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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA – LA SAPIENZA

ANNO ACCADEMICO 1985–86

GEORG STIERNHIELM: LA POESIA COME


EVOCAZIONE SIMBOLICA ED
INSEGNAMENTO ETICO

TESI PRESENTATA ALLA


FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE MODERNE*

ISTITUTO DI LINGUE E LETTERATURE SCANDINAVE

DA
MAURO RUGGIRELLO

RELATORE: PROF. ALDA CASTAGNOLI–MANGHI


CORRELATORE: PROF. TERESA PÀROLI

*
Tesi riveduta e corretta (dicembre 2021).
1
Premessa

Georg Stiernhielm (1598-1672) è il più famoso poeta svedese del XVII secolo ed il rappresentante
più eminente delle idee scientifiche e letterarie che presero forma durante il Rinascimento e
confluirono poi nel Barocco. Nella sua opera principale, Hercules (Ercole, 1658), un poema
allegorico–didascalico, Stiernhielm fa convergere tanto i risultati dei suoi studi linguistici quanto i
suoi interessi filosofici.

Georg Stiernhielm (Nationalmuseum, Stockholm)

2
Indice

Introduzione ............................................................................................ p. 4
Georg Stiernhielm e la corte della regina Kristina ................................. p. 5
Le premesse letterarie e linguistiche dell’Hercules................................. p. 10
Teorie linguistiche di Stiernhielm ........................................................... p. 13
Studi filosofici di Stiernhielm .................................................................. p. 18
Hercules – la composizione e i motivi ..................................................... p. 21
Hercules .................................................................................................. p. 25
Le parole-chiave dell’Hercules ............................................................... p. 59
Conclusioni – La filosofia dell’Essere di Stiernhielm............................. p. 62
Appendice – La fortuna dell’Hercules .................................................... p. 67
Bibliografia ............................................................................................. p. 69

3
Introduzione

Georg Stiernhielm (1598-1672) è il più celebre poeta svedese del XVII secolo e il rappresentante
più tipico ed eminente delle idee scientifiche e letterarie che presero forma in Svezia durante il
Rinascimento e che confluirono poi nel Barocco.
È nelle scienze matematiche e soprattutto nel linguaggio che Stiernhielm vede le più nobili
creazioni del pensiero umano: è infatti in questi due campi che svolgerà gran parte dellla sua
attività. Non mancherà inoltre di partecipare all’entusiasmo, già iniziato nel Rinascimento, per il
raggiungimento della dignità e lo sviluppo di una lingua nazionale.
Il poema allegorico–didascalico Ercole (Hercules), pubblicato da Stiernhielm nel 1658, ma già
terminato una decina d’anni prima, appare nella storia della letteratura svedese come la prima opera
poetica alla quale si possa applicare l’epiteto di moderna. Stiernhielm sarà infatti considerato dalla
critica, soprattutto romantica, il padre della poesia svedese: den svenska skaldekonstens fader.
Per capire uno scrittore del Barocco, e di conseguenza Stiernhielm stesso e la sua opera principale,
l’Hercules, non bisogna dimenticare che l’idea di incarnare l’uomo universale è sempre presente
nello studioso e nell’artista. Non è possibile infatti trovare un qualsiasi cultore di una delle
discipline artistiche che non si interessi o sappia di filosofia, o non abbia cercato, se filosofo, nella
medicina o nelle scienze naturali, una ragione di essere; poichè l’interesse fondamentale per l’uomo
del Barocco, come per l’uomo rinascimentale, è scoprire, cioè rendere palese, il rapporto tra
l’esistente (l’Io) e l’esistenza (il Mondo) come emanazione di Dio. Così è necessario cogliere un
autore di tale periodo nella sua molteplicità di esperienze, a volte separate e a prima vista slegate le
une dalle altre, per ricostruire le sue intenzioni, concretizzatesi nella sua opera.
Nel caso dell’Hercules, Stiernhielm fa convergere in esso tanto i suoi studi linguistici quanto i suoi
interessi filosofici. Il legame tra linguistica e filosofia, almeno per quanto riguarda Stiernhielm, è il
tentativo di dimostrare come tutto ciò che opera ed esiste converga in un unico fattore che
determina e l’operare e l’esistere, cioè Dio.
Lo scopo dell’Hercules è allora ovvio per un uomo degli studi di Stiernhielm. Il soggetto di questo
poema è l’apologo morale di Ercole al bivio, tema già abbastanza noto ai contemporanei attraverso
una tradizione iniziata da Senofonte nei suoi Memorabilia, e ripresa poi in epoche successive da
altri autori. Ercole, posto dinanzi alla scelta tra la via del Vizio e quella della Virtù, rappresenta
un’incarnazione di vittoria della forza morale. Ma se il soggetto scelto da Stiernhielm per la sua
opera non è certo originale, originale è sicuramente la sua rielaborazione, sia come stile che come
contenuto (messaggio etico). Non è un caso infatti che Stiernhielm proponga un Ercole al bivio, un
Ercole che deve scegliere la sua via, altrimenti non avrebbe potuto dimostrare che l’uomo nasce per
migliorarsi attraverso le "prove" che la vita gli offre, fino a trovare, se gli è dato, il suo indissolubile
rapporto con Dio.
Agli occhi di Stiernhielm la figura di Ercole “gentiluomo” è soprattutto il simbolo della fede nel
posto elevato che l’uomo occupa nella creazione, fede nella sua missione, simbolo che forma il
nocciolo della sua filosofia platonico–umanistica. È di questo che il poema tratta, anche se ciò non
impedisce affatto al poeta di dargli esteriormente la forma di un trattato sulla nobiltà, sul suo
fondamento e i suoi doveri.
Su tale tipo di approccio al poema la critica svedese moderna è divisa. Pur essendo tutti sono
d’accordo sul valore letterario dell’opera, c’è chi ritiene (S. Lindroth) l’Hercules un’opera
sostanzialmente diretta all’educazione della giovane nobiltà svedese del tempo, senza vedere in essa
un significato più profondo. E c’è invece chi (A. Friberg), tenendo conto delle molteplici influenze
culturali e filosofiche che si esercitano sullo studioso–letterato del periodo barocco in Svezia, cerca
di vedervi un messaggio più umano ed etico, anzi ermetico, che superi l’esteriorità del poema e ne
faccia veramente, pur nei suoi limiti innegabili, un capolavoro.

4
Georg Stiernhielm e la corte della regina Kristina: cenni storici e biografici

Negli anni 1643–44 alla corte di Svezia, durante il regno della regina Kristina, una serie di letterati
e studiosi si avvicendano sulla scena culturale. Uno di essi è Georg Stiernhielm, non ultimo per
importanza, e che molto risente nella sua opera dell’influenza dell’ambiente culturale di quegli anni.
La corte svedese vive proprio in questo periodo una sorta di rinascimento umanistico propiziato dal
successo della guerra dei trent’anni. Non è un caso, infatti, che nelle “storie della letteratura
svedese” si sia parlato, fino a tempi recenti, di tale periodo come dello “Stormaktstiden”1 (periodo
in cui la Svezia è diventata una grande potenza europea). Sotto il regno di Gustav II Adolf (1611-
1632) la Svezia partecipa alla guerra dei trent’anni, che si concluderà successivamente, sotto il
regno di Kristina, con la pace di Westfalia (1648). Al Paese ne vengono possedimenti nel Baltico
orientale, nel Mare del Nord, nonché vantaggi economici non trascurabili. Ma il fatto di maggiore
importanza è che per mezzo di questa guerra la Svezia ha la possibilità di entrare in contatto diretto
con la vita europea, partecipandovi da grande potenza. Si avvera così il sogno dei re svedesi fin dal
tempo di Gustav Vasa (1532-1560). Con la morte di Gustav II Adolf (1632) è la grande nobiltà a
reggere lo Stato, finché la figlia del re Kristina non avrà raggiunto la maggiore età, nel 1644.
Intorno alla regina Kristina (1626-1689)2 si riunisce tutta la giovane nobiltà. Potenze straniere
stabiliscono legazioni più o meno permanenti e alcuni dei più colti e interessanti uomini d’Europa
vengono chiamati a Stoccolma. Lo stesso René Descartes (Cartesio) giunge nel 1649 alla corte
svedese. Lì il “poveretto” dovette subire la “fame di sapere” della giovane regina, che lo voleva
presso di sé per discussioni filosofiche persino alle quattro del mattino3. Contemporaneamente la
regina Kristina raccoglie e acquista, oltre che opere d’arte, libri e manoscritti, formando una delle
biblioteche più grandi d’Europa.
Balletti, spettacoli, intrattenimenti, discussioni dotte sul fine della vita costruiscono l’apparato
esterno di questo periodo di grande splendore. Però il filone d’oro che spinge Kristina fino alla
conversione4 rischia di perdersi nell’apparente molteplicità di influenze filosofiche: aristotelismo,
neoplatonismo, la filosofia “razionalistica” e René Descartes, paracelsismo, ecc.5 Ma Paracelso e
neoplatonismo perseguono un solo scopo: l’unione dell’uomo con il Principio Unico o Dio.
L’unione che cercano e proclamano non è un’unione passiva, ma attiva, che l’uomo deve praticare.
Tutto ciò che si cela sotto gli enigmi dell’alchimia è la spiegazione della via che porta a Dio e alla
Sua perfezione: Kristina cerca questo6, così come J. Bureus, uno degli studiosi più in vista del
tempo.7 Non è un caso infatti che gli autori da lui più letti sono Giordano Bruno, Arnaldo da
Villanova, Raimondo Lullo, Marsilio Ficino, Agrippa e Reuchlin, tutti legati all’alchimia o
alchimisti.8 Così Kristina, quando viene in Italia, dopo l’abdicazione al trono per essersi convertita,
si circonda della “scuola” alchimistica italiana, tra cui Santinelli, Borri e M. Palombara.9
La situazione economica, nel tempo della regina Kristina, è sempre dominata dalla nobiltà, che ha
ricevuto come compenso di guerra (dalla guerra dei trent’anni) enormi concessioni territoriali.
D’altra parte la borghesia cresce d’importanza, mentre i contadini si trovano in una condizione
sempre più misera. L’aristocrazia dunque domina, e anche la cultura resta ancora suo appannaggio.

1
Si fa generalmente cominciare il periodo con la salita al trono di Gustav II Adolf (1611) per terminare con la morte di
Karl XII (1718).
2
Soprannominata la “Pallade Atena del Nord”.
3
Cfr. H. Schück e K. Warburg, Illustrerad svensk litteraturhistoria, III ed., Stockholm, 1927, II parte, p. 149 sg.
4
Kristina abdicò nel 1654 e si convertì al cattolicesimo.
5
Cfr. J. Nordström, Inledning till de filosofiska fragmenten; Samlade skrifter av G. Stiernhielm; SFSV VIII, 1924 sgg.;
II parte I volume, p. CCVII sgg.
6
Cfr. J. Nordström, op. cit., p. CCIX.
7
Johannes Th. Bureus (1568-1652) pensatore, mistico e filologo, iniziò in Svezia lo studio delle rune e scrisse una
grammatica della lingua svedese. Ebbe molta fama e influenzò il pensiero di Stiernhielm, soprattutto in campo
linguistico.
8
Cfr. J. Nordström, op. cit., p. CLXXVII.
9
Cfr. M. Gabrieli, Il giardino di Hermes, ed. Janua, 1986; cap. I, Gli alchimisti della regina.
5
Si viene, d’altronde, a creare una burocrazia colta i cui membri vengono scelti, oltre che tra
l’aristocrazia, sempre più tra la borghesia10. La scolarizzazione aumenta11, e istituti come il Collegio
delle Antichità (Antikvitetskollegiet, fondato nel 1667) sono finanziati dallo Stato12.
La regina Kristina e la nobiltà sono il centro di raccolta culturale ed economica; così letterati e poeti
si raccolgono a Stoccolma. Per la prima volta la letteratura avrà un punto centrale nella capitale. Ed
è forse la prima volta che si forma un pubblico letterario, che tra l’altro è per la maggioranza laico,
così come gli autori. La letteratura finisce con l’uniformarsi alle esigenze di questo pubblico,
mondanizzandosi, a differenza del genere fino ad allora più diffuso, quasi esclusivamente
religioso13. Gli autori che non usufruiscono, operando nell’amministrazione pubblica, di un
sostentamento, dipendono da un mecenate, di solito un nobile, o dal re. Forse, solo nel compito di
educatore si prospetta un’ulteriore possibilità di occupazione per uno scrittore. Gli unici a trovare
nella penna il proprio sostentamento sono i “poeti di matrimoni e funerali” (bröllops– och
begravningspoeterna), che conducono comunque una vita misera, e vengono spesso considerati alla
stregua di straccioni14. Anche il poeta che opera nell’area della corte d’altrone si “esibisce” in una
produzione di composizioni encomiastiche, per compleanni e ricorrenze, e così anche Stiernhielm
inizia la sua carriera di scrittore alla corte di Kristina, componendo due poesie in occasione del
compleanno della regina15.

Georg Stiernhielm nasce il 7 agosto 1598 a Vika, nella Dalecarlia, da una famiglia che era già stata
al servizio del re, e manteneva ancora, malgrado le condizioni economiche non troppo floride, una
certa importanza nella regione16. Il padre, Olof Markvardsson, un uomo relativamente colto per il
suo tempo, cerca di dare a Georg un’educazione che potesse metterlo in condizione di entrare al
servizio dello Stato.
Della giovinezza di Stiernhielm17 e dei primi anni di scuola non si hanno notizie. È probabile
comunque che avesse studiato a Västerås, prima di iscriversi nel 1611–1612 al Collegium privato di
Johannes Rudbeckius, a Uppsala, dove rimane fino all’estate del 161518.
Il giovane Georg Stiernhielm si accosta, in questi anni, alla cultura enciclopedica del tempo, alla
filosofia aristotelica, ma soprattutto alla letteratura classica, latina e greca. Nel 1615 viene
immatricolato all’università di Greifswald, in Pomerania, dove ha modo di entrare in contatto con le
correnti di pensiero europee. Ma questa non è che una tappa del suo viaggio di studio, che lo
porterà, durante otto anni, in diverse università tedesche, oltre che in Olanda, forse a Leiden, e
probabilmente in Francia e in Italia19.
All’inizio del 1624 troviamo Stiernhielm a Västerås, al servizio del vescovo Johannes Rudbeckius
(1581–1646), la maggiore personalità religiosa del tempo20. Ripartirà, però, dopo pochi mesi per

10
Cfr. L. Gustafsson, op. cit., p. 103 sgg.
11
Ibid.
12
Il Collegio ha il compito di condurre studi antiquari e, tra l’altro, pubblicare documenti “gotici” (saghe islandesi,
vecchie leggi, ecc.); cfr. op. cit., p. 96.
13
Cfr. L. Gustafsson, op. cit., p. 97.
14
I poeti “liberi”, come Lasse Lucidor (1638–1674), che componevano in occasione dei matrimoni e funerali dei
signori, per riceverne un compenso; cfr. op. cit., p. 99 sg.
15
Heroisch Fägne–Sång (1643) e Heroisch Jubel–Sång (1644).
16
Un’indispensabile biografia è costituita dal libro di B. Swartling, Georg Stiernhielm, hans lif och verksamhet,
Uppsala, 1909; interessante anche P. Wieselgren, Georg Stiernhielm, Stoccolma, 1948.
17
In realtà si chiamerà Stiernhielm solo dopo il rinoscimento nobiliare, nel 1631; fino ad allora si firmerà Georgius Olai
(Göran Olofsson), Georg Lilia dopo gli studi.
18
Cfr. S. Lindroth, Stiernhielms studier i Uppsala, in: “Lychnos”, 1954–55, pp. 291–295.
19
I viaggi all’estero avevano per gli svedesi del seicento, in generale, un duplice scopo: in parte davano loro la
possibilità di entrare in contatto con la cultura europea del tempo, e in parte servivano per conoscere meglio la
situazione politica al di fuori della patria. Cfr. B. Swartling, op. cit., p. 10.
20
Del 1624 è anche la sua prima poesia latina, che anticipa alcuni dei temi ripresi poi nell’Hercules, la sua opera
principale.
6
Greifswald, con una borsa di studio che durerà due anni21. Finalmente di ritorno in patria nel 1626,
Stiernhielm viene impiegato come insegnante di etica e di politica nel ginnasio di Västerås. La sua
permanenza qui è però breve dato che, già all’inizio del 1627, viene chiamato ad insegnare a
Stoccolma nel nuovo ginnasio per giovani nobili di Johan Skytte, il Collegium illustre. L’incontro
con Skytte, uno degli uomini più influenti di Svezia, avrà notevole importanza per la sua vita futura.
Nella capitale ha modo di conoscere e di frequentare alcuni dei più colti personaggi del tempo, tra i
quali spicca la figura di J. Bureus e quella dello stesso Skytte, entrambi oppositori del
neoaristotelismo22. Nella primavera del 1628 è ancora Skytte a offrirgli l’opportunità di lasciare il
Collegium illustre, affidandogli l’educazione dei propri figli. Lo raccomanda inoltre presso il re, che
gli offre prima il posto di “segretario della corrispondenza” presso le truppe svedesi in Prussia, poi
quello di referendario alla cancelleria di Sua Maestà. Inizia così la sua carriera nello Stato, che lo
terrà occupato quasi tutta la vita.
Nel gennaio 1630 sposa Cecilia Burea, parente dello studioso Bureus, con il quale ha stretto ormai
una salda amicizia. Nello stesso anno Skytte, eletto governatore delle province baltiche, convince
Stiernhielm a seguirlo, permettendogli di diventare membro della corte d’appello a Dorpat (oggi
Tartu), in Estonia23.
L’attività al servizio dello Stato non gli impedisce di proseguire i suoi studi, specialmente in campo
linguistico24. È in questo periodo, tra l’altro, che lavora ad Adelruna seu Sybilla Sveo–Gothica, un
grande dizionario dell’antico svedese25. Nell’autunno del 1642 lo ritroviamo a Stoccolma. Durante
questo soggiorno incontra Kristina, che lo scopre come poeta e lo invita a corte26. A questi anni
risale inoltre la pubblicazione dell’Archimedes reformatus, un trattato scientifico sui metalli, e
l’inizio di Gambla Swea– och Göta–måles Fatebur (il “deposito dell’antica lingua degli Sveoni e
dei Goti, 1643), un’opera linguistica che riprende, migliorandolo, il progetto di Adelruna, ma che si
fermerà alla lettera A. Inizia inoltre a lavorare all’Hercules27. Nell’autunno del 1645 Stiernhielm fa
ritorno nelle province baltiche, e prosegue lì i suoi studi matematici, giuridici, antiquari e
linguistici28. Continua pure la sua attività letteraria: al 1647–48 risale, sicuramente, una prima
versione dell’Hercules, come appare da una copia frammentaria trascritta da un certo Johan
Ekeblad, appartenente alla nobiltà29. Il poema sarà però pubblicato solo nel 1658.
Sempre nel 1648, nella primavera, Stiernhielm ha l’ordine della regina di ritornare a Stoccolma,
dove lo aspetta la nomina di “Antiquario del Regno”, per rilevare dall’incarico l’ormai vecchio
Bureus. Lo attendono due anni di intensa attività e di partecipazione alla vita della corte, nel
momento di maggior splendore, dopo la pace di Westfalia. Si reca anche in Olanda per acquistare
libri, e a Leiden incontra alcuni degli studiosi più in vista del tempo30. Oltre alla composizione di
balletti31, Stiernhielm dedica molto del suo tempo ormai a studi linguistici e filosofici32. Completa
Radix Ma, una lista di tutte le parole che, in varie lingue, potevano essere etimologicamente
ricondotte alla radice “Ma”, e progetta una grandiosa opera, Runa Suethica, che doveva contenere i
risultati di tutte le sue ricerche in campo linguistico.

21
Per condurvi studi politici, di diritto, nonché linguistici.
22
Dell’influenza di Bureus su Stiernhielm si è già detto; v. nota 7.
23
Nel 1631 Stiernhielm chiederà ed otterrà dal re il riconoscimento nobiliare.
24
Cfr. O. Walde, Om Georg Stiernhielms bibliotek, in: “Donum Grapeanum”, 1945, p. 118 sgg.
25
Bisogna pensare che in Stiernhielm ant. nordico e ant. svedese spesso si confondono e vengono, entrambi,
indifferentemente designatri come “antico gotico”.
26
Stiernhielm comporrà per la regina due poemetti encomiastici nel 1643–44; v. nota 15.
27
Cfr. B. Olsson, Den svenska skaldekonstens fader, Lund, 1974, cap. II.
28
Cfr. O. Walde, op. cit., p. 107 sgg.
29
Cfr. B. Swartling, op. cit., p. 46; B. Olsson, op. cit., cap. II.
30
Come D. Heinsius e Salmasius.
31
Per la corte scrive infatti, oltre ad alcune cose minori, il testo svedese di alcuni balletti scritti da autori francesi: Then
Fångne Cupido, Freds–Afl (La Naissance de la Paix, scritto da Descartes) e Parnassus Triumphans.
32
Cfr. O. Walde, op. cit., p. 107 sgg.
7
Problemi finanziari, che lo avevano già assillato in precedenza, sembrano aggravarsi quando, nel
1656, a causa della guerra polacca, i russi invadono le province baltiche e bruciano la sua proprietà,
Vasula, costringendo Stiernhielm, che si trovava lì dal 1651, a una fuga precipitosa. Nel frattempo
aveva cominciato a scrivere la prima parte di Runa Suethica33 e ripreso alcuni dei vecchi incarichi
di Stato. Rientrato a Stoccolma, è ospite di Bengt Skytte, figlio di Johan. La povertà ora incombe
sulla sua vita quotidiana, ma resta intatto in lui l’amore per lo studio. Così, sperando di migliorare la
propria situazione economica, fa stampare l’Hercules. Siamo nel 1658.
L’opera viene accolta con entusiasmo. Il re stesso, Karl XI, chiede che gli sia letta più volte.
Stiernhielm vede offrirsi nuovi incarichi statali34. Ma nel momento in cui sembrano risolti molti dei
suoi problemi, nel 1661, muoiono la moglie e il figlio minore. Gli anni passano e la sua posizione
nello Stato diventa sempre più autorevole. Gli viene concesso un beneficio annuale per pubblicare i
suoi scritti antiquari e gli vengono messi a disposizione due collaboratori35. Tra studi matematici,
filosofici e linguistici, la sua produzione poetica non cessa di interessarlo, tanto che nel 1668
pubblica il trattato Musae Suethizantes36. La sua fama di studioso lo vede, nel 1669, membro della
Royal Society, da poco fondata in Inghilterra. Sono anni che comunque lo trovano a combattere
sempre con difficoltà economiche. Finché, ormai vecchio, nell’aprile del 1672, dopo una malattia
Georg Stiernhielm muore.
Samuel Columbus, suoi allievo, ci ha lasciato un vivace ritratto di Stiernhielm nel suo Mål–Roo
eller Roo–Mål (gioco di parole: lett. “Intrattenimento durante il pasto ovverosia piacevole
conversazione”)37. Egli racconta: «Un giorno giunsi da lui, che sedeva completamente circondato da
libri, ed egli esclamò con animo gioioso: Quam dulce est sapere!»38 Stiernhielm era sempre
disponibile alla conversazione: «Se qualcuno arrivava da lui, anche se di rango inferiore, egli era
capace di lasciare tutto ciò che stava facendo e sedersi a conversare, anche se si passava la
mezzanotte, anzi fino alle due o le tre di notte, finché l’altro da sé non prendesse congedo.»39 Di
natura allegra anche nelle avversità: “Diceva sempre che “bonae mentis comes est paupertas”…
quando aveva molto, stava bene, e quando aveva poco, se la cavava comunque» 40. Ma se
Stiernhielm era di natura benevola, aveva anche un temperamento sanguigno e un carattere forte, e
inoltre una notevole inclinazione per le cose pratiche41. Il suo carattere lo portava a essere
insofferente di ogni autorità e di ogni ortodossia nel campo del sapere: «Ci sono soprattutto due
ostacoli agli uomini di ingegno, quando si tratta di cercare di raggiungere la verità e una solida
conoscenza: un’opinione preconcetta e l’autorità dei grandi uomini. Perché anche alle persone più
dotate che cerchino di innalzarsi vengono tagliate le ali da questi (ostacoli), ed esse sono costrette a
passare per i logori sentieri di questa terra. … Credo che si debba pensare liberamente e senza
riguardo… questo infatti non posso concedere: credere che tutto ciò che può rivelarsi a un uomo in
generale, si riveli solo a loro (ai grandi uomini), che a noi altri sia precluso, negato. Infatti Dio
esiste anche per noi; anche i nostri petti sono riscaldati da Febo. Perché dobbiamo affidarci ad altri,
e diffidare delle nostre doti?»42
33
La parte etimologica; il resto dell’opera non sarà mai completato.
34
Tra l’altro la soprintendenza dell’Ente statale pesi e misure (Rikets Mått– och Viktväsende).
35
Uno di questi sarà Samuel Columbus, che ci darà delle notizie biografiche del maestro.
36
Il titolo completo è: Musae Suethizantes, thet är Sång–Gudinnor nu först lärande dichta och spela på Swenska (Muse
“svedesizzanti”, ossia dee del canto che solo ora imparano a poetare e suonare in svedese). Il titolo indica chiaramente
quanto Stiernhielm fosse già consapevole dell’importanza del proprio contributo alla letteratura svedese.
37
S. Columbus, Mål–Roo eller Roo–Mål, Hansellis Vitterhetsarbeten af sv. Författare, Uppsala, 1856.
38
S. Columbus, op. cit., p. 254.
39
S. Columbus, op. cit., p. 257.
40
S. Columbus, op. cit., p. 252.
41
Cfr. S. Lindroth, Fru Lusta och Fru Dygd, Stoccolma, 1957, pp. 107-112.
42
«Duo praesertim sunt ingeniorum obstacula, quominus Veritatem, et solidam Sapientiam assequi valeant;
Praeconcepta Opionio, & Virorum magnorum authoritas. Haec etenim Ingenijs quantumvis acribus, & ad sublimiora
tendentibus, alas praecidunt, eaque cogunt per trita viarum humi repere… Libere, & sine respectu philosophandum
duco… hoc tamen non tribuo, ut omnia quaecunque homini patere possunt, ipsis solis patere putem, nobis vero coeteris
ut sint clausa, & negata. Namque et nobis Deus est; Et nostra incalescunt pectora Phoebo. Cur alienis intenti, nostris
8
Quando Columbus chiese cose dovesse scrivere sulla sua tomba, Stiernhielm rispose: «Scrivi
solamente con poche parole in svedese: Vixit, dum vixit, laetus (Visse, finché visse, lieto)»43.

diffidamus doctibus?» Da: Samlade skrifter av G. Stiernhielm, SFSV VIII, II delen, Filosofiska fragment, med inledning
och kommentar av J. Nordström, II bandet, texter, p. 89. Cfr. Anche I bandet, Inledning, p. CCXXVIII sg. e CCCII sg.
43
S. Columbus, op. cit., p. 260 sg.
9
Le premesse letterarie e linguistiche dell’Hercules

Durante il periodo della Riforma la Svezia aveva risentito, in campo culturale, di una forte influenza
tedesca. Ma durante la prima metà del ‘600, grazie soprattutto ai nuovi avvenimenti politici, si
aprono le porte alla grande cultura europea, e comincia il periodo del risveglio nazionale. È vero
che l’influenza culturale della Germania è ancora molto forte, se il tedesco viene parlato e compreso
da moltissimi svedesi, se la letteratura tedesca è studiata attivamente, e autori come Opitz e
Hofmannswaldau vengono tradotti e imitati da poeti svedesi1; ma l’influenza tedesca non è più la
sola a farsi sentire: nuovi impulsi vengono infatti dalla cultura olandese, italiana e francese.
In campo letterario, inoltre, si avverte una decisa tendenza a produrre, attravers la lingua nazionale,
pur seguendo all’inizio gli esempi e i modelli stranieri, un’opera degna, nel desiderio di conquistare
alla Svezia un posto tra le grandi culture europee. Questa tendenza del resto era già sorta in Italia
agli inizi del Rinascimento, quando, per opera di studiosi quali il Bembo e il Trissino, si era cercato
di innalzare il volgare a dignità letteraria, anzi, di creare una nuova lingua letteraria a partire dal
volgare, pur accettando contributi dal latino. Dall’Italia questa corrente si diffonde poi, seppur
lentamente, negli altri paesi europei, per raggiungere la Svezia solo verso la metà del ‘600, dove
Stiernhielm ne sarà il maggior rappresentante.
La costante comune, in tutti questi paesi, è rappresentata dalla volontà di creare una letteratura
nazionale, nella propria lngua, ma costruita sull’esempio dei poeti classici. Nei paesi germanici tutto
ciò acquista un carattere diverso che in quelli neolatini. La rivalutazione linguistica in Olanda, in
Germania e in Svezia va ben oltre il carattere connotatosi in Italia e in Francia2. Queste restano,
entrambe, legate al latino per discendenza e prestigio. In Germania, con Opitz e i membri della
società Die Fruchtbringende Gesellschaft3, il tedesco viene considerato la lingua principale, più
antica delle altre e perciò degna di essere onorata e adoperata dappertutto, presagendo addirittura un
tempo in cui supererà in splendore le opere classiche latine e avrà maggiore diffusione del latino4.
A parte il bisogno di genti che abitano una stessa terra di identificarsi sotto un’unica lingua, questo
patriottismo esagerato riceve nutrimento dal nascente studio filologico–comparativo di lingue
antiche e moderne. A favorire la concezione che vuole per tutte le lingue un’unica radice è l’autorità
biblica; in uno suo passo, infatti, si conferma la radice comune delle lingue del mondo nell’ebraico,
disgregatosi poi nella confusione nata durante la costruzione della torre di Babele.
In Svezia J. Bureus, seguendo una concezione nazionalistica della lingua, scrive addirittura, intorno
al 1630, che lo svedese è la fonte di tute le lingue del mondo5. Altrettanto farà Olof Rudbeck (1630–
1702), un altro studioso, affermando, nel 1679, che lo svedese è all’origine delle lingue del mondo
perché «nessuna lingua può mostrare un maggior numero di monosillabi»6. D’altra parte neanche
Stiernhielm resterà immune da tali esagerazioni7. Nella nota prefazione al Gambla Swea– och
Göta–måles Fatebur, Stiernhielm descrive la lingua svedese come una vecchia e onesta matrona
gotica (Götha–matrona): «Come mai tu, onesta, vecchia, immacolata matrona gotica, che hai reso
ricche tutte queste giovani signore (le altre lingue), tu stessa sei diventata ora così povera?»8.
Questa matrona viene rivestita degli abiti stranieri alla moda (parole straniere), così che è difficile

