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San Francesco d’Assisi

e il Crocifisso di San Damiano

Schede per approfondire e riflettere

La Storia del Crocifisso di San Damiano


Il Crocifisso di san Damiano è un’icona, dipinta da un anonimo artista (probabilmente un monaco
che viveva nella zona di Assisi) tra il 1000 e il 1050 d.C., prendendo ispirazione dai Vangeli
canonici e dalla tradizione della Chiesa. Quella croce venne poi collocata nella chiesetta di san
Damiano, fuori le mura di Assisi.
Davanti a quella croce il giovane Francesco pregava: “Altissimo glorioso Dio, / illumina le tenebre
de lo core mio / e damme fede retta, speranza certa e caritade perfetta, / senno e cognoscemento,
Signore/ che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen” (FF 276)
Davanti a quella croce, nel 1206 il giovane Francesco d’Assisi percepì l’invito a “riparare la sua
casa”. Il Crocifisso rimase a san Damiano contemplato, custodito e invocato da Chiara e dalle sue
sorelle, finché visse santa Chiara (1253). Quando, nel 1257, le clarisse si trasferirono all’interno
delle mura di Assisi, il crocifisso venne portato in città, nella basilica di santa Chiara, dove si trova
tutt’ora.
Nella Settimana Santa del 1957 venne mostrato al pubblico per la prima volta sopra il nuovo altare
nella cappella di San Giorgio nella Basilica di Santa Chiara d'Assisi. Da allora questa immagine ha
avuto una diffusione imprevedibile e straordinaria.

L'Icona del Cristo


L’icona non è un’immagine decorativa qualsiasi, ma una autentica raffigurazione visibile del
mistero invisibile. È una forma di presenza che aiuta a vivere l’incontro salvifico con Dio. Essa
mette in contatto col mistero attraverso la via della bellezza. Nel dipingere l’icona l’iconografo
presta la sua arte a Dio e si fa docile strumento dello Spirito, perché l’immagine dipinta non sia
affermazione dell’uomo ma dono di Dio. Infine per raffigurare il mistero, l’iconografo deve cercare
di offrire una corrispondenza tra la verità di fede e l’immagine, restando sempre dentro il solco
della tradizione della Chiesa. Per questo, prima di dipingere medita i testi della Parola di Dio, quelli
della grande tradizione della Chiesa e quelli della Liturgia.

Anche l'icona di San Damiano permette di vivere questo incontro personale con il Cristo Figlio di
Dio che si è fatto uomo, che ha condiviso la nostra vita, è entrato nel mistero della nostra morte per
aprirci la via della vita di Dio, con Dio e in Dio. Il Crocifisso contiene la professione di fede
pasquale nel Cristo che si è fatto obbediente fino alla morte di Croce, che è risorto ed è stato
innalzato nella gloria del Padre.

Guardando il Crocifisso con uno sguardo d’insieme dall’alto in basso, possiamo immaginare il
senso complessivo di quest’opera in un invito all’adorazione, che si ispira ai cantici che troviamo
nella lettera di san Paolo ai Filippesi (2,9-10) e nell’Apocalisse (5,13). Poiché il Figlio di Dio si è
incarnato, fatto servo e disceso nel mistero della morte, “per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il
nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei
cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio
Padre” (Fil 2,9-10).
In alto, gli angeli adorano il Cristo innalzato, che entra nella gloria del Padre. In basso coloro che
sono morti adorano il Signore della vita che li richiama alla vita. Nella fascia centrale i personaggi
della storia, che partecipano all’ora della crocifissione, adorano il Figlio obbediente, che morendo
dona la vita. E noi che ci troviamo di fronte alla raffigurazione di questo mistero d’amore siamo
invitati a fare altrettanto, a lasciarci coinvolgere in questo movimento di adorazione, a piegare le
nostre ginocchia e riconoscere che senza la sua morte in croce la nostra vita e la nostra morte
sarebbero senza speranza, mentre alla luce della sua morte e risurrezione diventano passaggio “da
questo mondo al Padre”, un lasciare la dimora terrena per ricevere in dono quel posto che Gesù è
andato a preparare per noi, per prenderci con sé per tutta l’eternità.

Di fronte a questo Crocifisso anche noi siamo invitati a ravvivare la nostra fede, proprio come ha
fatto San Francesco. Il Cristo in croce, è raffigurato nel suo mistero di amore per la Chiesa, che Egli
ama come sua Sposa, per la quale dona la propria vita. Non è quindi sorprendente che quest'icona
abbia rivolto al giovane Francesco d’Assisi un invito ad amare: "Non vedi che la mia casa cade? Va'
e riparamela!"

Nella presentazione dell’icona viene seguita l’interpretazione di Mons. Crispino Valenziano, che
analizza a fondo le fonti iconologiche (i testi biblici, patristici e liturgici) alle quali si è ispirato il
pittore del Crocifisso di san Damiano. In parte viene seguita anche la lettura dell’icona di Tomas
Jank.
Ripara la mia casa
Agli inizi della conversione di san
Francesco troviamo tre incontri
significativi: quello con il lebbroso, quello
con il Crocifisso di san Damiano e quello
con il Vangelo. In questo primo articolo ci
fermiamo riflettere sull’incontro con il
Crocifisso di san Damiano, avvenuto
proprio 800 anni fa.

Nella Basilica Superiore di san Francesco in


Assisi possiamo ammirare una serie di episodi
della vita del Serafico Padre, tratti dalla Leggenda
Maggiore di san Bonaventura e magistralmente
affrescati da Giotto. Tra questi troviamo
l’episodio del colloquio con il Crocifisso di san
Damiano. La chiesetta è raffigurata come semi
diroccata, il giovane Francesco è in preghiera davanti al Crocifisso collocato proprio sopra l’altare.
L’atteggiamento è estatico, come di chi sta accogliendo una parola speciale, una parola di chiamata.

Un incontro che cambia la vita


Che cosa avvenne realmente nell’autunno del 1205 o nella primavere del 1206 a san Damiano, fuori
le mura di Assisi, davanti a quel Crocifisso? I biografi ci raccontano quell’incontro e quella
chiamata collocandola al centro di altri due incontri, attraverso i quali si fa più chiaro nel cuore e
nella mente di Francesco quale sia il senso profondo della sua vita e quale sia la proposta che l’
«altissimo, glorioso Dio» gli sta facendo. Con un linguaggio asciutto e privo di commenti la
Leggenda dei tre compagni (FF 1407-1409) racconta anzitutto la vittoria del giovane sul proprio
egoismo e sulle proprie paure. È la vittoria che avviene quando davanti al lebbroso, il giovane
Francesco – anziché scappare come di consueto –si ferma, lo accoglie come persona, lo abbraccia
iniziando una frequentazione che lo porterà al superamento dell’egoismo e a un profondo
cambiamento interiore. Nel suo Testamento Francesco ricorderà quell’incontro come l’incontro
decisivo, l’incontro della conversione, l’incontro che gli ha cambiato la vita (FF 110).

“Non vedi che la mia casa sta crollando?”


Subito dopo l’autore della Tre Compagni
racconta l’incontro con il Crocifisso di san
Damiano (FF 1410-1411). È un incontro che
avviene in un clima di preghiera. Possiamo
immaginare questo giovane poco più che
ventenne, in ginocchio, proprio come ce lo
raffigura Giotto, mentre interiormente ripete:
“Altissimo, glorioso Dio, illumina le tenebre de
lo core mio”. Una preghiera che sgorga dal cuore
e che affiora sulle labbra, ripetuta con insistenza
e con fiducia profonda, nella certezza che una
luce dall’Altissimo verrà. Una luce che illuminerà non solo il suo cuore ma tutta la sua vita,
offrendogli un orientamento e una direzione sicura. Quanto durò quella preghiera? Non ci è dato
saperlo. Sappiamo però che fu ascoltata e il Crocifisso gli aprì gli occhi e gli orecchi del cuore:
“Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restaurala per me”. La risposta di
Francesco fu pronta: “Lo farò volentieri, Signore”. Annota l’autore della Leggenda che il giovane
“per quelle parole fu colmato di tanta gioia e inondato da tanta luce, che egli sentì nell’anima che
era stato veramente il Cristo crocifisso a parlare con lui” (FF 1411). Questo incontro col Crocifisso
non verrà ricordato da Francesco nel Testamento, vi farà invece allusione Chiara (FF 2826), che
davanti a quel Crocifisso trascorrerà la propria vita, contemplandone il mistero e attingendovi luce e
amore fino all’ultimo respiro. Quell’incontro sarà comunque importante per il giovane Francesco
per iniziare a comprendere il senso della propria vita dentro il colloquio col Cristo che per amore
nostro sì è donato interamente. E sarà importante per scoprire la chiamata di Dio come una realtà
costruttiva e progressiva. Cominciando con il fare quel che aveva capito – vale a dire restaurare
materialmente alcune chiese tra il deteriorato e il diroccato – Francesco pian piano capirà quel che
realmente era chiamato a fare: dare il proprio contributo al rinnovamento della Chiesa.

“Questo io desidero con tutte le mie forze!”


Ed ecco allora il terzo incontro di capitale importanza, quello decisivo: l’incontro col Vangelo,
durante la Messa alla Porziuncola (FF 1427-1428). Dopo aver ascoltato le parole di Gesù che invia i
suoi discepoli ad annunciare il Vangelo, Francesco si immedesimerà in quelle parole: “È proprio
quello che bramo realizzare con tutte le mie forze!”. Sarà quel vangelo a chiarirgli come dovrà
riparare la Chiesa voluta dal Crocifisso, nata da quel costato trafitto, nata da quell’essersi fatto servo
per riconciliare con Dio, nel proprio sangue, l’intero universo. Francesco diventerà perciò uomo di
Vangelo e Vangelo vivente: povero come il Cristo e la madre sua poverella e gli apostoli,
annunciatore di pace in opere e parole, costruttore di relazioni fraterne che nascono da un cuore
riconciliato e dal lasciarsi attrarre dall’unico Signore, desiderando di piacere solo a Lui.

Anche noi in preghiera davanti al Crocifisso


Nel corso di quest’anno cercheremo di entrare sempre più nel mistero di quell’incontro avvenuto
otto secoli fa, cercheremo di cogliere anche i contenuti spirituali di quel Crocifisso che ha così
amabilmente colloquiato con Francesco. Cercheremo inoltre di metterci anche noi davanti a quel
Crocifisso, con la stessa insistente preghiera: “Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core
mio”. Con la stessa disponibilità a fare volentieri quel poco o quel tanto che il Crocifisso ci darà di
comprendere! Un passo alla volta: per arrivare lontano, per trovare il nostro posto nel cuore di Dio,
per dare il nostro contributo a riparare oggi la Chiesa in cui viviamo, per scoprire quello che il
Crocifisso chiede a ciascuno di noi.

La peregrinatio del Crocifisso di san Damiano


A partire dalla primavera del 2006, fino alla primavera del 2008 una copia autentica del Crocifisso
di san Damiano, benedetta dal Ministro generale dell’Ordine dei frati minori, passerà anche per le
nostre comunità:
 per incontrare i desideri e i sogni degli uomini e delle donne di oggi, specialmente dei
giovani;
 per aiutarci a scoprire che la vita ha un senso, che siamo amati da Gesù, che ha dato tutto se
stesso per noi;
 per lasciarci coinvolgere in questa missione di riparare la casa del Signore.
Quel Crocifisso giungerà anche nella tua valle, nel tuo decanato, forse nel tuo paese, aiutaci a fargli
incontrare il maggior numero possibile di persone, e aiutaci a far sì che il maggior numero possibile
di persone si inginocchino davanti a quel Crocifisso, lasciandosi trafiggere dal suo amore e
coinvolgere nella missione che Lui propone.
Ogni giorno ritagliati qualche minuto di preghiera silenziosa davanti
all’immagine del Crocifisso di san Damiano e prega con fede:

Altissimo glorioso Dio,


illumina le tenebre de lo core mio
e damme fede retta, speranza certa e carità perfetta,
senno e conoscimento, Signore,
che io faccia lo tuo santo e verace comandamento.
Illumina el core mio
La preghiera del giovane Francesco davanti al
Crocifisso di san Damiano contiene un inizio di
apertura al progetto di Dio e un itinerario di
cammino spirituale. Gli spunti che offre ai
credenti di ogni epoca sono utili anche per noi,
per impostare su basi solide la nostra vita
cristiana e le nostre scelte.

