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APPUNTI LETTERATURA ITALIANA

Marianna Guerrieri

28/02/2022

Canzoniere edizione di Vecchigalli tue parole sien le nostre scorte- Cofano

Canzoniere: lunedì e mercoledì


Purgatorio: venerdì

Metrica: lezioni in blended e dopo, se ce n’è bisogno il manuale Morabito


(dimensioni della letteratura italiana)

Numeri canzoniere: 366-70-72-80-142-264-22-30-211-361-362-363-564-365-79-1-


2-3-5.

Il ‘300

Petrarca nasce all’inizio del secolo, nel 1304, e muore nel 1374.
Contemporaneo di Boccaccio (1313-1375).

Come tutti i secoli di passaggio, il ‘300 è un secolo complesso: è proiettato


verso il passato, in continuità con il medioevo, ma si può anche guardare
dalla prospettiva opposto, pensando al ‘300 come il secolo che anticipa
l’umanesimo (fine ‘300-inizio 400). Si parla del ‘300 anche attraverso delle
categorie storiografiche, che evidenziano la continuità o la rottura col passato
(non a caso il ‘300 è anche conosciuto col nome di “autunno del Medioevo” o
di “tardo gotico”). Questa peculiare posizione intermedia tra Medioevo e
Umanesimo si riscontra negli autori, in particolar modo in Petrarca per la
riscoperta dei classici, e ancor prima di lui i Preumanisti Padovani avevano
cominciato a mostrare interesse per gli autori della classicità.

L’Umanesimo si basa sulla Riscoperta dei classici: Petrarca certamente


conosceva gli autori classici e tuttavia li riscopre. Il presupposto per capire la
necessità di una tale riscoperta sta nell’atteggiamento del Medioevo nei
confronti dell’età classica, considerata come un’epoca pagana e anticristiana,
che ha portato a snaturare i testi classici. Superata quest’ottica medievale, gli
autori preumanisti si rendono conto della necessità di recuperare un tale
patrimonio, troppo ricco per essere ignorato, ma allo stesso tempo
reinterpretarlo, ossia subordinarlo al pensiero cristiano, andando a compiere
un’operazione antistorica.

Il ‘300 fu un’epoca difficile anche dal punto di vista sociopolitico: è il periodo


delle grandi epidemie, più famosa tra tutte l’epidemia di peste del 1348, della
quale ci parlano sia Boccaccio che Petrarca. Ad aggiungersi alle frequenti e
terribili epidemie c’erano indubbiamente le guerre, come la famosa Guerra
dei Cent’Anni combattuta tra Francia e Inghilterra, o i sanguinosi processi
che avrebbero portato alla formazione di Stati Nazionali e, per quanto
riguarda l’Italia, Stati Regionali. Le guerre causano non solo morte, ma anche
recessione economica, essendo già costose di per sé, ma con l’aggiunta delle
“tariffe” dei soldati mercenari.
Oltre a guerre ed epidemie, il ‘300 ha anche dovuto far fronte a una crisi
climatica di carattere opposto rispetto a quella odierna: si parlò di “piccola
glaciazione”, per cui le estati quasi scomparvero a favore di inverni sempre
più rigidi, con ovvie conseguenze sui raccolti. Questa situazione perdura in
Europa per secoli, fino al “cambiamento di rotta” geologico che stiamo
vivendo anche oggi.

La paura della morte


In una situazione tanto instabile come quella di allora, nell’immaginario
collettivo si instaura imponente la paura della morte, intesa come orrore per il
disfacimento fisico, molto più che nel Medioevo: difatti ai tempi la morte era
quasi venerata, come quando Francesco d’Assisi, nel suo Cantico delle
Creature, invocava la morte chiamandola sorella, e lo stesso Dante aveva una
visione positiva della morte, intendendola come la liberazione dello spirito
dal corpo peccatore per ricongiungersi a Dio.

La fine degli Universalismi


Nel ‘300 si assiste alla crisi e al crollo degli Universalismi, come ad esempio
Papato ed Impero: segni di crisi si erano già manifestati all’epoca di Dante,
che nella sua Commedia critica la corruzione papale e mostra delusione alla
morte di Enrico VII, nel quale egli aveva riposto le speranze di vedere l’Italia
unita sotto l’imperatore. Nonostante le grandi istituzioni di Papato e Impero
fossero già in crisi ai tempi di Dante, erano tuttavia ancora presenti: seppur
non viste in maniera sempre positiva, infatti, sono comunque elementi
ricorrenti nella Commedia o ne “La Monarchia”.
Gli Universalismi quindi, per la loro caratteristica di inglobare i singoli e di
guidarli, infondevano un senso di sicurezza; si può quindi facilmente
immaginare come la loro caduta abbia causato l’ennesimo senso di
smarrimento nella popolazione, influenzando di conseguenza la produzione
letteraria del tempo. Vediamo infatti che, in opposizione al carattere unitario
e universalistico della Commedia, il Canzoniere si mostra disordinato e
frammentato.
Il ‘300 è anche l’epoca della Cattività Avignonese, che vede un Papa assente
non solo fisicamente, lasciando Roma, ma anche da un punto di vista
funzionale, essendo di fatto subordinato alla monarchia francese. Tornato il
Papa nel 1377, si ha lo scisma con Papa e Antipapa, causando ulteriori
smarrimenti nella popolazione; il cardinale Albornoz tra il 1340 e il 1370
trasforma la Chiesa in una signoria a tutti gli effetti, annettendo Lazio,
Umbria e Marche e fondando lo Stato Pontificio.
L’Impero vive una situazione analoga: già con Enrico VII si comprende che il
progetto di unificazione era ormai irrealizzabile; con Ludovico il Bavaro e in
seguito Carlo IV si ha la certezza che il progetto di restaurazione dell’Impero
non può realizzarsi. Addirittura Carlo IV elegge i 7 principi che hanno la
facoltà di scegliere l’Imperatore, riducendo l’Impero ad una realtà germanica.
Nel momento in cui questi grandi poteri si sgretolano, in Italia si affermano le
Signorie, come la Milano-Viscontea al Nord, la Repubblica di Venezia, la
Mantova dei Gonzaga, la Ferrara degli Estensi, la Firenze dei Medici (anche
se più tardi), il già citato Stato Pontificio, il regno di Napoli Angioino e gli
Aragonesi in Sicilia e Sardegna.
Sottraendo dalla mappa i Gonzaga e gli Estensi, abbiamo un’Italia suddivisa
in 5 grandi Stati: Milano, Repubblica di Venezia, Firenze, la Chiesa e Napoli.
Da questo momento in poi queste 5 potenze fanno molta attenzione a fare in
modo che l’Italia non si unifichi, essendo disposti ad allearsi tra loro per
contrastare le spinte espansionistiche. Per quanto l’abbia ritardato, questa
opposizione non ha impedito all’Italia di assumere una funzione guida per
l’Europa dal punto di vista culturale, a partire dalle 3 corone (Dante, Petrarca
e Boccaccio) e successivamente col Rinascimento Italiano.

2/03/2022

Quando parliamo di crisi Universalistica non possiamo trascurare la crisi


scolastica, ossia di tomismo, della filosofia di San Tommaso d’Aquino, ossia
Aristotelismo Cristiano.
Tommaso aderiva alla tendenza di cristianizzare il passato riscoperto.
Aristotele era vissuto secoli prima del cristianesimo, eppure si vuole
interpretare la sua filosofia in chiave cristiana, in un processo essenzialmente
antistorico.
La necessità religiosa di inglobare all’interno della propria cultura pensieri
esterni. L’aristotelismo cristiano si basava sul rapporto stretto tra fede e
ragione: partiva cioè dal presupposto che fede e ragione fossero necessarie
entrambe per la conoscenza razionale sia del mondo …. Che del mondo ….
Fede e ragione sono cooperanti (ossia Filosofia e Religione), anche se la
Filosofia è comunque posta ad un livello inferiore rispetto alla religione.
La ragione collabora alla fede in 3 modi:
1. la ragione prepara ala fede dimostrandone i preamboli, in particolar
modo le famose “5 vie per dimostrare l’esistenza di Dio”, che
dimostrano che per arrivare a Dio basta partire da quel rapporto causa-
effetto che razionalmente riconduce all’origine di tutto. Tommaso parla
di Dio come entità deducibile razionalmente, non intuibile.
2. La ragione collabora alla fede con le similitudini per chiarire le verità di
fede, come fa Dante: per spiegare la dottrina teologica e cose
incomprensibili alla ragione umana, fa ricorso a delle similitudini
3. La difesa delle fede attraverso delle argomentazioni di natura razionale
contro le eresie.
Altri due filosofi nati verso la fine del ‘200, Giovanni… e Guglielmo…
Si parla di Occamismo. Il pensiero di questi filosofi si basava sul legame tra
ragione e fede.

Questa impostazione crolla, perché ci si rende conto che la ragione non può
spiegare la fede, perché quest’ultima è data dalla rivelazione: il senso della
fede sta nel dogma, e sarebbe paradossale usare la ragione per spiegarla.
Se la ragione vede ristretto il proprio campo d’azione, limitato alla realtà
sperimentabile, si libera al tempo stesso di una serie di pregiudizi,
condizionamenti e dogmatismi che il rapporto di collaborazione con la fede le
aveva addossato.
La ragione conosce la libertà di conoscenza e sperimentazione, che diventa
conquista definitiva dell’umanesimo, a proposito dell’approccio ai classici:
questo è finalmente libero da tanti pregiudizi medievali scaturiti
dall’influenza della fede, anticipando la scienza moderna. Non è un caso che
si abbia un eccesso di misticismo? Dall’altra parte, in virtù di questa
separazione, si ha anche la religiosità muti e si faccia più intima: il rapporto
con Dio si fa più personale, anticipando la riforma protestante. Nel caso di
Petrarca ci troviamo di fronte ad una religiosità vissuta in maniera più
intima, constatando la sostituzione della filosofia classica con la filosofia
morale, per la quale il vero mistero non è il Cosmo, bensì l’uomo, sulla falsa
riga della riscoperta dei classici.

Per parlare del Canzoniere dobbiamo partire dal Secretum, non soltanto
come descrizione dell’opera, ma come chiave di lettura del Canzoniere stesso.
Il Secretum è un dialogo che avviene in 3 giorni/3 libri riguardante una crisi
interiore

Pratica cristiana della confessione- secondo libro- Petrarca esamina i sette


peccati capitali. Alla pratica della confessione rimanda al dialogo tra
Francesco e Agostino- peccatore e confessore. Agostino assume questo ruolo

La datazione di Petrarca è 42-43 perché il dialogo è avvenuto nel 16esimo


anno dall’innamoramento di Laura: è una data fittizia, come dimostrato dagli
studiosi. La datazione è troppo bassa: Petrarca è troppo giovane per aver
realizzato ciò: il concetto alla base del secretum è la conversione, che per
essere sviluppato ha bisogno di una maturità che il Petrarca di quell’età non
poteva avere: tanto più che il secretum non è solo un esame di coscienza, ma

Allora perché dare quella data, palesemente errata? (quello vero sarebbe 47-
53) per conferire al ì quella mutatio vitae di cui ci parla nel secretum un che di
eroico: in fondo si fonda sulla capacità del peccatore di esercitare su di sé una
enorme forza di volontà per uscire dalla sua condizione. Questa impresa
risulta più eroica se compiuta da giovane rispetto che da un vecchio, aiutato
dalla saggezza conferita dagli anni. All’interno del secretum vediamo la
stessa doppia istanza del canzoniere, che vede un soggetto che tende alla
riappropriazione di sé, all’atto di volontà capace di recuperare la ragione.

Libri
1
Agostino mette il dito nella piaga: evidenzia come la causa dell’incapacità di
Francesco di mettere in atto il suo cambiamento è la malattia o difetto della
volontà: Francesco non riesce ad attuare la mutatio vitae per difetto della
volontà. Come si rafforza la volontà? Attraverso una costante meditazione
sulla morte (tema storico che si eredita dalla cultura classica, fortemente
cristiano). L’espressione memento mori significa ricordati che devi morire;
l’espressione non trae origine dalla cultura cristiana, ma classica: quando un
generale tornava vincitore dalla battaglia entrava in modo trionfale in città;
rischiava di essere sopraffatto dalla superbia, quindi qualcuno gli ricordava
di essere un mortale. La consapevolezza da parte dell’uomo di essere mortale
porta a ridimensionare il proprio ego. Tempus fugit è un’altra espressione
famosa stavolta tratta dalle Georgie di Virgilio, riconducibile allo stesso tema.
Il tempo scorre rispetto alla fine che si avvicina inesorabile.
La cultura classica ci permette di capire che, dal momento che il tempo fugge,
siamo chiamati ad impiegarlo bene, e a farlo immediatamente, evitando tutto
ciò che è inutile e deleterio (stesso modo carpe diem).

Secondo libro
Petrarca (o meglio Agostino) si sofferma sull’accidia, detta anche aegritudo:
l’accidia è il male di vivere, un torpore esistenziale, tedio, un sentimento
paralizzante che impedisce di fare qualsiasi cosa e produce nel peccatore un
senso di compiacimento.
La differenza tra il male di vivere petrarchesco e quello odierno: di certo
quello peggiore è il secondo, perché l’accidia petrarchesca contiene in sé dei
valori positivi sullo sfondo, a differenza di quello odierno che ha come
sfondo il nulla.

Terzo libro
Agostino parla delle “due catene” dalle quali Francesco deve liberarsi: la
passione amorosa e il desiderio di gloria letteraria: il dialogo tra i due si fa
più teso perché il discorso non è più su un piano generale, ma si fa
incredibilmente specifico e personale, criticando apertamente Francesco
nell’amore per Laura e per il desiderio di gloria per le opere Africa e De viris
illustribus; il poeta riconosce in parte la vanità della passione amorosa,
condannando la sensualità, ma si ostina a difendere il suo amore per Laura,
affermando di essersi avvicinato a Dio grazie all’amore che prova per lei.
Agostino contesta pure questo, dicendo che una concezione del genere faccia
passare per virtù ciò che è vizio, ossia travestendo il vizio da virtù: sotto
questo punto di vista l’amore spirituale è ancor peggiore dell’amore carnale,
che invece è diretto e facilmente individuabile; infatti l’amore spirituale
spinge ad amare il creatore con il solo merito di aver creato la persona amata,
ma non tiene conto delle Sue più grandi creazioni, delle quali l’aspetto fisico
non è certamente all’altezza. L’orientamento deve essere invertito: è l’amore
per il creatore che deve portare all’amore per ogni sua creatura, e non il
contrario.
La passione amorosa (o morbo) diventa una forma di schiavitù per l’amante,
totalmente in balia del comportamento della persona amata, che fa del poeta
ciò che vuole. L’autocontrollo è il perno della teoria stoica: come tale, un
sentimento che fa perdere il controllo sulle proprie emozioni non può che
essere condannato, come ad esempio l’ira, la gola, l’invidia e la lussuria.

L’altra catena che trattiene Francesco è il desiderio di gloria letteraria:


antidoto efficace è la meditazione sulla morte, per mettere al centro della
propria vita la virtù. Sant’Agostino è di fondamentale in portanza per
l’orientamento ideologico di Petrarca: un’opera come Le Confessioni
rappresenta una sorta di programma per il poeta. La filosofia di Agostino
consiste non solo nell’osservare, ma nell’essere osservato.