1
Tra l’altro dallo stesso Stiernhielm, ad es. in Heroisch Fägne–Sång (1643). Cfr. B. Swartling, op. cit., p. 38 sgg.
2
V. il prossimo capitolo: Le teorie linguistiche di Stiernhielm.
3
Cfr. G. Bergh, Litterär kritik i Sverige under 1600– och 1700–talen, Uppsala/Stockholm, 1916, p. 7 sg.
4
In Svezia si avrà la stessa cosa con Skogekär Bärgbo in Thet swenska språketz klagemål (Il lamento della lingua
svedese, 1658). Cfr. G. Bergh, op. cit., p. 9.
5
Cfr. Hj. Lindroth, J. Bureus, den svenska grammatikens fader, Lund, 1911–12, p. 280.
6
«Intet språk kan wisa flera monosyllaba»; O. Rudbeck, Atland eller Manheim, ed. da A. Nelson, Uppsala 1937-50,
libro I, cap. II, para. 7.
7
Cfr. ad es. S. Lindroth, Svensk lärdomshistoria, Stoccolma, 1975, “Stormaktstiden”, pp. 267–274.
8
G. Stiernhielm, Företalet till Gambla Swea– och Göta–måles Fatebur, ed. da E. Noreen, in: Valda stycken av sv.
författare 1526–1732, Stoccolma, 1943, pp. 109–112 (qui p. 111).
10
riconoscerla9. Come primo atto, perciò, è necessario allontanare le parole straniere dalla propria
lingua. In questo tuttavia Stiernhielm non è radicale. Infatti quelle parole straniere entrate ormai
nell’uso, tanto da essere considerate svedesi, possono essere conservate o adattate alla lingua
svedese. Le altre però devono essere sostituite. Stiernhielm pensa, sulla scorta dei suoi studi
dedicati alla lingua svedese antica, di introdurre vocaboli antiquati e usciti dall’uso. Soleva dire,
infatti, di avervi trovato cose vecchie, ma anche oro e argento e talvolta perle e pietre preziose, che
farebbero lo svedese non solo ricco e fluente, ma anche dolce, bello e ornato10.
Se si avvicina questa concezione, di riusare l’antiquato, all’introduzione di termini dialettali nel
programma linguistico, ci si accosta così alla composizione dell’Hercules. Secondo un noto critico
svedese, S. Ek, la Götha–matrona potrebbe essere rappresentata qui dal personaggio di “donna
Virtù” (fru Dygd), in contrapposizione a “donna Voluttà” (fru Lusta) e le sue figlie, che potrebbero
impersonare allora le lingue straniere11. Per Stiernhielm non basta, infatti, fare un programma
linguistico che rimanga solo teoria, lo si deve mettere in pratica, poterlo usare nella creazione di una
letteratura. La nuova letteratura vuole, come abbiamo visto, basarsi sull’esempio dei classici
antichi12. Nel campo della metrica, ad esempio, si cerca di adattare le forme classiche alla forma e
struttura delle lingue germaniche. Con Opitz, nel Buch von der deutschen Poeterey (1624), si era
avuto il primo tentativo riuscito di creare un verso tedesco costruito sull’accento e non sulla
quantità delle sillabe. Questo principio sarà ripreso poi da Stiernhielm, anche se non
sistematicamente, nell’Hercules. Altra eredità acquisita dai classici è l’uso degli epiteti omerici,
costituiti di solito da tre termini legati tra loro. Stiernhielm, seguendo all’inizio e in parte l’esempio
straniero, ne farà uso nell’Hercules 13.
Inoltre, sempre sulla scorta del mondo antico della classicità e delle forme poetiche nate attorno ad
esso, si cerca ora di creare una sorta di mitologia nazionale, anche se si tratta per lo più di traduzioni
o riadattamenti di vecchie figure mitologiche, o personificazioni come nelle allegorie medievali.
Così in Stiernhielm troviamo “donna Virtù” accanto alla dea nordica dell’amore Freyja, o al figlio
di questa Astrild (Cupido). Ma la costruzione mitologica non è pura forma: è simbolo che trasmette
insegnamenti morali e indica all’illuminato o iniziato la via da seguire. Molto del discorso filosofico
intrapreso alla corte della regina Kristina ha alla base questa concezione, e anche Stiernhielm la
segue. Neanche la critica svedese del tempo vede la poesia come arte fine a se stessa, ma la connette
anzi con la filosofia e il sapere14. Ancora Stiernhielm sottolinea che l’opera d’arte deve cercare di
restituire l’universale, l’intima verità della creazione15. Il poeta diventa vate.
La finalità di trasformazione dell’uomo e il suo conseguente indissolubile legame con l’universo e
le sue forze sono quindi una parte essenziale della poesia e delle tematiche filosofiche del tempo.
Ma se eliminiamo tutto ciò, ci troviamo in una prospettiva completamente storico–politica, che
esalta, come già accennato, l’esagerato nazionalismo: il Goticismo (Göticismen)16, necessario, del
resto, per ritrovare la tradizione. Ricerca linguistica e storiografia nazionalistica procedono di pari
passo, e sono strettamente collegate, a spiegare, anzi, a legittimare la posizione particolare di
privilegio dello svedese e della Svezia, la patria dei Goti, rispetto al resto del mondo17. La leggenda
che gli svedesi siano i discendenti, o comunque abbiano lo stesso sangue, delle schiere di guerrieri

9
Opitz usa lo stesso paragone (Aristarchus, 1617) nei riguardi della lingua tedesca, anch’essa paragonata a una donna
rovinata dall’influenza straniera.
10
Cfr. Stiernhielm, Företalet, cit., p. 112.
11
Cfr. S. Ek, Hercules och företalet till Gambla Swea– och Göta–måles fatebur, in: Studier tillägnade G. Cederschiöld,
1914, pp. 327-334.
12
La nuova poetica viene, in Svezia, espressa da A. Arvidi (Manuductio ad poesin suecanam) nel 1651.
13
Ad es. in: «gull–gåhl–blänkiandes håår» (capelli risplendenti di giallo oro) e «frisk–dagg–drypande drufvor»
(grappoli gocciolanti di fresca rugiada).
14
Cfr. W. Friese, op. cit., p. 113; G. Bergh, op. cit., p. 20 sgg.
15
Cfr. K. Johannesson, I polstjärnans tecken, Studier i svensk barock, Lychnosbibliotek, Uppsala, 1968, p. 70.
16
Cfr. J. Nordström, De yverbornes ö, Stoccolma, 1934. In particolare: Götisk historieromantik och stormaktstidens
anda, pp. 55–79.
17
Cfr. J. Nordström, op. cit., p. 70; S. Lindroth, Svensk lärdomshistoria, cit., p. 267 sgg.
11
gotici che un tempo lontano lasciarono la Svezia meridionale per irrompere in Europa e conquistare
l’invincibile Roma, dominatrice del mondo, riempie, soprattutto durante lo Stormaktstiden, l’animo
patriottico svedese18. Le radici di questa tradizione goticista si perdono nel tempo; certo è che essa è
presente, in varie forme (più o meno sotterranee), già nel Medioevo19, fino a giungere alla Storia di
tutti i re gotici e svedesi di Johannes Magnus (1554), in cui si avrà una delle massime celebrazioni
delle origini “gotiche”: una “Iliade gotica”20. Durante il ‘600 questa tradizione diventa però la base
su cui poggiano gli studi mitico–cabalistici sulle rune di Bureus, quelli linguistico–antiquari di
Stiernhielm, fino a culminare nella gigantesca opera di O. Rudbeck, Atlantide ovvero la Patria degli
Uomini (1679 sgg.)21. Non dobbiamo comunque dimenticare che tale interesse è, in gran parte,
umanistico e neoplatonico, o almeno di derivazione neoplatonica: la ricerca, attraverso le antiche
discendenze e le loro tradizioni, del segreto che Dio cela nella Natura. Per Stiernhielm e Bureus,
risalire fino alla leggenda degli Iperborei, sulla spinta dei loro studi antiquari, è quasi d’obbligo.
Così, la mitica terra degli Iperborei viene identificata da essi con la Scandinavia. Rudbeck giungerà
poi ad affermare che la Svezia non è altro che la favolosa Atlantide di cui parla Platone: la culla
dell’umanità e la patria degli uomini o Manheim22.
Tutti questi stimoli culturali, in misura maggiore o minore, contribuiranno a formare il tessuto
poetico di un’opera letteraria complessa quale è l’Hercules.

18
Cfr. J. Nordström, op. cit., p. 55 sgg.
19
In una parafrasi biblica del 1300 si dice che «la maggior parte d’Europa è discesa dai Goti», e che questi subito dopo
il diluvio, guidati dal capostipite Magog, abbiano fondato in Svezia la più antica monarchia. Cfr. J. Nordström, op. cit.,
p. 59.
20
Cfr. J. Nordström, op. cit., p. 64.
21
Atland eller Manheim, cit.
22
Lo stesso nome di Iperborei, per Rudbeck, è stato erroneamente interpretato da scrittori come Diodoro Siculo come
“coloro che vivono al di là del vento del nord (Boreas)”, mentre, secondo Rudbeck, questo nome significa, in “buon
vecchio svedese”, gli “Yfwerborne”, cioè i discendenti di Bore, dal mitico nome di uno dei primi re svedesi. Cfr. J.
Nordström, op. cit., p. 139. La Scandinavia diventa allora l’isola degli Yverborne: de Yverbornes ö. Cfr. anche O.
Rudbeck, op. cit., cap. 9, 15.
12
Teorie linguistiche di Stiernhielm

Gli studi linguistici di Stiernhielm, che occupano gran parte dei suoi manoscritti1, ruotano intorno
alla linguistica storica e comparativa (Stiernhielm conosce, oltre alle lingue classiche, anche
islandese, italiano, francese, tedesco, ebraico, finlandese, ecc.), in breve intorno alla ricerca
etimologica, molto in voga in quel periodo soprattutto nei Paesi nordici2. Così per i linguisti
tedeschi e, in Svezia, per Stiernhielm, tutte le parole della propria lingua possono essere ricondotte a
un certo numero di “radici”, o lessemi di base3.
La ricerca di queste radici si svolge confrontando lingue antiche e moderne, per scoprirvi relazioni
di “parentela” più o meno vicina. Fondamento di tali comparazioni è il racconto biblico sulla
“lingua primordiale” (Ursprache), la mitica lingua di Adamo nel paradiso terrestre: l’ebraico, dalla
quale, attraverso la confusione babelica, hanno origine tutte le lingue del mondo. Ma nelle dodici
“tesi” che costituiscono l’introduzione all’opera Adelruna seu Sybilla Sveo-Gothica (1630-40),
Stiernhielm afferma che il gotico (svedese), attraverso il getico e lo scitico, è diretto discendente
dell’aramaico, lingua di Noè che non fu toccata dalla “confusione” babelica e che perciò doveva
essere identica alla lingua primordiale4.
In Adelruna Stiernhielm tratta anche di un’altra delle maggiori questioni linguistiche del tempo, e
cioè la relazione tra le parole e le cose: il segno linguistico non viene allora considerato come
arbitrario, frutto di un accordo tra i parlanti, ma anzi essenziale, inerente alla cosa significata.
Stiernhielm si basa in questo sul famoso dialogo Kratylos di Platone, in cui si discute la
corrispondenza tra le parole e i suoni che le compongono, da una parte, e i concetti o le “idee” che
esse rappresentano, dall’altra.
Per dimostrare che già i suoni siano dotati di proprio significato, Stiernhielm postula una relazione
onomatopeica tra parole e cose: «Quasi tutte le parole della lingua svedese sono costruite per
onomatopea, in cui i suoni e le lettere si accordano al significato della cosa»5. Così per Stiernhielm
lo svedese, e non l’ebraico, è tra le lingue del mondo quella che più si avvicina alla Ursprache
adamitica, perché esprime in maniera più pura la natura intima delle cose6.
Stiernhielm quindi si riallaccia alla concezione di Platone sul valore o significato generale dei
singoli suoni, e afferma di poter spiegare o ritrovare le stesse caratteristiche nei suoni della lingua
svedese7. Così, per Platone, “R” indica movimento di varia natura; Stiernhielm porta gli esempi
dello svedese ränna, rinna, rida, darra, rulla, röra, krossa, ecc. (rispettivamente: “correre, scorrere,
cavalcare, tremare, rotolare, muovere, schiacciare”); “PS”, “Z”, “S” esprimono l’idea di soffiare
(«ea quae flatuosa sunt»), come nelle parole svedesi bläsa, fnysa, pysa, susa, ecc. («soffiare,
soffiare col naso, soffiare del vapore, frusciare del vento»).
Allo stesso modo vengono esemplificati “D”, “T” ed “L” con parole svedesi; specialmente
quest’ultimo suono, il cui carattere “lieve”, “pingue” e “labile” («laevis», «pinguis» e «labilis»)

1
Editi solo in parte, i manoscritti di G. Stiernhielm sono tuttora conservati presso la Biblioteca Reale di Stoccolma con
la classificazione “Fd”. Cfr. B. Swartling, op. cit., p. IX sg.; J. Nordström, Inledning, cit., II bandet, p. 205 sgg.
2
Sulle conoscenze linguistiche di Stiernhielm cfr. O. Walde, op. cit., p. 118 sgg. V. anche H. Blume, Sprachtheorie und
Sprachenlegitimation im 17. Jahrhundert in Schweden und in Kontinentaleuropa, in: “Arkiv för Nordisk Filologi”, 98,
1978, p. 210.
3
In questo si rifanno a una tradizione iniziata già in Olanda da Johannes G. Becanus, studioso e filologo di fama
europea (1518-1572). Cfr. H. Blume, op. cit., p. 209.
4
Cfr. C.I. Ståhle, Språkteori och ordval i Stiernhielms författarskap, in: “Arkiv för Nordisk Filologi”, 66, 1951, p. 55.
Queste tesi saranno poi successivamente riprese nella sua opera Runa Suethica. Cfr. B. Swartling, op. cit., p. XIII sg.
5
«Omnia fere vocabula linguae Suethicae sunt facta per Onomatopoeiam; ubi sonus et literae conveniunt Significationi
Rei», Mysterium Etymologicum, Biblioteca Reale, Mss. N24 ed Fd3, cit. in C.I. Ståhle, op. cit., p. 58. V. anche H.
Blume, op. cit., p. 213.
6
Cfr. S. Lindroth, Svensk lärdomshistoria, cit., p. 270.
7
In Notae ad Platonis Cratylum (1640), Ms. N24.
13
viene spiegato con quasi un centinaio di glosse svedesi (lätt, le, leka, ecc.: «leggero, sorridere,
giocare»)8.
Per quanto riguarda gli altri suoni, Stiernhielm non ha più l’autorità di Platone su cui basarsi;
cionondimeno continua la sua descrizione dei suoni con relativi esempi dallo svedese: «‘e’ ha un
suono tenue, Teen (“ramoscello”), Leen (“soffice”)...; ‘i’ suona ancora più sottile e acuto, Pijpa
(“fischiare”) ...9; ‘o’ è rotondo, Root (“radice”); ‘u’ oscuro, Skugga (“ombra”)...; ‘ö’ dolce, Sööt
(“dolce”); ‘y’ suona come atroce, Grymm (“crudele”)... ‘m’ sembra avere come un mormorio
oscuro, ... Mumla (“mormorare”); ‘c’, ‘k’ porta un suono forte..., ‘q’ è più denso di ‘k’», ecc.10
Un approfondimento e una precisazione della teoria sulla relazione tra le parole e le cose possiamo
trovarli in Mysterium Etymologicum (1642): «I vocaboli primitivi non contengono che le nozioni
generali delle cose. Le parole derivate da essi vengono modificate e limitate, tese e rilasciate
secondo la qualità e la quantità della propria particolare natura, che (la parola) trae da quella
nozione generale... Come per i colori; il rosso può essere rossiccio, rossastro, più chiaro non meno
che saturo»11. Ancora: «Come le cose si distinguono per i loro attributi, così differenti parole sono
generate da lettere differenti...»12.
Ma nella sua maggiore opera linguistica, Runa Suethica (iniziata nel 1650 e mai terminata)13,
Stiernhielm vuole precisare le sue teorie linguistiche collegandole ai propri studi filosofici,
mostrando come parole e cose abbiano la stessa origine. Infatti, «L’ignoranza della natura e
dell’ordine delle cose è la grandissima Causa; perciò finora nessuno è potuto penetrare nella
natura e nella verità delle parole»14. Per Stiernhielm non esiste una sostanziale differenza tra
linguistica e filosofia: entrambe sono parte del tutto, dell’Armonia Universale, della “Catena
Rerum” o “Monile Minervae”.
Con i tre “principia principiorum”, Mens, Lux e Materia, che sono, nel sistema filosofico di
Stiernhielm, i principi di tutto ciò che esiste, della manifestazione, concordano infatti anche i tre
principi della lingua: Ratio, l’intelletto umano, Sonus, il suono, e Elementa, la “materia” linguistica
potenziale. Così come Mens, lo Spirito divino, con l’aiuto della luce (Lux) crea le cose dalla
Materia, così l’intelletto umano (Ratio) con l’aiuto del suono (Sonus) crea parole dagli Elementa15.
Come le cose costruiscono delle serie coerenti dalla luce al buio, dal movimento alla quiete, dal
punto più alto a quello più basso; così le lettere, simboli dei suoni, costituiscono una serie
discendente, dal suono più chiaro fino alla sordità.
La lettera A, l’ebraica Aleph ‫א‬, la più chiara e più aperta, è l’origine di tutti i suoni, “Ens unum et
primum”, quella che possiede il più alto grado di suono. Le vocali sono immateriali, sono solo
variazioni di A, il suono più puro e semplice, che ha la chiarezza della luce. Le nove vocali svedesi
rappresentano così differenti gradi di suono e luce nella serie seguente: A (luce, lux), Ä (lume,
lumen), E (lume divergente, lumen devergens), Ö (lume ombroso, lumen umbrosum), I (crepuscolo
più chiaro, crepusculum lucidius), Å (ombra più chiara, umbra lucidior), O (ombra, umbra), Y
8
D e T, simboli di ciò che è “finitum”, “peractum”, si ritrovano, per Stiernhielm, nei participi perfetti dello svedese.
9
La I è simbolo di finezza, acutezza, penetrazione, attività, vita, il suo colore è il verde, e corrisponde al mezzodì,
quando il sole è allo zenith.
10
Ms. N24, Biblioteca Reale, Stoccolma: «‘e’ sonum habet tenuem, Teen, Leen...; ‘i’ subtilius adhuc, et acute sonat,
Pijpa...; ‘o’ rotundum est, Root; ‘u’ obscurum, Skugga...; ‘ö’ dulce, Sööt; ‘y’ atrox quoddam sonat, Grymm... videtur...
‘m’ obscurum quoddam murmur habere, ... Mumla; ‘c’, ‘k’ sonum forte infert..., ‘q’ est ‘k’ crassius». Cit. da: C.I.
Ståhle, op. cit.
11
Ms. N24, Fd3, Biblioteca Reale, Stoccolma: «Primitiva continere non nisi generales rerum notiones. Derivativa ex
illis variari et limitari, intendi et remitti, pro qualitate et quantitate indolis specialis, et propriae, quam ex generali illa
notione trahit... Simili Colorum; Ruber est ruffus, Subrubeus, dilutior non minus quam satur». Cit. da: C.I. Ståhle, op.
cit.
12
«Ut res distinguuntur suis accidentibus, ita vocabula diversa gignuntur ex diversis literis...». Cit. da: C.I. Ståhle, op.
cit.
13
Cfr. B. Swartling, op. cit., p. XII sgg., 71, 76 sgg.
14
Ms. D, 1652: «Ignoratio Naturae, & Ordinis rerum, summa Causa est; cur Nemo hucusque penetrare potuerit in
naturam, & veritatem Verborum». Cfr. J. Nordström, Inledning, cit., p. CCXXXI.
15
Cfr. C.I. Ståhle, op. cit., p. 61.
14
(crepuscolo tenebroso, crepusculum tenebrosum), U (notte, tenebre, nox, tenebrae)16. Sternhielm
ordina queste anche in forma di piramide,

e y

ö å

ä o

Lux. a u Nox

Ortus. Occasus

che secondo lui corrisponderebbe al cammino del sole nel cielo diurno17.
Al sistema delle vocali corrisponde anche quello dei colori: «ben si accordano i toni o suoni delle
vocali con la differenza dei colori»18:

Albedo. est Lux opaca (bianco) .................. a.


Flavedo (giallo) ........................................... ä. e.
Viror (verde) ................................................ i.
Rubedo (rosso) ............................................ö. y. Rö.
Coerulitas (azzurro) ....................................o. å. Blå.
Nigredo (nero) .............................................u. Bu. Ital. buio.

Le consonanti sono diventate, in misura maggiore o minore, partecipi della materia: esse sono
quindi, per sé, inerti o mute, e solo con l’aiuto delle vocali possono ricevere vita e suono.
Vicine alle vocali sono “J” e “V”, rispettivamente da “I” e “U”, che hanno perso la luce e si sono
materializzate. “J” è improduttiva (sterilis), mentre “V” è “prolifica”, e genera “F”, “B” e “P”, che
rappresentano differenti gradi di “materializzazione”.
Segue da vicino “H”, che è come «Spirito che non esiste se non dove c’è vita e luce»19. Questa
genera “CH”, “G” e “K”, tutte più o meno materiali.
Viene poi “S”, che è «Sibilo, più forte dello Spirito, più traente materia»20, che gradualmente
diventa più solida in “Z”, “Þ”, “D” e “T”.
Relativamente più vicine alla materia sono infine “L”, “R”, “N” e “M”, che non hanno relazioni né
tra loro né con le altre consonanti. “L” è «lettera di Luce e letizia» (litera Lucis et laetitiae), è
chiarezza, acutezza, come nel suono del vetro. “R” è «ignea, violenta et aspera», è frizione, rabbia,
fuoco21. “N” è «aerea et levis», mentre “M” è «Limo, contenente acqua e terra, oscura, sorda»,
«pesante... terrena»22, come nel suono del vento, dell’acqua e della terra23: è la “Materia”.

16
Fd. 4; In altri Mss (Fd5, Fd9) la serie è: A, Ä, E, Ö, I, Y, Å, O, U.
17
Fd4, Fd5. Cfr. J. Nordström, Inledning, cit., II, p. 232.
18
«Egregie conveniunt Vocalium Toni vel Soni cum Colorum differentia», ibid.
19
«Spiritus, qui nusquam existit, nisi ubi vita et lux est» (Fd6).
20
«Sibilus, Spiritu fortior, plus trahens materiae» (Fd6).
21
«R. est collisionis, compressionis, Irae, furentis Ignis et ruentis procellae, auditur in Sylvis in collisione arborum, in
curru crepante, in hirriente Cane. Summa ex vi et vehementia nata est. Ignis et venti ... in Materiam resistentem
irrumpentis».
22
«Limus est, aquam et terram continens, obscura, surda», «bruta ... et pure terrea» (Fd5).
23
Con la I fischia (lat. minurit), con la U mugghia (lat. mugit), oppure mormora (lat. murmur «...Mu murmurant venti,
aquae, terra, et viscera terrae ...»).
15
Tutto ciò è rappresentabile nel seguente schema:

A – J, V – H – S – L – R – N – M
| | |
F CH Z
| | |
B G Þ
| | |
P K D
| |
Q T

L’Alphabetum Radicale, senza suoni derivati, è così per Stiernhielm: A, V, H, S, L, R, N, M24, o


meglio, A, V, CH, Z, L, R, N, M25, in cui la seconda, terza e quarta (esclusa quindi la prima) sono
dette “ancillae”, mentre le altre, indipendenti, sono “matronae”, oppure “filiae”. Da questo alfabeto
si compongono le radici (la prima è A), che possono essere “purae”, se le consonanti seguono la
vocale “purissima” A (es.: AV, ACH, AZ, ecc.), o, viceversa, “affectae”, (es.: VA, CHA, ZA, ecc.),
o anche “ancelle delle radici pure” (purarum ancillae, es.: VAV, CHAV, ZAV, ecc.)26.
Queste radici “universali”, in numero di 3627, dovrebbero quindi rispecchiare le idee “primarie”
(che sono la “somma” dei significati dei singoli suoni), da cui si sviluppano quelle “secondarie”,
fino a rappresentare la realtà molteplice del mondo. Le radici primarie possono tuttavia avere un
significato oscillante, legato alla componente vocalica A. Questa infatti contiene in sé due idee
opposte: in quanto A “positivum” essa rappresenta “Unum” (come l’inglese “a”, articolo
indeterminativo) ed “Ens”; in quanto A “privativum” essa è invece «Vanum et Non Ens» (come
l’alpha privativo del greco).28 Alla prima appartengono «le nozioni di luce, spirito, Calore, Moto,
vita... ed ogni BENE, e parimenti Amore e generazione ecc. e tutto ciò che è della Mente universale,
verità, eternità... superiori, del cielo», mentre alla seconda «tutte le nozioni contrarie a queste e
altre simili... di vuoto, vacuità, vanità... e tutto ciò che è sottoposto alla privazione della Materia,
cioè delle Tenebre, dell’oscurità... Morte, orco, Inferno... ed ogni MALE»29. Abbiamo così un “VA
positivum” esemplificato dalle parole lat. vigeo, vis, sved. få (risp. “ho vigore, forza, ricevere”)
ecc., e un “VA privativum” nello sved. våda, vånda, få, fattig (risp. “incidente, sofferenza, pochi,
povero”), e così via per le altre radici30. Stiernhielm pensa anche di ordinare in queste categorie
lingue antiche e moderne, in grandi schemi etimologici: un tale schema, Radix Ma, con migliaia di
parole tratte da varie lingue, lo troviamo già nel 1649, mentre altri tentativi di schemi sono
dovunque nei suoi manoscritti.
Stiernhielm studia a fondo antichi testi medievali islandesi e svedesi31, sottolinea e annota quelle
parole che gli sembrano avvicinarsi di più alla Ursprache: molte di queste parole si possono
ritrovare, adattate, nella sua opera maggiore, Ercole, in cui l’autore si propone di mostrare la grande
24
In un altro Ms la V (F, B, P) occuperà il posto subito prima della L, per la sua parentela con U, ultima nella serie
vocalica.
25
H e S vengono sostituite da CH e Z «per maggiore evidenza giacché esse sono medie e contengono le altre»
(«propter majorem evidentiam quandoquidem hae sunt mediae, et reliquas continent»).
26
Fd5.
27
1 purissima, 7 purae, 7 affectae e 21 purarum ancillae.
28
Lo stesso pensiero si trova già in Robert Fludd (Philosophia Mosaica, 1638), secondo il quale A, aleph, è l’origine
della luce e del buio, “Aleph lucidum” e “Aleph tenebrosum”.
29
«Notiones lucis, spiritus, Caloris, Motus, vitae ... et omnis BONI, item Amoris et generationis etc. et ea quae Mentis
sunt, veritatis, aeternitatis ... superorum, coeli»; «Notiones his et similibus omnes contraria ... Jnanitatis, vacuitatis,
vanitatis ... et omnium quae Materiae adiacent privationum, sc. Tenebrarum, caliginis ... Mortis, orci, Inferni ... et
omnis MALI».
30
Fd2, Fd5.
31
Come la Leggenda di Barlaam e Josaphat, la Þiðrekssaga, la Leggenda di Olaf il Santo, le leggi medievali svedesi,
Konungastyrelsen ecc.
16
ricchezza ed espressività della lingua svedese. La scelta delle parole acquista allora estrema
importanza ed ogni motivo, ogni dettaglio dell’opera sono il risultato di un lungo studio32. La lingua
e il messaggio etico sono strettamente legati nell’Hercules, in quella “harmonia vocum et rerum” al
cui studio Stiernhielm dedicò tanta energia e tanta parte della sua vita.

32
Cfr. C.I. Ståhle, op. cit., p. 93.
17
Studi filosofici di Stiernhielm

Il pensiero filosofico ufficialmente accettato all’inizio del ‘600 in Svezia è il Ramismo che,
originariamente rivolto contro la scolastica medievale, si tramuta presto, qui, in odio contro tutta la
filosofia. Questa corrente coincide con la teologia luterana (la Svezia, ricordiamo, è protestante): la
mente dell’uomo, offuscata dopo il peccato originale, non può indicare la giusta via; sarebbe
comunque superfluo, giacché esistono per questo i Testi Sacri. Di contro si fa strada, fino ad
affermarsi nelle scuole e nelle università, il neoaristotelismo, che mantiene però una posizione
subordinata e rispettosa nei riguardi della teologia ufficiale, senza maggiori pretese che di servire a
questa.
È invece al di fuori dell’ambito universitario che incontriamo nuove e più significative correnti di
pensiero, come accade alla corte della regina Kristina, punto d’incontro di molti dei maggiori
studiosi e filosofi del tempo. Queste correnti sono costituite in parte dalla mistica tedesca medievale
e in parte da una speculazione filosofico–naturale, di origine platonica, il cui rappresentante più
noto è Paracelso. A fianco di queste troviamo anche il Neoplatonismo che, sorto nella Firenze del
‘400, era stato poi ulteriormente sviluppato da pensatori come Marsilio Ficino e Pico della
Mirandola. Tutti questi movimenti di idee dovevano avere un’influenza non indifferente sugli
studiosi svedesi dell’epoca, tra cui J. Bureus e lo stesso Stiernhielm1. Lo studio, inoltre, di antichi
filosofi come Cicerone, Seneca e Marco Aurelio, i cui scritti vengono ora pubblicati e diffusi ad
opera di grandi studiosi come J. Lipsius (1604), porta ad un rinnovato interesse per lo stoicismo.
Persino l’epicureismo trova in questo momento sostenitori2.
La stessa regina Kristina non si sottrarrà alla maggior parte di queste influenze, dedicandosi allo
studio, tra gli altri, di Platone e Pitagora, e cercherà di farle rivivere in lei, nelle sue scelte3. Le sue
simpatie per lo stoicismo, con il suo culto della virtù, ci sono state descritte dall’allora ambasciatore
francese Chanut, secondo il quale la regina non aveva «nulla di più presente nello spirito che
l’amore incredibile per una grande virtù… Ella desidera la virtù accompagnata dall’onore che la
segue»4. La descrizione di Chanut sembra quasi un compendio dei temi etici fondamentali presenti
nell’Hercules: è certo che più di una volta Stiernhielm abbia preso parte alle discussioni su temi
filosofici che spesso si tenevano a corte5. Nell’Hercules ritroviamo tutto questo nei discorsi, sulla
morte, di donna Virtù (stoicismo) e donna Voluttà (epicureismo)6.
Ma prima di parlare delle concezioni filosofiche di Stiernhielm, è opportuno soffermarsi
brevemente sulla visione del mondo, la Weltanschauung, di quest’epoca. Il Cristianesimo
dell’Europa del Nord, nella sua forma ortodosso–luterana, influenza sia la vita dell’uomo che la sua
visione del mondo7. Nella gerarchia sociale, e come membro della comunità, l’individuo trova il
suo posto nel divino ordine del mondo, che si rivela in tutti i campi. In tutto ciò che l’esperienza gli
insegna, l’uomo del ‘600 cerca la Harmonia Mundi, l’armonia della creazione divina. Così lo
studioso di quest’età conduce le sue ricerche in molti campi del sapere. L’indagine sull’essenza
della Natura (Macrocosmo) e sull’uomo (Microcosmo) mostra alla mente indagatrice l’armonia del
sistema divino: la conoscenza del mondo porta l’uomo alla conoscenza di Dio. Qualsiasi
conoscenza o scoperta nella Natura non può quindi che confermare la Parola della Bibbia8. Questa
visione del mondo informa, quindi, l’atteggiamento dell’uomo svedese del ‘600 nei confronti della
realtà esteriore e interiore, oggettiva e soggettiva, ed è perciò, questa, una premessa indispensabile
per capire il pensiero filosofico di uno studioso eclettico qual è Stiernhielm.