L’antica biografia nota sotto il nome di “Leggenda dei


Tre Compagni” – raccontando il cammino personale di
ricerca del giovane Francesco – dice che egli “insisteva
nella preghiera perché il Signore gli indicasse la
propria vocazione” (3Comp 10, FF 1406). La medesima
biografia ci ricorda che “mentre passava vicino alla
chiesa di San Damiano, gli fu detto in ispirito di entrarvi a
pregare. Andatoci, prese a fare orazione fervidamente
davanti a un’immagine del Crocifisso …” (3Comp, 13, FF
1411). Le fonti ci tramandano anche la formula nella
quale si condensava questa insistente preghiera al Signore, si tratta del più antico testo francescano
giunto fino a noi e contenuto negli “Scritti” di san Francesco: “Altissimo glorioso Dio, illumina le
tenebre de lo core mio e damme fede retta, speranza certa e carità perfetta, senno e conoscimento,
Signore, che io faccia lo tuo santo e verace comandamento” (Preghiera davanti al Crocifisso: FF
276).
Cosa significa questa preghiera? Che cosa stava chiedendo il giovane Francesco? E cosa può
significare per noi oggi pregare con quelle stesse parole.

Altissimo, glorioso, Dio


Come ogni preghiera autentica anche questa prende avvio dalla contemplazione di Dio. Il giovane
Francesco, pur essendo appena agli inizi della sua conversione, ha imparato a non rimanere
ripiegato su se stesso e sul proprio io, ma ad alzare lo sguardo per fissarlo in Dio. È in questo modo
che lo scopre di fronte a sé “altissimo e glorioso”, vale a dire infinitamente grande e luminoso. Ma è
la grandezza e la luminosità del Crocifisso quella che sta contemplando! È la grandezza di chi si è
umiliato fino a diventare il servo crocifisso ed è la luminosità dell’amore che arriva a donare la vita.
Perciò si mette con fiducia e verità davanti a quel Crocifisso e prega: “illumina le tenebre de lo core
mio”. È consapevole che non sarà in grado di superare l’oscurità in cui si trova senza la luce e
l’aiuto che di lì promana.
In quali tenebre si trova il giovane Francesco? Ce lo chiediamo più che legittimamente. Si tratta
delle tenebre di chi sta cercando con tutto se stesso di comprendere qual è il significato profondo
della sua vita? Certamente. Può trattarsi delle tenebre di chi desidera capire quale forma di vita è
chiamato a scegliere? Sembra proprio di sì. Sono forse anche le tenebre di chi sta scoprendo il
bisogno di una profonda purificazione del cuore e della vita, di chi ha bisogno di essere in qualche
modo strappato dalle tenebre del peccato? Probabilmente anche di questo, dato che lo stesso
Francesco avrà sempre una viva percezione che la sua chiamata è stata l’esemplare chiamata a
conversione di un peccatore nel quale Dio ha voluto manifestare la sua misericordia (Fioretti 10, FF
1838).

Fede, speranza e carità


Subito dopo aver chiesto luce, Francesco chiede in dono le tre virtù teologali: fede, speranza e
carità. Sono virtù che Dio infonde nel cuore dei fedeli come dono di grazia attraverso il battesimo e
la partecipazione del dono dello Spirito santo. Il giovane orante le chiede qualificandole però con
tre aggettivi estremamente significativi. La fede richiesta è una fede retta, vale a dire quella fede che
viene trasmessa all’interno della Chiesa e permette di incontrare Cristo e il suo Vangelo in modo
autentico, senza deviazioni, senza interruzioni e senza impoverimenti. La speranza è una speranza
certa, cioè la speranza cristiana, quella che si fonda sulla certezza data dal Cristo crocifisso e
risorto, promessa e primizia della pienezza di vita che anche a noi è donata fin dal battesimo ed è
premessa di vita eterna e risurrezione. La carità è perfetta, ossia un amore di totale pienezza e
gratuità, un amore che arriva fino al dono di sé, fino al perdono del nemico, fino al recupero del
peccatore: ancora una volta si tratta dell’amore manifestato proprio dal Cristo in croce.

Senno e cognoscimento
Le ultime richieste contenute nella preghiera davanti al
Crocifisso riguardano il “senno e conoscimento” per fare il
“santo e verace comandamento” di Dio. Che cosa significano?
Secondo fra Daris Schiopetto, studioso di spiritualità francescana
("Va' e ripara la mia casa...". Lettura spirituale dell'itinerario
vocazionale di Francesco d'Assisi, L.I.E.F., 2005) sono meglio
comprensibili se lette come un “completamento”, da parte del
giovane Francesco, della preghiera davanti al Crocifisso dopo
aver ricevuto la chiamata a riparare la chiesa. Cosa
significherebbero allora? Che dopo aver ricevuto l’invito a
riparare la casa del Signore e aver dato la propria generosa
disponibilità, Francesco chiede una maggior capacità di passare
da un’adesione interiore alla chiamata di Dio a un’adesione
vitale, esistenziale e pratica. È come se il giovane Francesco – nel suo intimo dialogo col Signore –
gli stesse dicendo: “Farò molto volentieri quello che tu mi chiedi, Signore, e tu aiutami a capire
bene quel che mi stai chiedendo e a farlo concretamente”.

Proviamo a fare nostra la stessa preghiera


Dopo aver riflettuto sulla preghiera del giovane Francesco e sul significato che poteva avere in quel
preciso momento della sua vita è bene che ci chiediamo che significato può avere per noi pregare
con le stesse parole. Anche per noi – pur nella sua brevità – questa formula di preghiera è molto
educativa:
1. Ci pone davanti a Dio insegnandoci che per pregare bene occorre fissare lo sguardo su Dio e
cogliere qualche tratto del suo volto (“Altissimo, glorioso”, poi – maturando – lo scopriremo
anche “onnipotente, eterno, giusto e misericordioso” oppure “altissimo, onnipotente e
buono” o ancora “santissimo Padre nostro”).
2. Ci pone davanti a Dio così come siamo in verità, con il nostro cuore tenebroso, con le nostre
zone d’ombra bisognose di una luce spirituale capace di purificarci, di orientarci, di aiutarci
a capire cosa siamo chiamati a fare nella vita e della vita.
3. Ci pone davanti a Dio con richieste essenziali per vivere un’autentica vita cristiana: fede
retta in una cultura della fede “fai da te”, speranza certa in un tempo di oblìo della speranza
e carità perfetta in un mondo che privilegia il perfetto egoismo.
4. Ci pone davanti a Dio con un costante orientamento esistenziale e pratico, per cui non ci
basta più capire quel che Dio vuole, ma vogliamo viverlo, farlo, realizzarlo.

Se entriamo nello spirito di questa piccola e semplice preghiera impariamo a sottoporre alla luce di
Dio anche i nostri progetti e desideri, smettiamo di strumentalizzarLo perché ci faccia raggiungere i
nostri obiettivi e impariamo che la vita è apertura all’imprevisto e all’imprevedibile. È apertura al
sogno di Dio! E allora anche noi possiamo cominciare a rimboccarci le maniche per restaurare la
Chiesa di Dio della quale siamo parte.
Con la tua santa croce hai redento il mondo.
Dopo aver colto il contesto di vita e di preghiera in cui avviene il colloquio tra il
Crocifisso di san Damiano e il giovane Francesco d’Assisi è giunto il momento di
cominciare a “leggere” i significati contenuti in questa particolare raffigurazione
della croce. Essa fu dipinta con la tecnica dell’icona verso il 1050 d.C. da un
anonimo artista, probabilmente un monaco, e presenta una meditazione profonda e
articolata del mistero pasquale di nostro Signore Gesù Cristo. Da questo momento
san Francesco porterà sempre nel cuore questo mistero d’amore, e col dono delle
stimmate (settembre 1224) lo porterà – indelebile – anche nella carne.

Per affrontare in modo adeguato i significati del crocifisso di san Damiano è utile richiamare
brevemente che cos’è un’icona sacra. È un’immagine che viene dipinta da un artista con
l’intenzione di trasmettere in modo autentico qualche aspetto della fede della Chiesa, per aiutarci a
pregare, meditare e vivere con fede. L’icona ha lo scopo di aprire una finestra sul mistero del Dio
invisibile, a partire dal fatto che Egli si è reso visibile in Gesù Cristo. In un modo tutto speciale
vuole perciò metterci alla presenza del mistero di Dio, perché ci possiamo accostare a Lui passando
dalla percezione sensibile alla percezione del cuore. Chi dipinge un’icona sacra, sa di essere un
semplice strumento nelle mani dello Spirito Santo, che guiderà la sua mano, perché attraverso
quell’immagine possa trasparire qualche tratto del volto invisibile di Dio, qualche raggio della sua
bellezza meravigliosa e trasformante. Perciò prima di dipingere un’icona sacra, occorre mettersi in
preghiera, meditare sui testi sacri, cercare la via della docilità allo Spirito. Lo stesso vale per chi si
mette di fronte all’icona: ne coglierà il senso solo se sarà disposto a pregare in modo prolungato lo
Spirito, a meditare sui testi sacri e sui misteri raffigurati. Nella riflessione che seguirà ci fermiamo
sulla figura del Cristo, che occupa il centro del crocifisso e attira immediatamente il nostro sguardo.

Bilancia del grande riscatto


Ciò che immediatamente colpisce chi si ferma a
contemplare questa immagine, è il volto di Gesù
sereno e disteso, i suoi occhi aperti e grandi. Perché
questi occhi grandi che ci guardano? Si tratta di un
modo molto antico di raffigurare il volto di Gesù,
elaborato dai cristiani dell’Egitto, che hanno voluto
rappresentare così il buon pastore dagli occhi grandi,
che veglia sul suo gregge, che dà la vita per le sue
pecore ed è al tempo stesso il giudice che tutto
conosce e giudica con una misericordia straordinaria,
frutto dell’aver condiviso la nostra vita fino in fondo.
Le braccia di Gesù sono dipinte in modo tale da fare
del suo corpo crocifisso la “bilancia del grande
riscatto, che tolse la preda all’inferno” (Venanzio
Fortunato, sec. VI), l’occhio sinistro di Gesù è l’ago
della bilancia e le sue mani i piatti della medesima.
Col dono di sé per amore nostro e del Padre suo,
continuamente Gesù riporta equilibrio nella nostra
vita, perché il male ed il peccato non abbiano mai un
peso maggiore del bene e dell’amore. Ecco in cosa consiste il suo giudicare con misericordia, ecco
in cosa consiste la “giustizia di Dio” o “il giudizio che giustifica”.
Quel volto poi è coronato da un’aureola particolare: è piena e dorata, per indicare la sua
divinità; al suo interno è tracciata una croce, per dirci che si tratta del Figlio divenuto
servo sofferente, umiliato fino alla morte di croce per caricarsi i nostri peccati e salvarci;
e all’interno della croce contiene un simbolo geometrico (quincus) ripetuto tre volte, tipico della
regalità, per dire che è il Messia venuto a inaugurare il Regno di Dio. Infine sei ciocche di capelli
poggiano sulle spalle del Crocifisso, per ricordarci i sei giorni della creazione: nel mistero della
croce di Gesù è tutto il creato ad essere rinnovato, comincia un mondo nuovo, una nuova creazione,
cieli e terra nuova, una nuova umanità.

