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STREET CHILDREN OF NAIROBI
CHILD SOLDIERS
In particolare, della Colombia si legge che 14.000 bambini e bambine sono stati utilizzati
come bambini soldato da gruppi armati d'opposizione o dai paramilitari che ricevono
appoggio dal governo di Bogotá. Ad esempio, le bambine e i bambini delle Forze Armate
Rivoluzionarie – il principale gruppo di opposizione armata del paese latinoamericano –
sono stati deferiti ai “consigli di guerra” per infrazioni disciplinari e in alcuni casi passati per
le armi da loro coetanei, a loro volta costretti a macchiarsi di sangue. Nella zona orientale
della Repubblica Democratica del Congo, i gruppi armati hanno compiuto stupri ed altri
abusi sessuali contro i bambini e le bambine, costringendoli anche ad assassinare i propri
familiari. In definitiva, la Coalizione chiede ai governi di bandire
ogni forma di reclutamento di persone al di sotto di 18 anni nelle
forze armate e di dare piena attuazione al trattato delle Nazioni
Unite sui bambini soldato, giudicato uno strumento utile per
ridurre il numero dei bambini nei conflitti. Al momento, almeno 60
governi, tra cui quelli di Australia, Austria, Germania, Olanda e
Regno Unito, continuano a reclutare legalmente bambini di 16 e
17 anni, ha fatto sapere attraverso un comunicato Amnesty
International. “I governi hanno continuato a provvedere per gli
addestramenti militari e a fornire assistenza alle forze armate
che si avvalevano dei bimbi-soldato, incoraggiando le forze
paramilitari a fare altrettanto”, scrive il rapporto. “I bambini
dovrebbero essere difesi dalla guerra e non costretti ad
alimentarla. Invece, intere generazioni vedono i loro bambini
portati via da governi e gruppi armati” – ha dichiarato Davide
Cavazza, coordinatore della Coalizione italiana. Secondo la Coalizione, il Consiglio di
Sicurezza dovrebbe intraprendere un'azione immediata e decisiva per portare i bambini
fuori dai conflitti, applicando sanzioni mirate e deferendo i reclutatori al Tribunale Penale
Internazionale. I governi occidentali, invece, sono venuti meno all’impegno di proteggere i
bambini, fornendo sostegno e addestramento ai governi che usano i bambini soldato,
come quelli di Ruanda e Uganda.
Il sito internet della Coalition to stop the use of Child Soldiers, creato grazie al progetto
didattico iEarn da un insegnante della Sierra Leone in collaborazione con un collega
canadese, è nato per offrire ai giovani tolti ai campi di battaglia e alla guerriglia uno spazio
per fare sentire la loro voce e raccontare la loro esperinza. Il sito è tra i vincitori del “Cable
and Wireless Childnet Award 2004”, che premia i migliori siti educativi in tutto il
mondo:permette agli ex bambini soldato di esprimersi attraverso disegni, scritti o musica e
di scambiare mail con i coetanei di altri paesi. Per alcuni di loro il sito è stato uno
strumento per affrontare i fantasmi del passato: “Condividendo le loro esperienze con
ragazzi di tutto il mondo sentono di non essere più soli”, ha commentato Andrew Greene,
coordinatore del progetto, “aiuta i ragazzi toccati dalla guerra a ritrovarsi insieme, a
socializzare e ad usare la tecnologia”.
Un paese senza bambini, o i cui bimbi sono mutilati nel corpo e nello spirito, non può
pensare di avviarsi verso la pace, per questo i
programmi di recupero delle migliaia di bambini
soldato - secondo le stime dell'Unicef nel 2000
oltre il 30% dei combattenti della Sierra Leone
avevano meno di 15 anni ed al momento della
fine ufficiale della guerra nel gennaio del 2002 i
bambini soldati smobilitati risultavo essere 6845
- sono centrali negli sforzi per aiutare la
ricostruzione e la stabilizzazione del paese. Che
nel complesso si trova a dover reinserire nella
società civile un totale di 70mila ex combattenti.
Il Tribunale speciale per i crimini di guerra in Sierra Leone, composto da otto giudici
nominati dal governo ed altrettanti dalle Nazioni Unite che l'hanno voluto, è il primo che
considera il reclutamento di bambini soldato come un crimine di guerra. Il Tribunale ha
avviato la scorsa estate i primi processi sia contro esponenti del Fronte Rivoluzionario
Unito (RUF) che delle milizie filogovernative. Entrambe le parti hanno fatto enorme ricorso
alla coscrizione forzata di minori, in violazione delle convenzioni internazionali per la tutela
dei bambini.
