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Lorenzo Lozzi Gallo — Lineamenti di inglese antico

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Lorenzo Lozzi Gallo

Lineamenti di inglese antico

Cos'è l'inglese antico

L'inglese antico è la lingua parlata dalle popolazioni anglosassoni tra il V secolo (quando
arrivarono in Inghilterra dal nord della Germania e dallo Jutland) fino all'XI (quando la conquista
normanna portò in Inghilterra un fortissimo influsso francese).
L'inglese antico è una lingua germanica occidentale appartenente ad un ramo differente da
quello tedesco, molto più vicina al frisone. Oggi il frisone è parlato solo in alcune aree periferiche
dei Paesi Bassi, ma che un tempo era diffuso lungo un'area costiera molto più ampia che arrivava
fino in Danimarca; ha lasciato molte tracce nei dialetti del tedesco della regione nordoccidentale
della Germania che tuttora è chiamata Frisia orientale (da qui il suo 'strano' dialetto).
Originariamente era affine all'inglese anche il sassone, la lingua parlata dai sassoni che non
erano partiti insieme agli Angli per colonizzare l'Inghilterra. Tuttavia, a causa dell'influsso costante
del tedesco dopo la sottomissione e la conversione forzata da parte di Carlo Magno, il sassone non è
riuscito a diventare una lingua, ma ha subito l'influsso del tedesco fino a diventarne solo un gruppo
dialettale. Se dunque alcuni studiosi preferiscono raggruppare il sassone con l'anglo-frisio in un
gruppo chiamato “Germanico del mare del nord” (o anche “ingevone”, seguendo un nome di popolo
citato da Tacito nella Germania), questa classificazione, legittima nel periodo altomedievale,
diventa rapidamente insostenibile alla fine del Medio Evo, quando i sassoni sono ormai diventati
'tedeschi del nord', attratti dal modello culturale tedesco centro-meridionale.
Tradizionalmente, l'inglese antico era diviso in almeno quattro dialetti: Northumbro,
Mercico, Sassone occidentale e Kentico. I primi due sarebbero stati parlati dagli Angli della
Northumbria e della Mercia, il terzo dai Sassoni del Wessex, l'ultimo dagli Juti del Kent. Degli altri
tre regni dei sette in cui storicamente si divideva l'Inghilterra (Eptarchia) non sappiamo molto:
l'East Anglia fu travolta dall'invasione vichinga, mentre i piccoli regni sassoni di Essex e Sussex
forse non ebbero mai una fioritura culturale di qualche rilievo (anch'essi, comunque, subirono
invasioni e devastazioni). East Anglia, Essex, e parte della Mercia furono integrati nella Danelaw,
l'area sottoposta ai danesi (cioè ai vichinghi occidentali), una popolazione che si convertì
definitamente al cristianesimo ‒ entrando così nell'orbita culturale dell'Europa occidentale ‒ solo
nel tardo X secolo. Le tracce dell'influsso scandinavo in inglese sono fortissime non solo nel lessico
(sky e take sono prestiti dal nordico, a sostituire le forme ags. heofon e niman), ma anche nella
fonetica (in parole come get, give; altrimenti sarebbero **yet, yive) ma anche nella morfologia (il
pronome they al posto dell'ags. hie, oppure are per il plurale del verbo “essere” invece di sind).
Lo standard linguistico si fonda sull'inglese del Alfredo il Grande, cioè una forma di sassone
occidentale fortemente influenzata dai dialetti anglici, che avevano una tradizione culturale più
prestigiosa, e forse dal kentico, che era importante perché la capitale del Kent era la sede del
primate della chiesa inglese (che è tuttora l'arcivescovo di Canterbury). Le maggiori attestazioni in
inglese antico sono tuttavia posteriori di almeno un secolo e presentano una forma linguistica già
molto diversa: ormai lo standard linguistico è dato dall'Inghilterra meridionale, una situazione che si
manterrà fino ad oggi, con lo sviluppo impetuoso e continuo di Londra e della sua area
metropolitana.
Fino alla conquista normanna, l'influsso latino risaliva ad antichi prestiti romani: street <
strata via “via lastricata” e cheese da caseum “cacio, formaggio” e poi tutto il lessico ecclesiastico
(in gran parte a sua volta di origine greca): priest “prete” mass “messa” angel “angelo” ecc. Con i
normanni arrivò l'influsso romanzo francese, che avrebbe rinnovato il lessico dell'inglese al punto
che c'è addirittura chi considera l'inglese moderno una lingua 'mista' romano-germanica.
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Cenni grammaticali