Sorgente di vita nuova


Guardando ancora a quel corpo appeso in croce veniamo colpiti da tanta abbondanza
di sangue che esce dalle ferite alle mani ed ai piedi, come pure da quella sorgente di
acqua e sangue che si apre sul lato destro del costato di Gesù. Se vogliamo
comprendere la ricchezza di questo simbolismo occorre che leggiamo con attenzione
il vangelo secondo Giovanni, specialmente il capitolo 19, che ci parla della
crocifissione di Gesù, ma anche i richiami ad altri passi dello stesso vangelo e dei
Profeti, che quel capitolo evoca.
Scopriamo allora che dal costato trafitto di Gesù escono sangue ed acqua, con tutto ciò che l’acqua
e il sangue indicano nella Scrittura e in san Giovanni. Evocano il “rinascere dall’acqua e dallo
Spirito” e la “sorgente dello Spirito”, cioè il dono del battesimo e dello Spirito che ci risanano e ci
fanno rinascere figli di Dio. Evocano il sangue di Gesù che è “vera bevanda”, che è il vino nuovo e
sovrabbondante delle nozze messianiche, delle nozze dell’Agnello immolato, cioè il dono
dell’Eucaristia.
Il costato aperto evoca inoltre – secondo Giovanni – il mistero del Re innalzato che attira tutti a sé e
il mistero dell’Agnello pasquale, al quale non viene spezzato alcun osso. Evoca ancora il costato
aperto del primo Adamo, dal quale viene tratta la Donna sua sposa, e così nel mistero della croce,
dal costato aperto di Gesù Cristo viene tratta la nuova Eva, la Chiesa, madre dei credenti, la Sposa
del Cristo. Nascita della Chiesa, dono dei sacramenti, tutta la vita cristiana sgorga dal mistero
pasquale, dal mistero di Gesù che dona tutto se stesso per amore. E, contemplando quel costato
aperto e meditando e pregando, possiamo scoprirvi molti altri significati per la nostra vita…

Servo obbediente
Portiamo poi il nostro sguardo sul “gonnellino” che cinge i fianchi del
Crocifisso, retto da una cordicella. Che cos’è? Cosa significa? Ancora una
volta viene in nostro aiuto san Giovanni, ricordandoci che, durante l’ultima
cena Gesù si alzò da tavola, si cinse un grembiule-asciugatoio e cominciò a
lavare i piedi dei discepoli (Gv 13). Quel grembiule, indossato nell’ultima
cena, identifica in Gesù il Servo del Signore, intravisto e annunciato dal
libro di Isaia. Quel grembiule, indossato nell’ultima cena e rimasto come
unica veste del Crocifisso, è il segno inequivocabile che il servizio di Gesù
consiste nel dare la vita per noi, il suo “lavare i nostri piedi” è un farsi carico
delle nostre infermità e dei nostri peccati, delle nostre fragilità e di ogni
nostro male, prendendo tutto su di sé e inchiodando per sempre sul legno
della croce, tutto ciò che abbruttisce la nostra vita.
Alla luce di questo Crocifisso comprendiamo perciò cosa vuol dire il Nuovo
Testamento (Lettera agli Ebrei) quando dichiara che Gesù è il Sommo Sacerdote, che ha compiuto
una volta per sempre l’espiazione per i peccati, non col sangue di animali morti, ma col proprio
sangue, cioè col dono della propria vita. E ora e per sempre Egli intercede per noi presso il Padre.
Così attraverso questa raffigurazione ci vien detto che l’autentico servizio cristiano comporta il
donare la vita e il donare la vita si può realizzare in gesti quotidiani di servizio.
Per trasformare la riflessione in preghiera
Prova anche tu a vivere l’incontro con questa icona del Crocifisso come un’occasione preziosa,
che ti viene donata, per lasciarti raggiungere dal volto buono e misericordioso di Gesù, dal
flusso benefico e vitale che sgorga dalle sue stimmate, dall’invito al servizio che Lui incarna.

 Mettiti anzitutto in un atteggiamento di preghiera, invoca lo Spirito e ripeti interiormente “Il


tuo volto, Signore, io cerco, mostrami il tuo volto”.
 Sottoponi allo sguardo buono e dolce di Gesù misericordioso tutto ciò che ti pesa, tutto il
male che avverti presente in te e attorno a te, le fragilità, il peccato. E al tempo stesso
adoralo, riconosci in Lui il Figlio di Dio, il tuo Salvatore, il tuo Signore.
 Contemplando il costato trafitto, ravviva la memoria del tuo battesimo, della tua cresima, del
dono dell’Eucaristia e chiedi al Signore di saperli apprezzare in tutto il loro valore. Ravviva
anche la memoria del tuo matrimonio e chiedi la grazia di saperlo vivere come amore
autentico, fedele, fecondo, concreto nel dare la vita.
 Contemplando Gesù servo, lasciati riempire il cuore di riconoscenza e chiedi anche tu la
grazia di saper amare dando la vita e di dare la vita servendo in modo umile, come Gesù.
 Prega con san Francesco (Test 5, FF 111):
Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti
benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.
Davanti a Lui ogni ginocchio si pieghi
Completiamo in questo numero la lettura dell’immagine di Gesù in croce, cogliendo
quanto ci viene detto attraverso le scene collocate ai piedi della croce e nella parte
alta, nonché attraverso alcuni elementi decorativi a carattere simbolico come i cirri
delle viti e le foglie di acanto che circondano la croce.
La volta scorsa abbiamo cercato di leggere e interpretare qualche aspetto della figura del Crocifisso,
soffermandoci sul volto, coronato della gloria divina, sul corpo divenuto la bilancia del nostro
riscatto, sul costato aperto e le altre stimmate, sulla veste del servo che dona la vita per amore. È
questa evidentemente la figura centrale, quella che occupa il posto principale, la più grande e quindi
la più importante. Sopra il capo di Gesù è collocato inoltre il “Titulus” cioè l’iscrizione che porta il
motivo della condanna: “Gesù Nazareno, Re dei Giudei”. Per Pilato quella scritta è una beffa ai
danni del Sinedrio, per i membri del Sinedrio è causa di irritazione, per noi costituisce la
paradossale proclamazione della regalità del Crocifisso. Ai lati inferire e superiore del Crocifisso
troviamo due scene che gettano una luce ulteriore e rendono ancor più esplicito il significato di
quella morte e dell’investitura regale che quella morte in realtà è.

Colui che discende negli abissi della morte…


Cominciamo con la scena collocata alla base del Crocifisso.
Allo stato attuale è una scena piuttosto rovinata, dove è
possibile scorgere a malapena le sagome di un paio di
personaggi. È anche una scena fisicamente rovinata, in
quanto la tavola – in basso – è stata segata ed accorciata.
Non sappiamo quando, non sappiamo da chi. Che cosa vi
era raffigurato all’origine? Basandosi sulla logica d’insieme
di quanto questo crocifisso ci vuol raccontare, uno dei
massimi studiosi di arte sacra in Italia, mons. Crispino
Valenziano, sostiene che lì era quasi certamente raffigurata
la discesa di Gesù agli inferi.
È il mistero che noi professiamo nel Simbolo apostolico (“discese agli inferi”) e che celebriamo nel
Sabato Santo. È il mistero al quale allude san Pietro quando dice che Gesù nella sua morte “in
spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (1Pt 3,19).
Così fin dall’antichità – all’inizio a Gerusalemme, poi in tutto l’Oriente cristiano e pian piano anche
in Occidente – si cominciò a immaginare (e poi a raffigurare) la discesa agli inferi di Gesù,
dipingendolo nell’atto di scardinare, calpestandole, le porte della morte e nell’atto di prendere per
mano Adamo, Eva e i Patriarchi per richiamarli alla vita e introdurli nel Paradiso perduto.
In modo ancor più semplice qualche altro artista cominciò a raffigurare la croce piantata sopra un
colle (il Golgota) ai piedi dei quali si trova una grotta, la tomba di Adamo, stilizzato nel teschio. E
così questi artisti ci dicono che la morte in croce di Gesù ha un valore universale, che raggiunge
l’intera umanità, dal primo all’ultimo uomo.
Attraverso la scena della discesa agli inferi ci vien
detto che le porte degli inferi sono state scardinate, che
Gesù è entrato nel mistero umano del morire per
liberare tutti noi dalla morte e introdurci nella vita
stessa di Dio.

… e ci porta con sé nella gloria


Alla scena in basso corrisponde, naturalmente, una
scena in alto. Vediamo infatti, sopra la scritta “Gesù
Nazareno, Re dei Giudei”, un cerchio (simbolo della
gloria), all’interno del quale è collocato il Cristo e dal
quale il Cristo fuoriesce. Le vesti del Cristo sono bianche, perché sono le vesti candide dell’Agnello
immolato e risorto, dal quale dalle vesti bianchissime e luminose della luce della risurrezione. La
sua corona porta inscritta la Croce, perché è il crocifisso risorto e innalzato nella gloria. Porta con sé
la croce, non più come strumento di supplizio ma come segno di vittoria. La posizione delle gambe
richiama il Salmo 18,6 che descrive il Sole “come sposo che esce dalla stanza nuziale, e come prode
che esulta mentre percorre la via”. Attorno al Crocifisso risorto e innalzato, le schiere degli angeli lo
accolgono nella gloria del cielo e lo adorano.
Ancora più in alto una lunetta contiene una mano con indice e medio protesi, è la mano del Padre
che guida tutta la storia della salvezza, tutto questo straordinario piano attraverso il quale ha
mandato il suo Figlio ha condividere la nostra vita e la nostra morte per liberare noi dalla morte e
introdurci nella vita. È il Padre, che nel mistero della Pasqua, dopo averci
donato il suo Figlio e averlo ora innalzato alla sua destra, ci dona lo Spirito
Santo (il “dito della destra del Padre” come cantiamo nel “Veni Creator”)
perché la Pasqua si compia anche in noi, nel creato e nella storia, e
finalmente Dio possa essere tutto in tutti e tutto e tutti possano vivere la
pienezza della vita in Lui.
In quella scena in alto, contemplando il Cristo in gloria e il dono dello Spirito, contempliamo allora
la mèta della nostra vita: se Gesù è disceso negli inferi del nostro umano morire è per dischiudere a
noi le porte della casa del Padre, la pienezza della vita, la comunione beatificante dell’amore.

Ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra


Guardando il Crocifisso con uno sguardo d’insieme dall’alto in basso, possiamo allora immaginare
il senso complessivo di quest’opera in un invito all’adorazione, che si ispira ai cantici che troviamo
nella lettera di san Paolo ai Filippesi (2,9-10) e nell’Apocalisse (5,13). Perché il Figlio di Dio si è
incarnato, fatto servo e disceso nel mistero della morte, “per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il
nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei
cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio
Padre” (Fil 2,9-10).
In alto, gli angeli adorano il Cristo innalzato, che entra nella gloria del Padre. In basso coloro che
sono morti adorano il Signore della vita che li richiama alla vita. Nella fascia centrale i personaggi
della storia, che partecipano all’ora della crocifissione, adorano il Figlio obbediente, che morendo
dona la vita. E noi che ci troviamo di fronte alla raffigurazione di questo mistero d’amore siamo
invitati a fare altrettanto, a lasciarci coinvolgere in questo movimento di adorazione, a piegare le
nostre ginocchia e riconoscere che senza la sua morte in croce la nostra vita e la nostra
morte sarebbero senza speranza, mentre alla luce della sua
morte e risurrezione diventano passaggio “da questo mondo
al Padre”, un lasciare la dimora terrena per ricevere in dono
quel posto che Gesù è andato a preparare per noi, per
prenderci con sé per tutta l’eternità.
A completare questo messaggio, sul Crocifisso di san Damiano, troviamo alcuni
elementi decorativi: i cirri della vite, che richiamano la nostra unione a Gesù “vera
vite”; la cornice raffigurante le foglie di acanto, che stanno a simboleggiare la
redenzione attraverso la risurrezione, perché – nella mitologia antica – il cardo spinoso,
si muta in acanto senza spine; infine il gallo o – forse – la fenice a lato della gamba
destra del Crocifisso, emblema rispettivamente del sorgere del sole e della risurrezione.
In questa croce straordinaria, tutto ci parla perciò di quel paradosso
cristiano che è la Pasqua: la vita che scaturisce copiosa dal chicco
di frumento che accetta di morire nel terreno della storia, per
portare frutto nella gloria. Contemplando questo Crocifisso cresce
davvero la nostra fede, si fortifica la nostra speranza e matura la
nostra capacità di amare.
Per trasformare la riflessione in preghiera
Sosta ancora in preghiera davanti al Crocifisso e contemplalo nel suo duplice significato, quello
dell’estremo abbassamento, fino a condividere del nostro vivere anche il nostro morire e quello
del massimo innalzamento, che porta anche noi nella gloria della vita divina.

 Mettiti anzitutto in un atteggiamento di preghiera, invoca lo Spirito e ripeti interiormente


“Nelle tue mani, Signore, affido la mia vita”.
 Chiedi a Gesù di entrare negli inferi del tuo cuore e di ogni cuore per portare apertura alla
misericordia, alla vita e alla speranza. Affida al Signore qualche persona che conosci e che
sta vivendo una prova difficile per la perdita di una persona cara o per la prossimità con la
morte.
 Medita sul senso del vivere e del morire alla luce di quello che ci sta dicendo il Crocifisso di
san Damiano.
 Prega con san Francesco (LFed 61-62; FF 202):
A colui che tanto patì per noi, che tanti beni ha elargito e ci elargirà in futuro, a Dio, ogni
creatura che è nei cieli, sulla terra, nel mare e negli abissi, renda lode, gloria, onore e
benedizione, poiché egli è la nostra virtù e la nostra fortezza, lui che solo è buono, solo
altissimo, solo onnipotente, ammirabile, glorioso e solo è santo, degno di lode e benedetto
per gli infiniti secoli dei secoli. Amen.
Stavano presso la croce di Gesù
Dopo aver esaminato la figura del Cristo in Croce possiamo
cominciare a interpretare i personaggi che si trovano ai lati del
Crocifisso, cominciando da Maria e Giovanni. In un certo senso
essi ci rappresentano e ci aiutano ad assumere l’atteggiamento
del discepolo, del testimone e del credente. Le relazioni tra i
personaggi e il Crocifisso ci aiutano anche ad approfondire il
significato dell’essere Chiesa.