ADULT WARS
Nel continente asiatico, l'agenzia ONU per l'infanzia ha svolto l'inchiesta “Adult wars, child
soldiers” (“Guerre dei grandi, soldati bambini”). Il
documento, pubblicato nell'ottobre del 2002, ha un
forte impatto emotivo, perché nasce dall'incontro
diretto con bambini soldato. In sei Paesi asiatici -
Cambogia, Timor Est, Indonesia, Myanmar,
Filippine e Papua Nuova Guinea - esperti dell'Unicef
e consulenti locali hanno intervistato 69 bambini con
esperienze militari passate o ancora in corso,
sottoponendo un questionario standard relativo al
loro background familiare, ai meccanismi di
reclutamento, alle esperienze vissute durante il servizio, alle conseguenze subite e alle
prospettive future. Il valore dell'inchiesta non sta nel fornire numeri o statistiche, ma nel
dare voce concreta a bambini che si sono scontrati precocemente con situazioni
pericolose; a chi, tra i 7 e i 17 anni, si è trovato coinvolto in scontri armati, generalmente
conflitti localizzati di bassa intensità, con radici etniche o religiose.
La “piaga” dei bambini soldato ricorda un nefasto precedente: le crociate dei bambini. Nel
XIII secolo furono organizzate spedizioni per liberare la Terra Santa compiute da
adolescenti, in gran parte pastorelli fanatizzati dal generale clima millenaristico dell'epoca.
Si svolsero almeno tre crociate di bambini. La prima, guidata dal francese Stefano di
Cloies, raccolse circa trentamila ragazzi che abbandonarono i padri, le madri, le nutrici e
tutti gli amici per dirigersi in processione, cantando, verso il Mediterraneo. Giunti a
Marsiglia (1212), alcuni mercanti senza scrupoli si impegnarono a trasportarli gratis in
Terra Santa, imbarcandoli su sette navi: di queste, due fecero naufragio e le rimanenti
vennero condotte in Tunisia e in Egitto dove i fanciulli furono venduti come schiavi agli
infedeli. Diciotto anni dopo Federico II incontrò settecento di loro ad Alessandria che non
erano più bambini ma uomini fatti. La seconda crociata, partita dalla Germania lo stesso
anno della precedente, raccolse circa ottomila bambini guidati dal dodicenne Nicholaus, il
quale assicurava che avrebbe camminato sul mare a piedi asciutti. Recatisi a Roma per
avere la benedizione papale dovettero accorgersi che nessuna autorità era dalla loro
parte: così, abbandonato il progetto, ripresero la via della Germania, attraversando le Alpi
in pieno inverno. Tornarono affamati e a piedi nudi, uno a uno e in silenzio. Molti di loro
giacquero, morti di fame, sulle pubbliche piazze nei villaggi, senza che nessuno dette loro
sepoltura. La terza, detta “la crociata dei pastorelli”, si mosse nel 1251 dalla Francia:
diverse migliaia di ragazzi seguirono un misterioso vecchio, Giacobbe, maestro
d'Ungheria. Loro meta era Gerusalemme ma, attraversando la Francia, devastarono le
case degli ebrei e le proprietà dei baroni e del clero e finirono tutti uccisi in scontri armati o
impiccati dai cavalieri francesi. Da queste crociate trae origine, probabilmente, la famosa
leggenda del pifferaio di Hamelin.
http://www.bambinisoldato.it/
(12-10-2005)
Bambini che soffrono, bambini che muoiono. Vittime innocenti di una umanità crudele,
brutale, senza scrupoli. Bambini costretti all'unica cosa possibile: adattarsi. Costretti a
subire le botte del papà alcolizzato, a nascere con l'Aids per colpa di genitori sieropositivi,
a vivere in strada, a prostituirsi, a rubare, ad imbracciare un
mitra, per riuscire a sopravvivere. I bambini vittime dei
trafficanti di “merce umana” nel mondo sono circa 30 milioni.
Vengono impiegati come braccianti nelle piantagioni,
lavoratori nelle cave, nelle vetrerie, nelle fornaci, venduti
come servi alle famiglie facoltose, coinvolti nella
prostituzione o reclutati nei conflitti armati. In Africa, il traffico
dei bambini è molto diffuso soprattutto nella parte
occidentale, avallato da pratiche tradizionali per cui i figli
vengono affidati a parenti per introdurli nel mondo del
lavoro. Fatalmente, approfittando della difficile situazione
economica dei villaggi, i trafficanti riescono a farsi affidare i
bambini costringendoli a svolgere lavori umilianti, che
compromettono la loro salute fisica e lo stato mentale. Ma il
commercio di piccoli schiavi interessa anche l’Europa (il
60% degli albanesi vittime della tratta sono minorenni), Stati
Uniti (sono 300.000 i bambini di età compresa tra 10 e 17 anni vittime di sfruttamento
sessuale) e l’Italia (5000 donne e bambini, 8000 bambini stranieri costretti a mendicare e
2200 minorenni coinvolti nella prostituzione). Gli “invisible children” sono un popolo
enorme, una piaga mondiale in costante aumento, sono i figli della globalizzazione.