7/03/2022

Una prima bozza del Canzoniere porta la data del ’36 e Petrarca ci lavora fino
alla fine della sua vita, lasciandolo incompleto. È un’opera in itinere, un
cantiere sempre aperto, ma dobbiamo pensare ad essa come completa.
Dovendo paragonare il Canzoniere ad un tessuto, questo sarebbe multicolore,
oppure in termini moderni sarebbe definito come la descrizione di una
nevrosi esistenziale: il percorso non è lineare perché il poeta spesso si
contraddice, si confonde, è preso da slanci di speranza e a volte cade nella
disperazione, movimento oscillatorio che pervade l’intera opera.
Perché l’opera si possa chiudere, il Canzoniere necessita di una svolta
penitenziale: ad un certo punto il poeta decide di avviare l’opera ad una
conclusione imponendole questa svolta penitenziale del peccatore che si
rende conto dei propri peccati, se ne pente e si propone una nuova vita.
Il protagonista si attribuisce l’amore per Laura, della quale dice di essersi
innamorato nel 1327. Laura non è come Beatrice, che per Dante era stata una
vera e propria scala verso il cielo. Laura è anzi una sorta di anti-Beatrice,
collocandosi dalla parte opposta: è una creatura umana e terrena e rimane
tale fino alla fine; neanche la morte le concede quella trasformazione che
era toccata a Beatrice, diventata vera e propria allegoria religiosa. La morte
di Laura non permette neanche alla passione del poeta di sublimarsi: del
resto conosciamo la severa riserva di Costantino a proposito dell’amore come
mezzo di spiritualizzazione, nel Secretum.
Alla fine del Canzoniere Petrarca racconta di un amore passato dal punto di
vista di colui che di tale amore si è pentito, raccontandolo come se stesse
avvenendo nel presente. In pratica l’ultimo sonetto del Canzoniere si
ricollega all’inizio, come in un cerchio.
La preghiera alla Vergine
Nella preghiera alla Vergine, viene menzionata Beatrice quando Petrarca,
parlando di Maria, la definisce “la vera Beatrice”, lasciando intendere che
Laura fosse stata “la falsa Beatrice”.
Laura alla fine del Canzoniere viene associata a Medusa, il mostro mitologico
che aveva la capacità di pietrificare, simboleggiando il ripudio finale nei suoi
confronti. Questa è la svolta penitenziale: Il canzoniere si chiude a questo
prezzo, altrimenti sarebbe rimasta un’opera aperta.
Le descrizioni della natura sono fatte in modo da essere percepita, ma allo
stesso tempo diventa correlativo oggettivo dei sentimenti del poeta: lo spazio
in Petrarca è uno spazio interiorizzato. Anche nella lirica cortese c’erano
riferimenti alla natura: la poesia stilnovistica faceva frequenti riferimenti
naturali, prendendo spunto dal vestiario o dall’astrologia; a volte le bellezze
della donna erano rappresentate come elencazione delle bellezze naturali. Il
sentimento del poeta è posto in parallelo con i paesaggi, come per esprimere
meglio il suo stato d’animo. Si ha un indiscusso dualismo io-natura. Anche
se essa viene usata per declinare le bellezze della donna non si parla mai di
un vero e proprio correlativo oggettivo. In Petrarca invece si ha una sorta di
invasione delle emozioni del poeta nello spazio naturale, e viceversa. Lo si
vede molto bene in “chiare, fresche et dolci acque” nelle quali individuiamo una
correlazione stretta natura-Laura, arrivando ad una sorta di trasmigrazione.

In Petrarca il tempo è psicologico: il poeta ha una concezione esistenziale del


tempo, che non è il tempo esterno, ma dell’anima. Molti sono i riferimenti
cronistici all’interno del Canzoniere. Date, giorni, ore, alcuni componimenti
detti “di anniversario” … il calendario del Canzoniere ha un’intensa semantica
temporale: il termine tempo ricorre ben 151 volte; 111 dì o die, giorno 78, 72
anno; 72 ora; attimo ricorre molto meno, col doppio significato di instans o
quello drammatico di attimo che diventa una vita intera; al tempo si accosta
la fugacità: “la vita è un divenire passato ad ogni attimo”.
Questa concezione del tempo interiore è una vera e propria estensione
dell’anima e ha molto da dare ad Agostino (Petrarca riprende questa idea da
lui).

“Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell'anima. Il passato non esiste in
quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere, e il presente è solo
un istante inesistente di separazione tra passato e futuro.”

Non esistono passato, presente e futuro: esiste il presente del passato, il


presente del presente e il presente del futuro.
¨ Il presente del passato è la memoria, perché nel momento in cui
ricordiamo qualcosa la riportiamo a noi;
¨ il presente del presente è l’osservazione del presente;
¨ il presente del futuro è l’attesa, il proiettarsi in avanti e immaginarsi
ciò che desideriamo, riportandolo a noi e vivendolo nel presente.
Interessante in Petrarca l’uso della memoria: i riferimenti cronistici sono,
come sappiamo, importanti, e la memoria può fungere da argine contro la
labilità del tempo esteriore: esso continua inesorabilmente a scorrere, ma la
memoria ci permette di recuperarlo e riportarlo a noi per un certo tempo.
Questa idea del tempo, tornando al discorso petrarchesco, basato sul distacco
dalle cose materiali, si trova in disaccordo col concetto di ricordo, che
produce un attaccamento ulteriore alle cose perdute, che il peccatore
dovrebbe lasciar andare per continuare nel suo cammino di conversione.

Il Canzoniere non è un vero e proprio cammino di fede, perché non termina


come era terminata la Commedia, incontrando Dio e l’illuminazione. Su ogni
solenne impegno morale prevale sempre la dispersione dell’io, che rende
difficoltoso il percorso e irrealizzabile la conclusione, che necessita di un
peccatore che si penta con tutto il cuore dei peccati commessi.
Il Canzoniere si chiude con la più intensa contritio cordis, con un tentativo di
confessio oris e la satisfactio operis.
La prima è l’esame di coscienza che ci fa confessare i peccati; la satisfactio
operis è i…
L’ultimo componimento è una delle più profonde contritio cordis, cercando
di far corrispondere a questo cambiamento un vero e proprio cambiamento di
vita.

La canzone alla vergine è una preghiera col quale Petrarca chiude il cerchio, è
il componimento della svolta penitenziale che però aveva già avuto inizio dal
360esimo.
Le stanze sono visibili ad occhio: sono blocchi di 13 versi; ci sono versi più
corti (3 soltanto) 10 endecasillabi e 3 settenari.
Ogni stanza ha il suo schema:

A Vergine bella, che di sol vestita, O Vergine bella, che rivestita di


B coronata di stelle, al sommo Sole sole e coronata di stelle sei
C piacesti sí, che ’n te Sua luce ascose, piaciuta al sommo sole [Dio] al
B amor mi spinge a dir di te parole: punto che ha nascosto in te la
5 A ma non so ’ncominciar senza tu’ aita, sua luce, l'amore mi spinge a
C et di Colui ch’amando in te si pose. parlare di te: ma non so iniziare
C Invoco lei che ben sempre rispose, senza il tuo aiuto, e di Colui
d chi la chiamò con fede: [Cristo] che amando si pose in
d Vergine, s’a mercede te [si incarnò]. Invoco colei che
10 C miseria extrema de l’humane cose ha sempre risposto
E già mai ti volse, al mio prego t’inchina, benevolmente a chi l'ha invocata
f soccorri a la mia guerra, con fede: Vergine, se mai
E bench’i’ sia terra, et tu del ciel regina. l'estrema miseria delle cose
umane ti ha mosso a pietà,
chinati alla mia preghiera e
vieni in soccorso alle mie pene,
anche se io sono una creatura
mortale e tu la regina del cielo.

Vergine saggia, et del bel numero una O Vergine saggia, una del bel
15 de le beate vergini prudenti, numero delle beate vergini savie
anzi la prima, et con piú chiara lampa; e anzi la prima, con una
o saldo scudo de l’afflicte genti lampada più luminosa; o saldo
contra colpi di Morte et di Fortuna, scudo delle persone afflitte
sotto ’l qual si trïumpha, non pur scampa; contro i colpi della morte e della
20 o refrigerio al cieco ardor ch’avampa fortuna, sotto il quale non solo
qui fra i mortali sciocchi: si trova scampo ma si trionfa; o
Vergine, que’ belli occhi refrigerio al cieco ardore [della
che vider tristi la spietata stampa passione] che avvampa qui tra
ne’ dolci membri del tuo caro figlio, gli sciocchi mortali: o Vergine,
25 volgi al mio dubbio stato, rivolgi quei begli occhi che,
che sconsigliato a te vèn per consiglio. tristi, videro le terribili piaghe
nelle dolci membra del tuo caro
figlio [Cristo], alla mia incerta
condizione poiché, non sapendo
che fare, vengo a te per avere
consiglio.

Vergine pura, d’ogni parte intera, O Vergine pura, intatta in ogni Commentato [MOU1]: Ripetizione della sua qualità di
30 del tuo parto gentil figliola et madre, tua parte, figlia e madre del tuo vergine
ch’allumi questa vita, et l’altra adorni, nobile parto, che illumini questaCommentato [MOU2]: Aggettivo tipicamente cortese:
aggettivo “profano” declinato in senso sacro
per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre, vita e adorni quella eterna,
o fenestra del ciel lucente altera, grazie a te il figlio tuo e del
venne a salvarne in su li extremi giorni; sommo Padre [Cristo], o lucente Commentato [MOU3]: L’età di Cristo, ultima età del
mondo.
et fra tutt’i terreni altri soggiorni e altissima finestra del cielo,
sola tu fosti electa, venne a salvarci negli ultimi Commentato [MOU4]: Riprende “benedetta fra le donne”
35 Vergine benedetta, giorni; e tu sola fosti scelta tra
che ’l pianto d’Eva in allegrezza torni. tutti gli altri soggiorni terreni
Fammi, ché puoi, de la Sua gratia degno, [tra le altre donne], o Vergine
senza fine o beata, benedetta, che trasformi in gioia
già coronata nel superno regno. il pianto di Eva. Fammi degno
della grazia di Dio, visto che
puoi, tu che sei beata senza fine,
già incoronata nel regno
superbo.

40 Vergine santa d’ogni gratia piena, O Vergine santa piena di ogni


che per vera et altissima humiltate grazia, che per vera ed altissima Commentato [MOU5]: Principale virtù attribuita a Maria
salisti al ciel onde miei preghi ascolti, umiltà sei salita al cielo da dove
tu partoristi il fonte di pietate, ascolti le mie preghiere, tu hai
et di giustitia il sol, che rasserena partorito la fonte di pietà Commentato [MOU6]: chiasmo
45 il secol pien d’errori oscuri et folti; [Cristo] e il sole della giustizia, Commentato [MOU7]: enjambement che spezza un
tre dolci et cari nomi ài in te raccolti, che rasserena il mondo pieno di predicato verbale dal suo cmplemento.
madre, figliuola et sposa: errori oscuri e fitti; in te hai
Vergina glorïosa, riunito tre nomi dolci e cari,
donna del Re che nostri lacci à sciolti quello di madre, di figlia e di Commentato [MOU8]: termine che sta per “domina”, ossia
50 et fatto ’l mondo libero et felice, sposa: o Vergine gloriosa, sposa la castellana per eccellenza
ne le cui sante piaghe del Re che ha sciolto i nostri
prego ch’appaghe il cor, vera beatrice. legami e ha reso il mondo libero Commentato [MOU9]: nonostante sia un sostantivo, inteso
e felice, io ti prego di appagare come “donna che porta beatitudine”, non possiamo fare a
meno di non collegarlo alla Beatrice Dantesca, contrapposta
il mio cuore nelle sue sante a Laura, il cui amore rimanda solo a cosa terrene,
piaghe, o vera beatrice. inchiodando l’uomo alla terra e impedendogli di elevarsi a
Dio.

Vergine sola al mondo senza exempio, O Vergine unica e senza altro


che ’l ciel di tue bellezze innamorasti, esempio al mondo, che hai fatto
55 cui né prima fu simil né seconda, innamorare il cielo con la tua
santi penseri, atti pietosi et casti bellezza, rispetto alla quale
al vero Dio sacrato et vivo tempio nessun'altra donna simile fu
fecero in tua verginità feconda. superiore né prossima, i tuoi
Per te pò la mia vita esser ioconda, pensieri santi, i tuoi atti pietosi e
60 s’a’ tuoi preghi, o Maria, casti fecero nella tua feconda
Vergine dolce et pia, verginità un sacro e vivo tempio
ove ’l fallo abondò, la gratia abonda. al vero Dio. Grazie a te la mia
Con le ginocchia de la mente inchine, vita può essere felice, se alle tue
prego che sia mia scorta, preghiere, o Maria, dolce e pia
65 et la mia torta via drizzi a buon fine. Vergine, la tua grazia è generosa
dove il peccato è stato grande.
Con le ginocchia della mente
chinate, ti prego di farmi da
scorta e di indirizzare a un buon
fine la mia strada deviata.

Vergine chiara et stabile in eterno, O Vergine luminosa e ferma in


di questo tempestoso mare stella, eterno, stella di questo mare in
d’ogni fedel nocchier fidata guida, tempesta, guida fidata di ogni
pon’ mente in che terribile procella navigatore fedele, pensa in
70 i’ mi ritrovo sol, senza governo, quale orribile tempesta mi trovo
et ò già da vicin l’ultime strida. da solo, senza timoniere, e sono Commentato [MOU10]: Del naufrago
Ma pur in te l’anima mia si fida, ormai vicino a emettere le
peccatrice, i’ no ’l nego, ultime grida [alla dannazione].
Vergine; ma ti prego Ma la mia anima (peccatrice,
75 che ’l tuo nemico del mio mal non rida: non lo nego) confida solo in te,
ricorditi che fece il peccar nostro, Vergine; ma ti prego affinché il
prender Dio per scamparne, tuo nemico [il demonio] non
humana carne al tuo virginal chiostro. rida della mia dannazione:
ricordati che i nostri peccati
indussero Dio ad assumere
carne umana [a diventare
uomo] nel tuo chiostro virginale
[venendo concepito in te].

Vergine, quante lagrime ò già sparte, O Vergine, quante lacrime, Commentato [MOU11]: Non sono le lacrime del
pentimento, bensì quelle piante per amore.
80 quante lusinghe et quanti preghi indarno, quante lusinghe e quante
pur per mia pena et per mio grave danno! preghiere ho già sparso invano,
Da poi ch’i’ nacqui in su la riva d’Arno, solo per il mio dolore e con mio
cercando or questa et or quel’altra parte, grave danno! Da quanto sono
non è stata mia vita altro ch’affanno. nato sulle rive dell'Arno [da
85 Mortal bellezza, atti et parole m’ànno padre fiorentino], viaggiando
tutta ingombrata l’alma. ora in questo ora in quel luogo,
Vergine sacra et alma, la mia vita non è stata altro che
non tardar, ch’i’ son forse a l’ultimo anno. affanno. Una bellezza umana,
I dí miei piú correnti che saetta gesti e parole [di Laura] mi
90 fra miserie et peccati hanno totalmente occupato
sonsen’ andati, et sol Morte n’aspetta. l'anima. Vergine sacra e nobile,
non tardare a venire, poiché
sono forse giunto alla fine della
mia vita. I miei giorni se ne sono
andati più veloci di una freccia
tra miserie e peccati, e solo la
Morte mi aspetta.

Vergine, tale è terra, et posto à in doglia O Vergine, una donna [Laura] è


lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne diventata terra [è morta] e ha
et de mille miei mali un non sapea: causato dolore al mio cuore,
95 et per saperlo, pur quel che n’avenne dopo che che da viva lo ha
fôra avenuto, ch’ogni altra sua voglia tenuto in pianto e non sapeva
era a me morte, et a lei fama rea. neppure uno dei miei molti
Or tu donna del ciel, tu nostra dea mali: e se anche lo avesse
(se dir lice, e convensi), saputo, sarebbe successo
100 Vergine d’alti sensi, proprio quel che è avvenuto,
tu vedi il tutto; e quel che non potea poiché ogni altro suo desiderio
far altri, è nulla a la tua gran vertute, sarebbe stato per me la morte
por fine al mio dolore; dell'anima e per lei cattiva
ch’a te honore, et a me fia salute. reputazione. Ora tu, signora del
cielo, tu nostra dea (se si può ed
è opportuno dirlo), Vergine di
alti sentimenti, tu vedi ogni
cosa; e ciò che altri non
potevano fare è un nonnulla alla
tua grande virtù, poni fine al
mio dolore; ciò sarà un onore
per te e per me la salvezza.

105 Vergine, in cui ò tutta mia speranza O Vergine, in cui ripongo tutta
che possi et vogli al gran bisogno aitarme, la mia speranza che tu possa e
non mi lasciare in su l’extremo passo. voglia aiutarmi nel momento
Non guardar me, ma Chi degnò crearme; del bisogno, non mi
no ’l mio valor, ma l’alta Sua sembianza, abbandonare in punto di morte.
110 ch’è in me, ti mova a curar d’uom sí basso. Non guardare me, ma Colui
Medusa et l’error mio m’àn fatto un sasso [Dio] che si degnò di crearmi; Commentato [MOU12]: Primo giovenile errore, tratto dal
d’umor vano stillante: non guardare il mio valore, ma primo sonetto
Vergine, tu di sante la Sua alta sembianza che è in Commentato [MOU13]: Richiama “quante lagrime ho già
sparte..”
lagrime et pïe adempi ’l meo cor lasso, me ti spinga a soccorrere un
115 ch’almen l’ultimo pianto sia devoto, uomo tanto misero. Medusa
senza terrestro limo, [Laura] e il mio peccato mi
come fu ’l primo non d’insania vòto. hanno tramutato in un sasso da
cui sgorga un inutile umore [le
lacrime]: Vergine, tu riempi il
mio cuore spossato di lacrime
sante e pie, così che almeno
l'ultimo pianto sia devoto, privo
di fango terreno, come invece il
primo fu pieno di follia [per
l'amore di Laura].