La Madre presso la croce


L’evangelista Giovanni ci racconta (cfr. Gv 19,25ss.) che presso la croce di
Gesù si trovano la Madre, la sorella di sua madre (Maria di Cleofa) e Maria
di Magdala, accanto alla madre si trova anche Giovanni, il discepolo amato.
Quando parla di Maria l’evangelista non ne riporta mai il nome, ma la
qualifica con un titolo oltremodo solenne: “la Madre”. Quando invece è
Gesù a rivolgerle la parola viene chiamata in modo altrettanto solenne:
“Donna”. Evidentemente all’evangelista sta a cuore presentarci il valore
profondo di Maria di Nazaret, il significato che riveste sul piano della fede:
quello di essere la Madre del Verbo incarnato (la Chiesa la saluterà come
Madre di Dio) e quello di essere la nuova Eva, il principio della Chiesa,
dalla quale nascerà l’umanità nuova.
L’autore del Crocifisso di san Damiano, pur ispirandosi al vangelo di Giovanni, la identifica anche
col nome, infatti sotto il personaggio leggiamo “Sancta Maria”. Le mani di Maria sono posizionate
in modo significativo: la mano sinistra sotto il mento indica che sta meditando il mistero del Figlio
crocifisso mentre la mano destra è protesa ad indicarlo, perché il nostro sguardo corra
immediatamente verso di Lui. Lo sguardo di Maria è dialogante con lo sguardo di san Giovanni.
Dipingendo la Madonna in questa posizione il nostro iconografo richiama in modo sobrio quello
che i vangeli ci dicono di Maria: nel Vangelo di Luca ci viene presentata come colei che conserva
nel cuore e medita i misteri di Dio manifestati nel suo Figlio (cfr. Lc 1-2), nel vangelo di Giovanni
ci viene descritta come colei invita i servi a rivolgersi al Figlio fidandosi della sua parola (cfr.
Gv 2); è in questo modo che Maria – alle nozze di Cana – anticipa la fede dei discepoli e apre la
strada alla fede dei discepoli.

E lì accanto il discepolo amato


Quando l’Evangelista racconta la crocifissione di Gesù, descrive la scena e il breve dialogo: “Gesù
allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna,
ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la
prese nella sua casa” (Gv 19,26-27). Nemmeno san Giovanni viene chiamato per nome,
evidentemente per le stesse ragioni per cui non viene chiamata per nome Maria. Attraverso
l’espressione “discepolo amato” ci viene detto qualcosa di ogni discepolo di Gesù, ci viene detto
che essere discepoli di Gesù significa anzitutto essere amati da Lui, con tutto ciò che significa
“amare” per l’evangelista Giovanni. Amare è dare la vita, aveva detto Gesù ai suoi durante l’ultima
cena, ed ora, sulla croce il Maestro vive questo suo insegnamento e dona la vita fino all’ultima
goccia del proprio sangue.
L’autore del Crocifisso di san Damiano ha voluto raffigurare san Giovanni nell’atto di chi indica
(cfr. il gesto indicativo della mano destra) l’amore che Lui ha potuto vedere con i propri occhi e del
quale ora dà testimonianza (cfr. 1Gv). La mano sinistra stringe invece un lembo del mantello ed
esprime in questo modo la sofferenza per la morte di Gesù, si tratta infatti di una morte reale, non di
una messa in scena. Infine lo sguardo di Giovanni si specchia nello sguardo di Maria, che da quel
momento entra a far parte in modo stabile della sua vita.
“Ecco tuo figlio” “Ecco tua madre”
Sotto la croce, Maria e Giovanni non sono posizionati per conto proprio e disgiunti, ma sono
collocati insieme e in relazione (la reciprocità dello sguardo è inequivocabile). Ed è proprio questo
il messaggio che ci dà l’evangelista. Con uno sguardo che comprende sia Maria che Giovanni, Gesù
dice alla propria madre: “Donna, ecco tuo figlio”, e – immediatamente – al discepolo amato: “Ecco
la tua madre!” Dopo questo duplice e reciproco affidamento l’evangelista annota che per Gesù
“tutto è compiuto” (Gv 19,28). Inoltre nella raffigurazione del Crocifisso di san Damiano Maria e
Giovanni si trovano proprio sotto il costato aperto di Gesù dal quale sgorga sangue ed acqua.
Qual è il senso di questa immagine e di questo reciproco affidamento? È un’immagine della Chiesa
intesa come nuova famiglia di Gesù e in modo universale come nuova umanità. Dalla croce Gesù
condivide con noi sua madre. Rendendoci figli di sua madre ne dilata la maternità e ci “adotta”
come fratelli, con tutto ciò che significa: Maria vedrà in ciascuno di noi il volto del suo figlio Gesù,
ma al tempo stesso Gesù vedrà nel volto di ognuno di noi il volto di un fratello. Donandoci sua
madre e chiedendoci di accoglierla come parte della nostra vita ci invita ad accogliere in lei, come
fratello, ogni altro discepolo amato, nel quale Lui si identifica e riconosce. Tutto questo sotto un
costato aperto, da cui sgorga sangue ed acqua: il dono di una nuova nascita dall’acqua e dallo
Spirito, il dono di una vita nuova frutto della comunione al suo Corpo ed al suo Sangue.

Meditare e indicare il mistero dell’amore, realizzare con Maria la famiglia di Gesù


Tenendo conto di quanto abbiamo semplicemente accennato nel tentativo di lettura dell’icona del
Crocifisso, è bene che tiriamo qualche conclusione che orienti il nostro cammino. Sostando in
preghiera e contemplazione davanti all’immagine di Maria e Giovanni sotto la croce siamo invitati a
interiorizzare gli atteggiamenti espressi da questi due personaggi: la riconoscenza di chi si sente
amato da Gesù che dona se stesso sulla croce, la capacità di meditare e indicare ad altri questo
mistero nel quale si esprime che “Dio è amore” (1Gv 4,8.16.), il “com-patire” col Cristo sofferente
cioè il sentirlo accanto nella sofferenza e il sentirsi accanto a Lui e ad ogni sofferente, il fare
dell’amore manifestato nel Crocifisso l’oggetto della propria conversazione come Maria e
Giovanni.
Sempre soffermandoci in preghiera su questa scena, sentiamo sgorgare dal cuore anche altri
sentimenti: la gioia di far parte di una Chiesa che non è fredda organizzazione burocratica, ma
famiglia nella quale – oltre al Padre celeste – c’è una madre, Maria; c’è un fratello maggiore, Gesù,
che si è fatto servo fino a dare la vita per i suoi amici; ci sono tanti altri fratelli e sorelle, quanti sono
coloro che vengono raggiunti da quel sangue e da quell’acqua che sgorgano dal costato aperto del
Figlio.
Per trasformare la riflessione in preghiera
Prendendo spunto dalla riflessione sosta davanti al Crocifisso contemplando la scena che
comprende Gesù, Maria e Giovanni.

 Esprimi tutta la tua riconoscenza per i doni che questa scena rappresenta (il dono della
Madre, il dono della Chiesa, il dono della fraternità, il dono dell’umanità nuova…).
 Chiedi a Gesù di imprimere nel tuo cuore questo mistero di amore, perché diventi esperienza
viva, oggetto della tua meditazione e della tua conversazione.
 Chiedi la grazia di saper essere testimone del dono di Gesù, dell’umanità nuova, di una
Chiesa che è famiglia e fraternità.
 Prega con san Francesco (Sal Virg 1-5; FF 259):
Ave Signora, santa regina,
santa genitrice di Dio, Maria,
che sei vergine fatta Chiesa
ed eletta dal santissimo Padre celeste,
che ti ha consacrata
insieme col santissimo suo Figlio diletto
e con lo Spirito Santo Paraclito;
tu in cui fu ed è
ogni pienezza di grazia ed ogni bene.
Ave, suo palazzo,
ave, suo tabernacolo,
ave, sua casa.
Ave, suo vestimento,
ave, sua ancella,
ave, sua Madre.
Lo avevano seguito fin dalla Galilea
Attraverso le figure della Maddalena e di Maria madre di Giacomo, anche noi ci
mettiamo davanti al Crocifisso consapevoli di quanto sia centrale nella nostra vita
l’incontro con Gesù: è nell’incontro con Lui che anche noi siamo liberati dal male
che ci portiamo dentro; è nel seguirlo sulla via del servizio che la nostra vita trova
un senso; è nel sentirci chiamati per nome da Lui Risorto e vivo per sempre, che le
nostre lacrime lasciano il posto alla gioia e alla speranza; è nel lasciarci mandare
da Lui ad annunciarlo risorto che la nostra vita si trasforma in missione, in
testimonianza.
Sul fianco sinistro di Gesù incontriamo una seconda serie di personaggi che ci aiutano a
comprendere il significato della glorificazione del Cristo crocifisso, si tratta di Maria Maddalena, di
Maria madre di Giacomo, del Centurione e di una folla di persone che sbucano proprio dietro la
spalla sinistra del Centurione. Altri due personaggi raffigurati in scala ancor più ridotta si trovano ai
lati estremi: un soldato romano di nome Longino e un servitore del tempio che la tradizione
successiva chiamerà Stefanato.
Sia Giovanni sia i Sinottici (Matteo, Marco e Luca) ci parlano delle donne presenti alla crocifissione
di Gesù. Le donne nominate esplicitamente in Giovanni sono “la madre di Gesù, la sorella di sua
madre Maria di Cleofa e Maria di Magdala” (Gv 19,25); anche san Marco parla delle donne presenti
alla crocifissione, seppur “da lontano” sono quelle stesse donne che lo avevano seguito e servito fin
dalla Galilea ed erano salite con Gesù a Gerusalemme: del gruppo fanno parte “Maria di Màgdala,
Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome” (Mc 15,40), Luca ricorda che erano quelle
“che lo avevano seguito fin dalla Galilea” (Lc 23,49). Vogliamo scoprire il volto di due di queste
donne per imparare anche da loro qualcosa di importante e significativo per la nostra vita di
discepoli del Signore Gesù, il Crocifisso-Risorto che ci apre la via alla comunione col Padre.

Maria di Magdala
Dopo la madre di Gesù, Maria di Magdala è certamente la più famosa delle
“Marie” dei vangeli, al punto che talvolta viene confusa con altri personaggi
femminili, ad esempio con Maria di Betania, sorella di Lazzaro e di Marta (Lc
10,38ss; Gv 11,1) e con la peccatrice che incontra Gesù in casa di Simone il
fariseo (Lc 7,37). Chi era in realtà questa donna? Dal nome stesso sappiamo
che era originaria di Magdala, un paese della Galilea. Leggendo i testi
scopriamo che era divenuta discepola di Gesù dopo essere stata da Lui
“liberata da sette demòni” (Lc 8,2; Mc 16,9), era stata cioè guarita da una
qualche forma di malattia (fisica, psichica o spirituale) molto grave. Doveva
essere piuttosto benestante, perché durante il ministero pubblico di Gesù, lo
assiste con i propri beni, assieme ad altre donne. È sicuramente una donna dal
cuore grande e animata da una grande riconoscenza e da un grande amore nei
confronti di Gesù, al punto da compiere i gesti familiari della sepoltura (Mc
16,1) e da non rassegnarsi alla perdita del suo Maestro e Signore (20,1). Le
sue lacrime sono la manifestazione del grande affetto che prova per Gesù e
sono anche le prime ad essere asciugate dal Risorto, quando la chiama per
nome e si fa riconoscere; sono le prime lacrime a tramutarsi in gioia
incontenibile e contagiosa. È infatti la prima on solo ad incontrare Gesù
risorto ma anche ad essere esplicitamente chiamata ad annunciarlo,
nientemeno che agli apostoli (Gv 20,18).
Maria di Giacomo
L’altro personaggio femminile raffigurato sul Crocifisso di san Damiano è Maria di Giacomo. La
tradizione dei vangeli sinottici ricorda che anch’essa fa parte del gruppo di donne che seguivano
Gesù, lo sostenevano economicamente e collaboravano nel servizio (Mt 27,56; Mc 15,40-41; Lc
8,2-3), le uniche che sono state capaci di seguirlo fin sotto la croce. Marco aggiunge un particolare
interessante, ci fa capire che Maria madre di Giacomo il minore era “sorella” della madre di Gesù
(Mc 6,3), infatti quando cita i nomi dei “fratelli di Gesù”, questi stessi nomi corrispondono a quelli
dei figli di Maria madre di Giacomo. Per la tradizione di Giovanni questa donna va identificata
probabilmente con Maria di Cleofa (Gv 19,25), in questo caso Cleofa è il nome del marito. La
troviamo infine nel gruppo di donne che si recano al sepolcro di buon mattino, il primo giorno dopo
il sabato, per completare le operazioni di sepoltura del corpo di Gesù (Mc 16,1; Lc 24,10). Queste
donne sono le prime a ricevere l’annuncio della risurrezione e sono le prime – seppur non credute –
a trasmettere la testimonianza della risurrezione di Gesù.