Invisibili, perché i mass-media non si degnano di parlarne abbastanza, se non quando si
tratti di casi eclatanti: come i neonati gettati nel
cassonetto, venduti su Internet, uccisi dalla
propria madre, protagonisti di abusi sessuali,
carne da macello. Ci sta provando il cinema a
sensibilizzare l'opinione pubblica su questa
immane tragedia-catastrofe del nostro tempo. “All
The Invisible Children”, film a episodi prodotto da
Maria Grazia Cucinotta, con sette storie di una
ventina minuti ciascuna, prova ad aprire delle finestre su storie e luoghi che non siamo
abituati a vedere. Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Katia Lund, Ridley Scott,
l'italiano Stefano Veneruso e John Woo. Ognuno col proprio stile, ognuno voce della
propria terra di provenienza. Un film che va oltre la semplice denuncia. Che riesce anche a
divertire, grazie all'allegria gitana di Kusturica, che commuove, quando Spike Lee ritorna
nei suoi amati-odiati ghetti metropolitani dove i neri buttano via la propria esistenza, che
irride il consumismo, mostrando i bambini di San Paolo che vivono raccogliendo lattine e
cartoni per strada. L'Italia è rappresentata dalla storia di Ciro, giovanissimo scugnizzo
napoletano che sogna un giro in giostra mentre ruba orologi da polso agli automobilisti
fermi al semaforo.
È quella che hanno a disposizione due milioni di bambini che muoiono infatti entro le prime
24 ore di vita. Un altro milione se ne va più lentamente: tra il secondo e il settimo giorno,
un altro milione tra la seconda e la quarta settimana. Sono alcune delle cifre del settimo
rapporto sullo stato delle madri nel mondo, diffuso dall'associazione Save the Children:
“Solo un piccolissimo numero di neonati nei paesi poveri riceve cure e assistenza
appropriate durante questo periodo così delicato - spiega Carlotta Sami, direttore dei
programmi di Save the Children - semplici precauzioni e misure sanitarie che da noi diamo
per scontate e che possono fare la differenza fra la vita e la morte per questi bambini”. Il
dossier contiene anche l' “Indice delle madri”, una classifica dei Paesi dove le mamme e i
bambini stanno meglio o peggio, che analizza la condizione di 125 Paesi. In cima alla lista
i Paesi scandinavi, mentre le mamme che stanno peggio risultano essere quelle che
vivono nell'Africa subsahariana. Nel valutare il benessere delle madri e dei neonati in 53
paesi a basso reddito, la classifica stilata da Save the Children vede Liberia e Afghanistan
all'ultimo posto e Vietnam e Nicaragua al primo. Il tasso di mortalità alla nascita in Liberia
è cinque volte quello del Vietnam. Il dossier prende inoltre in considerazione 23 paesi a
“medio reddito”, fra quelli in via di sviluppo, e pone l'Iraq in fondo alla graduatoria (6 morti
ogni 100 nati) e la Colombia in testa (1 morto su 100 nati).
ABUSI IN LIBERIA
Sempre da Save The Children arriva l'accusa a cooperanti e imprenditori locali, ma anche
ai caschi blu dell'ONU, che pretenderebbero dai minori
rapporto sessuali in cambio di cibo e denaro. Secondo il
rapporto di Save the Children sono soprattutto le bambine
liberiane a essere vittime di queste pratiche. Save the
Children ha incontrato oltre 300 persone nei campi profughi
e ha accertato che gli abusi sono molto diffusi: tutte le
persone interpellate dall'organizzazione hanno affermato che riguarderebbero oltre la
metà delle bambine ospitate nei campi. Una donna di 20 anni ha raccontato alla BBC di
essere stata costretta ad avere rapporti sessuali con un operatore umanitario. Save the
children punta il dito anche contro funzionari governativi e insegnanti, accusati di chiedere
rapporti sessuali in cambio della retta scolastica o anche soltanto di buoni voti. “Questo
non può continuare. “Deve essere fermato” - ha commentato la responsabile dell'ufficio di
Londra dell'Ong, Jasmine Whitbread – “gli uomini che usano le proprie posizioni di potere
per sfruttare bambini vulnerabili devono essere denunciati e licenziati. Bisogna fare di più
per aiutare i bambini e le loro famiglie, perché vivano senza cadere in questo tipo di
disperazione”. Whitbread ha poi lanciato un appello al nuovo governo liberiano, guidato
dal presidente, signora Ellen Johnson-Sirleaf, che ha fatto della lotta allo sfruttamento e
alla prostituzione una delle sue bandiere. “La nostra esperienza - ha concluso - dimostra
che senza pressioni dall'alto nulla cambierà”. Nel rapporto redatto dall'organizzazione si
afferma che lo sfruttamento sessuale delle bambine di età compresa tra gli otto e i 18 anni
sta diventando sempre più comune tra gli sfollati che stanno rientrando nelle proprie case
dopo la fine della guerra civile durata anni e l'elezione del nuovo presidente.
