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cyborg.html)
L'INVASIONE DIVINA
La creatura artificiale è già presente nel mito, prima che nella storia. "Frankenstein o il
Prometeo Moderno" di Mary Shelley (1818) fu partorito da un sogno. O meglio, da un
incubo. La Shelley vide chiaramente il delirio di onnipotenza dell’uomo che si vuole fare
simile a Dio, con la capacità di decidere della vita e della morte. Il risultato è una
mostruosità della tecnica, una "creatura" che è un insieme di organi umani e animali
assemblati, una "natura morta", incarnazione della paura che all'epoca accompagnava le
nuove scoperte tecno-scientifiche, come ad es. l'elettricità, e la comparsa delle macchine,
che apparivano come mostruose. Già allora si parlava di riportare in vita i morti.
La Shelley assume una posizione chiara, mettendo in guardia contro l'uso dell'intelligenza
scientifica divisa dai principi morali, anticipando di un paio di secoli la bioetica. Il Dr.
Frankenstein, simbolo di una volontà di potenza (maschile) che è comune agli scienziati
dei nostri giorni, ormai non è più solo un mito, è storia, è un mito vivente. La visione di
Mary Shelley si è realizzata. Il ché dovrebbe far riflettere sulla incapacità
dell'immaginazione artistica, anche quella più critica, di incidere sulle coscienze, di
modificare la realtà.
"Diversamente dal mostro di Frankenstein, il cyborg non si aspetta che il padre lo salvi
ripristinando il giardino, cioè fabbricandogli un compagno eterosessuale, corredato da un
tutto finito, città e cosmo. Il cyborg non sogna una comunità costruita sul modello della
famiglia organica. Il cyborg non riconoscerebbe il giardino dell’Eden: non è nato dal fango
e non può pensare di ritornare polvere".
Come la creaura del Dr. Frankenstein, anche il cyborg, ibrido umano-meccanico, vive nel
mito prima che nella storia. La fusione tra uomo e macchina, tra naturale e artificiale, tra
organi biologici e meccanici, è stata prospettata dai futuristi ancor prima che dalla
cibernetica. La prima seria proposta scientifica di un cyborg risale allo scienziato marxista
J.D.Bernal, l'autore di "The World, the Flesh, and the Devil" (1926), in cui gli umani, nel
tentativo di colonizzare lo spazio, prendono il controllo dell'evoluzione attraverso
ingegneria genetica, chirurgia protesica e interfacce elettroniche uomo-macchina a cui si
deve l'emergere di "un nuovo organo di senso".
Nel 1960, Manfred E. Clynes e Nathan S. Kline, due medici del Rockland State Hospital di
New York, coniano il termine "organismo cibernetico", da cui "cyborg", in un articolo
intitolato “Drugs, Space and Cybernetics”. Lo scritto si inseriva nel dibattito sulle possibilità
del volo e dell’esplorazione spaziale e proponeva un’ardita prospettiva di potenziamento
artificiale del corpo umano per renderlo adatto a lunghe permanenze nello spazio in
ambienti ristretti e ostili, finanche a vivere su pianeti lontani. Una “capsula a pompa”
azionata dalla pressione osmotica avrebbe iniettato lentamente nell’organismo delle
sostanze attive, in grado di modificare la biochimica del corpo; una nuova capacità di
processare cibo e liquidi avrebbe trasformato tutto il metabolismo dell’individuo,
influenzando non solo il sistema enzimatico, la funzione cardiovascolare e il sistema
muscolare, ma anche la percezione e il ritmo sonno-veglia.
La proposta dei due medici americani non fece molta strada sul piano pratico, ma alimentò
il mito: la fantascienza cominciò a chiamare cyborg gli ibridi uomo-macchina che abitavano
le sue pagine già da tempo, almeno a partire dai primi anni Venti. Al posto del cyborg bio-
chimico prospettato dai due medici, si afferma la visione dell'essere bio-meccanico, che
riflette l'evoluzione tecnica degli anni Venti-Quaranta, prevalentemente elettro-meccanica.
L'elettronica e la micro-elettronica si sarebbero affermate in seguito.
È un cyborg dunque parente stretto del robot, variante degli automi settecenteschi. È l'
"Uomo Bicentenario" di Asimov, che coniuga il macchinico e l'organico, è il "cervello nella
scatola di metallo", la sede dei processi cognitivi trasferita in un corpo di metallo. Come ne
"Il Colosso di New York" di Eugene Lourié (1958), creatura ispirata al Frankenstein della
Shelley.