Insieme alla sequela di Gesù


Sull’icona del Crocifisso di san Damiano Maria Maddalena e Maria di Giacomo sono collocate
l’una di fronte all’altra, e i loro sguardi dialogano, come quelli della Madonna e di san Giovanni.
Due gesti aiutano a capire il posto occupato dalla Maddalena, ha la mano sinistra appoggiata sotto il
mento, per esprimere l’atteggiamento della contemplazione e della meditazione, stringe nella mano
destra un lembo del proprio mantello, per esprimere la sofferenza per quella perdita e per quella
morte. Con questi due semplici gesti, attraverso la sua figura, ci viene detto che è necessario sostare
in contemplazione davanti al Crocifisso per non banalizzare il significato di questa morte. Ci viene
anche implicitamente ricordato il pianto di Maria di Magdala davanti alla tomba vuota nel mattino
di Pasqua, quando il Signore Risorto la chiama per nome e la fa diventare la prima missionaria. La
figura di Maria di Giacomo è invece raffigurata nel gesto dello stupore, anche lei sta contemplando
Gesù che muore in croce e rimane sorpresa dall’amore che quel morire rivela; anche lei, donna del
seguire e del servire, rimane lì, presso la croce e contempla il Figlio di Dio che si è fatto servo fino
a dare la vita per noi.
Attraverso le figure della Maddalena e di Maria madre di Giacomo, anche noi ci mettiamo davanti
al Crocifisso consapevoli di quanto sia centrale nella nostra vita l’incontro con Gesù: è nell’incontro
con Lui che anche noi siamo liberati dal male che ci portiamo dentro; è nel seguirlo sulla via del
servizio che la nostra vita trova un senso; è nel sentirci chiamati per nome da Lui Risorto e vivo per
sempre, che le nostre lacrime lasciano il posto alla gioia e alla speranza; è nel lasciarci mandare da
Lui ad annunciarlo risorto che la nostra vita si trasforma in missione, in testimonianza.
Per trasformare la riflessione in preghiera
Prendendo spunto dalla riflessione sosta davanti al Crocifisso contemplando la scena che
comprende Gesù, Maria di Magdala e Maria di Giacomo.

 Chiedi la grazia di saper contemplare il Crocifisso e di saper interpretare la tua vita secondo
la sapienza della croce, che è la sapienza dell’amore più grande, la sapienza del dare la vita.
 Chiedi a Gesù di imprimere nel tuo cuore la capacità di com-patire, cioè di soffrire insieme
con Lui, imparando a piangere con chi piange, perché sia Lui a rischiarare ogni pianto con la
luce di Pasqua.
 Chiedi la grazia di saper essere testimone della speranza che può trasmettere solo chi ha
incontrato Gesù risorto e vivo per sempre. Chiedigli di saper trasmettere questa speranza
negli ambienti di vita quotidiana.
 Prega con san Francesco (Par. Pat. 5; FF 270):
Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra:
affinché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando te;
con tutta l’anima, sempre desiderando te;
con tutta la mente, indirizzando a te tutte le nostre intenzioni
e in ogni cosa cercando il tuo onore;
e con tutte le nostre forze,
spendendo tutte le nostre energie e i sensi dell’anima e del corpo
a servizio del tuo amore e non per altro;
e affinché amiamo i nostri prossimi come noi stessi,
attirando tutti secondo le nostre forze al tuo amore,
godendo dei beni altrui come fossero nostri
e nei mali soffrendo insieme con loro
e non recando alcuna offesa a nessuno.
Sotto la croce per scoprire chi è Gesù
Sotto la croce troviamo un personaggio particolarmente
significativo, il centurione romano che per primo va oltre la
superficie dei fatti e riconosce chi è quel condannato a morte, che
passa sotto il nome di Gesù di Nazaret: “Veramente quest’uomo era
figlio di Dio”. Dietro la spalla sinistra del Centurione quattro teste
mettono in scena in forma stilizzata le folle rimaste sullo sfondo
come spettatrici della crocifissione. Esse stesse sono trasformate da
quell’evento e tornano a casa percuotendosi il petto, cioè
sperimentando la conversione come cambiamento del cuore.

Il Centurione.
Oltre alla presenza delle donne, di Maria e di Giovanni, i vangeli raccontano che
presso la croce si trova anche un centurione romano, identificabile con
l’ufficiale di guardia che viene poi interpellato dallo stesso Pilato circa la morte
di Gesù (cfr. Mc 15,44). È un personaggio tutt’altro che secondario, se
consideriamo che nel racconto di Marco è l’unico a fare una piena e chiara
professione di fede in Gesù: “Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!” (Mc
15,39). Una professione di fede che nasce dall’aver visto Gesù “morire in quel
modo”. La postura del Centurione nell’icona di san Damiano è particolarmente
importante e significativa: sta guardano il Cristo in croce, ha la mano destra in
una posizione che va spiegata, sotto il braccio sinistro tiene un oggetto da
identificare.
Proviamo a entrare nel merito di questi particolari: guardando il Cristo in croce il Centurione
appartiene al numero di quelle persone che Gesù comincia ad attirare a sé, nell’ora in cui viene
innalzato sulla croce, come aveva profetizzato Egli stesso (Gv 12,32). Inoltre, come annota san
Marco (cfr. Mc 15,39), è proprio “vedendo Gesù morire in quel modo” che il Centurione riconosce:
“Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”. Occorre perciò avere il coraggio di stare sotto la croce
con lo sguardo rivolto a Gesù, e occorre andare oltre uno sguardo superficiale, per cogliere il
significato di quella morte e l’identità profonda di quel Crocifisso. Il senso delle parole del
Centurione è poi chiarito dalla posizione della mano destra, che esprime in modo simbolico la
professione di fede cristiana e trinitaria. Infatti con il mignolo e l’anulare ripiegati viene espressa la
fede in Gesù vero Dio e vero uomo, con le altre tre dita aperte viene espressa la
fede nel Dio Trinitario, che si manifesta in modo speciale proprio nella pasqua di
Gesù. Sotto il braccio sinistro il centurione tiene qualcosa, per qualche interprete
tiene in mano un mattone (Picard), per qualche altro (Gallant), più verosimilmente,
tiene in mano il rotolo con la sentenza di morte. Se –seguendo la tradizione antica –
identifichiamo il nostro ufficiale romano con il centurione di Cafarnao, che aveva
costruito la sinagoga del villaggio ed al quale Gesù aveva guarito il servitore in
virtù della sua fede limpida (“Non sono degno che tu entri nella mia casa, ma di’ soltanto una
parola…” cfr. Lc 7,1-10) siamo ancora in presenza di un personaggio che rappresenta la fede:
fede nella parola di Gesù, fede in Gesù vero Dio e vero uomo, fede che sa reggere alla prova della
croce.
Proprio come le donne collocate ai piedi del Crocifisso, anche il Centurione rappresenta perciò una
dimensione ecclesiale fondamentale, quella della Chiesa che professa la propria fede nel Cristo
crocifisso e che annuncia lo scandalo della croce consapevole che lì si manifesta la sapienza di Dio
e la potenza di Dio. Il Centurione ci indica anche l’apertura della Chiesa ai pagani, tema che
ritornerà attraverso la figura di un altro soldato raffigurato sul crocifisso di san Damiano: Longino.
Le folle accorse
Dietro la spalla del Centurione vediamo una sequenza di teste, la prima è
ben delineata e rivolge lo sguardo verso Gesù in croce, le altre tre testoline
sono semplicemente stilizzate. Di chi si tratta? Si tratta delle folle che
accompagnano un po’ tutta la vita pubblica di Gesù, inizialmente accolgono
la sua predicazione con entusiasmo (cfr. Lc 5,15), al suo arrivo a
Gerusalemme lo salutano festanti (Lc 19,35-38), poi tornano in scena al
momento della condanna (Lc 23,4), seguono Gesù sulla via del Calvario, se
ne restano a guardare da lontano e tornano a casa percuotendosi il petto (Lc
23,27.48.). Potremmo definire le folle come un personaggio corale; per certi
aspetti rappresentano l’ambiguità del seguire Gesù come parte di un gruppo,
ma senza un’adesione personale profonda. Ora però questi personaggi
cercano di capire il significato di quella morte in croce e cominciano a
sperimentare un cambiamento interiore autentico, ecco perché torneranno a casa percuotendosi il
petto. In una lettura ecclesiale, le folle ci ricordano che la Chiesa è anche il luogo in cui prendiamo
coscienza di quanto sia ambiguo il nostro seguire Gesù, finché non accettiamo il confronto con la
durezza della croce. Ci ricordano anche che la fede in Gesù non è una “scelta di gruppo” ma
un’adesione personale. In una lettura più personale, ci ricordano l’ambiguità della nostra individuale
sequela, e ci aiutano a capire che dobbiamo mettere a fuoco il nostro sguardo per lasciarci
raggiungere dalla luce che promana dalla croce, in modo tale che quel dono d’amore cominci a
trasformare il nostro cuore di pietra in un cuore autenticamente umano.

Saper rivolgere lo sguardo al Crocifisso


Prendendo spunto dal Centurione romano e dalle folle, anche noi siamo invitati a sostare sotto la
croce, a innalzare il nostro sguardo verso di Lui, a professare la nostra fede in Lui andando oltre le
adesioni dettate da facili entusiasmi ed emozioni superficiali. È solamente stando sotto la croce che
la nostra fede matura, e così la nostra adesione a Gesù diventa anche pubblica professione di fede.
Stando sotto la croce impariamo anche a entrare in un dinamismo di continua conversione: siamo
ben consapevoli della nostra fragilità, dell’incostanza e dell’ambiguità con cui aderiamo al Cristo.
Eppure il Crocifisso continua a operare nell’intimo del nostro cuore, attraverso il dono dello Spirito
Santo, e continua il suo faticoso lavoro per trasformare il nostro cuore e la nostra vita. Così, oggi
stiamo con Lui sotto la Sua croce, domani, staremo con Lui nella “gloria”, cioè partecipando alla
vita stessa di Dio, in quella dimora del Padre, dove Gesù ci ha preceduti per prepararci un posto (Gv
14,2).
Per trasformare la riflessione in preghiera
Prendendo spunto dalla riflessione sosta davanti al Crocifisso contemplando il Centurione e le
folle.

 Chiedi la grazia di saper approfondire e maturare la tua fede proprio riuscendo a stare con lo
sguardo rivolto al Crocifisso, e chiedi di saper trasformare la tua adesione a Gesù in
professione di fede e in testimonianza.
 Chiedi a Gesù la grazia della conversione del cuore, il dono del cuore nuovo, così da non
rimanere imprigionato in un’adesione superficiale e discontinua.
 Prega con santa Chiara (2Let Agn. 21-23; FF 2280):
Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai;
se con Lui piangerai, con Lui godrai;
se in compagnia di Lui morirai sulla croce della tribolazione,
possederai con Lui le celesti dimore nello splendore dei santi,
e il tuo nome sarà scritto nel Libro della vita
e diverrà famoso tra gli uomini.
Perciò possederai per tutta l'eternità e per tutti secoli
la gloria del regno celeste,
in luogo degli onori terreni così caduchi;
parteciperai dei beni eterni, invece che dei beni perituri
e vivrai per tutti i secoli.
Cristo è la nostra pace
Due personaggi più piccoli, Longino e Stefanato, sono collocati ai lati dei
personaggi maggiori raccolti sotto la croce e che abbiamo contemplato nei
precedenti numeri. Per l’autore dell’icona sono certamente personaggi minori, ed è
per questo che li dipinge piccolini e laterali, eppure il loro significato è oltremodo
profondo, essi hanno probabilmente ispirato qualche tratto del cammino e della
proposta spirituale di san Francesco e possono avere una grande carica di attualità
anche per noi.