Save the children presenta il Rapporto sullo Stato delle Madri nel Mondo 2009
Aumentano i bambini poveri. Bambini soli, spesso sfruttati o abusati da adulti. L'Italia è al
secondo posto in Europa per numero di minori poverii a rischio di sfruttamento, devianza e
disagio, sia che si tratti di italiani che stranieri. Lo dice il secondo rapporto di
aggiornamento sulla condizione dell'infanzia, alla vigilia dell'anniversario della ratifica della
Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia e Adolescenza da parte dell'Italia, avvenuta il 27
maggio 1991, frutto del gruppo di lavoro per la CRC (Comitato per i Diritti dell'Infanzia),
con il coordinamento di Save the Children Italia. I bambini che chiedono soldi ai semafori o
alcuni drammatici fatti di cronaca che documentano violenze, abusi e gravi mancanze e
negligenze ai danni di minori, «sono solo la manifestazione più visibile di tendenze
strutturali che rileviamo», ha detto Arianna Saulini, coordinatrice del Gruppo di lavoro sulla
CRC e responsabile dell'Area Diritti di Save the Children Italia. «Il rapporto prende in
esame moltissime questioni relative all'infanzia: le misure di attuazione della Convenzione
in Italia, i servizi sanitari e di assistenza all'infanzia, l'educazione, il gioco, le attività
culturali, le misure di tutela dei minori - ha proseguito Arianna Saulini - in questo quadro
generale abbiamo rilevato alcune tendenze che richiedono massima attenzione e
tempestività di intervento. In particolare, siamo preoccupati per la riduzione in povertà di
molti bambini insieme alle loro famiglie e dall'aumento di fenomeni di sfruttamento di
minori stranieri e italiani». Stime recenti valutano in 17 milioni i bambini in stato di povertà
in Europa. Secondo il Rapporto del Centro di Ricerca Innocenti dell'Unicef, il 16,3% dei
bambini, nel nostro paese vive al di sotto della soglia nazionale della povertà. «L'OCSE ha
dimostrato una relazione inversamente proporzionale tra tasso di occupazione femminile e
tasso di povertà tra i bambini», si legge nel rapporto. Riguardo i minori migranti, composti
anche da provenienti da paesi in guerra, magari ex bambini soldato, il quadro che emerge
dal Rapporto è quello di un gruppo ad alto rischio, insufficientemente tutelato sin dall'arrivo
alle nostre frontiere. La difficoltà di accedere a programmi di integrazione e
successivamente di avere un permesso di soggiorno espone i minori migranti al forte
rischio di cadere vittime di fenomeni di sfruttamento sia sessuale che lavorativo e di
devianza. Sono quasi 6.500 i minori stranieri non accompagnati in Italia (al 30 dicembre
2005), secondo i dati del Comitato Minori Stranieri. Provengono per lo più da Romania,
Marocco, Albania. Moltissimi di questi minori - si legge nel Rapporto - si allontanano
immediatamente dalle comunità di accoglienza in cui vengono inseriti, andando a vivere in
in case o fabbriche abbandonate o per strada. Non vanno a scuola, non accedono
all'assistenza sanitaria e sono dunque esposti a varie forme di sfruttamento e devianza.
All'interno del fenomeno della prostituzione merita una particolare attenzione quella
maschile straniera, tanto poco conosciuta quanto diffusa. È importante sapere, per
esempio, che tra i minori che si prostituiscono molti sono rumeni rom, una minoranza
etnica particolarmente vulnerabile. Per questi ragazzi, spesso, la decisione di prostituirsi
non è frutto della coercizione, anche se resta elevato il rischio e anche i casi di
sfruttamento, così come è ricorrente il coinvolgimento di questi minori in attività illegali. La
prostituzione minorile italiana, invece, riguarda, per lo più, bambini e ragazzi italiani che, a
causa di condizioni socio-economiche disagiate, trovano, in modo coatto o autonomo,
nella prostituzione, spesso in casa, a volte anche in strada, un importante supporto
economico per se o per il proprio nucleo familiare. Oppure, rappresenta un mezzo per
procurarsi sostanze psicotrope o una fonte di denaro per soddisfare bisogni non primari.