1
Cfr. J. Nordström, Inledning, cit., pp. CLXXIII–CLXXIX; S. Lindroth, Paracelsismen, cit., pp. 481–483.
2
Cfr. C. Fehrman, Diktaren och döden, Stoccolma, 1952, p. 338, 342.
3
Cfr. J. Nordström, Inledning, cit., pp. CCVIII.
4
Cfr. P. Chanut, Mémoires, I–III, Cologne, 1677.
5
Fu la stessa regina, probabilmente, a consigliargli di approfondire gli studi filosofici. Cfr. J. Nordström, cit., CCVII.
6
Cfr. C. Fehrman, op. cit., p. 340.
7
Cfr. W. Friese, op. cit., pp. 47, 52, 54.
8
Cfr. W. Friese, op. cit., p. 55.
18
Stiernhielm cerca di dare un’interpretazione dell’universo come manifestazione del divino. Le sue
speculazioni filosofiche sul mondo e sull’uomo lo terranno occupato per molto tempo, soprattutto
dal 1650 in poi. Diversi sono i titoli che Stiernhielm pensa di dare alla sua opera filosofica che, mai
conclusa, resterà sotto forma di frammenti, ma Monile Minervae, la collana di Minerva, è il titolo
che più spesso ricorre nei manoscritti, e che meglio rappresenta il suo sistema filosofico: il simbolo
della “meravigliosa” “catena rerum” che unisce tutte le cose manifestate nell’armonia della
creazione divina9.
Stiernhielm rifiuta la scolastica aristotelica, e ironizza sui tentativi di questa di nascondere la
propria ignoranza della ricchezza e profondità mistica del mondo dietro a una dotta terminologia, di
applicare dunque un’arida logica formale alla metafisica: «Aquila non capit muscas», ossia il
filosofo non si perde in vuoti ragionamenti. Per Stiernhielm la vera filosofia risiede in Zoroastro ed
Ermete Trismegisto, Mosè e Platone: i rivelatori della eterna saggezza primordiale: «Porto alla luce
una filosofia nuova, anzi antichissima, Zoroastrea, Ermetica, Mosaica e, in parte, Platonica»10.
Stiernhielm aderisce a una lunga tradizione, in parte sotterranea, che dal Neoplatonismo della tarda
antichità si estende fino ai filosofi ermetici del ‘500 e ‘600. Legge, tra gli altri, Plotino, Platone,
neoplatonici come Marsilio Ficino e Giordano Bruno, alchimisti come Robert Fludd e Thomas
Vaughan11.
Grande importanza ebbe anche A. Comenius, pedagogista e fondatore della Pansofia,
un’interpretazione della natura, di base platonico–ermetica, con Mosé come massima autorità12: la
Bibbia viene letta in termini simbolici. Il racconto della Genesi è, così, alla base delle riflessioni di
Stiernhielm13.
In natura vi sono, secondo lui, tre principi: Materia, Lux e Mens14. Materia è il disordine, il
“Chaos”, la passività, il principio del buio, della transitorietà e della morte. Lux è la luce e il calore,
la forza e la bellezza, la gioia e l’attività. Mens è il principio ordinatore, ciò che dà forma, compone,
unisce, finisce, determina, ecc. Stiernhielm esemplifica il compito di questi tre principi con
l’immagine di un fabbro (Mens, Spiritus), che dal ferro (Materia), vuole forgiare un oggetto, e
perciò ha bisogno del fuoco (Lux)15. Così come i tre principi sono alla base dell’Universo
(Macrocosmo), similmente l’Uomo (Microcosmo), è costituito da Spirito, Anima e Corpo.
Di influenza biblica, ancora, è l’interesse che Stiernhielm dimostra per la numerologia, la mistica
dei numeri. La sua intenzione è quella di spiegare, servendosi di essa, la via della natura dalla sua
manifestazione più bassa alla più alta, attraverso sette stadi: il punto, la linea, la superficie, il corpo
solido, il corpo vivente, il corpo provvisto di anima e sensi come gli animali, e infine l’Uomo,
9
Soltanto nel 1924 J. Nordström pubblicherà, per la prima volta, i Frammenti filosofici di Stiernhielm, con un’ampia
introduzione (Inledning) e commento.
10
«Philosophiam in lucem edo novam, imo antiquissimam, Zoroatraeam, Hermeticam, Mosaicam, et ex parte,
Platonicam» (G. Stiernhielm, Filosofiska fragment, II, p. 5). Stiernhielm legge, tra gli altri, Platone, Plotino,
neoplatonici come M. Ficino e G. Bruno, alchimisti come Robert Fludd e Thomas Vaughan.
11
Cfr. O. Walde, op. cit., p. 127 sg.; S. Lindroth, Paracelsismen, cit., p. 474.
12
A. Comenius, Physicae Synopsis (1633).
13
«Deum Ens Entium, Unum, Aeternum, Infinitum... totius Universi authorem agnoscimus», G. Stiernhielm, Filosofiska
fragment, II, p. 8.
14
Il tema della trinità domina nei manoscritti di Stiernhielm tra il 1650 e il 1660. Stiernhielm rappresenta questa, tra
l’altro, come un triangolo equilatero, intitolato Deus, inscritto in un triangolo più grande, sempre equilatero, così che i
vertici del primo riposino sui lati del secondo, sulla metà; i tre triangoli esterni che si vengono a creare vengono allora
designati Potentia, Sapientia e Bonitas, corrispondendo a Dio come Unus, Verus e Bonus, con le azioni posse, scire e
velle. Questo triangolo pitagorico è circondato poi dal circolo ermetico, simbolo della manifestazione. Tutto forma
un’unità: «In Uno subsistit Verum: in Uno et Vero Bonum; Nihil est Bonum, nisi quod Verum, nihil Verum, nisi quod
Unum». Nell’Hercules, a Bonitas corrisponde Godheten (Bontà), a Sapientia Wijsheten (Saggezza), quindi a Potentia
ed Ens Unum dovrebbe corrispondere Ähra (Onore). Infatti in uno dei Mss di Stiernhielm si legge: «A notione Esse,
Essentia fluunt etiam notiones Nobilitatis, Dignitatis ... Honoris ... ut ab är ära» («Dal concetto di Essere, Essenza
provengono anche i concetti di Nobiltà, Dignità... Onore ... come da è, onore»). «Ex är ‘est’ fit nomen ära ... ‘honos’ ...
verbum ära ‘honorare’», da qui al greco Arêthê ‘virtù’ non manca molto, entrambi dalla radice AR: L’Onore è la
Radice della Virtù; e la base della Virtù è l’Onore. (v. 369).
15
Stiernhielm interpreta la Genesi per mezzo di questi tre principi.
19
dotato di raziocinio, l’ultimo anello della catena universale o Monile Minervae, l’unico essere che
può, per mezzo del sacrificio, ricondurre la creazione alla sua origine divina. Dentro di sé egli è
spirito e luce, ed ha perciò una grande responsabilità. È di questo che tratta l’Hercules 16. Il fine di
Stiernhielm è la verità, una conoscenza totale del cosmo, in cui l’agire umano è un elemento
estremamente importante. L’Hercules esprime le sue aspirazioni filosofiche, la sua dottrina sulla
posizione dell’Uomo nell’Universo, e perciò Stiernhielm impegnerà in esso tutta la sua abilità
poetica17.

16
Cfr. S. Lindroth, Svensk lärdomshistoria, cit., p. 165.
17
Cfr. S. Lindroth, Efterskrift till Hercules, Facsimiledition, III ed., Uppsala, 1967, p. 13 sg.
20
Hercules – la composizione e i motivi

La produzione poetica di Georg Stiernhielm non è molto vasta, e si concentra soprattutto, almeno
per quanto riguarda le opere maggiori, negli anni che vanno dal 1640 al 1660. Sebbene alcuni
componimenti restino comunque interessanti, come i testi dei balletti di corte, scritti intorno al
16501, le numerose piccole poesie di carattere epigrammatico, scritte in margine ai libri o tra le
annotazioni2, e alcuni componimenti maggiori intorno a temi stabiliti (come Hälse–Prijs, “Lode alla
Salute”, vicino all’Hercules per la tematica), il posto d’onore in questa produzione spetta senz’altro
all’Hercules. La prima pubblicazione di quest’ultimo risale al 1658, anche se una versione del
poema doveva esistere già prima del 1644, come testimoniato in un piccolo componimento poetico
scritto per l’amico J. Loccenius. Successivi stadi nello sviluppo dell’Hercules si conoscono
attraverso due copie del poema risalenti al 1649 e 1654, appartenenti alla famiglia Ekeblad. Il
poema ha dunque subito nel corso di 15 anni una continua trasformazione, parallelamente allo
sviluppo del pensiero filosofico e linguistico di Stiernhielm.
L’Hercules è, come il titolo lascia già intendere, un poema eroico, un “Carmen Heroicum”, come lo
stesso Stiernhielm lo definisce già nel 16473. Poema eroico o poema epico. Stiernhielm segue qui le
regole della Poetica tripartita di L. Fornelius (1643), secondo cui l’Epos è la forma poetica più alta,
la più adatta a narrare, in esametri, le gesta eroiche di nobili uomini4. Ma secondo la concezione del
tempo, un poema epico deve trattare un argomento elevato, trasmettere un profondo insegnamento
etico in forma velata, allegorica: «fines poesoes: prodesse et delectare»5. L’Hercules è perciò un
epos allegorico.
Il nocciolo del poema, infatti, non risiede tanto nelle gesta eroiche del protagonista Ercole, quanto
nell’elemento drammatico costituito dalla lotta tra due poteri, il male e il bene, impersonati dalle
figure allegoriche di “donna Voluttà” e “donna Virtù”, per conquistare l’anima dell’uomo. Alla base
dell’uso dell’allegoria vi è la convinzione, antica e medievale, che il mondo sia pervaso da un
principio ordinatore universale, che l’esistenza consista in una serie di piani corrispondenti:
attraverso paralleli e identità tra questi piani diversi si pensa di poter penetrare nelle leggi stesse
della creazione, e raggiungere così una sapienza universale6.
Si trova inoltre, nell’Hercules, una certa predilezione per un linguaggio pieno di sentenze e
immagini simboliche, nel quale è evidente l’influenza dell’“Emblematica” del tempo.
L’Emblematica si sforza di stabilire un legame diretto tra immagine e parola: i libri di emblemi,
molto popolari, si compongono di immagini simboliche o allegoriche, seguite da testi in versi, che
ne danno l’equivalente linguistico7. Si pensa così di poter trasmettere un insegnamento profondo in
modo più efficace8.
La poesia deve dunque trasmettere un grande insegnamento etico, ma per far questo deve prima
“convincere” il lettore. Per mezzo della forma (ritmo, composizione) e dello stile (figure retoriche),
deve portare il lettore a uno stato di ammirazione9. Da qui la grande importanza attribuita da
Stiernhielm alla lingua poetica e allo stile, l’uso notevole di allitterazioni, assonanze e giochi di

1
V. nota 31.
2
Una di queste poesie è Emblema Authoris, pubblicata nell’Archimedes reformatus (1644), per cui v. il prossimo
capitolo.
3
Riferito in una lettera dell’amico E. Oxenstierna, allora governatore delle province baltiche, a suo padre. Cfr. J.
Nordström, De olika Hercules–versionerna, in “Samlaren”, 1916, pp. 162–203.
4
L’Hercules è il primo grande poema in esametri in lingua svedese.
5
Cfr. W. Friese, op. cit., p. 112 sg.
6
Cfr. K. Johannesson, op. cit., p. 90; A. Friberg, Den svenske Hercules, Stoccolma, 1945, p. 12.
7
Spesso gli emblemi erano corredati da un commento in prosa. All’origine dell’Emblematica vi è la curiosità degli
umanisti italiani, specialmente neoplatonici, per i geroglifici egiziani e per le sentenze cosiddette “pitagoree”.
8
Stiernhielm conosce molto bene i libri di emblemi del tempo, soprattutto attraverso l’allora assai letta Encyclopaedia
dell’umanista tedesco J. Alsted (Herborn, 1620).
9
La lingua deve essere perciò ornata, l’espressione variata, determinate qualità di un oggetto messe in risalto,
enfatizzate.
21
parole, per la maggior parte legati alle sue teorie filosofico–linguistiche10, ma anche il grande uso di
figure retoriche: antitesi, chiasma, parellelismo, anafora, versus rapportati, accumulazione,
enumerazione, metafora, apostrofe, analogia e similitudine11.
Il motivo di Ercole al bivio12 si rifà in primo luogo al racconto del sofista greco Prodico di Keos
(seconda metà del 400 a.C.), riportato da Senofonte nei suoi Memorabilia13. Che Stiernhielm si sia
basato su questa fonte è noto già da molto tempo. D’altra parte il motivo del bivio, collegato o meno
al personaggio di Ercole, è presente in numerose altre fonti, antiche o posteriori, come nel poema
epico–didascalico Punica, di Silio Italico14, in autori come Filone15, Lattanzio16, Esiodo17,
Cicerone18, il poeta neolatino M. Palingenius19, lo svedese P. Rudbeckius20, il tedesco
Moscherosch21, ecc.
Stiernhielm si serve, nella costruzione del suo poema, di elementi presi da tutte queste fonti, per
giungere a una rappresentazione del motivo più vasta22, ma allo stesso tempo unitaria e originale23.
Rispetto ai predecessori, infatti, Stiernhielm dà al motivo nuova concretezza, una maggiore
ricchezza di particolari; le stesse due alternative di vita vengono descritte in modo più realistico, tra
l’altro servendosi di immagini simboliche, alcune di esse riprese dai libri di Emblemi, che vanno a
integrare e a sostenere le parti discorsive del poema. Queste stesse parti acquistano, inoltre,
maggiore estensione e chiarezza.
Un’altra novità dell’Hercules, infine, è rappresentata dalla presenza dei motivi della brevità della
vita e della morte: la stessa alternativa delle due vie, della Virtù e della Voluttà o del vizio, ha il suo
parallelo nell’alternativa tra la vita e la morte. Stiernhielm ha senz’altro trovato l’ispirazione per
queste ultime parti nell’Antico Testamento, soprattutto nell’Ecclesiaste e nella Sapienza di
Salomone. Il tema della brevità della vita era inoltre legato già nella Bibbia al motivo delle due
vie24. Una delle due vie, quella della Virtù, è nell’Hercules di contenuto stoico. L’altra, quella della
Voluttà, è invece di contenuto epicureo25. Lo schema di base della composizione, nell’Hercules, è

10
La scelta del lessico è importantissima nella composizione dell’Hercules. Stiernhielm introduce spesso termini arcaici
o insoliti, ripresi dagli antichi testi svedesi e islandesi, o da uno o più dialetti svedesi contemporanei, perché questi
meglio rispecchiano, secondo lui, le idee da esprimere. Cfr. C.I. Ståhle, op. cit., p. 256.
11
Stiernhielm non si accontenta della retorica classica, ma cerca di sviluppare ulteriormente la cosiddetta “Arte lullica”
o “Ars magna” o “Ars combinatoria”. Questo sistema, costruito dal teologo spagnolo Raimondo Lullo intorno al 1300,
era il tentativo di creare un insieme di concetti unitario e valido per tutte le scienze, dalla metafisica all’etica e alla
retorica: si trattava in pratica di un sistema di cerchi concentrici ruotanti, con unità sintattiche ordinate per categorie.
Cfr. K. Johannesson, op. cit., p. 25; B. Olsson, op. cit., pp. 194-212; A. Friberg, op. cit., p. 37 sg.
12
La figura di Ercole, in origine indipendente, viene ben presto legata, nell’antichità, al motivo della “scelta della via”,
motivo particolarmente amato dagli stoici. Cfr. A. Friberg, op. cit., pp. 85 sgg.
13
Senofonte, Memorabilia II, 1, para. 21–33.
14
Silio Italico, Punica, lib. XV, vv. 18–120.
15
Filone di Alessandria, Opera omnia, Lut. Parisiorum, 1640, p. 861 sgg.
16
Lattanzio, Institutiones Divinae, VI, p. 3 sgg.
17
Esiodo, Le opere e i giorni, I, v. 288 sgg.
18
M.T. Cicerone, De Officiis, I, cap. 32.
19
M. Palingenius, Zodiacus vitae, Basileae 1621, Leo e Gemini.
20
P. Rudbeckius, Insignis Adolescentia, 1624, Om Hercule Alcmenae son.
21
H.M. Moscherosch, Gesichte Philanders von Sittewald, Strassburg, 1643. Il tema di Ercole al bivio era del resto già
abbastanza diffuso e studiato nelle scuole e nelle università “riformate” della Germania settentrionale, e aveva avuto un
ruolo importante nella propaganda culturale–umanistica del protestantesimo. Cfr. S. Delblanc, Hercules magnanimus, in
“Samlaren”, 1961, pp. 5–72.
22
Ispirato al culto umanistico della virtù e alla filosofia neoplatonica della natura, questo tema dovette già fare una forte
impressione sul giovane Stiernhielm. Il suo iniziale interesse per l’argomento è dimostrato, oltre che in alcuni appunti,
nella sua poesia latina Carmen jambicum dimetrum del 1624, in cui Stiernhielm parla della via della Virtù e di quella
della Voluttà.
23
Non bisogna infatti pensare l’Hercules come un grande puzzle di questi elementi.
24
Cfr. B. Olsson, op. cit., Stiernhielms Wijsdom och Salomos Wijshet, pp. 108–122.
25
Al motivo del bivio viene associato già nella tarda antichità, e poi durante il Rinascimento, un simbolo particolare, la
Y pitagorica, in cui il tronco rappresenta l’infanzia dell’uomo, inconscia e moralmente indecisa; il ramo destro la via
22
costituito dalla descrizione di queste due alternative, dai discorsi delledue donne: si può dividere il
poema (di 521 versi), quindi, in due parti quasi uguali, costituite, la prima dal discorso di donna
Voluttà, l’altra da quello di donna Virtù26. Se si tiene conto tuttavia delle due parti introduttive ai
discorsi delle donne, si giunge a una divisione in quattro (vv. 1–49; 50–272; 273–281; 282–521).
Entrambi i discorsi sono inoltre composti l’uno come la controparte aristotelica dell’altro. Donna
Voluttà, ad esempio, inizia a parlare proponendo a Ercole di pensare alla brevità della vita (vv. 58–
85); allo stesso modo, anche se con fine ovviamente diverso, donna Virtù termina la sua arringa (vv.
259–272); donna Virtù inizia il suo discorso positivo con la descrizione della vita stretta, che lei
rappresenta (vv. 304–320). Vi sono poi ancora altre parti parallele, spesso antitetiche, nelle due
metà del poema, ad esempio quando entrambe le donne parlano della nobiltà e dei suoi doveri (vv.
294–258 e 464–489 rispettivamente).
Pare che, nella composizione dell’Hercules, Stiernhielm abbia lavorato seguendo dei principi che
possiamo chiamare di corrispondenza, antitesi e variazione. La corrispondenza più essere tale da
poter parlare di simmetria; e se questa costituisce uno schema piuttosto fisso, all’interno del poema,
la variazione crea invece un effetto di mobilità che contrasta questa tendenza alla rigidità. L’antitesi
infine crea la tensione e la drammaticità del tutto. Per ultimo possiamo ancora notare, nello stile del
poema, la tendenza verso un realismo e una concretezza descrittiva, specialmente nella prima parte,
alla quale se ne oppone, nella seconda, un’altra verso uno stile più altisonante, quasi da predica.
I temi centrali nell’Hercules possono infine riassumersi nel modo seguente: a) motivo delle due vie;
b) motivo della brevità della vita e della transitorietà o vanità di tutte le cose, legato al c) motivo
della Morte, che serve da argomento di fondo nel discorso di donna Voluttà (“carpe diem”) e in
quello di donna Virtù (necessità di ricercare la virtù); d) motivo della nobiltà e dei suoi doveri; e)
motivo della Virtù (Dygd) ed f) dell’Onore (Ähra), legati entrambi a quello della g) Saggezza
(Wijsdom), la quale ha il suo fondamento nella h) Conoscenza (Lärdom) ed i) nell’Amore
(Mildheet).

lunga e ripida della virtù e quello sinistro, più corto, la via corta e facile del vizio, che termina però improvvisamente
nel vuoto. Cfr. A. Friberg, op. cit., p. 100 sgg.
26
A differenza di autori come Senofonte, manca qui un dialogo tra le due donne.
23
Immagine dall’edizione facsimile

Prima pagina dell’edizione facsimile

24
HERCULES1

HERCULES arla stod vpp, en morgon, i första sin vngdom,


Fuller af ångst, och twijk, huru han sitt lefwerne böria
Skulle, däraf han Prijs kunde winna, medh tijden, och Ähra.
I thet han altså går vti tankar, och högste bekymber;
Trippar ett artigt Wijf, doch lätt af later, och anseend, 5
Till honom an; blomerad i marg-fals-färgade kläder2;
Glimmand' i Pärlor, och Gull; och gnistrand' i dyrbare Stenar;
Skön aff Anlete; men (som syntes) sminkad, och färgad;
Som een drijwa sniö-hwijt, med rosen-färgade kinner;
Käck-ögd, diärf vtaf upsyn; af huld war hon fyllig och frodig 10
Gull-gåhl-blänkiandes håår; bekrönt medh Roser i Pärlor.
LUSTA war hennes namn, wijdt-dyrkat i werldennes ändar3.
Dänne war intet alleen; Hon kom med tree siine Döttrar,
Samt sin Son, dera broder, här-an, i sådana lynde:
EEn war tröger å foot; half-sofwande, gäspande, tung-lynt, 15
Owulin i sin drätt, obörstad, och solkot i Klädom4;
Doch war Hon illa beprydd med en krantz aff Swimmel, och Walmog5.
Hon baar ett hyend' in-vnder en arm, och Kårt-spel i handen;
Koxade kring hwar hon foor, och klådde gemeenliga fingren.
LÄTTJA war hennes namn, af Moderen ärnat i waggan. 20

1
Il testo con la grafia originale svedese è ripreso direttamente dall’edizione facsimile a cura di S. Lindroth, III ed.,
Uppsala, 1967. Evidenziate in grassetto nel testo le lettere o suoni di particolare rilevanza nel pensiero filosofico–
linguistico di Stiernhielm, intenzionalmente scelti dall’autore e carichi quindi di significato, spesso membri di
allitterazioni o assonanze.
2
Vv.1–5: arla = presto, di buon’ora; compare nel glossario (Ut–tydning) che S. fa seguire al poema. Parola non insolita
per il tempo, ma che S. riprende da fonti antiche, e accosta allo sv. år, ted. Jahr, lat. hora, dalla radice AR, che indica
«origine, tempo iniziale ed Ens» (Fd5) (cfr. tra l’altro C.I. Ståhle, Ordförklaringar, cit. p. 45 sg.; Språkteori, cit., p. 74;
Vers och Språk, cit., p. 257). Allitterazione in F e contrasto tra la A di arla, la U di ungdom, la Å di ångst e la Ä di
Ähra. Trippar, nel glossario: «camminare lievemente, a piccoli passi», quasi un passo di danza, provocante; artigt,
gloss. = «Singularis, Ingeniosus, Elegans, Solers»; corrisponde per S. al lat. ars «naturae filia et aemulatrix» (Fd5), lätt
aff later = «di portamento leggero»; espressione ripresa dalla Leggenda di Barlaam isl., e ivi riferita a Venere; gloss.:
«Laat, Laater, Gestus, vultus, species»; allitterazione in L, secondo S. lettera «laevis» (N24). V. 6: allitterazione in F.
3
Vv. 7–12: allitterazione in G. Vv. 8–9: allitterazione in S. V.9: similitudine abbastanza usata all’epoca; il contrasto di
rosso e bianco corrisponde all’ideale di bellezza del tempo. V.10: altra allitterazione in F, che esprime per S tutto ciò
che è collegato al vento, al fiato: «ea quae flatuosa sunt» (N24). V.11: allitterazione in G, che riprende quella del v. 7;
la G rappresenta lo spirito (H) che si è ormai materializzato; gull-gåhl-blänkiandes håår, «capelli rispledenti di giallo
oro»: uno dei composti nominali o cosiddetti epiteti omerici ricercati dalla nuova poetica; gåhl è un termine dialettale
per gul “giallo”. V.12: LUSTA = Voluttà; il termine appartiene al linguaggio religioso e morale del tempo, col
significato di “istinto dell’uomo verso i piaceri e il vizio”; la L iniziale è simbolo di «leggerezza, frivolezza».
Allitterazione in W (grafia antica per V), lettera materiale.
4
Vv. 13–16: V. 14: altra allitterazione in S, lettera che richiama l’idea del sonno (cfr. half–sofwande, tung–lynt e
Swimmel); cfr. il v. precedente e i successivi. I vv. dal 13 al 17 sono invece pieni dei suoni vocalici O e U, richiamanti
l’idea della notte e del buio. V.15: tung–lynt, nel gloss.: «specie desidiosus, somniculosus».
5
Vv. 17–20: krantz aff Swimmel, och Walmog, corona di erba soporifera e papavero, simboli del sonno. Swimmel,
spiegata nel glossario: «un tipo di avena selvatica, chi beve della birra fatta da questa, o ne mangia nel pane, cade in
un sonno profondo e lungo». V. 18: Hyend’, “cuscino” e Kårt-spel, “mazzo di carte”, ancora attributi simbolici. V.19:
allitterazione in K, che riprende dai vv. 17–18. Klådde, “si grattava”, segno di inattività.V.20: LÄTTJA = ACCIDIA,
cfr. i vv. 12, 29, 38 e 47. La L iniziale, come per LUSTA, VOLUTTÀ, è simbolo di «leggerezza, frivolezza».

25
ERCOLE

ERCOLE presto si levò un mattino della prima giovinezza6,


Pieno di ansia e dubbi, come iniziare la sua vita,
Per poter, col tempo, conquistar Gloria e Onore.
Mentre egli in tal guisa avanza pensoso e inquieto,
Con passo lieve una donna avvenente, ma di portamento e aspetto leggeri7, 5
Gli viene incontro; adorna di vesti variopinte,
Rilucenti di Perle e Oro e splendenti di Pietre preziose,
Bella di viso, ma (si vedeva) truccata, e colorata;
Bianca come un cumulo di neve, le gote tinte di rosa;
Sfrontata, di aspetto audace, robusta e florida, 10
La chioma rifulgente di giallo oro; incoronata da Rose di Perle.
VOLUTTÀ era il suo nome, venerato in tutto il mondo.
Non era sola; ma accompagnata dalle sue tre Figlie8,
E suo Figlio, loro fratello, in tal guisa:
Una camminava pigra; semi-addormentata, sbadigliando, sonnolenta, 15
Trascurata negli abiti, non spazzolate e sporche le Vesti;
Era però malamente adornata con una corona d’erba soporifera, e Papavero.
Portava un cuscino sotto braccio, e Carte da gioco in mano;
Si guardava attorno dove andava, e si grattava le dita senza sosta.
ACCIDIA era il suo nome, dalla Madre già destinato sin dalla culla. 20

6
L’inizio del poema ci porta direttamente “in medias res”. La scena non si può certo dire ricca di particolari, manca
specialmente una descrizione del personaggio, ma vengono date le notizie essenziali: sappiamo infatti già di cosa
tratterà il poema. Il mattino ben si armonizza con la prima giovinezza di Ercole.
7
Dopo essere stati introdotti nella situazione, inizia ora il racconto, nel presente storico, con la descrizione, molto
dettagliata, di donna Voluttà e del suo seguito. L’uso dell’allegoria e del simbolismo è in queste scene assai marcato. A.
Friberg (op. cit., p. 70 sgg.) osserva la somiglianza di queste con le scene dei balletti di corte barocchi, che si tenevano
allora frequenti.
8
Dopo la presentazione di donna Voluttà segue la descrizione delle sue tre figlie Accidia, Lussuria e Vanità, e del figlio
Ebbrezza. Simbolicamente essi rappresentano altrettanti attributi o emanazioni di donna Voluttà. Infatti non sempre
compaiono nelle fonti di S. Così, alcuni tratti della figura originaria sono stati trasposti alle figlie, come i seni sporgenti
e rigonfi di Lussuria. La composizione di questi vv. segue, pur con variazioni, quella dei vv. precedenti: prima la
descrizione dell’aspetto e degli attributi simbolici, infine il nome. La durata di ciascuna “presentazione”, inoltre, è
all’incirca uguale (8–9 vv.).

26
Andre war Moor-lijk, dristig, och kön, med mysande munne9;
Hwärfde sijn' plijr-ögon om, med lekande, lockande later;
Ehwar hon gick, drog hon å sig hwars-mans ögon och ålijt;
Klädd war hon i fijnt Skijr; att hon synts hwart klädd, eller oklädd.
Swan-hwijtan hals, där-å spelande rings-wijs-krusade Låckar; 25
Tittarne tittade fram vtu floret, och half-bare brösten10.
Gilliand' i lönliga wijs, och puffande, pyste til älskog.
Hon had' ett Eld-fyre på sijn hand, Stål, tunder och flinta.
KÄTTJA war hennes egentlige namn, kär-älskelig allom.
Sälsynt af Anlete war den yngst' af dässe tree Systrar: 30
Ett öga greet; med det andre då loog hon; snart war hon effterst,
Snart war hon för-åt i tripp-trapp, snäller och dans-wijg å fotom.
Hon war klädd opå Fransk, där-å alt war brokot, och krokot;
Ringat, och slingat i kors; med franssar i lyckior, och nyckior,
Pappat, och knappat i längd, och i bredd; med spitsar, och litsor; 35
Rundt omkring, och i ring, ala-mode, beflittrat, och splittrat.
Hon baar opå sijn hand ett seglande Skep, vtan Styre.
FLÄTTJA hon heet; är myckit afhållin af mäste wår Ungdom11.
Jämt henne, kom där ock wältande fram en stinner en Sälle;
Fnyste och pyste så mädan han gick, han rullade foot-lös12, 40
Som ett Marswijn här-an; war brusande röder, och dropp-ögd;
Han baar en Krantz å sitt höfd, infletad' i reefwor med humble-
Tuppor all om bewefd, bland frisk-dagg-drypande drufvor13;
Glas haden i sijn hand, och een brinnande Lunta kring armen,
Samt där-in-under, en rulla Tabak; och pijpor i krantzen. 45
Så kommen an, och dänne war Tärnorna lijflige broder,
RVVS heeter han; är en lustig i laag, tijd-kortelig Hansse14
(RAPP war dänne gång inte där hoos, war ute på wärfning)15
Dänne war LVSTAS fölgd, och pracht uti budnad, och Hofsind,
Effter en ährbödig ögn-laat, hand-kyss, och wyrdliga knä-bugt, 50
Böriar hon ett sött Taal, på sätt, som föllier, af ordom:
HERCULES, stålt af modh; af blod Hög-ädeler Herre16,
Hwad för en ångst, och qwal, är den ditt hierta betungar?

9
Vv. 21–25: med mysande munne, «con bocca sorridente»; S.: «mysa på munnen exiliter et occulte subridere» (da:
Radix MA, Fd2, 1649); allitterazione in M, lettera che per S. esprime, tra l’altro, l’idea di chiusura, segretezza (Fd2). V.
22: lekande, lockande later, “in maniera scherzosa e procace”; allitterazione in L, per S. «litera Lucis et laetitiae»
(Fd7). V. 23: ålijt, “sguardo”, termine ripreso dalla Leggenda di Barlaam islandese.
10
Vv. 26–30: Tittarne tittade fram vtu floret, “i capezzoli sporgevano”, assonanza e gioco di parole; allitterazione in
F che anticipa l’altra in P del v. successivo, entrambe esprimenti, per S., l’idea del soffiare, del gonfiarsi («ea quae
flatuosa sunt»). Pyste, “si gonfiavano”; per S. «pysa turgere» (Fd2). V.28: L’acciarino e gli altri oggetti che seguono
simbolizzano il compito di Lussuria di “accendere” all’amore (cfr. A. Friberg, op. cit., p. 70 sgg).. V. 29: allitterazione
in K, per cui v. oltre. KÄTTJA = LUSSURIA; il termine appartiene, secondo S., ai «verba generandi», come «Queen,
Quinna, konu (tutti: “donna”)… gaudeo» (N24).
11
V.38: FLÄTTJA = VANITÀ; notare la rima nei nomi delle tre sorelle.
12
V.40: Fnyste och pyste, «sbuffava e sospirava», ; P, F ed S rappresentano, per S., «ea quae flatuosa sunt» (N24);
notare la rima interna.
13
V.43: frisk-dagg-drypande drufvor, «gocciolanti di fresca rugiada», epiteto “omerico”.
14
RVVS = EBBREZZA; il nome è ripreso da un Volksbuch tedesco; allitterazione in L, iniziata nel v. precedente.
15
V. 48: RAPP = RAPINA; nome ripreso forse dall’olandese Jan Rap “ladro, rapinatore” (cfr. van Wijk, p. 95 sg.); S.:
«rappa, rapio, raffen» e «röva, rapio, rappa» (Fd5, Fd7).
16
V.52: allitterazione in H, che rappresenta, per S., «Spirito che non esiste se non dove c’è vita e luce».

27
L’altra era simile alla Madre, audace e sfrontata, con bocca sorridente;
Lanciava intorno il suo sguardo ammiccante, in maniera scherzosa, e procace;
Ovunque andasse attirava gli occhi e lo sguardo di ogni uomo;
Era vestita di un velo sottile, così che sembrava vestita, e non vestita.
Il bianco collo di cigno, sul quale giocavano riccioli inanellati; 25
Sporgevano sotto il velo i capezzoli, ed i seni seminudi.
Che adescavano di nascosto, e si enfiavano e gonfiavano per amore.
Aveva in mano un Acciarino, Acciaio, esca e pietra focaia.
LUSSURIA era il suo nome di battesimo, amata da tutti.
Bizzarro era il Volto della più giovane di queste tre Sorelle: 30
Un occhio piangeva, con l’altro sorrideva; a volte rimaneva dietro,
A volte andava avanti trotterellando, veloce, con piede di danza17.
Era vestita alla Francese, dove tutto era multicolore, e storto,
Con cerchi e ghirlande incrociate; con frange in anelli, e riccioli,
Inamidato, e con bottoni per lungo e per largo, merletti, e cordoncini 35
18
Tutto intorno e in cerchio, à la mode, decorato con pagliuzze, e spaccato .
Portava in mano una Nave che navigava senza Timone19.
VANITÀ si chiamava; molto amata dalla maggior parte della nostra Gioventù.
E con lei veniva anche, rotolando, un Compagno grasso20,
Che sbuffava e sospirava, mentre andava ruzzolando senza piedi, 40
Come una Ciotola; rosso come il fuoco, e con gli occhi che lacrimavano.
Portava una corona in testa, intrecciata di tralci di frutti di luppolo
Tutto circondato da grappoli gocciolanti di fresca rugiada;
Aveva un bicchiere in mano, e una Miccia fiammeggiante intorno al braccio21,
E sotto, un rotolo di Tabacco; e pipe nella corona. 45
Così egli venne avanti, e questo era il fratello carnale delle Fanciulle,
EBBREZZA si chiama; fa passare il tempo ed è allegro in compagnia.
(RAPINA stavolta non c’era, era via a caccia)
Questo era il seguito di VOLUTTÀ, nello splendore dei costumi, e il Corteo,
Dopo un’occhiata rispettosa, un baciamano e un degno inchino, 50
Comincia (lei) un dolce Discorso, del contenuto che segue22:
ERCOLE, fiero di temperamento; di sangue nobile Signore,
Cos’è quest’angoscia e tormento che affliggono il tuo cuore?