Longino e Stefanato
Sul crocifisso di san Damiano, rispettivamente sul lato sinistro e destro di chi guarda, accanto a
Maria e al Centurione, troviamo due piccoli personaggi, uno vestito da soldato romano e con la
lancia in mano, l’altro coi tratti distintivi dell’ebreo, all’origine aveva a sua volta una canna in
mano, con in cima una spugna e nell’altra mano il secchiello dell’aceto. Si tratta dei due personaggi
che in Gv 19 svolgono rispettivamente il ruolo di chi disseta Gesù con l’aceto e di chi lo trafigge
per accertarne la morte.
La tradizione apocrifa (Apocrifo di Nicodemo) identifica il soldato che
trafisse il costato di Gesù e lo chiama Longino. Secondo la stessa fonte, si
tratta di un soldato gravemente ammalato agli occhi, che – nel momento
in cui viene raggiunto dal sangue che esce dal costato di Cristo –
riacquista la vista. Immagine molto bella per dire che, solamente se ci
lasciamo raggiungere dal sangue di Cristo crocifisso, cominciamo a
vederci chiaro nella vita. È la vista come metafora della fede. Vale anche
il contrario: finché non ci lasciamo raggiungere da quel sangue, cioè da
quella vita donata, anche se ci illudiamo di aver capito tutto, in realtà
siamo ciechi.
L’ Apocrifo di Nicodemo identifica anche il personaggio vestito d’azzurro
e lo chiama Stefanato. Si tratterebbe di un servitore del tempio di
Gerusalemme, che – inconsapevolmente – nel momento in cui disseta
Gesù compie un gesto di servizio verso il nuovo tempio, come lo stesso Gesù aveva
definito il proprio corpo fin dai primi capitoli del vangelo secondo Giovanni (Gv 2,19).

Incontrarsi ai piedi del Crocifisso


Entrambe i personaggi (un ebreo e un romano) hanno lo sguardo rivolto verso Gesù e i loro sguardi
si incontrano nello sguardo di Gesù. Siamo ancora di fronte a un’immagine ecclesiale di grande
forza, che riecheggia l’insegnamento di san Paolo sul Cristo nostra pace che ha unito in un solo
corpo il popolo della Prima Alleanza e le genti pagane: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha
fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè
l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per
creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con
Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia… Per mezzo di
lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito” (cfr. Ef 2,14-18).
Sotto la croce c’è posto per tutti i popoli, per tutte le lingue, per tutte le culture. La Chiesa che nasce
dalla croce non può essere una chiesa “etnica” ma solo una Chiesa “cattolica” cioè che abbraccia
l’intera umanità. Sotto la croce non c’è posto per i muri che separano, ma solo per ponti che ci
fanno incontrare nello sguardo di Gesù, attraverso la fede e il servizio.

Francesco: un po’ Longino e un po’ Stefanato


Ai tempi del giovane Francesco d’Assisi la storia di Longino e Stefanato era nota, i due personaggi
comparivano di frequente sulle raffigurazioni della crocifissione, la loro storia veniva raccontata dai
predicatori e perfino cantata attraverso componimenti religiosi in versi. È certamente suggestivo
immaginare che il giovane Francesco si sia dapprima identificato nel soldato Longino, la cui vista è
guarita proprio dal sangue del Crocifisso. In fondo è quello che chiede anche il nostro Santo nel
momento in cui prega: “Illumina le tenebre de lo core mio” aggiungendo poco dopo: “damme fede
retta”. E la guarigione della vista spirituale di Francesco coinciderà – paradossalmente – con la
perdita progressiva della vista fisica. Morirà cieco, ma ormai purificato nel cuore, capace di vedere
e adorare continuamente il Dio vivente, capace di guardare con sguardo puro ogni uomo, ogni
donna, ogni creatura. Anche Stefanato, servitore del tempio, diventerà per lui fonte di ispirazione:
dovendo qualificare la propria missione, in più di un’occasione il poverello d’Assisi si definirà
“ministro e servo”, ispirandosi certo all’episodio della lavanda dei piedi, ma anche – forse – a
questo piccolo personaggio del Crocifisso di san Damiano. E parlando di sé amerà definirsi “frate
Francesco piccolino”, collocandosi accanto a questi personaggi “minori”.
Anche la sua costante tensione al dialogo e alla pace, dentro la città come pure tra i popoli, non
nasce forse dall’intuizione che siamo tutti chiamati a lasciarci attirare da “colui che tanto patì per
noi, che tanti beni ha elargito e ci elargirà in futuro” ? (FF202).

Lasciamoci attirare anche noi


Come Longino e Stefanato, come Francesco d’Assisi, collochiamoci anche noi ai piedi del
Crocifisso, così come siamo, nella nostra piccolezza. Con fiducia chiediamo di essere guariti della
cecità spirituale che ci affligge e chiediamo il dono di un cuore puro, di una fede retta. Di una
semplicità profonda. Anche noi facciamoci servitori di Gesù, nuovo e definitivo tempio nel quale è
possibile adorare il Padre in Spirito e verità. Anche noi diventiamo con gioia parte di quel popolo di
Dio che raccoglie tutti i popoli, che non si lascia imprigionare né da gelosie campanilistiche, né da
pregiudizi etnici o razziali: Gesù continua ad abbattere muri, per fare dell’intera umanità un’unica
famiglia, quella dei figli di Dio.

Per trasformare la riflessione in preghiera


Prendendo spunto dalla riflessione mettiti ai piedi del Crocifisso con fiducia.

 Chiedi la grazia di un cuore puro per poter vedere la tua vita, le persone, il mondo con gli
occhi stessi di Dio e per poter vedere e adorare Dio continuamente.
 Chiedi a Gesù la grazia di poterti mettere al suo servizio dissetandolo in chi ha sete…
 Chiedi di poter gustare il dono di appartenere a quel popolo universale che è la Chiesa,
superando anche nella vita di tutti i giorni le tentazioni campaniliste o razziste.
 Medita le parole di san Francesco (LetOrd 12-13; FF 217):
Pertanto, scongiuro tutti voi, fratelli,
baciandovi i piedi e con quella carità di cui sono capace,
che prestiate tutta la riverenza e tutto l'onore che vi sarà possibile
al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo,
nel quale le cose che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra,
sono state pacificate e riconciliate a Dio onnipotente.
Il mistero grande dell’amore di Cristo per la Chiesa
Gli angeli da una parte e dall’altra delle braccia di Gesù, sulle due estremità laterali
del crocifisso, ci richiamano il “mistero grande”, cioè l’amore sponsale di Gesù per
la Chiesa, un amore così grande che lo porta a donare la propria vita per Lei.
Testimoni privilegiati di questo amore e di queste nozze, sono – per la tradizione
cristiana antica – proprio gli angeli, coloro che per primi annunceranno il compiersi
della Pasqua di Gesù.

Gli angeli attorno alle braccia del Crocifisso


Alle estremità delle braccia
della croce, attorno a ciascuna
mano di Gesù crocifisso
possiamo osservare la
presenza di tre angeli. I loro
volti non sono tristi o
piangenti, ma sostanzialmente
sereni e attenti a quanto sta
accadendo. Due stanno
colloquiando e con le mani indicano il Cristo in croce, il terzo angelo osserva e indica il Crocifisso.
Qual è il significato di questi angeli? Un autore del IV secolo, san Gregorio di Nissa, nel suo
Commento al Cantico dei Cantici dice che gli angeli esultano, per essere stati chiamati ad assistere
alle nozze di Cristo con la Chiesa. Sono lì presenti e lodano e ringraziano Dio, perché nel momento
in cui Gesù ha manifestato l’amore più grande, dando la sua vita sulla croce, in quel momento
anche gli angeli, che sono puri spiriti, hanno potuto sperimentare cosa significa avere un cuore, cosa
significa provare il sentimento dell’amore e della gioia. Nella lettera di san Paolo agli Efesini
possiamo trovare la pagina biblica alla quale fare riferimento per comprendere le nozze di Cristo
con la Chiesa. San Paolo, proprio lì dove parla della bellezza e della grandezza del matrimonio
cristiano e dello “sposarsi nel Signore”, afferma:
“E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,
per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al
fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di
simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il
proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in
odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo
membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna
e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla
Chiesa!” (Ef 5,25-32)
L’amore di Cristo per la Chiesa è perciò anzitutto l’amore dello Sposo per la propria Sposa, e – di
conseguenza – l’amore degli sposi cristiani partecipa di questo inesauribile amore e manifesta
questo amore capace di trasformare e risanare il mondo. Ecco il “mistero grande” dell’amore di
Cristo per la Chiesa ed ecco il “mistero grande” dell’amore e del matrimonio cristiano.
La presenza degli angeli sul Crocifisso di san Damiano, non è decorativa, ma è un rinvio a questo
“mistero grande”, a questo grandissimo amore, a questo sacramento pasquale.

La Chiesa nuova Eva


Un altro autore del IV secolo, san Giovanni Crisostomo, ricorda che la Chiesa è nata dal costato
aperto di Gesù crocifisso, proprio come Eva era stata tolta dal costato di Adamo addormentato. E
nel momento in cui viene aperto il costato di Cristo, da questa sorgente inesauribile scaturiscono
sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa, specialmente del battesimo e dell’Eucaristia.
Sangue ed acqua che diventano la “dote”, il dono che il Cristo Sposo fa alla Chiesa sua Sposa
(Valenziano). Anche in questo caso ci viene in aiuto un brano del Nuovo Testamento, più
precisamente il racconto delle nozze di Cana (cfr. Gv 2,1-12). In quel brano si parla di una festa di
nozze, si fa notare che a un certo punto viene a mancare il vino, viene descritta l’intercessione di
Maria e il segno compiuto da Gesù, che non è solo la trasformazione dell’acqua in vino, ma è il
dono di un vino abbondante e migliore, il vino promesso dai profeti per il banchetto nuziale alla
venuta del Messia, il vino che sarebbe stato abbondante e ottimo nel Regno di Dio. Ebbene il vino
che Gesù dona alle nozze di Cana – ci racconta san Giovanni – è solo un segno che anticipa il dono
che Gesù farà quando “giungerà la sua ora”, cioè quando nella sua passione donerà il suo sangue
“vera bevanda per la vita del mondo” (cfr. Gv 6,55). Gli angeli raffigurati sulla croce di san
Damiano diventano – in un certo senso – i ministri di questo dono; nelle raffigurazioni della
crocifissione dei secoli seguenti, questo tratto diventerà sempre più esplicito, vedremo infatti gli
angeli, con un calice in mano raccogliere il sangue che sgorga dal costato aperto di Gesù. Ma anche
in questo caso, quel che ci preme sottolineare, è che la morte in croce di Gesù non viene colta come
la tragedia della sua condanna e della sua morte, ma come il dono d’amore della sua vita.

Anche noi parte della Chiesa Sposa


Contemplando il Crocifisso di san Damiano alla luce del Cantico dei Cantici, della Lettera agli
Efesini e del Vangelo di san Giovanni, ci rendiamo conto che far parte della Chiesa significa far
parte della Sposa amata da Cristo, tratta dal suo costato aperto, per la quale Gesù Crocifisso ha
donato il vino nuovo, il proprio sangue, la propria vita fino all’ultima stilla. Contemplando il
Crocifisso di san Damiano scopriamo che far parte della Chiesa significa vivere nei confronti di
Gesù un amore sponsale, pieno di riconoscenza. Lo stesso san Francesco ci invita a fare questa
esperienza, quando – scrivendo a tutti i fedeli – dice: “Siamo sposi, quando nello Spirito Santo
l'anima fedele si unisce a Gesù Cristo… Oh come è santo, splendido, bello e ammirabile avere un
tale Sposo!” (LFed 51.55; FF 201). Per coloro che sono stati chiamati a vivere il matrimonio
cristiano “sposandosi nel Signore”, l’icona del Crocifisso di san Damiano potrà essere un richiamo
forte ad amare sempre, comunque e fino al dono della vita. Per coloro che sono chiamati a
vocazioni di speciale consacrazione, questa stessa immagine, terrà viva la consapevolezza che la
consacrazione non è la rinuncia all’amore sponsale, ma una manifestazione nel mondo e nella storia
dell’amore della Chiesa per il suo Sposo.

