alimentare è stato svolto dalla CO.RE.IS. Italiana tramite un progetto promosso
in Lombardia, grazie al quale si è arrivati ad ottenere la registrazione del marchio di
certificazione Halal Italia, presentato nel marzo 2009.
Il progetto è un progetto pilota realizzato nel 2008. Sponsorizzato dalla
CO.RE.IS ( la comunità religiosa islamica ). Si tratta di una comunità di italiani
convertiti all'islam. Il progetto è stato promosso congiuntamente con la
Lombardia è la Camera di Commercio di Milano. L'obbiettivo era quello di
permettere alle aziende italiane di ottenere il certificato Halal, creando prodotti
competitivi sul mercato islamico in Europa e fuori. Il marchio Halal Italia è
stato depositato ufficialmente nel 2009 partito poi nel 2010
D’altra parte molte normative europee in materia alimentare e di benessere animale
ricalcano quasi esattamente alcuni principi delle prescrizioni islamiche. Si può allora
dire a ragione che quest’ultime non sono qualche cosa di così estraneo alla cultura
europea.
Si tratta invece di un valore etico aggiunto che si pone come strumento di
integrazione ed interazione dei musulmani nella società europea
contemporanea.
Proprio nel senso di stabilire delle buone pratiche in ambito socio economico da e
costituire un esempio di eccellenza nell’interazione tra la minoranza islamica in
Europa e le Istituzioni nazionali e internazionali, il 30 giugno del 2010 è stata firmata
alla Farnesina una Convenzione interministeriale a sostegno del progetto Halal Italia.
Tale certificazione è contemporaneamente una certificazione volontaria, di qualità, di
parte terza, di prodotto, di processo.
Il primo requisito è l’esclusione di derivati animali non leciti, o animali leciti
non macellati ritualmente, di sangue e di sostanze alcoliche.
Dal punto di vista del processo produttivo l’Azienda deve assicurare soluzioni tali per
cui le sostanze halal non possano venire a contatto con sostanze haram. Il mercato
dei prodotti halal non è ancora stato completamente strutturato ed è relativamente
giovane. Tuttavia non si tratta di un settore di nicchia.
La certificazione è uno strumento importante al servizio
dell’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano anche in chiave
europea e quindi più accessibile per lo storico e radicato tessuto delle PMI
nazionali.
Le categorie di prodotto interessate sono: carni e prodotti a base di carne,
pasticceria e gelateria, grain products, frutta e verdura, piatti pronti,
enzimi/additivi, lattiero-caseario, bevande, grassi e olii.
Il mercato Halal, stando alle ricerche, tra food, cosmetici, farmaceutica e
turismo fattura duemilatrecento miliardi di dollari all'anno in linea di massima (
10 anni fa ), in Europa ( 70 miliardi ).
Il 2,7% della popolazione musulmana mondiale spende circa il 10% del
mercato mondiale.
Aziende italiane coinvolte nel progetto nel 2014: 300.
Il 55% del 300 in Italia in Lombardia ed Emilia.
Alla scadenza del triennio il 90% delle aziende ha scelto di rifare il certificato.
La torta di Padre Pio.
Per realizzarla si deve seguire un semplice procedimento lungo però 10 giorni, che
consiste nell’aggiungere giornalmente gli ingredienti.
Tuttavia la ricetta non basta, questo dolce infatti si passa di persona in persona e ci
sono inoltre regole precise da rispettare: non usare sbattitore elettrico, non
mettere in frigo, non utilizzare contenitori di plastica.Deve venire elaborato con
cucchiaio di legno e deve essere preparato da una sola persona, non può
essere rifiutato.
Questa tradizione riprende la catena di ‘’Sant’Antonio’’, lettere che iniziavano tutte
nello stesso modo a cui seguivano delle sciagure per chi non avrebbe rispettato la
catena. Ciò serve a capire che le leggende metropolitane riprendono le credenze e
le tradizioni.
L’alimentazione fa parte delle pratiche umane fondamentali dirette alla riproduzione
del sé, è il campo dell’appetito e del desiderio gratificato, del piacere, ma anche della
diffidenza, dell'ansia.
L’industrializzazione ha modificato anche l’alimentazione. La preparazione dei cibi
non è più totalmente riservata all’ambito privato della famiglia. Spesso i prodotti
vengono consumati in ristoranti e mense o acquistati in grandi magazzini dove
manca il rapporto diretto con il fornitore.
Il pasto è poi diventato una pausa nel lavoro quotidiano.
Il comportamento alimentare rileva quindi lo stile di vita del singolo e i suoi
legami con l’ambiente e la società.