Vergine humana, et nemica d’orgoglio, O Vergine umana, nemica


del comune principio amor t’induca: dell'orgoglio, l'amore della
120 miserere d’un cor contrito humile. nostra comune origine ti spinga:
Che se poca mortal terra caduca abbi pietà di un cuore umile e
amar con sí mirabil fede soglio, pentito. Infatti, se continuo ad
che devrò far di te, cosa gentile? amare con fedeltà mirabile un
Se dal mio stato assai misero et vile pugno di terra mortale e
125 per le tue man’ resurgo, destinata a perire [Laura], cosa
Vergine, i’ sacro et purgo dovrò fare verso di te, nobile
al tuo nome et penseri e ’ngegno et stile, creatura? Se io risorgo dal mio
la lingua e ’l cor, le lagrime e i sospiri. stato misero e vile grazie alle Commentato [MOU14]: Satisfactio oris
Scorgimi al miglior guado, tue mani, o Vergine, in nome
130 et prendi in grado i cangiati desiri. tuo io consacro e depuro il mio
pensiero, il mio ingegno e la mia
penna, la lingua, il cuore, le
lacrime e i sospiri. Conducimi al
guado più sicuro e accetta
benevolmente i miei mutati
desideri.
Il dí s’appressa, et non pòte esser lunge, Il giorno [della mia morte] si
sí corre il tempo et vola, avvicina e non può essere
Vergine unica et sola, lontano, a tal punto il tempo
e ’l cor or coscïentia or morte punge. corre e vola, Vergine sola e
135 Raccomandami al tuo figliuol, verace unica, e il mio cuore è punto ora
homo et verace Dio, dalla coscienza, ora dalla morte.
ch’accolga ’l mïo spirto ultimo in pace. Raccomandami al tuo figliolo
[Cristo], vero uomo e vero Dio,
affinché accolga in pace il mio
ultimo respiro.

Gli ultimi 2 versi di tutte le stanze sono interessati dalla rima al mezzo, ossia
quella che si crea tra la fine del primo verso e la metà del verso successivo
(fine del primo emistichio). Nel momento in cui Petrarca scrive la canzone
alla vergine, ha una serie di modelli a cui ispirarsi, tra cui la letteratura
Mariana, la Bibbia, Dante. Nostro modello più vicino per una preghiera alla
Vergine è senz’altro l’Ave Maria: Lei è piena di grazie, benedetta tra le donne,
perché è stata scelta tra tutte le altre, benedetto il frutto del tuo seno Gesù, nel
suo grembo fecondo si è realizzato l’incarnazione. Santa Maria, madre di Dio,
prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte, questa è invece la
seconda parte, la richiesta.

Quel “bella” è un riferimento al cantico dei cantici, nel quale ricorre spesso
l’aggettivo “quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella”
“vestita di sole coronata di stelle” è preso dalla “donna e il drago”

Sua luce ascose (luce del Sole)


Petrarca esprime un concetto teologico ben preciso “generato, non creato
della stessa sostanza del Padre”, quando fa riferimento alla Sua luce; il Cristo
non è altro da Dio allo stesso modo in cui la luce del sole non è diversa dal
sole, ma è il sole stesso.

E del bel numero… ha a che vedere con “benedetta tra le donne”, evidenziando la
differenza di Maria rispetto alle altre donne riguardo alla scelta di Dio. Il “bel
numero” può anche aver a che fare con la parabola delle 5 vergini sagge e
delle 5 stolte

Ipallage: figura retorica che attribuisce ad altri ciò che logicamente dovrebbe
avere altra attribuzione.

Nota: non leggere et come tale.


Interpretazione complessiva

• Metro: canzone formata da dieci stanze di tredici versi ciascuna


(endecasillabi e settenari), con schema della rima ABCBACCddCEfE e
un congedo il cui schema riprende quello della sirma (CddCEfE). Ogni
stanza si apre sempre con il vocativo "Vergine" , in molti casi seguito da
un aggettivo ("bella", "saggia", "pura", "santa", "sola", "chiara",
"humana"), così come avviene nel terzo verso della sirma di ogni strofa.
Il penultimo verso di ogni stanza presenta rima al mezzo col verso
successivo, come avviene nel congedo. La lingua presenta i consueti
numerosi latinismi, tra cui "extrema" (v. 10), "humane" (v. 10 e altrove),
"et" (v. 13 e altrove), "afflicte" (v. 17), "trïumpha" (v. 19), "electa" (v. 34),
"gratia" (v. 37), "humiltate" (v. 41), "exempio" (v. 53), ecc.
• Tutto il testo è un'invocazione religiosa alla Vergine cui l'autore si
rivolge sapendo di aver peccato e sentendo ormai prossima la morte,
per cui Maria viene invocata in nome della sua purezza e secondo il
motivo, assai diffuso nell'innologia mariana del Medioevo, di Colei che
soccorre i peccatori in virtù della grazia di cui è ripiena, mentre la
Vergine è designata spesso come la donna che ha avuto l'altissimo
privilegio di consentire l'incarnazione di Cristo, madre e figlia al tempo
stesso del suo Creatore (v. 28, "del tuo parto gentil figliola et madre",
che riprende Par., XXXII, 1: "Vergine Madre, figlia del tuo figlio"; v. 47,
"madre, figliuola et sposa"; vv. 57-58, dove si dice che la "verginità
feconda" di Maria è diventata un "sacrato et vivo tempio" per
l'incarnazione di Cristo; v. 119, dove l'autore definisce la Vergine
"humana" e si appella alla comune origine di entrambi). Maria è
definita anche esempio fulgido di umiltà e astro in grado di guidare gli
uomini in terra proprio come un astro guida i marinai durante la
tempesta, secondo il motivo assai diffuso della Vergine come Stella
maris e riprendendo in parte l'immagine usata da Petrarca nel sonetto
272, in cui in realtà le stelle ormai spente che non possono più salvare il
poeta dalla burrasca sono gli occhi di Laura (► TESTO: La vita fugge,
et non s'arresta una hora).
• Il rimpianto espresso dall'autore è dovuto in larga parte all'amore
peccaminoso per Laura, che viene evocata a partire dal v. 81 in termini
ambigui di condanna morale e rievocazione nostalgica: Petrarca
rammenta come abbia sparso vanamente lacrime e preghiere per una
"Mortal bellezza" che lo ha distolto dal bene e dalla virtù, condannandolo
a una vita raminga e priva di pace, mentre Laura viene poi ricordata
come "terra" (creatura mortale che è ormai morta e sepolta) e, più
avanti, come "poca mortal terra caduca" (v. 121), di fatto
contrapponendola a Maria in quanto è stata per lui fonte di tentazione e
deviazione morale. La donna viene tuttavia elogiata anche in quanto ha
opposto un rifiuto alla corte del poeta, cosa che gli ha causato enorme
dolore ma anche preservato la salvezza dell'anima di lui non gettando
discredito sulla reputazione di lei, per cui si arriva al paradosso che
Petrarca rimpiange ciò che non è avvenuto (il corrispondere dei
sentimenti di Laura), tuttavia è lieto perché questo non ha causato
danno alla sua anima pur avendogli provocato pena e dolore per lo
struggimento di questo amore impossibile. L'autore confessa in ogni
caso di serbare "mirabil fede" (v. 122) alla memoria di Laura, per cui
appare chiaro che il contrasto interiore non è interamente risolto e che
Petrarca, pur essendo consapevole dell'errore morale del suo amore per
la donna, non riesce a liberarsene del tutto neppure anni dopo la morte
di lei e nell'imminenza del proprio trapasso che lo induce a rivolgersi
alla Vergine.
• I vv. 111-112 descrivono Laura come una novella "Medusa" che ha
trasformato Petrarca in un "sasso" (cioè lo ha reso insensibile e torpido)
che tuttavia fa uscire "umor vano stillante" (le lacrime), con un'immagine
bizzarra (l'acqua che esce dalla roccia) che sarà in parte ripresa da
Ariosto nell'episodio del Furioso in cui verrà descritta la follia di
Orlando, paragonato anch'egli a un sasso (in quanto istupidito,
scioccato dall'aver appreso del tradimento di Angelica) e in seguito
protagonista di un monologo in cui si stupisce che dai suoi occhi escano
ancora lacrime, definite in realtà "umore vitale" che fuoriesce dal cuore
a causa del fuoco d'amore.
• Tra i moltissimi riferimenti scritturali e innografici presenti nella
canzone, val la pena ricordare quello dei vv. 14-16 in cui Maria è
definita la prima e più saggia delle cosiddette "vergini savie", le
protagoniste della parabola evangelica in cui dieci fanciulle attendono
l'arrivo dello sposo ciascuna con una lampada, ma mentre cinque di
loro hanno una riserva d'olio e possono quindi far luce anche quando lo
sposo tarda ad arrivare, le altre (le "folli") non l'hanno portata e lasciano
smorzare il lume, non venendo quindi ammesse al banchetto di nozze.
Nell'interpretazione allegorica lo sposo è Cristo e il banchetto è la
beatitudine eterna, per cui l'accostamento con Maria acquista ancora
maggior rilievo specie quando, pochi versi dopo, Petrarca ricorda il
martirio di Gesù e lo strazio della Vergine nel vedere la "spietata stampa"
(le piaghe) sul corpo del figlio.

09/03/2022

La canzone 360
La conclusione è uguale a quella del Secretum: quando la ragione dovrebbe
esprimere un giudizio, afferma che è difficile dare un’ultima parola.
Nonostante la canzone 360 non si chiuda come la 366 (che neanche chiude
propriamente la questione) alla fine si affida a Dio.

Nel sonetto 361,


14/03/2022

361

La definizione di un metro sarà sempre quello di un verso il cui ultimo


accento cade sulla penultima sillaba, nel caso in cui la parola sia piana;
le parole tuttavia possono essere anche sdrucciole o monche. In sostanza, dire
che l’endecasillabo è formato da undici sillabe è riduttivo al caso esclusivo in
cui la parola sia piana, mentre se fosse monca o sdrucciola si avrebbero
rispettivamente 10 e 12 sillabe.
La maggior parte delle parole italiane, più del 90%, sono piane, perciò gli
endecasillabi piani siano la stragrande maggioranza.

Dicemi spesso il mio fidato speglio,


l'animo stanco, et la cangiata scorza,
et la scemata mia destrezza et forza:
- Non ti nasconder piú: tu se' pur vèglio.

Obedir a Natura in tutto è il meglio,


ch'a contender con lei il tempo ne sforza. -
Súbito allor, com'acqua 'l foco amorza,
d'un lungo et grave sonno mi risveglio:

et veggio ben che 'l nostro viver vola


et ch'esser non si pò piú d'una volta;
e 'n mezzo 'l cor mi sona una parola Commentato [MOU15]: apocope

di lei ch'è or dal suo bel nodo sciolta,


ma ne' suoi giorni al mondo fu sí sola,
ch'a tutte, s'i' non erro, fama à tolta.

Nel caso del 361 ci troviamo di fronte a tutte parole piane, quindi il problema
non si pone. In presenza di sdruccioli e monchi si ha l’eccezione.
Solitamente gli iati valgono sempre 1

Questa è l’ultima fase del canzoniere, nel bel mezzo della svolta penitenziale
che ricondurrà il lettore al Petrarca incipitario. Pur consapevoli della nostra
posizione, non possiamo fare a meno di notare che l’ultima parte del sonetto
si chiuda con una sorta di vagheggiamento sull’amore terreno, inducendo ad
interpretare la parola in maniera diversa da ciò che è.

Volo con l'ali de' pensieri al cielo


sí spesse volte che quasi un di loro
esser mi par ch'àn ivi il suo thesoro,
lasciando in terra lo squarciato velo. Commentato [MOU16]: il corpo squarciato dall’uscita
dell’anima.
Talor mi trema 'l cor d'un dolce gelo Commentato [MOU17]: L’amore terreno per Laura,
applicato ad una situazione ultraterrena
udendo lei per ch'io mi discoloro
dirmi: - Amico, or t'am'io et or t'onoro
perch'à' i costumi varïati, e 'l pelo. - Commentato [MOU18]: L’età avanzata è simbolo di
saggezza: con la maturità si comprendono molte cose.

Menami al suo Signor: allor m'inchino, Commentato [MOU19]: Mi conduce


pregando humilemente che consenta
ch'i' stia a veder et l'uno et l'altro volto. Commentato [MOU20]: Di Dio e di Laura.

Responde: - Egli è ben fermo il tuo destino;


et per tardar anchor vent'anni o trenta,
parrà a te troppo, et non fia però molto. -

nel sonetto 362 è evidente l’influenza di Dante; esso parla di un immaginario


volo che Petrarca compie col pensiero in paradiso, tra i beati, dove trova
Laura stessa. La situazione che il poeta ricrea rimanda all’ultimo sonetto della
Vita Nuova- Oltre la spera che più larga gira: Laura onora in lui la mutatio vitae
di Petrarca, gliela riconosce.

Volo così spesso in cielo con le ali del pensiero che quasi mi pare di essere
uno di loro
Lasciando a terra il corpo squarciato

Amico, ti amo e ti onoro per il tuo cambiamento sia interiore che esteriore.

Dante immagina alla fine della Vita nuova col pensiero di raggiungere il
Paradiso e di incontrare la donna amata:

Oltre la spera che più larga gira


passa ’l sospiro ch’esce del mio core:
intelligenza nova, che l’Amore
piangendo mette in lui, pur su lo tira.

Quand’elli è giunto là dove disira,


vede una donna, che riceve onore,
e luce sì, che per lo suo splendore
lo peregrino spirito la mira.

Vedela tal, che quando ’l mi ridice,


io no lo intendo, sì parla sottile
al cor dolente, che lo fa parlare.

So io che parla di quella gentile,


però che spesso ricorda Beatrice,
sì ch'io lo ’ntendo ben, donne mie care.

Petrarca porta nell’ambito di un’idea di amore, che in seguito rinnegherà, di


una Laura beata, assisa al cielo nel regno di Dio e che accoglie il poeta
amandolo e onorandolo: è una situazione talmente analoga a quella dantesca,
che le parole pronunciate da Laura nel sonetto assomigliano a quelle
assegnate a Beatrice, quando affida Dante a Virgilio (L’amico mio, e non de la
ventura), ossia la parola “amico”. Qui Laura sembra quasi porsi come vera
beatrice, anche se sappiamo bene a cosa sarà ridotta la sua figura alla fine
della sua conversione.

Nel sonetto 363 ci troviamo di fronte ai mutamenti causati dalla morte di


Laura.

Morte à spento quel sol ch'abagliar suolmi,


e 'n tenebre son gli occhi interi et saldi; Commentato [MOU21]: Aggettivi che connotano
moralmente la donna.
terra è quella ond'io ebbi et freddi et caldi;
spenti son i miei lauri, or querce et olmi: Commentato [MOU22]: Simboleggiano la passione: freddi e
caldi, in Agostino, rappresentavano gli umori altalenanti
della donna, che condizionavano in maniera inammissibile
di ch'io veggio 'l mio ben; et parte duolmi. l’animo del poeta.
Non è chi faccia et paventosi et baldi Commentato [MOU23]: Simboleggia la poesia e ha un
rapporto simbolico stretto con Laura, assumendo il
i miei penser', né chi li agghiacci et scaldi, significato evoluto di poesia d’amore.
né chi li empia di speme, et di duol colmi. Commentato [MOU24]: Timorosi e audaci
Commentato [MOU25]: Riempia: si noti la ricorrenza di
Fuor di man di colui che punge et molce, opposti.
che già fece di me sí lungo stratio, Commentato [MOU26]: Perifrasi per indicare Amore, che
mi trovo in libertate, amara et dolce; punge e addolcisce.

et al Signor ch'i' adoro et ch'i' ringratio,


che pur col ciglio il ciel governa et folce, Commentato [MOU27]: solo
torno stanco di viver, nonché satio. Commentato [MOU28]: una stanchezza che viene dall’aver
smarrito la strada; sazietà da una vita orientata in via
opposta rispetto al Creatore, destinata alla fine
Sin dalla prima quartina siamo posti di fronte alla morte dell’amata, che però
si configura anche come mezzo di liberazione dalle perturbazioni dell’animo
causate dalla sua presenza. Le contraddizioni persistono: nonostante al poeta
sembri che la morte di Laura possa liberarlo dalle sue sofferenze, cosa non
vera, perché Petrarca continuerà a richiamarla a sé per mezzo del ricordo, usa
parole e aggettivi in contrapposizione tra loro (amara; dolce) riferiti alla libertà
finalmente conquistata: da un lato finalmente ha la possibilità di redimersi,
una volta venuti meno i lacci che lo legavano alla terra e al peccato, ma
dall’altro prova troppa nostalgia e amarezza nel vivere nel mondo in cui la
sua Laura non c’è più. Alla fine l’unica cosa sensata da fare è rimettersi nelle
mani di Dio, che può perdonare e garantire una pace che gli uomini da soli
non possono ottenere.
267
Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo,
oimè il leggiadro portamento altero;
oimè il parlar ch'ogni aspro ingegno et fero Commentato [MOU29]: il parlare di Laura rendeva umile
ogni animo che fosse aspro e crudele, caratteristica
facevi humile, ed ogni huom vil gagliardo! riscontrabile all’interno di molti testi stilnovisti (Cavalcanti,
Dante…), circostanza che ricorda la capacità della donna di
et oimè il dolce riso, onde uscío 'l dardo influenzare gli uomini con le sue buone virtù, declinazione
mariologica di tanta tradizione cortese.
di che morte, altro bene omai non spero:
Commentato [MOU30]: Dal quale è uscito il dardo mortale,
alma real, dignissima d'impero, dal quale non attendevo altro bene.
se non fossi fra noi scesa sí tardo! Commentato [MOU31]: onore
Commentato [MOU32]: Laura non ha potuto esercitare le
Per voi conven ch'io arda, e 'n voi respire, sue tante virtù, essendo nata in un’epoca tanto corrotta
ch'i' pur fui vostro; et se di voi son privo, (critica alla contemporaneità)
via men d'ogni sventura altra mi dole. Commentato [MOU33]: Solo per voi è necessario che io
arda

Di speranza m'empieste et di desire, Commentato [MOU34]: Non posso che dolermi meno di
qualsiasi altra sventura.
quand'io partí' dal sommo piacer vivo;
Commentato [MOU35]: L’autore afferma di aver visto
ma 'l vento ne portava le parole. Laura poco prima della sua morte: ipallage molto
frequente in Petrarca, dato che ad esser viva era Laura,
non il piacere.
In questo sonetto Petrarca annuncia la morte dell’amata, proponendo il
planctus, genere ampiamente documentato della lirica volgare due-
trecentesca, ampiamente enfatizzato dall’anafora dell’esclamazione Oimè,
ripetuta 5 volte, poche vicino alle 15 volte di Pistoia (Oimè lasso quelle trezze
bionde). Laura muore nel ’48 di peste e probabilmente la notizia giunse al
poeta mentre stava a Parma, e poco dopo scrisse il sonetto.
Anche quando siamo nelle condizioni di sperare in qualcosa, ecco che
sopraggiunge la morte. Siamo nulla: il vento trascina via le parole e la
speranza che sembrava inestinguibile nei nostri cuori.