Per trasformare la riflessione in preghiera


Prendendo spunto dalla riflessione mettiti in contemplazione del Crocifisso.

 Chiedi la grazia di vivere dentro la Chiesa consapevole che fai parte di una realtà che nasce
dall’amore di Cristo, che è chiamata a rendere presente questo amore sponsale nel mondo e
nella storia.
 Chiedi a Gesù la grazia di riuscire a vivere la tua vocazione al matrimonio o alla vita
consacrata in modo tale da rendere presente il grande mistero, che è il mistero dell’amore
nuziale manifestato dal Cristo crocifisso.
 Prega per color che faticano a vivere la propria vocazione al matrimonio o alla vita
consacrata, e chiedi al Signore che ottengano la grazia di tornare alla sorgente: al costato
aperto di Gesù, dal quale sgorgano i dono nuziali dell’acqua e del sangue.
 Medita le parole di san Francesco (Rnb XXIII,55; FF 69):
Tutti amiamo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutta la capacità e
la fortezza, con tutta l’intelligenza, con tutte le forze, con tutto lo slancio, tutto l’affetto, tutti
i sentimenti più profondi, tutti i desideri e le volontà il Signore Iddio, il quale a tutti noi ha
dato e dà tutto il corpo, tutta l’anima e tutta la vita; che ci ha creati, redenti, e ci salverà
per sua sola misericordia; Lui che ogni bene fece e fa a noi miserevoli e miseri, putridi e
fetidi, ingrati e cattivi.
Un crocifisso ecumenico
Contemplando il Crocifisso di San Damiano, c’è un aspetto particolarmente attuale e
suggestivo che emerge e sul quale non ci siamo finora soffermati ed è il richiamo
forte all’ecumenismo. È stato Mons. Crispino Valenziano, il grande esperto di arte
sacra e liturgia, ad applicare la definizione di “icona ecumenica” a questa croce.
Ma perché icona ecumenica?

Testimone della Chiesa unita


Il primo motivo per cui questa icona può essere considerata ecumenica è di ordine storico. Quasi
certamente la Croce di san Damiano è stata dipinta prima del grande scisma tra l’Oriente e
l’Occidente cristiano, consumatosi nel 1054 attraverso la reciproca scomunica tra papa Leone IX e
il patriarca di Costantinopoli Michele I Cerulario. Il Crocifisso di san Damiano è perciò portatore
della spiritualità della Chiesa unita, è testimone di un’epoca in cui l’Oriente e l’Occidente cristiano,
Roma e Costantinopoli potevano accostarsi alla medesima mensa eucaristica, pur usando già lingue
diverse e pur avendo già sviluppato tradizioni liturgiche differenziate. Pregare davanti a questo
Crocifisso ci riporta perciò a quel che ci unisce prima di ogni frattura e divisione: il mistero della
Pasqua nel quale Gesù ha dato se stesso per noi, ha vinto la morte, ci ha donato lo Spirito, ha fatto
nascere Chiesa,ci ha coinvolti nell’amore trinitario attraverso i sacramenti, ha rinnovato tutta la
nostra vita, la storia e il creato…

Sintesi della testimonianza della Chiesa indivisa


Il secondo motivo di ecumenicità di questa icona lo ritroviamo nel fatto che tutti e cinque i
patriarcati del primo millennio cristiano sono in qualche modo citati attraverso particolari di questo
dipinto. I cinque Patriarcati erano le cinque “regioni” della Chiesa che erano nate dall’annuncio del
vangelo a opera degli Apostoli e avevano beneficiato – quasi tutte – della predicazione di san
Pietro: la prima comunità era naturalmente quella di Gerusalemme, poi quella di Antiochia di Siria
(dove per la prima volta i discepoli erano stati chiamati cristiani), in terzo luogo Alessandria
d’Egitto, quindi Roma dove san Pietro e san Paolo avevano subito il martirio, infine Costantinopoli,
elevata al grado di patriarcato quando era divenuta capitale dell’Impero
d’Oriente. Ebbene, sulla nostra icona ci sono
particolari tipici di tutte queste cinque grandi
“tradizioni” della Chiesa indivisa: la scena
della discesa agli inferi (Anastasi) collocata
sotto i piedi del Crocifisso trova la sua origine
nel patriarcato di Gerusalemme, l’assicella sulla quale sono inchiodati i
piedi di Gesù (suppedaneum) appartiene alla tradizione pittorica
costantinopolitana, il grembiule di lino che copre i fianchi di Gesù (linteum) e
ce lo fa riconoscere come il Servo di Dio e servitore nostro, deriva dalla
tradizione di Antiochia di Siria, gli occhi grandi del Cristo che tutto vede
(panōpton) sono tipici della tradizione della chiesa di Alessandria d’Egitto,
infine la raffigurazione del Cristo innalzato nella
gloria, che troviamo nella parte alta del Crocifisso
appartiene alla tradizione romana.
Seguendo
l’ispirazione
divina,
l’iconografo ha perciò raffigurato
il mistero della Chiesa che nasce
dalla Pasqua di Gesù, come un
mistero di unità. E noi
contemplando questa icona siamo in qualche modo stimolati a sentirci particolarmente in
comunione con i cristiani di Gerusalemme, con quelli che vivono in Siria, Libano, Iraq e Iran, con i
cristiani dell’Egitto e dell’Etiopia, con quelli che vivono nell’attuale Turchia e con i cristiani
d’Occidente, che si sono poi a loro volta ulteriormente divisi a partire dal 1500. La preghiera per i
cristiani delle antiche chiese del Medio e Vicino Oriente ha poi un significato ancor più forte in un
tempo come il nostro nel quale quelle Chiese e quei cristiani rischiano di essere spazzati via dal
fanatismo religioso di chi strumentalizza Dio e ne bestemmia la santità facendo ricorso alla
violenza.

Portatore di un messaggio di riparazione


C’è anche una terza valenza ecumenica presente in questo crocifisso ed è quella che deriva dalla
chiamata che rivolge al giovane Francesco: “Non vedi che la mia casa cade? Va dunque e
restauramela!” È possibile leggere in questa chiamata un contenuto ecumenico? Penso di sì! Infatti
tutta la missione evangelizzatrice di Francesco d’Assisi ruota attorno a una proposta continua di
riconciliazione e di pace, che rifugge la polemica e propone di lasciarsi interiormente purificare,
illuminare e accendere dal fuoco dello Spirito, per poter seguire Gesù e giungere così al Padre. Non
è nemmeno un caso che il testo più ampiamente citato negli “Scritti” di Francesco sia la preghiera
di Gesù per l’unità dei discepoli, che ritroviamo in Gv 17.
Nel contesto attuale di rinnovato impegno ecumenico, accogliere l’invito del Crocifisso significa
operare con amore, in modo positivo, perché la Chiesa, sposa del Cristo, famiglia che nasce sotto la
croce, popolo che riunisce tutti i popoli ritrovi la via dell’unità nella carità. Per noi francescani
diventa una provocazione a partecipare in modo attivo, convinto e perseverante alle iniziative di
ecumenismo autentico. Significa soprattutto metterci in sintonia con la grande preghiera per l’unità
della Chiesa elevata da Gesù nel cenacolo, preghiera che Gesù continua ora ad elevare al cospetto
del Padre.
Per trasformare la riflessione in preghiera
Prendendo spunto dalla riflessione mettiti in contemplazione del Crocifisso.

 Chiedi la grazia di vivere dentro la Chiesa l’impegno per l’unità di tutti i battezzati e –
attraverso di loro – di tutta l’umanità. Chiedi per tutti i cristiani e per l’umanità intera la
docilità al soffio dello Spirito, che è Spirito di amore, di riconciliazione, di unità e di
comunione.
 Prega per i responsabili delle varie confessioni cristiane, perché operino al fine di far
progredire concretamente il cammino verso la piena unità visibile di tutti i cristiani, affinché
il mondo possa accogliere Gesù Cristo. Prega per i teologi perché facilitino le vie del
dialogo. Prega per tutti i credenti, perché pratichino l’ecumenismo della vita nella reciproca
accoglienza e nell’accoglienza dei doni che ogni tradizione cristiana porta con sé.
 Medita e prega con le parole di san Francesco che riprendono la preghiera di Gesù per
l’unità dei discepoli (Rnb XXII,41-55; FF 62):
Teniamo dunque ferme le parole, la vita e l’insegnamento e il santo Vangelo di colui che si
è degnato pregare per noi il Padre suo e manifestarci il nome di lui, dicendo: «Padre, ho
manifestato il tuo nome agli uomini, che mi hai dato, perché le parole che tu hai dato a me,
io le ho date a loro; ed essi le hanno accolte e hanno riconosciuto che io sono uscito da te
ed hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per
quelli che mi hai dato, perché sono tuoi, e tutto ciò che è mio è tuo. Padre santo, custodisci
nel Nome tuo coloro che mi hai dato, affinché siano una cosa sola come noi. Questo io dico
nel mondo, affinché abbiano la gioia in se stessi.
Io ho comunicato loro la tua parola, e il mondo li ha odiati perché non sono del mondo,
come non sono del mondo io. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca
dal male. Rendili gloriosi nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel
mondo, anch’io li ho mandati nel mondo. E per loro io santifico me stesso, affinché anche
loro siano santificati nella verità. Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che
crederanno in me, per la loro parola, affinché siano perfetti nell’unità, e il mondo conosca
che tu mi hai mandato e li hai amati, come hai amato me. E io renderò noto a loro il tuo
Nome, affinché l’amore col quale tu hai amato me sia in loro ed io in loro.
Padre, quelli che mi hai dato, voglio che dove sono io siano anch’essi con me, perché
contemplino la tua gloria nel tuo regno» (Gv 17,6-26). Amen.
Un crocifisso da incarnare
L’incontro con il Crocifisso ha segnato l’intera esistenza di san Francesco. Sulla via
tra la Porziuncola e Rivotorto l’ha incontrato, abbracciato e servito nei lebbrosi;
nella piccola chiesa di san Damiano l’ha contemplato nell’icona e si è lasciato
coinvolgere dalla chiamata a riparare la sua casa; sul monte della Verna, due anni
prima di morire, lo incontrerà in un’esperienza mistica straordinaria che lo
trasformerà nell’immagine stessa del Crocifisso. È proprio su quest’ultimo incontro
che si concentra ora la nostra riflessione.

L’incontro col serafino crocifisso


Diciotto anni dopo la sua conversione, all’età di
42 anni, Francesco sale sul monte della Verna per
una quaresima in onore di S. Michele arcangelo,
del quale era particolarmente devoto. I biografi
raccontano che vive questi 40 giorni di preghiera
e di contemplazione orientato dal messaggio del
Crocifisso. È accompagnato da frate Leone, che è
per lui un fratello, un amico e una madre. Le sue
notti trascorrono nella preghiera. Non si tratta di
preghiere verbose, ma di brevi invocazioni
ripetute per ore e ore nell’arco della notte: “Chi
sei Tu, dolcissimo Dio mio? E chi sono io piccolo
vermiciattolo e servo inutile?” O ancora: “Ti
chiedo due grazie, fammi sperimentare quello che
hai sofferto nella tua passione e ancor di più
fammi sperimentare quello straordinario amore
che ti ha portato a soffrire e morire per noi”.
È proprio in una di queste notti di orazione,
quando ormai si sta avvicinando la festa
dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), che
Francesco ha una visione, un’esperienza mistica
di incontro col Cristo della Pasqua: “Gli apparve
un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato
sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano
sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo. A quell’apparizione il
beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il
significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e
dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era
contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. Si
alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava
con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato” (1Cel 94;
FF 484).

Trasformato dall’amore
L’effetto di questo incontro produce nella persona di Francesco una trasformazione, il suo stesso
corpo viene segnato con i segni della passione: sul lato destro del suo costato si apre una ferita
sanguinante, nelle sue mani e nei suoi piedi fioriscono escrescenze carnose e nere a forma di chiodi.
Frate Leone, che si prende cura di Francesco, ne è il primo testimone e riporta questo fatto sulla
pergamena sulla quale Francesco di suo pugno aveva scritto le “Lodi di Dio altissimo” e la
“Benedizione a frate Leone”. Con parole di straordinaria efficacia san Bonaventura commenta:
“Così il verace amore di Cristo aveva trasformato l'amante nella immagine stessa dell'amato…”
Quando Francesco discese dal monte “portava in sé l'effigie del Crocifisso, raffigurata non su tavole di
pietra o di legno dalla mano di un artefice, ma disegnata nella sua carne dal dito del Dio vivente”
(LMag XIII,5; FF 1228).