17
Vv. 31–32: due antitesi: simbolo del carattere “mutevole” di Vanità. V.33: la moda francese nell’abbigliamento, che
si diffonde ora in Svezia, portata da soldati e ufficiali di ritorno dalla guerra dei trent’anni, ma anche l’abitudine nuova
di mescolare alla lingua svedese termini ed espressioni francesi (cfr. A. Friberg, op.cit., p. 187 sgg.; S. Ek, op.cit., p.
330 sgg.).
18
Vv. 33–36: notare la serie di rime interne, ad esprimere linguisticamente la vanità dell’abbigliamento.
19
V.37: la nave senza timone, ancora simbolo di “volubilità”.
20
V.39: S. dà, a Ebbrezza, tratti che tradizionalmente appartenevano a Bacco (cfr. Hj. Lindroth, op. cit., p. 47 sg.).
21
V.44–45: la miccia, il tabacco e le pipe alludono ovviamente al “vizio” del fumo, associato, già nel ‘600, a quello del
bere.
22
Una volta introdotti questi personaggi, donna Voluttà inizia il suo discorso, che costituisce la prima metà del poema
(vv. 52–272).

28
Hwad för twijkan är i din Hug? Beskoda din Ungdoms-
blomster, och åhr; dijn färga, din hy, dijne blysande kinner23; 55
Pröfwa dijn ögons macht, din oförlijklige fägring24,
Älskad, och önskad utaf de wäniste Jungfrur i Landet25.
Tag dijne gåfwor i acht, mädan Åhren, och dagarne lijda26;
Sätt dijne kraffter i bruk, förr-än Åldren, och grå-håren yppas.
Tänck; här är inte bestånd i Werlden; och alt är i loppet27: 60
Såsom en Eld, en Ström, ett Glas, ett Gräs, och een Blomma28;
Brinner, och Rinner, och Skijn, och Grönskas, och Blomstras, om affton;
Men fins Släckt, Stild, Bräckt, och Torkat, och Wissnat, om morgon:
Altså Menniskio-lijff, som röök förswinner i Wädret.
Heel, i dag, och sund; frisk, lustig, fager, och röder: 65
Morgon är kaller i munn, stock-steelnad-stijfwer, och döder29.
Döden molmar i mull, alt hwadh här glimmar, coh gläntsar30;
Döden kastar å kull, alt hwad här yppert, och högt är;
Döden knossar i kraas, alt hwad här krafft har, och heelt är31;
Döden trampar i träck, alt hwad här fagert, och fijnt är; 70
Döden dwäler i dwalm, alt hwad här lefnat, coh lijf har32;
Döden raffar å wäg, alt hwad här achtas, och älskas;
Döden sielfwer är INTET, och gör all ting til ALS-INTET.
Effter Döden är ingen frögd. När Anden är vte;
Hwar blifwer all wår lust? när Ögat har intet att see meer; 75
Ögat har intet Lius; och örat har intet som höres:
Hwar blifwer all wår lust? när Kropp, och Siäl äre skilde.
I dät mörke ewiga Tysta!

23
V.55: blysande = radiose; per la scelta di questa parola S. è stato forse influenzato dall’associazione con lysa,
“brillare, risplendere”, e dalla qualità “luminosa” di Y (cfr. qui p. 13 sgg.; cfr. Ståhle, 1957, p. 52; cfr. anche i vv. 428 e
452).
24
V.56: Pröfva = prova; sottinteso: sulle donne.
25
V.57: allitt. vocalica (cfr. qui p.15) e rima interna; wäniste = le più belle; nel gloss.: «Wänista mö; amabilis puella»;
S.: «Wen, Wän, venustas, jucundus pulcher. Hinc Venus» (Fd10) (cfr. Ståhle, 1951, p.83).
26
V.58-59: allitt. vocalica (cfr. qui p.15). Sul motivo del “carpe diem” nella letteratura europea del Rinascimento e del
Barocco cfr. C. Fehrman, op.cit., p. 150 sgg.; Hj. Lindroth, op.cit., p. 49 sg., 53; lijda = passano; in contrasto con
quanto avviene dopo la morte, quando tutto si ferma.
27
Il v. traduce direttamente Ovidio: «Nihil est toto quod perstet in orbe / Cuncta fluunt» (Metamorfosi, CV, v. 177 sg.)
(Cfr. Fehrman, pp. 348, 375); alt är i loppet = tutto scorre; cfr. Eraclito “πάντα ῥεῖ”.
28
Vv. 61-63: costruzione particolare detta “versus rapportati”; vi si può notare il parallelismo sintattico: il fuoco brucia
e viene spento; il torrente scorre e viene quietato, ecc. (cfr. Fehrman, p. 375 sgg., 382; Olsson, p. 242 sg.; Ståhle, 1975,
p. 258 sg.) Questi tre vv., sulla transitorietà e la vanità di tutte le cose, sono anche carichi del simbolismo dei suoni
secondo S.: L rappresenta “chiarezza” e “luce”; I “vita” e “rinverdire”; R “fuoco” e “movimento”; T “fermarsi”,
“cessare”, “duritas”, “vinculum et statio”, quest’ultimo secondo S. chiaramente attestato nelle forme supine della lingua
svedese (cfr. N24, Fd5, Fd6) (cfr. Ståhle, 1951, p.91 sg; 1975, p.258 sg; cfr. anche qui pp. 13-15).
29
Stock-steelnad-stijfwer = rigido e duro come un ceppo; S.: «ST inducit […] rigiditatem, et […] duritiam» (Fd10)
(cfr. Ståhle, 1957, p. 54); cfr. anche il v. 63.
30
V.67: Molmar i mull = riduce in polvere; gloss.: «da “mull” Polvere, viene “Mullna”, “Molna”, “nigrescere”, […]
“obnubilari”, da cui “Moln”, “Nubes”, […] “Molma” […] “ridurre il polvere». M è per S. simbolo di “Mors” e
“Materia” (Fd2) (cfr. Ståhle, 1951, p. 92 sg.; cfr. anche qui p. 15 sgg.).
31
V. 69: knossar = frantuma; per S., i suoni GN e KN esprimono «vim et necessitatem», KR «asperitatem» (Fd9) (cfr.
Ståhle, 1957, p. 54 sg.; cfr. anche qui p. 15 sgg.).
32
Döden dwäler i dwalm = la Morte assopisce nel sonno; parole riportate da S. alla radice “DA privativum”, che
esprime deperimento, consunzione e morte (Fd5)

29
Che dubbio v’è nel tuo Animo? Osserva della tua Giovinezza
il fiore, e gli anni; il tuo colorito, la tua carnagione, le tue gote radiose; 55
Prova il potere dei tuoi occhi, la tua incomparabile bellezza,
Amata e desiderata dalle più belle fanciulle del Paese.
Pensa alle tue doti, mentre gli Anni ed i giorni passano;
Fa’ uso delle tue forze, prima che la Vecchiaia e i capelli grigi compaiano.
Pensa; non v’è nulla di stabile al Mondo; e tutto scorre: 60
Come un Fioco, un Torrente, un Bicchiere, un filo d’Erba, e un Fiore33;
Brucia, e Scorre, e Brilla, e Verdeggia, e Fiorisce, la sera;
Ma è Spento, Quietato, Rotto, e Seccato, e Appassito, al mattino:
Così la Vita umana, svanisce come fumo nell’Aria34.
Sano, oggi, e in buona salute; florido, allegro, bello e rosso35; 65
Domani sei freddo nella bocca, rigido e duro come un ceppo, e morto36.
La Morte riduce in polvere, tutto ciò che qui brilla, e splende;
La Morte rovescia a terra, tutto ciò che qui è nobile, e alto;
La Morte frantuma in pezzi, tutto ciò che qui ha forza, ed è sano;
La Morte calpesta nel fango, tutto ciò che qui è bello, e fine; 70
La Morte assopisce nel sonno, tutto ciò che qui ha vita, e vitalità;
La Morte rapisce via, tutto ciò che qui è stimato, e amato;
La Morte stessa è NIENTE, e riduce tutte le cose a NIENTE37.
Dopo la Morte non v’è alcuna gioia. Quando lo Spirito è andato via38;
Dov’è tutto il nostro piacere? Quando l’Occhio non ha più niente da vedere39; 75
L’Occhio non ha Luce; e l’orecchio non ha niente da sentire40:
Dov’è tutto il nostro piacere? Quando Corpo, e Anima sono divisi41.
Nel Silenzio eterno e buio!42

33
Nella similitudine dei vv. 61-64 si può notare la corrispondenza tra Macrocosmo e Microcosmo (cfr. Friberg, p.135;
cfr. anche qui p. 18 sg.). Molti dei simboli che qui compaiono si ritrovano inoltre nel Vecchio Testamento (Salmi, 90, 4-
6; 103, 14 sg.; Ecclesiaste, 3,20) (cfr. Fehrman, p.234 sgg.; Friberg, p.113).
34
Cfr. S.: «… Menniskelige lefvernet ähr ”onar skìas”, Somnium umbrae, een Skuggedröm…» («La vita umana è un
Sogno dell’ombra», frase riportata da S. Columbus, op.cit., p. 254); (cfr. Sapienza, 2,2 sgg; Salmi, 144, 4; Ecclesiaste,
1,2: «Vanitatum vanitas, et omnia vanitas»); (cfr. Fehrman, p. 16, 176, 270, 317; Friberg, p.114).
35
Cfr. Siracide, 10,10: «Oggi re, domani morto» (Cfr. Fehrman, p. 255). “Memento mori” e “Vanitas” sono i messaggi
di quest’età barocca (cfr. W. Friese, p. 17).
36
I vv. 66-73, così come altre parti (vv. 381-452 e 464-495), compaiono solo nella vers. finale del poema; qui il
carattere “filosofico” è più accentuato, e sottolineato dall’uso notevole del simbolismo dei suoni (cfr. Ståhle, 1975, p.
251 sgg; Nordström, De olika Hercules-vers., cit., p. 167 sg.; cfr. qui p. 17). Notare la pesante anafora, il parallelismo
marcato, le numerose rime e allitterazioni, il crescendo finale culminante nell’ultimo v.: tutto questo a comunicare il
potere “annientante” della Morte (cfr. Olsson, p. 135 sg.; Ståhle, 1975, pp. 249, 263; Fehrman, p. 312 sg.).
37
Cfr. Seneca, Troades, v. 397: «post mortem nihil est, ipsaque mors nihil» (cfr. Fehrman, p. 314). In quest’ultimo
verso si interrompe lo schema e il ritmo, tutti i contrasti cessano nel “nulla”.
38
V.74: cfr. la massima epicurea: «ede, bibe, lude, post mortem nulla voluptas» (cfr. Fehrman, p. 378); Anden =
Spirito; secondo S. l’Uomo (Microcosmo) è composto da Spirito, Anima e Corpo, così come l’Universo (Macrocosmo)
da tre principi Mens, Lux e Materia (cfr. v. 372; cfr. qui pp. 18 sg.).
39
VV 75-81: Donna Voluttà predica qui la filosofia materialistica epicurea, secondo la quale non ci sono dati altri valori
che quelli che i sensi ci regalano. Tutti i cinque sensi vengono perciò qui nominati (cfr. Olsson, p. 236; cfr. Lucrezio,
De Rerum Natura, 3, 631 sgg.).
40
V. 76: l’Occhio non ha Luce (Ögat har intet Lius); secondo la concezione platonica, la vista non doveva dipendere
solo dalle immagini ricevute, ma anche da una luce insita nell’occhio (cfr. Olsson, p. 174, nota 9).
41
V. 77 : cfr. v. 74.
42
V. incompleto, come alcuni vv. dell’Eneide, potrebbe simbolizzare, come una frase interrotta, lo stupore dell’uomo
dinanzi alla morte (cfr. Komm., p. 52).

30
Så är i känslan ock ingen frögd, der Kroppen är ingen;
Hwad är ock lucht, och smak, där hwarken är ång, eller anda43? 80
Ach! at ock ingen Dröm är vthi den ewige Sömnen!
Solen bärgas, och hwar dagh wanskar Han Liuset i mörker;
Men kommer upp, och mörnar igen, hwar morgon, å skifftes:
Menniskio-lijf icke så; när det, en gång skrijder vnder;
Kommeret aldrig igen; men blijr i det ewiga Mörka. 85
Detta betänck; och leff, så länge du lefwer i werlden44.
Migh fölg; träd mig bij; på lust, och frögdige dagar,
Skal dig ey wara brist: Skön Qwinfolk, lustige bröder,
Spel och Sång, gott wijn, miuck Säng, och kräslige Retter45,
Dig skole wara beredd, så Natt, som Dag, och all ögn-bleck. 90
FRÖJA skal wara digh huld, mijn alsom-käreste Syster46
...FRÖJA dess öfwerwälde beherskar Jorden, och Hafwet,
Himmel, och all Element; bland Gudar, och alla Gudinnor,
Älst, och den ädlest' hon är; als-lefwande Moder, och Amma.
Hon skal blifwa din all-daga gäst, och liuflige bij-wist; 95
LEEKAR, och LÖYE därhoos, med SKÄMT, oc all' artige PUSSAR.
Jämte de tree (sijne täcklige Tärnor,) Nåde-gudinnor47.
Samt Sielfs-williande blinde, gull-wingade, nakote, snälle,
Lille, med pijlar, och bloss, och boga bewäpnade Skytten;
... Den hiert-bindande, twingande, stingande, wäldige Kämpen; 100
Högmods-dämpande, Sinne-beröfwande, Strijdsame Hiälten,
ASTRILD FRÖJAS Son; dijn Jagt skal denne beställa48.
Mera, min HERCULES, hör; Jagh haar tree frijdaste döttrar49:
Dem du här hoos mig seer, lijk' i dygd; men aff olijka kynde.
LÄTTJA, och KÄTTJA, så heta de twå, och FLÄTTJA den yngste; 105
Hiertans barn, god', och hyslige Tärnor, och ährlige Systrar.
LÄTTJA gör ingom meen; är from, och spaker i werkom50;
LÄTTJA gör intet rumor; faar sachtliga fram; drijfwer ingen;
KÄTTJA gör allom lust, är fräck, och köner i åtburd.

43
V. 80: ång = nel gloss.: «vapor, halitus, spiritus».
44
V. 86: leff … lefwer = entrambi: “vivi”; gioco di parole; notare il contrasto con i precedenti vv. sulla morte (cfr. v.
60; cfr. Olsson, p. 133 sg.); allitterazione in L (cfr. qui p. 13, 15).
45
V. 89: allitterazione in S (cfr. qui p.13, 15).
46
V. 91: FRÖJA = FREYJA; nel gloss.: «Venus, Dea dell’Amore, da “Frö”, “semen”». Syster = Sorella; trovata
originale di S.
47
V. 97 : täcklige = graziose; S.: «täckelig […] a tack, gratus» (Fd10); tree Nåde-gudinnor = tre Grazie; S.: «the tree
Gratier, thet är täckeligheetz Gudinnor».
48
V. 102: ASTRILD = nome creato da S. a partire dall’ant. islandese ástareldr, “fuoco d’amore”; nella Barlaams saga
riferito alla lussuria). Notare l’uso ripetuto del suono I nella descrizione degli attributi di Astrild-Cupido: suono che
esprime per S. vita e intensità, corrisponde al colore verde e al punto più alto del cammino del sole (nella serie vocalica
riportata qui a p. 15; cfr. Ståhle, 1952, p. 76).
49
V. 103: frijdaste = leggiadre, bellissime; termine ripreso dalla Barlaams Saga.
50
VV. 106-108: assonanze in FR.

31
Così anche nei sensi non v’è alcuna gioia, quando non v’è il Corpo;
Cosa sono l’olfatto, e il gusto, quando non v’è né alito, né spirito? 80
Ahi! Non v’è alcun Sogno nel Sonno eterno51!
Il Sole tramonta, e ogni giorno tramuta la luce in buio52;
Ma risorge, e fa giorno ancora, ogni mattina vicendevolmente:
Non la vita umana; una volta che è tramontata;
Non torna mai più; ma rimane nel Buio eterno53. 85
A questo pensa; e vivi, finché vivi in questo mondo54.
Seguimi; cammina al mio fianco; piaceri, e giorni gioiosi,
Non ti mancheranno: Belle Donne, allegri compagni,
Giochi, e Canti, buon vino, Letto soffice, e Piatti sontuosi,
Ti saranno preparati, la Notte, come il Giorno, e in ogni istante. 90
FREYJA ti sarà benigna, la mia carissima Sorella55
… FREYJA il cui potere domina la Terra, e il Mare,
Il Cielo, e tutti gli Elementi; tra gli Dei, e tutte le Dee,
La più anziana, e la più nobile è; Madre di tutti i viventi, e Antenata.
Sarà la tua ospite quotidiana, amabile compagnia; 95
GIOCHI, e RISATE non mancano, con SCHERZI, e ogni tipo di BACI.
Insieme alle tre Grazie (sue graziose Fanciulle).
E l’Arciere di sua volontà cieco, dalle ali d’oro, nudo, veloce,
Piccolo, armato di frecce, di torcia, e arco;
...Il Campione lega-cuori, avvincente, pungente, potente; 100
L’Eroe che smorza l’orgoglio, addormenta i sensi, battagliero,
ASTRILD, di FREYJA il Figlio; che preparerà la tua Caccia.
Di più ascolta, mio ERCOLE; ho tre figlie leggiadre56:
Che vedi qui accanto a me; di pari virtù; ma di indole diversa.
ACCIDIA, e LUSSURIA si chiamano due, e VANITÀ la più giovane; 105
Figlie del cuore, Fanciulle buone, e amabili, oneste Sorelle.
ACCIDIA non fa torto a nessuno; è pia, e mite nei modi;
ACCIDIA non fa rumore; avanza piano; non spinge nessuno;
LUSSURIA tutti invoglia, è audace, e ardita nel comportamento.

51
Se la morte ci priva dei sensi, allora la si può paragonare a un sonno profondo. La metafora del “sonno eterno” è
presente, oltre che in autori come Catullo e Lucrezio, anche nella Bibbia. Cfr. anche Shakespeare, nel famoso monologo
di Amleto: «To die, to sleep, no more, but in that sleep what dreams may come» (cfr. Fehrman, p. 378 sg.). L’uomo è
privato, dopo la morte, anche della possibilità di sognare.
52
VV 82-85: variazione del vecchio motivo: il contrasto tra il perenne rinnovarsi della natura e la vita umana, una sola.
Cfr. Catullo, Carmi, V, 5 sg.: «Soles occidere et redire possunt: nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua
una dormienda» (cfr. B. Swartling, op.cit., p. 96; Fehrman, p. 379). In questo passaggio ancora una similitudine tra la
creazione (Macrocosmo) e l’Uomo (Microcosmo) (cfr. i vv. 61-64). Qui Donna Voluttà introduce il contrasto tra la luce
e il buio, che è alla base della filosofia di S. (cfr. i vv. 371, 373-376, 427, 431 sg., 483-487) (cfr. Friberg, p. 240; cfr. qui
p. 19 sgg.).
53
V. 85: cfr. v. 78; Sapienza, 2, 1, 5.
54
VV 86-90: Donna Voluttà chiede ora a Ercole di trarre la conclusione di ciò che lei ha descritto.
55
I vv. 91-102 introducono ancora due personaggi: Fröja, la dea dell’amore dell’antica mitologia nordica, che ha però
qui funzioni analoghe alla romana Venere, e suo figlio Astrild, corrispondente ad Amore o Cupido. Il loro compito è
praticamente identico a quello di Lussuria: condurre la “caccia” alle donne.
56
Dal v. 103, fino al v. 248, viene presentato ancora il seguito di Donna Voluttà, e si descrive la vita di piaceri e di
lusso che essi hanno da offrire: Accidia servirà Ercole la sera, gli preparerà il letto; Lussuria lo sveglierà la mattina
(all’amore); Vanità sarà la sua attività durante la giornata; Ebbrezza, infine, sarà il suo consigliere, governerà la casa e
la servitù, sarà infine il suo passatempo, con Astrild.

32
KÄTTJAN är wacker, och waker, och qwick opå rolet, i wändning57. 110
FLÄTTJA faar hijt och dijt; snart leer, snart gråter aff ingo;
Lättlynt, flater, och fraak, och lägger alzinte på hierta58.
Desse tree Systrar dig til tiänst skole stundliga stånda.
Hwad i ditt Hus och Hof, görs tarf, skole de samme sysla.
LÄTTJA skal bädda dijn Säng; och LÄTTJA skal söfwa dijn' ögon; 115
KÄTTJA skal wäckia dig upp; och KÄTTJA skal blåsa dig Eld upp.
FLÄTTJA skal wara din ijd; och FLÄTTJA skal wara ditt arbet;
FLÄTTJA skal flyttia dijn ord; dijne Saker, och Ärende drijfwa59.
Desse med samt min Son, Her RVVS dera sam-qweda broder60,
Dig til tienst skole stå, från morgon, alt in-uti morgon. 120
RVVS ditt hemliga Råd, skal mästra ditt Hof, och all Vpwacht.
ASTRILD ymst medh Her RVVS, dijn tijd skole lämpliga korta;
Sorg, och Samwetes-agg fördrijfwa medh allra-hand Aap-spel.
Bort med papper och bleck; bort böker, Cirklar, och pännor61;
Skulle du smitta dijn hand, dijn' Adlige miölk-hwijte finger, 125
Skulle de fläckias i bleck; huru ville du frustugun wittia?
Grepe du een under kinn, eller komme wid hals, eller handen62;
Pfuy! skulle blifwa dijn tack; hwad skulle full Systrarne säya?
Sudle sig Skrifwar' uti sitt bleck; lät Clerker, och Dieknar
Möda sig i sijn bok; leef Mätare Circlar, och Pännor. 130
Du är aff ädlare blod; dijn ätt det skulle wanähra63.
Men där tijden dig blefwe lång, och skulle sig hända,
At een otijdig lust skulle binda din hug til at läsa64;
Så ware dig befalt den härlige Lärare Naso,
I sijn Gilliare-konst; Amadis, Marcolfus, och andre65, 135
Som i gemeen, äre tryckte på Dansk; Melusina.
Keyser Octavian, Finck Riddare, skön Magelona.
Samt den tröst-rijke kärleeks-lärdoms-fulle Diana,
Schäfer Amandus, kysk Amaranth', Eromena, Chariclia,
Eurialus, Fiametta, Calisto, le Cento-novella, 140
Vgelspegel, ändoch han är något grof uti Pussar,
Jämte den tijd-fördrijflige Claus, bör' inte förachtas.
När du nu kommer til högre förstånd, och wilst uti Lärdom
Yppare blifu' än all' andre; så läs, och lägg opå hierta,
La Macaronica di Coccaj, Rabelais, La Lucerna: 145
Picaro, samt Picara, La Pippa di Pietr' Aretino,
Samt den högt-stiliserad' Retorica delle Puttane;
Jämte hwad meer uti FLÄTTIONES ymnoge Bibliothec fins.
FLÄTTIAN är här uti lärd; och kan dig mästerlig öfwa.

57
V. 110: allitterazioni e assonanze in W (V)
58
V. 112: allitterazione in F.
59
V. 118: skal flyttia = eseguirà; allitterazione e assonanza con FLÄTTJA.
60
V. 119: Desse = Queste: le tre figlie di Voluttà; sam-qweda = carnale (cfr. i vv. 29, 489).
61
V. 124: allitterazioni in B e P.
62
V. 127: allitterazioni in K e H.
63
V. 131: allitterazione e assonanza vocalica (cfr. qui p. 14 sg.).
64
V. 133: otijdig = incontenibile; gioco di parole con tijden (“il tempo”) del v. precedente.
65
V. 135: Gilliare-konst = Ars Amandi.

33
LUSSURIA è allegra, e sveglia, e svelta al timone, nel virare. 110
VANITÀ va di qua e di là; presto ride, presto piange per nulla;
Bonaria, superficiale, e affabile, e non prende a cuore nulla.
Queste tre Sorelle saranno al tuo servizio a ognora.
Di ciò che nella tua Casa e Cortile, c’è da fare, si occuperanno loro.
ACCIDIA ti farà il Letto; ACCIDIA ti assopirà gli occhi; 115
LUSSURIA ti sveglierà; e LUSSURIA ti ravviverà il Fuoco.
VANITÀ sarà la tua attività; e VANITÀ sarà il tuo lavoro;
VANITÀ eseguirà i tuoi ordini; sbrigherà le tue Cose, e Faccende.
Queste insieme a mio Figlio, il Signor EBBREZZA, loro fratello carnale,
Saranno al tuo servizio, dalla mattina, alla mattina seguente. 120
EBBREZZA il tuo Consiglio segreto, governerà la tua Corte, e tutti i Servizi.
ASTRILD a turno col Signor EBBREZZA, accorceranno convenientemente il tuo tempo;
Scacceranno Tristezza, e Rimorso, con giochini di ogni tipo.
Via la carta, e l’inchiostro; via libri, Compassi, e penne66;
Dovessi sporcarti le mani, le Nobili dita bianche come il latte, 125
Dovessi macchiarti con l’inchiostro; come potresti frequentare donne?
Afferrarne una per il mento, o raggiungere il collo, o la mano;
Pfui! Sarebbe il ringraziamento; cosa direbbero dunque le Sorelle?
Gli Scrivani si sporcano nel loro inchiostro; lascia che burocrati, e diaconi
Si affatichino nei loro libri; lascia ai Matematici Compassi, e Penne. 130
Tu sei di sangue più nobile; sarebbe un disonore per la tua stirpe.
Ma se il tempo ti diventasse troppo tedioso, e dovesse accadere,
Che una voglia incontenibile spingesse il tuo animo a leggere;
Allora ti sarebbe consigliato l’amabile Maestro Ovidio67,
Nella sua Arte Amatoria; Amadis, Marcolfus e altri, 135
Che in genere, sono stampati in Danese; Melusina.
L’imperatore Ottaviano, il Cavalier Finck, la bella Magelona.
Insieme a Diana, consolante e piena di insegnamenti amorosi,
Il pastore Amandus, la casta Amaranthe, Eromena, Chariclea,
Eurialo, Fiammetta, Callisto, le Cento Novelle68, 140
Till Eulenspiegel, nonostante sia piuttosto grezzo nei Baci,
Insieme a Claus, grande passatempo, non vanno trascurati.
Se ora giungi a un più alto intendimento, e vuoi in Sapienza
Distinguerti da tutti gli altri; allora leggi, e tieni a mente,
La Maccaronica di Coccai, Rabelais, La Lucerna: 145
Picaro, e Picara, La Pippa di Pietro Aretino,
Insieme alla Retorica delle Puttane, di elevato stile;
E quant’altro si trova nella ricca Biblioteca di VANITÀ.
VANITÀ è in questo dotta; e può insegnarti in modo eccellente.

66
V. 124: i compassi alludono specialmente alla matematica e alla meccanica, alle quali S. si dedicava assiduamente
(cfr. qui p. 7).
67
V. 134 sgg.: segue una lista di romanzi d’amore e pastorali diffusi all’epoca.
68
Il Decamerone.

34
Ellies är ock een Bok aff fyre regerande Kungar; 150
Där i du nogsam lust, och tröst, och månghanda finner,
Til dijn tijds-fördärf (fördrijf, iag ärnade säya)69
Där i wij finne La-bete, Triumf, Ruus, Krympa, Manelle;
Färgan, och Munta därhoos, Styr-wålt, Karniffel, och Fämkort,
Hypken, Pittela-pump, Trapeleer, och Primeer, och Pikette70. 155
Brädspel är ock een lust, i Tick-tack, och All-bowerie
Damen, och Fruenspel, Ut-och-in, Förkehren, och Irisch
Och hwad dy-lijka meer är, som dig tiäner i öfning.
LÄTTIAN är här-uti god; Hon kan dig Lekarne lära71.
Diupe besinnande Hiern-brott; höge Latiniske fratsor 160
Fly som en Orm; de willa ditt hufwud, och kränkia dijn hälsa.
Hwar-te studera? du blijr hwart Doctor, Prest, eller Abbot.
Ästu då lystin å Jagt; tarfst aldrig dyrka Diana;
Lystr och sökia te skogs; fara, ränn', och göra dig omak72;
Wåga ditt ynglige blod moot Biörnar, och fahrlige Leyon: 165
KÄTTIA mijn Ungdoms Lust, mijn Dotter, och älsklige Lijfs-frucht,
Skal dig föra på Jagt, som hiertat, och lijfwe må lysta:
Rådiur, och hinner, af huld, swan-hwijt', och leene som ullen;
Af sööt-suckr-drypande mun; röde-rosende läppar;
Kärlige säflige diur; fijn-liuflige, fooglige Tärnor; 170
Hitzige, kitzlige, modige, frodige, kåte Madusor73:
Spake som däggiande Lamb; och wilde, som Hiortar i brunsten.
Dess' äre diuren, opå dem du skalt öfwa din mandom.
ASTRILD weet dera spör; och kan dem artliga wängia74:
ASTRILD snar-fota skal dijn garn upställa, med lämpa. 175
Gillia kan han, och gildra med list; När Kättia begynner
Blås' i sitt Horn, och Hundarna janka, då skaltu med hiertans-
Lust, och nöye få see huru Diuren i garne besnärias:
Här gåret an; Kön ASTRILD han fäller, och spänner, och skiuter.
Öfning i Wapn, och Skafft bemödar ryggen, och armar75. 180
Fächt och ränna må den som har förmycket af hälsan.
Snart är et öga sin koos, om ballen springer å klingan
Snart är en hals afbräckt, om Hästen snawer, och störter.
Bort med sådana leek där ögon och hals står i wåda.
Doch med måtta så måste det skee: dijn Häst lära tumbla 185
Skiut', och renna te Rings så mycke som der opå löper;
At du må skyns war' af adelig ätt, och meer än en bonde.

69
V. 152: tijds-fördärf = rovina-tempo; gioco di parole con il seguente fördrijf (passatempo).
70
V. 155: varie allitterazioni e assonanze in P.
71
V. 159: allitterazione in L (cfr. qui p. 13 sgg.).
72
V. 164: Lystr = Vagare; per S. imparentato al lat. lustrare: «lustrare sylvas».
73
V. 171: serie di assonanze e giochi vocalici; kåte = lascive; dalla stessa radice di Kättia; S.: «Katr, vet. Gladh, hodie
lascivus» (Fd10).
74
V. 174: spör = tracce; S.: «Spör foot-spor, vestigium pedis, gr. σφυρόν ποδός planta pedis. Verb spöria Querere,
proprie vestigare, investigare» (Fd5); wängia = scovarle; S.: «Wängia Sepire […] dwängia, twängia coercere, twang
[…] twinga» (Fd10).
75
V. 180: Skafft = Lancia; per S. dalla stessa radice di skäkta “freccia” e del latino sceptrum, scipio, sagitta (Fd10).

35
Altimenti v’è anche un Libro di quattro re governanti76; 150
In cui trovi bastante divertimento, e consolazione, e molto altro,
Per il tuo rovina-tempo (passa-tempo intendevo dire)
In questo libro troviamo La-bete, Trionfi, Ruus, Krympa, Manelle77;
Inoltre Färgan, e Munta, Styr-wålt, Karniffel, e Fämkort,
Hypken, Pittela-pump, Trapeleer, e Primeer, e Pikette. 155
I giochi da scacchiera sono anche divertenti, Tric-Trac, e All-bowerie
Dama, e giochi di donne, Dentro-e-fuori, Förkehren, e Irisch
E quant’altro v’è, che ti tiene in esercizio.
ACCIDIA è in questo brava; può insegnarti dei Giochi78.
Rompi-capo di senso profondo; dotte frasi Latine 160
Fuggi come Serpenti; vogliono la tua testa, e guastarti la salute.
A che pro studiare? Non diventerai Dottore, né Prete, o Abate.
Hai poi voglia di Caccia; non serve adorare Diana;
Vagare e cercare nel bosco; girare, correre, e darsi pena;
Mettere alla prova il tuo sangue giovanile contro Orsi, e pericolosi Leoni: 165
LUSSURIA, Desiderio della mia Gioventù, mia Figlia, e amabile frutto di vita,
Ti condurrà a Caccia, quanto il cuore, e l’animo tuo potranno desiderare:
Selvaggina, e cerbiatte, di carnagione bianca come cigni, e soffice come lana;
Dalla bocca succosa e dolce come zucchero; e labbra rosse come rose;
Animali amorevoli e mansueti; Fanciulle deliziose e arrendevoli; 170
Donne focose, desiderose, sensuali, lussuriose, lascive:
Cedevoli come agnelli che allattano; e selvagge, come Cerve in calore.
Sono questi gli animali, sui quali eserciterai la tua virilità.
ASTRILD ne conosce le tracce; e può scovarle con destrezza79:
ASTRILD pié veloce piazzerà la tua trappola, con arte. 175
Adescare egli sa, e intrappolare con abilità; Quando Lussuria comincia80
A suonare nel suo Corno, e i Cani abbaiano, allora con Gioia e piacere
Del tuo cuore potrai vedere come gli Animali cadono in trappola:
Ecco!; ASTRILD ardito atterra, e tende l’arco, e scocca.
Esercizio nelle Armi, e con la Lancia affatica la schiena, e le braccia.81 180
Tiri di scherma e corra pure chi troppa ne ha di salute.
Presto un occhio è infilzato, se la protezione salta sulla lama
Presto un collo si spezza, se il Cavallo inciampa, e si rovescia.
Via siffatti giochi in cui gli occhi e il collo sono in pericolo.
Con moderazione ciò deve piuttosto avvenire; insegna al tuo Cavallo a cadere 185
Tira con l’arco, e corri in Cerchio quanto basta;
Che si possa vedere quanto tu sia di nobile stirpe, e più di un contadino.