364
Tenemmi Amor anni ventuno ardendo, Commentato [MOU36]: soggetto
lieto nel foco, et nel duol pien di speme; Commentato [MOU37]: termini contrastanti: lieto/foco,
poi che madonna e 'l mio cor seco inseme duol/speme

saliro al ciel, dieci altri anni piangendo. Commentato [MOU38]: con sè

Omai son stanco, et mia vita reprendo Commentato [MOU39]: presumibilmente nel 1358
di tanto error che di vertute il seme Commentato [MOU40]: si ritrova nel sonetto 363
à quasi spento; et le mie parti extreme, Commentato [MOU41]: rimprovero
alto Dio, a te devotamente rendo:

pentito et tristo de' miei sí spesi anni, Commentato [MOU42]: tristemente


che spender si deveano in miglior uso, Commentato [MOU43]: nel traviamento
in cercar pace et in fuggir affanni. Commentato [MOU44]: avrei dovuto spendere

Signor che 'n questo carcer m'ài rinchiuso, Commentato [MOU45]: per antonomasia, il corpo.
tràmene, salvo da li eterni danni,
ch'i' conosco 'l mio fallo, et non lo scuso.

Questo sonetto ci permette di individuare date ben precise: il poeta afferma


di aver vissuto incatenato all’amore 21 anni con Laura vivente, e 10 anni da
morta. Il Canzoniere si chiude negli anni ’70, ma considerando di scrivere
un’autobiografia ideale, il cerchio è chiuso e il poeta è giunto alla
consapevolezza del su errore, alla sua redenzione e alla sua mutatio vitae.
1358 la data a partire dalla quale il peccatore redento avrebbe preso a vivere
una vita diversamente orientata.

Riferimenti con il sonetto incipitario


Il “tanto error” che troviamo in forma di giovenil errore nel sonetto incipitario,
è da intendersi sia come errore laico della ragione che come erranza
spirituale, e quindi come peccato. All’interno del sonetto la parola errore è
ripetuta, arricchendosi infine con un impietoso sinonimo, ossia fallo.
Un altro termine è pentito, del primo verso. Nel primo sonetto, nell’ultima
terzina, dice pentersi. Non si limita al semplice significante, ma porta con sé i
significati id presa di coscienza dell’errore e necessità di redenzione.
Un altro tema (non esplicitamente espresso nel sonetto 364) è quello della
richiesta del perdono: la parola perdono è esplicitamente espressa all’interno
del sonetto incipitario, alla fine della seconda quartina.
Un’altra contritio cordis è rappresentato dal sonetto 365: il poeta si pente del
tempo mal speso amando una Laura che ormai è ridotta a “cosa mortale”.

I' vo piangendo i miei passati tempi


i quai posi in amar cosa mortale, Commentato [MOU46]: Orientamento sbagliato
dell’amore: verso la creatura e non verso Dio.
senza levarmi a volo, abbiend'io l'ale,
per dar forse di me non bassi exempi. Commentato [MOU47]: Pur avendo le ali.

Tu che vedi i miei mali indegni et empi,


Re del cielo invisibile immortale,
soccorri a l'alma disvïata et frale, Commentato [MOU48]: “soccorri alla mia guerra” nella
canzone alla Vergine.
e 'l suo defecto di tua gratia adempi:
Commentato [MOU49]: Supplisci alle sue mancanze in virtù
della tua grazia.
sí che, s'io vissi in guerra et in tempesta,
Commentato [MOU50]: Così che, io che sono vissuto in
mora in pace et in porto; et se la stanza guerra e nella tempesta
fu vana, almen sia la partita honesta. Commentato [MOU51]: Pace e porto opposti di guerra e
tempesta.
A quel poco di viver che m'avanza Commentato [MOU52]: Privata della ragione.
et al morir, degni esser Tua man presta: Commentato [MOU53]: Sii misericordioso
Tu sai ben che 'n altrui non ò speranza. Commentato [MOU54]: Richiama all’inizio il “amar cosa
mortale”, nel quale non c’è speranza di salvezza.
Nel sonetto incipitario il sonetto dice “…”, denunciando di esser diventato
favola del popol tutto, in virtù del fatto di aver dato bassi esempi di sé. Nel
penultimo verso il poeta dice “senza levarmi in volo, abbiend’io l’ale”: avendo
amato una cosa mortale, sono rimasto inchiodato alla terra e non mi sono
comportato come colui che sa di avere un’anima, immortale, non ho pensato
di primeggiato lo spirito, che avrebbe potuto elevarlo. Questa frase riconduce
ad un’espressione dantesca, riferita al peccato capitale della superbia: il
peccatore che non ha spiccato il volo, pur avendo le ali, si paragone al bruco
che non è mai diventato farfalla (antomata in difetto).
Sulla falsa riga dantesca, Petrarca giunge alla chiusura della sua opera
sull’onda del pentimento, pur evidenziando un’intima e irrisolvibile difficoltà
nel separarsi dalle cose della terra. Il poeta si presenta al cospetto di Dio e
della Vergine profondamente e sinceramente pentito, ma è consapevole di
aver ancora bisogno delle cose materiali. Evidente è la grande difficoltà,
enunciata fino alla fine, di concepire la vita umana secondo l’orientamento
spirituale, e serenamente. Quando Dante, negli ultimissimi canti del Paradiso,
è vicino a Beatrice e vede da lontano la terra, rendendosi conto della sua
insignificanza rispetto alla cosa celesti, dice “e vidi questo globo tal che io sorrisi
del suo vil sembiante e quel consiglio…chiamarsi puote…”

L’ordine dei componimenti del Canzoniere non è casuale, ma deciso


dall’autore; nonostante ciò il lettore non ha la sensazione di trovarsi di fronte
ad una trama unitaria e ferrea. Francesco è un personaggio molto
inconsistente e sfuggente, e Laura a sua volta è un personaggio molto
sfaccettato: la Laura angelicata del sonetto 362 appare ben diversa dalla Laura
petrosa e ritrosa.

Evidenziamo nel primo sonetto come il Canzoniere sia una sorta di flashback:
il narratore si rivolge ai lettori (suoi contemporanei e postumi) e secondo le
regole dell’esordio classico, suona come captatio benevolentiae. Altra
caratteristica tipica dell’exordium
Con questo sonetto si precisa il progetto, nella mente dell’autore, di fare una
raccolta, idea nata dopo la morte di Laura, anche se alcune parti sono scritte
ancora prima.

Il vario stile
Per quanto raccolte in una raccolta, queste rime rimangono comunque sparse,
per l’assenza di una trama omogenea.
All’inizio del ‘900, utilizzò parole particolari sulla lingua di Dante e Petrarca.
Per il primo plurilinguismo e pluristilismo, per l’altro unilinguismo e
unistilismo, con delle incursioni da parte dello stile (e del lessico) più basso
persino nel Paradiso: questa sua scelta ha fatto criticare molto esperti. San
Pietro, nel Paradiso, dice parole come “puzza” e “cloaca”, per l’orrore dei
classicisti, mentre compiva una pesante invettiva contro la corruzione della
Chiesa, per cui richiedeva un linguaggio forte per veicolare un messaggio
tanto urgente. Con Petrarca si ha un orientamento classicistico. A partire da
quel momento il taglio della nostra letteratura è di quel tipo. Un poeta come
dante, di fronte ad un tale orientamento prevalente,
petrarca usa anche lessico umile
quando Dante usa parole ascrivibili ad un registro basso, la utilizza
all’interno di contesti che confermano la vocazione della parola e la
enfatizzano: in pratica utilizza parole concrete per esprimere concetti astratti.
Il lessico petrarchesco è enormemente polisemico: una stessa parola viene
spesso ripetuta, ma utilizzata con sfumature di significato diverse.

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono Commentato [MOU55]: Presso voi che ascoltate, voi che
per prova intendete amore, io spero di trovare compassione.
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core Petrarca si rivolge ad un pubblico fortemente selezionato,
in sul mio primo giovenile errore caratterizzato da altezza d’ingegno e sensibilità.
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono, Commentato [MOU56]: Non raccolti secondo un vero e
proprio criterio di unità, ma anche alla frammentarietà
interiore che il sonetto dichiara esistente ancora.
del vario stile in ch'io piango et ragiono
Commentato [MOU57]: Sospiri d’amore.
fra le vane speranze e 'l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore, Commentato [MOU58]: Tanto è già stato fatto, ma il lavoro
di redenzione non è ancora compiuto.
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sí come al popol tutto Commentato [MOU59]: Il momento del poeta ravveduto,
anziano e maturo: un altro uomo rispetto a quello che si
favola fui gran tempo, onde sovente accinge a raccontare.
di me mesdesmo meco mi vergogno;
Commentato [MOU60]: Ripetizione che conferisce
musicalità, enfatizzando il verso.
et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto, Commentato [MOU61]: In realtà sarebbe un “sono”,
e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente perché riferito a vaneggiare, pentirsi e conoscere. I frutti di
questo vaneggiare sono la vergogna, il pentimento e la
che quanto piace al mondo è breve sogno. consapevolezza del fatto che il vivere umano è evanescente.

Il sonetto si può paragonare alla sequenza penitenziale, essendo esso stesso


una sequenza penitenziale: è la storia di un amore sbagliato, di una vita mal
orientata, condotta nel modo sbagliato. Una tale premessa fa attendere un
precorso coerente e unitario.
Il secondo sonetto rievoca il primo incontro con Laura. In realtà il poeta
comincia a raccontare la storia del suo errore, facendo un riferimento
risalente prima ancora a Laura. Il poeta si dichiara fino a quel momento
completamente immune dalle frecce di Amore, che non tollera che le sue
frecce abbiano fallito così tante volte, così decide di vendicarsi.
Distinzione tra “ora” e il tempo presente della narrazione.

Per fare una leggiadra sua vendetta


et punire in un dí ben mille offese,
celatamente Amor l'arco riprese,
come huom ch'a nocer luogo et tempo aspetta.

Era la mia virtute al cor ristretta


per far ivi et ne gli occhi sue difese, Commentato [MOU62]: Al cuore
quando 'l colpo mortal là giú discese
ove solea spuntarsi ogni saetta.
Però, turbata nel primiero assalto, Commentato [MOU63]: perciò
non ebbe tanto né vigor né spazio Commentato [MOU64]: repentino
che potesse al bisogno prender l'arme, Commentato [MOU65]: soggetto, la virtù.

overo al poggio faticoso et alto


ritrarmi accortamente da lo strazio
del quale oggi vorrebbe, et non pò, aitarme.

21/03/2022

3
Era il giorno ch'al sol si scoloraro
per la pietà del suo factore i rai,
quando i' fui preso, et non me ne guardai, Commentato [MOU66]: Riprende il motivo evidenziato
precedentemente, dato il giorno dell’attacco.
ché i be' vostr'occhi, donna, mi legaro.
Commentato [MOU67]: Gli occhi sono un topos costante: è
un motivo tradizionale e presente anche nel sonetto
Tempo non mi parea da far riparo precedente
contra colpi d'Amor: però m'andai Commentato [MOU68]: Nel senso cortese di domina.
secur, senza sospetto; onde i miei guai Commentato [MOU69]: Quasi sempre significa “perciò”.
nel commune dolor s'incominciaro. Commentato [MOU70]: In questo passaggio non possiamo
pensare al “soli eravamo e senza nessun sospetto”, preso dal
Trovommi Amor del tutto disarmato racconto di Francesca a Dante, quando raccontava di come la
saetta d’amore abbia colpito inaspettatamente.
et aperta la via per gli occhi al core,
Commentato [MOU71]: quando
che di lagrime son fatti uscio et varco:
Commentato [MOU72]: nel tormento comune dei fedeli
per la morte di Cristo, ma anche i suoi “guai” di tutt’altra
però al mio parer non li fu honore natura.
ferir me de saetta in quello stato, Commentato [MOU73]: Ricalca l’immagine del poeta
a voi armata non mostrar pur l'arco. inerme vista nel sonetto precedente, in antitesi con
“armata” alla fine del sonetto, che si riferisce a Laura; se la
saetta ha colpito il poeta non è successo ugualmente per lei,
Ci siamo soffermati sulla totale impotenza dell’autore di fronte all’assalto di creando un amore non corrisposto.
Amore. Nel terzo sonetto il poeta ritorna sull’episodio, creando una Commentato [MOU74]: Lacrime che il poeta afferma di
coincidenza tra il giorno dell’innamoramento e il giorno della morte di Cristo piangere continuamente.

(venerdì santo). Coincidenza molto interessante, se facciamo nostro il punto


di vista del pentito, che guarda alla storia come un errore giovanile dal quale
prende le distanze. Il poeta fa coincidere questi due aspetti, facendo entrare
prepotentemente il sacro nel profano, allo scopo di giudicare quest’ultimo.
Questa volta il poeta non racconta l’assalto come improvviso, ma piuttosto
sottolinea il suo stupore nel subire l’attacco durante il giorno santo della
Passione di Cristo, quasi rimproverando il Dio per aver scelto un giorno così
inappropriato.
Nei primi due versi il poeta esprime con una perifrasi il giorno in cui si
svolge la vicenda, ossia il venerdì santo. Sulla falsa riga del racconto
evangelico, che vuole che il sole si sia eclissato allo spirare di Gesù.
5
Quando io movo i sospiri a chiamar voi, Commentato [MOU75]: Movimento delle labbra
emettendo un suono, o fa riferimento ai sospiri degli
e 'l nome che nel cor mi scrisse Amore, innamorati.
LAUdando s'incomincia udir di fore
il suon de' primi dolci accenti suoi.

Vostro stato REal, che 'ncontro poi,


raddoppia a l'alta impresa il mio valore; Commentato [MOU76]: Devo raddoppiare il mio ingegno
poetico affinché sia degno di nominarvi.
ma: TAci, grida il fin, ché farle honore
è d'altri homeri soma che da' tuoi.

Cosí LAUdare et REverire insegna


la voce stessa, pur ch'altri vi chiami, Commentato [MOU77]: Così il nome stesso, solo a
nominarlo, insegna a lodare e reverire, o voi degna d’ogni
o d'ogni reverenza et d'onor degna: reverenza e d’ogni onore.

se non che forse Apollo si disdegna Commentato [MOU78]: adira


ch'a parlar de' suoi sempre verdi rami
lingua mortal presumptüosa vegna.