a) Fonologia

1. vocalismo
Uno dei tratti più antichi dell'inglese antico è una drastica rivisitazione delle vocali. Innanzi
tutto, la vocale [ă] e la nuova vocale [ā] del germanico occidentale (quest'ultima esito dell'apertura
di [ē] germanica) in sillaba tonica si chiudono fino a venire rappresentate con [æ]: per esempio g.c.
*daɣaz > g. occ. *daɣ > ags. dæg.
Questo fenomeno non avviene quando nella sillaba successiva c'è una vocale posteriore (u,
o, a): al singolare dæg (< g.occ. * daɣ) corrisponde il plurale dagas: la a della desinenza ha bloccato
l'evoluzione di a > æ. E non avviene quando la vocale è nasale: in quei casi, l'anglosassone oscilla
nella rappresentazione di [ã] tra <a> e <o> (dunque parole comuni come land, man, possono essere
scritte anche lond, mon in alcuni dialetti) la [ā] nasalizzata, esito di un gruppo germanico comune
[ănx], si trova in inglese sempre scritta <o> (g.c. *fanxhan > g. c. *faxan > ags. fon “prendere”);
così anche le [ā] nasalizzate, esito di [ă + nasale + fricativa], tipiche del gruppo anglo-frisio (g.occ.
*găns > ags. [gās >] gōs “oca”). Inoltre, di fronte ad una nasale le vocali e/o si presentano come i/u.
(per es. l'inglese antico aveva un verbo Vf4 niman, p.p. genumen “prendere” corrispondente al ted.
nehmen, genommen).
I dittonghi germanici con primo elemento [ă], [aj] e [aw], si modificano drasticamente: [aj]
> [ā], che resiste alla palatalizzazione (g.c. * stainaz > g. occ. *stain > ags. stān “pietra”), mentre
[aw] > [æɒ]/[æɑ] , scritto [ea] (g.c. *kaup- > g. occ. *kaup- > ags. ceap- “comprare”). L'altro
dittongo [eu] si trasforma in [eɔ] scritto [eo]: g.occ. *leusan > ags. leosan “perdere” (loose).
Nel solo sassone occidentale, poi, le vocali palatali, di fronte ad alcuni suoni molto
posteriori ([x], [r] e [l] seguite da consonante) sviluppano una vocale di transizione (i > ie, e > eo, æ
> ea), per cui di fronte ad una vocale del germanico ne abbiamo due: il fenomeno è stato perciò
chiamato “frattura”; un esempio di frattura è g.c. *erþ-ō > ags. eorþ “terra” (mod. earth) o g.c.
*all-az > ags. (æll >) eall “tutto” (mod. all).
Le maggiori differenze nel sistema vocalico, tuttavia, sono dovute ad un'influsso fortissimo
della metafonia palatale, che trasforma le vocali e i dittonghi in cui si imbatte: g.c. *satjan > g. occ.
*sattjan > ags. settan “porre”; g.c. *kuningaz > g. occ. *kuning > ags. cyning “re”). In particolare,
con la metafonia si creano nuovi fonemi, [ø] e [y], che tendono a delabializzarsi e passare ad [e] e
[i]: il fenomeno avviene per [ø] addirittura prima di Alfredo (ags. antico søcan > ags. secan >
inglese medio seken “cercare”) , mentre per [y] si conclude con la fine del periodo inglese antico
(per cui ags. cyning > inglese medio king). Anche i dittonghi ea eo si inflettono per metafonia
palatale: l'esito di entrambi in inglese antico è scritto <ie>, che poi seguirà gli esiti di ī.
Qualcosa di simile alla metafonia velare avviene in modo asistematico; una vocale i, e >
io/eo, eo se segue una u (o) nella sillaba successiva: per esempio, il g. occ. *seβun > ags. seofon
(mod. seven), g.occ. *heβun > ags. heofon (mod. heaven).
Le vocali in sillaba atona tendono ad essere articolate in modo sempre meno chiaro. Innanzi
tutto, l'inglese antico sembra conoscere solo vocali brevi in sillaba atona. Se all'inizio del periodo
inglese antico abbiamo già qualche confusione tra e ed a, u e o, a e o (e una totale assimilazione di i
atona in e), per la fine del periodo inglese antico è probabile che ormai le vocali in sillaba atona
fossero perlopiù cadute o confuse in un'unica vocale [ə] (scritta <e>).