Ma quanti sono i minori che si prostituiscono, quanti sono vittime di tratta, quanti i bambini
che subiscono violenza e abuso, quanti i minori negli istituti o appartenenti a minoranze
etniche? «È inaudito che su alcune questioni molto serie relative alle condizioni
dell'infanzia in Italia, manchino da anni dati ufficiali», dice la Saulini, «ad oggi non
conosciamo il numero di bambini e bambine che vivono fuori della famiglia, non sono state
istituite anagrafi regionali sul numero di minori in strutture residenziali come istituti e case-
famiglia e non è operativa la banca dati dei minori dichiarati adottabili e degli aspiranti
genitori adottivi. Mancano poi ii dati ufficiali sui minori Rom. Non è quindi possibile stimare
il numero di minori vittime di tratta: gli unici dati disponibili sono quelli relativi al rilascio dei
permessi di soggiorno per protezione sociale».
NINOS DE LA CALLE
Per molti dei volontari che hanno operato a contatto con questi bambini, il loro recupero
appare impossibile. In Guatemala, nel 2005, venne
fuori che gli ufficiali di polizia e delle forze di
sicurezza torturavano i ninos de la calle: li pestavano
a mani nude o con dei bastoni. “Gli agenti di polizia
si divertono con noi, ma preferiscono le ragazze.
Loro le violentano – racconta Carlos, un ragazzo di
strada del Guatemala - ne abusano sia nelle prigioni
che per strada, dietro minaccia di arresto. Ho visto
tante giovani donne sottomettersi a loro per evitare
di essere portate dentro. Una di otto anni mi ha
confidato che un agente le ha chiesto di poterla
guardare nuda in cambio della libertà... a volte ci fermano e ci bruciano le mani con le
sigarette. A me hanno gettato del solvente addosso e mi hanno picchiato. Solo perché
non avevo soldi da dargli”. Adesso, Carlos è aiutato da Casa Alianza Guatemala, che
raccoglie e sostiene i niños de la calle con un apposito programma umanitario.
MENINOS DE RUA
Ragazzi di strada molto speciali: i NIÑOS GOMEROS Caschi Bianchi Focsiv 15-09-
2005
Gli squadroni della morte fanno parte della vita quotidiana nella Baixada fin dal 1950,
quando i justiceiros cominciarono a sostituirsi allo stato. Una
specie di “servizio pubblico” (parole loro), tanto che qualcuno
lavora per soldi e qualcun altro lo fa solo “per rendere un favore
alla società”. Jubilee Campaign, una organizzazione per i diritti
umani inglese, ha svolto una accurata indagine sul campo,
nella Baixada, su incarico del parlamento inglese. Ha
intervistato “justiceiros”, poliziotti, meninos de rua e gente della
strada e poi ha pubblicato un rapporto di 64 pagine intitolato
“The Silent War”. Un documento a dir poco agghiacciante. Gli
squadroni, assoldati quasi sempre dai negozianti o dalle
compagnie (per esempio quella dei Trasporti di Rio), sono
formati da poliziotti, ex poliziotti, o killer professionisti. Per
essere giustiziati non c'è bisogno di essere coinvolti nel
narcotraffico. Basta che il menino commetta un furto, o non
paghi il biglietto dell'autobus, che risponda male a un justiceiro
o a un poliziotto, e viene freddato per strada, con una pallottola alla testa. Così i ragazzi
vengono ammazzati spesso in pieno giorno e nessuno denuncia il fatto perché sa che
sarebbe ammazzato a sua volta. La polizia, quando non è direttamente coinvolta, è
comunque connivente. Josè Sivuca, deputato per lo stato di Rio, passato alla storia, a suo
tempo, per aver affermato che “un bandito buono è un bandito morto”, ha spiegato in una
intervista alla Abc News che: “Una volta che la violenza si è installata in un luogo soltanto
una violenza di senso contrario la può combattere”. In seguito alla pubblicazione del
rapporto “The Silent War” sono stati identificati i due squadroni della morte più importanti
della Baixada. Il primo, formato da 26 persone e diretto dal 37enne Tiao da Mineira, il
secondo, di 14 uomini, diretto da Chiquinho Tripa, ex poliziotto. Giudicati responsabili di
innumerevoli omicidi, i membri delle due organizzazioni sono stati condannati fino a 60
anni di prigione. Altri gruppi, come quello dei “Cavalieri Neri”, un misto di agenti di polizia e
penitenziari, sono finiti nel mirino della giustizia. A denunciare i gruppi sono stati alcuni
abitanti del quartiere, tra i pochi ad infrangere la legge del silenzio. I difensori dei diritti
umani continuano a subire vessazioni, minacce di morte, diffamazione pubblica e a essere
uccisi. Quelli che lavorano nelle aree rurali sono stati particolarmente vulnerabili alle
aggressioni delle guardie assoldate dai proprietari terrieri, spesso con l'acquiescenza della
polizia. Valdania Aparecida Paulino, un'avvocata per i diritti umani che lavora a Sâo Paulo,
ha ricevuto diverse minacce anonime dopo aver accettato di occuparsi di Josè Nunes da
Silva e Ednaldo Gomes, uccisi secondo le accuse dalla polizia militare di Sâo Paulo il 31
marzo 1999. Márcio Celestino da Silva, che ha testimoniato sulla morte dei due uomini è
stato fermato dalla polizia nel giugno 1999 e trattenuto per quattro mesi: é stato picchiato,
sottoposto a tortura con scariche elettriche e gli è stato ordinato di ritirare la sua
testimonianza. A Belem, nello stato di Pará, la poliziotta e Difensore Civico Rosa Marga
Roth è stata citata in tribunale da un delegato di polizia che era il principale sospetto di un
caso di tortura. Il delegato di polizia l'ha accusata di reati fra cui diffamazione e
manipolazione di testimoni. Alla fine del 2000 doveva ancora subire due processi.
