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Luciano Arcella

FASTI
Gli dei, il lavoro e la festa. La religione romana attraverso il
calendario

Dei senza storia e religione senza fede

Per i Romani il calendario, nella maniera in cui organizzava il tempo,


separando i momenti sacri da quelli profani, costituiva l’elemento
fondamentale di un sistema religioso che, oscurando il principio della fede, si
risolveva essenzialmente nella pratica cultuale. Nella cultura romana la fides,
termine che non è reso dell’italiano fede, non aveva alcuna relazione con la
credenza religiosa, bensì esprimeva la lealtà, la fiducia, il mantenere la parola
e il rispettare i patti, valore essenziale per preservare l’integrità dei rapporti fra
gli uomini e conseguentemente tra questi e gli dei. Come entità divina, Fides
aveva un tempio sul Campidoglio, dedicatole nel corso del III secolo a. C., ma
si trattava probabilmente d’una costruzione successiva, in quanto, secondo la
tradizione, il culto della dea fu decretato originariamente dal re Numa
Pompilio (Liv. I, 21).
Della pratica cultuale si occupavano i flamines maggiori, che il primo di
ottobre d’ogni anno compivano il sacrificio alla dea coprendo la mano destra,
quella che i Romani levavano in alto nell’atto del giuramento. La copertura
della mano ricorda l’episodio di Gaio Muzio Scevola, che avendo fallito nel
tentativo d’uccidere Porsenna, re di Chiusi, punì la sua mano destra, che
brandiva il pugnale, colpevole del fallimento, ponendola sul braciere utilizzato
per i sacrifici, ed allo stesso tempo dichiarò all’Etrusco, che i giovani romani,
nel numero di trecento, avevano congiurato per assassinarlo nella medesima
maniera. “Trecienti coniuravimus principes iuventutis Romanae ut in te hac
via grassaremur” (Liv. II, 12)1

1
Gaio Muzio, denominato poi “Scaevola” ossia mancino, per la perdita della mano destra, in prima istanza
ottenne il perdono di Porsenna, che ammirò la sua capacità di resistere al fuoco, quindi, rivelando al re la
presunta congiura dei trecento - dato falso in quanto, secondo il racconto di Livio era stato lui solo a
presentarsi in senato a dichiarare la sua intenzione di compiere l’attentato - lo intimorisce a tal punto da
spingerlo a stipulare la pace con Roma. In tale prospettiva il punire la mano, simbolo del giuramento,
potrebbe significare meno un castigo simbolico per l’errore commesso, che la volontà di liberarsi della colpa
di uno spergiuro, data l’invenzione della coniuratio.
Per quanto concerne la personalità della dea Fides, si evidenzia che pur
essendo titolare di un tempio e di un culto, non presenta una genealogia né una
storia personale, ma si risolve in un concetto e in un valore da rispettare per
l’ordine della res publica.
Con questa determinazione entriamo nel vivo della religione romana,
ossia in una discussione che coinvolse gli studiosi. La singolare mancanza di
miti in comparazione con l’enorme ricchezza mitica della tradizione religiosa
greca. Interpretando questa specificità come una carenza, Georg Wissowa la
considerò come conseguenza della vita dura di questo popolo, che sin dalle
origini dovette affrontare aspre lotte per la sua sopravvivenza, sì da non avere
tempo né propensione per dedicarsi al piacevole gioco della mitopoietica
(Wissowa, 1902).
Allo stesso modo, considerando questa specificità romana come una
carenza, Rose argomentava che l’inesistenza di miti corrispondeva alla
mancanza di individualità delle divinità romane, che non erano soggetti
operanti, ma poteri anonimi, pure forze della natura (Rose, 1959). Tradusse
quindi questa attitudine in una sorta di “primitivismo” e definì la credenza dei
Romani “pre-religiosa”. Tradusse quindi con il termine mana utilizzato da
Codrington per la religione melanesiana (Codrington, 1891) con il termine
numen, sorta di forza indeterminava che permeava l’intera natura. A
dimostrazione della sua tesi, Rose utilizzò come esempio la figura di Vesta,
che non riconosceva come divinità individuata, bensì come pura fiamma, il
fuoco che Roma utilizzava per la cottura degli alimenti e che garantiva la sua
sopravvivenza materiale (Rose, 1959: 178).
In maniera molto simile Albert Grenier introdusse il termine daimon,
con il quale, superando il principio individuativo, finiva col risolvere il
complesso degli dei di Roma in un insieme di forze impersonali (Grenier,
1947).
Differente è la posizione di George Dumézil, che accredita gli dei di
Roma di una specifica personalità, pur se questa risulta manifesta soltanto nel
rito. Come esempio della sua teoria pone la figura della dea Ceres, celebrata
nel mese di aprile in un contesto di feste agrarie. Si tratta di un ciclo che ha
inizio con i Fordicidia (15 aprile), procede con i Cerialia (19 aprile) e si
conclude con i Parilia (21 aprile). Il termine Fordicidia deriva dal sacrificio di
una vacca gravida (forda), che veniva offerta a Tellus allo scopo di favorire
una buona annata con l’incremento dell’allevamento del bestiame.2 Mentre
2
Affinché « …fecundior annus / provenit et fructum terra pacusque ferent »
l’offerta a Ceres, nome che Dumézil fa derivare dal verbo cresco, aveva come
finalità la buona riuscita della produzione di cereali.
Per quanto concerne i Parilia o Palilia, dedicati a Pales, celebrati nello
stesso giorno in cui si festeggia la fondazione di Roma, assieme al passaggio
da un’economia nomadico-pastorale e una agricola-stanziale (la celebrazione
sarà analizzata in maniera più specifica nel corso dell’esposizione del
calendario), si evidenzia come la figura della dea risulti assolutamente
indeterminata. Mentre Festo e Ovidio la considerano entità femminile (Epit.
P.248 L.), Varrone la considera maschile (Varr. De l. l. VI, 15). Tuttavia
l’entità assunse carattere individuale solo quando in epoca successiva venne
assimilata al duo Demeter – Proserpina (Dumézil, 1974: 385).
Il fatto che le divinità romane non presentino un’esistenza individuale,
né siano oggetto di una narrazione che le ponga in relazione reciproca, non
giustifica comunque la definizione di “primitivismo” data da Rose, a meno
che si voglia accettare un principio evoluzionista in ambito storico-religioso.
Diversamente, per comprendere il carattere specifico della religione romana,
non consideriamo utile proporre comparazioni con espressioni religiose di altri
popoli, ma individuare la sua peculiarità e le sue relazioni con altri elementi
che caratterizzano la cultura romana nel suo insieme (società, politica,
economia, diritto, arte etc.).
Con questo presupposto si evidenzia che l’opera demitizzante da parte
dei Romani diretta verso il loro complesso religioso, non interessò un ambito
fondamentale quale fu la storia dell’urbe, per la quale fu elaborata una
ricchissima affabulazione. Questa concerne numerosi eventi presentati come
storici, ma che in effetti sono fabulae, per mezzo delle quali si celebrano come
espressione di volontà divina l’origine e la fase iniziale dell’esistenza di
Roma. Dal mito d’Enea a quello della fondazione, alla sfida fra Horatii e
Curiatii, per citare solo alcune delle numerose narrazioni che si confondono
con fatti storici ancora in età repubblicana.

Juppiter, un padre senza famiglia

Un importante contributo alla soluzione del problema della mancanza di


un complesso mitico concernente gli dei di Roma fu apportato da Carl Koch,
che nel suo saggio, Der Römische Juppiter (1937), occupandosi della figura e
della funzione del dio supremo di Roma, evidenzia come l’elemento
essenziale del suo carattere sia costituito dalla mancanza di determinazioni
genetiche e di legami parentali, oltre che di elementi che possano evocare la
morte. Queste caratterizzazioni si evidenziano attraverso la figura sacerdotale
che impersona il dio in terra: il flamen Dialis. Questi infatti è soggetto a una
serie di proibizioni, come il mantenersi lontano da simboli di morte, in
particolare dalla capra. La sua veste non deve avere nodi (il nodo costituisce
un simbolo di costrizione); se nel cammino incontra una persona in catene,
questa deve essere immediatamente liberata; quando si trova all’aperto, sub
coelo, deve avere il capo coperto con un berretto a punta, l’apex, in quanto
sorta di contatto diretto col dio celeste.
Notiamo inoltre che Juppiter, pur avendo la qualifica di pater3, non ha
né sposa né figli, sì che la mancanza di legami familiari con il complesso del
pantheon è sostituito da una relazione funzionale che lo vede a capo di una
gerarchia divina che ha la sua corrispondenza nella società romana (Brelich,
1960). Egli, nel rifiutare pertanto una relazione familiare, in quanto immagine
riflessa del sistema politico romano, esprime la sua forte ostilità, a partire dalla
cacciata dei re, ad ogni autorità basata su relazioni genetiche. Questa
opposizione, oltre che al potere mantenuto da un singolo, anche a un criterio
di discendenza familiare, in effetti non si manifestò soltanto a partire dalla
cacciata dei re e la costituzione della res publica, dato che lo stesso sistema
monarchico instaurato da Romolo si era mostrato ambiguo riguardo al criterio
di discendenza e quindi all’attribuzione del potere regale (Altheim, 1956). Il re
Numa Pompilio non ha nessun legame di sangue con Romolo, anzi non è
neppure romano (è sabino e viveva nella città di Cures). Tullo Ostilio reca nel
proprio nome il concetto di nemico, hostis, mentre Servio Tullio sarebbe figlio
di una schiava: il suo nome evoca il termine servus. In fine i due Tarquini
erano etruschi, sì che con la cacciata di Tarquinio il Superbo, non solo ebbe
fine il dominio straniero, ma fu eliminata l’odiata monarchia. Di questa rimase
solo una presenza simbolica con la figura del rex sacrorum, che ebbe una
funzione esclusivamente religiosa. Il nuovo potere consolare rappresentò
un’alternativa radicale al regime monarchico. Al potere concentrato in una
sola persona si oppose una diarchia; l’incarico a vita fu sostituito da uno
annuale, la discendenza basilarmente ereditaria fu sostituita da una scelta su
base elettiva.

3
Juppiter pater o deus pater, si origina dalla radice indoeuropea dye- dja, indicante la volta celeste, la luce, e
da Pita, padre. Sì che il nome Juppiter si rende con l’epiteto di “Padre della luce” e non degli dei né degli
uomini.
Si evidenzia tra l’altro come l’odio nei confronti della monarchia, che si
espresse appieno allorché questa fu eliminata, si riscontra a partire dal mito
d’origine di Roma, che racconta di un atto sacrilego quale fu il fratricidio
(Liv.I, 7; Serv. Ad Aen. 2, 761; 8, 342; Dionys. 2, 8, 3.), che portò come
conseguenza, invece che una equa bipartizione del potere, l’affermarsi di un
potere unico e assoluto da parte di Romolo, che sin dal suo insediamento
operò in maniera poco nobile. Anzitutto per popolare la sua città assunse
uomini dal passato oscuro mediante l’istituto dell’asylum Romuli (Liv. I, 8;
Vell. Pat. I, 8; Dionys. II, 15), quindi, data la mancanza di donne le ottenne
sottraendole con l’inganno ai Sabini (Liv. I, 7-8; Plut. Rom. 19, 1-3; Dionys.
II, 31). Tuttavia questo suo lato oscuro fu purificato dall’attività bellica,
mediante la quale ottenne la sopravvivenza dell’urbe, la sua affermazione e la
sua espansione, sì che alla fine, secondo alcune fonti, meritò d’ascendere al
cielo (Floro, Epit. DCC I, I, 17; Liv. I, 16). Ma per una diversa versione, che
racconta di un destino meno illustre, fu assassinato dai senatori che non
sopportavano il suo operare arbitrario e autoritario, i quali, dopo averlo ucciso,
smembrarono il suo corpo (Plut. Rom. 27, 6).4
L’istituto monarchico visse una fase positiva col re Numa Pompilio, che
non assunse l’incarico sulla base del diritto ereditario, istituto specifico della
monarchia, ma per le proprie doti e per volontà del popolo. Fra le doti spicca
la pietas, ossia rispetto verso gli dei, la saggezza e la moderazione per la quale
fu esente dall’ambizione del potere (Plut., Numa). La sua fu quindi di una
monarchia ben particolare a causa dell’assenza dell’applicazione del principio
ereditario, sì che meritò il giudizio favorevole degli storici che pur erano ostici
al sistema monarchico. L’assenza di un criterio genetico caratterizza anche la
reggenza di Juppiter, che pur se dio sommo, quale impersonazione dello Stato
romano, si pone in armonia con il sistema repubblicano, punto d’arrivo di
un’aspra lotta diretta contro i nemici esterni come interni.
Sulla base dell’assenza di un dio-padre generatore di dei che operano
per il bene dell’urbe (meglio parlare di insieme di dei piuttosto che di
pantheon, in quanto questo termine evoca la tradizione greca per la quale gli
dei formano una grande famiglia) sulla base delle loro specificità, si deduce
che la collegialità dei componenti di questo sistema ha carattere funzionale,
4
Lo smembramento del corpo di Romolo nella prospettiva antropologica fu considerato come espressione
del mito del dema (Jensen), mentre rimanendo nella specificità romana si potrebbe vedere nella simbolica
partizione una sorta di contrappasso fra l’esercizio di un potere unitario e assoluto e la volontà senatoriale di
affermare un potere condiviso. Sí che si potrebbe cogliere nell’azione violenta da parte dei senatori l’inizio di
una lotta fra questi e il potere esecutivo che si protrasse in tutto il corso dell’impero.
per cui ciascun componente si occupa di un settore particolare del complesso
culturale tomano. Ciò si traduce essenzialmente in una presenza rituale (il rito
è regola, ordine, e soprattutto azione) e in una vigilanza costante che si
esprime in segni e avvertimenti inviati al popolo romano affinché operi con
costanza e intervenga al bisogno con rituali straordinari per ristabilire un
ordine temporaneamente compromesso.
In ambito politico il rifiuto d’una discendenza familiare si tradusse
anche in una avversione al potere personale delle famiglie (gentes) che
componevano la società romana, anche se la loro opera poteva contribuire al
bene comune. Esempio di questa avversione lo troviamo nell’episodio
concernente la partecipazione di Fabi al Crèmera, battaglia nella quale si
affrontarono Romani e Veienti il 13 febbraio del 477 a.C. Seguendo
l’esposizione di Livio (XII, 48), notiamo che si trattò di un combattimento
anomalo in quanto da parte romana non entrò in campo un esercito regolare,
organizzato attraverso un reclutamento compiuto fra tutti i cittadini, ma un
unico gruppo familiare, ossia l’intera gens Fabia con i suoi trecento membri.
Ne conseguì un massacro, ossia la morte di tutti i Fabi, ad eccezione di Quinto
Fabio Vibulanio, rimasto a casa in quanto malato, la cui sopravvivenza evitò
l’estinzione della gens.
Attraverso questo episodio si evidenzia come l’atto assolutamente
pubblico della guerra non potesse essere a carico di privati, sì che quel che
doveva costituire un gesto di coraggio apportatore di gloria si rivelò
espressione d’uno stupido orgoglio, che provocò danno sia ai protagonisti che
al popolo romano. La sconfitta, che comportò la pressoché totale eliminazione
della gens, costituì un grave ammonimento per per i suoi membri, che in
futuro si guardarono bene dal compiere azioni individuali, anzi assunsero un
comportamento pressoché opposto. Infatti all’impeto bellico dei trecento
rispose l’agire moderato di Quinto Fabio Massimo, il cunctator, nel corso
della Seconda Guerra Punica. Questi, nominato dittatore dopo la sconfitta del
Trasimeno (21 giugno del 217 a.C.), ebbe la prudenza di ascoltare i presagi, di
compiere sacrifici espiatori per placare l’ira divina e di non affrontare
Annibale in campo aperto.5 Tattica che però non incontrò il favore del popolo

5
L’avanzata di Annibale verso Roma fu annunziata da diversi prodigia, che riguardarono in particolare lo
scorretto comportamento religioso del console Gaio Flaminio, il quale, opponendosi al senato, aveva
assunto la carica senza trarre i dovuti auspici. I segni premonitori che si presentarono in varie occasioni in
diversi luoghi del territorio romano furono singolari e terribili: pietre piovute dal cielo, statue stillanti
sangue, fuochi provocati da cause occulte. Livio racconta tali eventi nei Libri XXI e XXII, ossia nel corso della
narrazione della Seconda Guerra Punica.
e del senato (Polib. III, 89), che affidò la conduzione della guerra ai consoli
Lucio Emilio Paolo e Terenzio Varrone (Polib. III, 106). Il primo affrontò il
nemico a Canne (2 agosto del 216 a.C.), dove subì una grave sconfitta e
perdette la vita (Liv. XXII, 1). A partire da quel momento il senato diede
nuovamente il potere a Fabio che, confermato successivamente console nel
209 a.C., dopo aver condotto la guerra mediante azioni caratterizzate da
accortezza e prudenza, conquistò la città di Taranto, dando inizio alla reazione
romana che al fine condusse alla sconfitta del generale cartaginese.
Altro evento che evidenzia l’importanza di prestare attenzione ai segnali
divini, e presenta le disgrazie che possono capitare a chi non ha tale cura o non
assume provvedimenti in obbedienza a tali avvertimenti, è il singolare
portentum che si mostrò prima dell’invasione gallica del 391 a.C. In un bosco
nelle vicinanze di Roma risuonò una voce che avvertiva i Romani del pericolo
rappresentato dai Galli, e li ammoniva affinché preparassero una valida difesa
della città. I Romani però non diedero la dovuta importanza a questo avviso, e
non operarono né in termini religiosi né militari. Non realizzarono una
chiamata alle armi straordinaria, non rafforzarono la difesa detta città, e non
offrirono sacrifici all’entità divina che aveva parlato, alla quale, dal momento
che non si era manifestata chiaramente, attribuirono il nome di Aius Locutius
(il nunzio che parla). Nefasta fu la conseguenza di questa disattenzione, visto
che Roma fu occupata dai Galli, comunque solo dopo la liberazione, come atto
di espiazione, venne dedicato un tempio all’entità (Liv. V, 32; Cic. De div. 1,
101), che non assunse una personalità specifica e non manifestò una presenza
attiva nel corso della storia di Roma, limitando la sua presenza a quell’unica
manifestazione.
È questo uno dei tanti episodi mediante i quali si deduce la concezione
religiosa dei Romani, che aveva come principio fondamentale l’attenta
osservazione dei fenomeni devianti rispetto all’ordine regolare degli eventi, e
l’agire di conseguenza in termini rituali. Nella percezione simbolica degli
elementi che costituiscono la realtà (il concetto di simbolico si riferisce al fatto
che ogni elemento della realtà mondana ha la sua corrispondenza in un
dominio superiore, ossia in una realtà trascendente) un volo anormale di
uccelli, un fulmine a ciel sereno, una inondazione provocata dallo straripare
d’un fiume o d’un lago, avevano il valore di un avvertimento che doveva
essere interpretato e al quale occorreva porre rimedio. Si trattava di un

Per quanto concerne la figura del console Quinto Fabio Massimo, si veda di E. Montanari, Nomen
Fabium, vol.8 dei Quaderni di SMSR, Lecce, Milella, 1973.
messaggio inviato a protezione dell’urbe al quale bisognava rispondere con un
rito adatto, mentre la negligentia avrebbe potuto produrre esiti disastrosi.
Opposto positivo di tale trascuratezza erano appunto la religio o la pietas,
quale costante attenzione e pratica rituale, con la finalità di preservare o
restaurare l’equilibrio cosmico che, nel suo ordine naturale si traduceva nel
benessere di Roma. Come commenta Cicerone, “est enim pietas iustitia
adversum deos” (Cic. De nat. deor. I, 116), ossia attenzione costante ai loro
avvertimenti con un comportamento religioso, ovvero cultuale conseguente.
Evidenziamo inoltre che nel politeismo romano, differentemente dal
monoteismo cristiano in particolare, non vigeva i principi del credere come del
dubitare, e tantomeno il concetto di fede, come accettazione emotiva di un
principio religioso superiore. Il Romano “istintivamente” si sentiva partecipe
di un mondo sacro che continuamente segnalava la sua presenza con messaggi
o avvertimenti, ai quali il cittadino doveva prestare costante attenzione per
poter dare risposte adeguate sulla base di norme stabilite da un sistema
giuridico fatto di norme scritte e di costumi dettati dalla tradizione (mos
maiorum). Un sistema giuridico che, a partire da Numa, il legislatore (da
nomos, la legge), organizzava la vita civile, e un sistema religioso che,
secondo gli stessi criteri del diritto civile, organizzava il corretto rapporto fra
uomini e dei. Gli obblighi del cittadino venivano chiaramente indicati dal
calendario, norme di regole civili e religiose a un tempo, mentre il verificarsi
di eventi straordinari comportava la consultazione dei Libri Sybillini e azioni
rituali mirate.

Segnali ammonitori e suoi interpreti

Non era sempre chiaro da dove e da parte di quale divinità provenissero


i segnali ammonitori. Nel caso della voce sconosciuta che avvertiva i Romani
dell’avanzata gallica, se ne dovette inventare il soggetto, cui fu dato appunto il
nome comunque ambiguo di Aius Locutius; in altri casi di eventi rari, era lo
stesso ordine naturale che, attraverso una singolare irregolarità, manifestava la
situazione di squilibrio che attentava all’ordine di Roma.6

6
Fu un anormale straripamento del Tevere che suggerì a Roma di nominare un dittatore che piantasse un
chiodo sul lato destro del tempio di Juppiter Optimus Maximus - dictator clavi fingendi causa – per placare
gli dei (Liv. VII, 3), mentre per poter battere Vejo, come suggerì un aruspice di Albano, dopo aver consultato
l’oracolo delfico, si dovettero far defluire le acque del lago di Albano (Liv. V, 15, ss.)
A causa della notevole quantità delle “stranezze” percepite dai Romani
fra i segnali che quotidianamente provenivano loro, e data la conseguente
difficoltà interpretativa (così come furono sempre ambigue le differenti
sentenze oracolari nell’ambito della tradizione greca – da quello di Delfi agli
oracoli di Dodona o di Olimpia per citarne alcuni), si rese necessaria la
creazione di una classe di interpreti organizzati in una formazione
istituzionale: l’ordo aruspicum. I suoi componenti, uomini di origine etrusca,
erano in grado anzitutto di analizzare e interpretare le viscere di animali
sacrificati, in particolare il fegato, quindi di interpretare fenomeni singolari, e
di indicare le contromisure rituali. Secondo Cicerone questa istituzione fu
creata in epoca repubblicana, allorché furono nominati per tale funzione dieci
giovani di nobili famiglie etrusche (Cic. De divin. I, 92).
Per quanto concerne i Libri Sybillini, la tradizione dice che furono
offerti a Tarquinio il Superbo dalla Sibilla Cumana, sacerdotessa di Apollo e
di Ecate, che abitava in una grotta presso Cuma, sulla riva del lago d’Averno
(Serv. In Verg. 6, 72; Cic. De div. XLII, 97 s.).7 Tale dato indica che i Romani
utilizzarono la sapienza divinatoria greca, ma che non rinunciarono alla
conoscenza etrusca nel settore. Prova di questo atteggiamento da parte romana
è l’episodio relativo al portentum prima citato del lago di Albano accaduto nel
corso della guerra contro Vejo: si ascoltò il parere dell’anziano sacerdote
etrusco, che tuttavia fu inviato con una delegazione a Delfi.
Diversa era la formazione e la funzione del collegio degli augures,
inizialmente composto di tre membri, ma che successivamente fu
incrementato da Silla raggiungendo il numero di 15 partecipanti. A loro era
assegnato l’auspicium, pratica che coincide con la fondazione di Roma, in
quanto la decisione di chi avesse il diritto di fondare la città fu presa in base a
questa prassi, ossia attraverso l’osservazione del volo degli uccelli (aves
spicere). In quel caso il rituale non venne rispettato, dato che, mancando un
soggetto giudicante in grado di stabilire il vincitore, la presa del potere fu
ottenuta con un fratricidio. In ogni caso, poiché Romolo prese da solo la
decisione e si diede da sé il potere (augurium da augeo, accrescere,
aggiungere forza), fu considerato il primo augur e fondatore del collegio
augurale. A tale collegio oltre all’osservazione del volo degli uccelli, fu
assegnata anche l’osservazione di altri segni premonitori, dai quali si poteva
dedurre la volontà divina e finalmente, se propizia, assegnare il potere8.
7
Per consultare i Libri Sibillini fu costituito un collegio formato da due soggetti, i duumviri sacris faciundis,
numero che successivamente fu elevato a quindici (quindecimviri).
8
Inizialmente i tre augures dovevano rappresentare le tribù di Roma, Ramnes, Titienses e Luceres (Liv. X, 6).
L’augur portava un lituo, bastone che aveva una estremità a forma di punto
interrogativo, col quale tracciava al suolo un campo di osservazione che
rifletteva una zona specifica della volta celeste, in quanto spazio limitato per
la sua osservazione. Da questa posizione, oltre ad osservare il volo degli
uccelli, considerava altri fenomeni celesti (signa ex coelo), in particolare i
fulmini (fulgura).
A lui non spettava però la verifica di prodogia o portenta, ossia eventi
straordinari (miracula), ma i fenomeni che accadevano nell’ambito della
normalità naturale. In alcuni casi gli augures ponevano direttamente la
domanda alle potenze divine, onde avere il loro parere. Ció avveniva ad
esempio, con gli auspicia ex quadrupetibus e con gli auguria pullaria. Nel
primo caso si liberavano degli animali per trarre deduzioni dai loro movimenti
e dalle direzioni che prendevano. Nel secondo, prima della battaglia, l’augur
pullarius dava da mangiare a dei polli, e la quantità di cibo che essi
consumavano indicava il successo o non del combattimento. Questi responsi,
trasmessi dagli augures a chi doveva prendere decisioni, comportavano la
rinuncia ad operare o il compimento di sacrifici rituali onde procurarsi il
favore divino.