2. consonantismo

L'inglese eredita dal germanico una situazione dove le consonanti fricative sonore ɣ e β sono
ancora fricative in posizione debole (per questo al g. occ. *seβun corrisponde l'inglese seven)
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mentre la [ð] del g.c. *faðēr passa a [d] nel g.occ. *fadar > ags. fæder).
L'innovazione più evidente nell'inglese antico è forse la palatalizzazione delle consonanti
velari in contiguità di un suono palatale, un fenomeno simile a quello italiano (per cui il latino
centum – pronunciato [kentum] – diventa l'italiano cento) in base al quale nell'ags. cild “bambino”
la pronuncia passa da [kɪld] a [tʃɪld]. A differenza dell'italiano, un simile fenomeno avviene anche
quando il suono palatale precede la velare: nell'ags. rīc “ricco” la pronuncia passa da [rɪk] a [rɪtʃ], e
sempre nel gruppo consonantico [sk] > [ʃ] (g.c. *skīr-az > ags. *scīr > sheer).
Inoltre la palatalizzazione di [k] si ferma a [tʃ], mentre quella di [g] (che poi quasi sempre
era [ɣ], dunque articolata con minor forza) dev'essere passata assai presto da [dʒ] a [j]. La
pronuncia 'storica' di <g> palatale in inglese antico è [j]: l'ags. dæg si pronuncia già [dæj] e poi [dɛj]
(già alla fine del periodo anglosassone può essere scritto anche dei). Questo indebolimento non si
verifica per la consonante intensa: la [g] di g.occ. *leggjan > ags. licgan (dove <cg> è la grafia
normale di [ddʒ]).
Tra le nuove consonanti esito di palatalizzazione e le vocali palatali successive si inseriscono
vocali di transizione, chiamate 'glide': per cui g.occ. *geldan > *gieldan pronunciato [jiɛldan]
“pagare, offrire” (yeld), che ovviamente viene dalla stessa radice di gold “oro”; il preterito singolare
dello stesso verbo è geald (< * gæld < g.occ. * gald, dunque con [æ] > [ea]).
Si noti che il fenomeno della palatalizzazione delle consonanti velari germaniche si è
concluso in una fase linguistica più antica delle metafonie: per cui le velari in cyning “re” e nel
plurale gēs di gōs “oca” sono rimaste dure.

b) Morfologia

1. Nomi

La flessione nominale dell'inglese antico si semplifica ancora di più: la flessione forte in ă


per i maschili e neutri attira tutte le altre per analogia ; nella fase antica, solo la flessione femminile
in ō e quella in nasale offrono qualche resistenza, mentre le flessioni in jă, wă e i, u conservano
magari nella metafonia della vocale radicale un residuo di desinenza (si pensi all'ags. mus, pl. mys
da cui mod. mouse, pl. mice).
Tuttavia, almeno l'inglese alfrediano distingue chiaramente diverse flessioni, soprattutto al
singolare (al plurale l'analogia agisce prima).

flessione Maschili in -ă- Neutri in -ă- Femminili in -ō-


forte
singolare plurale singolare plurale singolare plurale

Nominativo stān stān-as scip scip-u gief-u gief-a


Genitivo stān-es stān-a scip-es scip-a gief-e gief-a
Dativo stān-e stān-um scip-e scip-um gief-e gief-um
Accusativo stān stān-a scip scip-u gief-e gief-a

Quando la sillaba radicale è lunga, la desinenza -u del nom.acc. neutro plurale del nom.
femminile singolare cadono (per il resto, þing “causa legale; cosa”, che per il resto si declina come
scip e glōf “guanto” che per il resto segue giefu).
Si noti che dalla generalizzazione del modello flessionale dei maschili del tipo stān derivano
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sia il 'Genitivo sassone' sia il plurale in -(e)s dell'inglese moderno.