76
V. 150: si riferisce ai giochi di carte, governati dai quattro semi.
77
V. 153 sgg.: giochi di carte popolari all’epoca; cfr. B. Olsson in: Nysvenska Studier 15, p. 113 sg.
78
VV. 150-159: Ercole può divertirsi con gli innumerevoli giochi e passatempi che Accidia sa offrire: giochi di carte e
con la scacchiera.
79
V. 174 sgg.: sulla “caccia amorosa” v. Friberg, p. 199.
80
VV. 163-179: se poi Ercole vuole cacciare, allora non deve adorare Diana, ma può seguire Lussuria, che lo porterà a
caccia di giovani “cerbiatte” dalla carnagione bianca come cigno, soffice come lana, e dalle labbra rosee e zuccherate:
Astrild conosce le loro tracce, e sa predisporre le trappole giuste.
81
VV. 180-191: invece di armi e combattimenti, che possono recar danno alla salute, Ercole potrebbe dedicarsi alla
danza, che non è pericolosa ed è molto apprezzata da donne e fanciulle.

36
Danssa gör ingom ondt: danss kan dijn hälsa bewara:
Dans een Hälse-boot är; dans lijsar alt arbet och omak.
Ingen om afftonen är så trött; han skulle ju danssa. 190
Danss' är een ädele konst, gör gunst hoos Fruer, och Jungfrur.
Wiltu då Stormar och Strijd? Mijn Son skal föra baneret.
Min Son RVVS, uti kannor och krus; uti gruf-same bolkar,
Dig skal öfwa med art, och drilla på wänster och höger:
Kommer i Fält, mot dig en flock aff fuchtige bröder; 195
Tappert sätter han an, med sådan en ijfwer, och alfwar,
At han i lisla stund, skal fälla de modige Hiältar,
Som rätt-nu stodo käck, och köne; som Oxar i golfve.
Komme där ho som will, han weet dem möta med alfwar.
Stå skole troliga bij, gode, gamle, wäl-öfwade Kämpar, 200
Franssman, Monsieur Avous; och Wälske Signor, Vi-fo-brindis;
Och för all' ander för-ut, den redlige Swenske, Gott-åhr-bror;
Jemte den aldrig-otorstige Tysken; Sauf-du Rein-auss Hans.
Byssor och Swärd är' här intet i bruk för Slanger och Möser,
Morgonstiernor, fylte Granater, och halfve Canoner: 205
Gå här i swang store Barkenmeyre, Bullar, och Bolkar,
Fylte på brädd; diupe Tumblar, och Humpar och höge Bocaler.
Hugg, Stick, Slå; wari långt här-ifrån; (doch somblige Biässar
Finnas ibland, som napt kunne låtat och hafwa det laget.)
Krut och Lod är här intet i bruk: man sätter i ställe, 210
Klarr Reensk wijn, Bacheracher, en Mentzer, och liuflige Necker.
Rinkhauwer, Moskateller, af Gudarne drickes, och älskas
Spanske där-hoos, Alikant, Blanck Bastard, och söte Canarier.
Petersimens, Starck Frontiniac, och Fransk wijn, i nödfall.
Jämte Claret, Hypocras: och flerhand' lystlige drycker. 215
Sedan är ock gott Ööl, som RVVS skal bringa på banen:
Brunswigs Mumma, Possnäll; Garley, och Halbersta' Bryhan.
Zerbest- och Rostocker Öhl Fyns-Miöd, och Westgöta-Mölska;
Knijsnak, och Rumeledois; men bort med Kuckuck, och Rastrum.
När nu blåses alarm, och dundras i Trummor, och Pukor: 220
Lösn är gifwin, Holà; Rundà-rundà-dadinella.
Sätter i bröste tillijka, Gottåhrbror; och Sauf du Reinaus Hans.
Högre Flygelen commenderar Monsieur Avous: den
Wänstr' in furia, swänger häran Colonel Vifobrindis.
Här gäller an, Halft, heel; Sätz an, in floribus, hals auf: 225
Korl-morl-puff; in ein Schluck, one tuck, one schmuck, one bart-wisch.
More Palatino, Tree-på-ra, ne gutta supersit.

37
Danzare non fa male a nessuno: la danza può mantenerti in salute:
La danza è un rimedio per la salute; la danza allevia ogni lavoro e fatica.
Nessuno alla sera è così stanco; da non poter danzare. 190
La danza è una nobile arte, e trova favore tra le Donne, e le Fanciulle.
Vuoi assalti e battaglie? Mio Figlio porterà lo stendardo82.
Mio Figlio EBBREZZA, in brocche e giare; in boccali enormi,
Ti farà esercitare con abilità, e ti allenerà a sinistra e destra:
Se viene sul Campo, incontro a te un branco di fratelli alticci; 195
Coraggioso lui interviene, con ardore, e impegno tali,
Che in un istante appena, abbatte i baldanzosi Eroi,
Che prima avanzavano arditi, e sfrontati; come Buoi a terra.
Si faccia avanti chi vuole, lui sa affrontar tutti con impegno.
Sarà accanto fedele, a buoni, vecchi, ben allenati Campioni, 200
Il Francese, Monsieur À-Vous; e l’Italiano Signor Vi-fo-brindisi;
E a tutti gli altri avanti, il giusto Svedese, Buon-Anno-fratello;
Insieme al sempre assetato Tedesco; Hans-Trinca-tutto.
Pistole e Spade qui non servono, né Obici e Mortai83,
Mazze ferrate, Granate riempite, e mezzi Cannoni: 205
Vanno bene invece grandi Boccali di betulla, Calici, e Tazze,
Riempiti fino all’orlo; profonde Bocce, e Bottiglie e alti Bicchieri.
Ferisci, Tira, Colpisci; ma lontano da qui; (alcuni compagni d’armi
Si trovano talvolta, che non riescono a smettere e lasciar perdere.)
Polvere da sparo e piombo qui non servono: si usa invece, 210
Chiaro vino renano, Bacharacher, e Mentzer, e soave Necker.
Rheingauer, Moscatello, bevuto dagli Dei, e amato
E vino spagnolo anche, Alicante, Bianco Bastardino, e dolce Canarino.
Pedro Ximenes, Forte Frontignan, e vino Francese, se necessario.
Insieme a Claret, Ippocrasso: e gustose bevande di ogni tipo. 215
C’è poi anche la buona Birra, che EBBREZZA porterà in campo:
Mumma del Braunschweig, Possnäll; Garley, e Brihan da Halberstadt.
Birra di Zerbst e Rostock Idromele di Fionia, e Mölska dal Vestgötaland;
Knisnak, e Rummeldois; ma via Kuckuck, e Rastrum84.
Quando suona l’allarme, e rullano i Tamburi, e i Timpani: 220
È dato il segnale, Hoplà; Rundà-rundà-dadinella85.
Attacca al centro tutto d’un fiato, Buonannofratello; e Hans-Trinca-tutto.
Più in alto le ali raccomanda Monsieur Avous: la
Sinistra infuria, avanza ondeggiando il Colonnello Vifobrindisi.
Qui si grida, Mezzo, intero; Attacca, in floribus, su il collo86: 225
Korl-morl-puff; in ein Schluck, one tuck, one schmuck, one bart-wisch87.
More Palatino, Tre-di-fila, ne gutta supersit88.

82
VV. 192-203: ma se proprio vuole duellare, allora Ebbrezza potrà aiutarlo ad esercitarsi, con brocche e boccali.
83
VV. 204-232: al posto di cannoni e granate Ercole potrà usare bicchieri e occali pieni di vini e di birre di ogni tipo;
potrà brindare in compagnia, invece di andare all’attacco.
84
V. 219: Kuckuck, e Rastrum = birre tedesche di cattiva qualità.
85
V. 221: espressione di origine tedesca, cantata mentre qualcuno vuotava un bicchiere.
86
V. 225: “in floribus”, equivalente al motto tedesco “floriκῶς”: per “fiore” (ted. Blume, lat. flores) si intendeva la
schiuma della birra.
87
V. 226: “in ein Schluck” ted. letteralmente “in un sorso”; “one tuck, one schmuck, one bart-wisch” espressione
tedesca cantata durante le bevute.
88
V. 227: canto goliardico: «More palatino, bibimus, ne gutta supersit»; “Tre di fila” (Tree-på-ra) invito a bere tre
volte di seguito.

38
Här säts an uti kors, och i qwär; opå rad, och i runden,
Här sätter an hwar opå sin man, här sturlas, och stormas,
Här är buller, och här är gny, här sorlas, och ållas89. 230
Här mon Barkenmeyer herümmere gahn, med de diupe,
Half-mans-höge Bocaler; och Herre-drycks-hållande Bolkar90.
Artollerii bringes an, kriit-huite Brabandiske piipor91;
Jämte det allerskönste Verginske Tabak, som i staden
Fins; här är Eld, här är Lunta, gif Fyr; lät-gnistra, lät rökia 235
Såsom i Nobis krog de nu sittia bland Eld, uti dimban.
RVVS går om-här, han manar, och trugar, han hörter och yrker.
In-till des at strijden är all. Af de modige Kämpar
Raglar här en; en staplar, en stupar, och falla the hoop-wijs.
Wälter här en i blänck så ränner en hufwud i wäggen. 240
En geer op andan, och alt; en somnar, och kijfwar en annan;
Annor gråter, och leer den tridie; en sitter och qwäder.
En pläger älskog, och bannas en annan om alle Siu Tusend.
Summan är det: När alle ge tapt, och Spelet är ute;
Prisen han är då din; dig heembärs Seger, och ähra. 245
Drick til dager är liws och Sömnen rinner i ögon:
När som Solen han är vthi närmeste trappa til vpgångs,
Lägg dijn ögon ihoop; då kommer söteste Sömnen,
Giör dig alsintet qwal; war altijd lustig, och sorg-frij:
Acht' icke fåfängt Roos, eller Last, för Skam eller Ähra, 250
ÄHRA så wäl som SKAM äre wind, och Namn, utan ingiäld92.
Giör hwad dig rinner i hug; ty dig och dijn-lijka Funkar,
Skrifwin är ingen Lag, för larwor löpa små gossar;
Bönder och dylijka pack, man plägar skräckia med Lagen.
Spinnelen i sin garn bestrickar spinkote myggar; 255
Getinga snorra sigh vt; och slippa de brummande brömssar.
Sådan är almena Lagh: de Fattige fasna, besnerias;
Stolte och Store gå frij, och slippar de trotzige Drottar. ...
Nu min HERCULE kom vtan högre betänckiande fölg mig.
Wägen är jämn, och bred, bland Roser och liufliga Lillior93, 260
Makliga rinner han hän, genom ängiar och fuchtige dälder,
Skogen är lustig, och qwistarne full af qwittrande Foglar94.

89
V. 230: ållas = (si fa) fracasso; S.: «ålla, sonare, clangere, tumultuare, strepere» (Fd7); termine anche associato,
secondo S., al greco ἀλάλη “grido di battaglia” (Fd5). V. 230 sgg.: serie di allitterazioni in B.
90
V. 232: allitterazioni in H.
91
V. 233: serie di assonanze in I.
92
V. 251: äre wind = sono vento; nell’Ecclesiaste è ripetuta la formula “è vanità”, che traduce l’ebraico hlb, che
significa “vento, soffio di vento” (cfr. Olsson, p. 115).
93
V. 260: allitterazione in L.
94
V. 262: allitterazione in QW (KV) ed F (cfr. qui p. 13 sgg.).

39
Qui si attacca in lungo, e in largo; in riga, e in cerchio,
Là ciascuno attacca dopo il vicino, là ci si scatena, e si assalta,
Qui c’è rumore, e là chiasso, qui grida, e fracasso. 230
Qui girano grossi Boccali di betulla, con profondi,
Bicchieri alti mezz’uomo, e Tazze colme di bevande da Signori.
Arriva poi l’Artiglieria, pipe dal Brabante bianche come gesso95;
Insieme al meraviglioso Tabacco Virginia, che in città
Si trova; qui il Fuoco, là l’Esca, Accendi; fa’ scintillare, lascia fumare 235
Come all’Inferno siedono in mezzo al Fuoco, nella nebbia.
EBBREZZA gira intorno, incita, e minaccia, spinge e sprona.
Finché la rissa è ovunque. Dei baldanzosi Campioni
Uno barcolla; uno si ammucchia, uno crolla, e cadono tutti uno sull’altro.
Qui uno si volta di scatto così una testa finisce sul muro. 240
Uno è senza respiro, e cade morto; uno si addormenta, e litiga un altro;
Un altro ancora piange, e ride un terzo; uno siede e canta.
Uno fa l’amore, e un altro viene coperto di ogni genere di insulti.
Il Risultato è questo: Quando tutti sono vinti, e il Gioco è finito;
La Gloria allora è tua; tu porti a casa la Vittoria, e l’onore. 245
Bevi finché il giorno non è chiaro e il Sonno scorre negli occhi:
Quando il Sole è sul gradino più vicino all’alba,
Chiudi gli occhi; allora giunge il Sonno più dolce.
Non darti alcuna pena; sii sempre allegro, e spensierato:
Non badare alla vuota Fama, o ai Rimproveri, per Vergogna o Onore, 250
ONORE così come VERGOGNA sono vanità, e Nomi, senza valore.
Fa’ ciò che ti passa per la testa; per te e i viveur come te,
Scritta non v’è alcuna Legge, solo i ragazzi fuggono davanti alle maschere96;
Contadini e gente simile, la si spaventa con la Legge.
Il Ragno nel suo filo cattura solo minuscole zanzare97; 255
Le vespe si liberano ronzando; e sfuggono i rumorosi mosconi.
Così è la Legge comune: i Poveri vengono presi, catturati;
I Ricconi e i Grandi se ne vanno liberi, e sfuggono i boriosi Signori. …
Ora ERCOLE mio vieni, senza troppo riflettere seguimi98.
La via è piana, e larga, tra Rose e Gigli deliziosi, 260
Corre lentamente, attraverso prati e umide valli,
Il bosco è piacevole, e i rami pieni di Uccelli cinguettanti.

95
VV. 233-248: Ercole potrà fumare dell’ottimo tabacco Virginia, e divertirsi nella rissa che segue, per poi
addormentarsi, stanco, appena fa giorno.
96
VV. 253-258: Donna Voluttà sostiene che l’uomo nobile è al di sopra delle leggi e dei giudizi umani. S. si serve qui
di due emblemi ripresi da autori contemporanei: l’olandese J. Cats e il tedesco J. Camerarius (cfr. Friberg, p. 62 sgg.;
Olsson, p. 150 sg., 142).
97
V. 255 sgg.: per questa metafora frequente nella letteratura degli emblemi dell’epoca cfr. Lindroth, p. 141, van Wijk,
p. 96 sg., Friberg, p. 62 sgg.
98
VV. 259 sgg.: qui Donna Voluttà cerca di portare Ercole sulla sua strada, quella del vizio, impedendogli di riflettere
seriamente, al contrario di ciò che farà più avanti Donna Virtù (cfr. i vv. 60, 86, 272). La descrizione diventa un quadro
“idilliaco” del paesaggio attraverso cui la via si snoda. S. segue qui un motivo conosciuto fin dall’antichità, quello del
“locus amoenus” (cfr. ad es. Omero, Odissea, VII, 112 sgg., in cui si descrive il giardino del re Alcinoo) (cfr. Friberg, p.
112 sgg., 118; Olsson, p. 142 sgg., 88 sgg.) Finiti gli argomenti, il compito di Donna Voluttà diventa ora quello di
“sedurre” Ercole: la lingua diventa piena di R e di L, suoni “dolci”, e ricca di variazioni vocaliche (cfr. Komm., p. 70;
cfr. qui p. 13 sgg.).

40
Alskiöns fruchtbare trä, pomerantzer, och Candiske drufwor,
Alstädes, här och där wid wägen å bäckarne finnas,
Månge små meenlöse diur, man seer där spelande springa, 265
Källor och lefwande watn, fördeelt vti månge små bäckiar99,
Ruska så sachtliga fram. genom blanke små glittrande steenar,
Den swale Westwind surrar ibland, och raskar i löfwen,
Spridand' een liufwelig lucht, af blomor och hälsesam' örter,
Susar i sachtan dön, uti skuggan, och lockar i sömnen100. 270
Alt är täckt, hwad här ögat seer, och fötterne träda,
Kom, kom HERCVLE kom; vtan högre betänckiande, fölg mig.
HERCVLES öfwertalt, som en vng och hitziger Herre101,
War opå språng, steg til, och wille nu föllia Fru LUSTA:
I det een annan kom, I Fruus hamn, menskelig ansedd, 275
Doch icke Menniskia: men een trofast ädle Gudinna,
Hon war sedig uti sin gång, och wyrdig af anseend,
Wigtig i laater, full med alfwar, och ährlig af vpsyn,
Brun vnder ögon', och bränd af Sool-skijn, mager af hulde102;
Renlig i drächt, sniöhwijt, af silfwer-blänckiande klädnat, 280
Slätt och rätt, och skiär, på dätt ährlige gamble maneret103,
Denne lät vp sin munn, och talte medh alfwarsam ordom:
HERCVLES ädel af ätt; till ähra född och erkoren104;
Hwart wil dätta? See till; Stat stilla; betänck dig105.
Weetstu ock Ho den är, den med dig snackar i löndom? 285
Denne dess pijpa så sött dig flistrar, och lockar i drömar?
Tag icke lättliga råd af den dig icke bekänd är,
Denne som för dig stod, den du meentst wara Gudinna;

99
V. 266: lefwande = letteralmente “viva”; cfr. l’“acqua viva” in Giovanni, 4, 10; månge små bäckiar = molti piccoli
ruscelli; l’aggettivo “piccoli” serve qui a sottolineare l’intimità idilliaca (cfr. Komm., p. 71).
100
V. 270: allitterazione in S; lockar i sömnen = alletta al sonno: Voluttà fa finire la sua descrizione con il sonno, il
contrario dunque della coscienza sveglia.
101
V. 273: allitterazione in H.
102
V. 279: allitterazione in BR.
103
V. 281: assonanza vocalica e rima interna.
104
V. 283: allitterazione vocalica; ädel af ätt = nobile di stirpe; dall’ant. svedese e islandese; S. considera queste parole
imparentate tra loro e con l’ebraico adar, «amplus, magnificus fuit», da una radice AD, segno di nobiltà,, di virtù eroica
(Fd5, B2); l’allitterazione lega a queste anche la parola ähra = onore, dalla radice AR, simbolo, per S., di “origine”,
“Ens” (Fd5) (cfr. Ståhle, 1951, p. 83 sg., 87; 1975, p. 257; cfr. qui pp. 14, 16, Conclusioni e cfr. anche il v. 422);
erkoren = eletto; termine ripreso probabilmente dal tedesco (cfr. Ståhle, 1957, p. 70).
105
V. 284: allitterazione in ST (cfr. v. 66); cfr. anche il v. 259.

41
Alberi da frutta di ogni specie vi sono, melarance, e uva di Candia,
Dappertutto, qua e là presso la strada sui pendii,
Tanti animali innocui si vedono là correre giocando 265
Sorgenti e acqua corrente, divisa in tanti piccoli ruscelli,
Mormorano lentamente tra piccoli sassi lustri e scintillanti,
Lo Zefiro fresco fruscia talvolta, e stormisce tra le fronde,
Diffondendo un delizioso profumo, di fiori ed erbe salubri,
Mormora con sussurro leggero, all’ombra, e alletta al sonno. 270
Tutto è bello qui ciò che l’occhio vede, e ove il piede si posa,
Vieni, vieni ERCOLE, vieni; senza troppo riflettere seguimi.
ERCOLE convinto, come un Uomo giovane e focoso106,
Pronto a partire, fece un passo, e stava per seguire Donna VOLUTTÀ107:
Quando un’altra giunse, dalla figura di Donna, e dall’aspetto umano108, 275
Tuttavia non Umana: ma una fedele e nobile Dea,
Era pudica nel portamento, e la sua persona ispirava rispetto,
Degna nei gesti, piena di serietà, e di aspetto onesto,
Bruna sotto gli occhi, abbronzata dal Sole, magra109;
Con il vestito pulito, bianco come neve, di stoffa risplendente d’argento110, 280
Semplice e naturale, pura, alla vecchia e onesta maniera111.
Questa aprì la bocca, e parlò con parole severe112:
ERCOLE nobile di stirpe; all’onore nato ed eletto;
Dove porta questo? Fa’ attenzione; Fermati; rifletti.
Sai tu dunque Chi è, colei che con te parla in segreto113? 285
Colei il cui flauto suona così dolcemente, e ti seduce ai sogni114?
Non accettare consigli leggeri da chi ti è sconosciuto,
Colei che dinanzi a te stava, che tu credevi fosse una Dea115;

106
VV. 273-282: un breve intermezzo separa i due discorsi, in cui Ercole sembra essere sul punto di seguire donna
Voluttà; donna Virtù dovrà “salvare” Ercole (cfr. Olsson, p. 125 sgg., 90; Friberg, p. 216 sg.; Hj. Lindroth, p. 19 sg.)
107
V. 274: “fece un passo” (steg til): questo particolare, che serve probabilmente a creare un tono più drammatico,
manca nelle fonti (cfr. Olsson, p. 125 sg.).
108
V. 275: “un’altra” (een annan): donna Virtù non viene mai direttamente nominata, a differenza di donna Voluttà:
solo dal suo aspetto e discorso di saprà chi è; qui è più importante l’“essenza” che il nome (cfr. Olsson, p. 126 sg.). Ci
sono rassomiglianze tra la figura di donna Virtù e quella di Minerva, così come compare nei balletti composti da S. e
nell’incisione del frontespizio all’edizione del 1658 dell’Hercules (riprodotta in: Hercules, Facsimiledition, 1957, cit.).
Qui donna Virtù indossa il mantello della saggezza, ha in mano un grande libro aperto, e la spilla che tiene il mantello è
un sole, simbolo anch’esso di saggezza (cfr. i vv. 413, 432; cfr. Friberg, p. 213 sg.; cfr. qui p.59 sgg.).
109
V. 279: donna Virtù ha un colorito naturale.
110
V. 280: “bianco come neve” (sniöhwijt), simbolo di purezza e divinità.
111
V. 281: “alla vecchia e onesta maniera” (på dätt ährlige gamble maneret): in contrapposizione alla nuova
“seducente” moda. Si sono voluti vedere dei tratti tipicamente “svedesi” nella figura di donna Virtù, come la pelle
magra e abbronzata, l’aspetto severo, specialmente in contrasto con la moda “francese” di donna Voluttà; donna Virtù è
stata paragonata alla “vecchia e onesta matrona gotica” nella prefazione al Gambla Swea- och Göta-måles fatebur di S.
(cfr. qui p. 10 sg.; S. Ek, op.cit., passim; H Schück, Ill. sv.litt. hist., cit., p. 338). Hj. Lindroth (p. 63 sg.) e A. Friberg (p.
214 sg.) ritengono invece che non vi siano caratteri profondamente nazionalistici in questi personaggi, i quali
rispecchiano piuttosto quelli corrispondenti delle fonti antiche, come si può vedere ad es. dal frontespizio all’edizione
del 1658.
112
V. 282: “con parole severe” (medh alfwarsam ordom); cfr. il “dolce” discorso di donna Voluttà (v. 51). Il discorso di
donna Virtù, seconda e ultima parte del poema, costituisce un parallelo e insieme un contrasto a quello di donna
Voluttà; praticamente gli stessi argomenti vengono toccati, ma l’ordine di questi è inverso: prima la descrizione della
via e, per ultimo, della vecchiaia e della morte (cfr. Olsson, p. 130 sgg.).
113
V. 285: “in segreto” (i löndom): il discorso di Voluttà non reggerebbe a un confronto “aperto”.
114
V. 286: il discorso “seducente” di Voluttà è paragonato al suono di un flauto (cfr. v. 270).
115
V. 288: Ercole crede che donna Voluttà sia una dea, mentre donna Virtù, che è una dea, ha un aspetto umano (cfr. v.
275 sg.).

42
Är ifrå Stygia putt, hin Stygges dotter och alster116.
Lusta geer hon sigh namn; Fru Lasta med rätta mon heta117. 290
Doch om Laster och skam äre lust; om lust står i odygd;
Billiga med alt foog, mon hon sig kalla Fru Lusta.
Hwad gifwer hon för råd? Gud tröste den där opå lijter,
Hon; Hon leder en wäg både jämn och breed vtan omak,
Geent rätt fram, i fördärf; han glijder all makelig ut-åt 295
Lutande; lätt til gångs; men bratt, och brattar' åt ändan118,
In til dess där är intet meer håld: den reesande måste,
Ränn' och ränna til dess han störter och stadnar i afgrundn119.
Der honom harm, jämt ånger och wee, och äwarande jämmer,
Samwetes-agg, och qwal, den odödlige Matken, och Elden 300
Möta med öpen gaap, och anamma til äwige plågor.
Wakta, min wän, sij till, sij denne blijr ändan å frögden,
Som dig denne så skönt afmålar, och bildar i sinnet!
Ney, min Son, icke så; til Sälheetz paradis ingen
Nåkas i så måtto; Sömn, och Ruus, och Leekar och Löye120, 305
Föra dig inte där in: Men ijdkesamt arbet och omak121,
Nyktert lefwerne, lust til ährlighet, alware wijsdom.
Leda dig in opå Mijn', det är Dygdenes stenige foot-spor.
Min wäg han är uti förstone trång, bland stubbar, och stenar122,
Muddig, och ojämn, diup, och bewext med tistlar, och törne123, 310
Bär alt opföre stiält, moot wåndlige klackar, och klyffter124,
Tils emot ändan: der dig tröttan och klijfwande möte
STYRK, och TRÖST; de räckia dig hand, de stödia, de lyffta,
In til des din foot är fästat, och stadder å Banen,
Som sedan äfwen, och god, dig förer i Salighetz hallar. 315
Här blifwer omak och arbete lönt, dijn möda bekrönes
Med obegrijpelig hugnad och frögd, samt ewiga lijsa,
Oförwanskliga Nögd, och Glädia dit hierta belysta;
Du då finner i Högdens Nåd, och täckelig ynnest,
Hoos både qwinnor och män; du fägnas och ähras af allom. 320

116
V. 289 : allitterazione in ST e gioco di parole Stygia-Stygges; alster = discendente: dal gloss.: «ab ala, föda»
“generare, nutrire”, dalla radice AL, per S. «Perfectio, Integritas, Potentia» (Fd7) (cfr. Ståhle, 1951, p. 73).
117
V. 290 sgg.: gioco di parole tra Lasta = Vizio, da “last” “vizio”, e Lusta = Voluttà, da “lust”, lett. “desiderio,
piacere”); allitterazione in L (cfr. qui p. 13 sgg.).
118
V. 296: allitterazione in L (cfr. qui p. 13 sgg.); bratt = ripida; S.: «Bratt, Praeceps» (Fd6); forma dialettale (cfr.
Ståhle, 1957, p. 70 sg.).
119
V. 297-298: allitterazione in R e in ST (cfr. qui p. 13 sgg. e nota al v. 66).
120
V. 305: allitterazione in L.
121
V. 306: allitterazione vocalica.
122
VV. 309-312: allitterazioni in M, ST, T, KL e vocaliche (cfr. qui p. 13 sgg.).
123
V. 310: Muddig = fangosa; S.: «Modd, mudd […] Pulvis Terrae aquā mollitus limus» (Fd2) (cfr. Komm. p. 75; cfr.
qui p. 13 sgg.).
124
V. 312: stiält = ripidamente; termine dialettale (cfr. Ståhle, 1957, p. 71).

43
Viene dalla palude Stigia, figlia e discendente del Maligno125.
Voluttà si dà nome; Donna Vizio si dovrebbe giustamente chiamare. 290
Ma se vizi e vergogna sono voluttà; se voluttà sta nel vizio;
Ha ragione, giustamente, a chiamarsi Donna Voluttà.
Che consigli dà lei? Dio aiuti chi vi si affida,
Lei; Lei conduce una via piana e larga senza fatica,
Corta, diritta, alla perdizione; che scivola pian piano126 295
Verso il basso; facile da percorrere; ma ripida, e più ripida alla fine,
Finché non ci si può più fermare: il viaggiatore deve
Correre e correre finché non precipita e resta nell’abisso127.
Dove a lui vengono mali, insieme a pentimento e maledizioni, e lamenti eterni,
Rimorsi di coscienza, e tormento, il Verme immortale, e il Fuoco128 300
Gli vanno incontro con fauci aperte, e lo ricevono a dolori eterni129.
Attento, amico mio, bada, questa è la fine della gioia,
Che lei così bella per te dipinge e disegna nella tua mente!
No, Figlio mio, non così; al paradiso della Beatitudine nessuno
Si avvicina in tal modo; Sonno, ed Ebbrezza, e Giochi e Riso, 305
Là non ti conducono: Ma lavoro assiduo e fatica,
Vita sobria, desiderio di onestà, seria saggezza130,
Ti conducono al Mio sentiero, il sentiero pietroso della Virtù.
La mia via è dapprima stretta, tra tronchi, e pietre,
Fangosa, e irregolare, piena di buche, e coperta di cardi, e di spine, 310
Conduce sempre ripidamente in alto, verso pericolose cime, e gole,
Finché verso la fine: là vengono incontro a te stanco che Sali
FORZA e CONFORTO; ti porgono la mano, ti sostengono, ti sollevano131,
Finché il tuo piede non è fermo, e stabile sulla Strada,
Che poi, liscia e buona, ti porta nella dimora della Beatitudine132. 315
Qui fatica e lavoro vengono ricompensati, i tuoi sforzi coronati
Da sollievo e gioia inimmaginabili, e conforto eterno,
Soddisfazione, e Contentezza imperiture rallegrano il tuo cuore;
Tu allora trovi Grazia nel Cielo, e favore,
Presso donne e uomini; sei ben accolto e onorato da tutti. 320

125
V. 289: per la palude Stigia, ovvero l’inferno rappresentato come una palude o un pozzo, cfr. Virgilio, Eneide, VI,
323, 369; cfr. Komm., p. 73).
126
VV. 294-303: donna Virtù rivela ora ad Ercole la vera natura della via di donna Voluttà.
127
V. 298: in armonia con la rappresentazione cristiana delle due vie, come si trova nel Vecchio Testamento (Sapienza
e Proverbi) e in Matteo, 6, 13, la via larga finisce all’inferno (cfr. Olsson, pp. 91, 100 note 42-43, 118 sg.).
128
V. 300: “il Verme immortale e il Fuoco” (den odödlige Matken, och Elden): cfr. Marco, 9, 43 sgg., Isaia, 66, 24; cfr.
anche Komm., p. 74.
129
V. 301: “fauci aperte” (öpen gaap): la rappresentazione medievale e rinascimentale, nel teatro ad es., dell’inferno
come di un mostro o drago dalle fauci aperte (cfr. Olsson, p. 91; K. Johannesson, op.cit., p. 24).
130
V. 307: “saggezza” (Wijsdom): una delle parole-chiavi di S. (cfr. Olsson, p. 161 sg.; cfr. anche i vv. 411-413 e qui p.
59).
131
V. 313: “FORZA e CONFORTO” (STYRK, och TRÖST): conforto o fiducia nelle proprie forze; S. riprende il
secondo termine dallo Orm Snorrasons bok islandese (cfr. Ståhle, 1957, p. 71); notare il parallelo con il v. 299 (cfr. J.
Nordström, Inledning, cit., p. CLXXI).
132
V. 315: “dimora della Beatitudine” (Salighetz hallar): il secondo termine ripreso forse dalla Barlaams Saga (cfr.
Ståhle, 1951, p. 79); con la “dimora della Beatitudine” donna Virtù intende forse una vita ultraterrena; ma qui
compaiono secondo Olsson (p. 171 sg.) elementi sia cristiani sia pagani, cosa che comunque non sorprende, in una
tradizione già umanistico-rinascimentale. Per S. sia il paradiso che l’inferno esistono già nell’uomo stesso, come spirito
e corpo (cfr. S., Filosofiska fragment, p. 171; cfr. qui p. 18 sg.).