Il rito e l’ordine cosmico

Per quanto concerne segni o messaggi ammonitori, diversi dagli


auspicia, in quanto fenomeni anormali (prodigia o portenta) che minacciano
l’ordine cosmico, è conseguente la necessità di operare in modo che tale
ordine venga restaurato. E con questo l’armonia fra il Romano e le forze
superiori, che condizionano il suo operare e decidono del suo destino.
Tra l’altro si tratta di un ordine cosmico che coincide con quello giuridico,
sistema stabilito a partire dai mores (costumi, tradizione) e fissato attraverso il
sistema normativo della res publica. Un esempio davvero singolare del
carattere giuridico della religiosità romana con il suo esasperato formalismo, è
quanto accadde dopo la sconfitta di Caudio (321 a.C) ad opera dei Sanniti. Ai
Romani, che avevano chiesto la pace, furono imposte condizioni tanto dure
che questi volevano ritirare il loro assenso e riprendere la guerra. Ma ciò
sarebbe stato un comportamento illegale, contrario allo jus gentium, che
avrebbe collocato il popolo romano al di fuori dal rispetto umano e soprattutto
dal favore divino. Per superare questo ostacolo fu allora ideato uno
stratagemma. Postumio, il console sconfitto e responsabile di aver chiesto la
pace, veniva consegnato ai Sanniti in quanto responsabile dell’azione bellica.
Accompagnato dal feziale Cornelius giunse dinanzi ai rappresentati sanniti,
ma, come testimonia Livio (XI, 10):
“…haec dicenti fetiali Postumius genu femur quanta maxima poterat vi
perculit et clara voce ait se Samnitem civem esse, illum legatum a se contra
ius gentium violatum; eo iustius bellum gesturos”9
Dal momento che un Sannita, pur se si trattava di uno che si dichiarava
tale, (Postumio dichiarò a voce alta d’essere sannita) colpendo l’ambasciatore
romano commetteva un atto ingiusto per la legge umana come per la divina, i
Romani, reagendo giustamente a tale offesa, poterono riprendere la guerra e
giungere alla vittoria con la battaglia di Boviano (304 a.C.).
Nell’ambito del complesso sacerdotale romano altra figura di gran
rilievo, con poteri organizzativi piuttosto che cerimoniali, è il Pontifex
Maximus10, a capo del collegio dei pontifices, e guida sia in campo religioso
che civile. Era fra i suoi compiti la nomina delle vestales, dei flamines e del
rex sacrorum, la redazione degli eventi giornalieri che costituivano la storia di
Roma (eventi di carattere sacro come profano), trascrivendoli su tabulae
dealbatae, per poi trasferirli negli Annales Pontificum. Ma soprattutto aveva
come compito di maggiore importanza la compilazione del calendario.
Doveva indicare la qualità dei giorni, se festivi o lavorativi, e fare
interpolazioni, ossia aggiungere giorni ai singoli mesi in momenti particolari,
ossia situazioni in cui riteneva necessario concedere un più lungo mandato a
una magistratura.
L’importanza di questa carica è sottolineata dal fatto che a partire dal
principato di Cesare furono gli imperatori ad assumere questa carica. Usanza
che durò sino a Graziano, che nel 373 d.C. rinunciò al pontificato, in quanto
aveva perduto di significato e potere con l’affermarsi del cristianesimo a
Roma.

Il rito e la formula
9
“…mentre il feziale parlava, Postumio lo colpí piú forte che poté alla coscia e con voce chiara disse d’essere
cittadino sannita e che aveva aggredito l’ambasciatore contro lo ius gentium; con tale atto si sarebbe
condotta una guerra giusta”
10
Potrebbe rappresentare il poter di Giove in terra, in quanto garante della giustizia, ordinatore e
pacificatore.
Sulla base di quanto considerato in relazione alle figure divine, dalla
carente individualità, e alle loro funzioni, si evidenzia il carattere rituale della
religione romana, ossia l’esistenza di un’assidua pratica religiosa finalizzata a
mantenere la pax deorum, ossia un equilibrio delle forze cosmiche regolandole
attraverso un sistema di norme giuridiche. Sì che, seguendo tali norme, da
parte sia divina che umana, ossia nella relazione tra gli uomini come tra questi
e gli dei, si curava la salus personale come, e soprattutto, quella della res
publica. Il cittadino nel suo quotidiano rispettava le norme religiose come
quelle civili osservando quanto disponeva il calendario, distinguendo i giorni
in cui poteva operare (dies fasti), ossia lavorativi, dai dies nefasti, vale a dire
festivi, nei quali ci si doveva dedicare solo al culto, lasciando da parte ogni
impegno mondano.
Da qui si deduce l’importanza del calendario (Fasti), che non solo
regolava la vita quotidiana dei comuni cittadini, ma, come indica Rüpke,
soprattutto regolava le attività dei magistrati ponendo loro specifiche
restrizioni11.
Non consideriamo importante decidere quale aspetto prevalga sull’altro
fra il civile e il religioso nell’organizzazione del tempo, in quanto in una
cultura tradizionale come la romana antica, i due elementi erano inseparabili,
per cui vivere in maniera religiosa coincide con il vivere nel rispetto del mos e
delle leggi.12 Pertanto la nota espressione evangelica “Reddite quae sunt
Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo” (Matteo 22, 24; Luca 20, 2; Marco 1,
7), mostra la differenza fra la tradizione cristiana nella sua separazione fra
l’operare civile e quello religioso, e la romana, per la quale anche il pagare le
tasse fa parte del comportamento “religioso” del cittadino. Del resto si pagava
con qualcosa, ovvero la moneta, che sin dai tempi più antichi recava immagini
divine. Lo stesso termine moneta ha origine dal fatto che il conio si trovasse
neo pressi del tempio di Juno Moneta13
11
“…restrictions of time in the actions of the magistrates” (Rüpke, 2011: 50)
12
Consideriamo che la contrapposizione fra sacro e profano è peculiare delle culture moderne, mentre per
una civiltà tradizionale non esiste nessun istituto, politico o civico, che non abbia carattere sacro. Nella civiltà
romana la politica in particolare aveva valore sacro, soprattutto per il fatto che, la guida divina quale era
Giove, impersonava lo Stato romano con il suo ordine giuridico.
13
Una delle monete più antiche, il Quadrigarius, presentava su una faccia le figure di Marte e Minerva,
dall’alto Giove e Victoria su una quadriga. Figure assiduamente presenti sulle facce delle monete erano
Giano e Marte, ambedue divinità preposte all’attività, dal commercio alla guerra. Sovente appariva anche la
lupa come simbolo di Roma.
Monete del tempo di Cesare presentano le figure di Enea e Venus; in tempi successivi l’immagine degli
imperatori era accompagnata da quella di divinità. Alla faccia con l’immagine di Domiziano corrispondeva
La relazione essenzialmente rituale fra il cittadino e le divinità, la
mancanza di un effettivo principium individuationis delle varie potenze
superiori, ed il carattere essenzialmente pubblico del culto, mostrano la
fondamentale importanza del calendario per comprendere il sistema religioso
romano. Questo, nel separare i giorni sacri dai profani, organizza l’operare del
cittadino nel suo rapporto con l’autorità civile e con quella religiosa. Essere
religiosus per il Romano significava appunto rispettare pienamente le norme
calendariali. Dedicarsi ad attività pratiche (negotia) in un giorno in cui
bisognava sacrificare agli dei, e pertanto allo stesso tempo festus (festivo) e
nefastus, significava, oltre che mostrare un atteggiamento non religioso, anche
condannarsi all’insuccesso.
Un giorno assolutamente negativo per operare, e come tale definito dies
religiosus, era il 18 luglio, detto dies Alliensis, allorché nell’anno 390 i
Romani nella battaglia del fiume Allia vennero pesantemente sconfitti dai
Galli Senoni guidati da Brenno. La disfatta non fu causata tanto da motivi di
carattere militare, quanto da un grave atto di illegalità compiuto dai Romani
(Liv. V, 38). Una legazione romana si recò nel campo dei Galli per trattare,
ma invece di limitarsi a tale funzione, i suoi componenti entrarono
nell’accampamento nemico ed uccisero uno dei loro capi. Con questo atto di
illegalità, che cozzava contro il diritto umano ed il divino, i Romani
determinarono quel che sarebbe accaduto a livello militare: eseguirono in
maniera approssimativa il reclutamento dei soldati, non calcolarono la forza
ed il valore dei nemici, ed al primo scontro la milizia romana si diede alla fuga
lasciando che i nemici occupassero la città. Sì che per battere i Galli e liberare
la città fu necessario richiamare in patria l’esiliato Marco Furio Camillo.
Notiamo che nello stesso giorno di luglio, ma nell’anno 477, era stata
subita dai Romani un’altra disastrosa sconfitta, della quale abbiamo
precedente parlato, allorché presso il fiume Cremera la gens Fabia fu
massacrata dai Veienti. Risulta singolare che alla coincidenza dei giorni si
unisce una coincidenza di luoghi, in quanto sia l’Allia che il Cremera sono
fiumi, ma soprattutto si evidenzia la coincidenza di due comportamenti
scorretti dal punto di vista legale e morale: non poteva una sola gens assumere
un comportamento che doveva essere pubblico, come non poteva
un’ambasceria compiere un’azione aggressiva nel corso di una missione

quella con le divinità d’origine orientale, Serapide e Cibele. A Commodo e Caracalla, Serapide. Ad Aureliano,
Deus Sol Invictus (Si veda Altheim, 1996, 207 ss.)
pacifica. Di fatto, sulla base di questi precedenti negativi con relativo disastro
militare, il giorno fu dedicato ad un’azione espiatoria verso gli dei.
Per quanto concerne l’importanza del formalismo (ossia seguire ad
litteram la formula corretta nella parola come nell’azione), consideriamo il
sacrificio volontario del generale romano per ottenere la vittoria. Questi nel
corso della battaglia, in momenti in cui le proprie truppe sembrava che
potessero soccombere, si gettava nel mezzo delle schiere nemiche con lo
scopo d’essere ucciso. Tale atto, denominato devotio, doveva essere preceduto
dalla seguente formula rituale: “Jane, Juppiter, Mars pater, Quirine, Bellona,
Lares, Divi Novensides, Di Indigetes, Divi, quorum est potestas nostrorum
hostiumque, Dique Manes, vos precor veneror, veniam peto feroque, uti
populo Romano Quiritum formidine morteque adficiatis, sicut verbis
nuncupavi, ita pro re publica Quiritum, exercitu, legionibus, auxiliis populi
Romani Quiritum, legiones auxiliaque hostium mecum Deis Manibus
Tellurique devoveo” (Liv. VIII, 9).14
Questa formula, che Livio riporta nel riferire l’atto suicida del console
Publio Decio Mure nella battaglia del Vesuvio, che vide affrontarsi Romani e
Latini nel 304 a.C., evidenzia come anche gli dei debbano sottostare a principi
di carattere giuridico, nello specifico rispettare pactum stabilito attraverso una
formula estremamente chiara, da cui la ossessiva ripetizione dei concetti. Tra
le divinità invocate in prima linea si collocano Giano e Giove, che in certo
modo si contraddicono e si completano. Giano, festeggiato il primo gennaio,
come auspicio di un inizio attivo, in questo caso evoca l’energia bellica. Giove
diversamente rappresenta l’ordine, l’equilibrio, una pace vittoriosa, che si
dovrà conseguire con la vittoria. Seguono le altre divinità romane e persino le
straniere,15 quali testimoni e garanti di un accordo che il generale stipula con
le divinità telluriche: i Di Manes e Tellus. Tale accordo coinvolge pertanto tre
soggetti: il generale che si offre in sacrificio e con lui offre in sacrificio le
14
Giano, Giove, Marte Padre, Quirino, Bellona, Lares, Dei Novensides, Dei Indigetes, dei, che esercitate il
vostro potere su noi e i nostri nemici, Dei Mani, vi prego e vi venero, vi chiedo perdono e pago la pena,
affinché liberiate il Popolo Romano dei Quiriti dalla paura e dalla morte, cosí come ho espresso a chiare
parole, a vantaggio della repubblica dei Quiriti, dell’esercito, delle legioni, delle truppe ausiliarie, restituisco
agli Dei Mani e a Tellus, assieme a me le legioni e le truppe ausiliarie nemiche.
15
Roma fu sempre ben disposta ad accogliere nel suo sistema divinità straniere; basti pensare all’accoglienza
della Fortuna di Preneste e successivamente alle varie divinità di provenienza orientale cultuate in epoca
imperiale.
truppe nemiche, le entità telluriche che ricevono il sacrificio e gli altri dei che
garantiscono che la promessa di sacrificio sarà rispettata. Ovvero che come il
generale, anche i nemici rispetteranno il patto di offrire la loro vita, patto nel
quale sono stati coinvolti senza volerlo. Sì che non é un accordo attraverso il
quale ottenere la vittoria, ma semplicemente di un’offerta sacrificale alla quale
non è possibile sottrarsi. Naturalmente si tratta di un’offerta impari, in quanto
sui piatti della bilancia, da una parte c’è il generale romano, dall’altra le
“legiones auxiliaque hostium”, ossia l’intero esercito nemico.
Risulta con ciò evidente l’importanza del rispetto di un codice che
concerne le relazioni tra esseri umani e dei, perché da questo dipende la pax
deorum hominumque, basata sulla reciproca fiducia, la fides, essenziale per il
mantenimento di un ordine che, originatosi dalla tradizione bellica di un
popolo guerriero (fides come elemento essenziale nel rapporto fra il generale e
i suoi uomini) coinvolge l’ambito religioso come quello civile.

Giorni di lavoro e giorni di festa

Rivolgendoci ora specificamente al calendario romano, che qui


illustriamo attraverso i Fasti Antiates Maiores, notiamo che il termine Fasti,
da un lato indica il calendario in genere, dall’altro le giornate lavorative nelle
quali è permesso attuare nella vita civile (dies fasti). Questi sono indicati con
la lettera F, collocata affianco alla data. Compilato dal pontifex Maximus sulla
base di ricorrenze sia religiose che civili, il calendario organizzava in maniera
scrupolosa la vita del cittadino, indicando i giorni in cui era lecito e propizio
operare e quelli in cui era opportuno e corretto lasciar perdere ogni attività
lavorativa per dedicarli agli dei. Da notare che per il Romano l’attività in
ambito civile si esprimeva soprattutto in campo giuridico, ossia nell’operare in
tribunale. Scrive Ovidio: “fastus erit, per quem lege licebit agi” (Ovid, Fast. I,
48), ossia che è fasto il giorno in cui è lecito operare in ambito legale, ossia
nell’attività mediante la quale il Romano si identifica come cittadino e in
quanto tale sostiene i suoi diritti.
Al contrario, i giorni in cui non si deve operare in ambito pubblico sono
detti nefasti e vengono indicati con la lettera N posta al lato della data. Tali
giorni di fatto sono festi, ossia festivi. Vi sono alcuni giorni indicati con le
lettere EN, che significa endotercisi o intercisi, dei quali la parte iniziale e
terminale risulta nefasta, da dedicare quindi agli dei, la mediana, fasta, è
aperta alle attività lavorative.
La lettera C, che sta a indicare il dies comitialis, indica che non soltanto
il giorno è fastus, ma che è aperto alla convocazione dei comitia, assemblee di
cittadini che si riunivano nel comitium ubicato nel foro romano.16
Affianco ai vari giorni appare inoltre una serie di lettere, che va dalla A
alla H, che pertanto accompagnano una sequenza di otto giorni, che prende la
denominazione di nundinae, intervallo di otto giorni fra un mercato e l’altro.
Da notare che il termine nundinae deriva da novem dies, nove giorni, visto che
si parte dalla lettera A per arrivare alla H per poi ricominciare daccapo. Questa
determinazione corrisponde alla nostra settimana, ed il giorno del mercato è
indicato con la lettera A17.
La sigla QRCF (cuando rex comitiavit fas), relativa ai giorni 24 marzo
e 24 maggio, si riferisce all’azione del rex sacrorum, figura che sostituì il re
con la fine della monarchia18, che convocava l’assemblea per confermare i
testamenti19. Terminata tale operazione, il giorno, inizialmente nefastus,
diventava fastus.20
La sigla QSDF (quando stercum delatum fas) si riferisce a
un’operazione delle Vestali che una volta all’anno, il 15 giugno, pulivano il
tempio. Questo giorno, inizialmente nefastus, al termine del loro lavoro
diventava fastus.
Procederemo a una descrizione più analitica dei rituali nel corso della
descrizione del calendario qui prescelto, i Fasti Antiates Maiores, unico
calendario pervenutoci precedente la riforma di Cesare, e che fu ritrovato nel
marzo del 1915 nella città di Anzio, affrescato sulle pareti di un’antica
costruzione conosciuta come Villa Neroniana. Conservato in ottimo stato, è
attualmente custodito nel Museo Nazionale Romano.
Tra i vari calendari che ci sono pervenuti, il più recente è Fasti Furi
Filocali, risalente al 354 d.C., illustrato appunto dal calligrafo del quale porta
16
Queste assemblee popolari, di carattere legislativo, elettorale e giuridico ebbero la loro origine in etá
monarchica in quanto comitia curiata, cui il popolo partecipava nella sua tripartizione in curie (Ramnes,
Tities e Luceres). All’etá repubblicana risale la costituzione dei comitia tributa, ossia riunione delle tribù
organizzate in base alla dislocazione. Di carattere precipuamente religioso erano i comitia calata.
17
L’indicare nove giorni quando in effetti si tratta di un intervallo di otto giorni deriva dal fatto che il giorno
di partenza è contato due volte, ossia anche come giorno d’arrivo. Da qui deriva anche la comune
espressione “ggi a otto”, pur se si tratta dell’intervallo di una settimana.
18
Liv. I, 2; Dionys. IV, 74,1; V, 1, 4.
19
Il giorno di marzo rappresenterebbe la consegna di testamenti perché fossero poi modificati o confermati
in maggio.
20
Varr. l. L. VI, 31; Fest. 311 L.
il nome, che, al di là di alcune specificità (lista dei compleanni degli
imperatori e alcune informazioni di carattere astrologico) risulta in armonia
con la tradizione calendariale più antica.21 Del resto tutti i calendari romani,
indipendentemente dalla loro datazione, appaiono molto simili tra loro, in
quanto fedeli a una tradizione di carattere essenzialmente rituale che si
mantiene costante al di là delle trasformazioni di genere teologico o filosofico.
Sì che, mettendo da parte eziologie d’origine mitica, il Romano esplicava i
suoi doveri religiosi nell’assiduità e nella fermezza dei riti.

Il culto fra la luna e il sole

Se alla base dei calendari esiste la volontà di fare in modo che il calcolo
e l’organizzazione del tempo siano funzionali all’attività umana, un problema
fondamentale da risolvere è creare armonia tra l’operare in ambito sociale o
profano ed uno in ambito religioso o sacro. Ciò tra l’altro deve essere
realizzato tenendo presenti le condizioni naturali, quindi i fattori che
producono l’alternarsi fra luce e ombra, fra caldo e freddo. Gli elementi base
che si devono considerare per calcolare i cambiamenti periodici sono la luna e
il sole, ossia due cicli, quello che considera il movimento della terra in
funzione del sole, e quello che osserva il movimento della luna attorno alla
terra. Il ciclo lunare è di 29,53059 giorni, intervallo fra due immagini
identiche della luna per gli osservatori terrestri; quello solare, di 365,24219
giorni, intervallo fra due passaggi del sole nell’equinozio di primavera, sì che
al ciclo solare corrisponde quello stagionale. Le due misure non sono
conciliabili, ossia l’osservazione delle fasi lunari per calcolare le cadenze
mensili non è in armonia con la cadenza annuale.
Tipico esempio di un calendario lunare, ossia basato sulla sequenza di
mesi coincidenti con il ciclo lunare, è quello musulmano, che comprende sei
mesi di 29 e sei mesi di 30 giorni, per un anno di 354 giorni. Il che comporta
una riduzione di oltre undici giorni rispetto all’annualità solare. In questo
calendario ogni mese inizia con la luna nuova, regola rispettata in particolare
con il nono mese, Ramadan (Corano 2, 185)22, mese di digiuno, il cui inizio e
fine devono essere testimoniati da uomini di chiara fede, nel senso di
credibilità, ai quali è apparsa la prima immagine di luna crescente.

21
Si veda Rüpke, 1995 e 2011.
22
Dalla radice “ramada”, bruciare, in quanto vengono rimessi o bruciati i peccati.
Questo compito di scrutatore della luna apparteneva a Roma a un
pontifex, che annunciava il sorgere dell’astro al rex sacrorum, che convocava
(kalabat, termine dal quale deriva quello di Kalendae, che contrassegna il
primo giorno di ogni mese) l’assemblea, nella quale determinava i giorni delle
Nonae (caratterizzate dal primo quarto di luna) e delle Idus (indicate dalla luna
piena). Nel giorno delle Nonae indicava il valore sacro dei vari giorni del
mese, in particolare quali fossero festi e quali fasti. Ciò vuol dire che il
calendario romano sorse sulla base di una relazione visuale fra il cittadino e la
luna, mentre si dava scarsa importanza alla relazione con il sole.
Il primo calendario composto di dieci mesi fu attribuito a Romolo, sì
che Ovidio scrive di lui che conosceva le armi meglio delle stelle (“scilicet
arma magis quam sidera, Romulus noras”, Ovid. Fast., I, 29). A meno che
non considerasse che in un sistema liturgico basato sul rapporto con la luna,
fosse di scarsa importanza la relazione col sole, e quindi non desse alcuna
importanza alla durata dell’anno, che egli aveva ridotto a trecento giorni. Con
Numa si ebbe un incremento di due mesi, ma pur sempre esisteva una
discrepanza tra la rivoluzione solare e il numero dei giorni, e quindi a un
costante ciclo lunare corrispondeva una sequenza stagionale costantemente
mutevole23.
In base alla volontà di conciliare almeno parzialmente la sequenza
lunare con il ciclo solare, nel rispetto comunque della corrispondenza fra
l’azione rituale e le fasi lunari, venivano effettuate intercalazioni. Ogni due
anni si inseriva un mese mercedonius alternativamente di 22 e 23 giorni, sì che
si costituiva un’annualità di 366,28 giorni, con una eccedenza di circa un
giorno rispetto all’effettivo ciclo solare.
L’anno originariamente iniziava con il mese di marzo, come dimostra il
fatto che Quintilis e Sextilis erano quinto e sesto mese di un anno che partiva
appunto da questo mese. Inoltre alle calende di marzo si realizzavano rituali
tipici di un inizio d’annualità. Si rinnovava il fuoco nel tempio di Vesta
assieme alle le fronde d’alloro che adornavano le case dei flamines maiores,
del rex sacrorum e delle curie (Ovid. Fast. 1, 37 ss.). Inoltre fra gli anni 222 e
153 a.C. i consoli assunsero la loro carica alle calende di marzo, per poi
tornare ad assumerle alle calende di gennaio, giorno caratterizzato da Giano,
divinità preposta all’inizio d’ogni attività.
23
Il calendario numano fu mantenuto per l’intera epoca repubblicana. Dato che era composto di 355 giorni,
con mesi di 29 o di 31 giorni, con eccezione del mese di febbraio, di 28 giorni, si deduce che quattro mesi
contavano 31 giorni e sette, 29. Pare che per una sorta di scaramanzia si evitasse il numero 30 in quanto
pari, o piuttosto per prendere le distanze dalla numerazione romulea.
Per risolvere dunque il problema dell’effettivo inizio dell’annualità a
Roma, si potrebbe pensare alla coesistenza di date differenti, e per tanto
parlare di un inizio “gianuale” il primo gennaio, e di un inizio “marziale”,
ossia nel mese di marzo. Il primo indicherebbe un inizio faticoso, difficoltoso,
come si presenta la fase iniziale d’ogni attività, in quanto passaggio da un
modo d’essere a un altro; l’altro indicherebbe un inizio in piena attività, dopo
essere passati per febbraio, mese delle purificazioni (februare = purificare). Si
potrebbe tra l’altro pensare a un’ulteriore data d’inizio, il 21 di aprile, giorno
della fondazione di Roma, che, come vedremo in seguito, sottolinea col suo
rituale una tipica fase di passaggio (Sabbatucci, 1988).
Il calendario di Anzio, qui riprodotto, e che seguiremo nella sua
sequenza nella descrizione dei rituali, presenta gennaio come il primo mese
dell’anno, anche perché fu elaborato in un periodo nel quale i consoli
entravano in carica alle Calende di questo mese.
L’intercalazione prima indicata con la quale si aggiungevano giorni
supplementari, provocavano una eccedenza di un giorno per anno, per cui
l’equinozio di primavera dell’anno 50 a.C. venne a cadere alle Idi di marzo. A
questo inconveniente rispose la riforma di Cesare, realizzata in base ai calcoli
dell’astronomo alessandrino Sosigene. Cesare aggiunse 23 giorni fra 23 e 24
febbraio e collocò due mesi fra novembre e dicembre del 46 a.C. Il primo
marzo si trasformò quindi nel primo gennaio e l’equinozio di primavera cadde
il 21 marzo. L’anno giuliano risultò così composto di 365 giorni, e per
recuperare le sei ore mancanti, si aggiunse un giorno ogni quattro anni, fra il
23 e il 24 di febbraio: dies sextus ante kalendas Martias. Tale anno, data
l’esistenza di un doppio dies sextus, divenne bisextilis.
Questa riforma produceva un adeguamento della sequenza diaria del
calendario al ritmo delle stagioni e pertanto al tempo atmosferico, cosa che
non veniva considerato affatto in un calendario puramente lunare, e quindi era
funzionale all’attività agricola. Al contrario poneva un grave problema in
ambito religioso: la festa nella sua celebrazione perdeva la conferma visiva. Se
a Giano, per il suo carattere di forza iniziale doveva corrispondere una luna
nuova, ossia ugualmente iniziale, o a Giove, dio della pienezza, doveva
corrispondere il plenilunio, seguendo un calendario solare, economicamente
vantaggioso perché in armonia col tempo atmosferico e quindi favorevole
all’attività agricola, veniva ignorata questa coincidenza.
Con questa riforma veniva tra l’altro sottratto un notevole potere ai
pontefici, che precedentemente, nell’adeguare il mese lunare al solare,
eseguivano intercalazioni che servivano soprattutto ad allungare il tempo delle
cariche politiche. Riforma che evidenziava il carattere rivoluzionario
dell’azione di Cesare, per la quale la sequenza Kalendae, Nonae, Idus, del
tutto separata dalla contemplazione lunare, eliminava gli arbitri pontificali, ed
affidava a un sistema rigidamente codificato l’organizzazione del tempo.
Il vedere soggettivo e variabile del potere pontificale era sostituito dalla
trascrizione unica definitiva di Cesare, pontifex Maximus, al quale la sorte
riservò una morte esemplare. Venne infatti pugnalato alle Idi di marzo,
quando la più antica ripartizione del tempo avrebbe fatto coincidere quella
data con il plenilunio, quale momento più alto dell’annualità, dedicato
pertanto al dio supremo. Ma con la riforma, l’armonia fra la festa e la luna si
era definitivamente interrotta, sì che in quel giorno fatidico, a chi volle
osservare il cielo notturno, non apparve certamente la luna piena.