«Dio promette la vita eterna», disse Eldritch, «io posso fare di meglio: posso metterla in
commercio».
Il cyborg più famoso di Philip K. Dick, il Palmer Eldritch dell’omonimo romanzo (braccio,
occhi e dentatura metallici sono "Le Tre Stimmate di Palmer Eldritch", 1965), appare come
una entità aliena proveniente da Proxima. La droga Chew Z, che Eldritch introduce nel
nostro sistema solare per soppiantare il Can D (un allucinogeno che permette a chi lo
assume di vivere qualche ora nel mondo virtuale di Perky e Walt, due pupazzi
pluriaccessoriati che ricordano Ken e Barbie), sembra essere il cavallo di Troia di una
"divina invasione".
Dick vedeva con grande chiarezza il rovesciamento dei ruoli indotto dall'interazione tra
uomini e macchine. Nella produzione dickiana, il porno-cyborg è una figura che annulla, o
meglio tende ad annullare la differenza ontologica rispetto all'originale di cui è figura. In
questo modo, Dick denunciava il potere di manipolazione della realtà nascosto dietro alla
produzione di realtà falsificate, oppressione, alienazione.
"Il più grande cambiamento al quale assistiamo nel nostro mondo in questi giorni è
probabilmente la quantità di moto del vivente verso la reificazione, e allo stesso tempo un
ingresso del meccanico nell'animazione. Non abbiamo più, ora, pure categorie del vivente
in opposizione al non vivente".
Nel famoso discorso "Man, Android and Machine", tenuto da Dick nel 1976 a Vancouver,
l'associazione tra l'entità meccanica umanoide e la morte è sempre più
stringente: "Androidi, entità crudeli che sorridono mentre si accingono a stringere la mano,
ma la loro stretta è la stretta della morte e il loro sorriso ha la freddezza della tomba".
"Ubik" termina, per il protagonista, con l'immagine speculare del proprio io (l'unico io
vivente in un mondo di morti) ridotto anch'esso alla condizione di un sogno - o di un
segnale - nella mente d'un morto vivente.
L'altra faccia del simulacro è l'io polverizzato e distrutto dell'uomo americano, incapace di
parlare e di comunicare, di distinguere più a lungo tra il vero mondo e le realtà fittizie
create dal potere, così che non c'e più un "vero mondo"'.
"…in basso si stendeva il mondo del sepolcro, il mondo immutabile della causa effetto, il
mondo del demonio. Al centro si stendeva lo strato degli uomini, ma in ogni istante poteva
affondare... discendere, sprofondare... nello strato più basso, l'inferno" ("Le Tre Stimmate
di Palmer Eldritch").
In "Robocop" si manifesta il contrasto lacerante fra le due metà dell’ibrido, le sue tendenze
e i suoi ricordi umani da una parte, la rigida programmazione della macchina dall’altra.
Robocop, creatura dolente e nostalgica, aspira all’Eden perduto di una condizione
integralmente umana.
In "The Innocense" (“L’Attacco dei Cyborg”), sequel di "Ghost In The Shell" ("Lo Spirito nel
Guscio"), capolavoro dell'anime giapponese firmato Mamoru Oshii, le gynoids, porno-
cyborg dalle sembianze femminili a cui è stata trasferita l'anima di bambine rapite, capaci
di soddisfare i desideri sessuali degli acquirenti, uccidono e poi si suicidano.
Anche qui, come nei replicanti di "Blade Runner", è protagonista il conflitto uomo-
macchina: le piccole anime prigioniere nelle ginoidi si rivoltano alla fredda logica della
meccanica desiderando la morte come liberazione.
(nota: le ginoidi sono diventate realtà. Erano state precedute da porno-creature come le
Real Doll).
In “The Matrix” (Andy e Larry Wachowski, USA, 1999), le macchine si sono evolute a tal
punto da allevare ed utilizzare il genere umano per succhiarne l'energia necessaria alla
propria sopravvivenza. Mentre il mondo reale è un mondo distrutto da anni (non siamo nel
1999 come tutti pensano, ma nel 2070), la “Matrice” simula un mondo virtuale
computerizzato che un gruppo di cyber-ribelli tenterà di sabotare inserendosi mediante
innesti neuro-informatici.