44
FRÖJA med hennes Son; dem fly som Paddor och Ormar:
...FRÖJA med hennes Son, äre farlige, skadlige gäster:
Liufliga träda de til; men swijka med ånger, och ymka,
Hälsa med mod, och blod, godz, penningar, heder och ähran,
Stiäla de sinom wärd, och drifwan å lykton, ur husom, 325
Armod, och håån och spott, ondt Samwet och kräncklige plågor,
Leefa de den, dem hyser; och den, dem främiar, och älskar;
Så löne de! bort, bort, med sådana gäster ur huset:
ASTRILD sägs wara blott, och blind; doch snäller och hurtig;
Liten af wäxt; med bloss och Pijlar, och boga bewäpnad; 330
Snar-fotad, och försedd med flychtige gyllende wingar;
Sant äret; Han är blott utaf blygd; skam-naken af ähra;
Blind uthi wett; men klok, och snäll uti lister, och arghet,
Liten och lätt utaf Dygd; en olyks-fogl af vphof,
Läm honom wingarne; bräck hans boga; giör pilarne stumpa133; 335
Släck hans Fackel, och Eld, med arbet, och ährligit vpsåt;
Fly, och fächt icke minder å rygg (som Tartarnas sed är) ...
Drijf bort LÄTTJA, så trijfs icke KÄTTJA; så swinner ock FLÄTTJA.
RVVS kör här-ut, med tummel, och suus, och hans yrene Sälskap134:
Dy där Ruus håller hus der dwäls icke wijsdom och frode135. 340
Ingen dygd vprinner, och gror wid wijn, och i glasom136,
Wijsdomen hafwer sin wist i dy torra: Så säya de gamble.
Dagligit öfwerflöd uti Maat, och i Dryck höfwer ingom,
Wijsan man: Förnufftenes Anda det dämper, och qwäfwer137.
Wijn är en qualm; ett moln vti druckne mans hwimlande Hierna; 345
Som den skiära förnufftsens Sool, så styggliga duncklar,
Dunklar i tökn i wahn-wett, i dårheet, och barnsliga fåhnsko,
Ey käre sij, huru täcker är Ruus, när läpparn', och ögonen drypa,
Där han wagglar här om, full-stinner han stäner, och stankar;
Där han sitter, ey weet, hwad han talar, weemar, och ählas. 350
Pijgorne lee där i wrån, och drängiarne smystra på golfwet138.
Barnen gråtande löpa med roop, ô Möme, Sij Busen139!
Weestu hwad ändan han är? huru Fråssare lefwerne lyktas?
Såsom en Oxe beskärd til offer, han gödes å stalle,
Rundelig in til des, han prydd med krantzar, och blomster, 355
Föres uti stor ståt, föregångande trummor och pijpor,
Til en faselig ort, där altar och eld honom bijda,
Där liuter han sin död, af Slacktare-klubba bedöfwat,
Där blifwer han deels bränd, deels kräsliga kokat och ätin,

133
V. 335: stumpa = spunta; per S. dalla radice DA radix defectus; S.: «döv, dumb, stum, stump hebes, stumpa» (Fd2).
134
V. 339: yrene = selvaggia; S.: «uren, ferus» (Fd9) (cfr. Ståhle, 1957, p. 73).
135
V. 340: frode = prudenza; gloss.: «Prudentia, Scientia»; S. riprende il termine dall’antico islandese, e lo accosta al
latino fraus, greco ϕρἦν e italiano Prode (Fd10) (cfr. Ståhle, 1951, p. 77 sg.).
136
V. 342: allitterazione in W.
137
VV. 344-345: allitterazione in QW (KV).
138
V. 351: smystra = ridacchiano; S.: «lee i miugg» (ridere di nascosto); «Mysa, Smysa Occulte subridere […] i miugg
occulte» (Fd2)
139
V. 352: Möme = Mamma; S.: « Möme, mamma, mume» per S. tra i “verba generationis” dalla radice MA (Fd2).

45
FREYJA con suo Figlio; fuggili come Rospi e Serpenti140:
… FREYJA con suo Figlio, sono ospiti pericolosi, dannosi:
Affabilmente si avvicinano; ma ingannano con rimpianti, e commiserazione,
Salute con coraggio, e sangue, beni, denaro, onestà e onore,
Rubano al loro ospite, e lo spingono alla fine, fuori casa, 325
Povertà, e beffa e insulti, cattiva Coscienza e tormenti di malattia,
Lasciali a chi li accoglie; a chi li incoraggia, e ama;
Così ripagano! Via, via, questi ospiti dalla casa:
ASTRILD si dice sia nudo, e cieco; tuttavia rapido e veloce;
Piccolo di statura; di torcia e Frecce, e arco armato; 330
Pié veloce, e dotato di ali dorate per volare;
È vero; Egli è nudo senza vergogna; vergognosamente nudo di onore;
Cieco di sapienza; ma furbo, e pieno di astuzie, e malizia,
Piccolo e leggero di Virtù; un uccello del malaugurio dalla nascita,
Tarpagli le ali; spezza il suo arco; spunta le frecce; 335
Spegni la sua Fiaccola, e il Fuoco, con lavoro e onesta intenzione;
Fuggi, e combatti anche dietro le spalle (com’è costume dei Tartari) …
Caccia ACCIDIA, così non prospera LUSSURIA; così sparisce anche VANITÀ141.
Manda via EBBREZZA, con la confusione, e il vizio, e la sua selvaggia Compagnia:
Perché là dove regna Ebbrezza non dimorano saggezza e prudenza. 340
Nennuna virtù cresce, e germoglia nel vino, e nei bicchieri,
La saggezza dimora nell’asciutto: così dicono gli antichi142.
Abbondanza quotidiana di Cibo, e di Bevande non si addice
A un uomo saggio: essa spegne, e soffoca lo Spirito dell’Intelletto.
Il vino è una nebbia; una nube nel Cervello confuso dell’uomo ubriaco; 345
Che il Sole puro dell’intelletto, così malamente oscura,
Oscura in foschia, in follia, in pazzia, e sciocchezze infantili.
Non essere affascinato, da quanto è stimato Ebbrezza, quando le labbra, e gli occhi grondano143,
Eccolo che barcolla qua e là, ansimando gonfio e ubriaco, con il fiato puzzolente;
Eccolo là seduto, e non sa cosa dice, farfuglia, e bofonchia. 350
Le ragazze sogghignano in un angolo, e i ragazzi ridacchiano sul pavimento.
I bambini corrono piangendo e gridando, Mamma, Mamma, l’Uomo Nero!
Sai qual è la sua fine? Come finisce la vita degli Ingordi?
Come un Bue destinato al sacrificio, viene ingrassato nella stalla144,
E arrotondato finché, ornato di corone, e fiori, 355
È condotto fuori in gran pompa, preceduto da tamburi e flauti,
Fino a un luogo tremendo, dove altare e fuoco l’attendono,
Là riceve la morte, stordito dalla mazza del macellaio,
Là viene in parte bruciato, in parte cucinato a puntino e mangiato,

140
V. 321: a questo punto donna Virtù rivela a Ercole la vera natura dei favori che il seguito di donna Voluttà avrebbe
messo a sua disposizione, la loro pericolosità.
141
V. 338: l’accidia è causa di lussuria, e questa a sua volta è causa di vanità.
142
V. 342: cfr. il proverbio latino «Sapientia in sicco habitat» (Catone, Silenus Alcibiadis, p. 157); cfr. Friberg, p. 68 sg.
143
I vv. 348-352 descrivono la scena di un uomo ubriaco, che si regge malamente in piedi e si lamenta: parla
confusamente, fa sorridere i ragazzi e correre via i bambini spaventati.
144
Nei vv. 354-365 donna Virtù spiega qual è la fine che attende chi trascorre la vita in godimenti. Qui S. si serve di un
emblema del tempo (ripreso forse da J. Cats), che descrive un bue sacrificale il quale, nutrito e ingrassato, adorno di
corone di fiori, viene condotto in gran pompa al luogo in cui l’altare e il fuoco lo attendono, per essere ucciso: dovrà
pagare duramente l’abbondanza di cibo e le cure ricevute. Allo stesso modo la vita dell’uomo vizioso finisce in pianti e
lamenti.

46
Dyrt måste han sin brädsl, sijn ryckt, och hafra betala. 360
Rätt opå dylijka wijs, gåret an meed Swermare lefnat;
Daglige ruus, uti suus, banketerning och kräslige gästbod;
Harpor och spel och dans, lättfärdige lekar och natt-gång
Ett sinn, vti lijka måtto, de dyrliga måste betalas; ...
Klagan i gråt, med jämmer, och ach, blifwer ändan å Leken. 365
Derföre, Stat du nykter, op å dijn wakt: dijne Tanckar145,
Anslag, och Ord; dijne giärningar alla du grunda på Gudz bud.
Gud han är ährones Gud; Gudz Ansichte lyser oss Ähran146.
Ähran är Dygdenes Root; och Dygdenes grundwal är Ähran147.
Dijt måtter al Gudz Lag; den Oss allom i sielfwe Naturen 370
Fast inpräntat vti wår Siäl, och Samwete lyser.
Är nu wår Siäl vtan Skiäl? eller äre wij fänad och bestar148?
Släckie wij sielf wår Eld, och dämpa det andlige Liuset,
Ded som Oss Skaparen i wårt bröst, hafwer eldat och vptändt149,
Til wår Salighets Lysn, och Ledsn. Huru? wele wij sielfwe150 375
Wända wår Ansicht' ifrån Gudz Ansicht, och sänk' oss i mörkret?
Hwad blifwer af wår Siäl, den Gud oss sielfwer har inblåst?
Ach! den ädele Siäl! den wij så förbarmliga störta151!
Hwad blifwer af wår hamn, och Menniskio-namne wij fördom152?
Hwad blifwer af Gudz belät', af Skaparen tryckt i wår Hiertan? 380
Ney, min HERCULE, ney! den wägen han tämer oss intet.
Dygdenes Stijg synes trång, och mörk, dem latom, och blindom:
Är doch en Här-stråt, den Gud sielfwer han lyser och leder153.
Hwar i består då Dygd? medan Dygden är Siälenes Hälsa?
Dygd är at älska sin Gud, hans Bud och Stadgar at hålla; 385

145
V. 366: nykter = sobrio; S.: «Jejunus, a Natt, Nox» (Fd10) (cfr. Ståhle, 1957, p. 74).
146
V. 368 Ähran = Onore ; per S. dalla radice AR, nel significato primo di “Essere” (cfr. qui p. 59 sgg.,);
147
V. 369: Dygdenes = della Virtù; dalla radice DA positivum: “attività positiva” (Fd7, Fd2) (cfr. Ståhle, 1951, p. 89)
(cfr. qui p. 63).
148
V. 372: Siäl vtan Skiäl = Anima priva di Ragione; gioco di parole ripreso dalla Konungastyrelsen; Skiäl = Ragione,
comprensione, intelletto (cfr. Ståhle, 1957, p. 75 sg.).
149
V. 374: eldat och vptändt = suscitato e acceso: rispettivamente il fuoco e la luce.
150
V. 375 : Lysn, och Ledsn = lett. Illuminazione, e Guida; dallo svedese antico (cfr. Ståhle, 1951, p. 90).
151
V. 378: ädele = nobile; per la sua origine divina
152
V. 379: hamn = secondo Ståhle (1957, p. 76) da interpretarsi forse come “habitus animi”, qualità o natura
dell’anima; la nostra, a differenza di quella degli animali, partecipa della luce divina; fördom = portavamo (in vita).
153
V. 383: lyser och leder = illumina e guida; allitterazione in L, cfr. v. 375; parallelo con il v. precedente.

47
Caro deve pagare il mangime, le cure, e l’avena. 360
In modo molto simile, avviene con la vita dissoluta;
Ebbrezza quotidiana, nel vizio, banchetti e feste sontuose;
Arpe e giochi e danze, trastulli spensierati e festini notturni
Una volta, in ugual misura, si dovranno pagar cari; …
Lamento nel pianto, gemiti, e dolore, sono la fine del Gioco. 365
Perciò, Sii sobrio, sta’ in guardia: i tuoi Pensieri154,
Intenzioni, e Parole; le tue azioni tutte fonda sui comandamenti di Dio.
Dio è il Dio dell’onore; il volto di Dio illumina per noi l’Onore155.
L’Onore è la radice della Virtù; e il fondamenti della Virtù è l’Onore.
A questo mira la Legge di Dio tutta; che nella Natura di Noi tutti 370
Fermamente impressa nella nostra Anima, e Coscienza risplende.
È ora la nostra Anima priva di Ragione? Oppure siamo noi animali e bestie156?
Vogliamo noi stessi spegnere il nostro Fuoco, e smorzare la Luce spirituale,
Che il Creatore nei nostri petti ha suscitato e acceso,
Per Illuminarci e Guidarci alla nostra Beatitudine. Come? Vogliamo noi stessi 375
Distogliere il nostro Volto dal Volto di Dio, e sprofondarci nel buio?
Cosa sarà della nostra Anima, che Dio stesso in noi ha soffiato?
Oh! La nobile Anima! Che così deplorevolmente lasciamo precipitare!
Cosa sarà della nostra natura, e del nome di Uomini che portavamo?
Cosa sarà dell’immagine di Dio, dal Creatore impressa nei nostri Cuori?157 380
No, ERCOLE mio, no! Quella via a noi non conviene158.
Il Sentiero della Virtù appare stretto, e buio, per i pigri, e i ciechi159:
È invece un Viale, che Dio stesso illumina e guida160.
In cosa consiste dunque la Virtù? Se la Virtù è la Salute dell’Anima161?
Virtù è amare il proprio Dio, rispettare i suoi Comandamenti e Leggi162; 385

154
VV. 366-463: questa parte costituisce il nocciolo del discorso di donna Virtù, in cui viene esposta la sua dottrina
sull’essenza della Virtù, della Saggezza e dell’Onore.
155
V. 368: “Dio dell’onore” (ährones Gud): cfr. Salmi, 29, 3; “illumina” (lyser): la luce che emana da Dio è un punto
fondamentale nella filosofia di S.: l’uomo, per mezzo della Virtù, può partecipare di questa luce divina (cfr. v. 495; cfr.
qui p. 19 sg.); il volto illuminante di Dio è anche nella Bibbia (4 Mosè, 6, 25; cfr. Komm., p. 80).
156
V. 372: secondo la concezione rinascimentale l’Uomo si trova, nella Creazione, nella posizione tra gli Angeli e gli
animali, e a differenza di questi ultimi possiede l’intelletto, la comprensione astratta e l’intuizione, provenienti dallo
Spirito divino, per S. il principio “Mens” (cfr. Friberg, p. 131 sgg., 146; cfr. anche i vv. 74, 77 e cfr. qui p. 19 sg.); cfr.
anche Silio Italico, cit., vv. 71-74, in cui la Virtù parla al giovane Scipione «a cui la ragione e i semi celesti di una
nobile mente sono stati donati dagli dèi, così come gli alti dèi sovrastano i mortali, così questi sono superiori a tutti gli
animali» (“cui ratio et magnae coelestia semina mentis, munere sunt concessa deum, mortalibus alti quantum
coelicolae, tantundem animalibus isti praecellunt cunctis”; cfr. Olsson, p. 105; 1 Mosè, 1, 26).
157
V. 380: “immagine di Dio” (Gudz belät’); cfr. 1 Mosè, 1, 26: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra
somiglianza»; cfr. anche Sapienza, 11, 23.
158
I vv. dal 381 al 453 compaiono solo nell’ultima versione del poema (1658).
159
V. 382: stretto per i pigri e buio per i ciechi.
160
V. 383: Här-stråt = Viale, lett. “Via Regia”; cfr. qui p. 65.
161
Dal v. 384 al v. 410 viene descritta l’essenza della Virtù; notare la lunga serie di anafore (cfr. Friberg, p. 226 nota 1;
cfr. anche Paolo, 1 Cor, 13, 4 sgg.). Friberg (p. 225 sgg.) distingue qui cinque virtù; Delblanc invece (p. 51 sgg.) ve ne
scorge dodici, che S. avrebbe ripreso dalla “aretologia” aristotelica. Certamente S. è stato qui influenzato dal trattato
medievale Konungastyrelsen, in cui si trova una parte analoga (cfr. Ståhle, 1957, p. 77). Secondo Hj. Lindroth (p. 113),
dal v. 385 in poi è lo stesso S. a parlare. La “Salute dell’Anima” (Siälenes Hälsa): che una “giusta” vita sia la salute
dell’anima è un pensiero già platonico e stoico, legato alla rappresentazione della salute come di un’armonia o
equilibrio (cfr. Olsson, p. 156); cfr. anche i vv. 503, 379, 441-443; cfr. S.: «virtus est habitus bonus in mediocritate
consistens» (Fd4), l’“aurea mediocritas” di Orazio. In un altro componimento, Hälse-Prijs (Lode alla Salute),
pubblicato nel 1668 insieme a Musae Suethizantes, S. scrive (vv. 42-43: «Dalla salute soltanto dipende la nostra
felicità terrena, salute nel corpo e nell’Anima ci conceda Dio, nostra salvezza eterna» (“Hälsan allen är i hwilko
beroor wår wärldzlige Sällhet, Hälsa til Lijf och Siäl, gifwe Gud, wår ewige Hälsa”). Hälsa = Salute, Salvezza: notare
il doppio significato della parola, come in italiano.

48
Dygd står i Rättwijsa, där hwar och en sin Rätt blifwer ägnat;
Ingen af ingo beskadd till Lem, Lijf, Ägn eller Ähra163;
Dygd lijder intet wåld; öfwer-äfl hon styrer, och ågång164;
Lijder ey arman Man förtryckes af Högmod, och orätt.
Dygd är, vträckia sin hand, til styrck dem vsle betrycktom. 390
Dygd står i fagert Modh, gott Lefwern', och ährbare Seder,
Nychterhet, och reen Siäl, vti Tucht, och okränckliga Kyskhet.
Dygd står i wett, och i Plicht; Huru, Hwar, Hwad, När, Hurulunda165:
Hwarföre, hwart bör skee: dy Dygd will granlaga lämpas.
Dygd wågar inte på slump; doch slump, botas offta med snille166. 395
Dygd söker Råd; flyger inte för än hon koxar, och huxar167
Dygd flyr Lögn; der Lögn kommer in, går Dygden å dören.
Lufft-strek, Stor-spräkerij, lame Saalbader, irrige Hiern-hwärf,
Däss' äre skändlige feel; som bringa sin Herre på skammen.
Dygd med Skämt sig täckelig gör, uti tijd och i ställe: 400
Tager och geer med hoof, så mycket som ährone lijkar,
Alt utan agg; utu Laag wari långt bort galla, med galnu168,
Hoof är i all ting bäst; Plump Stickenhet anstår en Narr wäl169.
Dygd lijder ingen Spott; för neesa då wällier Hon Lijf-laat170.
Dygd står i Manna-mods Styrck, sig låter af ingo förfära; 405
Motgång, Sorg, Fegd, Watn- och Eldsnöd, Dunder och Döden,
Achtar hon alt för Leek; Hon winner, och segrar i Döden.
Seer du Min HERCULE, den gudomlige Dygdenes Högheet171?
Dygd är en Siälenes skatt, där guld och penningar alle,
Ey måge lijknas emot; är ädlar' än dyrbare Stenar. 410
Märck, min Son; Som Dygd sigh grundar å Gud, och i Ähron
Så är ock ingen Dygd, som icke beroor opå Wijsdom:
Wett är Dygdenes Lius; och Wijsdom är Dygdenes Öga172.
Wett hörer arbete till; wins ey vtan ijdkeligt omak.

162
V. 385: S. si riferisce qui, secondo Delblanc, alla “Pietas”; alla “Religio” per Friberg.
163
V. 386: allitterazione in L e vocalica.
164
V. 388: öfwer-äfl = prepotenza; dall’antico islandese (cfr. Ståhle, 1951, p. 84); ågång = intrusione; gloss.: «invasio
violenta»; dall’antico svedese (cfr. Ståhle, 1957, p. 77).
165
V. 393: wett = sapere, buon senso, giudizio, intelligenza (cfr. v. 413); Plicht = Dovere, Saper fare; dal basso tedesco
(cfr. Komm., p. 83).
166
V. 395: slump = caso; gloss.: «Casus, fors, Fortuna».
167
V. 396: assonanza e rima.
168
V. 402: allitterazione in G; galnu = pazzia; rifacimento di S., forse da qualche testo antico svedese (cfr. Ståhle,
1957, p. 78).
169
V. 403: Hoof = Moderazione; gloss.: «Modus in rebus & Decorum».
170
V. 404: Lijf-laat = Morte; gloss.: «amissio vitae»; S. avvicina il secondo termine del composto al latino lateo e al
greco lethe, dalla radice “LA privativum”, «omittere, jacere demissus, relictus» (Fd14, Fd5) (cfr. Ståhle, 1951, p. 81);
allitterazione in L.
171
V. 408: allitterazione in H.
172
V. 413: Wett = qui nel senso di “Conoscenza, sapienza, scientia” (cfr. Olsson, p. 161; cfr. anche i vv. 393, 418);
Dygdenes Lius = la Luce della Virtù (ciò che illumina la Virtù); Wijsdom = Saggezza, comprensione (qualità
interiore); Dygdenes Öga = l’Occhio della Virtù (che vede e discerne l’essenza della Virtù) (cfr. Olsson, p. 174 nota 19;
cfr. v. 431 sg.). VV. 413-418: numerose allitterazioni, in W e vocaliche.

49
Virtù sta nella Giustizia, in cui a ciascuno vengono dati i propri Diritti;
Nessuno viene danneggiato da nulla nel Corpo, nella Proprietà o nell’Onore;
Virtù non sopporta alcuna violenza; la prepotenza previene, e l’intrusione;
Non sopporta che un Pover’uomo venga oppresso da Superbia, e ingiustizia.
Virtù è porgere la mano, in aiuto ai poveri e agli oppressi173. 390
Virtù consiste in un Animo nobile, buona Condotta, e onesti Costumi174,
Sobrietà ed Anima pura, nella Disciplina, e nella Castità inviolabile175.
Virtù consiste nel buon senso, e nel Dovere; Come, Dove, Cosa, Quando, in che Modo:
Perché, ogni cosa deve esser fatta: poiché la Virtù vuol esser accudita con cura.
Virtù non lascia niente al caso; pure al caso, si rimedia spesso coll’ingegno. 395
Virtù cerca Consiglio; nn vola prima di guardare, e considera,
Virtù fugge Menzogna; dove entra Menzogna, Virtù esce dalla porta176.
Fandonie, Millanteria, stupide Idee, confusi Capricci,
Sono errori infami; che portano vergogna al loro Signore.
Virtù si rende piacevole con gli Scherzi, nel tempo e nel luogo appropriati177: 400
178
Prende e dà con moderazione, tanto quanto conviene all’onore ,
Tutto senza ironia; rabbia, e pazzia, siano lontani dalla Compagnia179.
Moderazione è in tutto la cosa migliore, la Permalosità Grossolana si addice a un Buffone180.
Virtù non sopporta alcun Insulto, piuttosto che la vergogna preferisce la Morte181.
Virtù sta nella Forza Virile, non si lascia spaventare da niente; 405
Avversità, Dolore, Disgrazia, Inondazione e Fuoco, Tuono e Morte,
Tutto ciò considera un Gioco; Essa vince, e trionfa nella Morte.
Vedi ERCOLE Mio, la Grandezza della Virtù divina?
Virtù è un tesoro dell’Anima, al quale l’oro e tutto il denaro182,
Non possono paragonarsi; è più nobile delle Pietre preziose. 410
Osserva, Figlio mio; Come la Virtù si fonda in Dio, e nell’Onore183
Così non v’è Virtù, che non dipenda dalla Saggezza:
La Conoscenza è la Luce della Virtù; e la Saggezza è l’Occhio della Virtù184.
La Conoscenza è legata al lavoro; non si acquista senza diligente fatica.

173
V. 390: cfr. Salmi, 18, 17; secondo Delblanc “Liberalitas” o “Beneficientia”; ma cfr. anche i vv. 444 sgg.
174
V. 391 sg.: “Temperantia” (Delblanc).
175
V. 393 sg.: espediente stilistico ricorrente nella poesia latina del tempo (cfr. Ståhle, 1957, p. 78); VV. 393-396:
“Prudentia” (Delblanc, Friberg).
176
VV. 397-399: “Veracitas” (Delblanc).
177
VV. 400-403: “Temperantia” (Friberg).
178
V. 401: “Comitas” (Delblanc).
179
V. 402: “ironia” (agg): si riferisce agli scherzi (cfr. Komm., p. 84).
180
V. 403: “Mansuetudo” (Delblanc).
181
V. 404: “Morte” (Lijf-laat): non si allude qui al suicidio, ma probabilmente alla scelta di vivere secondo l’onore e la
virtù anche a costo della vita (cfr. Olsson, p. 173). VV. 404-407: “Fortitudo” (Delblanc, Friberg); Columbus riferisce
che per S. è «la libertà più dolce per un’anima nobile sopportare fatica e pericolo per gloria e onore» (op.cit., p. 254);
come Ståhle ha dimostrato (1975, p. 263 sgg.), questa parte corrisponde antiteticamente a quella sul potere della morte,
nel discorso di donna Voluttà (vv. 67-73); l’antitesi si ritrova anche nei nomi: Dygden (Virtù) dalla radice “DA
positivum”, che esprime per S. «attività positiva», e Döden (Morte) dalla radice “DA privativum”, che indica invece
«attività negativa» (cfr. Ståhle, 1975, p. 264 sg.).
182
V. 409: “tesoro dell’Anima” (Siälenes skatt); nella Bibbia la saggezza viene paragonata a un tesoro, più prezioso
dell’oro e dei gioielli (Sapienza, 7, 9; Proverbi, 3, 15; 8, 19) (cfr. Olsson, p. 116).
183
V. 411: cfr. V. 368 sg.; cfr. S.: «Quam dulce est sapere» (Columbus, p. 254). Dal v. 411 al v. 443 dona Virtù
descrive la saggezza (Wijsdom), e come questa dipenda dalla sapienza (Lärdom) o “Scientia”.
184
I vv. 413-418 sono pieni di anafore, parallelismi sintattici e allitterazioni in W e vocaliche; anche qui, antitesi con i
vv. 67-73 (cfr. Ståhle, 1975, p. 250).

50
Alt hwad dräfligit är, hwad högt, och i kostliga wärde; 415
Alt hwad prijsligit är, hwad lof, och rosande, wärdt är,
Alt gifwer Oss wår Gud, genom ijdkesamt arbet, och Yrkan.
Lärdom af jdkna; men Wijsdomen aflas i Lärdom185.
Lärdomen är ett fröö; där-af wijsdom groder i hiertat.
Märk dätt: Wijsdoms Fader och Moder är' Arbet, och Lärdom. 420
Faar-lös, och Moor-lös, tynes han af; och trånar i wan-rykt.
Siälen i allom är eenhand art, utaf himmelisk ädli186:
Skildnaden är; at den ene, som glömbd, blijr liggiand' i Stofftet.
Där den andre tags opp; hon waskas, hon skijres och krattsas,
Glättas, och igrafz allrahand prydelige form' och figurer, 425
Sådan är skildnan opå den Siäl, som 'r Lärd, emot olärd.
Siälen i Menniskio-kropp som en Eld förborgat i flinto;
Finner hon ey sitt Stål; så gnistrar hon aldrig i blysning.
Kåtkarla, Torpara, Träler, och almena Pack bruke Siälen,
Int' ann' i ställe för Salt; at kroppen han icke må rottnas. 430
Siälen är hwars mans ägnd; men blind och bunden i mörker
Wijsdom är Siälenes Sool, som töknen skingrar och dimban.
At hon skynliga see kan hwad hänne tiänar och höfwer.
Ästu ey Lärd; tro du inte, du west hwad Rätt, eller orätt,
Gott eller Ondt är i sanning, ell' elliest i skijnliga måtto; 435
Profwen är konstrijk; skyns offt flärd uti glimmande gull-glantz.
Wiltu nu seya min HERCULE; mången är Lärd: men en Åsna,
Toker i alt det han talar, och gör, en tylpel i gästbod:
Doch han är lärd. Ney, HERCVLE, Ney. En sådan är olärd.
Fast honom flödde Latin öfwer öronen ned opå skägget. 440
Den sijne Seder, Ord; sijne Lyster, och anfödde Sinne,
Inte wet håll' vti töm; styra, fogligen hyfsa, regera.
Han är en olärd man: wari Doctor, ell' hete Magister.
Än äret ett, som märkligit är: Om än allhanda Lärdom,
Alsköns Dygder, och Himlisk wet dit hierta bekröna; 445

185
V. 418: Lärdom = Sapienza accumulata attraverso lo studio; sinonimo di Wett al v. 413; aflas = nasce; la parola
appartiene, secondo S., alla radice AV, che l’autore concepisce come «radix Amoris» (Fd6, Fd7) (cfr. Ståhle, 1951, p.
72; cfr. qui p. 13 sgg.).
186
V. 422: ädli = natura, essenza; parola ripresa da S. dall’antico islandese e svedese, e riportata da lui alla radice AD
«nobiltà» (Fd5) (cfr. Ståhle, 1951, p. 87 sg.; cfr. v. 283); allitterazione e assonanza vocalica.

51
Tutto ciò che è eccellente, che è nobile, e di gran valore187; 415
Tutto ciò che è lodevole, che è degno di elogio, e di fama,
Tutto questo Ci dà il nostro Dio, attraverso lavoro e opera assidui.
La Sapienza dalla diligenza; ma la Saggezza nasce dalla Sapienza.
La Sapienza è un seme; dal quale la saggezza cresce nel cuore.
Osserva: il Padre e la Madre della Saggezza sono Lavoro, e Sapienza. 420
Senza Padre e senza Madre, essa deperisce; e languisce trascurata.
L’Anima è in tutti dello stesso genere, di natura celeste188:
La differenza è; che l’una, come dimenticata, resta nella Polvere189.
Mentre l’altra viene presa; lavata, pulita e raschiata,
Viene lustrata, e incisa con forme e figure eleganti di ogni tipo, 425
Questa è la differenza tra l’Anima, che è Istruita, e una ignorante.
L’Anima nel Corpo Umano è come il Fuoco nascosto nella pietra focaia190;
Se non trova il suo Acciaio; allora non scintilla mai in sfolgorio.
Poveracci, piccoli Contadini, Schiavi, e Plebaglia comune usano l’Anima191,
Solo come Sale; perché il corpo non marcisca. 430
L’Anima è proprietà di ciascuno; ma cieca e prigioniera nel buio192
La Saggezza è il Sole dell’Anima, che la nebbia disperde e la foschia.
Perché essa possa chiaramente vedere ciò che le serve e le conviene.
Se non sei istruito; non credere di sapere ciò che è Giusto, o sbagliato193,
Ciò che è Bene o Male in verità, o solo in apparenza194; 435
La Prova richiede arte; nello splendore dell’oro rilucente si vede spesso la falsità.
Vuoi ora dire ERCOLE mio; un uomo può essere Istruito: ma un Asino,
Folle in tutto ciò che dice, e fa, un cafone a banchetto:
Eppure è istruito. No, ERCOLE, No. Un uomo così è ignorante.
Anche se gli scorresse il Latino dalle orecchie fino alla barba. 440
Chi i propri Costumi, e Parole; i propri Desideri, e il Temperamento innato195,
Non sa tenere a freno; governare, contenere ragionevolmente, regolare.
Costui è un ignorante; che sia Dottore, o si chiami Maestro.
V’è ancora una cosa, che si deve notare: Anche se Sapienza di ogni specie196,
Virtù di ogni tipo, e conoscenza Divina incoronano il tuo cuore; 445

187
VV. 415-417: cfr. i vv. 67-72.
188
V. 422: “natura celeste” (Himmelisk ädli); cfr. S.: «Homo Coelum in se comprehendit, dum Dijs Superis» (Fil. frag.,
p. 171) (cfr. S. Lindroth, Paracelsismen, cit., p. 15 sgg.).
189
V. 423: pensiero già platonico e neoplatonico: Platone paragona l’anima a una tavoletta di cera sulla quale si possono
disegnare figure; Plotino paragona invece l’anima all’oro, che può sporcarsi, ma anche essere lavato e pulito, oppure
alla pietra grezza, che può essere scolpita e acquistare bella forma (cfr. Friberg, p. 228 sg.).
190
V. 427: un’altra immagine per l’anima e la saggezza; l’acciaio rappresenta il duro lavoro (cfr. Friberg, p. 29 sg.).
191
V. 429: immagine conosciuta dall’adagio di Erasmo: «Anima sui pro sale data» (cfr. Friberg, p.229 sg.); cfr. anche
Lucrezio, De rerum natura, III, 525.
192
V. 431: “cieca” (blind); cfr. Seneca, Dialoghi, VI, 815; Platone parla della cecità dell’anima, e di conoscenza e
saggezza come dell’occhio dell’anima, o sole dell’anima (cfr. v. sg.) (cfr. Olsson, p. 174 nota 19; cfr. anche il v. 495).
193
I vv. 434-443 descrivono la falsa saggezza: la “scientia” non ha alcun valore se non serve a “nobilitare” l’anima (cfr.
Friberg, p. 230 sg.).
194
V. 435: non credere di sapere ciò che è bene o male nella sua essenza, o soltanto nella sua apparenza esteriore.
195
VV. 441-443: solo attraverso la “Temperantia”, il buon senso e la moderazione, la conoscenza si può trasformare in
saggezza (cfr. i vv. 401 e 403).
196
VV. 444-463: per ultima si descrive ora una virtù che è superiore a tutte le altre: la Generosità o Magnanimità
(Mildheet); senza questa virtù, senza l’amore, come probabilmente è da intendersi il termine (cfr. Friberg, p. 231), senza
operare per il bene di sé e del prossimo, l’uomo non può raggiungere il proprio traguardo di felicità. Si notano qui echi
dell’inno all’amore contenuto nella I lettera ai Corinzi di S. Paolo (1 Cor, 13, 1) (cfr. Olsson, pp. 147, 158 sgg.).