IANUARIUS

ILLUSTRAZIONE DEL MESE DI GENNAIO


GENNAIO

Il primo giorno del mese viene considerato, come precedentemente indicato, uno dei
possibili inizi dell’annualitá. A partire dall’anno 153 a.C. i consoli assumevano la carica e,
dopo aver compiuto i sacrifici rituali in onore di Juppiter Optimus Maximus, che aveva il
suo tempio sul Campidoglio, vestiti con abiti bianchi e puri (“vestibus intactis”, Ovid. Fast.
1, 79) incontravano il popolo, vestito alla stessa maniera (concolor) ed insieme compivano
sacrifici di giovenche.
In questo giorno la gente si scambiava auguri e regali di buon auspicio, denominati
strenae, rametti staccati da una arbor felix (albero propizio, fortunato) che si trovava nel
bosco della dea Strena.
Il mese è caratterizzato dalla figura del dio Giano, dal quale del resto assume il
nome. Questi, descritto come biformis, produce una impressione di terrore in Ovidio
allorché gli si manifesta in un’immagine “a due facce” (“ancipiti imagine”, Ovid. Fast. 1,
95), con un bastone nella mano destra ed una chiave nella sinistra. Egli è dio degli inizi ed
anche dei passaggi, da una vecchia ad una nuova fase, e per questo, indirettamente anche
delle attività belliche. Per questa ragione le porte del suo tempio rimanevano chiuse in
tempo di pace e venivano aperte in momenti di guerra. Di fatti rimasero chiuse soltanto al
termine della Prima Guerra Punica e dopo la battaglia di Azio.
Si sacrifica a Giano prima che a tutti gli altri dei, in quanto gli si attribuisce una
funzione simile a quella del dio greco Ermes, che funge allo stesso tempo da messaggero e
da annunziatore nei confronti delle varie divinità. Commenta Ovidio la posizione del dio
annunciatore, dicendo: “Ut possis aditum per me qui limina servo / ad quoscumque voles –
inquit – habere deos” (Fast. 1, 173 s.)24
A partire dal carattere attivo della figura che domina il mese oltre a dargli il nome, è
il fatto che il primo giorno dell’anno è fastus, con la finalitá di introdurre una annualitá di
proficua attivititá: “…ne foret annus iners” (Ovid. Fast.1, 168).

1 GENNAIO Calende Fasto


a Esculapio Coronide
a Vediove

Questo giorno è consacrato a Esculapio, figlio di Coronide, e a Vediove, divinità i


cui templi erano ubicati nell’Isola Tiberina. Esculapio, secondo Livio (Per. 11), fu
introdotto a Roma per ordine dei decemviri sacris faciundis che, a causa di una grave
pestilenza che si era abbattuta su Roma nel 293 a. C., consultarono i libri Sybillini per
trovare una soluzione. La risposta fu che per interrompere la diffusione del male occorresse
recarsi ad Epidauro e trarre nell’urbe dal tempio di Asclepio o Esculapio la statua del dio
(Liv. X, 57, 6-7). La legazione romana ottenne dalle autorità del tempio di portare via solo
un simbolo del dio, un serpente di bronzo, che fu appunto imbarcato per il trasporto. Si
racconta che, quando l’imbarcazione, navigando lungo il Tevere, giunse nei pressi
dell’isola Tiberina, il serpente prese vita, si gettò in acque e si posò sul terreno dell’isola
(Ovid. Metam. XV, 730-740). Il che fu accolto come un segnale divino, sì che si decise di
dedicare in quel luogo un tempio al dio. Questo, che rappresentò un centro di culto come di
cura, venne consacrato nell’anno 289 a.C. Chi vi si recava per problemi di salute vi
trascorreva la notte onde ricevere assistenza dal dio, mentre di giorno si affidava ai medici
che frequentavano il luogo in cerca di una terapia. In somma, l’elemento sacro ci coniugava
con il profano senza alcuna contraddizione.
La propensione terapeutica del luogo si protrasse nei secoli, in quanto il tempio fu
successivamente dedicato a San Bartolomeo apostolo, e nel 1585, trasformato in luogo di
cura dalla Confraternita Ospedaliera San Giovanni di Dio, prese il nome che conserva
attualmente, assieme alla funzione, di Fatebenefratelli, ben noto ospedale romano.

Affianco al tempio di Esculapio ne sorgeva un altro, dedicato a Vediove, che risulta


appunto presente nel calendario accanto al dio della medicina, pur se aveva una opposta
caratterizzazione, in quanto aveva una stretta relazione con la morte e gli Inferi. Veniva
rappresentato infatti assieme a una capra, tipico simbolo di morte, secondo la testimonianza
di Gellio (Noctes Atticae, V, 12, 11), ma in effetti il suo carattere risulta molto ambiguo
anche per chi ne manteneva il culto.
24
“Affinché tu possa – disse – attraverso me che servo alle soglie, avere accesso a chiunque tu voglia”.
Notiamo che questa priorità nell’invocazione e nel sacrifico riservata a Giano, la troviamo nel medesimo
trattamento che si fa alla figura, anch’essa “ermetica” di Exu, spiritello astuto se non perverso, controllore
dei cammini, che, nel ricevere per primo l’attenzione dei fedeli, ha il compito di introdurre le altre entità, gli
Orixás.
5 GENNAIO None Fasto
a Vica Pota

Solo il calendario di Anzio indica questa celebrazione dedicata a Vica Pota, dea che
aveva il suo tempio ai piedi della Velia, piccola altura presso l’Esquilino, accanto alla casa
di Valerio Publicola (Liv. II, 7, 12; Plut. Popl. 10, 4). Arnobio la chiama “Victa et Potua”
(Arn. 3, 25), mentre Cicerone (Leg. 2, 28) la definisce “dea vincendi potiundi” (dea della
vittoria e della conquista).

11 GENNAIO Carmentalia NP
a Giuturna
15 GENNAIO Carmentalia NP
a Carmenta

La festa dei Carmentalia si celebrava due volte, prima e dopo le Idi, ossia in fase prima
crescente e poi decrescente della luna. Questa doppia celebrazione in onore di Carmenta
deriverebbe dal fatto che alla dea venivano attribuite due sorelle, Porrima, che guarda
davanti, e Postverta, che guarda indietro (Ovid. Fast. 1, 633 ss.).
Il nome della dea, che possedeva un proprio flamen, deriva chiaramente del termine
carmen, canto (verbo canere, cantare), ma indica anche un parlare ispirato, espressione di
dote profetica. Sulla base di questa accezione, una particolare etimologia la qualifica come
“carens mente” (Plut. Quaest. Rom. 56), espressione di uno stato di follia ispirata. Il mito
racconta che, originaria dell’Arcadia, madre di Evandro, esortò suo figlio a compiere il
viaggio nel Lazio, e gli indicò il cammino corretto per giungere alla foce del Tevere. Il
racconto di Ovidio la presenta come profetica annunciatrice della futura gloria di Roma e
del suo impero universale. (“Montibus his olim totus promittitur orbis”, Ovid. Fast. 1,
517)25.
La spiegazione della celebrazione fa riferimento a un evento singolare. Le matrone
di Roma che si trovavano in stato di gravidanza ed alle quali il senato aveva proibito
l’utilizzazione di un carro, detto carpentum, protestarono contro codesta decisione agitando
il loro ventre per provocare l’aborto, per rinunciare a tale azione di protesta appena fu
esaudita la loro richiesta (Ovid. Fast. 1, 623 s.).
Sorge a questo punto l’interrogativo sulla eventuale relazione fra la dea e il
carpentum, che in effetti sembra limitarsi ad una semplice assonanza, mentre troviamo una
connessione fra questa e l’azione abortiva delle madri in segno di protesta. Si può notare
come in diverse culture forme predittive e azioni rituali propiziatrici caratterizzino la fase
precedente il venire al mondo dei bambini (basti pensare al mito di Edipo), comportamento
che invece, rifiutato a Roma, rese necessaria la protesta delle madri in stato interessante,
che operarono nel nome di Carmenta, la dea della profezia ispirata. Nei due giorni di festa,
25
A questi monti si preannuncia che un giorno avranno il potere su tutto il mondo.
dedicati rispettivamente ai nascituri bambini e bambine, le madri in stato di gravidanza si
ponevano in relazione con la dea, e non certo con un carro da condurre, mentre
implicitamente proponevano un rapporto fra questa con la sua potenza profetica, con il
parto e i nascituri26.
In questo giorno veniva celebrata anche Giuturna, dea delle fonti originaria di
Lavinio. Condotta a Roma, le fu dedicata una fonte nel foro accanto al tempio di Vesta,
denominata lacus Iuturnae. Successivamente in Campo Marzio le fu dedicato un tempio, la
cui fondazione veniva celebrata in questa giornata con giochi d’acqua. Scrive Servio:
“artificium aqua exercent” (ad Aen. 12, 139).

FEBRUARIUS
Illustrazione di Februarius

26
Trasportando il racconto nell’attualità potremmo vedere nell’azione delle gestanti la richiesta di un esame
preventivo e di una rassicurazione sull’esito del parto.
FEBBRAIO

Mese di purificazione e di espiazione. Il termina februare, purificare, deriva dai


panni di lana, februae, con i quali si ripuliva il luogo dove venivano sacrificati gli animali
offerti agli dei (Ovid. Fast. 2, 22), ma anche il farro tostato, le fronde di un albero puro con
le quali i sacerdoti si cingevano la fronte, e in generale tutti gli elementi usati nei sacrifici
per il loro potere purificatorio.
Collocato fra gennaio e marzo, febbraio fa seguito a un inizio difficile, e pertanto
caotico, come del resto lo sono tutti gli inizi, protetto da Giano, e precede un mese di piena
attività, protetto da Giove e Marte, espressione rispettivamente della pace in quanto
conseguenza della vittoria, e della guerra (originariamente le guerre iniziavano in marzo
con la stagione primaverile per arrestarsi con l’inverno).
La propensione espiatoria del mese è evidenziata da due celebrazioni, una rivolta ai
morti, i dies parentales, che si concludevano con i Feralia, l’altra rivolta al farro, i
Fornacalia, che terminava con i Quirinalia.
Con la prima si espiano con doni e con forme di astinenza le mancanze dei vivi nei
confronti dei morti, che, una volta placati, abbandonano il mondo dei vivi per tornare sotto
terra e da lì, operano come parentes, ossia antenati protettori. Con l’altra si espia la “colpa”
di sottrarre il farro alla terra, e una volta tostato viene messo in commercio. Notiamo che
questo senso di colpa è tipico degli agricoltori che, nel vedere l’atto della raccolta come una
forma di violenza nei confronti della terra, si sentono in obbligo di dare qualcosa per non
rischiare che nel futuro la terra si neghi di dare i suoi frutti.27

27
Obbedisce a questa esigenza e finalità il rito del capro espiatorio, celebrato in Grecia come in culture
derivate, per il quale si sacrificava alla terra un capro, che, percorrendo il campo prima del raccolto, si
Febbraio pur introducendo la pienezza di marzo, partecipa in certo modo alla
difficoltà degli inizi, e testimonianza di questa incertezza può essere costituita dalla
centralità della figura di Fauno (il 13 del mese si celebra l’inaugurazione del tempio a lui
dedicato nell’Isola Tiberina), abitante della selva e re in un mondo pre-romano, assieme
alla celebrazione del “selvaggio” rituale dei Lupercalia. Del resto l’ambiente pre-agricolo
che fa da cornice alle due celebrazioni evidenzia il carattere caotico delle origini.

1 FEBBRAIO Calende nefasto


A Giunone Salvatrice Madre Regina
In questa data venne dedicato a Juno Sospes o Sospita nel 197 a.C. un tempio nel
Foro Olitorio da parte del console Gayo Cornelio Cetego, in carica al tempo della guerra
contro i Galli Insubri. La dea era originaria di Lanuvio, e assieme alla concessione della
cittadinanza romana ai Lanuvini nel 338 a.C., venne “evocata” a Roma. Tuttavia il suo
tempio rimase a Lanuvio, e dei suoi rituali se ne assumeva carico il dictator della cittá, il
suo specifico flamen e un collegio sacerdotale, i sacerdotes Lanuvini; a costoro si
aggregava il collegio pontificale romano. La sua statua portava una lancia ed uno scudo,
simile a quello dei Salii, sí che il suo appellativo di sospes, salvatrice, la indica come una
protettrice di Roma, o meglio rappresenta una epiclesi della dea Juno che assume funzione
guerriera.
L’essere celebrata alle Calende non sembrerebbe giustifica l’appellativo di
Mundgottin, ossia divinitá lunare attribuitole da alcuni studiosi (Wissoza, 1912; Latte,
1960), ma piuttosto indicherebbe la sua funzione di vigilanza che si colloca all’inizio (fase
di prima luna) di un periodo delicato, in cui bisogna osservare con attenzione i messaggi
divini ed operare con scrupolosità.

5 FEBBRAIO None
a Concordia nel Campidoglio
Anniversario della fondazione del tempio della dea Concordia, dedicato nel 216 a.
C. dal pretore Lucio Manlio, dopo la soppressione di una rivolta dei suoi soldati in Gallia. Il
primo tempio alla dea, ubicato nella parte occidentale del foro, era stato fondato nel 367 da
Furio Camillo, che dopo l’invasione gallica, con la sua azione bellica e sociale rifondò
Roma. Oltre a liberarla del nemico, raggiunse una nuova pace sociale, stabilendo appunto la
concordia ordinum. Del resto la specifica propensione di questa figura consiste nel
mantenere l’ordine e l’equilibrio fra le classi sociali, esprimendo con ció un valore
tipicamente civico (Sabbatucci, 1975, cap. II).

13 FEBBRAIO Idus
A Fauno

assumeva la colpa della sottrazione successiva dei frutti.


Viene celebrata la fondazione del tempio di Fauno nell’Isola Tiberina. Fu costruito
nel 196 a. C. dagli edili plebei Cn. Domizio Enobarbo e C. Scribino Curio, e decidato da
quest’ultimo nel 193 a. C.
Fauno è allo una divinità pastorale, o meglio selvatica (dei boschi), figlio di Pico,
nipote di Saturno, ma fu anche terzo re di Laurento. Si manifesta attraverso voci oracolari
che in forma anonima si diffondono nella selva (“saepe Faunorum voces exauditae”, Cic.
De nat. d. 2, 6) diffondendo timore se non terrore. Per il suo parlare profetico, Fauno reca
l’appellativo di Fatuus o Fatuclus, e per la sua capacità di cadere in stato di possessione
profetica e di generarla (“…hos Faunos etiam Fatuos dicunt, quod per stuporem divina
pronuntient”, Serv. Ad Aen.8, 134)28 ha anche l’appellativo di Inuus.
Il fatto di moltiplicarsi in una pluralità di soggetti, identificati come primitivi
abitanti della selva, lo qualifica come divinità pre-cosmica, in riferimento all’ordine
cosmico romano, e pertanto appare selvatico o selvaggio, in contrasto con il successivo,
composto, ordine rurale.
A lui appartiene un mese non ancora maturo, di preparazione a un inizio in piena
attività, rappresentato dal mese di marzo, la cui pienezza si identifica con l’ordine romano.
Per tale motivo Brelich, riferendosi a un ordine “faunesco”, parla di un “disordine di fine
anno” (Brelich, 1976: 82) considerando che il vero inizio d’anno nella sua pienezza si ha
con il mese di marzo. Il 13 febbraio è tra l’altro la data della sconfitta del Crémera,
avvenuta nel 306 a. C., allorché morirono 306 Fabi (sull’episodio si veda Montanari, 1973),
esponenti di una gens “faunesca” per il suo originario furor bellico (condizione che
produsse il pressoché totale annichilamento di questa famiglia). Si tratta comunque della
stessa gens dalla quale sorse Quinto Fabio Massimo, che con la sua cunctatio (attitudine
completamente opposta all’antico furore, grazie alla quale salvò Roma nel contesto della
Seconda Guerra Punica frenando l’avanzata di Annibale.

Dal 13 al 21 FEBBRAIO
Parentalia
Il giorno 13 all’ora sesta, ossia mezzogiorno, iniziano i Parentalia o dies parentales,
e terminano il 21 dello stesso mese con la celebrazione dei Feralia. Questa celebrazione
non è indicata dal calendario anziate, mentre è presenti in altri calendari ed in numerose
altre fonti. Questa celebrazione si evidenzia per una sovversione dell’ordine civile, in
quanto nei giorni del suo svolgimento i morti lasciano le loro sedi collocate nella profondità
della terra per venire alla superficie e ricevere offerte, essenzialmente alimentari di cui si
nutrono (“nunc posto pascitur umbra cibo”, Ov. Fast. 2, 566). Si tratta esattamente di
corone di fiori, frumento, pochi grani di sale, pane inzuppato nel vino e petali di viole. In
questi giorni sono proibiti i matrimoni, i templi rimangono chiusi e non si possono
compiere sacrifici (Ov. Fast. 2, 577).
Questo dato indicato da Ovidio risulta peró in contrasto con la pratica rituale che di
fatto si svolgono nel corso dei nove giorni di questa celebrazione, come i Lupercalia e i
Quirinalia, con le rispettive offerte sacrificali. Questa incongruenza potrebbe essere peró
28
“…questi Fauni sono detti anche Fatui, per il fatto che pronunziano cose divine in stato di possessione”
spiegata dal fatto che la festa pubblica aveva luogo solo il giorno 21, mentre nei rimanenti
si placavano in forma privata le anime dei morti (“animas placare paternas”, Ov. Fast. 2,
527).
Il calendario Filocaliano in data 13 febbraio presenta l’annotazione Virgo Vestalis
parentat, con la quale si indica che le vergini vestali celebravano il rito in forma pubblica
un solo giorno. Il che confermerebbe che solo la parte iniziale e la finale della celebrazione
avevano carattere pubblico, mentre nei giorni intermedi si operava a livello privato, sí che
si lasciava lo spazio per altre celebrazioni.
Il simbolismo delle offerte fa intendere il carattere essenzialmente apotropaico del
rito. Il sale esprime quel che è devitalizzato, morto, mentre il vino del quale è zuppo il pane
indica la volontá di dare oblio ai morti, o, detto in altro modo, di dare loro una “seconda
morte”, per mezzo della quale, da angoscianti presenze, si trasformino in benefici antenati
protettori. Tra l’altro questa valenza antivitale del simbolismo cerimoniale, lo si trova
ulteriormente rafforzato nella fase terminale della celebrazione: i Feralia, 21 febbraio. Il
termine deriva da ferre, portare le offerte (Ov., Fast. 2, 569), peró il rituale si svolge a
partire dall’azione di una donna anziana che infila in un piccolo foro tre grani di incenso,
lega dei fili ad un fuso e si infila in bocca sette fave nere. Quindi cuce la bocca a un pesce
(moena), gli trafigge la testa con un ago e in fine lo brucia. Per concludere il rituale sparge
del vino sui resti del sacrificio e beve tutto quel che rimane sino ad ubriacarsi.
Ovidio descrive puntualmente questo rito e lo spiega mediante un mito che racconta
di Giove che desidera la ninfa Giuturna, e della ninfa Lala, la “chiacchierona” che avvisa
Giunone e scatena l’ira del dio che le strappa la lingua. Ella diviene pertanto dea Muta ed il
nome Lara si trasforma in Lara. Condannata poi cadere nel pantano infernale, lungo il
cammino soffre la violenza di Mercurio che la rende madre di due gemelli, i Lares, la cui
funzione è di vigilare gli incroci viari (cfr. Tabeling, 1932).
Risulta molto intenso il carattere simbolico di questo rituale finalizzato a
“confermare la morte”, vale a dire dare una valenza culturale al dato naturale. L’uso
eccessivo del vino per procurare ubriachezza da parte dell’officiante per facilitare il
distacco dalla realtà; la enfatizzazione del mutismo attraverso la ridondanza del cucire la
bocca a un pesce (azione della officiante), che equivarrebbe a far tacere un muto, uccidere
un morto ed in fine bruciare l’oggetto de sacrificio e cospargerlo di vino, sono tutte
operazioni antivitali, alle quali si aggiunge la narrazione mitica del trasformare una
chiacchierona in muta.

15 FEBBRAIO
Lupercalia
Il rito è officiato dal sodalicium (associazione) dei Luperci, denominazione mutuata
da lupus. Separati in due gruppi, Quinctiales e Fabiani, correvano nudi lungo le pendici del
Palatino, partendo dal lupercal , grotta situate alle falde del colle, che secondo il mito
ospitava la lupa che allattó Romolo e Remo, e colpivano con cinghie di cuoio le persone
nelle quali si imbattevano. Si offrivano volentieri ai colpi “fecondatori” le donne che
ambivano alla maternità, propiziata appunto da queste cinghie ingravidanti.
Sono varie le fonti che riferiscono di questo rituale e diverse le narrazioni. Per la
maggior parte delle fonti il rito avrebbe avuto origine in Arcadia (Plut. Rom. 21; Ov. Fast.
2, 271 ss.; Liv. I, 5); dedicato a Pan da genti “ferine” sarebbe stato successivamente portato
nel Lazio da Evandro. In seguito a questo trasferimento il greco Pan si sarebbe trasformato
nel latino Inuo, identificato con l’animalesco abitante della selva Fauno, che univa al
carattere selvaggio la proprietà di parlare in stato di ispirazione o possessione.
Una differente versione ovidiana (Ov. Fast. 2, 375) pone in relazione il rito con una
gara tra Fabiani e Quinctiales, in lotta per la riconquista di un gregge conteso. Alla vittoria
dei Fabiani, guidati da Remo, che acquisirono il diritto esclusivo di consumare le exta
(viscere) delle capre sacrificate a Fauno, Romolo reazionò ridendo (“risit”) sebbene mal
sopportò la sconfitta subita.
Questo particolare si lega alla descrizione plutarchea del rituale (Plut. Rom, 21, 4-
10; Ces. 61). Dopo il sacrificio di una capra, alla presenza di giovani di nobili famiglie
romane, i sacerdoti officianti del rito passavano sulle fronti di questi giovani i coltelli
insanguinati, per poi ripulirle con della lana imbevuta nel latte. A questo punto i giovani
ridevano.
Cerchiamo una significativa valenza del rito in questo passaggio dal sangue al latte,
ossia dal momento drammatico del sacrificio cruento, col suo carattere ctonio e notturno,
soprattutto in quanto l’oggetto del sacrificio è la capra col suo forte simbolismo di morte,
alla purificazione mediante il latte, accompagnata dalla gioia del ridere, con la sua forza
vitale. Capre e montoni erano gli animali che per tradizione si offrivano a Fauno, la cui
esistenza “faunesca” era accompagnata da dote profetica (per questo il dio era riconosciuto
anche come fatuus). Detto anche Lupercus era in rapporto con il lupo e quindi con Marte,
rivelando un complesso di relazioni che più che una protezione di greggi nei confronti degli
attacchi dei lupi, indicherebbe, per il carattere selvatico del dio, una partecipazione alla
forza e alla aggressività di questi animali. In altri termini, Fauno proprio per la sua
“deformitá” animalesca, quale essere per metà capra e per metà umano, si lega al pericoloso
mondo di una conoscenza ispirata, pre-agraria e pre-culturale.
Una sequenza rituale molto simile al culto faunesco si potrebbe ritrovare nei culti di
possessione afro-brasiliani, ed in particolare nel rituale dedicato all’entità ctonia (gli Exus
sono spiriti inferi di basso livello evolutivo e per questo abili in azioni moralmente
condannabili quanto efficaci), che si svolge nel corso della notte. Gli adepti, dopo aver
trascorso la notte in un profondo e drammatico stato di possessione, con la luce del giorno
abbandonano il precedente parossismo per raggiungere uno stato di leggera ebbrezza (erê),
in quanto posseduti da entitá infantili, le Crianças, che, assumendo bibite dolci come
cocacola e guaraná, si lasciano trasportare in un giocoso girotondo. Con questa fase si
celebra quindi l’elemento giovanile che, superato il momento tanatico-estatico, si manifesta
nella sua forza vitale.
Riferendoci alla interpretazione di Sabbatucci, che considera questo rito “…
un’antica iniziazione tribale o puberale” (1988: 56), crediamo piuttosto che esso possa
rappresentare la rigenerazione del ciclo annuale. L’intero rituale simbolizza una fase di
ambiguità o di opposizione in quanto passaggio da uno stato pre-cosmico, identificato con
il sacro-selvaggio, alla condizione cosmica, ossia dello stabile ordine romano, nel quale sia
il riso come il latte sono simboli di purificazione e quindi di rinascita nello spirito della
forza giovanile.

17 FEBBRAIO NP
Quirinalia a Quirino

Questa festa era celebrata da chi non aveva festeggiato i Fornacalia, festa mobile
che ciascuno celebrava con la curia di appartenenza avendo come ultima data il 16
febbraio. Per questo motivo i Quirinalia erano denominati feriae stultorum: gli stulti erano
coloro che non conoscendo la propria curia di appartenenza sceglievano il 17 febbraio per
un rito indifferenziato.
I Fornacalia mutuavano il loro nome dalla dea Fornax, che controllava la corretta
tostatura del farro (Ov. Fast. 2, 521 ss.) mentre i Quirinalia prendevano il nome da
Quirino, divinità che si occupava dell’alimentazione in generale di Roma. Considerando i
caratteri e le prerogative differenti delle due divinitá, risulta inverosimile che potessero
essere festeggiate assieme per fare spazio alle persone distratte o ignoranti. In realtá con i
Fornacalia si celebrava la tostatura del farro, mentre con i Quirinalia si proteggeva
l’attivitá successiva, il momento in cui il farro, una volta tostato, passava dai forni al
mercato. La prima fase proteggeva la trasformazione dal prodotto crudo, allo stato naturale,
alla sua commestibilitá ottenuta con la tostatura e quindi alla sua commercializzazione. Per
questo le due celebrazioni presentano una sequenza temporale, e potrebbero riferirsi anche
ad una differenziazione di carattere sociale e tecnica. La prima fase celebrata da gruppi
separati, ai quali è affidata la preparazione, mentre la successiva coinvolge tutto il popolo
dei Quirites, ossia i Romani in quanto produttori e consumatori di alimenti.