CIDADE DE DEUS
“Quando si elimina un bambino di strada, si fa solo un favore alla società” (Silvio Cunha,
presidente dell'Associazione dei Commercianti di Rio).
Jubilee Campaign
SOLDATINI DI PIOMBO
fonti: Reuters, Peacelink, Amnesty, Save The Children, Human Rights Watch, Korazym,
Giornale di Brescia, 7Magazine
UNICEF (childsoldiers)
In Uganda del nord, i ragazzi rapiti dall'LRA (Esercito di liberazione del Signore), un
gruppo armato con basi nel sud del Sudan, subito dopo il rapimento vengono “iniziati” con
la partecipazione forzata ad un'azione violenta - l'uccisione di un familiare o un altro
bambino colpevole di aver tentato la fuga o di disobbedienza. Questo atto, oltre a
terrorizzare i ragazzi, fa superare il tabù dell'omicidio e crea sensi di colpa che legano
psicologicamente i ragazzi al gruppo armato.
[…] Un ragazzo cercò di scappare [dai ribelli], ma lo presero.... Le sue mani erano legate
e loro ci chiesero di ucciderlo. Mi sentii male. Lo conoscevo da prima. Venivamo dallo
stesso villaggio. Rifiutai di ucciderlo e mi dissero che mi avrebbero sparato. Mi puntarono
contro un fucile, così dovetti farlo. Il ragazzo mi chiese: “Perché lo fai?”. Risposi che non
avevo scelta. Dopo che lo uccidemmo, ci fecero bagnare le braccia nel suo sangue.
Dissero che dovevamo farlo, così non avremmo più tentato di scappare. Ancora sogno
quel ragazzo del mio villaggio che ho ucciso. Lo vedo nei miei sogni e lui mi parla e dice
che l'ho ucciso per niente. E io piango […] (Susan, 16 anni, rapita dall'LRA, intervista
dell'Human Right Watch, maggio 1997).
Tutti i bambini soldato porteranno nella loro vita ferite psicologiche difficili da rimarginare.
L'essere stati testimoni, o l'aver essi stessi commesso atrocità, avrà serie conseguenze
non solo nella loro esistenza (incubi ricorrenti, incapacità di riadattamento ecc.) ma
nell'intero tessuto sociale in cui essi stessi sono inseriti, poiché li renderà diffidenti ed ostili
verso una società che non ha saputo proteggere e ha distrutto “la naturale fede del
bambino nella vita”. L'uso dei bambini soldato ha ripercussioni anche negli altri minori. Se
infatti i ragazzi possono usare le armi od essere utilizzati come spie, tutti i bambini
verranno guardati con sospetto. Si rischia così che altri ragazzi vengano uccisi,
imprigionati, interrogati, solo per paura di un loro coinvolgimento con gruppi armati o con
l'esercito.
SAVANE'
I BAMBINI DI BAGHDAD
“Chokora”, spazzatura. Vengono chiamati così a Nairobi i 130 mila bambini e ragazzi
costretti a vivere per strada, tra i rifiuti. Sono vittime della povertà e dell'Aids ed esclusi da
ogni forma di assistenza ed educazione. Si guadagnano la giornata come possono e di
notte dormono nelle discariche avvolti da teli di plastica.
A Hong Kong, prosperosa colonia britannica sul Mar della Cina, ogni anno centinaia di
bambini scappano di casa e finiscono nelle grinfie delle Triadi, la potente mafia cinese.
All'età di soli undici anni possono già partecipare alla “cerimonia della lanterna blu”, primo
rito di iniziazione col quale comincia un periodo di formazione che dura un paio di anni.
Precocemente svezzati, tatuati come si vede nei film, quegli adolescenti non riscuotono
simpatia e, nonostante siano in effetti ancora bambini, vengono giudicati come criminali
incalliti. Sempre ad Hong Kong, ad arricchire le fila dei ragazzi di strada vi sono i figli di
lavoratori cinesi immigrati, le cui mogli vivono nella “mainland China”. Una legislazione
ottusa, promulgata dal governatorato di Sua Maestà, non concede infatti alle donne della
Repubblica Popolare di Cina il permesso di soggiorno per riunirsi ai mariti, per cui i figli,
che possono ottenere la cittadinanza paterna, spesso crescono senza il sostegno di una
vera famiglia.