52
Och den ädele Mildheet alleen hon fattas i Cronan197;
Så är' all' öfrige Dygder af intet Lius, utan anseend.
Jag sad' i förstone, Gud är Dygdenes grundwal, och vphof.
Nu, hwad är Gud? Gud är God, och sielve Godhetenes Vrsprung,
Där icke röns någe gott, där är ingen Gud, eller ähra. 450
Dygd utan dadlige Mildheet, en dunst är; en malning i watne198;
Skugg' utan kropp; een fyllning af wind; et hliom, och et Nord-blys199.
Födder är ingen Man för sijn skull alleen hijt i werlden,
För sijn omätlige lust, eller all-stund-torstige swalg skull,
Fåt hafwer ingen lijf. Ty såsom plantor och örter, 455
Fänat, och Fogel, och Diur i skogen, och Fiskar i watnet200,
Alle til Menniskio-tiänst äre skapad', och ärnad' af Herran;
Så är ock Mannenom Man, til fromma, den ene, den androm,
Ordnat af Gudz försyn; den lägre skal tiäna dän högre:
Torfftiger afla bröd af rijkom, med tiänster och slögder; 460
Store befrämie de små, den högre skal hiälpa den lägre:
Derföre lef ock du så, at andre må prijsa sig sälle,
Af dijna Mildheets fruckt: war allom nyttig i Werlden.
Tänck ock, HERCULE, på dijn ätt, och adelig härkomst.
Mången af ned-trädd root, och oachtande fnöskote stubbar, 465
Sprijter här ut, skiuter op, får löf, och kommer i blomma;
Mången af fattigt blod, utkommen ur taak-löse kåtor201,
Stijger alt op åt, och op, genom Dygd och berömlige dater202,
Till det ypperste måål, utaf heder, och adelig högheet.
Fins der emot och den, som högt opp i rijke palatzer, 470
Boren i silkes säng, af Gud wälsignat i waggan,
Fiärran af heden-höös, weet leda sin Adel och Ahner;
Men: det klagligit är, Så nyttiar sin Adel och Ahner,
At han i ställe för roos, för prijs, för Heder och Ähra203,
Gagnar sig håån, och spott, och alsom-största wahn-ähra. 475
Lijdes af ingen Man; men af alle begabbas och hatas,
Allom en öfwerlast, och Jorden een afrapi-börda204.

197
V. 446: Mildheet = Generosità; per Delblanc “Clementia”.
198
V. 451: dadlige = attiva; Dad “azione” appartiene, secondo S. alla radice DA positivum, come Dygd “Virtù” (Fd7,
Fd2); antitesi con dunst “fumo”, per S., dalla radice DA privativum (Fd5, Fd7) (cfr. Ståhle, 1951, p. 89).
199
V. 452: fyllning af wind = soffio di vento; gloss.: «Parole senza opere»; cfr. anche il v. 251; hliom = eco;
dall’antico islandese; per S.: «HL fugacitatem illam et vanitatem induit» (N24) (cfr. Ståhle, 1951, p. 80; Olsson, p. 152
nota 33); Nord-blys = Aurora boreale; gloss.: «Chasmata […] un Riflesso di luce, o qualcosa che sembra essere, ed è
in sé, tuttavia, nulla»; cfr. il v. 55.
200
V. 456: allitterazione in F.
201
V. 467: kåtor = capanne; gloss.: «Kåte, casa» (cfr. il v. 429; cfr. Ståhle, 1951, p. 71).
202
VV. 468 sg.: allitterazione in D, in H e vocalica.
203
V. 474: Ähra = Onore; qui in sendo di “buona reputazione”.
204
V. 477: afrapi-börda = carico di scorie; il primo termine dall’antico svedese (cfr. Ståhle, 1951, p.72).

53
E la nobile Generosità solamente manca nella Corona;
Allora tutte le altre Virtù sono senza Luce, senza volto.
Ho detto all’inizio, Dio è il fondamento, è l’origine della Virtù205.
Ora, cosa è Dio? Dio è Buono, e la fonte della stessa Bontà.
Dove non appare alcuna bontà, là non v’è nessun Dio od onore. 450
Virtù senza Generosità attiva, è un fumo; un disegno nell’acqua;
Un’ombra senza corpo; un soffio di vento; un’eco, e un’Aurora boreale.
Nessun Uomo è nato solo per se stesso in questo mondo206,
Per il suo desiderio smisurato, o per la sua gola sempre assetata,
Nessun uomo ha ricevuto la vita. Perché così come piante ed erbe207, 455
Bestie, e Uccelli, e Animali nel bosco, e Pesci nell’acqua,
Sono tutti creati, e destinati da Dio al servizio dell’Uomo;
Così anche l’Uomo è per gli altri Uomini di utilità, l’uno per l’altro,
Ordinato dalla provvidenza di Dio; l’uomo inferiore deve servire al superiore:
Il povero deve guadagnare il pane dal ricco, con servizi e lavori manuali; 460
I grandi devono favorire i piccoli, il superiore deve aiutare l’inferiore208:
Perciò vivi anche tu così che altri possano dirsi beati,
Dei frutti della tua Generosità: sii utile a tutti nel Mondo.
Pensa anche, ERCOLE, alla tua stirpe, e nobile origine209.
Molti da radici calpestate, e da umili tronchi marciti, 465
Crescono, germogliano, si coprono di foglie, e fioriscono;
Molti di sangue povero, venuti da capanne senza tetto,
Salgono in alto, sempre più in alto, per mezzo della Virtù e di azioni lodevoli,
Fino al traguardo più alto, di onore, e nobile grandezza.
Vi è invece chi, in alto in ricchi palazzi, 470
Nato in un letto di seta, benedetto da Dio nella culla,
Sa derivare da tempi antichi la sua Nobiltà e i suoi Avi;
Ma: disgraziatamente, Così usa la sua Nobiltà e i suoi Avi210,
Che invece di lode, di elogio, di Gloria e di Onor,
Si procura scherno, e oltraggio, e il più grande disonore. 475
Non è sopportato da nessuno; ma da tutti è insultato e odiato,
Un peso per tutti, e per la Terra un carico di scorie.

205
V. 448: cfr. i vv. 411 e 368 sgg.
206
V. 453 : cfr. Cicerone, De officiis, I, 22 : «Non nobis solum nati sumus». VV. 453-455: costruzione chiastica, con il
v. 454 nel mezzo.
207
V. 455 sg.: piante ed erbe per il regno vegetale, uccelli nell’aria, animali quadrupedi sulla terra e pesci nell’acqua,
per il regno animale (cfr. il v. 372; cfr. Friberg, p. 146).
208
V. 461: parallelo col v. 459.
209
I vv. dal 464 al 495 mancano nelle precedenti versioni (cfr. J. Nordström, De olika Hercules-versioner, cit. p. 189
sg.). VV 464-489: donna Virtù espone ora la sua dottrina sulla nobiltà e i doveri di questa (cfr. i vv. 349-258, 283): non
vi è nobiltà senza la Virtù; ma la vera nobiltà, nella virtù, non è privilegio della classe nobile, e chiunque, anche se di
nascita povera, può innalzarsi fino alla nobiltà e all’onore mediante la Virtù: «Arte, Coraggio, Intelligenza non si
legano a Provenienza, Classe, o aspetto» (“Konst, Mod, Wett binds ey til Härkomst, Stånd, eller anseend”; dalla poesia
epigrammatica di S. Opå en Spinnel, som wirkar sit dwärgsnät (“Sul Ragno che tesse la sua ragnatela”, 1658, v. 5). La
nobiltà di cui si tratta qui è soprattutto la nobiltà dell’anima, la nobiltà dell’Uomo in quanto essere “di natura celeste”,
alla ricerca della propria realizzazione spirituale, della propria origine (cfr. Friberg, p. 139; cfr. anche il v. 378 e più
avanti, p. 62 sgg.).
210
V. 473: i suoi privilegi di nascita, come nobile.

54
Icke så du, min Son: dijn plicht du tager å wahra,
Wetandes att en Man sijne Fädgars Titlar och Ahner211,
Håller i wärdig prijs, och i ing'handa måtto befläckiar, 480
Inte benögd med dätt, at de hafwa bracht dig i liuset,
Vtan att du samme lius, med ditt lius widgar och ökar212.
Såsom een Lampa sin Eld förkofrar och lyser i mörkre,
Alt medan hon sin spädsl och näring niuter af Olio;
Så will och Adels stånd med öfning af Adlige Dygder, 485
Hållas uti sin glantz: Tryter hän af Dygdenes olio;
Släckt blifwer Adels-glantz; och Lampan hon tynes i mörker.
Snöd är en Ädelman, den sielf-sijne Dygder ey adla,
Snöd är en Ädelman, den Moors-qwedet adlar allena213.
Sidst du wille betrackta den aldrig-hwilande Tijden214. 490
Ungdomens åhr uti brunst rasa fort, som en ijlande hwirfvel215,
Åldren i miugg, omärckt, sacht-smijlande, smyger i ställe216.
Hwarföre gif god acht opå glaset, at Tijden i hwimsku217,
Ey löper hän: men Lär, och Gör hwad gott är i tijda.
Tänck hwad et osnygt Diur, en gammal, och dygde-lös Man är. 495
Ålderen har sin wank; när stöd, och stolparna bugna218,
Gaflarna luta fram ut, och wäggarne slå sig i rämnor,
Taket gristnar i dropp, och huset begynner at braka219;
Qwarnen har ingen gång, eller gny, och fänsterne mörkia;
Malört utur hwar knut, döfwe näslor i spryngiorne wäxa; 500
Hanan å gyllande brand, springer inte meer om, lookar halsen,
Lyder alzingen wind; men henger, och hotar at falla;
Harpan hon är förstämbd; lyder intet; strängiarne snarra220.
Tå är i samma palatz slätt lust meer; frögden är uthe;

211
V. 479: Sijne Fädgars = dei propri Avi; dall’antico islandese (cfr. Ståhle, 1951, p. 78); Ahner, prima tradotto con
“Avi” acquista in questo caso più il senso di “tradizioni”.
212
V. 482: samme lius = questa luce; che tu hai ricevuto per nascita; dit lius = la tua luce; la luce della tua Virtù.
213
V. 489: Moors-qwedet = il Ventre materno; la nascitta; gloss.: «Uterus maternus»; il secondo termine appartiene,
per S., ai «verba generandi» (N24) (cfr. Ståhle, 1957, p. 49; cfr. anche i vv. 29, 119.
214
V. 490: aldrig-hwijlande = che non si ferma mai; cfr. Shakespeare, Sonetti, 5, 5: «Never-resting time». Notare le
rime e le allitterazioni nei vv. 490 sgg. (cfr. Ståhle, 1975, p. 250 sg.).
215
V. 491 sg.: notare l’uso del suono R simbolo, per S., di «ruens procella», di «furens ignis», e di I, simbolo di Eros e
di vita (Fd5, N24) (cfr. Ståhle, 1951, p. 91; cfr. i vv. 61-63, 98 sg., 102).
216
V. 492: Sacht-smijlande smyger = giunge di soppiatto, lentamente e nascostamente; per S., “smijla” «occulte
subrepere […] submisse irrepere» è imparentato con “smyga” «clam se inferre» e “i miugg” «occulte» (Fd2); la M è
lettera che esprime “chiusura, segretezza” (Fd2; cfr. il v. 21).
217
V. 493: i hwimsku = invano; gloss:. «vanitas» (cfr. Ecclesiaste, 12, 1); dall’antico svedese (cfr. Ståhle, 1957, p. 83).
218
V. 496: stöd, och stolparna = i sostegni e le colonne; dall’antico svedese; allitterazione in ST.
219
V. 498: gristnar = comincia a far acqua, lett.: “si fende, si screpola fino a far entrare acqua” (svedese moderno
“gistna”).
220
V. 503: snarra = stridono, emettono un suono sgradevole; dal basso tedesco snarren (cfr. P. Wieselgren,
Germanismer hos Stiernhielm; in Arkiv för Nordisk Filologi, 1962, p. 209).

55
Non così tu, Figlio mio: al tuo dovere devi badare,
Sapendo che un Uomo i Titoli e le Tradizioni dei propri Avi,
Tiene in dovuta stima, e in nessun modo li macchia, 480
Non soddisfatto del fatto che ti abbiano portato alla luce221,
Senza che tu questa luce, con la tua luce ingrandisca e aumenti.
Come una Lampada la sua Fiamma accresce e risplende nel buio222,
Mentre gioisce del suo alimento e nutrimento di Olio;
Così vuole anche la classe Nobile con l’esercizio di Nobili Virtù, 485
Essere mantenuta nel suo splendore: se Manca l’olio della Virtù;
Si spegne lo splendore della Nobiltà; e la Lampada languisce nel buio.
Nudo è l’Uomo Nobile, che le proprie Virtù non nobilita223,
Nudo è l’Uomo Nobile, che il Ventre materno solo nobilita.
Infine puoi guardare il Tempo che non si ferma mai224. 490
225
Gli anni della giovinezza nel desiderio scorrono velocemente come un vortice ,
Al loro posto giunge di soppiatto la Vecchiaia, nascosta, inosservata, segretamente226.
Perciò fa’ attenzione alla clessidra, che il Tempo invano227,
Non sfugga: ma Impara, e Fa’ ciò che è bene in tempo.
Pensa che brutto Animale, è un Uomo vecchio, e senza virtù228. 495
La Vecchiaia ha i suoi difetti; quando i sostegni, e le colonne si piegano229,
I lati si inclinano in avanti, e le pareti si incrinano,
Il tetto comincia a far acqua, e la casa inizia a cadere in pezzi;
La macina non va più, e non fa rumore, e le finestre si rabbuiano230;
Assenzio da ogni angolo, ortiche nelle fessure crescono; 500
La banderuola sulla stanga dorata non gira più, ha piegato il collo231,
Non segue più alcun vento; ma pende e minaccia di cadere;
L’arpa è stonata; non suona più; le corde stridono232.
Allora in questo palazzo non v’è quasi più piacere; la gioia è andata via233;

221
V. 481: allusione alla nascita nobile.
222
VV. 483-487: cfr. il precedente simbolismo della luce.
223
V. 488: “Nudo” (Snöd); misero, senza valore, umano o morale (cfr. Ståhle, 1957, p.82).
224
VV. 490-521 : donna Virtù termina in proprio discorso esortando Ercole a pensare alla brevità della vita (cfr. i vv.
58-86). Nella prospettiva della transitorietà di tutto, il messaggio di donna Virtù acquista gravità e urgenza.
L’esortazione a vivere nella virtù ha per sfondo la certezza che si vive una volta sola, e che le nostre possibilità corrono
via velocemente (cfr. Friberg, p. 236 sgg.). Notevole inflenza qui deve avere avuto il cap. XII dell’Ecclesiaste, nella
descrizione della rovina del corpo, come di una casa cadente (cfr. Olsson, p. 111).
225
V. 491: cfr Ecclesiaste, 12, 1.
226
V. 492: che la vecchiaia o la morte si avvicinino all’uomo di soppiatto è un pensiero esistente già nell’antichità (cfr.
Orazio, Odi, II, 14, vv. 1-4; Shakespeare, As you like it, II, 7, 111).
227
V. 493: “clessidra” (glaset); emblema del Tempo. Columbus racconta che S. aveva un’incisione in rame su cui a
volte meditava: «Un Sole con la Terra sotto e un uomo senza virtù che andava nell’ombra sotto Terra» (“Een Sool
medh een Jordh nedanföre oche en odygdig menniskia, some gick till skuggan in under Jorden”; Columbus, cit., p. 255)
(cfr. Fil. frag, II, p. 52; cfr. anche i vv. 376, 431 e qui p. 62 sgg).
228
V. 495: “brutto” (osnygt), trascurato; cfr. il v. 421.
229
VV. 496-506: cfr. Ecclesiaste, 12, 3, 4 (cfr. Olsson, p. 109 sg.; Friberg, p. 241 sg.).
230
V. 499: macina (Qwarnen); allude ai denti; cfr. il v. 515.
231
V. 501: banderuola (Hanan); spesso in forma di gallo.
232
V. 503: arpa (Harpan); cfr. Ecclesiaste, 12, 4; l’arpa è un simbolo per l’anima; S. scrive, nella prefazione
all’Archimedes reformatus (1644), che gli antichi paragonavano l’anima ad un’«Arpa armoniosa e accordata» (cit. da
Friberg, p. 241; cfr. il v. 384).
233
V. 504 sg.: la casa è ora un palazzo, o alberto, in cui l’anima è il Padrone (Husbondn) e i sensi i servitori (tiänsthion)
(cfr. Friberg, p. 241); cfr. Seneca, Epist., XXX, 2 (cfr. Olsson, p. 121 nota 6).

56
Gästebod, harpor, och dans hörer op; både tiänsthion, och Husbondn 505
Tänckia sig om, huru the må huset, och Härberge ryma:
Sådan är Menniskio kropp: när åldren kommer, och åhren234
Krökia din hals och rygg; både händer, och hufwudet darra,
Knän blifwa styf, din foot han waklar, och måstu på sidston
Treefotat hiälpa dig hän, som barnen i börian å fyre; 510
Winter-blommor opå din kinn, som safftlöse plantor,
Groo, och gråna med hast: och Hösten i hufwudet hyser235;
Håren flyta dig af, som wisnade lööf vtaf Aspen,
Skallan snöd blijker ut der nu spela krusade lockar;
Tänderne fall', och fahlna där hän, de qwarlefde stumpar236, 515
Winn inte mala sijn mäld; men målet de märkliga stympa237;
Örone döfna sin koos, och hörslen hon tapar, och tyner238,
Ögonen dunkla sin koos, och synen molnar i mörkre239;
Kraffter och alt fyker hän, och döden kijkar ur ögon240:
Wett, och Sinne gå bort; fördwälmas i dwaas, och i glömsko241; 520
Döden är yttersta målet, i dy wij samkas, och ändas.

234
V. 507: allitterazione in K e vocalica.
235
V. 512: allitterazione in H e assonanza.
236
V. 515: fall’, och fahlna = cadono, e marciscono; i due verbi, per S., insieme al latino pallidus, dalla radice VA
privativum, che esprime «avvizzimento», «deperimento» (Fd10, Fd6) (cfr. Ståhle, 1951, p. 88.
237
V. 516: mäld = cibo; letteralmente: “ciò che è macinato”, così come mala significa lett. “macinare”; allitterazione in
M (cfr. il v. 67) e ST (cfr. v. precedente e il v. 66.).
238
V. 517: tapar, och tyner = si perde, e languisce; dalla Barlaams Saga (cfr. Ståhle, 1951, p. 88); per S., dalla radice
DA privativum, che esprime l’idea di «addormentarsi», «morire» (Fd7) (cfr. Ståhle, 1951, p. 88); dalla stessa radice
döfna (diventano sorde), dunkla (si rabbuiano, al v. sg.), fördwälmas i dwaas (si assopiscono nell’apatia, v. 520)
(Fd5, Fd7) (cfr. anche il v. 72).
239
V. 518: molnar = si annebbia; gloss.: «Molna, nigrescere […] obnubilari, hinc Moln, Nubes» (cfr. Ståhle, 1957, p.
85; cfr. anche i vv. 67, 499); allitterazione in M; parallelo con il v. precedente.
240
V. 519: fyker hän = sparisce, fugge via; S.avvicina questa forma al latino fugere (Fd4) (cfr. Ståhle, 1957, p. 85).
241
V. 520: dwaas = apatia; gloss.: «Dwas, aliter Döös, Stupor, amentia, delirium» (cfr. il v. 71).

57
Banchetti, suoni d’arpa, e danze terminano; sia la servitù, che il Padrone 505
Cominciano a pensare, a come poter lasciare la casa, e l’Albergo:
Così è il corpo Umano: quando giunge la vecchiaia, e gli anni
Piegano il tuo collo e la tua schiena; sia le mani, che la testa tremano,
Le ginocchia diventano rigide, il tuoi piede vacilla, e tu devi infine
Camminare su tre piedi, come i bambini all’inizio, su quattro242; 510
Fiori d’inverno sul tuo mento, come secche piante243,
Crescono, e diventano grigi in fretta; e l’Autunno sul capo dimora;
I capelli cadono, come foglie avvizzite dal Pioppo244,
La tua testa si vede calva, dove ora giocano riccioli inanellati;
I denti cadono, e marciscono; i pezzi rimasti245; 515
Non riescono più a masticare il cibo, ma mutilano visibilmente il linguaggio;
Le Orecchie diventano sorde, e l’udito si perde, e languisce,
Gli occhi si rabbuiano, e la vista si annebbia nel buio;
Le forze e tutto sparisce, e la morte guarda dagli occhi socchiusi246:
Il Giudizio, e i Sensi vanno via; si assopiscono nell’apatia, e nell’oblio247; 520
La morte è il traguardo finale, in cui ci riuniamo, e finiamo248.

242
V. 510: “su tre piedi” (Treefotat), con l’aiuto del bastone. Il simbolo si rifà al noto indovinello della Sfinge,
conosciuto anche attraverso Esiodo, Le opere e i giorni, I, 533, e comune nella letteratura del tempo (cfr. Hj. Lindroth,
p. 101 sg.; Friberg, p. 69 sg.; Fehrman, pp. 283, 289).
243
V. 511: “fiori d’inverno” (Winter-blommor); la piccola barba, ormai bianca.
244
V. 513; cfr. Iliade, VI, 146, 148; Isaia, 1, 30 (cfr. Fehrman, p. 130 sgg.).
245
V. 515: cfr. Shakespeare, As you like it, II, 7, 163-166; cfr. anche il v. 499.
246
V. 519: “guarda dagli occhi socchiusi” (kijkar); lo sguardo di un uomo prossimo alla morte, forse l’immagine,
frequente per il tempo, di un uomo che, vicino a morire, vede nello specchio non il proprio volto, ma quello della morte.
247
V. 520: “Il Giudizio, e i Sensi” (Wett, och Sinne); parallelo con il Padrone e la servitù del v. 505.
248
V. 521: cfr. Orazio, Epist, I, 1, 79: «Mors ultima linea rerum est». Sembra così che, per S., la morte sia la fine di
tutte le cose; non v’è infatti alcun accenno a una vita dopo la morte. Queste parole sono tuttavia da intendersi in un
altro senso: in continuità con il consiglio di donna Virtù di cercare la virtù mentre Ercole è giovane. Con la vecchiaia e
la morte infatti cessano le nostre possibilità di agire per raggiungere la felicità, nella virtù (cfr. Olsson, p. 111 sgg.;
Friberg, p. 240 sgg.; cfr. anche Ecclesiaste, 3, 19 sg.; cfr. il v. 494). Con questo v. si conclude il poema. Questa
conclusione sembra richiedere uno sforzo da parte del lettore: non si dice infatti quale sarà la scelta di Ercole. Ma il
lettore contemporaneo ben sapeva quale sarebbe stata la decisione di Ercole «all’onore nato ed eletto» (vv. 3, 283).

58
Le parole-chiave dell’Hercules
I fondamenti della filosofia di Stiernhielm, espressi in particolare nella seconda parte
dell’Hercules1, si possono riassumere in alcune parole-chiave, come Conoscenza, Saggezza, Virtù e
Onore2.

CONOSCENZA
Nel v. 124 donna Voluttà cerca di distogliere Ercole dagli studi, manifestazione della libertà
spirituale dell’Uomo, segno della sua nobile origine. Nello stesso verso viene nominato il
compasso. Durante il Medioevo il compasso era stato l’attributo simbolico di Dio, nella Sua qualità
di “Costruttore del mondo”: con esso Egli aveva «tutto disposto con misura, calcolo e peso»
(Sapienza, 11, 20). Così l’uomo del Rinascimento, fiducioso di sé, prende in mano il compasso, a
simboleggiare, a un livello evidentemente minore, la capacità ricercatrice della propria intelligenza3.
Così anche Stiernhielm, per mezzo dei suoi studi, soprattutto matematici e linguistici, credeva di
poter penetrare nei segreti che sono celati nella Natura, sotto il “velo di Minerva”. Nella sua
prefazione all’Archimedes Reformatus (1644) scrive che si deve «lodare come un grande dono di
Dio l’Arte e la Scienza attraverso la quale impariamo in qualche modo a comprendere questa
meravigliosa Costruzione di Dio» (“prijsa för een högh Gudhs gåfwo, then Konst och Wetenskap,
igenom huilken wij läre någorlunda förstå thenne Gudhs underliga Byggning”), soprattutto «la
Geometria che Tutto misura, Madre di Mille Arti» (“then All-mätande Geometria, een Tusend
Konsters Moder”)4.
In una poesia epigrammatica, pubblicata anch’essa nelle Musae Suethizantes, sul Ragno, che tesse
la sua ragnatela, Stiernhielm scrive5:

Piccolo, e insignificante d’aspetto è il Ragno per il suo corpo;


Si chiama ed è un Piccoletto6; ma pieno di Capacità ingegnose:
Similmente, molti Uomini sono semplici di figura, e d’aspetto;
E tuttavia pieni di giudizio, e di ogni tipo di utili idee.

(Spinnelen af sin kropp är liten; och ingen af anseend;


Heter, och är en Dwärg; men fuller af artiga Snille:
Dylijka, marger Man ä slätt af skapnad, och anseend;
Men doch fuller af wett, och allsköns tarflige funder.)

Il ragno e la sua tela rappresentano simbolicamente, in piccolo, la forza divina, che crea il mondo
nella sua unità. La natura quindi è il tessuto dell’Anima mundi (di questa forza divina),
rappresentato anche come il “velo” o “manto” di Minerva, e l’Uomo con la sua scienza crea un
tessuto o tela in competizione con questo7.

SAGGEZZA
Nel v. 419 si dice che la conoscenza, o Sapienza, è un seme dal quale la saggezza cresce nel cuore.
Nei vv. 411-413, inoltre, si dice che: «la Virtù si fonda in Dio e nell’Onore / Così non v’è Virtù, che
non dipenda dalla Saggezza: / la Conoscenza è la Luce della Virtù; / e la Saggezza è l’Occhio della
Virtù». La conoscenza, quindi, mostra la natura della Virtù, mentre la saggezzza la discerne. Essere

1
S. Columbus (op.cit., p. 255) scrive: «Egli esprime la sua stessa filosofia, e altro, nel suo Hercules, nella seconda
parte, laddove parla la virtù».
2
Cfr., tra l’altro, B. Olsson, pp. 153-176.
3
Cfr. A. Friberg, p. 148.
4
Cit. da A. Friberg, p. 61.
5
Ibidem.
6
Dwärg (“Piccoletto”): termine dialettale svedese per “ragno”, letteralmente “nano” (cfr. Ståhle, 1957, p. 86).
7
Cfr. il mito di Arachne, nelle Metamorfosi di Ovidio, libro VI. Cfr. inoltre A. Friberg, p. 59 sgg.; J. Nordström,
Inledning, cit., p. CCXXIII; vol. II, p. 222 sgg. Vedi anche i vv. 275, 464 sgg.
59
saggi quindi vuol dire sapere, ma anche “discernere”, “vedere”8. Così, l’anima cieca e nel buio non
può vedere la “giusta” via, senza la saggezza, il «Sole dell’anima» (vv. 431-433; cfr. anche i vv.
372-376).
La saggezza presuppone, come si è visto (v. 418), la conoscenza, la sapienza. Quest’ultima si
ottiene per mezzo di lavoro e studio assidui (vv. 414-417; cfr. anche il v. 124). Attraverso questi le
nobili qualità dell’anima tornano alla luce (vv. 422-426), perché l’anima è «di natura celeste» (v.
422).
Ma la conoscenza non consiste nell’apprendere una moltitudine di dati e nozioni sparse, senza un
fine. La conoscenza è conoscenza dell’Uomo, di se stessi, come nelle parole dell’oracolo di Delfi:
ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ, “Conosci Te Stesso”9.
La saggezza si esprime come armonia dell’anima (cfr. il v. 503, commento), e giusti costumi (vv.
441-443). La saggezza è, si è detto, conoscenza di sé, ma è anche conoscenza di Dio. Così Minerva,
impersonata dalla regina Kristina in un balletto di corte di Stiernhielm del 1651, il Parnasso
Trionfante, dice:

La mia attività è con la Saggezza rendere Ricca la Sapienza.


Chi sapiente è, ed anche saggio; è Simile agli dèi10.

(Min idrot är med Wijsdom göra Lärdom Rijk.


Then Lärd är, och ther hoos är wijs; Är gudom Lijk.)

VIRTÙ
Strettamente collegata alla saggezza è, per Stiernhielm, la virtù. Il termine “Virtù” (Dygd) può
assumere, nell’Hercules, tre diverse sfumature di significato11: a) la Virtù personificata, “donna
Virtù” (v. 307 sg.); b) Virtù come perfezione dell’anima, la condizione o essenza della virtù (v. 384
sgg.); la realizzazione della natura umana, nell’anima così come nel corpo (cfr. il v. 384): “Mens
sana in corpore sano”. Stiernhielm scrive che «la Virtù si fonda in Dio e nell’Onore» (vv. 411, 448),
e che «lavoro assiduo e fatica, Vita sobria, desiderio di onestà, seria saggezza» conducono al
sentiero della Virtù (vv. 306-308); c) la Virtù è una qualità o attività umana. Quando Stiernhielm
parla di «Virtù di ogni tipo» (v. 445), si riferisce allora alle differenti qualità o attributi della Virtù,
così come sono espressi nei vv. 385 sgg. Una di queste virtù riceve nell’Hercules un posto
particolare: «la nobile Generosità» (“den ädele Mildheet”, vv. 444-447). La Virtù, infatti, snza la
Generosità attiva, senza l’Amore, perde ogni significato (v. 451 sg.). Possiamo notare qui il
parallelo con un passo del Nuovo Testamento, precisamente in S. Paolo, I Cor, 13, 1: «Se anche
parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che
risuona o un cembalo che tintinna»12. Inoltre, come S. Paolo parla di un amore attivo, così
Stiernhielm parla di generosità attiva (v. 451), che si esprime quindi nelle azioni (cfr. anche i vv.
390, 453-463).

ONORE
La Virtù e la Saggezza sono, a loro volta, collegate all’Onore (cfr. il v. 369). Questo collegamento
ha una tradizione già antica (ad es. in Silio Italico), ma per Stiernhielm l’Onore non è certo quello
dei grandi guerrieri o conquistatori dell’antichità, ma ha un significato ben più profondo e
filosofico.