23 FEBBRAIO NP
Terminalia

Festa dedicata al dio Terminus, rappresentato con un palo piantato nel terreno ad
indicare un limite spaziale. L’istituzione del culto risale a Tito Tazio (Varr. De l. L. 5, 74;
1, 55, 2s.) o a Numa (Dionys. 2, 74, 2s; Plut. Num. 16). Il suo potere consiste nella
protezione dei confini, secondo Livio, che riferisce che quando si decise di costruire il
tempio di Giove Optimus Maxomus sul Campidoglio, furono trasferiti altrove i templi delle
altre divinità, con eccezione di quello di Terminua (Liv. 1, 55, 3). Questo rappresentava il
centro dal quale partiva il dominio di Roma, che poteva allargarsi senza limiti spaziali29.
Principio veniva confermato dal fatto la medesima celebrazione aveva luogo
contemporaneamente nel tempio capitolino e presso la pietra miliare, simbolo del dio,
collocata al sesto miglio della Via Laurentina. Con questa duplice ubicazione si intendeva
29
Consideriamo la radicale differenza rispetto alla polis greca, la cui compiutezza consisteva nel principio
della misura, del limite, in senso spaziale come nel numero degli abitanti.
valutare la centralità dell’urbe e specificamente del Campidoglio, dove era collocato il
tempio di Giove che la impersonava, e la sua apertura al mondo, attraverso una distanza
simbolica, la via Laurentina, che di fatto esprimeva il non limite, il dominio su ogni
territorio. A partire dalla stabilità del suo centro veniva pertanto predetto a Roma dominio
stabile sul mondo intero (“…firma stabiliaque cuncta portendere”, Liv. 1, 55, 4), mentre la
sua espansione si sarebbe realizzata nell’ambito di un equilibrio cosmico grazie al quale lo
spazio urbano si sarebbe identificato appunto con il mondo (Romae spatium est Urbis et
orbis”, Ov. Fast. 2, 681).

24 FEBBRAIO

Il calendario anziate non presenta celebrazioni in questa data, tuttavia varie fonti
testimoniano la presenza del Regifugium, con la quale secondo il mito si ricordava la fuga
di Tarquinio il Superbo, e quindi la fine della monarchia a Roma. Il rex sacrorum che
nell’occasione impersonerebbe il re etrusco, dopo aver celebrato il sacrificio, fuggiva nel
Foro. Fuga che, piú che rappresentare la rievocazione di un antico evento e il rifiuto della
monarchia, collocandosi in stretta relazione con l’organizzazione del calendario,
rappresenta una forma di sospensione del tempo. In questa data veniva effettuata una
intercalazione per potersi accordare con il ciclo solare pur nel rispetto delle fasi lunari. Si
può dunque affermare che questo giorno costituiva un axis temporale (come il tempio di
Terminus rappresentava un axis spaziale) in base al quale si risolveva il complesso rapporto
tra il tempo atmosferico e quello liturgico.
L’anomalia che la festa venisse celebrata in un giorno pari (solo le Equirria del 14
marzo venivano celebrate in un giorno dispari), evidenzia la particolare relazione di questa
ricorrenza con la organizzazione del tempo. Essa, nella sua particolare collocazione, ossia
fuori dall’ubicazione delle altre feste, appare come sottratta al regolare flusso temporale. Si
potrebbe pertanto concludere che l’evento dell’espulsione del re, da commemorazione d’un
atto rivoluzionario e fondamentale nella storia di Roma, coincide con un azzeramento del
tempo, con la finalitá di porre in armonia il tempo storico della res publica con quello
cosmico, al fine di ribadire l’omologazione delle due realtá.

27 FEBBRAIO
Equirria

Equirria o Ecurria consisteva in una corsa di cavalli in onore di Marte, che si


svolgeva nel Campo Marzio (“quae deus in campo prospicit ipse suo”, Ov. Fast. 2, 860)
attraverso la quale si annunciava l’arrivo del mese di marzo consacrato al dio, e con esso
l’inizio dell’attività bellica. Anche in questo caso la collocazione in un giorno dispari ha
una giustificazione: essa deve precedere immediatamente l’inizio del nuovo mese.
MARTIUS
Illustrazione di Martius
MARZO

Mese dedicato al dio Marte, allorché aveva inizio, secondo una tradizione originaria,
la stagione della guerra, che si concludeva in ottobre. Marte è divinità italica, ed Ovidio
elenca le diverse popolazioni che davano il suo nome a questo mese: “mensis in his etiam
nomine Martis erit” (Ov. Fast. 3, 88); dagli Albani ai Falisci, agli Ernici, agli Ariccini, etc.,
onde evidenziare la diffusione del suo culto. Egli rappresenterebbe pertanto la comunità
italica, in contrapposizione a Quirino che rappresenta esclusivamente la comunità romana;
del resto secondo la tradizione Romolo, una volta assunto al cielo si sarebbe trasformato nel
dio Quirino (Sabbatucci, 1988: 89). In effetti risulta singolare il rapporto fra questo primo
re di Roma e le due divinità Marte e Quirino, diverse per funzione e per carattere, e che
tuttavia partecipano costantemente alla sua vita. Romolo secondo la tradizione è figlio di
Marte (Plut. Rom. 3, 4) e sparisce avvolto da un turbine mentre passa in rassegna le truppe
in Campo Marzio, presso il Palus Caprae (Plut. Rom. 27), ma una volta levato al cielo,
viene venerato dai Romani come Quirino (Flor. Epit. I, 16 ss.; Plut. Rom. 27 s.). Abbiamo
qui opposizioni funzionali significative che corrispondono al rapporto fra le due divinità:
Romani – Latini, come indicato da Sabbatucci, ma anche ambito alimentare – ambito
bellico, funzioni che vengono riassunte nella figura di Romolo, re guerriero, la cui morte
avviene in ambito marziale, ma la cui sopravvivenza divina si realizza sotto l’insegna del
“pacificatore” Quirino. Le due divinità del resto formano la triade arcaica, assieme al
sommo Juppiter, e partecipano al potere di Roma nelle due differenti e pur complementari
funzioni (si veda Dumézil, 1964).
L’offerta sacrificale a Marte consisteva in un maiale, una pecora e un toro
(suovetaurilia = sus, ovis, taurus), a volte in un montone e raramente in un cavallo (nella
ricorrenza delle Idi di ottobre). Gli era dedicato il Campus Martius, dove, sotto il regno di
Numa, venne eretta la ara Martis. Il dio aveva un sacerdote personale, il flamen Martialis,
uno dei tre flamines maiores, e due collegi sacerdotali, i Salii e i Frates Arvales. Ai primi
spettava l’attivitá bellica, agli altri la protezione dei campi coltivati.
1 MARZO Calende
a Giunone
Mentre il mese è dedicato interamente a Marte, il primo giorno è dedicato in
particolare a Giunone nella specifica epiclesi di Lucina, in quanto favorisce il venire alla
luce, ossia quale protettrice del parto. In questo giorno si celebrano i Matronalia (Plut.
Rom. 21), festa dedicate alle matronae.
Potrebbe apparire singolare che nel primo giorno di un mese interamente dedicato al
dio guerriero vengano celebrate le matronae, contraddizione che risulta tale anche ad
Ovidio, che propone diverse spiegazioni (Ov. Fast.3, 267 ss.). Rievoca anzitutto il mito del
ratto delle Sabine, azione con la quale i Romani, con un’azione violenta si procurarono le
donne essenziali per l’incremento della popolazione. Fa quindi riferimento alla
caratteristica atmosferica del mese, che segna la fine dell’inverno e l’inizio della stagione
temperata che favorisce il rigoglio della natura e la procreazione (“…pecoris nunc hora
creandi”, Ov. Fast. 3, 241). In fine nota come la presenza della dea nel primo giorno del
mese venga evidenziata dalla costruzione in questo giorno dell’anno 375 a. C., di un tempio
a Juno Lucina sull’Esquilino.
Gagé considera le matronae “…les mères d’une génération héroïque » (Gagé,
1963 : 69), e sulla base di questa concezione vede un collegamento fra l’aspetto marziale
del mese e la celebrazione della “dea madre”. Sulla funzione del generare quale militanza
(militia) femminile si basa la spiegazione data da Sabbatucci relativamente al rapporto tra
Giunone e Marte, figure entrambe celebrate in questo mese in cui si celebra la forza bellica
(Sabbatucci, 1988: 9 s.).
Il rituale della celebrazione vedeva un’offerta di fiori a Giunone, quindi comportava
una inversione di ruoli, per la quale i mariti assumevano i ruoli tipici delle consorti, che a
loro volta assumevano la funzione di patres ossia di guide della famiglia. Non si tratta in
questo caso dell’inversione “carnevalesca” tipica dei Saturnalia, ma della realizzazione di
uno scambio finalizzato a sostenere l’equivalenza dei ruoli nella mutua attività di sostegno
al potere di Roma. La donna mostra la sua volontà di collaborare assumendo una
responsabilitá maschile, l’uomo facendosi carico della peculiarità femminile celebrata nel
nome della dea della generazione e del parto. Il rito ripropone quindi la stretta relazione nel
nome di un eroismo civile fra Marte e Giunone.

7 MARZO None Fasto


A Vediove sul Campidoglio
Si tratta di una celebrazione della quale probabilmente si aveva scarsa memoria, dal
momento che Ovidio utilizza l’espressione dubitativa “putant” in riferimento al fatto che il
tempio “ante duos lucos” fosse stato effettivamente consacrato a Vediove (Ov. Fast. 3,
430). Per quanto concerne informazioni relative al dio, si veda ció che è stato scritto per le
Calende di gennaio.
14 MARZO
Equirria
È la seconda celebrazione annuale degli Equirria, in quanto la prima si svolgeva il
27 febbraio, ossia poco prima del novilunio, mentre questa di marzo aveva luogo il giorno
precedente il plenilunio. Entrambe le feste sono dedicate a Marte, e la loro collocazione
temporale indica rispettivamente l’apertura d’un ciclo marziale e l’affermazione del pieno
potere del dio. La seconda delle due celebrazioni presenta però l’anomalia di collocarsi in
un giorno pari, fatto che potrebbe spiegarsi con la volontà di esaltare il potere del dio
collocando la sua celebrazione ben prossima al plenilunio, ma non nel giorno delle Idi,
indiscutibilmente occupato dalla figura di Giove, impersonazione dell’assoluto potere della
res publica. In somma, celebrando la festa di Marte in un “quasi plenilunio” si conciliavano
i due poteri fondanti di Roma, quello militare e quello civico.

15 MARZO Idi
ad Anna Perenna
Ovidio offre un’ampia descrizione dello svolgersi del rito, mentre offre scarse
notizie sulla figura divina celebrata, ossia Anna Perenna, attorno alla quel riferisce
affabulazioni alquanto eterogenee.
La presenta come sorella di Didone, esiliata nel Lazio dove, per sfuggire all’invidia
di Lavinia, cade e muore annegata nelle acque del fiume Numico: “…placidi sum nympha
Numici / amne perenne latens Anna Perenna vocor”. Ella, trasformata in ninfa si identifica
con la perennità delle acque che l’accolgono e da queste prende il nome.
Sulla base di una differente versione la considera una donna anziana che alimentó la
plebe romana allorché in un momento di crisi si rifugió sul Monte Sacro, sí che le fu eretta
una statua in memoria. “Paecem domi facta signum posuere perennem / quod sibi defectis
illa tulisset opem” (Ov. Fast. 3, 673 ss.). In questo caso il concetto di perennità viene
estratto dalla perennità del monumento che la plebe, una volta stabilita la pace interna,
eressero in suo onore. Nelle due versioni, ancorché ben differenziate, risulta comune il
valore temporale che di fatto accomuna il fiume e la statua, e che determina la
denominazione della figura celebrata in un giorno fondamentale del culto a Roma.
Ben diversa è la spiegazione che offre Macrobio, dichiarando: “Ad Annam
Perennam significatur itur, ut annare perannareque commode liceat” (Macr. Sat. 1, 12, 6).
Con questa spiegazione per la quale un nome personale si forma in base alla
sostantivizzazione del verbo perannare espressione di attività, la figura divina perde la sua
identificazione, ribadendo con ciò la teoria per la quale il mondo divimo romano si presenta
come insieme di forze e non di entità. Ne consegue la riduzione della religione a rito, ossia
da sistema, fonte e prodotto d’una narrazione mitica, a pura attività rituale finalizzata a
padroneggiare forze che si manifestano in natura. Specificamente perannare indica il
passaggio attraverso l’anno in maniera positiva, e trova conferma dallo svolgimento della
festa che veniva celebrata dalla plebe con una gita “fuori porta”. Ci si muoveva verso le
aree verdi attorno a Roma e lì si festeggiava con danze, canti, giochi e banchetti, e
soprattutto con grandi bevute di vino sulla base di una tradizione per la quale il numero dei
bicchieri di vino bevuti avrebbe indicato quello degli anni da vivere. Altra peculiarità
consisteva nel fatto che le giovani ragazze intonavano canti scurrili che traevano ispirazione
dall’inganno teso a Marte da Anna Perenna, che prese il posto nell’alcova del dio della
desiderata Minerva (Ov. Fast. 3, 675)
Risulta evidente come le versioni mitiche riportate costituiscano la rielaborazione a
posteriori di un rituale che presentava una assoluta autonomia, e la cui funzione era di
augurio affinché il nuovo anno fosse propizio. Del resto, come inizialmente indicato,
l’inizio dell’anno a Roma veniva ambiguamente collocato a gennaio come a marzo, con la
differenza che mentre quello di gennaio poteva definirsi un inizio “faticoso” al quale
seguiva il mese “purificatore” di febbraio, quello “marziale” comportava la piena attività
oltre all’impulso che avrebbe condotto il cittadino verso una annualità felice. Non
casualmente questo nuovo inizio avveniva in prossimità della primavera ed in particolare
nel giorno delle Idi, appartenente a Giove, che sotto il simbolo del plenilunio esprimeva il
potere dell’urbe. Il popolo romano, poco interessato a un mito piuttosto incerto e alla sua
ambigua protagonista, si limitava a celebrare l’aspetto ludico della festa nel contesto di
un’allegra apertura del nuovo anno nel piacevole contatto con la natura primaverile.

17 MARZO
Liberalia

Festa dei neo togati, ossia dei giovani che, passando all’etá adulta, assumevano la
toga virilis e con questa il praenomen ossia il nome proprio. Il rituale prevedeva che essi
avanzassero in corteo attraverso il foro per raggiungere il Campidoglio. I Fasti Farnesiani
contengono l’iscrizione Liber in Capitolio, che fa presupporre l’esistenza di una aedes
Liberi e di un culto rivolto a questa entitá sul colle capitolino. Data tale ubicazione si
evidenzia una possibile relazione fra Liber e Giove, che verrebbe confermata da
un’iniziativa del re Servio Tullio, che dispose che si ponesse una certa somma di denaro in
tre luoghi differenti: il tempio di Juno Lucina per i nuovi nati, in quello di Venus Libitina
per i morti, e di Juventas per chi diveniva maggiorenne. Da notare che Juventas è una
epiclesi di Giove come lo è anche Liber, che coerentemente con la cultura religiosa romana,
è una funzione, un concetto che assume il valore di entitá.
Appare significativa la connessione fra Liber e libertas, e di fatti con l’acquisizione
del praenome, ossia di una specifica individualitá, i liberi (giovani) passavano da una forma
di riconoscimento collettivo a una esistenza di cives pleno iure, ossia di cittadini romani
con i loro diritti garantiti dalla res publica.
Pur considerando che Liber possa costituire una derivazione di Dionisos Bacchos, a
causa della sua assunzione dell’epiteto di Dionisos Eleutheros (libero), l’effettiva mancanza
d’una relazione col dio greco è data dal fatto che il romano non presenta alcuna relazione
con un culto orgiastico. Liber non á mai presente nelle varie celebrazioni del vino, né i
Liberalia comportano il consumo di questa sostanza. Le fonti che riferiscono la
soppressione dei Baccanali nel 186 a.C. fanno riferimento a un culto diretto al dio greco e
sottolineano il netto rifiuto a Roma di pratiche orgiastiche tipiche di quel culto. 30
Si può pertanto concludere che l’azione “liberatrice” in senso orgiastico, quindi
personale, operata dal dio greco, a Roma si trasforma nella realizzazione di una libertà
civica conseguita attraverso una festa iniziatica con la quale i giovani acquistano i loro
pieni diritti. E che Liber, non essendo, in quanto sostantivo, la traduzione latina del greco
eleutheros, attributo, non è epiclesi di un soggetto divino, ma un valore o un potere, che
pertanto si realizza soltanto attraverso il rito.

19 MARZO NP
Quinquatrus a Minerva

Il quinto giorno oscuro (ater), ossia il quinto giorno dopo il plenilunio, è consacrato
a Minerva. Secondo Ovidio i giorni che vanno dal 19 al 23 sono tutti consacrati alla dea, in
onore della quale si realizzano combattimenti circensi con eccezione del primo dei cinque
in quanto giorno della sua nascita (Ov. Fast. 3, 809 ss.). É verosimile che la celebrazione,
inizialmente limitata al giorno 19, fu ampliata in concomitanza con il cambiamento della
triade arcaica, costituita da Juppiter, Mars, Quirinus, con la triade Juppiter, Juno, Minerva.
La dea sostituiva Marte condividendo la medesima caratteristica di entità guerriera, pur se
tendeva a deviare questa specifica proprietà in un operare meno con le armi che con la
conoscenza tecnica.
Al culto partecipavano i Salii, componenti di un collegio sacerdotale proprio di
Marte, che eseguivano una danza particolare (salire = saltare) agitando i loro scudi
(ancilia). Erano in numero di 12, scelti fra giovani nobili, che avevano il compito di
custodire il solo scudo caduto del cielo, a protezione del quale furono realizzate undici
copie (Ov. Fast. 3, 259 – 392).

23 MARZO Fasto dopo che il re ha


convocato l’assemblea

Il giorno è nefasto sino alla convocazione dell’assemblea (comitium) da parte del


rex sacrorum. Al suo termine il giorno diviene fasto.

30
Si tratta di un decreto senatoriale contenuto in una iscrizione in bronzo che proibiva la pratica del culto
orgiastico in tutta Italia. Tale proibizione aveva fatto seguito a un’iniziativa del console Postumio che, sulla
base di principi morali, aveva fatto imprigionare vari adepti del culto – si parla di settemila incarcerati - dei
quali molti furono condannati a morte (Liv. XXXIX 14, 8; 18, 7)
APRILE
APRILE

Venere è la figura centrale di questo mese. Il Calendario Filocaliano


pone nel giorno delle Calende la celebrazione dei Veneralia, ed Ovidio
introduce le attivitá religiose di questo periodo con una emotiva invocazione
alla dea, e dichiara che a lei è dedicato l’intero mese.
“Venimus ad quartum, quo tu celebérrimo mense:
Et vatem et mensem scis, Venus, esse tuos”
(Ov. Fast. 4,13 s.)31 
La dea é di origine italica, viene quindi celebrata a Roma e solo in una
seconda fase viene assimilata alla greca Afrodite. Il suo nome deriva dal
neutro venos, che si avvicina alle forme venia, venerari, venenum. Schilling
traduce venia con “grazia”, “favore divino”, ad indicare un dono che gli dei
concedono agli uomini, e come ulteriore passaggio propone la versione
“perdono”, “indulgenza” (Schilling, 1979: 297).
Risulta ora problematico armonizzare il concetto positivo di venia come
di venerari con quello di venenum, veleno, ossia la grazia concessa dalla dea
con una sostanza mortale, a meno che il farmaco venga inteso come agente di
una fascinazione magico-amorosa e con ciò si metta in risalto l’accezione
erotica della dea che si intensifica con la sua assimilazione ad Afrodite. Tale

31
Siamo giunti al quarto mese, o Venere, e come sai, sia il poeta che lo stesso mese ti appartengono.
duplicità di Venus viene del resto evidenziata da Ovidio che la definisce
“geminorum mater Amorum” (Ov. Fast. 4,1), ossia dell’amore sacro e del
profano ed elargitrice pertanto sia di venia, grazia, che di venenum. Sulla base
della duplice accezione Schilling propone come traduzione di venia con il
termine “charme” intesa allo stesso tempo come “fascino” e “fascinazione”
(Schilling, cit.). Ancora la duplice accezione può testimoniare un percorso
temporale da una fase in cui prevale la tradizionale gravitas romana, a quella
in cui la res publica si lascia sedurre dalla sensualità greca.

1 APRILE Calende Fasto

Il culto non è riportato nei Fasti Antiates, ma è presente nel Calendario


di Filocalo con la denominazione di Veneralia, ed il rituale è ampiamente
descritto da Ovidio (Fast. 4, 134 ss.) Esso consiste nel lavaggio della statua da
parte di officianti donne e nell’offerta di fiori, soprattutto rose. Le officianti si
lavano anch’esse e bevono latte nel quale sciolgono papaveri e miele. Nello
stesso luogo bruciano incenso alla Fortuna Virile.
Nella stessa giornata si celebra l’anniversario della fondazione del
tempio dedicato a Venere Verticordia (che muove i cuori); esso fu edificato
dietro indicazione dell’oracolo cumano, con lo scopo di fare fronte
all’impudicizia delle donne, indirizzando il piacere erotico verso la
procreazione.
Il Calendario Prenestino reca l’annotazione: “Frequenter mulieres
supplicant Fortunae Virili, humiliores etiam in balneis, quod in iis ea parte
corporis utique viri nudantur, qua feminarum gratia desideratur”32. Sí che
questa impudicizia rituale ostentata da donne di basso ceto ha come fine
anch’essa non l’erotismo ma la procreazione.

5 APRILE None Nefasto


alla Fortuna Pubblica
Giorno di fondazione del tempio della Fortuna Publica sul Quirinale,
conosciuto anche come tempio della Fortuna Citerior, in quanto collocato in
posizione posteriore rispetto agli altri due templi dedicati alla dea.

32
Spesso le donne rivolgono suppliche alla Fortuna Virile, quelle di basso ceto persino nei bagni, perché lì
lasciano scoperta quella parte del corpo per la quale la bellezza femminile provoca il desiderio maschile.
Il culto di Fortuna è originario della cittá di Preneste, dove ha l’epiteto
di Primigenia, che potrebbe intendersi sia come primordiale che primogenita,
divinitá che in ogni caso esprime il potere fecondatore della natura piú che le
incertezze della sorte espressa dalla Tyche greca. Nella cittadina laziale aveva
un santuario di grandi dimensioni, ancora esistente, dove sole due giorni
all’anno, 11 e 12 aprile si permetteva la consultazione del suo oracolo per
conoscere il futuro. L’operazione si realizzava mediante l’estrazione da parte
di una bambina di sortes, pezzetti di legno di quercia con iscrizioni, depositate
in una cassetta.
Nel 241 a. C. il senato proibí al console Q. Lutazio Cerco di consultare
questo oracolo, ma dopo la conquista di Preneste da parte dei Romani e la
evocatio della dea e del suo culto a Roma, nel 194 a.C. si eresse un tempio in
suo onore sul Campidoglio (Liv. 34, 53, 5 ss.). Con il recupero della divinitá e
la sua collocazione sul Campidoglio, dove era situato il tempio di Giove,
Roma sottraeva alla divinitá straniera il campo dell’azzardo, per collocarla
nell’ambito del potere del dio supremo e nella certezza del suo dominio.
Scrive in proposito Brelich: “…Roma non si è preoccupata affatto di imdagare
i casi dell’avvenire. In un ‘cosmo’ la ‘fortuna’ e il ‘caso’ non hanno piú alcuna
parte: alla fortuna si oppone il fatum, la parola del garante sovrano dell’ordine:
Iuppiter” (Brelich, 1976: 34 s.). Evidenziamo come con tale operazione Roma
non solo si impossessasse di una “poderosa” divinità, ma ne trasformasse il
talento, sottoponendola alla autorità di Giove, sua guida divina.33

11 APRILE Nefasto
Alla Grande Madre degli dei
del monte Ida

È l’anniversario della fondazione del tempio della dea di Pessinunte,


che fu trasferita dall’Africa a Roma dal console Publio Cornelio Scipione nel
205 a. C. Collocato sul Palatino, il tempio le venne dedicato dedicato tredici
anni dopo la sua costruzione. Nell’occasione vennero istituiti i primi ludi
scaenici detti ludi Megalenses (Liv. 36, 36, 3).
La dea, denominata Cibele oltre che Mater Deum e Mater Idaea (non
porta mai la denominazione di Magna Mater) per indicazione dei Libri
33
La differente caratterizzazione della dea nella sua collocazione prenestina é tra l’altro evidenziata dal fatto
che nella sua sede originaria veniva rappresentata come madre, con al lato una bambina e un bambino,
rispettivamente Giunone e Giove.
Sibillini e per intercessione del re Attalo I, venne portata da Pergamo a Roma.
Era rappresentata con un meteorite nero e fu inizialmente collocata nel tempio
della Vittoria sul Palatino, per poi ottenere una sede esclusiva sul lato
occidentale dello stesso colle.
La sua pratica cultuale era proibita ai Romani per il suo carattere
orgiastico e veniva quindi esercitata da sacerdoti provenienti da Pessinunte.

13 APRILE Idi NP
a Giove Vincitore
a Giove Libertà
Anniversario della consacrazione a Giove di due templi, rispettivamente
collocati sul Palatino e sull’Aventino. Il primo fu votato nel 295 a.C. dal
console Quinto Fabio Massimo Rulliano dopo la battaglia di Sentino, che pose
fine alla Terza Guerra Sannitica. Dell’altro si celebra la data della sua
ricostruzione da parte di Augusto.