Il quinto sonetto può essere definito di laudatio nominis. Il poeta ricorre ad


una sorta di gioco linguistico, come una la sciarada. Sono evidenti delle
lettere maiuscole che formano via via il nome di Laura due volte. Una volta
nella forma di Laureta, in un’altra Laurea. Nei manoscritti vergati dalla mano
di Petrarca non sono visibili, quindi vediamo una soluzione grafica che li
mette particolarmente in evidenza. Il nome id Laura è legato anche a
determinati vocaboli (Laudando, real, laudare, reverire). È il primo sonetto
nel quale si evidenzia la presenza del mito di Dafne, ripreso dalle
Metamorfosi di Ovidio (viene infatti citato Apollo). Secondo il racconto,
Apollo si invaghisce della ninfa Dafne, consacrata a Diana. La insegue in una
selva e la fanciulla, avendo a cuore la sua verginità, per proteggerla e
mantenersi pura chiede suo padre la trasforma in alloro. Dopo la
metamorfosi Apollo si orna di questa pianta: da quel giorno la corona
d’alloro diventa il suo simbolo.
Da una parte il poeta identifica Dafne con Laura, e dall’altra Apollo con sé
stesso, permettendo al poeta di coniugare due motivi diversi: uno
propriamente erotico, per cui Laura è il soggetto sessuale desiderato e
sfuggente e dall’altra Petrarca si identifica in Apollo come amante; sul
versante poetico invece vediamo Laura=Lauro=Laurea, per cui accanto al
motivo erotico si aggiunge anche quello poetico, secondo il quale la donna è
anche oggetto della poesia d’amore del poeta, laddove Petrarca si identifica
come Apollo non solo come amante, ma anche come poeta (essendo il dio
protettore di quell’arte). A volte le due interpretazioni si stringono in un solo
nodo, creando una sorta di mito personale; altre volte i due motivi appaiono
separatamente nell’opera, favorendo l’uno o l’altro.
All’inizio il poeta dice che ci proferisce il nome di Laura la loda già dalle
primissime lettere, essendo in comune col verbo laudare. La seconda sillaba è
RE, inserita nella parola real, ossia “regale”; l’ultima sillaba ordina al poeta di
TAcere, perché il poeta non è degno di onorarla.

Arriviamo ai componimenti di Laura petrosa: 21, 22, 23, 26, 29, 30 36, 45, 50,
57, 67, 76, 79, 82, 83, 88, 121, 124, 125.
Sono indicazioni interessanti anche a riguardo del canzoniere come opera
non unitaria e incoerente. Questi testi successivi al 70 sono di svolta, eppure
in seguito si torna indietro con i passi.

Si parla di Laura petrosa, di un’amata che fugge e si nega al suo amante, non
corrisponde al suo amore e provoca sentimenti di frustrazione amorosa nel
poeta. Nel sonetto 82 l’amante giunge persino ad odiare se stesso,
maledicendo il giorno della propria nascita, o nel 79 afferma di volersi
sottrarre a questo legame velenoso, nel 29 vaneggia il suicidio e nel 124 prova
invidia verso i morti.
Il sonetto 79 è detto “di anniversario”, nel quale il poeta afferma che sono
passati 13 anni dall’innamoramento e che è in corso il 14esimo, fornendo una
data precisa. Questi anni si sono compiuti tra sospiri interminabili: il tempo
fugge ma nulla cambia rispetto a questo doloroso trascorrere di giorni. Tutti
elementi relativi all’alienazione amorosa e il riferimento al campionario del
Secretum è d’obbligo, perché Agostino aveva spesso sottolineato che a causa
dell’errore a monte dell’orientamento era diventato alienato, in totale balia
della donna amata. Il senso su cui insiste Agostino (e lo stesso Petrarca nel
Canzoniere) è la consunzione d’amore, abdicando alla razionalità e perdendo
il controllo di se stessi.
Commentato [MOU79]: se quest’anno continua allo stesso
79 modo di cui è iniziato, è la fine per me.
S'al principio risponde il fine e 'l mezzo Commentato [MOU80]: nessun’aria fredda può darmi
del quartodecimo anno ch'io sospiro, scampo dall’ardore del mio animo
piú non mi pò scampar l'aura né 'l rezzo, Commentato [MOU81]: amore, col quale non divido
sí crescer sento 'l mio ardente desiro. neppure un pensiero (pensa interamente a lui)
Commentato [MOU82]: che sono quasi ridotto a metà a
causa degli occhi che tanto spesso volgo al mio dolore
Amor, con cui pensier mai non amezzo, (quindi fa riferimento alle lacrime)
sotto 'l cui giogo già mai non respiro,
Commentato [MOU83]: può essere inteso sia moralmente
tal mi governa, ch'i' non son già mezzo, che semplicemente come motivo del pianto.
per gli occhi ch'al mio mal sí spesso giro. Commentato [MOU84]: venendo meno
Commentato [MOU85]: così discretamente
Cosí mancando vo di giorno in giorno, Commentato [MOU86]: solo io e colei che a guardarla mi si
sí chiusamente, ch'i' sol me n'accorgo strugge il cuore.
et quella che guardando il cor mi strugge. Commentato [MOU87]: A malapena sono arrivato al
tredicesimo anno
A pena infin a qui l'anima scorgo, Commentato [MOU88]: Non so fino a che punto l’anima
resterà con me (la morte come disgiunzione dell’anima)
né so quanto fia meco il suo soggiorno,
ché la morte s'appressa, e 'l viver fugge. Commentato [MOU89]: Sugella il discorso ed è un motivo
ricorrente
Dal 70 Petrarca inaugura una nuova concezione d’amore, che però non
rimane mai costante, in linea col carattere incoerente e frammentato
dell’opera.

La sestina 22 fu inventata come poesia erotica da (…) e si racconta l’amore


passio, ma dal punto di vista stilistico peritene al trovar clousse, ossia
comporre versi particolarmente artificiosi. Infatti notiamo che la rima è la
parte più complessa della sestina: essa si divide in strofe di 6 versi. Ci sono 6
parole che si ripetono alla fine di ogni verso, così che le parole rimino con se
stesse, ma appaiono in ordine apparentemente casuale, ma non è così. Si
parla di retrogradatio cruciata, o permutazione centripeta: lo schema è 6,1;
5,2; 4,3. Nel corso delle stanze, tutte le parole avranno occupato posti diversi.

22
A qualunque animale alberga in terra,
se non se alquanti ch'ànno in odio il sole,
tempo da travagliare è quanto è 'l giorno;
ma poi che 'l ciel accende le sue stelle,
qual torna a casa et qual s'anida in selva
per aver posa almeno infin a l'alba.

Et io, da che comincia la bella alba Commentato [MOU90]: Si tratta di un “e” avversativo,
quindi si traduce con un “ma”.
a scuoter l'ombra intorno de la terra
svegliando gli animali in ogni selva,
non ò mai triegua di sospir' col sole;
pur quand'io veggio fiammeggiar le stelle
vo lagrimando, et disïando il giorno.

Quando la sera scaccia il chiaro giorno,


et le tenebre nostre altrui fanno alba, Commentato [MOU91]: Si riferisce all’altro emisfero
miro pensoso le crudeli stelle, Commentato [MOU92]: Contemplo angosciato le crudeli
che m'ànno facto di sensibil terra; stelle. A differenza che nei casi precedenti, dove le stelle
avevano significato letterale, qui fa riferimento al destino. Il
et maledico il dí ch'i' vidi 'l sole, suo continuo tormento d’amore ha due ragioni: le crudeltà
che mi fa in vista un huom nudrito in selva. del destino e della donna.
Commentato [MOU93]: “mi fa sembrare”
Non credo che pascesse mai per selva Commentato [MOU94]: Sia mai esistita in un bosco
sí aspra fera, o di nocte o di giorno,
come costei ch'i 'piango a l'ombra e al sole;
et non mi stancha primo sonno od alba:
ché, bench'i' sia mortal corpo di terra,
lo mio fermo desir vien da le stelle.
Commentato [MOU95]: Nel mito platonico era
Prima ch'i' tomi a voi, lucenti stelle, contemplato, alla morte, il ritorno alla propria stella.
o torni giú ne l'amorosa selva, Commentato [MOU96]: La selva dei mirti, dove si trovano
le anime degli amanti consumati da amore crudele
lassando il corpo che fia trita terra, (immagine virgiliana).
vedess'io in lei pietà, che 'n un sol giorno
Commentato [MOU97]: Sarà terra polverizzata.
può ristorar molt'anni, e 'nanzi l'alba
puommi arichir dal tramontar del sole.

Con lei foss'io da che si parte il sole, Commentato [MOU98]: Dal tramonto: il poeta sta
pensando ad un incontro privato notturno, con testimoni le
et non ci vedess'altri che le stelle, sole stelle
sol una nocte, et mai non fosse l'alba;
et non se transformasse in verde selva Commentato [MOU99]: Riferimento al mito di Dafne: in
sostanza il poeta speri che lei non si sottragga per l’ennesima
per uscirmi di braccia, come il giorno volta al suo amore.
ch'Apollo la seguia qua giú per terra.

Ma io sarò sotterra in secca selva Commentato [MOU100]: Bara (la secca selva indica la bara
fatta di legno morto). La metonimia è indispensabile per
e 'l giorno andrà pien di minute stelle mantenere nei rigidi schemi.
prima ch'a sí dolce alba arrivi il sole.

Nel congedo però Petrarca scrive sotterra, che a differenza delle altre è
trisillabo: l’eccezione proposta è autorizzata, perché Dante opta per sotterba,
lui che aveva sempre scritto erba. Scrivere una composizione di questo tipo
con regole tanto rigide significa mettere insieme un discorso poetico sensato
di non semplice esecuzione.

23/03/2022

Nel primo verso, il poeta evidenzia come il travaglio della vita sia legato al
giorno, e si dissipi la notte; la parola animale infatti indica tutti gli esseri
viventi, meno i notturni naturalmente. Se tutti trovano pace di notte, il poeta
no. Questo concetto viene ripetuto per 3 stanze, e nella quarta nomina
“costei”, “aspra fera”, la Laura petrosa e impietosa, non compiacente nei
confronti del poeta, per poi proiettare secondo la tipica costruzione in avanti
delle conclusioni fantastiche a lui compiacenti: lui spera di giacere con
l’amata, e sogna che essa sia compiacente, esprimendolo in maniera
abbastanza esplicita. Naturalmente si tratta di un desiderio irrealizzabile, e il
poeta conclude dicendo che è più probabile che si vedano le stelle, piuttosto
che lui realizzi il suo desiderio.

30
Giovene donna sotto un verde lauro
vidi più biancha et piú fredda che neve
non percossa dal sol molti et molt'anni;
e 'l suo parlare, e 'l bel viso, et le chiome
mi piacquen sí ch'i' l'ò dinanzi agli occhi,
ed avrò sempre, ov'io sia, in poggio o 'n riva.
Commentato [MOU101]: L’approdo dei pensieri amorosi, e
Allor saranno i miei pensier a riva quindi l’esaudimento.
che foglia verde non si trovi in lauro; Commentato [MOU102]: Quando l’alloro non avrà foglie
quando avrò queto il core, asciutti gli occhi, verdi (impossibile, dato che si tratta di una pianta
sempreverde.
vedrem ghiacciare il foco, arder la neve: Commentato [MOU103]: Altri eventi impossibili
non ò tanti capelli in queste chiome
quanti vorrei quel giorno attender anni. Commentato [MOU104]: Il poeta sarebbe disposto ad
attendere quel giorno ancora per più anni di quanti capelli
non abbia sul capo.
Ma perché vola il tempo, et fuggon gli anni,
sí ch'a la morte in un punto s'arriva, Commentato [MOU105]: In un istante
o colle brune o colle bianche chiome,
seguirò l'ombra di quel dolce lauro
per lo piú ardente sole et per la neve, Commentato [MOU106]: O in estate, o in inverno
fin che l'ultimo dí chiuda quest'occhi.

Non fur già mai veduti sí begli occhi


o ne la nostra etade o ne' prim'anni,
che mi struggon cosí come 'l sol neve;
onde procede lagrimosa riva Commentato [MOU107]: Da cui scaturisce il fiume di
lacrime.
ch'Amor conduce a pie' del duro lauro
ch'à i rami di diamante, et d'òr le chiome. Commentato [MOU108]: Un albero duro, con evidente
riferimento alla durezza della donna.
Commentato [MOU109]: Il concetto è rafforzato dalle
I' temo di cangiar pria volto et chiome immagini del diamante e dell’oro, che lo ornano anche di
che con vera pietà mi mostri gli occhi bellezza.
l'idolo mio, scolpito in vivo lauro: Commentato [MOU110]: Da mettere vicino a “che”
ché s'al contar non erro, oggi à sett'anni Commentato [MOU111]: La presenza di un idolo dimostra
che sospirando vo di riva in riva la presenza di un idolatra.

la notte e 'l giorno, al caldo ed a la neve. Commentato [MOU112]: Siamo nel 1334.

Dentro pur foco, et for candida neve, Commentato [MOU113]: anziano


sol con questi pensier', con altre chiome,
sempre piangendo andrò per ogni riva, Commentato [MOU114]: luogo solitario
per far forse pietà venir negli occhi
di tal che nascerà dopo mill'anni, Commentato [MOU115]: Il lettore
se tanto viver pò ben cólto lauro. Commentato [MOU116]: Le poesie.

L'auro e i topacii al sol sopra la neve


vincon le bionde chiome presso agli occhi Commentato [MOU117]: soggetto
che menan gli anni miei sí tosto a riva. Commentato [MOU118]: precocemente verso la fine

Mentre nella sestina 22 il poeta insisteva sulla sua pena, qui inizia a parlare
della giovane donna, la stessa che prima era “aspra fera” e che qui definisce
più fredda del ghiaccio, sinonimo di indisponibilità.
Le bionde chiome presso agli occhi che menano gli anni miei sì tosto a riva
vincono l’oro e i topazi al sole sopra la nave.

66
L'aere gravato, et l'importuna nebbia Commentato [MOU119]: dalle nuvole
compressa intorno da rabbiosi vènti
tosto conven che si converta in pioggia;
et già son quasi di cristallo i fiumi,
e 'n vece de l'erbetta per le valli
non se ved'altro che pruine et ghiaccio.

Et io nel cor via piú freddo che ghiaccio


ò di gravi pensier' tal una nebbia,
qual si leva talor di queste valli,
serrate incontra agli amorosi vènti,
et circundate di stagnanti fiumi,
quando cade dal ciel piú lenta pioggia.

In picciol tempo passa ogni gran pioggia,


e 'l caldo fa sparir le nevi e 'l ghiaccio,
di che vanno superbi in vista i fiumi;
né mai nascose il ciel sí folta nebbia
che sopragiunta dal furor d'i vènti
non fugisse dai poggi et da le valli.

Ma, lasso, a me non val fiorir de valli,


anzi piango al sereno et a la pioggia
et a' gelati et a' soavi vènti:
ch'allor fia un dí madonna senza 'l ghiaccio
dentro, et di for senza l'usata nebbia,
ch'i' vedrò secco il mare, e' laghi, e i fiumi.

SI seccheranno prima mari, fiumi e laghi prima che io possa vedere cambiata
questa donna di ghiaccio.
Ritroviamo una suggestione dantesca, quando Dante descrive la tempesta nel
V canto.

Con la canzone 70 si introduce il tema della donna salvifica, che annuncia


una nuova ispirazione. Si presentano nuovi tratti di laura, che le afferiscono
caratteristiche angeliche. Nuova rispetto allo stilnovo è una particolare
caratteristica: alla fine di ogni stanza l’ultimo endecasillabo è sempre in
corsivo: addirittura il primo non è manco in italiano, ma in provenzale.
Vengono citati infatti più autori: l’ultimo doveva essere un’attribuzione
(risultata poi erronea) ad Arno… e ad un certo punto Petrarca cita persino sé
stesso (canzone 23, del gruppo petroso). Il poeta ritiene di poter trovare più
liete ispirazioni, ma è evidente che le prima stanze vadano nella direzione da
cui proveniamo: il poeta ribadisce l’amore come passione struggente e
frustrante, fin quando giunge un’improvvisa illuminazione nella quarta
stanza, che segna un cambio di rotta. Petrarca si rende conto che ad essere
responsabile della sua follia è lui stesso, e non cose esterne, provenienti dal
Creatore e quindi belle di per sé. Riprende il tema dell’orientamento errato.
La canzone non lo esplicita, ama annuncia una nuova acquisizione, per la
quale la mancata corresponsione da parte di laura è la naturale conseguenza
per chi, come il poeta, errava nell’orientamento.