8
La parola svedese vis (saggio) ha stessa etimologia dell’italiano “vedere”.
9
Cfr. A. Friberg, p. 227 nota; S., Filosofiska fragment, II, p. 171; cfr. anche i vv. 437-443.
10
Cit. da A. Friberg, p. 213; cfr. i vv. 124, 275 e 380.
11
Cfr. Olsson, p. 155 sgg.
12
Cfr. Olsson, p. 158; per Olsson (e Delblanc), questa virtù ha origini antiche, nella romana “Clementia”. Columbus
scrive di S.: «Così era anche sua opinione, che il più grande timore di Dio stia in questo, quando ognuno fa il proprio
dovere di rendersi utile a sé e al suo prossimo, meglio che può» (S. Columbus, op.cit., p. 258).
60
L’Onore è per Stiernhielm un concetto della stessa importanza della Virtù, o Dio (cfr. i vv. 368 e
450).
Nei vv. 316 sgg. donna Virtù parla della ricompensa della virtù, “premium virtutis”13. Già in
Aristotele il concetto di virtù è legato a quello dell’onore, e quest’ultimo inteso come premio della
virtù14. Ma la più grande virtù, la magnanimità, si esprime proprio nel non cercare alcuna
ricompensa, ma solo la Virtù, fine a se stessa. Così per gli stoici, l’onore può essere inteso al
massimo come “stimulum virtutis”, o come conseguenza della Virtù. Allo stesso modo deve
intendersi, probabilmente, questo concetto anche nell’Hercules (vv. 368 sgg.)15.
L’Onore in Stiernhielm potrebbe essere, secondo Olsson, la “gloria bonorum” di cui parla Cicerone,
l’onore o la gloria che si riceve dai pochi uomini saggi16. S. Lindroth ritiene invece che il termine
dovrebbe essere inteso «nel modo più grossolano, come lodi, giubilo e fanfare dei propri simili e
dei posteri»17. Delblanc fa osservare come già Cicerone e gli studiosi rinascimentali vedono l’onore
come un’esistenza trascendentale: così dovrebbe essere anche nell’Hercules18.
Dio e Onore sembrano, nei vv. 368, 411 e 450, essere due concetti praticamente identici, il che si
accorda, secondo Ståhle19, con le speculazioni etimologiche di Stiernhielm: Dio è, nella sua
filosofia, «Ens entium», «Ens unum et primum», l’unico e il vero Essere, e Ähra (Onore) appartiene,
per Stiernhielm, alla radice AR nel suo significato più puro e originale di “Essere”: «ex är “est”, fit
nomen […] ära […] honos» (Fd5); ancora: «A notione Esse, Essentia fluunt etiam notiones
Nobilitatis, Dignitatis […] Honoris […] ut ab är ära»20. Da qui alla parola greca ἀρετή “virtù” non
manca molto21. Questa di Ståhle mi sembra essere l’interpretazione che forse più si avvicina all’idea
di Stiernhielm, alle sue speculazioni linguistico-filosofiche.

13
I vv. 304, 315-320 devono intendersi, secondo Olsson (p. 171), come una ricompensa in cielo, in una vita dopo
questa, e non sulla terra.
14
Cfr. Olsson, p. 170.
15
S. Columbus (op.cit., p. 259) riferisce le parole di S.: «[…] avere Dio davanti agli occhi, nella propria vita, e cercare
con le proprie forze la virtù e la fama e l’onore, per la virtù, questo si addice a un Uomo […]».
16
Olosson, p.cit., p. 169.
17
S. Lindroth, Efterskrift, 1957, cit., p. 30.
18
Delblanc, op.cit., p. 26; Cicerone, Pro Sestio, 68, 143. Per Platone il desiderio dell’onore è un desiderio
d’immortalità.
19
Ståhle, Vers och Språk, cit., pp. 265-268; Ordförklaringar, cit., p. 74.
20
Cit. da Ståhle, Vers och Språk, cit., p. 267 sg.
21
Ibid.
61
Conclusioni
La filosofia dell’Essere di Stiernhielm

L’uso notevole, nell’Hercules, di associazioni di suoni22 non è affatto, come abbiamo visto, casuale,
né solo esteticamente motivato: è molto spesso in relazione con le idee, le concezioni, le teorie
linguistiche di Stiernhielm23.
Il poema rivela, da una parte, la predilezione dell’autore per la forma espressiva della «vecchia
lingua gotica» (antico svedese e antico islandese), che Stiernhielm riprende da un certo numero di
testi medievali24, e rispecchia, dall’altra, la sua convinzione che i “suoni” che compongono le parole
abbiano un legame profondo con le “idee” che le parole esprimono, o comunque che lo abbiano
avut originariamente25.
Nel caso di parole ed espressioni riprese dai testi medievali islandesi e svedesi, queste sono
presenti, nella prima parte del poema, soprattutto nella descrizione di donna Voluttà e del suo
seguito, e nella seconda, nel discorso di donna Virtù26. Il loro numero non è comunque molto
grande27, e talvolta è difficile stabilire quali termini siano dialettali, quasi siano ripresi dalla lingua
antica o comunque tra quelli usciti dall’uso linguistico, arcaizzanti28.
La scelta delle parole, nell’Hercules, è strettamente legata, inoltre, alla teoria di Stiernhielm sulla
corrispondenza tra suoni e idee. Quanto l’uso di questo simbolismo dei suoni sia, nel poema,
intenzionale, non è sempre facile dirlo29. Ma nei casi in cui il legame tra l’idea contenuta in una
certa parola, e il valore simbolico dei suoni che la compongono non sia attestato in una delle
numerose annotazioni linguistiche di Stiernhielm (raccolta dei manoscritti: Fd), resta comunque
spesso interessante richiamarsi alle sue teorie generali sui suoni.
Così, per Stiernhielm, l’“Alphabetum radicale” dei suoni è, in una serie discendente dalla luce al
buio, quello più indistinto30: A V H S L R N M; allo stesso modo la serie vocalica: A Ä E Ö I Y Å
O U31. Se teniamo presente quest’ultima serie, e il fatto che le vocali sono, per Stiernhielm,
“immateriali”, variazioni di A, il suono più puro, l’“origine” di tutti i suoni32, si possono allora
confrontare con questa le numerose allitterazioni-assonanze vocaliche del poema33. Soprattutto
interessanti quelle in A (vv. 72, 414-418. 422), o Ä, il più vicino a questo (vv. 72, 131, 281, 283,
387, 422), e I, espressione di “vita” e “intensità” (vv. 62, 98 sg., 102, 490 sgg.). Quest’ultimo,
abbiamo visto, riferito tra l’altro ad Astrild-Cupido (vv. 98 sg., 102).
Possiamo poi considerare i suoni P, F ed S, esprimenti «ea quae flatuosa sunt», e usati spesso in
attribuzione ai personaggi del seguito di donna Voluttà, forse in riferimento alla loro “vacuità” o a
quella del discorso di donna Voluttà (vv. 27, 40, 89, 262, 270)34.

22
Allitterazioni, assonanze, ecc.
23
Ricordiamo, ancora, che il poema subì, durante quasi quindici anni, numerose successive modificazioni.
24
Cfr. qui p. 16.
25
Spesso la scelta di parole ed espressioni riprese dai testi “gotici” è legata alla teoria sulla corrispondenza tra suoni e
idee: quanto più antica è una lingua, tanto più questa si avvicina alla lingua originaria di Adamo, in cui la
corrispondenza è perfetta (cfr. qui p. 13 sgg.).
26
Questo doveva avere, allora, quasi un suono mistico, suggestivo per i “non iniziati” e denso di significati per gli
“iniziati” (cfr. Ståhle, 1975, p. 251 sgg.).
27
Forse una trentina in tutto (cfr. Ståhle, 1951, p. 90).
28
Ci sono poi alcuni prestiti dall’olandese (cfr. L. van Wijk, Några anteckningar om holländskt i Stiernhielms Hercules,
in: “Nysvenska Studier”, 1939, pp. 92-104), e dal tedesco (cfr. P. Wieselgren, Germanismer, cit.), mentra mancano
praticamente quelli dalle lingue neotaline o dal latino.
29
È altrettanto evidente il legame, nell’Hercules, tra questo simbolismo e i mezzi stilistici, come allitterazioni, giochi di
parole, ecc.
30
Cfr. qui p. 13 sgg.
31
Ibid.
32
Ibid.
33
Ad es. i vv. 55, 57 sgg, 68, 306, 413-418, 468 sg., 490 sgg.
34
Qui si può supporre che il nome di Vanità, Flättia, rientri nella categoria (cfr. Ståhle, 1951, p. 57).
62
Segue poi, nell’“Alphabetum radicale”, H e i derivati K e KV (QW); H è “Spirito” (vv. 68 sg, 273,
469, 512); K e KV (QW)35, “materializzazioni” di H, sono legati all’idea di “generare” (vv. 29,
119, 489)36; il nome di Lussuria, Kättia, appartiene a questa categoria.
Possiamo, ancora, considerare i derivati di S37, T e D ( o spesso anche ST insieme); questi
esprimono l’idea di «vinculum et statio», l’idea di “fermarsi”, “cessare”38 (vv. 63, 66, 284, 298, 309
sg., 496).
Giungiamo così a L, uno dei suoni preferiti da Stiernhielm. L è la lettera della “luce”, della
“leggerezza”, della “vita” (vv. 5, 22, 47, 61, 67, 71, 86, 159, 260 sgg., 290 sgg., 296, 305, 404,
436). Questo suono viene associato, così, ai nomi di Voluttà, Lusta, e della figlia Accidia, Lättia.
R rappresenta, per Stiernhielm, “movimento”, “frizione”, «ruens procella» e «furens ignis»39 (vv.
61 sg., 260 sgg., 279, 297 sg., 491). Forse il nome di Ebbrezza, Ruus, potrebbe suggerire, tenuto
conto del valore di R, l’idea di “irruenza”, “focosità”.
Infine, M rappresenta, nella teoria di Stiernhielm “morte”, “materia”; “chiusura” e “segretezza”; è
un suono “oscuro”, “sordo”40 (vv. 21, 66 sg., 309 sg., 492, 516, 518).
Da questo “Alphabetum radicale” si compongono poi le “radici”: “purae” (AV, AD, ecc.), o
“affectae” (VA, DA, ecc.) che a loro volta possono avere un valore “positivo” o “negativo”
(«privativum»), perché entrambe queste idee sono contenute nel suono originario A. Un buon
esempio di radice “affecta” è, nell’Hercules, la radice DA positivum, che indica “attività positiva”,
e si ritrova ad esempio nel nome della Virtù, Dygden (vv. 404-407, 451, 468). A questa si oppone la
radice DA privativum, che indica invece “attività negativa”, “deperimento”, “consunzione” e
“assopimento”, e si ritrova nel nome della Morte, Döden (vv. 71, 404-407, 451, 517 sg., 520).
Compaiono ancora, nel poema, le radici LA privativum («omittere, jacere demissus, relictus»; v.
404) e VA privativum (“avvizzimento”, “deperimento”; v. 515).
Radici “purae” sono invece AV (“radix Amoris”; v. 418) e AL (“Perfectio, Integritas, Potentia”; v.
289).
Ma le radici “purae” più importanti, e ricorrenti molto spesso nell’Hercules, sono probabilmente
AD e AR. La prima di queste rappresenta, per Stiernhielm, l’idea di “nobiltà”, “nobiltà d’animo” e
“virtù”, e si ritrova, nell’Hercules, nelle parole Adel (“Nobiltà”; vv. 472 sg., 485, ecc.); adelig
(“nobile”; v. 464); ädel (“nobile”; vv. 52, 131, 283); ätt (“stirpe”, “genus”; ripresa dalla Barlaams
Saga; vv. 131, 283, 464); ädli («natura, indoles, virtus»; sempre dalla Barlaams Saga; v. 422).
Questi termini sono, inoltre, quasi sempre riferiti a Ercole, «nobile di stirpe; all’onore nato ed
eletto» («ädel af ätt; till ähra född och erkoren»; v. 109). In questo verso, ädel “nobile” e ätt
“stirpe”, come si vede, sono legate per mezzo dell’allitterazione a ähra “onore”. Questa parola
viene ricondotta da Stiernhielm alla radice AR, simbolo dell’“Essere”, dell’“Origine” (cfr. anche
arla “di buon’ora, presto”, al v. 1) e del “lavoro” che nobilita (cfr. arbete “lavoro”, ai vv. 414, 420):
«A notione Esse, Essentia fluunt etiamo notiones Nobilitatis, Dignitatis […] Honoris […] ut ab
“är” “ära”»41. Così le nozioni di Nobiltà, Dignità e Onore derivano da quella di Essere: è lecito a
questo punto supporre un legame tra le radici AD e AR, a rappresentare l’“origine” divina
dell’Uomo (Ercole), la sua nobiltà e la possibilità, mediante “lavoro e opera assidui” (v. 417), di
tornare alla sua origine.
Nel considerare tutto questo, non dobbiamo dimenticare che l’atteggiamento di Stiernhielm nei
confronti del linguaggio è, e rimane, in armonia col suo tempo, quello di un “mistico”, e non quello
di uno “scienziato”. Stiernhielm cerca, attraverso uno studio filologico dei testi antichi, una risposta
35
S.: «”q” est “k” crassius» (N24).
36
KN, d’altronde, esprime «vim et necessitatem», mentre KR «asperitatem» (cfr. v. 69); vicino a questi è forse anche
KL (v. 311 sgg.).
37
Il valore di S non è sempre molto chiaro: a volte sembra appartenere a questa categoria, altre volte a quella dei suoni
“soffiati”.
38
Cfr. v. 63, nota.
39
Cfr. Ståhle, 1951, p. 91, e qui p. 13 sgg.
40
Su questo suono, o sulla radice MA, S. si dilunga particolarmente nelle sue annotazioni su Ms.
41
S., 1652 (cit. da Ståhle, 1975, p. 267 sg.).
63
al problema che riguarda l’origine del segno linguistico. Se prescindiamo dal fatto che Stiernhielm
considera il linguaggio di matrice divina, possiamo azzardare che il suono è uno stato proprio
dell’Essere, intendendo per “Essere” ciò che è manifesto. Anzi, il linguaggio visto sotto questa
prospettiva diventa la condizione che porta l’animo umano a svelare l’Essere con il suo mistero42.
Possiamo affermare ciò in quanto il linguaggio evoca le cose che si manifestano, e di conseguenza
ci parla dell’Essere, poiché l’Essere è Ciò che È. Con questo non si vuole dire che il linguaggio
ordinario sveli l’Essere, ovviamente; è la parola dell’anima, della Coscienza profonda, e in special
modo la parola del Poeta a svelarlo. Infatti la poesia evoca uno stato di coscienza che è quello
ordinario.
Credo che Stiernhielm, scegliendo e usando determinati suoni, parole, aveva l’intenzione di
produrre nel lettore dell’Hercules uno stato tale di coscienza che lo portasse a una interazione col
testo più evocativa, che di semplice interpretazione: in poche parole, che lo predisponesse a
“sentire” lo stato di “esilio” dell’Uomo dalla sua Origine divina, tanto da indurlo a capire il vero
significato, al di là dell’allegoria, della figura di Ercole al bivio43.
L’Hercules è, come già lo stesso titolo dà a intendere, un poema sull’Uomo. Si può dire infatti che
Ercole incarni e rappresenti simbolicamente l’Uomo.
Nell’Hercules sembra che Stiernhielm abbia volutoesporre la sua dottrine dell’Uomo, che doveva
costituire la “summa” della sua opera filosofica, mai completata. È la stessa concezione del
Neoplatonismo rinascimentale, che vede nell’Uomo l’unico essere della creazione che abbia libera
scelta tra la parte mortale, transitoria, terrena della sua natura (la via di donna Voluttà,
nell’Hercules), e la parte divina, immortale, luminosa di essa (la via di donna Virtù)44.
Questa nuova fede nell’Uomo, nella sua possibilità di elevarsi a cose divine, di vincere il suo
aspetto terreno mediante le sue azioni, in netto contrasto con l’idea luterana ortodossa45, si ritrova
anche in Stiernhielm.
Così per Stiernhielm l’Uomo rappresenta l’ultimo anello della creazione, la creatura nella quale
Dio ha voluto realizzare quasi un “compendio” della Sua Opera, l’essere che rispecchia in sé
l’intero universo (Macrocosmo) in forma ridotta (Microcosmo), e quindi anche i tre principi
universali, “Mens”, “Lux” e “Materia”, come Spirito (Ande), Anima (Siäl) e Corpo (Kropp)46.
L’Anima rappresenta, quindi, il “ponte” tra lo Spirito e il Corpo, così come “Lux” è la congiunzione
tra “Mens” e “Materia”47, e l’Uomo, similmente, tra il mondo “spirituale” e quello “materiale”.
È così che questi tre concetti, Uomo, Anima e Luce sono strettamente legati nella filosofia di
Stiernhielm, e nell’Hercules48. L’Uomo partecipa, attraverso l’Anima, della luce divina, ma anche
dello Spirito divino, sotto forma di “ratio”, di Intelletto, emanazione di “Mens”49. Per mezzo
dell’Intelletto egli è in condizione di svolgere, meglio delle altre creature, il suo compito nella
creazione, di scegliere la via del bene, quella via «che Dio illumina e guida» (v. 382 sgg.), e
camminare verso la Luce.

42
V. lo stretto legame che intercorre sempre tra filosofia e linguistica in S.
43
Ovunque nell’opera di S., e non solo nell’Hercules, c’è questa ricerca del Principio, o piuttosto del modo in cui
l’Uomo può mettersi in comunione con Esso, poiché tale Principio È e pervade ogni cosa.
44
Questa concezione, espressa già da pensatori quali N. Cusano, M. Ficino e Pico della Mirandola (ad es. nel De
hominis dignitate di quest’ultimo), si diffonde in Svezia solo verso la fine del XVI secolo, e trova in Bureus e S. terreno
fertile (cfr. A. Friberg, p. 126 sgg.)
45
L’immagine dell’uomo peccatore, che è quello che è per “concessione” divina, e può solo non peggiorare la
situazione.
46
Cfr. qui p. 14. Per il Luteranesimo, così come per il Cattolicesimo, l’Uomo non è costituito da tre principi, ma solo da
due: Anima (o Spirito) e Corpo. Cfr. A. Friberg, p. 127 sgg.; S. Lindroth, Paracelsismen, cit., pp. 15 sgg., 481; J.
Nordström, Inledning, cit., pp. CCXXXIII, CCXXXV, CCCLXI; cfr. anche il v. 422.
47
Cfr. A. Friberg, p. 127.
48
Il collegamento tra Anima e Luce è presente già in Platone e neoplatonici (cfr. A. Friberg, pp. 128, 136 ; cfr. anche i
vv. 373-376).
49
Cfr. A. Friberg, p. 136 sgg.; cfr. v. 372 sgg.
64
La filosofia alla quale donna Virtù vuole “iniziare” Ercole è, secondo A. Friberg, quella ermetica e
neoplatonica, al cui studio Stiernhielm si era dedicato già prima del 165050. Ma gli stessi pensieri
sono sicuramente già espressi in un bellissimo sonetto del 1644: Emblema Authoris: en
Silkesmatk51:

Si nutre qui di foglie deformi; restituendo seta;


Muore nella tela: AFFINCHÉ NE ESCA PIÙ BELLO.
Fèrmati mio Intelletto, rifletti lentamente,
Cosa può essere questo! Vedi qui una Figura,
Un misero corpo nudo, un Verme, una Creatura,
Che non ha alcuna forma; in cui nulla si può trovare,
Che all’occhio piaccia vedere. Ma osserva; qui dentro v’è,
Più di quello che uno possa pensare: un’utile, nobile, pura,
Una singolare, meravigliosa, da Dio creata, Natura!
Un Verme, il cui Cibo sono Foglie, il cui lavoro è con ingegno filare:
Il cui Filato è Fil di Seta; la cui opera e tessuto è Seta.
Delle Foglie fa egli un Tesoro; finché vuoto e magro,
Avvolto muore nella sua tela, e la vita termina,
Ma guarda! Una nuova Figura di Ali adorna, col tempo,
Esce nuovamente, ravvivata, bella e graziosa:
Un Sole vivo, la, sua Anima con forza, un giorno, resuscita.

(Pascitur hic folijs deformis; serica reddens;


Immoritur telae: UT PULCHRIOR EXILIAT.
Hålt stilla mitt Förnuft, tig sachtelig besinna,
Hwad thetta wara må! Du sir här en Figur,
En usel naken kropp, en Matk, ett Creatur,
Som ingen skapnad har; ther intet är till finna,
Som ögat lyster see. Men märck; här ligger inna,
Meer än en tänckia kan: en nyttig, ädel, pur,
En sälsam, underlig af Gud beredd Natur!
En Matk, thess Spijs är Blad, thess ijd är artigt spinna:
Thess Spona Silkes-tråd; thess wärck och wäf är Sijden.
Af Blad gör han en Skatt; til thess han toom och mager,
Inwicklat in-dör i sin wäf, och lijfwet stäcker.
Men sij! En ny Figur med Wingar prydd, med tijden,
här kommer fram igen, upqwickter, fin och fager:
En lijflig Sool, hans Siäl med kraft, en gång, upwäcker.)

Anche nella più più piccola delle creature, il baco da seta, vi è per Stiernhielm qualcosa di grande,
di nobile e di meraviglioso52. Così come il baco da seta, per mezzo del suo lavoro assiduo, vince sul
lato mortale, terreno e transitorio della propria natura, e dalla luce del sole viene risvegliato a nuova
vita, come farfalla; in modo simile l’Uomo, attraverso una vita dedicata agli studi, alla virtù e
all’amore, può liberare la propria anima dalle catene della materia, vincere la transitorietà e la
morte, e salire, illuminata, sulla lunga via che conduce a Dio53: «raggiunta la quale; noi a noi stessi
saremo restituiti, e di Dio, simili agli Dèi, godremo» (“Quā adepta; nos nobis reddemur, Deoque,
Dijs similes, solide fruemur”)54.

50
Cfr. A. Friberg, p. 224 sgg.
51
“Emblema dell’Autore: un Baco da Seta”, stampato nella prefazione all’Archimedes Reformatus, nel 1644. Testo da
A. Friberg, p. 47.
52
Cfr. A. Friberg, p. 47.
53
La “Via Regia” degli ermetici, o la via della Virtù. Cfr. S., Filosofiska fragment, cit., II, p. 50. Ivi, p. 171: «Lo scopo
della mia filosofia è “Conosci te stesso” e la via [che conduce] a Dio attraverso la Natura» (Scopus meae Philosophiae
est ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ et aditus ad Deum per Naturam). Cfr. anche Friberg, pp. 227, 231; S. Lindroth, Paracelsismen,
cit., pp. 481, 484; cfr. anche i vv. 373 sgg.
54
S., Filosofiska fragment, cit., II, p. 50.
65
«L’anima dell’Uomo, che dalla luce divina una volta era stata sprofondata nel buio, ha percorso la
lunga via del ritorno alla sua dimora celeste»55. «L’anima», come Stiernhielm scriverà nel 1667:

…con la Mente tocca Dio, e infusa nel Mondo torna come l’onda
Sempre desiderosa di ricongiungersi a Dio56.

(Mente Deum tangit, Mundoque infusa refundit,


Se semper cupiens assimilare Deo.)

55
A. Friberg, p. 232.
56
Cit. da: J. Nordström, Inledning, cit., p. CCLXIII).
66
Appendice
La fortuna dell’Hercules

Già prima di essere stampato, l’Hercules era stato notato e ammirato dalla critica contemporanea. Il
poema diventa anche, presto, oggetto di imitazione1. Dopo la prima pubblicazione del 1658, infatti,
numerose nascono le imitazioi, sia come tematica sia come lingua, anche se in nessuna di queste si
nota il tentativo di creare una vera e propria corrispondenza alla favola allegorico-didascalica di
Stiernhielm. La maggior parte di queste si trovano nei componimenti nuziali e funerari del tempo;
nei primi, parti del discorso di donna Voluttà, nel secondi entrambe le descrizioni della brevità e
transitorietà della vita. Anche nei poeti in cui più si avverte l’eredità di Stiernhielm l’Hercules
mantiene una posizione di primo piano come modello letterario, a livello linguistico e metrico
(esametro)2.
Ma intorno al 1670 la critica, pur lodando l’Hercules (così come la restante poesia di Stiernhielm)
come componimento, si rivolge tuttavia contro l’uso, in questa, dell’esametro3. Ma anche se gli
ideali stilistici cambiano, la lingua di Stiernhielm continua a essere ammirata e imitata4, e nel 1688-
89 esce una ristampa di Musae Suethizantes, in cui compare una poesia encomiastica di un poeta, O.
Wexonius, nella quale Stiernhielm viene chiamato il “Padre della Poesia Svedese” (den Suenske
Poesi-Fadren).
Neanche all’inizio del 1700 ci si dimentica dell’Hercules, che viene pubblicato, in svedese, nella
raccolta di poesie di un poeta tedesco, Barthold Feind, nel 1708. Il poema continua a trovare
imitatori5, a essere letto e considerato il primo importante componimento poetico in lingua svedese,
anche se il gusto letterario è ormai decisamente cambiato, soprattutto per quanto riguarda la lingua e
lo stile, come si trova espresso in un giudizio di H.C. Nordenflycht (1718-1763), nel 1755, dove si
dice che Stiernhielm avrebbe superato Milton e raggiunto Tasso «se la lingua del suo tempo avesse
guadagnato la sua eleganza».
Nella seconda metà del ‘700 l’interesse per l’Hercules non è molto grande: non compare infatti
alcuna nuova edizione del poema dopo il 1727; ma anche se le critiche del gusto “classico” francese
sono forti, la fama del poema come opera “pionieristica” in lingua svedese continua.
Alla fine del secolo la posizione della critica comincia tuttavia a mutare: l’Hercules è un
capolavoro, anche nella forma. Th. Thorild (1759-1808) pone Stiernhielm accanto a Ossian,
Shakespeare e Klopstock.
Il Romanticismo, nella ricerca di una tradizione letteraria nazionale, rivaluta Stiernhielm come
poeta “originale”. Nella sua opera Svenska Siare och Skalder (Poeti e Profeti svedesi, II, 1843),
P.D. Atterbom dedica un grande capitolo al poeta, nel quale, tra l’altro, afferma: «Tuttavia cominciò
da lui, come in Germania da Opitz, la poesia nazionale come arte; e in questo senso viene salutato
a ragione come il padre della poesia svedese»6. Atterbom apprezza la vivacità del poema, ma non
la composizione e l’uso insufficiente dell’allegoria: ci sono, secondo lui, parti in cui la poesia cede
il passo all’insegnamento.
Dopo il Romanticismo la fama dell’Hercules è andata piuttosto crescendo.
Con critici quali B. Swartling e Hj. Lindroth è iniziata la moderna ricerca sull’Hercules (1909 risp.
1913). J. Nordström ha cercato di vedere l’Hercules sullo sfondo delle speculazioni filosofiche di
Stiernhielm; il suo progetto di dare all’Hercules una interpretazione in senso culturale-filosofico
non si è però concretizzato. Resta comunque la sua “notevole” edizione dei frammenti filosofici di
Stiernhielm, con la sua “pionieristica” Inledning (Introduzione, 1924). La sua idea è stata ripresa e
portata avanti da A. Friberg (1945) e, in parte, da S. Lindroth (1943, 1946-7, 1957). Per Friberg,
1
In un componimento “nuziale” di A.A.A. Forssman del 1657. Cfr. Olsson, p. 9 sgg.
2
Ad es. U. Hiärne (1641-1724) e S. Columbus (1642-1679).
3
L. Lucidor (1638-1574), e poi P. Lagerlöf.
4
Ad es. da H. Spegel (1645-1714), e dai suoi contemporanei.
5
Come J. Runius (1679-1713), J. Frese (1690-1763) in: Tidens seder (“I costumi del tempo”).
6
Cit. da Samlade skrifter, III, 2, p. 41.
67
nell’Hercules Stiernhielm ha voluto comunicare, in forma simbolica, la sua dottrina “ermetica”
sulla “nobiltà” dell’Uomo. Così, se esteriormente il poema ha la forma di un trattato sulla nobiltà
come classe sociale, come i numerosi altri trattati dell’epoca7, è però un altro, e ben più profondo, il
“messaggio” contenuto nell’Hercules.
Contro questa interpretazione si sono però rivolti diversi altri critici, soprattutto S. Lindroth, che
nella sua recensione all’opera di Friberg8, afferma come le idee di base contenute nel poema
debbano essere ricondotte agli antichi autori greci e latini, alla concezione classica della virtù e
dell’onore, così come si trova in Omero e Cicerone, Sallustio e Seneca9. Non c’è bisogno, secondo
lo studioso, di introdurre elementi ermetici o neoplatonici nell’interpretazione. D’altra parte l’autore
ammette (d’accordo con Friberg) che Stiernhielm possa aver ripreso «sia pathos che pensieri
dall’idealismo neoplatonico fiorentino», e che già nel 1644 si interessasse alla filosofia ermetica10.
Vicini alla posizione di S. Lindroth sono anche S. Delblanc (1961) e B. Olsson (1976, Kommentar),
secondo i quali il luogo per le riflessioni filosofiche di Stiernhielm non è da trovare nell’Hercules,
ma nelle dotte disquisizioni latine11.
Una posizione intermedia potrebbe essere quella che vede nell’Hercules l’espressione sintetica di
uno studioso, Stiernhielm, ad un tempo “filosofo”, “pensatore”, “linguista”, “poeta” e
“sperimentatore”, un uomo rinascimentale a tutto tondo insomma, che ha cercato di esprimere il
proprio pensiero in un tutto coerente.

7
Cfr. A. Friberg, pp. 162-209 e cfr. anche qui il primo capitolo.
8
In: “Lychnos”, 1946-47, pp. 354-361.
9
Ivi, p. 360.
10
Op.cit., p. 359.
11
Cfr. Kommentar till Hercules, op.cit., p. 34.
68
Bibliografia

Opere di G. Stiernhielm:

Samlade skrifter av Georg Stiernhielm; “Svenska författare utg. av Svenska Vitterhetssamfundet”,


VIII; första delen, Poetiska skrifter, utg. av J. Nordström och B. Olsson, Lund, 1976; andra
delen, Filosofiska fragment, med inledning och kommentar av J. Nordström, Stockholm,
Bonniers, 1924;
Företalet till Gambla Swea- och Götha-måles fatebur; in: Valda stycken av svenska författare
1526-1732, utg. av E. Noreen, Stockholm, Almqvist och Wiksell, 1943; pp. 109-112;
Hercules; Facsimiledition med efterskrift av S. Lindroth och ordförklaringar av C.I. Ståhle; I ed.,
Uppsala, Almqvist och Wiksell, 1957; III ed., Uppsala, 1967.

Altre opere consultate:

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Blume, H., Sprachtheorie und Sprachlegitimation im 17. Jahrhundert in Schweden und in
Kontinentaleuropa; in: Arkiv för Nordisk Filologi, 98, 1978; pp. 205-218;
Columbus, S., Mål-roo eller Roo-Mål; in: Hansellis Vitterhetsarbeten af svenska författare, II,
Uppsala, 1856; pp. 249-261;
Dahlgren, St., Ellenius, A., Gustafsson, L., Kultur och samhälle i stormaktstidens Sverige,
Stockholm, Wahlström och Widstrand, 1967;
Delblanc, S., Hercules magnanimus, ett bidrag till tolkningen av Stiernhielms Hercules, in:
Samlaren, 1961, pp. 5-72:
Ek, S., Hercules och Företalet till Gambla Swea- och Götha-måles fatebur; in: Studier tillägnade G.
Cederschiöld, 1914; pp. 327-334;
Fehrman, C., Diktaren och Döden, Stockholm, Bonniers, 1952;
Friberg, A., Den svenske Hercules, studier i Stiernhielms diktning, Stockholm, Wahlström och
Widstrand, 1945;
Friese, W., Nordische Barockdichtung, München, A. Francke Verlag, 1968;
Gabrieli, M., Il giardino di Hermes, ed. Janua, 1986;
Johannesson, K., I polstjärnans tecken, studier i svensk barock, Uppsala, Lychnos Bibliotek, 1968;
Lindroth, Hj., J. Bureus, den svenska grammatikens fader, Lund, 191-12; Stiernhielms Hercules, en
diktmonografi, Lund, C.W.K. Gleerups Förlag, 1913;
Lindroth, S., Paracelsismen i Sverige till 1600-talets mitt, Uppsala, Lychnos Bibliotek, 1943;
Recensione a: A. Friberg, Den svenske Hercules; in: “Lychnos”, 1946-47, pp. 354-361;
Stiernhielms studier i Uppsala; in: “Lychnos”, 1954-55, pp. 291-295; Fru Lusta och Fru Dygd,
“Studier och Porträtt”, Sockholm, 1957; Efterskrift till Hercules, Facsimiledition, Uppsala,
Almqvist och Wiksell, 1957; Svensk lärdomshistoria, “Stormaktstiden”, Stockholm, Norstedt,
1975;
Nordström, J., De olika Hercules-versionerna, in: “Samlaren”, 1916; pp. 162-203; Inledning och
kommentar till de filosofiska fragmenten; in: Samlade skrifter av Georg Stiernhielm, Svenska
författare utg. av Svenska Vitterhetssamfundet, VIII, Stockholm, 1924; De yverbornes ö,
Stockholm, Bonniers, 1934;
Olsson, B., Den svenska skaldekonstens fader, Skrifter utg. av Vetenskapssocieteten i Lund, Lund,
1974;
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69
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