15 APRILE NP
Fordicidia

Si sacrificava a Giove una vacca gravida (forda) affinché l’annata fosse


feconda per la terra e per il bestiame.
“…fecundior annus
Provenit et fructum terra pecusque ferunt ” (Ov. Fast. 4, 671
s.).
Il mito eziologico col quale Livio giustifica il sacrificio riferisce che, a
causa della scarsità del raccolto, il re Numa sacrificò due pecore, una a Fauno,
l’altra al dio Sogno, sì che grazie a questa offerta ricevé in sogno Fauno, che
gli propose un enigma: “det sacris animas una iuvenca duas” (Ov. Fast. 4,
666), ossia fare in modo che una sola giovenca offra al sacrificio due vite. Il re
risolse l’enigma e cosí sacrificando una vacca gravida, offrí due vite con il
sacrificio di un solo animale, ed in tal modo che furono due i settori che si
giovassero del favore divino, i campi e il bestiame. Del resto la vacca per le
sue caratteristiche, oltre a costituire ricchezza in quanto capo di bestiame,
poiché è utilizzata per l’aratura costituisce anche un bene per l’agricoltura.
19 APRILE NP
Cerialia
a Cerere, Libero e Libera
È il giorno conclusivo di ludi che avevano avuto inizio sette giorni
prima, e la cerimonia si svolgeva presso il tempio di Cerere, Libero e Libera
che si trovava sull’Aventino. Era stato votato alle tre divinità dal dittatore
Postumio nel 496 a. C. e dedicato nel 493 a. C. dal console Spurio Cassio. La
prima secessione della plebe, che si ritirò sull’Aventino avvenne nel 494 a. C.,
da seconda nel 449 a. C. Con la prima la plebe ottenne la costituzione dei
tribuni plebis e del concilium plebis; con la seconda la redazione delle leggi
Valeriae Horatiae, che mettevano per iscritto i suoi diritti. La costruzione del
tempio rappresentò in ambito religioso la celebrazione del riconoscimento dei
diritti delle plebe che aveva la sua protezione da parte di questa triade che
aveva la sua corrispondenza nella triade capitolina.

21 APRILE NP
Parilia
Fondazione di Roma
Come indica Festo (Epit. P. 248 L.) Pales era la dea protettrice dei
pastori e a lei si dedicava una festa originariamente chiamata Palilia. Mentre
Festo ed Ovidio (Ov. Fast. 4, 716 ss.) la considerano entità femminile,
Varrone la considera maschile (Varr. De l. L. VI, 15), sí che Palatua, divinitá
che vigilava sul Palatino, celebrata nella festa del Septimontium, sarebbe il
suo corrispondente femminile.
La celebrazione è funzionale alla purificazione del bestiame,
specificamente a quello di piccole dimensioni, ossia gli ovini, mentre il giorno
7 luglio si purificavano sia gli animali di grandi dimensioni, ossia i bovini, che
gli ovini partoriti in primavera (Columella 6, 2). Perciò nell’indicare questa
seconda celebrazione, i calendari presentano l’iscrizione alle due Pali.
La purificazione si verificava mediante un rituale complesso
ampiamente descritto da Ovidio (Ov. Fast. 4, 721). Inizialmente si gettava
acqua sul gregge, quindi si accendevano tre fuoci e le persone li superavano
saltandoci sopra, e infine si facevano fumigazioni con del materiale fornito
dalle Vestali: ceneri di embrioni di vitello prodotti dal sacrificio di una forda,
vacca gravida precedentemente uccisa nella festa dei Fordicidia (15 aprile);
sangue sgorgato dalla coda del cavallo sacrificato alle Idi di Ottobre, ed infine
bucce di fave. La fumigazione era completata dalla combustione di zolfo puro,
che produceva una nube di colore azzurro, cui si aggiungeva la combustione
di legno di pino e di ulivo, con cui di formavano grandi faló con ulteriore
formazione di nubi di fumo attraverso l quali passavano uomini e greggi. La
cerimonia si concludeva con l’offerta di latte tiepido a Pales.
Risulta evidente il carattere purificatorio di questo rituale, che evidenzia
anche il passaggio di annualità, simbolicamente espresso nel salto sopra il
fuoco34 e nel percorso attraverso il fumo compiuto sia da uomini che dal
gregge. Si evidenzia che è anche il giorno della fondazione di Roma, per cui
Ovidio evidenzia come la combustione indichi il disfarsi delle vecchie
capanne, sedi di pastori, per la costruzione di una città stabile, sede della
nuova economia agricola. Con questa data si celebra pertanto un doppio
passaggio, quello temporale in quanto inizio d’annualità, e quello culturale del
passaggio dal nomadismo pastorale alla nuova realtà rurale e stanziale. Non è
casuale la coincidenza tra il principio di passaggio d’annualità e quello di un
cambiamento di status, perché oltre ai possibili inizi d’anno in gennaio o in
marzo, si considera un nuovo inizio la data della fondazione di Roma.

25 APRILE Fasto
Vinalia a Venere Erucina

La celebrazione, conosciuta come Vinalia priora, è dedicato alla


Venere di Erice, il cui tempio, collocato sul Campidoglio nelle vicinanze di
quello della triade, fu costruito nel 215 a. C. dai consoli Quinto Fabio
Massimo e Tito Octacilio dopo la sconfitta dal Trebbia ad opera di Annibale.
La relazione tra la festa del vino e la presenza di Venere, dea della
voluptas, celebra il valore del piacere che accompagna l’uso della sostanza
inebriante, principio evidenziato da Ovidio (Fast. 4, 865 ss.), mentre il fatto
che si sentisse la necessità di porlo sotto la protezione di Giove, come indica
Varrone (“His dies Jovis non Veneris”, de l. L. 6, 16) e conferma Macrobio
(“Iovi sacer, et non, ut quidem putant, Veneri” (Sat. 1, 4, 6) esprime la volontà
di esercitare un controllo su questa bevanda a un tempo fortificante e rischiosa

34
In Somalia si celebra una festa denominata dab shiid (accendi fuoco), con la quale si celebra l’ingresso nel
nuovo anno. Si allestiscono piccoli falò e li si supera con un salto. In proposito, si veda Abdullahi Mohamed
Diriye: 2001.
per lo stato di ebbrezza che essa provoca. Si tratta quindi di accettarne
l’aspetto ludico ma assicurarsi che il suo consumo non generi danno.
In questa prospettiva di valutare la caratteristica alimentare e salutare
del vino, il rituale prevedeva l’offerta del primo bicchiere di vino nuovo, il
calpar, al dio sommo, perché poi si passasse al consumo e alla vendita. Per
questa ragione il giorno era considerato fastus, ossia lavorativo: altra ragione
che indica la volontà di sottrarre il vino al puro piacere per renderlo funzionale
all’attivitá economica.
Notiamo in fine che le celebrazioni del vino avvenivano in tre date
diverse, corrispondenti alla raccolta dell’uva, Vinalia rustica (19 agosto), alla
preparazione della bevanda, Meditrinalia (11 ottobre), ed in fine al consumo e
che le varie celebarzioni implicavano la presenza di Giove.

25 APRILE NP
Robigalia
Festa in onore del dio Robigus, nella quale il rituale celebrato dal
flamen Quirinalis prevede il sacrificio di un cane per proteggere il grano dalla
ruggine.35 Lo stesso tipo di sacrificio di operava nella festa mobile
dell’Augurium Canarium, nella quale veniva ucciso un cane rosso tra fine
aprile e i primi giorni di maggio. Il cane che veniva sacrificato si poneva in
relazione con la fase temporale della scomparsa di Sirio, il “cane astrale”, che
introduce un periodo considerato pericoloso per la produzione agricola a causa
di un previsto aumento della temperatura (Plin. Nat. hist. 12, 285).

35
Puccinia graminis é il nome del fungo che può affettare il grano.
MAGGIO

Riproduzione del calendario


MAGGIO

Ovidio, dubbioso sull’origine del nome del mese “non satis est liquido cognito
causa mihi” (Ov. Fast. 5, 2) propone diverse etimologie. Indica una Maiestas che tiene in
ordine il mondo “hinc sata Maiestas, quae mundum temperat omnem”, Ov. Fast, 5, 25) e
che siede al fianco di Giove in quanto espressione del suo potere (“Assidet inde Iovi, Iovi
est fidissima custos”, Ov. 5, 45). Altra possibile etimologia fa riferimento ai maiores, in
seguito all’attribuzione a costoro da parte di Romolo (Ov. Fast. 5, 73), e si contrappone al
mese successivo, iunius, consacrato ai giovani, gli iuniores. In fine Ovidio fa riferimento a
un mito secondo il quale la dea Maia, originaria dell’Arcadia, in seguito ad una relazione
con Giove, generò Mercurio, che per onorarla le dedicò il mese (Ov. Fast. 5, 85 ss.).
Al di là delle differenti considerazioni relative all’origine del nome e delle funzioni
del mese, l’elemento costante è il principio della maiestas, che è proprio di Giove (a
Tuscolo l’appellativo del dio era Maius, Macr. Sat. 1, 12, 17, e i Fasti Tuscolani presentano
l’iscrizione “A magnetudine scilicet ac maiestate dictus”) e per conseguenza alla dea Maia,
in quanto sua sposa.
Il mese è anche caratterizzato da rituali espiatori, come lo sono i Lemuria,
celebrazione dedicata ai morti, che occupa i tre giorni dispari precedenti il giorno delle Idi.
Il giorno 21 si celebrano gli Agonalia, che, secondo i Fasti Venusini, sono dedicati a
Vediovis, sorta di antitesi di Giove, in quanto presenta relazioni parentali ed è in contatto
con il mondo dei morti.

9 MAGGIO Nefasto
11 MAGGIO Nefasto
a Mania
13 MAGGIO Nefasto
Lemuria

I lemures sono le anime dei morti che durante la notte, per mezzo di un rito
esorcistico, vengono allontanati dalle case dove fanno la loro apparizione. A mezzanotte il
pater familias si sveglia, scende dal letto e, rimanendo a piedi nudi, incominci a far
schioccare le dita, si lava le mani con acqua di fonte, mette in bocca fave nere e quindi le
getta alle spelle mentre recita per nove volte la seguente formula: “redimo meque meosque
fabis” (Ov. Fast. 5, 438). Per concludere batte fra loro, assieme alla famiglia riunita, vari
oggetti di rame, soprattutto pentole, esclamando: “Manes exite paterni!” (Ov. Fast. 5, 443).
Secondo Ovidio questa celebrazione concernente i morti e il loro allontanamento
dalla presenza terrena sarebbe una semplice ripetizione della celebrazione dei Parentalia,
precedentemente considerata, che si svolgeva dal 13 al 21 febbraio, ma in verità, mentre la
seconda prevede l’allontanamento di entità pericolose, in quanto il morto non deve ritornare
in vita perché metterebbe a rischio l’ordine sociale, l’altra è un rituale di riconoscimento dei
morti per il loro valore di antenati protettori. Mentre i primi inoltre appaiono nelle ore
notturne, generando terrore nell’ambito familiare, i secondi si rivelano di giorno e vengono
ricevuti con fiducia. Ai primi si danno fave nere, quali simbolo di morte (si dà morte ai
morti che osano disobbedire al loro stato) e li si accoglie con suoni sgradevoli affinché si
allontanino; ai secondi si offrono grano e corone di fiori.
Ovidio, inoltre, basandosi su un’etimologia piuttosto singolare, fa derivare Lemuria
da Remuria, con riferimento a Remo, la cui inanis imago si sarebbe rivolta al fratello
Romolo, affinché gli dedicasse una festa espiatoria (Ov. Fast. 455 ss.). Mentre Romolo
veniva onorato come antenato dai Romani, la presenza eventuale di Romo doveva
provocare disagio, sì da dover essere esercitato un rituale di purificazione neo suoi
confronti.

15 MAGGIO Idi NP
(a Mercurio) a Maia
A (…) Invitto
Non si conosce quale divinitá abbia l’epiteto di Invictus. Viene indicato Marte
(Mancini, 1921: 96) in quanto i Fasti Venusini nel giorno precedente presentano
l’annotazione Marti Invicto. Il giorno è comunque dedicato a Mercurio e a Maia,
considerata madre del dio; tuttavia in questa giornata nel 495 a. C. fu dedicato un tempio a
Marte, ubicato nella parte occidentale della vallis Murcia, mentre veniva venerata la stessa
Maia (Liv. 22, 21, 7).
Il rituale, a testimonianza della prevalenza di Mercurio, vedeva come protagonisti i
mercatores che sacrificavano al dio e a sua madre, dopo essersi purificati con l’acque di
una piscina pubblica situata dinanzi a Porta Capena. Nell’occasione i mertanti chiedevano
perdono per le bugie pronunziate nel corso della loro attività, per aver giurato il falso nel
nome di Giove e al fine chiedevano il favore delle divinità per poter ricavare lauti guadagni.
Se all’epoca augustea il dio Mercurio veniva identificato con Ermes, all’orine non
aveva niente in comune con il dio greco, in quanto posto in relazione esclusivamente con
l’attivitá commerciale. Tradizionalmente a Roma la funzione di psicopompo, che in Grecia
era appannaggio di Ermes, apparteneva a Giano, nella sua funzione di controllore dei
cammini. La stretta relazione fra Mercurio ed il commercio viene ulteriormente confermata
da una etimologia che fa derivare il suo nome da merx, merce (Paul. Fest. P.110; Serv. Ad
Aen. 4,638; Aug. Civ. 4, 11; 7,14).

21 MAGGIO Agonalia NP
23 MAGGIO Tubilustrium NP
24 MAGGIO Fasto dopo che il re ha riunito l’assemblea
Alla Fortuna del popolo romano dei Quiriti

Si tratta di una sequenza di feste simile a quella che avviene a marzo che presenta
tra l’altro un medesimo significato, per cui rimandiamo a quel che è stato scritto
precedentemente. In particolare notiamo che Ovidio indica il Tubilustrium o lustrazione
delle trombe come festa “proxima Volcani” (Ov. 5, 725), in quanto il dio artefice avrebbe
foggiato le trombe.
Al di fuori della sequenza indicata si festeggia l’anniversario di uno dei tre templi
dedicati alla dea Fortuna ubicati sul Quirinale; per una ulteriore spiegazione rimandiamo a
quanto scritto per le none di aprile, anniversario della fondazione del tempio della Fortuna
Citeriore.
CALENDARIO DI
GIUGNO
GIUGNO

Ovidio offre spiegazioni diverse sulla denominazione del mese, che tuttavia
presentano una motivazione comune. Riferisce il termine junius alla dea Juno, quale
legittima sposa di Giove, e la oppone a Maia, amante del dio e celebrata nel mese anteriore.
Propone però anche la dea Iuventas, sposa di Ercole, e sulla base del concetto di gioventù,
crea una contrapposizione fra maiores, ossia gli antenati, qualificanti il mese di maggio, e
gli iuniores, qualificanti il mese di giugno. Ovidio attribuisce questa volontà differenziante
a Romolo, che avrebbe attribuito ai primi la guida dello Stato, ai secondi il potere delle
armi (Ov. Fast. 6, 83).
Spiegazione del tutto diversa, ancora indicata da Ovidio, vede il nome del mese
derivante dal termine junctio, unione, che si riferisce alla formalizzazione dei matrimoni fra
Romani e Sabine.
In senso generale ´possiamo dedurre che la caratteristica di questo mese è la sua
opposizione al mese precedente: al vitale giugno, dominato da Juno e caratterizzato dalla
celebrazione di matrimoni, si oppone il mese espiatorio di maggio che vede la presenza di
riti mortuari e la proibizione di nozze. Ritroviamo peró anche l’opposizione tra maiores e
juniores, i primi rappresentati da Juppiter, espressione di maiestas, potere che è anche
proprio degli anziani, gli altri dalla dea Juno, che potrebbe rappresentare un potere
inferiore.
Ancora, nell’ambito della celebrazione dell’istituto matrimoniale, si evidenzia
l’elemento femminile valutato sotto i differenti aspetti della matrona alla matertera, zia
materna (festa dei Matralia (11 giugno), mentre per quanto concerne le funzioni della
donna, vengono celebrate anche coloro che rifiutano il matrimonio, le Vestali (9 del mese
consacrato a Vesta). Queste rifiutano la maternità naturale per vivere appieno la maternità
spirituale: esse, quali “madri di Roma”, hanno cura del fuoco domestico che ne assicura la
sopravvivenza.

1 GIUGNO Calende
A Marte sul clivo
A Giunone sulla rocca
Né il calendario anziate né altri calendari annotano la celebrazione alla dea Carna,
che è invece presente nella fonte ovidiana come titolare del primo giorno del mese.36 I Fasti
Venusini registrano la dedica di un tempio a Iuno Moneta, dato indicato anche da Ovidio
(Ov. Fast. 6, 101 ss.). Il mito narrato da Ovidio a proposito di Carna riferisce che la ninfa,
originariamente di nome Cranaen, volendo ingannare Giano, venne scoperta dal dio che la
sedusse, e quindi le diede il regalo il comando sui cardini delle porte ed una alba spina
(biancospino), per mezzo della quale poteva tenere lontani i mali dalle soglie (“a foribus”,
Ov. Fast. &, 130).
Il nome Carna, in evidente relazione con cardo, cardine delle porte, pone in stretta
relazione la dea con Giano, che presiede i passaggi, controlla i cammini e le porte, e in
senso traslato favorisce ogni forma di attività. Possiamo però individuare anche una sorta di
opposizione fra le due entità, perché mentre il dio ha la proprietà di aprire i cammini
(ricordiamo che il suo giorno specifico è il primo gennaio, fasto, aperto cioè all’attività),
Carna ha la funzione specifica di chiudere le porte ai mali. Così, mentre Giano ha un potere
adorcistico, quello cioè di evocare i morti, la dea ha un potere esorcistico, allontanando le
malefiche striges (streghe), esseri mostruosi delle profondità che succhiano il sangue dei
bambini.
Il giorno reca anche la denominazione di Kalendae Fabianae, perché alla dea si
offre lardo e purea di fave, vegetale che nella tradizione risulta efficace per tenere lontani i
morti: ricordiamo in proposito la loro utilizzazione nei Larentalia.
Per quanto concerne il culto a Marte, si svolgeva presso il tempio al lui dedicato dal
duumviro Tito Quinzio nel corso della guerra gallica (368 a. C.). Era ubicato fuori Porta
Capena, al primo miglio della Via Appia. Mentre tempio di Iuno Moneta, che fu dedicato

36
“Prima dies tibi, Carna datur dea cardinis hace est”
alla dea dal dittatore Furio Camillo nel 345 a. C., si trovava sulla rocca Capitolina: nei suoi
pressi venne costruita la zecca.37

5 GIUGNO None
A Dio Fidio
Semo Sancus Dius Fidius è il nome completo del dio considerato originario della
cittá di Curi (Ov. Fast. 6, 213 ss.). Egli è il garante dei giuramenti, come indicano le
formule “me Dius Fidius” (Cato in Gell. 10, 14, 3; Paul. Fest.133, l. L.) e “per Dium
Fidium” (Plaut. Asin. 23). Se aveva luogo in casa, il giuramento doveva essere pronunziato
nell’area del compluvium, ossia alla vista del cielo. Per questo motivo anche il tetto del
tempio a lui dedicato, la aedes Divi Fidii in colle, ubicato sul quirinale in una zona
denominata collis Mucialis, presentava un’ampia apertura (Varr. De l. L. 5, 52).
Dius deriva da divus, cielo, e quindi richiama il dio supremo Giove. Wissowa
dichiara infatti che Dius Fidius era lo stesso Giove, rappresentato come protettore della
fides, e quindi oggetto di un culto specifico (Wissowa, 1902: 129). Per quanto concerne gli
altri due epiteti, il secondo riproduce il medesimo significato di Fidius, in quanto contiene il
principio del “sancire”, ratificare, ossia approvazione formale di un atto giuridico compiuto
da altri, azione che implica la presenza della fides, fiducia. Semo invece si riferisce alle
arcaiche entità dei Semones, evocate nei canti dei Fratres Arvales, delle quali si ha una
scarsa conoscenza. Fulgenzio le indica come esseri non degni del cielo (Serm. Ent. XI,
p.115, 5 Helm), mentre Marziano Capella, basandosi su un ingenuo gioco di parole (Semo
= semi, la metá), li considera semidei: “quos semithoeus dicunt quosque latine Semones aut
semideos convenit memorare” (Mart. Cap. 2, 156). Date domunque le scarse notizie
sull’appellativo Semo, si potrebbe proporre la seguente equazione: Semo : Sancus = Dius :
Fidius, per la quale, mentre i secondi termini fanno riferimento al giuramento (la ratifica
che implica fiducia), i primi dovrebbero riferirsi entrambi alla divinità che presiede il
giuramento, ossia Giove.

8 GIUGNO
I Fasti Antiates non presentano alcuna indicazione, mentre altri calendari annotano
l’anniversario del tempio dedicato a Mens sul Campidoglio. Questo venne votato dal
pretore Quinto Octacilio Crasso nel 217 a. C. in seguito alla dura sconfitta del Trasimeno,
dietro suggerimento dei libri Sibyllini. La dea fu introdotta a Roma quale risposta in termini
religiosi alla condotta bellica di Quito Fabio Massimo nella guerra contro Annibale
(Montanari, 1976: 191- 261), ossia del suo cunctari, espressione di un operare razionale in
opposizione alla furia guerriera della sua gens che in tempo passato nella guerra contro
Vejo, condusse alla sconfitta del Crémera (477 a. C.) con la pressoché totale distruzione
della famiglia. Il culto a Mens esprime dunque il raggiungimento da parte dei Fabii di una
maturità in seguito alla rinuncia alla sua indole “naturale” per armonizzarsi con una

37
La parola moneta ossia danaro, deriva dal fatto che la zecca fosse ubicata nei pressi del tempio di Iuno
Moneta (da moneo, avvisare, allertare)
struttura statale super-gentilizia. Solo così Roma poté portare avanti la guerra e alla fine
battere il cartaginese Annibale.

9 GIUGNO
A Vesta
Il ciclo delle celebrazioni dedicate a Vesta aveva inizio il 7 giugno con l’apertura
del penus del tempio a lei dedicato, e si chiudeva il 15 con la sua pulizia, allorché il giorno
diventava fasto: Quando stercus delatum fas.38
Il tempio di Vesta è molto antico; secondo la tradizione fu costruito al tempo di
Numa ed Ovidio attribuisce la sua forma circolare all’identificazione con la sfera terrestre
(Ov. Fast. 6, 263 ss.). Ancora la forma circolare indica la mancanza di un orientamento
specifico e quindi la sua assoluta centralità, che è anche temporale, visto che il suo ciclo
festivo si conclude a metà del mese.
Le sue sacerdotesse, le Vestali, godevano di gran prestigio e di privilegi. Scelte fra
bambine dai sei ai dieci anni dal Pontifex Maximus, che simbolicamente le rapiva,
dovevano mantenersi per tutta la durata del loro incarico, ossia trent’anni. Il loro compito
principale consisteva nel mantenere sempre vivo (sempiternus) il fuoco che ardeva nel
tempio e che veniva rinnovato annualmente alle Calende di marzo. Se infrangevano
quest’obbligo di verginità venivano punite con la morte: sepolte vive nel campus sceleratus
all’interno di Porta Capena o precipitate dalla Rupe Tarpea.
Il tempio, oltre al fuoco, conteneva il pignus o i pignora, uno o piú oggetti sacri che
rappresentavano il potere di Roma, e muries o mola salsa (farro macinato e condito con
sale). Questo alimento era preparato fra le None e il giorno precedente le Idi di marzo, e
l’impasto ottenuto veniva cucinato in tre occasioni: Lupercalia, Vestalia e Idi di settembre.
Le Vestali torrefacevano il farro, lo macinavano, lo salavano, cuocevano la farina ed
utilizzavano il prodotto ottenuto in tre celebrazioni: Lupercalia, Vestalia e Idi di settembre.
La mola salsa, con la quale si cospargeva il corpo degli animali da sacrificare, costituiva un
ingrediente fondamentale nei rituali - da questa deriva il termine “immolare” - oltre ad
essere un alimento primario per i Romani, in quanto con questa mescola si preparava delle
focacce, scabrae molae, che venivano distribuite alla popolazione in forma di regali,
decorate con fiori e portate da asinelli (Ov. Fast. 6, 312).
Ovidio indica l’origine del rito in un pasto che gli uomini consumavano dinanzi al
fuoco in un tempo originario, convinti che vi partecipassero anche gli dei (Ov. Fast. 6, 304
s.). La focaccia di farro puó considerarsi il cibo solido basilare nella dieta dei Romani
(quello liquido è il vino) es fuoco il mezzo indispensabile per l’alimentazione umana.39
38
Questa iscrizione appare il alcuni calendari sotto la sigla Q St D F. La sporcizia, che doveva essere costituita
di escrementi di animali veniva gettata nel Tevere (Ov. Fast. 6, 713).
39
Riferendoci alla tradizione greca, indichiamo come la differenza fondamentale tra dei, animali ed uomini,
evidenziata dal mito di Prometeo, è il fatto che i primi non avessero bisogno di alimentarsi (l’ambrosia
doveva essere qualcosa di scarsa consistenza ed entrava nel campo del piacevole non certo del necessario), i
secondi utilizzavano prodotti allo stato naturale, mentre gli uomini avevano bisogno del fuoco per bollire o
grigliare il loro cibo. È anche indicativo del mito come gli uomini, nel conquistare il fuoco, raggiunsero la loro
condizione umana di esseri carenti e mortali.
Pertanto il penus, nella sua centralità, costituiva la dispensa della domus delle Vestali, in
quanto vi veniva conservato il farro e vi era collocato il focolare, elementi essenziali per la
sopravvivenza, e le sacerdotesse, in quanto padrone (dominae) si prendevano cura delle
provviste, della cucina e della preparazione degli alimenti. In definitiva, possiamo dire che
il tempio di Vesta rappresentava lo stomaco di Roma, la parte essenziale che ne permetteva
la sopravvivenza.