La flessione debole (in nasale) si conserva abbastanza bene per maschile e femminile, molto
meno per il neutro, di cui rimangono pochissimi esempi: da notare che comunque l'analogia ha già
prodotto un'unica flessione al plurale.

flessione Maschili in -ăn- Neutri in -ăn- Femminili in -ōn-


debole
singolare plurale singolare plurale singolare plurale

Nominativo gum-a gum-an ear-e ear-an sunn-e sunn-an


Genitivo gum-an gum-en-a ear-an ear-en-a sunn-an sunn-en-a
Dativo gum-an gumum ear-an ear-um sunn-an sunn-um
Accusativo gum-an gum-an ear-e ear-an sunn-an sunn-an

Di questa flessione in inglese moderno rimane un raro esempio nel plurale irregolare del tipo
oxen. Originariamente a questa flessione facevano riferimento parole come name, moon, eye, ecc.
che sono passati inesorabilmente al modello più 'facile'.

2. Aggettivi

Gli aggettivi hanno ancora la doppia flessione germanica. I modelli della flessione forte
sono ormai diventati uno solo, con gli aggettivi in jă/jō, wă/wō, i, u ormai attratti nel modello
flessionale di quelli in ă/ō (tranne alcuni resti come i nominativi maschili grene, cwicu di
declinazioni in -i e -u). Alcune desinenze sono diverse da quelle dei sostantivi corrispondenti, ma si
ritrovano anche nella flessione dei pronomi (leof-ne mon “un caro uomo” come þis-ne mon
“quest'uomo”).
Ecco la flessione forte di leof:

flessione Maschili Neutri Femminili


forte
singolare plurale singolare plurale singolare plurale

Nominativo leof- leof-e leof- leof- leof- leof-a


Genitivo leof-es leof-ra leof-es leof-ra leof-re leof-ra
Dativo leof-um leof-um leof-um leof-um leof-re leof-um
Accusativo leof-ne leof-e leof- leof- leof-e leof-a

Anche negli aggettivi, come nei sostantivi, quando la sillaba radicale è breve, si mantiene la
desinenza -u al nominativo singolare femminile e al nominativo-accusativo plurale neutro.
La flessione debole è identica a quella dei corrispondenti sostantivi, ma a volte può prendere
alcune desinenze della forte (per esempio -ra del genitivo plurale): sono i primi sintomi della
confusione tra le due flessioni che nel medio inglese diventa la regola e che prelude alla scomparsa
della flessione aggettivale nell'inglese moderno.
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3. Verbi

La flessione del verbo si è molto semplificata a causa della graduale confusione delle vocale
desinenziali. Il plurale dei verbi ha un'unica forma per le tre persone (we/ge/hie syndon
“noi/voi/loro sono”). Le desinenze sono quelle tematiche, anche se le flessioni deboli mantengono
in parte le vocali del suffisso: sing-e, singes(t) “canto, -i” vs. ask-ie, aksas(t) “domando, -i”. Le
uniche particolarità sono nella seconda persona singolare del preterito (dove i verbi forti hanno la
stessa identica forma per l'indicativo e il congiuntivo) e nel plurale di tutti verbi, in cui la desinenza
della terza persona plurale ha assorbito le altre due.

3.1. Flessione forte


Il sistema verbale dell'inglese antico mantiene il sistema delle sette classi dei verbi forti (sei
derivate dal germanico comune più la settima derivata dai verbi a raddoppiamento). Il vocalismo
radicale in questi verbi ha subito tutte le modifiche che possiamo immaginare dal capitolo sulla
fonetica (compreso un certo numero di verbi che formavano il presente con il suffisso -j-, che
causava non solo metafonia della vocale, ma anche raddoppiamento della consonate), diventando
molto diverso da quello germanico:

I classe presente preterito sing. preterito pl. participio pret.

indoeuropeo ĕ+j ŏ+j ĭ ĭ

germanico comune ī ă+i ĭ ĭ

inglese antico ī ā i i

Esempio: bīdan, bād, bidon, ge-biden

II classe presente preterito sing. preterito pl. participio pret.

indoeuropeo ĕ+w ŏ+w ŭ ŭ

germanico comune ĕu (ĭu) ă+u ŭ ŭ

inglese antico eo ea u o

Esempio: dreogan, dreag, drugon, ge-drogen (la vocale del p.p. diventa o in germanico
nordoccidentale per metafonia da a).