”The Matrix” è figlio della letteratura cyberpunk, dove il cyborg riappare in una versione
aggiornata ai nuovi paradigmi informatici: rappresenta l'integrazione uomo-computer
realizzata tramite innesti e protesi artificiali. Creature come Molly, una guardia del corpo
dotata di riflessi potenziati e fibre muscolari artificiali, che al posto degli occhi ha delle lenti
a specchio saldate alle orbite oculari, o come Case, il protagonista di “Neuromancer”,
cowboy del ciberspazio.
“Neuromancer” presenta una distopia, che si sta realizzando, in cui l'uso irresponsabile
della tecnologia avvia un mutamento irreversibile che provoca uno sbilanciamento della
componente artificiale rispetto a quella naturale, che finisce per soccombere di fronte
all'invasività del suo simulacro: la matrice.
[...] con tutte le anfetamine che aveva preso, le vie traverse e le scorciatoie che aveva
tentato nella Città della Notte, e ancora adesso vedeva la matrice durante il sonno... […]
Gibson compara il ciberspazio ad una potente droga, altamente assuefante: Case suda
freddo è ha degli incubi quando non riesce a collegarsi; diventa auto-distruttivo fino al
punto di desiderare la propria morte. Il Cyberspazio è diventato parte dell'identità di Case
e quando si ritrova senza di esso è vuoto e depresso. Si sente intrappolato all'interno del
proprio corpo ma allo stesso tempo si sente potenziato. È questo potere che gli manca
maggiormente quando è scollegato
(nota: anche questa visione è oggi realtà: si chiama Internet Addiction Disorder).
La Matrice è un mondo dove la "sacralità della vita" e "il miracolo della nascita" non
esistono più, dove la vita può essere interfacciata e migliorata con le macchine, fino ad
essere sostituita del tutto.
"Io sono la matrice, Case. Case scoppiò a ridere. - E questo dove ti porta? - Da nessuna
parte. Dappertutto. Sono la somma totale dei lavori, tutto lo spettacolo".
L'idea dietro all'intelligenza artificiale (così come alla clonazione e all’ingegneria genetica),
d’altronde, è la stessa che dà vita alla creatura del Dr. Frankenstein: l'aspirazione
all'immortalità.
"Io evoco i morti [...] Sono io i morti, e la loro terra", dice Neuromante rivelandosi a Case.
William Gibson ha detto chiaramente che “Neuromancer”, anche se ambientato nel futuro,
è sul presente. Il mondo che abitano Case e Molly è il nostro. Rappresenta sia ciò che
siamo diventati sia che ciò che siamo sul punto di diventare.
Immagine: tetsuo
La versione più estrema del porno-cyborg portata sullo schermo è senza dubbio quella di
“Tetsuo, l'Uomo d'Acciao” (Shinya Tsukamoto, Giappone, 1989), che rappresenta in modo
delirante la mutazione transumana di un uomo (interpretato dallo stesso regista)
contaminato dal metallo: all'improvviso, il metallo letteralmente deflagra, si fa urlante,
squarcia la pelle come un cancro, invadendo il protagonista come carne impazzita.
Tetsuo è travolto dalla volontà di potenza delle sue stesse membra, mentre un metallo
oscenamente sexy e lascivo prende possesso del mondo e dell'uomo mediante una vera e
propria infezione: il metallo inizia a filtrare attraverso i pori, i tubi di plastica corrugata
lacerano la carne per fuoriuscirne e rientrarne, il sangue diventa nero e denso come olio
per motori.
Nella mente di Tsukamoto, l’invasione totale dell’artificiale nel corpo umano è visualizzata
come una malattia che viene dall’interno, quasi come se si trattasse di una drammatica e
inevitabile nuova tappa dell’evoluzione: uomo e macchina fusi in una sola entità, pronti per
conquistare il mondo e renderlo simile a loro, in una visione futurista da incubo.
Immagine: cyborg
Nasce da una visione tecno-positivista esasperata, che ritroviamo amplificata nel mondo di
oggi con l'invenzione di protesi e arti artificiali manovrabili attraverso impulsi nervosi
volontari.
I porno-cyborg sono già tra noi: arti meccanici, organi artificiali, pelle artificiale, chip
sottopelle, computer indossabili, interfacce neuro-informatiche, computers biologici,
nanorobot… tutte queste tecnologie sono già a disposizione dei laboratori porno-imperiali.
È qui, nei laboratori del porno-impero, che si annullano le distinzioni tra natura-cultura,
naturale-artificiale, maschile-femminile, soggetto-oggetto, uomo-macchina, "nell'attimo del
collasso epocale di organismi, informazione e forme di vita mercificate" (Donna Haraway).
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