11 GIUGNO Matralia NP
a Mater Matuta
a Fortuna
Con la festa dei Matralia si celebrava la Mater Matuta, il cui tempio, consacrato da
Servio Tullio, si trovava nel Foro Boario. Ne era interdetto l’accesso alle schiave, mentre
potevano partecipare al rito solo le bonae matres (Ov. Fast. 6, 475), ossia le donne sposate,
che offrivano alla dea focacce gialle e le raccomandavano i nipoti, specificamente i figli
delle loro sorelle. Il rito prevedeva inoltre che venisse introdotta una schiava nel tempio che
veniva percossa e poi cacciata. Il mito d’origine riferito da Ovidio fa riferimento a Ino (Ov.
Fast. 6, 485 ss.) che, avendo preso sotto la sua protezione il neonato Dioniso, figlio di
Giove e di sua sorella Semele, per salvarlo da Era che lo perseguitava, si gettò con lui nel
mare e poté arrivare alla foce del Tevere. Qui la dea prese il nome di Leucothea, dea bianca
(in latino resa con Matuta, divinitá del mattino) ed ottenne il dominio del mare, mentre il
figlio Palemone (in latino Portunus) ottenne il dominio dei porti.
Suggestiva è l’interpretazione del rito da parte di Sabbatucci, che suggerisce di
considerare l’invocazione delle matronae alla dea non come petizione a favore dei figli
delle sorelle, ma di quelli dei fratelli, perché mentre i primi appartengono a una gens
estranea (hanno i nomina dei padri), gli altri fanno parte della stessa famiglia della zia
paterna. “In tal modo, conclude Sabbatucci, la donna afferma…la propria identità
gentilizia, quella naturale e di sangue” (Sabbatucci, 1988: 208). Questa sorta di ribellione
rituale alla condizione di spose e quindi di sottomesse all’autoritá del marito, verrebbe
confermata dall’appellativo di matuta, ossia “mattutina”, “aurorale”, termini che
propongono una fase pre-matrimoniale nella quale la donna vive nell’ambito della famiglia
originaria nella quale ritorna momentaneamente attraverso la celebrazione rituale, per la
quale ella non si prende cura dei propri figli, appartenenti alla gens del marito, ma di quelli
del fratello, ossia della propria gens.
Ancorché questa interpretazione si mostra coerente con i valori di un femminile che
vuole affermarsi al di sopra dei suoi obblighi sociali, dubitiamo che la “alterius prolem”
(Ov. Fast. 6, 561) possa riferirsi ai figli del fratello piuttosto che della sorella, in quanto il
poeta evoca un mito nel quale la protagonista assoluta è una matertera (zia materna), la cui
funzione consiste nel costituire l’antecedente di un’azione rituale che aveva luogo
pubblicamente. Sí che non era possibile ingannarsi a tal punto da credere che al tempio

Ora, questo ipotetico pasto comune indicato da Ovidio, si alluderebbe a un tempo originario evocato dagli
esseri umani nell’illusione di una originaria vicinanza alla realtà divina. In forma poetica Eliade scorgeva il
sorgere della pratica religiosa allorché gli dei si allontanarono dal mondo.
della dea si recassero materterae mentre vi si dirigevano amitae (zie paterne).
Consideriamo dunque l’ipotesi formulata da Maurizio Bettini, che le donne
raccomandassero alla dea i figli delle sorelle (Bettini, 1986) e che pertanto si volesse
celebrare la funzione della matertera (Paul. 121 L. la indica come mater altera) considerata
nella societá romana, e non solo in quella, come una seconda madre (in Somalia la sorella
della madre è chiamata abaryar, ossia madre piccola, ed un detto popolare la definisce
come “colei che ha partorito senza dolore”), in grado di sostituire la sorella in caso di
bisogno (in questo principio entra tra l’altro l’istituto del levirato). Pertanto, pur se questi
nipoti (figli della sorella)40hanno nomina diversi da quelli della gens originaria, il rito
sembra comunque voler proporre un modello di solidarietá fra sorelle, entrambe matres (il
rito era riservato a donne sposate con prole) ed entrambe materterae. Si tratta in effetti di
una solidarietà naturale (tra coloro che hanno generato) rispetto alla quale risulta estranea
una connessione di carattere culturale espressa attraverso i nomina. Ricordiamo in questo
contesto che a Roma, come in altre culture, nelle operazioni magiche di fascinazione, la
persona nei confronti della quale si compie il “lavoro” venga indicata attraverso la certa
maternità o non una paternità comunque incerta. Questa celebrazione potrebbe pertanto
costituire una rivincita del femminile nella sua naturalitá di contro a un maschile che nella
societá romana, attraverso la figura del pater familias esercitava un potere pressoché
assoluto su una famiglia allargata. Aggiungiamo che il simbolismo della schiava percossa e
allontanata dal tempio esprime risulta ben inserirsi in un meccanismo per il quale il mondo
delle matres e delle materterae si prende la rivincita su quello degli uomini-mariti, al quale
appartengono le schiave, diretta proprietá degli uomini e possibili sostitute delle mogli
legittime. Del resto il mito eziologico del rituale della schiava espulsa dal tempio, si rifá
alla figura di una schiava che era solita “…sub amplexu coniugis ire” (Ov. Fast. 6, 554)
sostituendosi alla legittima moglie, che cacciandola dal tempio affermava i suoi diritti di
matrona nei confronti degli uomini.
Questo giorno è consacrato anche alla Fortuna che reca l’appellativo di Virgo e il
cui tempio sorgeva accanto a quello di Mater Matuta nel Foro Boario. Con ció abbiamo un
ulteriore richiamo alla verginitá esaltata attraverso la figura delle Vestali e in certo modo
presente nella figura della matertera in quanto madre dei nipoti, “figli” partoriti senza
dolore.

13 GIUGNO Idi Np
I Calendari in questo giorno non annotano nessuna celebrazione, ma fonti letterario
annotano il Quinquatrus Minusculae. Il termine quinquatrus sta a significara “il quinto
giorno oscuro”, ossia il quinto giorno dopo il plenilunio, che tra l’altro identifica anche,
come visto precedentemente, il 19 di marzo. Mentre il termine minusculus indica una
minore importanza della celebrazione, la cui origine si ritrova in un mito narrato da Ovidio
(Ov. Fast. 6, 649 ss.). I Tibicines, suonatori di flauto) di Roma, per protesta contro alcune
40
Notiamo che la lingua italiana non fa distinzione nella denominazione tra figli della sorella o del fratello e
figli dei figli, che vengono comunque chiamati nipoti. In spagnolo i primi sono chiamati sobrino/a, i secondi
nieto/a. In inglese nephew/niece, grandchild/granddaughter.
limitazioni al loro esercizio imposte dalle autorità, lasciarono l’urbe e si trasferirono a
Tivoli. Alcuni cittadini, per farli ritornare, li fecero ubriacare, li caricarono su un carro e li
condussero a Roma. Ma i suonatori pretesero allora che fosse loro concessa una festa
annuale che si svolgesse fra 13 e 15 giugno. Dato significativo è che in questa giornata i
Tibicines si ubriacavano e indossavano abiti femminili, atteggiamento che potrebbe
indicare una enfatizzazione della condanna pubblica della donna bevitrice di vino, dato che
“alla donna romana non era lecito bere vino” (Sabbatucci, 1988: 216), o un suo momento di
liberazione attraverso la finzione.
Questa celebrazione coincideva con l’apertura eccezionale del penus Vestae, “…
come se con l’apertura di quel luogo riservato quanto altro mai venisse meno anche la
riservatezza femminile” (Sabbatucci, 1988: 216).

15 GIUGNO Fasto dopo la asportazione


degli escrementi
Dopo la complessa attenzione riservata alla donna quale tutrice del benessere di
Roma attraverso la figura delle Vestali che ne curano il fuoco (e la dispensa) soprattutto
nella sua funzione alimentare e dopo che esse hanno compiuto l’operazione di purificazione
del tempio, l’avvento del giorno fasto o fausto indica la ripresa delle attività lavorative, in
primis quella di dire al tribunale.

19 GIUGNO Comitialis
a Minerva
Probabilmente si tratta del giorno in cui venne consacrato il tempio a Minerva
sull’Aventino.

27 GIUGNO Comitialis
ai Lari
Abbiamo già incontrato nell’ambito delle celebrazioni dei Prentalia (13 – 21
febbraio) queste entità indicate da Ovidio quali figli della Naiade di nome Lara o Lala, la
“chiacchierona”, alla quale Giove per punizione strappò la lingua rendendola dea Muta
(Ov. Fast. 2, 599 ss.). In questo giorno si commemorava la fondazione della aedes Larum
ubicata sulla sommità della Sacra Via.
QUINTILIS

Illustrazione del mese


LUGLIO

È il quinto mese, perciò denominato Quintilis, se si considera marzo il mese d’inizio


dell’annualità. È caratterizzato da riti diretti a contrastare la siccità. In armonia con questa
finalità viene celebrato Nettuno, entità divina che “fluminibus et fontibus et agris omnibus
praeest” (Serv. Georg. 4, 29). Dumézil raccoglie in un ciclo omogeneo le celebrazioni
Lucaria (periodo19-21), Neptunalia (giorno 23) e Furrinalia (giorno 25) in quanto
espressione della volontà comune di rendere propizia la natura all’uomo (“le bon usage de
la nature”),fornendo acqua ai campi nel periodo della canicola con i Neptunalia e
Furrinalia, e procurando terreno coltivabile con i Lucaria (Dumézil, 1975).
Precedente a questo ciclo vi è una celebrazione nella quale viene evidenziata la
polaritá femminile: le Nonae Caprotinae, che Dumézil collega alla celebrazione dei
Popliifugia, unica festa nel calendario romano a cadere prima delle None (Dumézil, 1975).
Per l’autore citato la fuga del re rappresenterebbe la sconfitta degli uomini riscattata
dall’intervento delle donne, e pertanto una vittoria dell’elemento femminile. Per un
chiarimento di questa argomentazione rimandiamo al commento dedicato specificamente
alla celebrazione del 5 luglio, i Poplifugia.
1 LUGLIO Calende Nefasto
a Giunone
a Felicitas
Le Calende, come di norma, sono dedicate a Giunone, ma nei Fasti Anziati appare
anche la dedica alla dea Felicitas, il cui tempio, ubicato sul Campidoglio, fu fatto costruire
da Silla. Dovrebbe trattarsi del medesimo tempio che secondo i Fasti Fratrum Arvalium e i
Fasti Amiternini era dedicato alla dea Fausta Felicitas, il cui anniversario cade il 9 ottobre.

5 LUGLIO NP
(Poplifugia)
Come dicevamo, fatto peculiare ed anomalo dei Poplifugia, festa non annotata nei
Fasti Anziati, è che cade prima delle None, data in cui di norma il rex sacrorum, avvertito
da un pontifex, proclama tutte le celebrazioni del mese. Varie fonti riferiscono del rituale e
della sua origine. Nota Sabbatucci che pur se nel mese di luglio il plenilunio è il 15, le Idi
sono collocate il 13, per cui la luna si trova in quadratura o primo quarto il giorno 5, per cui
le feste del mese, nel rispetto dell’effettiva lunazione, dovrebbero essere proclamate
appunto il 5. Me ecco che, “… se il popolo fugge, manca il destinatario della
comunicazione, la quale viene rinviata a due giorni dopo” (Sabbatucci, 1988: 230). In altri
termini l’evento singolare e non procrastinabile della fuga del popolo, crea questa
irregolarità di una festa collocata prima delle None e del tradizionale annuncio della
sequenza festiva.
Dalle varie fonti che riportano le cause e lo svolgimento della celebrazione, si
evidenziano differenti versioni:
a) i Romani, fiaccati dalla lotta contri i Galli, successivamente al loro allontanamento,
attaccati da Ficuleati e Fidenati, si diedero alla fuga (Varr. l. L. 18).
b) i Romani in data 6 luglio (pridie nonas Iulias) furono messi in fuga dagli Etruschi, sì che
questo giorno venne indicato come data dei Poplifugia, ma si riscattarono due giorni dopo
(postridie nonas Iulias), e celebrarono la vittoria (vitulatio) in data 8 luglio (Macr. Sat. 3, 2,
13).
c) il popolo romano, allorché Romolo, che lo aveva convocato in assemblea nella “caprae
palus” (palude della capa), scomparve misteriosamente, fuggì in preda al panico (Dionys. 2,
56, 5; Plut. Rom. 29).
A queste versioni è da aggiungere una variante riportata da Plutarco, che costituisce
un approfondimento della prima delle relazioni esposte (Plut. Rom. 29; Camill. 33),
secondo la quale, dopo l’espulsione dei Galli, alcuni popoli latini, approfittando della
debolezza di Roma, marciarono sull’urbe e chiesero di unirsi in matrimonio con donne
romane, con lo scopo di riproporre lo stesso vincolo che si creò fra Romani e Sabini. I
Romani, che non intendevano accogliere la richiesta, misero in atto lo stratagemma della
schiava Tutula che, assieme ad altre schiave, si vestì da donna libera e con loro si consegnò
ai Latini. Una volta che si trovarono nell’accampamento dei nemici, durante la notte,
mentre questi dormivano, l’astuta schiava fece un segno ai soldati romani dopo essersi
arrampicata su un albero di fichi selvatici, il caprificus, sì che i Romani poterono entrare
nell’accampamento e fare strage.
Plutarco a questa narrazione aggiunge come dato significativo che il giorno dei
Poplifugia non era il 5 bensì il 7 luglio, quando si celebravano anche le Nonae Caprotinae,
delle quali lo storico descrive con precisione il rituale. I fedeli pronunciano a voce spiegata
nomi tipici di cittadini romani, quali Marco, Lucio, Gaio etc. a mo’ di richiamo, mentre le
schiave, dopo aver offerto sacrifici sacrificano a Iuno Caprotina, ben agghindate vanno
fuori città a banchettare sotto alberi di fico selvatico; scherzano e apostrofano i passanti,
fingendo di lottare tra loro con lo scopo di rievocare lo scontro che ebbe luogo fra i soldati
romani e i latini.
Al rituale atto del richiamare a gran voce cittadini romani attraverso i nomi più
comuni Plutarco attribuisce cause del tutto eterogenee. Ora si tratterebbe di rievocare
quanto accadde in occasione della scomparsa di Romolo (Plut. Rom. 29), ora ne verrebbe
individuata l’origine nel reciproco chiamarsi dei soldati romani durante l’attacco contro i
Latini (Plut. Camill. 33). Nel primo caso ci sarebbe effettivamente una fuga generale dei
soldati romani per lo sgomento provocato dal terribile evento della scomparsa del re, nel
secondo a fuggire sarebbero i Latini a causa dell’attacco romano. In ogni caso, pur dando
diverse motivazioni, Plutarco nel collocare le due celebrazioni nel medesimo giorno, cerca
cause possibili per giustificare questa scelta.
In ogni caso le schiave, in quanto protagoniste del mito come del rituale, affermano
la loro collocazione, pur secondaria, nella società romana, alla quale danno comunque il
loro contributo. Esse anzitutto si prendono carico della difesa di Roma opponendosi ai
Latini, dato che gli uomini, dopo l’invasione gallica non sono più in grado di lottare; quindi
assumono le responsabilità delle matrone romane, prendendone il posto per evitare unioni
ingiuste in favore di quelle legalmente valide e pertanto protette da Giunone, alla quale
viene dedicato il culto. Notiamo inoltre che la funzione di queste schiave è sostenuta dal
caprificus, sul quale si arrampicano, albero che non produce frutti ma viene utilizzato come
supporto al fico domestico affinché produca fichi più dolci (Colum. De re rustica, 11, 2,
56). Le schiave riproducono pertanto la funzione dell’albero selvatico, non nobile come il
domestico (le schiave sono anch’esse “selvatiche” in opposizione alle matrone, che col
giusto matrimonio producono “fichi dolci”) ma utile a una buona produzione.
Crediamo in fine che attraverso il mito si cercasse di recuperare un rituale che
doveva apparire indecente, in quanto le schiave nei loro festeggiamenti si comportavano in
maniera volgare (scherzano tra loro e prendono in giro i passanti usando espressioni
pesanti), e nello stesso tempo si volesse riportare all’ordine civile una categoria che recava
in sé elementi caotici.

7 LUGLIO None Nefasto


Alle due Pali
I Fasti Anziati dedicano questo giorno alle due Pali, divinità che vengono celebrate
in particolare nei Parilia del 21 aprile. Si veda quanto scritto in relazione a questa
celebrazione.
13 LUGLIO Comiziale
Ludi in onore di Apollo
Questi giochi vennero istituiti nel 212 a. C. per indicazione dei Carmina Marciana,
varsi di carattere profetico composti da un certo Marcio per allontanare da Roma il pericolo
di invasioni (nel 216 a. C. c’era stata la disfatta di Canne). In seguito a questa prescrizione
furono incaricati i decemviri di consultare i Libri Sibillini, ed infine, per delibera del senato
si decise di effettuare sacrifici ad Apollo secondo il rito greco (a capo scoperto) e si
istituirono giochi da tenere nel Circo Massimo (Liv. 25, 12, 8). Livio precisa tra l’altro che
lo scopo dei giochi era di procurare vittoria, non salute. Nel 211 si stabilí che si sarebbero
svolti annualmente “in perpetuum”, senza peró fissare giorni certi per il loro svolgimento.
Nel 208 a. C. scoppiò una pestilenza, la cui causa fu attribuita a una indecisione riguardo
alla loro celebrazione, per cui il pretore urbano P. Licinius Varo propose al popolo di
fissare il giorno esatto del loro svolgimento (Liv. 26, 23; 27, 23, 5). Anche Macrobio
precisa che i giochi furono istituiti “victoriae, non valetudinis causa”, come a voler sfatare
la credenza comune che Apollo fosse in relazione con la malattia e la guarigione.
Il dio greco Apollo si installó a Roma sin dai tempi piú antichi, dato testimoniato
dall’esistenza di una sibilla con un oracolo, per bocca della quale si esprimeva il dio
(“fatorum praeditiones Apollinis”, Cic. De har. Resp. 18). Probabilmente il dio come la sua
sacerdotessa si stabilirono a Roma nello stesso tempo (Wissowa, 1902: 293) e la tradizione
popolare ne evidenziò l’aspetto di divinità guaritrice.

15 LUGLIO Idi NP
Il calendario di Filocalo annota Equitum Romanorum probatio, mentre la
denominazione popolare della celebrazione è transvectio equitum. Essa consisteva in una
parata di cavalieri, che si muoveva dal tempio di Marte fuori Porta Capena sulla via Appia
per raggiungere il tempio dei Dioscuri, protettori della cavalleria, ubicato nel Foro.

17 Luglio Comiziale
a Honor
Il tempio fu consacrato nel 233, durante il bellum lucusticum, da Quinto Fabio
Massimo Cunctator, mentre nel 222 Claudio Marcello, in seguito alla battaglia di
Clastidium, combattuta contro i Galli Insubri, votó una aedes a Virtus, ad esso annessa.

18 LUGLIO Comiziale
Giorno dell’Allia
In questo giorno non sarebbe lecito agire né in forma privata né pubblica, in quanto
si verificarono eventi luttuosi per la res publica: la sconfitta presso il fiume Allia nella
guerra contro i Galli Senoni il 18 luglio del 390 a. C. e la battaglia del Crémera del 479 a.
C., nella quale morirono i 306 uomini della gens Fabia, con la sola accezione di Quinto che
sarebbe stato lasciato a casa perché troppo giovane (Liv. 2, 48 ss.). Il dato contraddittorio
per il quale nei Fasti Antiates il giorno risulta comiziale, quindi assolutamente propizio,
deriverebbe dal fatto che l’annotazione calendariale risalga a un periodo precedente la
disfatta, e che solo in seguito, considerando la coincidenza dei due eventi avversi,
accomunati tra l’altro dal fatto che ebbero luogo entrambi presso fiumi, venisse dichiarato
religiosus, ossia di cattivo augurio.

19 LUGLIO NP
21 LUGLIO NP
Lucaria
Questa celebrazione è in relazione con i boschi, in quanto si svolgeva in luco, ossia
in un ampio spazio boscoso ubicato fra la via Salaria e il Tevere (Fest. Epit. P.106 L.), dove
i Romani si sarebbero rifugiati fuggendo dai Galli.
Indica un diverso motivo Dumézil, il quale sostituisce l’origine bellica con una
agreste, inserendo questa come altre celebrazioni simili nell’ambito di “un bon usage de la
nature” (Dumézil, 1975), dal momento che in questo giorno si ripuliva una zona selvaggia
per adattarla alla coltivazione. Aggiunge che il fatto che la sua celebrazione avvenisse nel
corso di due giorni rispondeva alle due tecniche del disboscamento, con o senza extirpatio.
Risulta in fine difficile conciliare le due diverse motivazioni, a meno che si possa
far coincidere la salvezza dei Romani in fuga con la salus prodotta dalla trasformazione di
un’area selvaggia in terreno coltivabile.

23 LUGLIO NP
Neptunalia
La festa, celebrata nell’anniversario della dedica a Nettuno di un altare nel Circo
Flaminio, avvenuta nel 206 a. C. (Liv. 28, 11, 4), aveva luogo in capanne fatte di fronde;
successivamente vennero istituiti ludi. Con questa si apre un ciclo di eventi dedicati alle
acque, comprendente i Furrinalia del 25 luglio e i Portunalia del 17 agosto. Il suo scopo è
di proteggere un elemento fondamentale per la sussistenza e di favorirne il corretto uso nel
torrido periodo della canicola.
Può essere considerato come mito eziologico dei Neptunalia il prodigio dello
straripamento del lago di Albano al sorgere della canicola, che indusse i, Romani a
consultare l’oracolo di Delfi per poi vuotare il bacino e far defluire le acque al mare
attraverso i campi (Li. 5, 16). In tal modo veniva celebrata con un’opera di carattere
ingegneristico finalizzata alla conservazione dell’acque ed al suo uso per fini agricoli.
Per il suo rapporto con le acque Nettuno fu identificato col Poseidon greco, ma
rimane peculiare del dio romano la sua relazione con acque “addomesticate”, quindi
finalizzate al benessere della comunità.

23 LUGLIO NP
Furrinalia
“Furrinalia a Furrina”, scrive Varrone (de l. L. 6, 19), considerata dea di
antichissima origine che tra l’altro aveva un suo flamen, della quale però in tempi più
recenti si ricordava appena il nome. Da una tarda iscrizione è comunque attestata
l’esistenza di Nymphae Furrinales o Forinae entitá in relazione con le acque sotterranee
(Dumézil, 1975) alle quali si ricorreva soprattutto in tempi di siccità. Specificamente si
trattava di acque di pozzi, molto abbondante nella parte più alta del colle Gianicolo, dove si
trovava il lucus Furinae. Quest’acqua, denominata da Columella (1, 5, 2) “aqua putealis
collina” era considerata molto buona dagli abitanti dell’urbe.
Altra connessione della dea con le acque dei pozzi si trova dalla loro presenza
presso il suo santuario ad Arpino.

SEXTILIS

Affresco del mese


AGOSTO

Ancora elementi della natura e dell’attivitá agricola caratterizzano le celebrazioni di


questo mese: dall’acqua (Portunalia) al fuoco (Volcanalia), dal vino (Vinalia rustica) al
grano (Consualia e Opiconsivia). Con le feste delle acque ci si collega al ciclo di luglio, pur
se di fatto il dio Portunus non protegge l’ambito agricolo bensì le acque marine.
Il fuoco è invece un elemento dal quale proteggersi e dal quale in particolare
bisogna proteggere il raccolto della stagione, essenzialmente uva e grano. La prima ´viene
raccolta per essere affidata alla vinificazione; l’altro viene immagazzinato per essere
conservato e utilizzato nel periodo invernale.
Notiamo che questa seconda parte dell’anno, a partire cioè da luglio, vede una
prevalenza di azioni rituali finalizzate alla protezione dell’attività agricola, rivolta in
particolare ai due elementi fondamentali dell’alimentazione romana: il pane e il vino, il
solido e il liquido.

1 AGOSTO Calende
a Spes
Esiste un nesso fra le divinitá Spes e Victoria, allorché la prima si riferisce
all’ambito militare, ossia, come indica Wissowa, la speranza di vittoria da parte del soldato
(Wissowa, 1902: 330).
Vittoria aveva due templi sul Palatino, l’uno recante il semplice nome Victoria,
costruito dall’edile curule L. Postumio Megello e dedicato nel 294 a. C. (Liv. 10, 33, 9),
l’altro dedicato alla Vittoria Vergine nel 193 a. C. da Marco Porcio Catone (Liv. 35, 9, 6).
Il tempio di Spes situato nel Foro Olitorio fu votato durante la Prima Guerra Punica
da M. Attilio Caiatino, console nel 258 e 254 e dittatore nel 249 a. C. (Cic. De leg. 2,2, 28;
Tac. Ann. 2, 49); questi ordinò anche la costruzione del tempio a Fides.
Pur se non è certo che il nome della dea Victoria sarebbe derivato da un attributo di
Giove, ossia Juppiter Victor, trasformatosi in entità autonoma, come sostiene Wissowa
(1902: 139), è evidente che ci si muove comunque in ambito giovio. La vittoria, come
condizione di equilibrio raggiunto, non si pone nel cotesto di entità belliche, ma presiede
l’ordine cosmico e quindi la pax Romana. La sua stretta relazione con Spes indica che per
conseguenza anche questa cade sotto il dominio di Giove, e pertanto non può esprimere
incertezza in prospettiva futura, in quanto rappresenta un affidarsi con piena fiducia al
sostegno dell’entitá suprema. On ció ci permettiamo un paragone con l’espressione
Inshallah (in sha Allah, ovvero “se Dio vuole”) per mezzo della quale il fedele musulmano
non esprime incertezza su ciò che dovrà accadere, ma la certezza che accadrà nel modo
giusto, in quanto rimesso nelle mani del dio supremo.

5 AGOSTO None
a Salus
Il nome completo è Salus Publica populi Romani, divinitá che inizialmente ebbe un
sacello sul Quirinale in un’area denominata collis Salutaris (Varr. de l. L., 5, 52) e
successivamente un tempio dedicatole dal dittatore G. Giunio Bubulco nel 302 a. C. al
ritorno vittorioso dalla guerra sannitica (Liv. 9, 43, 25; 10, 1, 9).
Questa entità ha poco a che fare con la salute in senso fisico della persona, ma si
riferisce all’integrità della res publica, che viene protetta dalle aggressioni da parte di
popoli nemici. Come con Vittoria, siamo ancora nell’ambito del potere di Giove, ed
ulteriormente lontani dalla dinamica dell’azione bellica. Vittoria rappresenta la fase di
ordine che si produce a conclusione di situazioni conflittuali con la realizzazione della pax
romana. Salus prevedeva un rituale, denominato augurium salutis per il quale gli augures
realizzavano una pratica divinatoria per sapere se era lecito chiedere salus a Giove. Azione
che potrebbe apparire singolare: perché chiedere a Giove qualcosa che egli, nel contesto di
un ordine cosmico che egli stesso presiede, garantisce costante mente all’urbe? Questa
richiesta potrebbe spiegarsi a partire dal significato dell’augurium, termine derivante da
augeo, accresco, incremento, per cui si tratta non di chiedere la salus, costantemente
garantita dal dio sommo, ma un aumento, una dose maggiore nel caso di contingenze
particolari. La richiesta deve comunque essere giustificata, in quanto anche una dose
eccessiva potrebbe essere dannosa per Roma, come potrebbe esserlo un farmaco non
necessario. Essa infatti, invece che giovare all’equilibrio costante, potrebbe alterarlo ed
avere effetto contrario. Questa “esplorazione” finalizzata a capire se fosse necessaria la
richiesta di un augurium avveniva in tempo di pace nel quale era in preparazione una
campagna militare, allorché gli augures cercavano di sapere se per l’azione che ci si
accingeva a compiere fosse sufficiente la salus della quale si disponeva o se se ne
richiedesse un incremento. E nello stesso tempo se fosse consigliabile abbandonare
l’equilibrio precedente per un operare che comportava una alterazione in funzione peró di
un nuovo e piú saldo equilibrio da raggiungere. Da ció l’azione indagatrice per conoscere
sia l’utilitá della nuova azione, sia se, nel compierla Giove avrebbe comunque fornito il suo
sostegno, il suo augurium. Al fine si trattava di capire qual fosse il giusto operare in ambito
politico, per cui una risposta negativa non avrebbe significato il mancato sostegno di Giove,
ma che non era opportuno avventurarsi in azioni che avrebbero alterato in maniera negativa
l’equilibrio del cosmo romano.