In India, i bambini di strada sono stimati essere circa 20,000 nella sola città di Vijayawada.
Vivono nelle vicinanze o nella stazione ferroviaria di Vijayawada o altre zone pubbliche. Si
guadagnano da vivere raccogliendo stracci, carta e bottiglie dalla spazzatura, oppure
vengono usati come lavapiatti negli “alberghi”, come sciuscià, facchini, spazzini o
semplicemente chiedono la carità. Vijayawada è un importante snodo ferroviario poiché
congiunge il nord al sud da Delhi e Calcutta a Madras ed al Kerala, e l'ovest all'est da
Bombay. La stazione è aperta 24 ore al giorno e ci passano 130 treni al giorno. Pertanto a
Vijayawada arrivano molti bambini scappati da casa. Sono ragazzini che hanno lasciato le
proprie case per cause connesse alla povertà: maltrattamenti da parte di genitori, di
patrigni/matrigne, famiglie disgregate, genitori disoccupati, alcolizzati o drogati. Tutti questi
ragazzini sono attratti dalle attività della città. Hanno tutti una cosa in comune: non
conoscono le gioie della fanciullezza.
Alle stazioni arrivano anche bambine in compagnia dei loro fratelli, cui i genitori hanno
raccomandato di “proteggerle”. Secondo l’organizzazione umanitaria Cry di Mumbai, “per
le bambine a quel punto non c’è più scampo”. Nelle stazioni trovano ad attenderle
personaggi che si mostrano gentili e generosi. Ma che hanno uno scopo preciso: portare
queste ragazzine non ancora adolescenti nel quartiere a luci rosse dell'immenso slum di
Dharavi, alla periferia della città. In breve, queste bambine sono avviate da esperte
matrone sulla strada della prostituzione. Chotee
Baswan, una delle dirigenti del Cry, dice sconsolata:
“In tutta Mumbai lavorano 12 organizzazioni che si
interessano della sorte dei bambini di strada. La
nostra azione può toccare solo 6 mila piccoli: una
minuscola goccia in un immenso oceano”.
Come vivono ?
La situazione dei bambini di strada è una delle manifestazioni più radicali di ingiustizia,
povertà e segregazione. Essi sopravvivono ai margini della società affidandosi solo a se
stessi. Lavorano riciclando spazzatura, chiedendo la carità, vendendo bigiotteria, lavando
corriere o facendo qualsiasi cosa che possa procurare loro un po' di cibo. Molto spesso i
diritti dei bambini non sono solo ignorati, ma prevaricati attraverso l'indifferenza, lo
sfruttamento economico e l'abuso fisico e sessuale. Sono spesso reclutati da bande
criminali per lavorare come spacciatori al dettaglio di droga. Molto facilmente, e ancora
giovanissimi, diventano tossicodipendenti pure loro. Ma, nonostante la violenza e la
durezza della loro vita, molti bambini e bambine preferiscono stare lì perché rimane loro la
possibilità di muoversi per andare altrove quando la situazione diventa insopportabile. Lì
riescono a ricreare una qualche forma di solidarietà.
Ricostruiscono legami di interdipendenza, ma con una differenza: questa è ora la “loro
vita”, in qualche modo sono padroni di se stessi. La strada, tutto sommato, parla la lingua
della verità. La violenza, se pure brutale, non è mai travestita da motivazioni del tipo: “È
per il tuo bene”. Per il “loro bene” molte bambine sono mandate dai genitori a fare le
schiave domestiche nelle case dei ricchi ! La violenza che porta all‘abbandono e alla fuga
è la peggiore perché è inaspettata, inspiegabile ed è causata dagli adulti ai quali i bambini
credevano e dai quali dipendevano. Questa li lascerà sempre feriti. Quella esercitata sulla
strada, invece, anche se oggettivamente più grave - penso agli abusi fisici e sessuali -
viene da loro percepita come una sorta di “violenza negoziabile”, un do ut des, una cosa
conosciuta e prevista, e quindi, in un certo qual modo, anche gestibile e che presenta un
margine - anche se minimo - di scelta. Anche questa violenza, comunque, rappresenta
una inaccettabile prevaricazione dei diritti dei bambini ed è un chiaro segno del fallimento
della nostra società adulta. Per cui, quello che si può, si deve fare, è stare con loro, lasciar
fare a loro e voler loro un po' di bene.