70
Lasso me, ch'i' non so in qual parte pieghi Commentato [MOU120]: povero me, che non so più in cosa
sperare,
la speme, ch'è tradita omai più volte:
che se non è chi con pietà m'ascolte,
perché sparger al ciel sí spessi preghi? Commentato [MOU121]: se lei non mi corrisponde, perché
continuare a buttare al vento preghiere tanto insistenti?
Ma s'egli aven ch'anchor non mi si nieghi
finir anzi 'l mio fine Commentato [MOU122]: Mi sarà concesso

queste voci meschine, Commentato [MOU123]: Finire prima della mia morte

non gravi al mio signor perch'io il ripreghi Commentato [MOU124]: Non dispiaccia al mio signore che
torni ancora a pregarlo
di dir libero un dí tra l'erba e i fiori:
Drez et rayson es qu'ieu ciant e 'm demori. Commentato [MOU125]: Di poter comporre libero
Commentato [MOU126]: Ho argomento e ragion di cantare
e rallegrarmi
Ragione è ben ch'alcuna volta io canti,
Commentato [MOU127]: Sarebbe giusto che qualche volta
però ch'ò sospirato sí gran tempo mi rallegri
che mai non incomincio assai per tempo
per adequar col riso i dolor' tanti.
Et s'io potesse far ch'agli occhi santi Commentato [MOU128]: Se potessi fare in modo che agli
occhi santi una mia qualche poesia procuri un qualche
porgesse alcun dilecto diletto,
qualche dolce mio detto,
o me beato sopra gli altri amanti!
Ma piú quand'io dirò senza mentire: Commentato [MOU129]: ma ancor di più sarò beato
quando potrò dire senza mentire:
Donna mi priegha, per ch'io voglio dire.
Commentato [MOU130]: la donna mi prega di comporlo
(Cavalcanti)
Vaghi pensier' che cosí passo passo
scorto m'avete a ragionar tant'alto, Commentato [MOU131]: a speranze tanto ambiziose
vedete che madonna à 'l cor di smalto, Commentato [MOU132]: sappiate
sí forte ch'io per me dentro nol passo. Commentato [MOU133]: con le mie forze
Ella non degna di mirar sí basso Commentato [MOU134]: la crudeltà della donna
che di nostre parole
curi, ché 'l ciel non vòle, Commentato [MOU135]: l’avverso destino
al qual pur contrastando i' son già lasso: Commentato [MOU136]: per averlo contrastato
onde, come nel cor m'induro e n'aspro, continuamente, ormai sono stanco

così nel mio parlar voglio esser aspro. Commentato [MOU137]: perciò, come nel cuore mi
indurisco e inasprisco
Commentato [MOU138]: così voglio essere aspro nelle
Che parlo? o dove sono? e chi m'inganna, parole (Dante)
altri ch'io stesso e 'l desïar soverchio? Commentato [MOU139]: se non io stesso, e il desiderare
Già s'i'trascorro il ciel di cerchio in cerchio, eccessivo? Rimanda a Dante, che parla dell’amore eccedente
nessun pianeta a pianger mi condanna.
Se mortal velo il mio veder appanna,
che colpa è de le stelle,
o de le cose belle?
Meco si sta chi dí et notte m'affanna, Commentato [MOU140]: io sono il nemico di me stesso
poi che del suo piacer mi fe' gir grave
la dolce vista e 'l bel guardo soave. Commentato [MOU141]: da quando la dolce vista e il bel
sguardo soave di Laura mi fece grave del suo piacere.

Tutte le cose, di che 'l mondo è adorno


uscïr buone de man del mastro eterno;
ma me, che cosí adentro non discerno, Commentato [MOU142]: Che non riesco ad entrare nelle
cose
abbaglia il bel che mi si mostra intorno;
et s'al vero splendor già mai ritorno, Commentato [MOU143]: Mi abbaglia la bellezza esteriore

l'occhio non po' star fermo, Commentato [MOU144]: E se non sono capace di tornare al
vero Splendore
cosí l'à fatto infermo
Commentato [MOU145]: Sull’obiettivo giusto
pur la sua propria colpa, et non quel giorno
Commentato [MOU146]: solo
ch'i' volsi inver' l'angelica beltade
nel dolce tempo de la prima etade. Commentato [MOU147]: il giorno dell’innamoramento
Commentato [MOU148]: termine

28/03/2022

Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra Commentato [MOU149]: al breve giorno e alla lunga notte:
l’inverno.
son giunto, lasso, ed al bianchir de’ colli,
quando si perde lo color ne l’erba:
e ’l mio disio però non cangia il verde,
5 sì è barbato ne la dura petra
che parla e sente come fosse donna.
Similemente questa nova donna Commentato [MOU150]: Straordinaria, diversa dalle altre.
Come farà notare al verso 29 e al 34, si tratta di una donna
si sta gelata come neve a l’ombra; che rappresenta l’eccezione alla regola, non ricambiando
ché non la move, se non come petra, l’amore del poeta.
10 il dolce tempo che riscalda i colli,
e che li fa tornar di bianco in verde
perché li copre di fioretti e d’erba.
Quand’ella ha in testa una ghirlanda d’erba,
trae de la mente nostra ogn’altra donna;
15 perché si mischia il crespo giallo e ’l verde
sì bel, ch’Amor lì viene a stare a l’ombra, Commentato [MOU151]: All’ombra dei suoi occhi
che m’ha serrato intra piccioli colli Commentato [MOU152]: rinchiuso
più forte assai che la calcina petra.
La sua bellezza ha più vertù che petra, Commentato [MOU153]: idea medievale secondo la quale
le pietre preziose hanno virtù magiche
20 e ’l colpo suo non può sanar per erba;
ch’io son fuggito per piani e per colli,
per potere scampar da cotal donna;
e dal suo lume non mi può far ombra Commentato [MOU154]: ma
poggio né muro mai né fronda verde.
25 Io l’ho veduta già vestita a verde,
sì fatta ch’ella avrebbe messo in petra Commentato [MOU155]: avrebbe fatto innamorare persino
una pietra
l’amor ch’io porto pur a la sua ombra:
ond’io l’ho chesta in un bel prato d’erba,
innamorata com’anco fu donna, Commentato [MOU156]: diversamente da com’è
realmente, insensibile all’amore
30 e chiuso intorno d’altissimi colli. Commentato [MOU157]: ricerca di un luogo appartato
Ma ben ritorneranno i fiumi a’ colli,
prima che questo legno molle e verde
s’infiammi, come suol far bella donna,
di me; che mi torrei dormire in petra
35 tutto il mio tempo e gir pascendo l’erba,
sol per veder do’ suoi panni fanno ombra. Commentato [MOU158]: Petrarca aveva detto similmente
che sarebbe stato disposto ad aspettare per più anni di
Quandunque i colli fanno più nera ombra, quanti capelli avesse sul capo
sotto un bel verde la giovane donna
la fa sparer, com’uom petra sott’erba. Commentato [MOU159]: Uom=si personale

Così nel mio parlar voglio esser aspro


com’è ne li atti questa bella petra,
la quale ognora impetra Commentato [MOU160]: Chiude in sé come pietra
maggior durezza e più natura cruda,
e veste sua persona d’un diaspro
tal che per lui, o perch’ella s’arretra,
non esce di faretra
saetta che già mai la colga ignuda; Commentato [MOU161]: Indifesa. Nel 3 era definita
“armata” in un simile contesto
ed ella ancide, e non val ch’om si chiuda
né si dilunghi da’ colpi mortali, Commentato [MOU162]: Ci si protegga

che, com’avesser ali, Commentato [MOU163]: allontani

giungono altrui e spezzan ciascun’arme:


sì ch’io non so da lei né posso atarme.

Non trovo scudo ch’ella non mi spezzi


né loco che dal suo viso m’asconda:
ché, come fior di fronda, Commentato [MOU164]: fiore in cima alla fronda
così de la mia mente tien la cima. Commentato [MOU165]: lei è in cima ai pensieri
Cotanto del mio mal par che si prezzi Commentato [MOU166]: curi
quanto legno di mar che non lieva onda; Commentato [MOU167]: barca
e ’l peso che m’affonda
è tal che non potrebbe adequar rima.
Ahi angosciosa e dispietata lima
che sordamente la mia vita scemi,
perché non ti ritemi
sì di rodermi il core a scorza a scorza
com’io di dire altrui chi ti dà forza? Commentato [MOU168]: com’io mi trattengo dal rivelare il
nome di colei che regge la lima. Il topoi della discrezione
cortese
Che più mi triema il cor qualora io penso
di lei in parte ov’altri li occhi induca, Commentato [MOU169]: far capire agli altri di chi parlo
per tema non traluca Commentato [MOU170]: che il mio pensiero esterni
lo mio penser di fuor sì che si scopra,
ch’io non fo de la morte, che ogni senso
co li denti d’Amor già mi manduca:
ciò è che ‘l pensier bruca
la lor vertù sì che n’allenta l’opra.
E’ m’ha percosso in terra, e stammi sopra
con quella spada ond’elli ancise Dido,
Amore, a cui io grido
merzé chiamando, e umilmente il priego: Commentato [MOU171]: invoco
ed el d’ogni merzé par messo al niego. Commentato [MOU172]: par deciso a negarmi ogni pietà

Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida


la debole mia vita, esto perverso,
che disteso a riverso Commentato [MOU173]: a rivescio
mi tiene in terra d’ogni guizzo stanco:
allor mi surgon ne la mente strida;
e ‘l sangue, ch’è per le vene disperso,
fuggendo corre verso
lo cor, che ‘l chiama; ond’io rimango bianco.
Elli mi fiede sotto il braccio manco
sì forte che ‘l dolor nel cor rimbalza:
allor dico: "S’elli alza
un’altra volta, Morte m’avrà chiuso Commentato [MOU174]: sottinteso, la mano
prima che ‘l colpo sia disceso giuso". Commentato [MOU175]: ucciso

Così vedess’io lui fender per mezzo


lo core a la crudele che ‘l mio squatra;
poi non mi sarebb’atra
la morte, ov’io per sua bellezza corro:
ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo Commentato [MOU176]: colpisce
questa scherana micidiale e latra. Commentato [MOU177]: giorno e notte
Omè, perché non latra Commentato [MOU178]: assassina
per me, com’io per lei, nel caldo borro?
ché tosto griderei: "Io vi soccorro";
e fare’l volentier, sì come quelli
che nei biondi capelli
ch’Amor per consumarmi increspa e dora
metterei mano, e piacere’le allora.

S’io avessi le belle trecce prese,


che fatte son per me scudiscio e ferza,
pigliandole anzi terza, Commentato [MOU179]: prima delle nove del mattino
con esse passerei vespero e squille: Commentato [MOU180]: tutta la giornata
e non sarei pietoso né cortese,
anzi farei com’orso quando scherza; Commentato [MOU181]: sarebbe poco delicato
e se Amor me ne sferza, Commentato [MOU182]: mi ci frusta
io mi vendicherei di più di mille.
Ancor ne li occhi, ond’escon le faville
che m’infiammano il cor, ch’io porto anciso,
guarderei presso e fiso,
per vendicar lo fuggir che mi face;
e poi le renderei con amor pace.

Canzon, vattene dritto a quella donna Commentato [MOU183]: un invito simile lo ritroviamo in
“donne ch’avete intelletto d’amore”
che m’ha ferito il core e che m’invola
quello ond’io ho più gola,
e dàlle per lo cor d’una saetta,
ché bell’onor s’acquista in far vendetta. Commentato [MOU184]: si acquista bell’onore a vendicarsi

Litanie oculorum

La canzone 70 ci ha predisposti alla Laura angelicata. Le canzoni degli occhi


sono 71, 72 e 73, i componimenti più saldamente legati tra loro, tanto che
Petrarca le definì sorelle. 7, 5 e 6 stanze rispettivamente. Ci troviamo di fronte
ad un ritratto stilnovistico dell’amata e la ritraggono in quello che diventa il
suo attributo più puro e metafisico, ossia gli occhi. Attraverso questi, che
“ancidono”, citando Dante, o salvano, lei ne risulta angelicata.
La canzone 71 imposta il discorso sulla incredibile bellezza degli occhi di
Laura, insidiata solo dalla debolezza dello stile del poeta, inferiore a tanta
bellezza. La 72 si rivolge all’amata e alle sue divine faville, amplificazione
della lode, e gli occhi diventano il mezzo attraverso il quale il poeta si
innalza. Nel terzo ritorna il motivo degli occhi soavi che arrecano al poeta
una pace tranquilla, seppure sia presente il desiderio ardente, di fronte al
quale la ragione stessa viene meno. Non mancano quindi dei segnali che ci
indirizzano verso un io perennemente combattuto, che nonostante abbia
apparentemente raggiunto una conclusione, continua a tornare sui suoi passi.
La ripulsa di Laura è carità e amore spirituale.

72
Gentil mia donna, i' veggio Commentato [MOU185]: mia nobile signora
nel mover de' vostr'occhi un dolce lume
che mi mostra la via ch'al ciel conduce;
et per lungo costume,
dentro là dove sol con Amor seggio,
quasi visibilmente il cor traluce.
Questa è la vista ch'a ben far m'induce,
et che mi scorge al glorïoso fine;
questa sola dal vulgo m'allontana:
né già mai lingua humana
contar poria quel che le due divine
luci sentir mi fanno,
e quando 'l verno sparge le pruine, Commentato [MOU186]: brine
et quando poi ringiovenisce l'anno Commentato [MOU187]: la primavera, tempo
qual era al tempo del mio primo affanno. dell’innamoramento
Io penso: se là suso, Commentato [MOU188]: in paradiso
onde 'l motor eterno de le stelle Commentato [MOU189]: DIo
degnò mostrar del suo lavoro in terra, Commentato [MOU190]: Si degnò di mostrare il suo lavoro
son l'altr'opre sí belle, in terra
aprasi la pregione, ov'io son chiuso, Commentato [MOU191]: Belle come gli occhi di Laura
et che 'l camino a tal vita mi serra. Commentato [MOU192]: Corpo come prigione dell’anima
Poi mi rivolgo a la mia usata guerra, Commentato [MOU193]: Amore non corrisposto
ringratiando Natura e 'l dí ch'io nacqui Commentato [MOU194]: Ci sono stati componimenti in cui
che reservato m'ànno a tanto bene, malediceva il giorno natale e la natura; ora li benedice.

et lei ch'a tanta spene Commentato [MOU195]: Addirittura ciò che prima era un
male diventa una benedizione del destino
alzò il mio cor: ché 'nsin allor io giacqui
Commentato [MOU196]: Prima di innamorarmi
a me noioso et grave,
da quel dí inanzi a me medesmo piacqui, Commentato [MOU197]: Fui per me stesso noioso e
insopportabile
empiendo d'un pensier alto et soave
Commentato [MOU198]: riempiendo
quel core ond'ànno i begli occhi la chiave.
Commentato [MOU199]: di cui gli occhi hanno la chiave

Né mai stato gioioso


Amor o la volubile Fortuna
dieder a chi piú fur nel mondo amici,
ch'i' nol cangiassi ad una
rivolta d'occhi, ond'ogni mio riposo
vien come ogni arbor vien da sue radici.
Vaghe faville, angeliche, beatrici
de la mia vita, ove 'l piacer s'accende
che dolcemente mi consuma et strugge:
come sparisce et fugge
ogni altro lume dove'l vostro splende,
cosí de lo mio core,
quando tanta dolcezza in lui discende,
ogni altra cosa, ogni penser va fore,
et solo ivi con voi rimanse Amore.

Quanta dolcezza unquancho


fu in cor d'aventurosi amanti, accolta
tutta in un loco, a quel ch'i' sento è nulla,
quando voi alcuna volta
soavemente tra 'l bel nero e 'l biancho
volgete il lume in cui Amor si trastulla;
et credo da le fasce et da la culla Commentato [MOU200]: dalla nascita
al mio imperfecto, a la Fortuna adversa Commentato [MOU201]: imperfezione
questo rimedio provedesse il cielo. Commentato [MOU202]: rimedio alla sua fortuna avversa
Torto mi face il velo Commentato [MOU203]: mi fa torto l’impossibilità di
et la man che sí spesso s'atraversa incrociare il suo sguardo quando tra i nostri occhi si
contrappone o il velo o la sua mano
fra 'l mio sommo dilecto
et gli occhi, onde dí et notte si rinversa Commentato [MOU204]: in lacrime
il gran desio per isfogare il petto,
che forma tien dal varïato aspetto.