13 AGOSTO IDI NP
a Diana, a Vortumno
alla Fortuna Equestre
a Ercole Vincitore
a Castore a Polluce alle Camene
Il tempio a Diana sull’Aventino, secondo la tradizione fu fondato da Servio Tullio, e
poiché il re era considerato figlio di una schiava, il giorno della sua consacrazione fu
considerato servorum dies (Fest. p. 460 L; p. 467 L). La sede della dea era ubicata
precedentemente nel bosco di Aricia, ed era sorvegliata dal rex Nemorensis, schiavo
fuggiasco che si appropriava della funzione uccidendo il rex in carica. Per la celebrazione
accorrevano al tempio i rappresentanti delle cittá della Lega Latina, che tra l’altro
riconoscevano come culto comune quello di Giove Laziare che aveva il suo tempio sul
Monte Albano. Notiamo che nella narrazione liviana (Liv. 1, 45) Servio Tullio, nel fondare
il tempio sull’Aventino non prende come modello quello di Diana Aricina, ma di Diana
Efesia, che si diceva che fosse stato costruito in seguito a un accordo tra varie città
dell’Asia Minore.
Portare Diana a Roma significò comunque affermare la supremazia dell’urbe sulle
cittá latine; scopo che si ottenne lasciando intatte le peculiarità della dea e del suo culto. Le
fu lasciato il rapport preferenziale con gli schiavi, ed infatti il suo sacerdote che operava nel
bosco di Aricia era uno schiavo fuggiasco. Il fatto che nuovo tempio fosse ubicato fuori dal
pomerio, sul colle riconosciuto come plebeo, è come se si volesse riprodurre quella sorta di
extraterritorialità del nemus, dove si poteva impunemente uccidere, anzi ottenere
affrancatura, visto che ci si sottraeva alla legge romana. Risulta inoltre significativa la
collocazione della cerimonia alle Idi, giorno consacrato a Iuppiter, dal momento che si
intendeva risolvere nell’equilibrio e nel potere statuale romano ogni forza potenzialmente
eversiva.
Vortumnus o Vertumnus è divinitá d’origine etrusca (di Volsinii), ed il suo tempio
ubicato sull’Aventino fu dedicato dal console M. Fulvio Flacco dopo il trionfo sui
Volsiniesi, per cui si tratterebbe di una “evocatio”, atto con cui ci si impadronisce
accattivandosene la benevolenza, del dio protettore dei vinti. Tuttavia Varrone fa risalire il
suo trasferimento a Roma ad un’epoca molto piú antica, affermando che vi fu untrodotto da
Tito Tazio (Varr. de l. L. 5, 74). Anche in questo caso l’ubicazione del suo tempio
sull’Aventino sostiene l’origine straniera del dio.
Il tempio della Fortuna Equestre fu votato nel 180 a. C. da Q. Fulvio Flacco,
proconsole in Spagna, dove combatteva contro i Celtiberi (Liv. 40, 40, 10; 40, 44, 8) e fu
dedicato dallo stesso nel 173 a. C. con la finalità di celebrare la fortuna bellica della
cavalleria. Dato sottolineato dall’ubicazione del tempio nel Circo Flaminio accanto a quello
di Castore e Polluce, detti anche Castores. La loro comparsa a Roma risale al 499 a. C.,
quando, dopo la vittoria del Lago Regillo, merito soprattutto della cavalleria (in un certo
momento dello scontro i cavalieri scesero da cavallo per combattere assieme ai fanti), il
dittatore Postumio eresse un tempio a Castore, la aedes Castoris (Liv. 2, 20, 12). La scelta
di rendere il solo Castore titolare del tempio evidenzia il valore della cavalleria, in quanto
questi di distingueva per la sua abilità di cavaliere a differenza del fratello Polideukés,
specializzato nella lotta.
Il tempio di Ercole Vincitore presso Porta Trigemina fu probabilmente eretto da un
comandante vittorioso. Il dio fu introdotto a Roma in epoca molto antica; il suo culto si
celebrava all’Ara Maxima nel Foro Boario, ed il santuario, secondo il mito (Ov. Fast. 581
ss.) fu eretto in seguito all’uccisione di Caco, individuo mostruoso che emetteva fuoco dalla
sua bocca, da parte di Ercole, perché questi gli aveva rubato i buoi (Virg. Aen. VIII, 193-
306). Si racconta inoltre che Ercole si apprestava ad edificare un altare dedicato a Iuppiter
Inventor (scopritore), quando i re Evandro, in onore dello stesso Ercole consacrava l’Ara
Maxima. Ivi le famiglie dei Potitii e dei Pinarii erano solite compiere il sacrificio rituale, fin
quando nel 312 a. C., durante la censura di Appio Claudio, se ne assunse l’incarico lo Stato,
per cui ogni anno il pretore urbano sacrificava una giovenca graeco ritu (Varr. de l. L., 6,
54; Dionys. 1, 40, 3).

17 AGOSTO
Pertunalia
È la festa del dio Portunus, il cui santuario si trovava in un porto del Tevere, accanto
al ponte Emilio. Questo dio delle acque fluviali si pone in rapporto con le celebrazioni
dedicate alle acque nel mese di luglio, ossia Furrina e Nettuno, ma mentre queste due
rappresentano l’acqua in funzione dell’agricoltura, Portunus si pone in relazione con la
navigazione ed il commercio.
Con la data odierna ci si trova al fine della fase canicolare, iniziata con l’ingresso
del sole nella costellazione del Leone, e che si conclude con il suo ingresso nella
costellazione della Vergine. Sulla linea del “buon uso della natura” del quale parla
Dumézil, vediamo l’uso di un elemento naturale al fine della tecnica umana e della sua
applicazione in ambito commerciale. Attraverso i port si introducono nel mercato i beni
essenziali alla sopravvivenza di Roma, sí che con ció ci collochiamo in quella “terza
funzione” (Dumézil) alla quale il commercio partecipa non meno che l’agricoltura.
Portunus era anche considerato dio delle porte, quelle delle abitazioni, anch’esse,
come le porte fluviali, necessarie per regolare il flusso umano. Il rito, con evidente valore
simbolico, consisteva nel gettare chiavi nel fuoco, mentre il flamen Portunalis, sacerdote
specifico del dio, allo stesso momento ungeva le armi di Quirino, dio della terza funzione.
La relazione di Portunus con i porti e le porte sembrerebbe assimilarlo a Giano, in
quanto entrambi in relazione con i passaggi, tuttavia esiste una sensibile differenza nella
funzione delle due divinità: l’uno presenta una funzione essenzialmente statica, l’altra
dinamica. Il secondo apre il tempo di guerra, azione esemplare di rottura di un ordine, apre
il nuovo anno ed i cammini, l’altro chiude e mantiene in sicurezza. Mantiene in zone
protette le imbarcazioni che navigano nel Tevere, richiude le armi lubrificate dal flamen nei
depositi (le armi lubrificate si conservano, non si usano per combattere) e quindi inaugura
un periodo di pace. Così come la combustione delle chiavi indica che non potranno più
essere usate, che ciò che è stato chiuso non potrà più essere aperto.
Non è casuale la collocazione della festa alla metà di agosto, affianco ai rituali di
immagazzinamento del grano, in modo da poter assicurare all’urbe provvigioni nel
difficile periodo invernale.

19 AGOSTO Festa Pubblica


Vinalia a Venus
In questa data si celebrano i cosiddetti Vinalia rustica, dedicati alla raccolta
dell’uva. Con la qualifica di rustica vengono differenziati dai Vinali priora o urbana, del
23 aprile, dedicati all’uso e al commercio del vino. Il rito vede il sacerdote cogliere il primo
grappolo d’uva ed estrarre le viscere da una pecora sacrificata per offrirla a Giove.
La protezione da parte di Giove, che nei Vinalia priora era funzionale all’uso
corretto del vino, in questo caso è rivolta al tempo atmosferico, ossia “pro tempestatibus
leniendis” indica Varrone (Varr. Rust. 1, 34), ossia per mitigare gli eccessi climatici di una
fase dell’anno in cui si potrebbero alternare un calore eccessivo e dannosi acquazzoni. Allo
stesso tempo la presenza del dio “moderatore” servirebbe a bilanciare la presenza di
Venere, indicata nei Fasti Antiates Maiores, con i possibili incontrollati piaceri procurati
dal vino.

21 AGOSTO NP
Consualia
La celebrazione, come indica Varrone, mutua la sua denominazione dal dio Conso
(Varr. de l. L., 6, 20), ed oltre che in questo luogo ha luogo anche il 15 dicembre. Il rito
consiste in sacrifici presso l’altare del dio da parte del flamen Quirinalis e delle Vestali,
oltre che alla realizzazione di competizioni sportive. Il tempio di Conso si trovava
sull’Aventino, mentre il suo altare si trovava nella Valle del Circo o Valle Murcia, interrato
accanto alle prime mete, e recava l’iscrizione “Consus consilio, Mars duello, Lares coillo
potentes” (Tert. de spect. 5, 7). Secondo la tradizione il nome del dio deriverebbe dal
termine consilium, e troverebbe sostegno dal mito per il quale fu il dio a consigliare
Romolo affinché rubasse le giovani sabine (Tert. de spect. 5, 5), azione che i Romani
compirono nel corso del ludi dedicati a Conso.
Pensiamo tuttavia che tale costruzione mitica non possa indicare il carattere di
questa divinità che, per il momento della celebrazione e per i sacerdoti officianti, si colloca
in stretta relazione con la cultura rurale. Risulta allora più plausibile che il suo nome derivi
da condere, conservare, immagazzinare, e che quindi Conso presieda
all’immagazzinamento del raccolto. Attitudine che verrebbe tra l’altro confermata dalla
collocazione del suo altare, affossato, e per la sua relazione con la festa di Ops, dea che
favorisce l’abbondanza alimentare (opulentia) con riferimento particolare al grano, le cui
celebrazioni, in agosto come in dicembre, hanno luogo a quattro giorni dopo i Consualia
(25 agosto, Opiconsivia e 19 dicembre, Opalia). Consideriamo inoltre che i flamines di
Quirino come le Vestali, che celebravano il rito, rappresentavano al funzione alimentare di
Roma: le Vestali alimentavano il fuoco domestico dell’urbe; Quirino, in quanto
divinizzazione di Romolo, sorse dal dio ucciso dai senatori, fatto a pezzi e infine
“seminato”. Con ciò si produce una connessione tra il re fatto a pezzi e la semina del grano,
in quanto entrambi i soggetti vengono sotterrati, così come la collocazione sotterranea
omologa semina, conservazione e sepoltura. Il re morto e sotterrato protegge la città
attraverso la su divinizzazione, così come la salvaguardano il seme piantato e il grano
immagazzinato, che le danno la sicurezza alimentare e la sopravvivenza.

23 AGOSTO NP
Volkanalia a Vulcano a Hora di Quirino
a Maia sopra il Comizio
Vulcano è divinitá d’antica origine avente un suo flamen specifico. Il suo originario
luogo di culto è uno spazio detto volcanal o area Volcani, ubicato al di sopra del Comizio e
fuori dal Pomerio. Ugualmente al di fuori del Pomerio si trovava il tempio costruito
successivamente (III secolo a. C.) presso il Circo Flaminio (Liv. 24, 10, 9), sulla base della
norma per la quale i santuari di questa divinitá dovevano essere ubicati al di fuori dell’area
urbana (Vitruv. 1,7, 1); Plut. Quaest. Rom. 47). Questa prescrizione deriverebbe dalla
pericolositá d’una entitá che domina il fuoco e che quindi potrebbe favorire incendi
particolarmente in un periodo dell’anno nel quale il forte calore ne accrescerebbe il rischio.
Considerato padre del re Servio Tullio (Ov. Fast. 6, 626 etc.), di Caeculus, fondatore di
Preneste (Verg. Aen. 7, 678) e di Caco, il ladro di buoi ucciso da Ercole (Verg. Aen. 8,
191), Vulcano sembra additare una regalitá “difettosa”, in quanto Caeculus è re nella cittá
rivale di Roma e Servio Tullio è d’origine servile.
Il tutto concorre a qualificare Vulcano nei termini di una forza da tenere a bada, ed
in questa direzione si muove un rituale che manifesta i tratti tipici di un’azione apotropaica:
si getta nel fuoco rituale ció che (animali) si vuole proteggere dal fuoco naturale.
Hora secondo la tradizione era moglie di Quirino; il suo nome originario era
Hersilia, ed assunse la nuova denominazione dopo l’apoteosi del re. Ella era venerata
assieme al marito (“quae nunc dea iuncta Quirino est”, Ov. Met. 14, 851) in un sacellum
sul Quirinale.
La Maia celebrata in questo giorno era riconosciuta come moglie di Vulcano e ne
esprimeva in alcun modo il potere regale, ossia la maiestas. Di fatti il primo maggio,
specificamente dedicato a Maia, veniva sacrificata una scrofa gravida da parte del flamen
Volcanalis ed il rito si svolgeva nella area Volcani. Il nome maialis deriverebbe dalla
relazione dell’animale con la dea.

24 AGOSTO Comiziale
Il Calendario di Anzio come altri calendari indica questo giorno come comitialis,
quindi non festivo, mentre varie fonti letterarie parlano di una celebrazione conosciuta
come mundus patet (apertura di un passaggio fra mondo superiore e ctonio) e considerano il
giorno religiosus. Tale apertura del mondo inferiore che si rivela a quello superiore,
secondo Festo, che riferisce un’affermazione di Catone (Fest., P.126 L.), si verificava altre
due volte nel corso dell’anno, il 5 ottobre e l’8 novembre. Pluatarco racconta che Romolo
scavó una grande fossa di forma circolare, detta appunto mundus, dove furono conservate le
primizie di tutto quel che era necessario per la vita umana (Plut. Rom. 11). Il corrispondente
termine greco è kosmos, ossia curva del cielo o universo nell’ordinata forma sferica
(contrapposto al kaos). I giorni di apertura erano consacrati ai di Manes e comportavano
alcune proibizioni. Non si poteva attaccar battaglia, compiere arruolamento, tenere comizi,
operare nella pubblica amministrazione, salpare, sposarsi (Macr. Saturn. 1, 16, 16).
Ancora una volta riscontriamo un nesso tra lo spazio sotterraneo, dimora dei morti e
dei di Manes e il deposito alimentare anch’esso ubicato sotto terra, e la conseguente
necessitá di esercitare su di esso un costante controllo attraverso il rito.

25 AGOSTO
Opiconsivia
La celebrazione secondo Varrone prende il suo nome dalla dea Ope Consiva (Varr.
de l. L. 6, 21), dove il termine “consivus” o “consivius” deriva da “conserere”, piantare, ed
esprime una caratteristica della dea Ops, che viene celebrata nelle Opalia del 19 dicembre.
Ope Consiva non aveva però un proprio tempio, per cui il sacrificio a lei dedicato veniva
realizzato nella cappella della regia, alla quale potevano accedere solo il pontifex maximus
e le Vestali. Questa forma di riservatezza evidenzia un nesso fra il culto della dea e quello
di Conso (entrambi in relazione con i cereali), in quanto l’altare del dio nel Circo Massimo
era interrato ed il rito sacrificale a lui dedicato era compiuto dalle Vestali e dal flamen
Quirinalis. In questo caso l’elemento sotterraneo non ha a che vedere con l’aldilà o con i
morti, ma esprime una funzione agricola con riferimento al coltivo e alla conservazione
delle messi. Troviamo inoltre il dato singolare della religione romana di trasformare
un’azione in entità, ossia l’attività del piantare nella “entitá che pianta”

27 AGOSTO NP
Volturnalia
Giorno consacrato a Volturnus o Vertumnus, divinitá fluviale il cui nome
deriverebbe, secondo una tradizione popolare, dal verbo vertere, che indicherebbe il suo
carattere instabile dato il continuo mutare dei corsi d’acqua. Si discute sulla sua origine, se
etrusca o originariamente romana. Aveva un suo sacerdote specifico, il flamen Volturnalis.

CALENDARIO DI SETTEMBRE
SETTEMBRE

Il mese è dedicato interamente a Giove Capitolino, divinitá suprema qualificata


come Optimus Maximus. In suo onore sono celebrati i ludi Romani o Magni (detti anche
Maximi), che nel corso della storia raggiunsero la durata massima di sedici giorni.
Il predominio di Giove è evidenziato dalla sua presenza nelle varie fasi lunari, dalla
notte oscura delle Calende, indicata dai Fasti Antiates come feriae Jovi, o, come indicano i
Calendari Arvale e Amiternino, consacrata a Juppiter Tonans, al plenilunio delle Idi, punto
focale delle competizioni sportive. Tra le due date si collocano le None di luna crescente,
giorno nel quale vine celebrato Juppiter Stator.
La connessione fra la centralità del dio capitolino e questa fase dell’anno si riscontra
nella caratterizzazione agraria del mese, con la sua valenza di pienezza che si realizza al
compimento del raccolto del cereale e dell’uva (il solido e il liquido dell’alimentazione
romana), in attesa della fase lavorativa, con la preparazione del vino (11 ottobre,
Meditrinalia) e co il ritorno dei soldati dalla guerra tradizionale, sancita col rito dello
October Equus nel giorno delle Idi.
Il valore della pienezza puó essere anche espresso dalla collocazione temporale del
mese di settembre, se si colloca in marzo l’inizio dell’annualitá.
4 – 19 SETTEMBRE
Ludi Magni
Competizioni sportive dedicate al sommo Giove “quem principem
deorum putabant” (Paul. Fest,, p.109 L.).
Secondo la tradizione furono istituiti da Tarquinio Prisco, ed a partire
dal 366 a. C. ebbero cadenza annuale, al termine di un travagliato periodo di
lotte tra plebe e patriziato (Liv. 6, 42). Questa concordia ordinum si raggiunse
con la concessione alla plebe del consolato, ossia che uno dei due consoli
appartenesse al loro ordine. La carica fu affidata a Lucio Sesto. I patrizi in
cambio ottennero che fosse creato un pretore unico appartenente al loro
ordine, al quale era affidata la sicurezza della cittá: “qui ius in urbe diceret”.
L’organizzazione dei giochi fu affidata a due edili patrizi, e la carica
ebbe la denominazione di “curulis”, poiché questi “curru vehebantur” (Paul.
Fest. P.43 L.), ossia venivano trasportati da un carro. Il rituale comportava un
sacrificio e un banchetto, lo Iovi epulum, denominato anche Iovi, Iunoni,
Minervae epulum, in quanto rivolto alla triade capitolina, ed in fine una sfilata
equestre: equorum probatio. I resto dei giorni era suddiviso tra ludi circenses
e ludi scaenici, ossia circo e teatro.

13 SETTEMBRE Idi NP
A Giove Ottimo Massimo
In questo giorno in cui si celebrava Giove con sacrificio e banchetto, le
Vestali preparavano la cosiddetta mola salsa utilizzando la farina che le stesse
avevano preparato nel mese di maggio. Il tempio di Giove Ottimo Massimo o
Giove Capitolino, secondo la

tradizione fu costruito da Tarquinio il Superbo dopo il trionfo sui Sabini (Li.


1, 37, 7), e dedicato dal console M. Orazio Pulvillo, che procedé a tale
operazione nonostante gli fosse stata recata la falsa notizia della morte del
figlio (Liv. 2,8, 6 ss.).
CALENDARIO DI OTTOBRE
OTTOBRE

In questo mese vengono celebrati eventi che caratterizzano due ambiti


apparentemente divergenti: la guerra e l’agricoltura. Opposizione che tuttavia
si dissolve nel momento in cui consideriamo che nell’epoca piú antica ottobre
era il mese in cui si interrompevano le azioni belliche per permettere ai soldati
di tornare a casa per dedicarsi al lavoro dei campi. In questa fase hanno quindi
luogo due rituali riferentesi all’attività bellica, o piú specificamente alla fase
terminale del periodo di guerra: l’October Equus e il Tubilustrium
(rispettivamente 15 e 19 del mese), e altrettanti riti di carattere agrario:
Meditrinalia e Fontinalia (rispettivamente 11 e 13 del mese). L’eventuale
contrapposizione fra i due ambiti viene inoltre saldata dalla presenza di Giove
che presiede sia al rituale della preparazione e imbottamento del vino,
Meditrinalia, che a quello del Cavallo d’Ottobre. Il primo favorisce la
corretta preparazione del vino, affinché sia bevanda alimentare e non
inebriante, quindi procacciatrice di salute per i cittadini e la repubblica; l’altro
è in funzione del rafforzamento e accrescimento della sovranità, nonché del
consolidamento della pax Romana della quale Giove è garante.

1 OTTOBRE Calende Nefasto


a Fides
Il sacrario di Fides, some tra gli altri testimonia Livio (1, 21, 4), fu
edificato da Numa sul Campidoglio. Successivamente nel medesimo luogo fu
edificato un tempio alla dea dal console A. Atinius Colatinus, che consacró
anche un tempio a Spes.
La tradizione riferisce che il sacrificio a Fides era compiuto dai flamini
maggiori con la mano destra coperta da un panno bianco (Hor. Odi, 1, 35, 21),
ad indicare che i Romani, nel considerare la destra la mano del giuramento,
ossia della fides (affidabilitá), nel coprirla si riferissero all’episodio di Muzio
Scevola, che pose sul fuoco la mano che non aveva mantenuto la parola di
uccidere il nemico Porsenna, re degli Etruschi.
Fides si pone in relazione con Giove, che tra le varie epiclesi presenta
quella di Fidius; pertanto la collocazione della celebrazione nel primo giorno
del mese, annuncia l’ingresso in una fase di pacificazione posta pertanto sotto
la protezione del dio garante dei patti e quindi della pace.
I Fasti Arvales registrano in questo giorno il rito denominato tigillum
sororium, rivolto alle divinitá Ianus Curiatus e Iuno Sororia. Il mito fondante
fa riferimento allo scontro fra Orazi e Curiazi, allorché l’Orazio vincitore,
vedendo la sorella piangere per la morte del suo amato Curiazio, la uccise.
Condannato quindi a morte per l’omicidio, ottenne il condono della pena
rivolgendosi al popolo (primo esempio di provocatio ad populum), ma dovette
subire l’umiliazione di passare al di sotto di un piccolo palo (tigillum), e
compiere un sacrificio alle due divinità sopra menzionate.
Evidenziamo tra le caratteristiche della celebrazione di questo giorno
l’incontro fra Giunone e Giano, entrambe legate alle Calende, ossia all’inizio
d’ogni attività, dalla nascita alla pratica commerciale e a quella bellica. In
questo caso esse inaugurano un periodo di pace nel contesto tradizionale,
finalizzato all’attività agricola, e vengono quindi onorate con un rito
purificatorio.

7 OTTOBRE None Fasto


a Iuppiter Folgore
a Iuno delle Curie
Indichiamo la significativa presenza in questo mese in quanto garante
dei patti, del sommo dio, che si manifesta con la sua poderosa arma di
dominio. La Iuno, che si rivela quale protettrice dell’organizzazione curiata
appare anch’ella quale protettrice di un sistema basato su un mutuo accordo e
sul suo mantenimento. Abbiamo con ciò una ripartizione di compiti, per la
quale l’opera di Giove si rivolge all’esterno di Roma (pace vittoriosa con i
nemici), qualle di Giunone al sistema interno, in grado di mantenere l’armonia
della res publica.

10 OTTOBRE Comiziale
a Iuno Moneta
Anniversario della rifondazione del tempio dedicato a Giunone, votato
nel 345 a. C. ad opera del dittatore Lucio Furio Camillo.
11 OTTOBRE NP
Meditrinalia
Il Calendario Amiternino presenta in questo giorno l’inscrizione feriae
Iovi, mostrando come anche questa fase del ciclo del vino (dalla raccolta
dell’uva, alla preparazione, al consumo) sia collocata sotto la protezione del
dio sommo. La celebrazione di questa giornata segue appunto i Vinalia rustica
del 19 agosto (raccolta) e precede i Vinalia Priora del 23 aprile dell’anno
successivo, giorno in cui si procede al consumo e alla vendita del vino
preparato nell’ottobre dell’anno precedente.
La preparazione consiste essenzialmente nel mescolare il succo d’uva
parzialmente fermentato al vino vecchio d’alta gradazione, operazione con la
quale si ottiene una buona fermentazione e si impedisce che il vino si
trasformi in aceto. Scrive Varrone: “Meditrinalia a medendo” (Varr. de l. L.,
6, 21), dove il verbo medeor significa rimediare, curare, ed in questo caso si
riferisce tanto alla sostanza che a chi la consuma. Si cura il vino rendendolo
sostanza nutriente e tonica, si cura la persona che lo beve e non si ubriachi,
bensí ne tragga beneficio. È per questo che Giove, col suo potere equilibratore
e moderatore impone la sua presenza nell’intero ciclo, dalla raccolta dell’una,
alla vinificazione, al consumo.

13 OTTOBRE
Fontinalia
In questa festa dedicata al dio Fons il rituale consiste nel gettare nelle
fonti corone di fiori e porre attorno ai pozzi decorazioni floreali (Varr. de l. L.
6, 22). Secondo Sabbatucci il collocare una festa dell’acqua dopo quella del
vino, indicherebbe che per il consumo della bevanda a Roma si usava
mescolarla con l’acqua (Sabbatucci, 1988), mentre per Dumézil questa
celebrazione avrebbe un carattere purificatorio (Dumézil, 1975).