Nella scelta di cosa mangiamo siamo condizionati dalla cultura e dalle tradizioni e in
presenza di cibo nuovo proviamo due sentimenti opposti: la neofilia, ovvero il
desiderio di sperimentare nuovi sapori, e la neofobia, paura di ciò che è nuovo.
McDonald’s e l’ideologia del fast food sono la grande innovazione non solo
alimentare ma anche culturale, sociale ed economica degli ultimi cinquant’anni.
La storia dei fratelli McDonald ha inizio nel 1937 quando aprono il loro primo
ristorante in California, due anni dopo il loro primo drive in, ma la svolta è nel ’54
dall’incontro con un rappresentante di frullatori con il quale danno vita ad un fast
food (non il primo). I McDonald hanno riprodotto la logica del taylorismo nella
ristorazione. Il tipo di concetto di ristorazione che propone McDonald’s non
rappresenta il concetto ideale di alimentazione sana, tuttavia gli adolescenti non vi
badano in quanto vedono in esso una forma di autonomia e di incontro.
L’offerta alimentare di McDonald’s è universale e infraculturale.
Per contro sono numerose le testimonianze di coloro che individuano in questa
catena una minaccia per la salute perché propone junk food e provocherebbe
aumento di peso e cancro.
Ciò manifesta una totale sfiducia nei confronti del sistema politico, scientifico e
industriale e invita a realizzare un’azione di mobilitazione e contro-informazione che
consenta di aprire gli occhi sulla reale qualità e sicurezza dei prodotti di consumo.
La messa in atto di leggende metropolitane è una forma di boicottaggio implicito.
Capitolo 11.
Il nome Salsiccia di Bra è attribuito esclusivamente al prodotto che corrisponde a
determinati requisiti stabiliti nel disciplinare di produzione (carne di vitello e grasso
suino). Si tratta dell’unica salsiccia di vitello consentita in Italia.
La salsiccia di Bra ha un disciplinare di produzione rigido.
Le carni devono essere di mucca piemontese ed è composta da carne magra di
vitello, grasso di maiale (20-30%) insaccata nel budello naturale di agnello.
La composizione della salsiccia di suino normalmente è composta da molto grasso,
quella di Bra è molto meno grassa. La ricetta è segreta.
È prodotta in Italia grazie ad un decreto dei Savoia che proibiva la creazione di
salsiccia di bovino ad eccezione del comune di Bra. Normalmente si consuma cruda
e nel caso deve essere conservata entro un paio di giorni a meno che non si desideri
conservarla sottovuoto o tramite congelamento o abbattimento.
Quotidianamente sono prodotti 500kg di questo prodotto che non vengono esportati.
Sono tra gli 80 e i 100 le bestie che vengono ammazzate a settimana.
I bovini devono essere certificati perché si dimostri che sono nati in zona.
Nel 2003 a tutela del prodotto è nato il Consorzio Tutela e Valorizzazione della
Salsiccia di Bra. La forma è cilindrica allungata dal diametro di 2-3 cm, impasto ben
bilanciato, compatto e tenero.
La salsiccia si può utilizzare come più ci piace ( primi, aperitivi etc ).
In particolare, al Salone del Gusto di Torino del 2010 è nato questo panino formato
da pane a lunga lievitazione, formaggio di alpeggio, lattuga e salsiccia.
Per lo strudel invece si tratta di una sfoglia ripiena di salsiccia, porro di Cervere e
fonduta di Raschera.
La salsiccia è Kosher?
All'inizio si pensava che la salsiccia di Bra fosse nata per soddisfare le esigenze
della comunità ebraica di Cherasco. Non sarebbe comunque kosher perché ha
del grasso di maiale.
La leggenda però vuole che all'inizio fosse prodotta con pane immerso nel latte, ma
non sarebbe comunque kosher perché c'è il divieto di mescolanza latte carne.
Perché sia kosher servirebbe il grasso d'oca, ma non ci sono prove che sia stata
prodotta così.
A Bra è nato lo Slow Food da un'intuizione di Petrini.
È anche uno dei quattro comuni fondanti del movimento Città Slow: città che
condividono l'ideale di miglioramento della città, dell'accoglienza, dei servizi e
della qualità della vita.
Fa parte del bacino del Roero e le sue attività economiche sono mutate nel corso del
tempo. Lo sviluppo turistico della zona è andato di pari passo con il miglioramento
delle strutture alberghiere e della diffusione dell'enogastronomia.
Ad oggi conosciamo anche la manifestazione Cheese.

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