Perch'io veggio, et mi spiace,


che natural mia dote a me non vale Commentato [MOU205]: la mia dote naturale
né mi fa degno d'un sí caro sguardo, Commentato [MOU206]: rende
sforzomi d'esser tale
qual a l'alta speranza si conface, Commentato [MOU207]: di essere all’altezza di questa
speranza
et al foco gentil ond'io tutt'ardo.
S'al ben veloce, et al contrario tardo, Commentato [MOU208]: di cui ardo interamente

dispregiator di quanto 'l mondo brama Commentato [MOU209]: al male

per solicito studio posso farme, Commentato [MOU210]: dei beni terreni
porrebbe forse aitarme Commentato [MOU211]: impegno
nel benigno iudicio una tal fama: Commentato [MOU212]: aiutarmi
Certo il fin de' miei pianti, Commentato [MOU213]: giudizio di lei
che non altronde il cor doglioso chiama, Commentato [MOU214]: non altri il cuore addolorato
vèn da' begli occhi alfin dolce tremanti, chiama
ultima speme de' cortesi amanti. Commentato [MOU215]: espressione di chiarissima
impronta cortese, che indica l’appagamento dei sensi

Canzon, l'una sorella è poco inanzi,


et l'altra sento in quel medesmo albergo Commentato [MOU216]: sia nella mente del poeta, che con
a medesima ispirazione, a giustificare la sorellanza
apparechiarsi; ond'io piú carta vergo.
Commentato [MOU217]: continuo a scrivere

Il poeta si mostra come disperato, senza speranza, che vuole essere


corrisposto, mentre l’amata si rifiuta anche solo di ascoltare il suo canto.
La canzone 71 evidenzia la differenza tra l’amore ad creaturam, che prevede
l’annientamento di se stessi, in balia dell’amata, e l’amore caritatevole.
Inizia con i topoi della brevità della vita e dell’ingegno poetico che si sente
inadeguato rispetto a quella che il poeta definisce “alta impresa”, non
specificata subito, ma che scopriremo essere la lode degli occhi dell’amata.
Apprendiamo subito lo sgomento del poeta di fronte a questa impresa e la
sfiducia che ne deriva; sulla base della scelta dell’articolo determinativo per
indicare l’alta scelta possiamo pensare che il poeta si riferisca a quanto detto
nella canzone 70, nella quale aveva fatto accenno alla speranza che alla donna
amata potessero essere graditi i suoi componimenti. Essendo essa un prologo
delle canzoni degli occhi, possiamo pensare che si ricolleghi alla lode degli
occhi. All’iniziale sfiducia segue la speranza che la sua “doglia”, ossia
l’impresa, possa essere intesa da Laura; doglia tuttavia è un termine negativo,
che indica dolore, quindi nella definizione dell’argomento il poeta sceglie
termini dolorosi. A questa connotazione negativa se ne aggiunge in seguito
una positiva, quando la definisce “ragionar gentile”. Eppure la lode torna ad
essere condizione dolorosa, in opposizione all’intento celebrativo del canto:
situazione ben diversa da quella che si pone per Dante, che scrivendo in lode
di Beatrice nella vota nuova, ci dà la svolta…. A partire da donne che avete
intelletto d’amore il poeta si rende artefice di una svolta: da quel momento in
poi il poeta, cercando l’appagamento nella corresponsione di Beatrice e
avendo invece perduto il saluto, passa alla condizione in cui la semplice lode
della donna amata ad appagarlo. Passa da un discorso amoroso in cui sono
presenti soggetto e oggetto ad un vero monologo. Qui Petrarca cerca di
aderire a quel tipo di poetica stilnovistica dedicata alla lode; Dante in
particolar modo davvero rappresenta un termine opposto rispetto a Petrarca,
perché nel momento in cui sceglie di lodare Beatrice la cosa lo appaga, e
coincide con la totale obliterazione della felicità dell’innamorato: l’infelicità
dell’innamorato viene sublimata come anche il rapporto con l’amata subisce
una sublimazione.
Petrarca sente dentro di sé l’aspirazione alla lode, ma l’alta impresa grava su
di lui, provocandogli dolore come un amore passionale: la doglia diventa un
ragionar gentile in seguito, con un’impostazione diversa.
La prima stanza si chiude sul motivo del silenzio: “ch'ò portate nel cor gran
tempo ascose” e la seconda lo richiama, ribadendo la sua inadeguatezza e
l’incapacità di esprimersi, della quale ammette di essere consapevole “Non
perch'io non m'aveggia quanto mia laude è 'ngiurïosa a voi”, ma dopo usa un
lessico molto chiaro in cui questa pulsione irrefrenabile verso la lode nei
confronti dell’amata si configura come vera e propria passione “contrastar non
posso al gran desio”. Segue l’appello al destinatario e alla sua capacità di
comprendere il dolore silenzioso del poeta “Principio del mio dolce stato rio,
altri che voi so ben che non m'intende”, appello che si perde in una sorta di
smarrimento descritto subito dopo: il poeta dice di sciogliersi come neve di
fronte agli occhi ardenti della donna, e ciò forse provoca un gentile sdegno in
lei, facendo precipitare il poeta in un vero e proprio desiderio di morte,
definita beata perché il poeta preferisce morire di fronte ai suoi occhi
piuttosto che vivere senza. Nella terza stanza insiste sul motivo della
clemenza ed esordisce in chiave pessimistica: non è il suo valore a salvarlo
dalla donna amata, ma la clemenza. Ricorre il lessico petroso, si pensi solo al
dettaglio del sangue che corre sparso nelle vene e che ricorda “così nel mio
parlar voglio esser aspro”. Quello che nella stanza precedente era stato un
desiderio di morte si concretizza nel desiderio di suicidio, frenato solo dal
timore della dannazione. Siamo di fronte di fronte al precipizio della
sofferenza quando inizia la quarta stanza, che evidenzia una volontà
diversamente orientata e si rivolge direttamente al dolore, accusandolo di
condurlo a dire ciò che non vorrebbe, e chiedendo facoltà di ritornare dove
invece lo spinge il piacere, ossia alla lode. Il discorso riprende in termini … e
fa un appello agli occhi della donna, in una sorta di excusatio per il suo
sviamento doloroso, ma per giustificarsi torna nuovamente al tema del
dolore, in pratica contraddicendosi per il lessico e le immagini impiegati. Il
poeta sottolinea il mutare del colorito del viso, ad indicare lo stato d’animo
sofferente d’amore; addirittura il poeta parla d’amore in questi termini…
ricordando l’amore che stava addosso a Dante in “così nel mio parlar voglio
esser aspro”. Il pericolo di un nuovo sconfinamento nel dolore viene
scongiurato da un rinnovato appello agli occhi della donna, col motivo della
beatitudine degli occhi di Laura, inficiata solamente dall’impossibilità degli
occhi di Laura di contemplare sé stessi; questo apre un’altra digressione.
Nella quinta stanza inizia la vera lode agli occhi, e dice che se a Laura fosse
nota questa divina bellezza, il cuore di lei troverebbe una gioia infinita, ma
ciò non è possibile. Questa descrizione di narcisismo va contro alla
descrizione della donna stilnovistica, che accetta le lodi altrui ma non loda se
stessa, poiché umile; risulta perciò surreale in questo contesto l’immagine di
una donna che, se potesse, si adorerebbe da sola. Di seguito la relativa che
dice “lumi del ciel, per li quali io ringratio la vita che per altro non m'è a grado”,
dicendo come il pensiero di Laura sia l’unico veramente importante. Il poeta
ringrazia per la vita di Laura, senza la quale nulla avrebbe senso. Con questa
frase il poeta si sbilancia enormemente, rischiando di sfociare nell’idolatria.
Questa infelicità prorompe nella sesta stanza in tre interrogative incalzanti,
nel quali il poeta reclama la continuità della presenza di Laura. L’inizio della
sesta stanza sembra ignorare questo passaggio, dicendo … ma anche qui la
proclamazione della bellezza è inficiata da una vena di idolatria, per cui la
vita è degna di ringraziamenti solo per la presenza dell’amata. Eppure ha una
conclusione sconsolata, perché il poeta, in pieno rapimento estatico, ritiene
necessario che il pianto interrompa la gioia, che il poeta torni a pensare a se
stesso, al tempo sprecato e alle lacrime versate.
Nonostante la nota grave, il canto riprende dal pensiero d’amore che alberga
nel poeta e che si svela come superiore ad ogni altra gioia, e che produce in
lui tanta gioia, da farlo sperare nell’immortalità. La stanza procede con
l’apparizione della donna che allontana momentaneamente angoscia e noia,
salvo tornare quando lei va via. La stanza si conclude con il ricordo: in questo
modo il seme riposto da lei può trasformarsi in frutto.
Il congedo afferma che il soggetto non sono gli occhi, ma colei che lo spera da
se stesso (si torna nel tema dell’oblio da sé); oggetto del canto è colei che lo
priva di se stesso, ossia Laura.
Una canzone come la 71 esplica la funzione di chiave di lettura a grande
spettro

71
Perché la vita è breve,
et l'ingegno paventa a l'alta impresa,
né di lui né di lei molto mi fido;
ma spero che sia intesa Commentato [MOU218]: possa giungere
là dov'io bramo, et là dove esser deve, Commentato [MOU219]: da Laura
la doglia mia la qual tacendo i' grido.
Occhi leggiadri dove Amor fa nido, Commentato [MOU220]: Amore ora si trastulla negli occhi
di Laura, ora ci fa il nido: ci sono diverse immagini simili che
a voi rivolgo il mio debile stile, accostano Amore a quegli occhi.
pigro da sé, ma 'l gran piacer lo sprona; Commentato [MOU221]: Debole ingegno poetico
et chi di voi ragiona
Commentato [MOU222]: Espressione ambigua in un
tien dal soggetto un habito gentile, concetto che potrebbe fare a meno di queste continue
che con l'ale amorose altalene
levando il parte d'ogni pensier vile. Commentato [MOU223]: Sollevando le ali
Con queste alzato vengo a dir or cose Commentato [MOU224]: Lo allontana
ch'ò portate nel cor gran tempo ascose. Commentato [MOU225]: Riferito alle ali
Non perch'io non m'aveggia
quanto mia laude è 'ngiurïosa a voi:
ma contrastar non posso al gran desio,
lo quale è 'n me da poi Commentato [MOU226]: Si trova in me da quando vidi ciò
che è inattingibile dal pensiero
ch'i' vidi quel che pensier non pareggia,
non che l'avagli altrui parlar o mio. Commentato [MOU227]: Lo eguagli
Principio del mio dolce stato rio,
altri che voi so ben che non m'intende.
Quando agli ardenti rai neve divegno, Commentato [MOU228]: Raggi = occhi
vostro gentile sdegno Commentato [MOU229]: Mi sciolgo
forse ch'allor mia indignitate offende.
Oh, se questa temenza Commentato [MOU230]: Questo timore
non temprasse l'arsura che m'incende, Commentato [MOU231]: Mi accende
beato venir men! ché 'n lor presenza
m'è più caro il morir che 'l viver senza.

Dunque ch'i' non mi sfaccia,


sí frale obgetto a sí possente foco, Commentato [MOU232]: Fragile oggetto davanti a così
potente fuoco
non è proprio valor che me ne scampi;
ma la paura un poco,
che 'l sangue vago per le vene agghiaccia, Commentato [MOU233]: Raffredda il sangue sparso per le
vene
risalda 'l cor, perché piú tempo avampi.
O poggi, o valli, o fiumi, o selve, o campi, Commentato [MOU234]: raffroza

o testimon' de la mia grave vita,


quante volte m'udiste chiamar morte!
Ahi dolorosa sorte
lo star mi strugge, e 'l fuggir non m'aita. Commentato [MOU235]: stare davanti agli occhi di lei
Ma se maggior paura
non m'affrenasse, via corta et spedita Commentato [MOU236]: il suicidio
trarrebbe a fin questa aspra pena et dura;
et la colpa è di tal che non à cura. Commentato [MOU237]: una Laura petrosa che non ha
pietà

Dolor, perché mi meni


fuor di camin a dir quel ch'i' non voglio?
Sostien ch'io vada ove 'l piacer mi spigne. Commentato [MOU238]: consentimi
Già di voi non mi doglio, Commentato [MOU239]: verso la lode
occhi sopra 'l mortal corso sereni, Commentato [MOU240]: luminosi oltre ogni cosa mortale
né di lui ch'a tal nodo mi distrigne.
Vedete ben quanti color' depigne Commentato [MOU241]: il volto cambia colore per
malanno d’amore
Amor sovente in mezzo del mio volto,
et potrete pensar qual dentro fammi,
là 've dí et notte stammi
adosso, col poder ch'à in voi raccolto, Commentato [MOU242]: potere che ha raccolto nei vostri
occhi
luci beate et liete
se non che 'l veder voi stesse v'è tolto; Commentato [MOU243]: se non fosse che non siete in
grado di vedervi
ma quante volte a me vi rivolgete,
conoscete in altrui quel che voi siete. Commentato [MOU244]: potete vedervi attraverso di me e
della beatitudine che mi causate

S'a voi fosse sí nota


la divina incredibile bellezza
di ch'io ragiono, come a chi la mira,
misurata allegrezza Commentato [MOU245]: misurata… non = smisurata
non avria 'l cor: però forse è remota
dal vigor natural che v'apre et gira. Commentato [MOU246]: virtù sensitiva
Felice l'alma che per voi sospira,
lumi del ciel, per li quali io ringratio
la vita che per altro non m'è a grado!
Oimè, perché sí rado
mi date quel dond'io mai non son satio?
Perché non piú sovente
mirate qual Amor di me fa stracio?
E perché mi spogliate immantanente Commentato [MOU247]: subito
del ben ch'ad ora ad or l'anima sente? Commentato [MOU248]: .. alla vostra presenza

Dico ch'ad ora ad ora,


vostra mercede, i' sento in mezzo l'alma
una dolcezza inusitata et nova,
la qual ogni altra salma
di noiosi pensier' disgombra allora, Commentato [MOU249]: Elimina il peso di noiosi pensieri
sí che di mille un sol vi si ritrova: Commentato [MOU250]: Mille pensieri
quel tanto a me, non piú, del viver giova.
Et se questo mio ben durasse alquanto,
nullo stato aguagliarse al mio porrebbe;
ma forse altrui farrebbe
invido, et me superbo l'onor tanto: Commentato [MOU251]: Farebbe invidia a molti
però, lasso, convensi Commentato [MOU252]: Mi renderebbe superbo
che l'extremo del riso assaglia il pianto,
e 'nterrompendo quelli spirti accensi
a me ritorni, et di me stesso pensi.

L'amoroso pensero
ch'alberga dentro, in voi mi si discopre
tal che mi trâ del cor ogni altra gioia;
onde parole et opre
escon di me sí fatte allor ch'i' spero
farmi immortal, perché la carne moia. Commentato [MOU253]: Spero l’immortalità
Fugge al vostro apparire angoscia et noia,
et nel vostro partir tornano insieme.
Ma perché la memoria innamorata
chiude lor poi l'entrata, Commentato [MOU254]: Ad angoscia e noia
di là non vanno da le parti extreme;
onde s'alcun bel frutto
nasce di me, da voi vien prima il seme:
io per me son quasi un terreno asciutto,
cólto da voi, e 'l pregio è vostro in tutto.

Canzon, tu non m'acqueti, anzi m'infiammi


a dir di quel ch'a me stesso m'invola:
però sia certa de non esser sola. Commentato [MOU255]: Infatti ce ne sono altri 2

La sestina 80 ha esito religioso, e ritroviamo l’immagine della piccola barca


che il buon cristiano deve saper governare e condurre fino al porto della
salvezza, metafora molto cara a Petrarca. Le rime sono le 6 parole attraverso
le quali il poeta costruisce il discorso: il legno è la nave della vita, n cerca del
proprio fine, con una vela che può essere gonfiata dal vento della passione,
gli scogli come traviamento e il porto come la salvezza. Visione sofferta
quella illustrata dalla sestina 80, una lotta nel tentativo di guadagnarsi il
porto sicuro. Il motivo è quello dell’incertezza dell’esistenza, tale per via
degli sviamenti, fino alla preghiera finale nel congedo, nel quale ci si affida a
Dio.
La sestina 80 non è un componimento morale. Tradizionalmente la sestina
viene utilizzata per rappresentare la potenza del desiderio, e non per definire
argomenti di questo tipo, ma Petrarca lo fa di proposito, sottopone la sestina
ad una trasformazione, sottoponendo a palinodia alcuni contenuti e il metro
stesso, per cui approda ad una sestina morale attraverso una sacralizzazione
del metro. Se nella canzone 70 prendeva le distanze da una certa tradizione,
snaturando la sestina rendendola a scopo morale, prende posizione rispetto
ad una certa tradizione; usare quel componimento attraverso il quale si
rappresentata la sensualità e la passione terrena per esprimere altri concetti.
Il soggetto è fortemente contradditorio: ci sono die propositi, ma non sono
mai completamente assunti, puntellati da una serie di “se”. La sestina 80
diventa una riflessione non solo sulle tensioni dell’io sul porto della salvezza,
ma anche sulla reale possibilità di raggiungere e di restare stabilmente nel
porto. In questa prospettiva, dal momento che ci rappresenta questo
movimento ondulante che imprigiona l’anima, è letta come rappresentazione
in scala ridotta del Canzoniere. L’incerta navigazione tra i flutti del mare si
differenza da un testo come le Confessioni di Agostino, come dal pellegrino
Dantesco, che incontriamo sì smarrito nella selva, ma non perduto.

80
Chi è fermato di menar sua vita Commentato [MOU256]: Ha deciso
su per l'onde fallaci et per gli scogli Commentato [MOU257]: condurre
scevro da morte con un picciol legno, Commentato [MOU258]: ingannevoli
non pò molto lontan esser dal fine:
però sarrebbe da ritrarsi in porto Commentato [MOU259]: converrebbe
mentre al governo anchor crede la vela. Commentato [MOU260]: la vela crede ancora al governo =
fin quando obbedisce ancora
L'aura soave a cui governo et vela
commisi entrando a l'amorosa vita Commentato [MOU261]: affidai
et sperando venire a miglior porto, Commentato [MOU262]: di giungere alla salvezza
poi mi condusse in piú di mille scogli; Commentato [MOU263]: l’amore si rivela un ingannevole
et le cagion' del mio doglioso fine errore giovanile

non pur d'intorno avea, ma dentro al legno. Commentato [MOU264]: esito tanto doloroso

Chiuso gran tempo in questo cieco legno


errai, senza levar occhio a la vela Commentato [MOU265]: badare al controllo
ch'anzi al mio dí mi trasportava al fine; Commentato [MOU266]: prima del tempo
poi piacque a lui che mi produsse in vita Commentato [MOU267]: a Dio che mi creò
chiamarme tanto indietro da li scogli
ch'almen da lunge m'apparisse il porto.