III classe presente preterito sing. preterito pl. participio pret.

indoeuropeo ĕ + l/m/n/r + C ŏ + l/m/n/r + C l ̣/m ̣/n ̣/r + C l ̣/m ̣/n ̣/r + C

germanico comune ĕ + l/r + C ă + l/m/n/r + C ŭ + l/m/n/r + C ŭ + l/m/n/r + C


ĭ + m/n + C
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inglese antico eo + l/r + C (æ>) ea +l/r + C ul, um, un, ur + C o + l/r + C
i + m/n o+m/n u + m/n + C

Quello che succede in questa flessione è che, mentre l/r provocano frattura, davanti a nasale o>u.
Esempi: weorþan, wearþ, wurdon, ge-worden vs. findan, fond, fundon, ge-funden.

IV classe presente preterito sing. preterito pl. participio pret.

indoeuropeo ĕ + l/m/n/r ŏ + l/m/n/r ē + l/m/n/r l ̣/m ̣/n ̣/r ̣

germanico comune ĕ + l/r/m/n ă + l/m/n/r ē + l/m/n/r ŭ + l/m/n/r

inglese antico e + l/r æ +l/r (ā >) ǣ + l/r o + l/r


i + m/n o + m/n ā + m/n u + m/n

Esempi: beran, bær, bǣron, ge-boren vs. cuman (< cwiman), c(w)om, cwāmon, ge-c(w)umen.

V classe presente preterito sing. preterito pl. participio pret.

indoeuropeo ĕ+C ŏ+C ē+C ĕ+C̣

germanico comune ĕ+C ă+C ē+C ĕ+C

inglese antico e+C æ+C (ā >) ǣ + C e+C

Esempi: wesan, wæs, wǣron, ge-wesen (il p.p. subisce analogia dal presente: avrebbe dovuto essere
geweren, per alternanza grammaticale), vs. sittan (< g. occ. * settjan < g.c. *set-jan-an), sæt, sǣton,
ge-seten.

VI classe presente preterito sing. preterito pl. participio pret.

indoeuropeo ŏ+C ō+C ō+C ŏ+C

germanico comune ă+C ō+C ō+C ă+C

inglese antico ă+C ō+C ō+C ă+C

Esempi: faran, for, foron, ge-faren (questa ă in genere non si palatalizza).

VII classe presente preterito sing. preterito pl. participio pret.

inglese antico V+C ē+C ē+C V+C


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Il presente può avere vocali differenti (il participio passato prende la stessa vocale del presente), il
preterito può avere la vocale ē o eo (per esempio, nei casi in cui la vocale è sottoposta a frattura).
̅
Esempi: lætan, ̅ nvs. healdan, heold, heoldon, gehealden.
lē t, lē ton, ge -læte

3.2. Flessione debole


La flessione dei verbi deboli si semplifica in inglese antico: la seconda classe tende ad
assimilarsi alla prima, la terza a scomparire, la quarta si è ormai assimilata completamente.

classe infinito presente preterito participio pret.


I -ja-n - e-d- -e-d
II -ō-ja-n -o-d- -o-d
III -a-n -a-d- -a-d

Nella prima classe, la -j- nella desinenza dell'infinito cade dopo aver prodotto il
raddoppiamento della radice: settan (< g.occ. * sattjan < g.c. *satjan “porre”); ciò non avviene
quando la vocale è lunga, cf. dēman (< g.occ. * dōm-jan “giudicare”). La -e- scompare nel preterito
e participio passato quando la radice verbale finisce in dentale, e le due dentali si assimilano: il
preterito di settan è sette, (cf. odierno set set). La -e- cade anche nei verbi a sillaba lunga: dēmde.
Nella seconda, la o all'infinito cade, assorbita dal suffisso -ja- che è dovuto all'analogia della
prima classe: ascian (mod. ask), nella flessione può essere scritta anche a: ascode/ascade.
I pochissimi verbi della terza (secgan “dire”, haban/hæbban “avere”) hanno flessioni molto
irregolari (sægde, hæfde da cui mod. said, had).
Vediamo dunque, un verbo forte (singan) un debole di prima (fremman) e un debole di
seconda (ascian < * askōjan < g.occ. *askōn):

inf. singan Ind. presente Cong. Pres. Ind. preterito Cong. Pret.
1 ic singe ic singe ic song ic sunge
2 þu singes(t) þu singe þu sunge þu sunge
3 he singeð he singe he song he sunge
1.2.3 we/ge/hie singað we/ge/hie singen we/ge/hie sungon we/ge/hie sungen