Tu sei pazienza, tu sei bellezza…


Questa esperienza di incontro col Crocifisso sofferente e al tempo stesso bellissimo risuona anche
nella preghiera “Lodi di Dio altissimo” (FF 261). Attraverso il Serafino della Verna, Francesco ha
contemplato e sperimentato misticamente le opere meravigliose che Dio Padre ha compiuto nel
mistero della Pasqua, donando suo Figlio per noi. Contemplando il Cristo della Pasqua Francesco
percepisce l’umiltà, la pazienza, l’amore di carità, la mansuetudine di Dio e al tempo stesso la
pienezza del bene, la bellezza, la dolcezza, la pienezza della vita… Sulla Verna Francesco
sperimenta ciò che molti anni prima aveva contemplato sostando in preghiera davanti al Crocifisso
di san Damiano. E in quell’esperienza diventa una cosa sola con il Cristo della Pasqua, pronto a
vivere con fiducia anche il proprio esodo da questo mondo al Padre.

Cristo nella mente, nel cuore e nella carne


Contemplando il Crocifisso di san Damiano anche noi siamo orientati verso l’incontro con il
Serafino Crocifisso della Verna. Chiedendo all’Altissimo, glorioso Dio di illuminare le nostre
tenebre, chiediamo – in realtà – che lo Spirito Santo imprima anche in tutta la nostra persona
l’esperienza indelebile dell’incontro con Gesù che ha dato tutto se stesso per noi. Chiediamo
qualcosa di straordinario e necessario: che il Cristo si incarni definitivamente in noi, che i segni
della sua Pasqua si incidano indelebili nel nostro cuore, nella nostra mente, nelle nostre mani e nei
nostri piedi, nelle nostre scelte e nelle nostre azioni, nella nostra vita e in tutta la nostra persona.
Sappiamo che – quando questo avverrà – sarà un’esperienza di dolore e di gioia, di perdita della
bellezza che passa e di acquisizione della bellezza stessa di Dio. Sappiamo che – quando questo
avverrà – più nessuno potrà strapparci dalle mani il Crocifisso e più nessuno – soprattutto – potrà
strapparci dalle mani del Crocifisso. Anche noi saremo pronti al nostro Esodo, maturi per la Pasqua,
per vivere in Dio.
Per trasformare la riflessione in preghiera
Prendendo spunto dalla riflessione mettiti in contemplazione del Crocifisso.

 Fa tua la preghiera di san Francesco nelle notti della Verna:


“Chi sei Tu, dolcissimo Dio mio? E chi sono io piccolo vermiciattolo e servo inutile?”
“Ti chiedo due grazie, fammi sperimentare quello che hai sofferto nella tua passione e
ancor di più fammi sperimentare quello straordinario amore che ti ha portato a soffrire e
morire per noi”.
 Rifletti sui modi concreti nei quali anche tu puoi portare le stimmate di Gesù – i segni della
sua passione e del suo amore – nel tuo cuore, nella tua mente, nelle tue scelte e nelle tue
azioni. Chiedi la grazia di saper vivere nella fede, nella speranza e nell’amore anche i
momenti di sofferenza che fanno inevitabilmente parte della vita. Chiedi questa grazia non
solo per te, ma anche per le persone che conosci, specie per quelle che si trovano segnate,
stigmatizzate, da sofferenze fisiche, psichiche, morali e spirituali.
 Medita e prega con le “Lodi di Dio altissimo” (FF 261): .
Tu sei santo, Signore, Solo Dio, che operi cose meravigliose.
Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo,
Tu sei re onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra.
Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dei,
Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, il Signore Dio vivo e vero.
Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza,
Tu sei umiltà, Tu sei pazienza,
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine,
Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.
Tu sei gaudio e letizia, Tu sei nostra speranza,
Tu sei giustizia, Tu sei temperanza,
Tu sei tutto, ricchezza nostra a sufficienza.
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore, Tu sei custode e nostro difensore,
Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio.
Tu sei la nostra speranza,
Tu sei la nostra fede,
Tu sei la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza,
Tu sei la nostra vita eterna,
grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
Entrare in sintonia con il Crocifisso di san Damiano
Giunto al termine di queste brevi riflessioni sull’incontro tra il giovane Francesco
d’Assisi e il Crocifisso di San Damiano, vorrei offrire alcuni spunti di riflessione a
partire dall’esperienza della peregrinatio. Sono stati due anni intensi di incontri con
gente di tutte le età e con comunità cristiane di tutte le dimensioni. Sono stati due
anni intensi di esperienza di Chiesa, di ritrovarsi cioè chiamati e convocati da Gesù,
come suo corpo, come sua famiglia, come suo popolo: giovani e adulti, bambini ed
anziani, sani e malati, sacerdoti, religiosi e laici, persone singole e famiglie… Tra i
tanti incontri e le tante testimonianze desidero condividerne alcune. Mi pare che
aiutino a comprendere cosa vuol dire entrare in sintonia col Crocifisso di san
Damiano, col mistero della Pasqua che esso rende visibile, col mistero della Chiesa
che nasce nella Pasqua e anche col mistero dell’impegno personale frutto
riconoscente del sentirsi accolti ed amati fino al dono della vita.

L’esperienza di un incontro liberante


Negli incontri di preparazione della
peregrinatio in un decanato, avevo insistito
più volte con i giovani della pastorale
giovanile decanale, nel dire che questo è un
crocifisso che “parla”, che ci permette di fare
un’esperienza speciale dell’amore di Dio, che
se anche solo una persona l’avesse ascoltato,
avrebbe potuto mettere in moto qualcosa di
straordinario – per la vita della Chiesa –
proprio come otto secoli fa. Al termine di
quella tappa della peregrinatio, mi ha scritto una giovane: “Come hai ricordato più volte «il
Crocifisso di San Damiano parla» e forse non è così impensabile che qualche giovane trentino gli
presti ascolto! Per quanto mi riguarda il Crocifisso mi ha insegnato a godere di quello che faccio
senza tante preoccupazioni di successo…, mi ha fatto riscoprire un po' la gioia del servizio che
svolgiamo con la segreteria. Prima di domenica la mia idea era quella di far notare ai miei
compagni la loro ‘non-presenza’, ora invece quello che ho voglia di comunicare è la presenza di
Gesù in mezzo a noi! Inoltre volevo ringraziarvi per essere stati molto attenti a quello che in
decanato già c'era, cercando di coinvolgere e motivare i vari
gruppi!” Accogliere la croce, che ci immerge nella Pasqua di
Gesù, è fare questa esperienza liberante: non abbiamo affatto
bisogno di farci trascinare nella logica del successo, è molto più
importante (e liberante) imparare a godere della presenza di
Gesù, della possibilità di comunicarlo e del fatto di essere Chiesa
già ora, anche se ancora in cammino.

La sintonia con il Crocifisso


In un'altra tappa della peregrinatio ho avuto la possibilità di
incontrare gli anziani della casa di riposo. Una signora –
crocifissa alla carrozzella da un ictus – ha voluto fare un saluto
alla croce a nome di tutti gli ospiti della casa: “Ti salutiamo o
Croce Santa, che in questo momento hai voluto incontrare
ognuno di noi. La nostra Croce si è incontrata con Te, abbiamo
voluto condividere le nostre sofferenze con Te. In questo
momento, pensandoci bene, la Tua passione si mescola con la nostra, per la salvezza del mondo
intero”. Sono rimasto immediatamente colpito – mentre ascoltavo questa preghiera –
dall’espressione “la Tua passione si mescola con la nostra, per la salvezza del mondo intero”.
Sono parole che, dette una persona gravemente inferma, acquistano un significato molto forte,
molto più forte di quello che possono avere quando predichiamo – da sani – su questo argomento.
Un cristiano ammalato può veramente scoprire una sintonia profonda con il Crocifisso, e può dare
un senso alla propria sofferenza, considerarla parte di una vocazione e di una missione per il bene
del mondo intero, quando riesce a viverla insieme a Gesù. Non solo: ogni cristiano può scoprire che
la sua vita sarà significativa solo se saprà “mescolare” il dono della sua vita al dono che Gesù ha
fatto della propria.

Un dono di gioia e di speranza


Dopo il passaggio in un’altra zona del Trentino, mi ha scritto
un sacerdote: “La gioia e la speranza che avete saputo
portare nel nostro decanato rimarrà come segno nel
cammino di fede di questa porzione di popolo di Dio”. Io
rileggo questa frase in questo modo: la gioia e la speranza che
questa croce di san Damiano porta è un segno nel cammino di
fede della Chiesa. Proprio perché è una croce capace di
immergerci nel mistero della Pasqua e nella bellezza del far
parte della Chiesa, questa croce porta gioia e speranza e
rianima il cammino di fede delle persone e delle comunità.
Non c’è gioia di più grande di quella che Gesù ci ha
trasmesso e ci trasmette nell’ora in cui dona la sua vita per noi, e ancora adesso sta con le braccia
aperte di fronte al Padre, supplicandolo perché la nostra gioia sia piena (Gv 17,13). Non c’è
speranza al di fuori della Pasqua di Gesù, perché solo la sua vittoria sulla morte fonda una speranza
solida. E non c’è nemmeno cammino ecclesiale e di fede se non a partire da ciò che Gesù ha
compiuto nel mistero della sua passione, morte, risurrezione e senza il dono dello Spirito che ci
viene comunicato dal Risorto.

Abbracciare Gesù
L’ultima testimonianza è un’immagine che mi si è impressa nella memoria durante la veglia di
accoglienza della croce in un’altra Parrocchia. Dopo aver pregato, cantato e meditato, quando è
stato il momento di accostarsi alla croce per venerarla, una bambina di quattro anni è “sfuggita” alla
mano della mamma ed è salita di corsa verso la croce, ha abbracciato la parte inferiore del
Crocifisso e l’ha baciato, poi di nuovo e di nuovo ancora. Mi pare una bellissima spiegazione di
quel che Gesù insegna, quando dice che occorre diventare come bambini per entrare nel Regno dei
cieli (Mt 18,3), o quando dice che i misteri del Regno dei cieli sono nascosti ai “sapienti” e sono
rivelati ai “piccoli” (Mt 11,25). Mi pare una bellissima immagine di ciò che significa essere
cristiani: abbracciare Gesù che per amore nostro ha dato tutto se stesso, accoglierlo con amore,
perché ci possa portare a condividere la vita stessa della Trinità.
Per trasformare la riflessione in preghiera
Prendendo spunto dalla riflessione mettiti in contemplazione del Crocifisso.

 Chiedi con fede di riuscire ad entrare in sintonia con il messaggio della Pasqua raffigurato
sul Crocifisso di san Damiano. Chiedi di entrare in sintonia con il Cristo crocifisso che apre
a noi le porte del Regno dei cieli. Chiedi anche di entrare in sintonia con il mistero della sua
passione, del suo farsi interamente dono anche nell’ora della sofferenza. Chiedi che si
ravvivino in te la fede, la speranza, la carità e la gioia cristiana. Chiedi la grazia di scoprire
la bellezza del far parte della Chiesa che nasce nella Pasqua.
 Prega per i piccoli e per i giovani, perché imparino ad abbracciare Gesù ed a crescere
cercando di scoprire quello che significa seguirlo e testimoniarlo con amore. Prega per gli
ammalati e gli anziani, perché imparino a condividere le proprie sofferenze con il
Crocifisso, per il bene della Chiesa e del mondo. Prega per gli adulti, perché nelle nostre
comunità cristiane sappiano trasmettere la gioia e la speranza che nasce dall’incontro col
Cristo e accompagnino il cammino di fede delle nuove generazioni. Prega per le comunità
cristiane, perché in esse ci sia docilità alla voce dello Spirito santo che sta spingendoci a
prendere il largo per annunciare nuovamente con forza il Vangelo di Gesù ai vicini e ai
lontani.
 Medita e prega a partire dalle parole di san Francesco (Let Ord,28-29; FF 221):
Guardate, fratelli, l'umiltà di Dio,
ed aprite davanti a lui i vostri cuori;
umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati.
Nulla, dunque, di voi trattenete per voi,
affinché tutti e per intero vi accolga
colui che tutto a voi si offre.

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