Come lume di notte in alcun porto


vide mai d'alto mar nave né legno
se non gliel tolse o tempestate o scogli,
cosí di su da la gomfiata vela
vid'io le 'nsegne di quell'altra vita,
et allor sospirai verso 'l mio fine.

Non perch'io sia securo anchor del fine:


ché volendo col giorno esser a porto
è gran vïaggio in cosí poca vita;
poi temo, ché mi veggio in fraile legno,
et piú che non vorrei piena la vela
del vento che mi pinse in questi scogli.

S'io esca vivo de' dubbiosi scogli, Commentato [MOU268]: possa io uscire
et arrive il mio exilio ad un bel fine, Commentato [MOU269]: parola topica per indicare la vita
ch'i' sarei vago di voltar la vela, terrena

et l'anchore gittar in qualche porto! Commentato [MOU270]: desideroso di cambiare direzione

Se non ch'i' ardo come acceso legno,


sí m'è duro a lassar l'usata vita. Commentato [MOU271]: tanto mi è difficile… tema stoico
ripreso ampiamente da Petrarca. Conoscere il bene non
significa automaticamente farlo, anzi richiede un enorme
Signor de la mia fine et de la vita, sforzo di volontà
prima ch'i' fiacchi il legno tra gli scogli Commentato [MOU272]: della mia morte e della mia vita
drizza a buon porto l'affannata vela. Commentato [MOU273]: naufraghi. Mantiene la metafora
della navigazione
Differenza tra una sestina morale (inedita) e quella solita come la 30. Commentato [MOU274]: conduci rettamente

4/04/2022

Anche la 142 è una sestina morale.


Petrarca fa riferimento al terzo cielo, quello di Venere, della concupiscenza.
Evidenzia il poeta come la funzione del lauro e quindi di Laura fi, dal primo
momento in cui si mostrò all’amante, quella di preservarlo dall’influsso
dell’astro e dall’ardente desiderio proveniente da esso. All’interno della
canzone quando si parla di fedeltà al lauro e a Laura si fa riferimento ad una
donna casta e pura, che proprio per questa sua qualità lo salva dalle
tentazioni. La ritrosia di laura è giudicata in diversi modi da Dante.
All’interno della sestina vediamo i segni del pentimento da parte del soggetto
e l’assegnazione a laura di ruolo di guida salvifica, icona già impostata a
partire dalla canzone 70 e si pone come testo guida del canzoniere e rimanda
a molte pagine del Secretum, complice anche la percezione del tempo che
fugge delle ultime strofe, motivo pregnante dell’intero Canzoniere: il poeta
non perde occasione per riflettere sula fugacità del tempo. A questa sestina
numerose con numerosi contrappunti lessicali che ci permettono di disegnare
il ponte, risponde la canzone 264. È la quinta delle nove sestine presenti
all’interno del Canzoniere e svolge una funzione riassuntiva, tratteggiano un
bilancio di vita del poeta, all’ombra degli emblemi laurani. Sin dalla
giovinezza il lauro fu refrigerio, rifugio, difeso dalle folgori provenienti dal
terzo cielo. Da questo punto di vista non siamo lontani da quella ossessione
che agostino aveva rimproverato a Francesco nel Secretum. “Abbagliato allo
stesso modo dallo splendore del suo nome… hai smisuratamente amato…
perché lei si chiamava così” l’orientamento, che sia di tipo spirituale o
sensuale, è comunque errato. Il nucleo concettuale si basa su una chiave di
lettura ben precisa, ossia la funzione del lauro e di Laura, che è stata di averlo
preservato: la rispondenza del dialogo latino è illuminante: “lei ha
allontanato... da ogni bruttura… mi insegnava cosa si addice ad un animo
virile… amore della pudicizia”.
La sestina è divisa in due momenti: il primo rivolto alla ricerca degli amati
rami e quello che prospetta il futuro all’insegna di una rinnovata coscienza
morale, sulla via del divenire dell’uomo. A connettivo delle due parti stano i
leggiadri rami di lauro/Laura, simbolo della poesia e della donna, sublimati a
simbolo di castità e purezza e viatico ad un amore caritas, che allontana dai
pericoli di un sentimento razionale. Il componimento rafforza il proposito di
redenzione avanzato nella sestina 80 e il congedo della 142 non mette in
discussione la funzione salvifica della pianta amorosa, che addirittura induce
a duna conversione per cui sia abbandona la tranquilla ombra del lauro per
un sentiero più difficile e tortuoso. La dimensione religiosa si esplica nella
seconda parte della sestina: l’amore casto non è condannato come avrebbe
voluto Agostino, anzi appare come passaggio positivo verso un amore
elevato. Il rifiuto di laura è allora un gesto che non si limita alla semplice
negazione e non è riconducibile al capriccio di una donna crudele (petrosa),
ma diviene giusto comportamento etico, addirittura strumento attivo di
elevazione morale e l’amante ha acquistato questa consapevolezza illuminato
dalla grazia divina, che gli ha fatto riconoscere l’insufficienza di un
sentimento che non poteva operare attivamente per la salvezza, e lo induce
ad intraprendere la strada del calvario, dove i bracci del lauro si sublimano
nelle braccia di Cristo. In questo modo la 142 esprime il proposito di
redenzione del poeta, che aveva già avanzato nella sestina 80 fortemente
religiosa.

142
A la dolce ombra de le belle frondi Commentato [MOU275]: il lauro = Laura è il rifugio contro il
“dispietato lume”
corsi fuggendo un dispietato lume
che'nfin qua giú m'ardea dal terzo cielo; Commentato [MOU276]: desiderio concupiscente

et disgombrava già di neve i poggi


l'aura amorosa che rinova il tempo, Commentato [MOU277]: soggetto
et fiorian per le piagge l'erbe e i rami.

Non vide il mondo sí leggiadri rami, Commentato [MOU278]: fa riferimento anche alle belle
membra di Laura
né mosse il vento mai sí verdi frondi
come a me si mostrâr quel primo tempo: Commentato [MOU279]: l’evento fatidico
dell’innamoramento
tal che, temendo de l'ardente lume,
non volsi al mio refugio ombra di poggi,
ma de la pianta piú gradita in cielo. Commentato [MOU280]: ad Apollo

Un lauro mi difese allor dal cielo, Commentato [MOU281]: dal primo momento
dell’innamoramento
onde piú volte vago de' bei rami
da po' son gito per selve et per poggi; Commentato [MOU282]: desideroso

né già mai ritrovai tronco né frondi Commentato [MOU283]: forse un riferimento


autobiografico ai numerosi viaggi di Petrarca
tanto honorate dal supremo lume
Commentato [MOU284]: o donne
che non mutasser qualitate a tempo.

Però piú fermo ognor di tempo in tempo, Commentato [MOU285]: fermamente


seguendo ove chiamar m'udia dal cielo Commentato [MOU286]: il richiamo del cielo (si riferisce
e scorto d'un soave et chiaro lume, non ad un amore concupiscente, ma sublimato)

tornai sempre devoto ai primi rami


et quando a terra son sparte le frondi
et quando il sol fa verdeggiar i poggi.

Selve, sassi, campagne, fiumi et poggi,


quanto è creato, vince et cangia il tempo:
ond'io cheggio perdono a queste frondi,
se rivolgendo poi molt'anni il cielo
fuggir disposi gl' invescati rami
tosto ch'incominciai di veder lume.

Tanto mi piacque prima il dolce lume


ch'i' passai con diletto assai gran poggi Commentato [MOU287]: le strade più impervie
per poter appressar gli amati rami: Commentato [MOU288]: pur di stare alla sua presenta
ora la vita breve e 'l loco e 'l tempo Commentato [MOU289]: l’avvicinarsi della morte
mostranmi altro sentier di gire al cielo
et di far frutto, non pur fior' et frondi. Commentato [MOU290]: agire concretamente e di non
limitarsi ai buoni propositi

Altr'amor, altre frondi et altro lume, Commentato [MOU291]: guida


altro salir al ciel per altri poggi
cerco, ché n'é ben tempo, et altri rami. Commentato [MOU292]: è arrivato il momento giusto

La canzone 264 costituisce con.. gli ultimi componimenti in vita di Laura. È


una canzone id profonda autoanalisi: Laura appare ancora viva e l’amore per
lei è uno dei nodi che trattiene l’anima; dall’altra parte c’è una sete insaziabile
di gloria, anche di fronte alla consapevolezza che essa non sia altro che vento.
Evidenti i richiami alla 142 e a quello proemiale. Macroscopici i legami col
Secretum (contrapposizione tra realtà e illusioni e alla presa in
considerazione del motivo della conversio ad creaturam, duramente
stigmatizzata da Agostino). È il grande manifesto dell’introspezione
petrarchesca: all’interno della canzone da voce alla resipiscenza, ossia la
consapevolezza dei propri errori. Il soggetto, che si dice ancora vinto dagli
amori e fama, riflette amaramente. La vita come carcere morale, le braccia di
cristo aperte al peccatore, la meditatio mortis, la vergogna del proprio stato e,
tema agostiniano per eccellenza, il tempo. L’errore per eccellenza è quello di
amare la creatura al posto del creatore. La canzone va letta sulla falsa riga del
terzo libro del Secretum, convertendo in forma lirica la sua drammaticità e
ricorre il senso delle oscillazioni: da un lato l’amore, dall’altro l’aspirazione
alla gloria, dilaniano la creatura sofferente. Dall’abisso, la creatura fa l’unica
cosa possibile, ossia innalzare a Dio una preghiera, perché possa sciogliere
questi nodi tanto saldi attorno a lui. Seppure il poeta intraveda un nuovo
approdo per la sua anima lacerata, non siamo alle prese con l’impostazione
dantesca, del liturgico rituale della penitenza puntualmente descritto nel
Purgatorio. Nel caso di Petrarca abbiamo un sentito esame di coscienza, di
fronte ad un vero e proprio dramma etico: da una parte c’è il malcostume e
dall’altra la tensione al buon porto: resta comunque un agens (soggetto
agente) che non è in grado di voler in maniera risoluta, a differenza di Dante.
Nel finale ci si affida ad una frase sintomatica “veggio 'l meglio, et al peggior
m'appiglio”, inconcepibile per Dante.
Mancano 100 componimenti prima del 366, con un Petrarca che ha tutto il
tempo per vedere e volgersi al meglio, ma lo sceglie con i termini che ben
conosciamo, facendo prevalere una volontà non abbastanza forte. Di certo
sulla falsa riga della canzone 70 e delle litanie degli occhi e della 142 si
registrano forti segni di mutatio animi.
Se l’inizio dell’amore si riconduce al giorno della morte di Cristo, la morte
dell’amore, il discostarsi da quell’orientamento, coincide con la nascita di
cristo, avviando il percorso del soggetto verso nuovi lidi.

264
I' vo pensando, et nel penser m'assale
una pietà sí forte di me stesso,
che mi conduce spesso
ad altro lagrimar ch'i' non soleva: Commentato [MOU293]: non più dell’amore ma del
pentimento
ché, vedendo ogni giorno il fin piú presso,
mille fïate ò chieste a Dio quell'ale Commentato [MOU294]: ali
co le quai del mortale
carcer nostro intelletto al ciel si leva.
Ma infin a qui nïente mi releva
prego o sospiro o lagrimar ch'io faccia:
e cosí per ragion conven che sia,
ché chi, possendo star, cadde tra via,
degno è che mal suo grado a terra giaccia.
Quelle pietose braccia
in ch'io mi fido, veggio aperte anchora,
ma temenza m'accora
per gli altrui exempli, et del mio stato tremo,
ch'altri mi sprona, et son forse a l'extremo.

L'un penser parla co la mente, et dice:


- Che pur agogni? onde soccorso attendi?
Misera, non intendi
con quanto tuo disnore il tempo passa?
Prendi partito accortamente, prendi;
e del cor tuo divelli ogni radice
del piacer che felice
nol pò mai fare, et respirar nol lassa.
Se già è gran tempo fastidita et lassa
se' di quel falso dolce fugitivo
che 'l mondo traditor può dare altrui,
a che ripon' piú la speranza in lui,
che d'ogni pace et di fermezza è privo?
Mentre che 'l corpo è vivo,
ài tu 'l freno in bailia de' penser' tuoi:
deh stringilo or che pôi,
ché dubbioso è 'l tardar come tu sai,
e 'l cominciar non fia per tempo omai.

Già sai tu ben quanta dolcezza porse


agli occhi tuoi la vista di colei
la qual ancho vorrei
ch'a nascer fosse per piú nostra pace.
Ben ti ricordi, et ricordar te 'n dêi,
de l'imagine sua quand'ella corse
al cor, là dove forse
non potea fiamma intrar per altrui face:
ella l'accese; et se l'ardor fallace
durò molt'anni in aspectando un giorno,
che per nostra salute unqua non vène,
or ti solleva a piú beata spene,
mirando 'l ciel che ti si volve intorno,
immortal et addorno:
ché dove, del mal suo qua giú sí lieta,
vostra vaghezza acqueta
un mover d'occhi, un ragionar, un canto, Commentato [MOU295]: di Laura
quanto fia quel piacer, se questo è tanto? -

Da l'altra parte un pensier dolce et agro,


con faticosa et dilectevol salma
sedendosi entro l'alma,
preme 'l cor di desio, di speme il pasce;
che sol per fama glorïosa et alma
non sente quand'io agghiaccio, o quand'io flagro,
s'i' son pallido o magro;
et s'io l'occido piú forte rinasce.
Questo d'allor ch'i' m'addormiva in fasce
venuto è di dí in dí crescendo meco,
e temo ch'un sepolcro ambeduo chiuda.
Poi che fia l'alma de le membra ignuda,
non pò questo desio piú venir seco;
ma se 'l latino e 'l greco
parlan di me dopo la morte, è un vento:
ond'io, perché pavento
adunar sempre quel ch'un'ora sgombre,
vorre' 'l ver abbracciar, lassando l'ombre.

Ma quell'altro voler di ch'i'son pieno,


quanti press'a lui nascon par ch'adugge;
e parte il tempo fugge
che, scrivendo d'altrui, di me non calme;
e 'l lume de' begli occhi che mi strugge
soavemente al suo caldo sereno,
mi ritien con un freno
contra chui nullo ingegno o forza valme.
Che giova dunque perché tutta spalme
la mia barchetta, poi che 'nfra li scogli
è ritenuta anchor da ta' duo nodi?
Tu che dagli altri, che 'n diversi modi
legano 'l mondo, in tutto mi disciogli,
Signor mio, ché non togli
omai dal volto mio questa vergogna?
Ché 'n guisa d'uom che sogna,
aver la morte inanzi gli occhi parme;
et vorrei far difesa, et non ò l'arme.
Quel ch'i' fo veggio, et non m'inganna il vero
mal conosciuto, anzi mi sforza Amore,
che la strada d'onore
mai nol lassa seguir, chi troppo il crede;
et sento ad ora ad or venirmi al core
un leggiadro disdegno aspro et severo
ch'ogni occulto pensero
tira in mezzo la fronte, ov'altri 'l vede:
ché mortal cosa amar con tanta fede
quanta a Dio sol per debito convensi,
piú si disdice a chi piú pregio brama.
Et questo ad alta voce ancho richiama
la ragione svïata dietro ai sensi;
ma perch'ell'oda, et pensi
tornare, il mal costume oltre la spigne,
et agli occhi depigne
quella che sol per farmi morir nacque,
perch'a me troppo, et a se stessa, piacque.

Né so che spatio mi si desse il cielo Commentato [MOU296]: quanto tempo mi è stato dato da
vivere
quando novellamente io venni in terra
a soffrir l'aspra guerra
che 'ncontra me medesmo seppi ordire; Commentato [MOU297]: è lui la cagione del suo, male, non
fattori esterni
né posso il giorno che la vita serra
antiveder per lo corporeo velo; Commentato [MOU298]: prevedere il giorno in cui morirò
ma varïarsi il pelo Commentato [MOU299]: maturare
veggio, et dentro cangiarsi ogni desire. Commentato [MOU300]: cambiare il mio desiderio
Or ch'i' mi credo al tempo del partire (mutatio animi)

esser vicino, o non molto da lunge,


come chi 'l perder face accorto et saggio, Commentato [MOU301]: è reso saggio dalle perdite
vo ripensando ov'io lassai 'l vïaggio
de la man destra, ch'a buon porto aggiunge:
et da l'un lato punge
vergogna et duol che 'ndietro mi rivolve;
dall'altro non m'assolve
un piacer per usanza in me sí forte
ch'a patteggiar n'ardisce co la morte.

Canzon, qui sono, ed ò 'l cor via piú freddo


de la paura che gelata neve,
sentendomi perir senz'alcun dubbio:
ché pur deliberando ò vòlto al subbio Commentato [MOU302]: ha a che fare con frutti e foglie
gran parte omai de la mia tela breve; Commentato [MOU303]: legno rotondo attorno al quale i
né mai peso fu greve tessitori avvolgevano la tela

quanto quel ch'i' sostengo in tale stato:


ché co la morte a lato
cerco del viver mio novo consiglio,
et veggio 'l meglio, et al peggior m'appiglio.

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