inf. fremman Ind. presente Cong. Pres. Ind. preterito Cong. Pret.
1 ic fremme ic fremme ic fremede ic fremede
2 þu fremes(t) þu fremme þu fremedes(t) þu fremede
3 he fremeð he fremme he fremede he fremede
1.2.3 we/ge/hie fremmað we/ge/hie fremmen we/ge/hie fremedon we/ge/hie fremedon

inf. askian Ind. presente Cong. Pres. Ind. preterito Cong. Pret.
1 ic askie ic askie ic askade ic askade
2 þu askas(t) þu askie þu askades(t) þu askade
3 he askað he askie he askade he askade
1.2.3 we/ge/hie askiað we/ge/hie askien we/ge/hie askadon we/ge/hie askadon
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3.3. Verbi perfetto-presenti e altre irregolarità


L'inglese antico ha alcuni verbi preterito-presenti (o perfetto-presenti) molto importanti
come sculan/sceolan, cunnan (1. sg. pres. sceal, can da cui mod. shall, can); il preterito è formato
con i verbi deboli: cunde, sceolde (da cui should e, per analogia, could invece di *cound).
E' per questo motivo che can non fa la terza persona singolare **cans: si comporta, appunto,
come un preterito (I can, he can come I was, he was). Tuttavia, il plurale si è assimilato al singolare,
come avviene per tutti i verbi (tranne was/were): we/ge/hie cunnon diventa così we/ye/they can.
I verbi atematici in inglese antico sono passati tutti ad altre flessioni: gān/gangan alla VII,
stān/standan alla VI, dōn alla debole, sia pure irregolare (si noti che ancora adesso l'inglese ha
verbi molto irregolari: go, stay/stand e do, e così il tedesco gehn, stehn, tun). Solo l'antichissimo
presente indoeuropeo del verbo essere dalla radice *es- mantiene ancora forme ormai fossili come
ic eom/eam, þu eart, he is da cui I am, thou art/arst, he is.

c) Sintassi
L'inglese antico crea un articolo a partire dall'aggettivo pronominale: se, seo, þæt (tutto il
paradigma si forma con il tema þ-, da cui l'inglese moderno the, ma anche that: in inglese antico
questo aggettivo poteva aveva precedere la particella invariabile þe per formare il pronome
relativo). Questo 'articoloide' può essere tradotto con l'aggettivo o con l'articolo. L'articolo
indeterminativo non esiste ancora: si formerà distinguendo l'antico numerale ān “uno” in un articolo
a(n) e un numerale one (la differenza di esiti probabilmente è dovuta all'accentuazione).
L'inglese antico ha già formato un passivo analitico e tempi passati composti con gli ausiliari
“essere” e “avere” come in inglese moderno, oltre alla grammaticalizzazione di perifrasi con
“volere” e “dovere” o con il part. presente che poi diventeranno I will go, I shall go, I am going.
Tra i fatti di sintassi dell'inglese antico c'è la cosiddetta 'verb-second': laddove la frase non
cominci con il soggetto, il verbo mantiene la seconda posizione e il soggetto si pospone (cf. neither
do I), una regola tuttora seguita in tedesco. Anche l'inversione soggetto-verbo nelle interrogative
ricorre comunemente (ed è la regola anche nelle altre lingue germaniche nordoccidentali).
La negazione in inglese antico avviene con il semplice avverbio ne “non” preposto, a volte
con l'aggiunto di wiht, originariamente “(alcuna) cosa” e poi “niente, niente affatto” e anche
avverbiale “per niente affatto” (da cui ich ne wille wiht “non voglio alcuna cosa/niente” > “non
voglio per niente”). Il composto newith passerà all'inglese medio not (conservata nel tipo I will not,
come il tedesco Ich will nicht). La perifrasi con [do + not + infinito], infine, appartiene ad uno
strato ancora più recente della lingua, come in genere l'uso di to per indicare l'infinito: la struttura I
wanto to go è una conseguenza della caduta della desinenza dell'infinito.
L'inglese antico, infine, aveva una sintassi poco sviluppata, tipica di una lingua parlata. Il
sistema delle congiuzioni subordinanti si forma lentamente, su influsso del latino: per cui un
pronome neutro come þæt “ciò” diventa una congiunzione con il valore di “(ciò) che”, oppure
avverbi come þa/þonne “allora”, forþam “perciò”, þær “là” diventano congiunzioni subordinanti,
assumendo il significato di “(allor)quando”, “per(ciò)ché”, “laddove, se”.

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