Molte delle soluzioni proposte da alcune Ong (associazioni non governative, ndr) o dal
governo non funzionano, sono spesso contraddittorie. Dipendenti di molte Ong tengono in
casa bambine come schiave domestiche. Si fanno solo programmi costosissimi che
durano tre anni, come se potessimo chiedere a un bambino di esser bambino a tempo
determinato o dare loro diritti a scadenza. Spesso i tentativi per affrontare la loro
situazione, motivati da problemi d'immagine, sortiscono un effetto collaterale che porta i
bambini a perdere dignità, autonomia e spesso a provocare ulteriore violenza.
Tokai è uno dei nomi dei bambini di strada in Bangladesh. “Tokai kora”, in lingua
bengalese significa “raccogliere cose dalla spazzatura, dal rottame” e “Tokai” è il nome
dato alle persone che fanno questo mestiere. È un nome significativo per i bambini di
strada poiché essi sopravvivono sulle strade riciclando rottame e spazzatura. Dal 1995, la
Tokai House è un rifugio per circa 120 bambini e bambine. I padri saveriani e la Chiesa
cattolica di Khulna hanno fin dall'inizio appoggiato questo progetto. Nel 1995, con p. Jorge
Alvarado, accanto all'attività formale del dialogo interreligioso, abbiamo iniziato ad offrire
spazio, ospitalità e rifugio ai piccoli che vivevano sulla strada. Oggi, la Tokai House è allo
stesso tempo rifugio per questi bambini, residenza della comunità saveriana, ufficio di
gestione del dialogo tra religioni e centro di coordinamento di altre attività, come quelle del
Kh.Uda (Khulna Uderprivileged Development Association), focalizzate sui problemi della
salute e dello sviluppo dei due gruppi sociali più deboli in questa società: i bambini di
strada e le giovani donne abbandonate o divorziate. Molti bambini e bambine di strada di
Khulna pensano alla Tokai House come alla loro casa. Alcuni ci vivono fissi: vanno a
scuola e cercano di crescere in un ambiente tranquillo. Altri ci arrivano per tirarsi un po'
su. Altri ancora vi si rifugiano in fuga da violenze e abusi. Il Centro provvede a loro con
cibo, vestiti, spese per la salute e aiuto legale contro gli abusi della polizia. I bambini e le
bambine che gravitano attorno al Centro sono pure incoraggiati a ricongiungersi, quando
possibile, con le loro famiglie di origine o con quello che è rimasto di esse.
Cry
Tokai House
Nel 2006, erano oltre 18 milioni i bambini profughi – con o senza le loro famiglie. Circa 8,8
milioni di loro erano profughi interni, mentre circa 5,8 milioni erano bambini rifugiati oltre i
confini, riferisce il rapporto. Nel mondo, almeno il 50% dei bambini fuori dalla scuola
primaria in età scolare vive in paesi dilaniati dal conflitto. Nel suo studio, Coomaraswamy
racconta anche storie di successo: in Costa d'Avorio, circa 1.200 bambini sono stati già
rilasciati all'UNICEF. A giugno, il Movimento Armato per la Liberazione del Popolo
Sudanese, uno dei firmatari dell'accordo di pace del Darfur, si è accordato con l'UNICEF
circa le modalità per l'identificazione e il rilascio di bambini associati con le sue forze e su
una verifica continua per prevenire l'arruolamento dei bambini. L'anno scorso, il governo
dell'Uganda si è impegnato per rafforzare la realizzazione delle esistenti fondamenta legali
e politiche sul reclutamento e l'uso dei bambini nei conflitti armati. In Ciad, il dialogo tra
UNICEF e governo ha portato alla tutela dei bambini vittime dei conflitti armati e ad una
loro reintegrazione sostenibile in comunità e famiglie. Tuttavia, rapporti recenti del
segretario generale riferiscono ancora di rapimenti in Burundi, Ciad, Costa d'Avorio,
Repubblica democratica del Congo, Nepal (dove circa 22.000 studenti sarebbero stati
rapiti dai maoisti tra il 2002 e il 2006), Somalia, Sri Lanka e Sudan. Coomaraswamy
chiede a tutti gli stati membri di adempiere ai propri obblighi verso l’infanzia, garantendo
l'accesso a servizi fondamentali come istruzione, salute, nutrizione, acqua e servizi
igienici. “I bisogni dei bambini hanno priorità assoluta, durante e dopo il conflitto. Devono
essere parte di tutti i processi di pace”, ha ribadito. Altre importanti raccomandazioni
comprendono la richiesta di fermare l'impunità dei responsabili di crimini atroci contro
l'infanzia. “Ciò significa garantire procedimenti legali contro i crimini di guerra e aderire alle
fondamentali norme internazionali”.
Interview with Special Representative for Children and Armed Conflict, Radhika
Coomaraswamy UN News 01-05-2009
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Un bambino racconta la sua vita da soldato periodicoitaliano 16-01-2010
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