15 OTTOBRE Idi
Mentre il Calendario di Anzio non indica alcuna celebrazione in questo
giorno, il Calendario di Filocalo annota l’importante celebrazione dello
October Equus (Cavallo d’Ottobre), il cui rito comporta il sacrificio di un
cavallo presso le Ciconiae nixae in Campo Marzio. Diverse fonti letterarie
descrivono questa cerimonia. Secondo Polibio (12, 4b) consisteva
nell’uccisione di un cavallo da guerra per mezzo di una lancia, ed espone, pur
dichiarandosi in disaccordo, la tesi di Timeo, secondo il quale ci si richiamava
al cavallo di Troia. Plutarco, che pone la celebrazione alle Idi di dicembre
(Plut. quaest. Rom. 97), dichiara che veniva sacrificato a Marte il cavallo della
biga vincitrice di una competizione di corsa. Una volta quindi che il cavallo
veniva ucciso, la sua coda era portata alla regia, mentre che per appropriarsi
della testa si affrontavano esponenti della Sacra Via e della Subura. Considera
molteplici fattori alla base di questa celebrazione: a) commemorazione del
cavallo di Troia; b) relazione fra Marte e il cavallo vincitore; c) uccisione del
cavallo vincitore in quanto la sua velocità aveva carattere negativo
evidenziando l’azione di fuga dallo scontro bellico. Per quanto concerne la
lotta fra i gruppi menzionati per appropriarsi della testa del cavallo, se
vincevano gli esponenti della Sacra Via, la sua testa veniva affissa al muro
della regia; se vincevano i rappresentanti della Subura, era affissa a quello
della Torre Mamilia. Intanto la coda, appena rescissa, veniva portata alla
regia, per raccogliere in un contenitore ivi ubicato le gocce di sangue.
Dumézil (1975) assimila questa celebrazione al rito della ashvamedha,
finalizzato a fissare ed incrementare il potere del sovrano nell’India vedica.
Infatti anche nel rito indiano si sacrificava il cavallo di destra del carro
vincitore (il cavallo che, specifica Dummézil, compiva lo sforzo maggiore, in
quanto in un correre antiorario percorreva il tratto piú lungo), peró prima che
lo si sacrificasse (affogandolo e non in forma cruenta come a Roma), lo si
lasciava correre per il territorio senza porgli alcun impedimento. In questa fase
veniva controllato a distanza ed era protetto da eventuali aggressori.
L’eventuale fallimento di questa protezione si sarebbe tradotta nel fallimento
del rito e quindi in un avviso fortemente negativo per il potere del sovrano.
Considerando ora la specificitá romana, notiamo che sebbene il rituale
avesse luogo nel Campo Marzio, e fosse officiato dal flamen Martialis, i suoi
tratti non mostrano una specifica valenza bellica. Il fatto che Plutarco come
Polibio vedano nel rito una relazione col cavallo di Troia, indica che il rito
non evidenziava doti di valore e coraggio bensí astuzia e che quindi venisse
sacrificato il cavallo di destra, non perché gli spettava il percorso piú lungo,
ma per la sua funzione di guida, attitudine giovia, da cui deriverebbe la data
della celebrazione: le Idi, giorno appartenente al dio sommo.
Per quanto concerne la competizione per la testa dell’animale, notiamo
che i Mamilii, denominazione dei Suburrani, provenivano da Tusculo,
avevano come antenato Ottavio Mamilio, genero di Tarquinio il Superbo,
divenuto nemico di Roma. Sì che essi poterono rappresentare una polarità
negativa rispetto a quelli della Sacra via, e la lotta tra le due frazioni si
configurerebbe come una rievocazione della lotta fra l’antica monarchia e la
repubblica, la cui stabilità appare comunque minacciata, sì da richiedere
continua conferma. Diversa appare invece la funzione del rituale indiano, che
non presenta alternative all’incolumità del cavallo, la cui corsa descrive e
rafforza i confini del dominio.

19 OTTOBRE NP
Lustrazione delle armi
Le armi venivano pulite e lubrificate al termine del periodo bellico
tradizionale, che coincideva con l’inizio della stagione invernale. Il rito
pertanto ha carattere arcaico, così come il Quinquatrus del 19 marzo, data
d’inizio della guerra tradizionale. Tuttavia, una volta che ebbe inizio
un’attivitá bellica in senso moderno, che non prevedeva stagionalitá, i Romani
riconoscevano nel termine Armilustrium una zona dell’Aventino dove si
riteneva che Romolo avesse fatto seppellire il sabino Tito Tazio.
NOVEMBRE

ILLUSTRAZIONE DEL MESE


NOVEMBRE

I Fasti Anziati annotano come unico giorno sacro, quello delle Idi, in
quanto consacrato a Feronia, alla Fortuna Primigenia e a Pietas. Altri calendari
annotano i ludi Plebeii, che avevano luogo dal 4 al 17 del mese. Questa
celebrazione non figura nel calendario arcaico, poiché fu instaurata
successivamente e specularmente rispetto ai ludi Magni (4 – 19 settembre) per
volontà della plebe. Alcuni calendari collocano una Equorum Probatio nel
giorno posteriore alle Idi, ed anche questa non è presente nei Fasti Antiates.
Il mese riproduce in linea di massima la sequenza festiva di settembre,
ma secondo una prospettiva plebea. Anche i ludi Plebeii sono dedicati a
Giove, al quale si offre un banchetto augurale nel giorno dell’inizio dei giochi
(alcuni calendari recano infatti l’annotazione Iovis epulum), tuttavia la sua
presenza in questa giornata risulta di minor spessore a causa della
partecipazione di altre divinità. E non è così costante come nell’altro mese, nel
quale le Idi erano indicate come feriae Iovi, e alle None si celebrava la
fondazione del tempio dedicato a Iuppiter Stator.

13 NOVEMBRE NP Idi
a Feronia
alla Fortuna Primigenia
a Pietas
La dea Feronia, secondo la nota presente nei Fasti Fratrum Arvalium,
aveva un tempio in Campo Marzio. Wissowa la considera di provenienza
etrusca, in quanto originariamente era titolare di un sacrario e di un bosco
ubicato nel territorio di Capena, ai piedi del monte Soratte, conosciuto come
lucus Feroniae. Questa area sacra dedicata alla dea si trovava lungo una linea
di confine che separava Etruschi, Sabini e Latini, in quanto queste popolazioni
ne condividevano il culto. Il suo rapporto con i boschi e le fonti dimostra la
sua denominazione di nympha, mentre il fatto che successivamente le venisse
dedicato un tempio in area urbana dimostra la romanizzazione del culto.
Anche la Fortuna Primigenia, originariamente venerata a Preneste (si
consideri la data 5 di aprile precedentemente analizzata), venne
successivamente assunta a Roma. Ella era considerata consanguinea di
Juppiter Puer, ed esercitava il suo potere oracolare utilizzando sortes estratte
da un puer. L’iniziale ostilitá verso il suo culto a Roma è evidenziata dal fatto
che il senato proibí al console Quintus Lutatio Cercus di consultare il suo
oracolo. L’atteggiamento delle autoritá dell’urbe mutarono quando nel corso
della guerra contro Annibale, la dea, protettrice del duce cartaginese fu
“evocata” ed il suo culto fu portato a Roma, ed il suo nome fu trasformato in
Fortuna Publica Populi Romani Quiritum. Il tempio a lei dedicato fu collocato
sul Quirinale ed il suo anniversario veniva festeggiato il 25 maggio. Un
secondo tempio a lei dedicato fu collocato anchésso sul Quirinale e prese il
nome di aedes Fortunae Publicae citerioris in colle: il suo anniversario si
celebrava il 5 di aprile. La fondazione di un terzo tempio dedicato alla dea, ma
collocato sul Campidoglio, era celebrata alle Idi di novembre. Per la
ubicazione spaziale come temporale, si evidenzia il forte legame della dea con
il dio supremo, con l’evidente finalità di sottomettere l’azzardo insito nel
carattere della dea alla ferma volontà di Giove.
Il tempio dedicato a Pietas fu costruito dal console M. Acilius Glabrio
in seguito alla battaglia delle Termopili nella quale affrontò Antioco III di
Siria nel 191 a.C., e consacrato da suo figlio dieci anni dopo. Per quanto
concerne la dea, esprime chiaramente una attitudine positiva dei Romani, la
loro religiosità, evidenziata attraverso la costanza del culto.
Se la presenza di altre divinità nel giorno in cui si celebra il potere di
Giove sembrerebbe limitarlo, risulta emblematico che Feronia come Fortuna,
provenendo da un ambito non romano, percorrono un cammino che le conduce
nell’ambito dell’urbe e della sua tradizione, e quindi proprio attraverso la
presenza del dio supremo partecipano pienamente ai suoi valori.
DICEMBRE

Spazio per l’immagine


DICEMBRE
Questo mese è caratterizzato dal fatto di esaltare i valori della ricchezza
e della fecondità. Valori che, in una civiltà rurale come la romana in termini
religiosi si traducono in celebrazioni riferentesi in particolare alla fertilità dei
campi e al buon esito del raccolto.
Oggetto specifico dell’azione rituale è il cereale, il cui seme viene
piantato in questa fase invernale dell’anno, mentre il prodotto è depositato
come riserva alimentare anch’esso sotto terra (alcuni popoli ancor oggi
mantengono questa pratica di conservazione). In entrambe le pratiche la
protagonista è comunque la terra, che alimenti il seme o conservi il prodotto
sino al nuovo raccolto. Per questo sono dedicate a lei, Tellus, le Idi, ed ancora
ella è protagonista dei Larentalia del 23 dicembre, considerata nella duplice
funzione di tomba e di conservatrice di beni alimentari.
Natiamo che dopo la semina l’attività umana cede il passo al potere
della natura, la quale dovrebbe restituire alla vita l’elemento “morto” che le
era stato offerto, ossia deve trasformare la tomba in ventre materno in grado di
rigenerare. Con dicembre tra l’altro l’anno va terminando ed è quindi
necessaria un’azione rituale finalizzata a una rigenerazione temporale che
metta in moto il nuovo ciclo. Il che comporta una rinuncia all’operare storico,
basato sulla linearità del tempo, che reca come conseguenza ultima una morte
definitiva. Ecco allora la necessità di andare oltre la linearitá per entrare nella
ciclicitá temporale, scopo che si ottiene attraverso la celebrazione dei
Saturnali, con i quali ci si allontana dal presente storico per entrare in un
tempo mitico, nell’epoca aurea di Saturno, attraverso la quale si supera
l’angoscia della fine attraverso la proposizione di un eterno ritorno.

8 DICEMBRE Comiziale
a Tiberino a Gaia
Anniversario della consacrazione del tempio dedicato a dio Tiberino,
ubicato nell’isola omonima. Se ne ignora l’anno in cui fu costruito, tuttavia si
ritiene che fosse molto antico. Si ipotizza che venissero dedicati al dio i ludi
Piscatorii, celebrati dai pescatori il 7 giugno trans Tiberim (Fast. P. 274 s.L.).
Gaia è un praenomen, ed è dato singolare che si riferisca a una donna.
Antiche versioni mitiche riportate da Gellio (7, 7, 1) riferiscono di una Gaia
Taracia o Fufetia, vergine Vestale, che avrebbe regalato al popolo romano il
campo Tiberino o campo Marzio, o di una Gaia Caecilia, il cui nome d’origine
etrusca era Tanaquil, moglie di Tarquinio Prisco, donna di grande onestà. Lo
stesso Gellio, oltre ai precedenti riferimenti, identifica il personaggio con
Acca Larentia, che allattó i gemelli Romolo e Remo, e che, secondo la
versione liviana, sarebbe stata qualificata come “loba” (prostituta), per il suo
“vulgato corpore inter pastores” (Liv. 1, 4, 7).

11 DICEMBRE NP
Agonali
Le altre celebrazioni degli Agonali cadevano il 9 gennaio, il 17 marzo e
il 21 maggio. Il termine deriverebbe da agonia, la vittima sacrificale, o piú
esattamente un ariete che il rex sacrorum immolava nella regia. Era anche
detta festa del Septimontium, in quanto celebrata dagli abitanti delle vette del
Palatino (Palatius, Germalus e Velia), dell’Esquilino (Oppius, Cuspius e
Fugutal) e da quelli della Suburra. Come indica Columella (2, 10, 8) si tratta
anche dell’ultimo giorno utile per la semina.

13 DICEMBRE IDI
a Tellus
Anniversario della fondazione del tempio dedicato a Tellus presso le
Carene, votato dal console P. Sempronius Sophus nel 268 a. C. nel corso della
guerra contro i Piceni. A lei era associata la dea Cerere poiché, come dice
Ovidio “praebet causam frugibus”, cosí come Tellus “[praebet] locum” (Ov.
Fast. 1, 673 s.).
Secondo Wissowa la relazione fra le due divinitá è molto antica, come
si rivelerebbe dalla sequenza delle celebrazioni a loro dedicate: i Fordicidia,
(15 aprile), nei quali si sacrificava a Tellus una vacca gravida, i Cerialia (19
aprile), dedicati a Ceres. Risultano inoltre entrambe presenti nelle feriae
sementivae, considerata “conceptiva” o mobili, la cui data di celebrazione
veniva fissata dal pontifex a fine gennaio: a loro si sacrificava una scrofa
gravida. Tra l’altro, come accade alle Idi di novembre, allorché Giove incontra
le due divinitá “extra-romane” Feronia e Fortuna Primigenia, anche in questo
caso il dio supremo con la sua presenza ha la funzione di garantire il carattere
romano del culto.
Posizione particolare di Cerere è la sua associazione con Liber e Libera
nella costituzione della cosiddetta “triade plebea”: ugualmente Tellus presenza
una propensione plebea. Livio (6, 7) racconta che quando la plebe ebbe
accesso al consolato (367 a. C.) si ebbe l’opposizione del console Appio
Claudio Crasso con l’argomentazione che solo ai patrizi era concesso il potere
di prendere gli auspicia. Sí che dovette essere concessa anche ai plebai questa
prerogativa, ma proprio in seguito all’acquisizione di tale diritto, scoppió a
Roma una pestilenza nella quale morí Camillo, ed inoltre si verificava un
terribile portentum: si aprí una grande voragine nel foro. Furono consultati i
libri Sybillini che dichiararono che la voragine si sarebbe chiusa allorquando i
Romani avessero donato a Tellus quel che le era piú caro. Non furono
sufficienti offerte di vario genere come focacce sacre e danaro, perché non
ubbidivano a quanto richiesto, sí che Marco Curzio, nobile romano, si
sacrificò gettandosi in armi nella fenditura assieme al suo cavallo. In effetti
egli compiva una sorta di riproduzione del rito della devotio allorché il
generale romano gettandosi nella mischia per farsi uccidere, si offriva alle
divinità infere e alla stessa Tellus. Allo stesso tempo il popolo gettò nella
voragine tutti i suoi beni, sino a che questa si chiuse.
Evidenziamo la duplice funzione di Tellus: terra come tomba, in
riferimento alla ricezione dell’eques Marco Curzio, che col suo sacrificio
rappresenta quanto il patriziato dovette soffrire l’accesso alla suprema carica
da parte della plebe; terra come deposito nel quale la plebe depone di suoi
beni, pagando con questo sacrificio la sua acquisizione di potere. In definitiva,
lo stravolgimento di un ordine tradizionale evidenziato da un portentum dalle
gravi conseguenze, impone un complesso di sacrifici affinché sia riproposto
l’ordine religioso e politico in un nuovo equilibrato rapporto fra gli ordini
sociali. Tra l’altro collocare la celebrazione alle Idi significa voler porre il
nuovo ordine, conquistato con difficoltà, sotto la protezione di Giove, l’unica
figura divina in grado di garantirlo.

15 DICEMBRE Endotercisus
Consualia
Celebrazione in onore di Conso, che ha luogo anche il 21 agosto, sí che
per notizie riguardo al dio, si guardi quanto scritto al riguardo in questa data.
Per quanto riguarda invece i festeggiamenti di dicembre, gli venivano offerte
primizie da parte dei contadini, che adornavano animali e case con i prodotti
della terra. In conclusione si svolgevano giochi che tra le varie competizioni
contemplavano anche una corsa fra muli. Il rituale evidenzia il carattere rurale
del dio che, sebbene successivamente fosse identificato con Poseidon Hippios,
non evidenzia relazioni con la funzione equestre, dal momento che anche la
corsa dei muli non entra in un contesto bellico-cavalleresco, ma piuttosto
ribadisce, attraverso un animale da fatica, la relazione con l’agricoltura.

17 DICEMBRE Endotercisus
a Saturno
Varie fonti riportano che questa festa fosse stata istituita dai compagni
di Ercole che, abbandonati dal dio in Italia, si misero sotto la protezione di
Saturno, primo re del Lazio. Altra versione e che le festa fosse stata istituita da
Giano, pur sempre in onore di Saturno, dal quale presero il nome la città di
Saturnia e l’intera penisola (Ver. Aen. VIII, 313-321; Macr. Saturn. 1, 7, 24).
La festa inizialmente durava un solo giorno, ma Cesare la amplío a tre, sino a
che, per spinta popolare giunse a durare sette giorni.
Wissowa lo considera dio della semina e fa derivare il suo nome da
sata, le sementi. Originariamente gli era dedicato un altare, che nel 497 a. C.,
ossia in una prima fase della repubblica, fu trasformato in tempio. Ivi era
conservato il tesoro pubblico, l’erario, ed era ubicata una statua del dio che
manteneva una lira e con i piedi stretti da lacci, che erano scilti soltanto nei
giorni di festa, nei quali “tota servis licentia permittitur” (Macr. Saturn., cit.)
in quanto si realizza, entrando nella sfera del sacro, un totale quanto
momentaneo capovolgimento dell’ordine sociale. Vale a dire che, attraverso il
capovolgimento dei ruoli, si entra nel tipico regime “carnevalesco” con i suoi
fantasiosi travestimenti.
Si evidenzierebbe una sorta di contraddizione fra lo sconvolgimento del
sistema sociale e la celebrazione dei valori di un dio agrario in stretta
relazione con l’ordinata funzione della semina, quindi fra una fase di intenso
lavoro e un tempo originario in cui Saturno, identificato in questo col greco
Cronos, era il rappresentante di un’epoca felice in cui si coglievano i frutti
della terra senza la fatica umana. Aporia che viene peró a risolversi nel
momento in cui si considera che il seme, una volta depositato sottoterra, deve
necessariamente “riposare”, e con questo il contadino, per abbandonarsi alla
fiduciosa attesa che la terra produca i suoi beni. Ed in tal modo potremmo dire
che, come sorta di augurio, evoca la mitica etá d’oro in cui la terra offriva
volontariamente quei prodotti che ora bisogna ottenere e strappare con fatica e
rischio dal suo grembo. In relazione alla sorta di violenza che compie l’uomo
nello strappare i frutti alla terra si evidenzia una ricca e complessa azione
rituale, come quella del cosiddetto “capro espiatorio”, grazie alla quale
l’animale che calpesta il campo prima della mietitura, viene sacrificato,
giustificando con ció l’uomo per il suo atto “violento”, e permettendo con ció
che la terra soddisfatta torni ad offrire i suoi beni.
Questa fase, quale sorta di momentaneo ritorno del dio Saturno,
regnante in un’etá aure, si qualificherebbe come un recedere all’epoca pre-
cosmica, simbolicamente benaugurante per quanto concerne la generosità
della terra, comunque da tenere sotto controllo, affinché si torni alla
condizione civile con la sua fatica e il suo rigido ordine sociale. Allo scadere
del tempo festivo si ricollocano i legami con i quali era immobilizzata la
statua del dio, che in quei giorni di festa, privo di lacci, aveva potuto circolare
liberamente per affermare i valori propri e di un’epoca “caoticamente felice”.
Questo periodo di allegria e di non-lavoro corrisponde alla fase della
semina, nella quale all’agricoltore non è concessa alcuna possibilità di
operare, sí che non gli resta altro che rimanere in trepida attesa che la terra
restituisca quanto racchiude in sé, perché da tale restituzione dipende la sua
sopravvivenza.

19 DICEMBRE Nefasto
Opalia a Ops
Con questa celebrazione si conclude il ciclo agricolo, che si rivolge in
particolare ai cereali, e si propone un evidente parallelismo con il periodo di
agosto, che va dai Consualia (21 agosto) agli Opiconsivia (25 agosto), in
quanto anche fra Consualia del15 dicembre e gli Opalia del 19 dicembre
trascorrono quattro giorni. Crediamo che il significato delle due sequenze
parallele debba ricercarsi nell’ambito dell’attivitá agricola e nel contesto della
sequenza stagionale dell’area del Mediterraneo. Nel caldo mese di agosto si
raccoglieva infatti il grano, che in parte si consumava e in parte veniva
conservato in depositi sotterranei; mentre nel mese di dicembre alla
celebrazione dell’abbondanza alimentare seguiva la prudente conservazione
del raccolto utile per affrontare l’incipiente inverno.

21 DICEMBRE NP
Divalia
ai Lari Permarini
Il Calendario Prenestino indica che questa giornata á consacrata alla dea
Agerona, il cui nome deriverebbe dall’angina, malattia che ella è in grado di
curare. I pontefici compivano il sacrificio rituale nel Sacellum Volupiae,
presso la Porta Romanula, dove si trovava la statua della dea con la bocca
bendata e suggellata, o con un dito poggiato sulle labbra per invitare al
silenzio. Il significato di questa espressione di silenzio deriva dal fatto che ella
conoscesse e custodisse il nome segreto di Roma.
Diversamente Dumézil vede in questo silenzio una forma di
meditazione dinanzi al momento significativo in cui, col cadere del solstizio
d’inverno, si va verso l’incremento della presenza del sole.

23 DICEMBRE NP
Larentali
a Diana
a Giunone Regina nel Campo Marzio
alle Tempeste
In questo giorno il flamen Quirinalis compie un sacrificio sulla tomba di
Acca Larentia al Velabro, ai piedi del Monte Avenino. Il mito la indica come
sposa del Pastore Faustolo, e la qualifica come “lupa”, “vulgato corpore inter
pastores”, scrive Livio, considerandola di fatto una prostituta, (Liv. 1, 4), la
quale alimentò i gemelli per adottare poi Romolo, considerandolo suo proprio
figlio al posto di uno dei suoi dodici figli morto. Questi divennero quindi i
Fratres Arvales, collegio sacerdotale costituito di membri di famiglie patrizie,
che, quali protettori dei campi coltivati, esercitavano il culto di Dea Dia,
divenuta poi Cerere, e di Marmar, poi Marte, e celebravano la festa degli
Ambarvalia il 30 maggio. Questa consisteva in una processione e nel sacrificio
di un bue, una pecora e un maiale: suovetaurilia (Verg. Georg. 1, 343 ss.). Il
mito riferisce inoltre che Acca Larentia alla morte del marito sposò un ricco
agricoltore, il quale le lasciò in eredità tutti i suoi beni, che lei morendo lasció
come legato al popolo romano, che le dedicò un culto presso la tomba (Plut.
Rom. 4; Dionys. 1, 84, 4).
Un altro mito (Aug. Civ. D. 6, 7, 2; Macr. Saturn. 1, 10, 12) racconta
invece che ci fu una sfida a dadi fra Ercole e il guardiano del suo tempio;
questi, battuto, dovette offrire ad Ercole una cena e le grazie della bella Acca
Larentia, che a sua volta ricevette dal dio in dono il matrimonio col ricco
agricoltore. Ed ella, avendo quindi lasciato in eredità al popolo romano i suoi
beni, ricevette la sua gratitudine e, per volere del re Anco Marzio, un culto
presso la sua tomba.
Evidenziamo che questo culto, pur svolgendosi al lato di un sepolcro,
non ha a che fare con il mondo infero, ma ha carattere agrario, e pertanto è
officiato dal flamen Quirinalis, operatore in rituali di carattere agrario, come
Consualia e Robigalia. Sì che la tomba in questo caso non appare come
pericolosa cavità in contatto col mondo unfraumano, ma viene piuttosto
considerata un deposito di ricchezza e di beni alimentari. Il giorno della
celebrazione si colloca tra l’altro in una fase in cui si presta particolare
attenzione all’attività agricola, e specificamente al raccolto, ben stipato e
protetto per assicurare la sopravvivenza dei Romani.
Si tratta ora di comprendere la relazione fra la ricca Acca Larentia e i
Lari, e la loro connessione con la realtà rurale. I frates Arvales, collegio
formato dai dodici figli di Acca Larentia, rendevano il loro culto in particolare
a queste entità, che venivano evocate in un loro carmen. Un suo frammento,
datato 240 d. C., testimonia un’azione rituale rivolta alla Mater Larum - si
gettano da un clivus delle ollae, pentole, contenenti purea – con cui si celebra
l’abbondanza alimentare. Aggiungiamo che la protagonista del mito,
nell’accedere al matrimonio, passa da una condizione pastorale, “povera”, al
ricco stato agrario, e nello stesso tempo da una condizione di prostituta a
quella di rispettabile matrona, ossia da una condizione “pre-civica” al
superiore ordine di una matura res publica. Diremmo quindi che il binomio
agricoltura - stato matronale, si oppone a quello pastorizia – condizione
promiscua. Sì che Acca Larentia con la sua storia personale riproduce
l’evoluzione di Roma, da un originario stato imperfetto alla maturità di un
raggiunto ordine economico, sociale ed etico.
Di conseguenza questo complesso cultuale evitando qualsiasi richiamo
al polo ctonio, presente ad esempio nella celebrazione dei Lemuria, allorché si
sposavano le donne di mal costume, evidenzia un nesso tra una sessualità non
ordinata e la polarità ctonia che per una proprietà transitiva coinvolge
l’originaria civiltà pastorale. Alla quale si contrappongono il regime agrario ed
il matrimonio giusto rappresentato appunto da Acca Larentia, che, superata
l’originale fase negativa, da rispettata matrona custodisce la ricchezza e quindi
la salus di Roma.
Non si hanno notizie riguardo ai templi consacrati a Diana e Iuno
Regina, mentre per quel che concerne le Tempeste, sappiamo che il loro
tempio fu consacrato da L. Cornelio Scipione dopo la conquista della Corsica,
per la quale evidentemente dovette anche ringraziare la benevolenza dei venti
nel corso della traversata in mare.

MESE INTERCALARE
IMMAGINE
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