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Scuola Normale Superiore

IL PROBLEMA DEL « NON FINITO » IN LEONARDO, MICHELANGELO E RODIN


Author(s): Josef Gantner
Source: Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Lettere, Storia e Filosofia, Serie II,
Vol. 23, No. 1/2 (1954), pp. 47-61
Published by: Scuola Normale Superiore
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/24299915
Accessed: 07-06-2017 11:08 UTC

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IL PROBLEMA DEL « NON FINITO »

IN LEONARDO, MICHELANGELO E RODIN


di Josef Gantner

INTRODUZIONE

Grandissimi fiumi corrono sottoterr


(Leonardo)

Il soggetto di questa conferenza, alla quale la direzione di questo Semi


nario mi ha gentilmente invitato, indicandomi il compito di parlare anche
delle questioni metodologiche, è tanto vasto e ricco di problemi poco trattati,
che sento la necessità di fissare in primo luogo il mio punto di partenza.
Ciascuno di noi è stato educato e vive in un certo circolo ristretto di uo
mini, di maestri e di problemi. È naturale che questi uomini, questi mae
ed i loro problemi influiscano, anzi determinino la nostra maniera di t
tare le cose della scienza.
Ora, io sono stato educato per così dire, nella cerchia della scuola stori
di Basilea, senza essere cittadino di questa venerabile città. Il primo biogra
di Jacopo Burckhardt e scolaro fedelissimo di lui, Otto Marlcwart di origi
tedesca^ è stato, al liceo di Zurigo, il mio maestro nel campo della storia
nerale, e dalla sua bocca e quindi con una intonazione ed interpretazione
strettamente burckhardtiana ho udito parlare per la prima volta dei grand
nomi dell'arte italiana.
Più tardi ho avuto l'incomparabile vantaggio di essere prima l'allievo
dopo il collega e finalmente l'amico di Enrico Wólfflin, il quale è stato p
quasi 30 anni il mio maestro decisivo. Con tanti altri storici della preceden
e della mia generazione io devo a lui la vera sostanza della mia formazion
scientifica.
Intanto, la vita continua e varca i limiti delle persone. Sollecitato dai pro
blemi artistici del nostro secolo, io mi sono avvisto che sarebbe stato neces
sario allargare questa prima base, volgendomi a comprendere l'arte moderna
del nostro tempo e quella del medio evo, sulla quale il moderno cominciava
a gettare lumi nuovi ed alimentati da una estetica sconosciuta finora.
Così, a poco a poco, i problemi trattati magistralmente dal Burckhardt e
dal Wólfflin, hanno preso per me un altro colore ed un altro senso. E la re
lazione che vi presento oggi, non è altro che un modesto frammento tagliato
da un complesso più vasto e scelto sotto il richiamo del « non finito ».

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48 J. Gantner: Il problemi, del « non finito » ecc.

Il non finito compreso come elemento delle prefigurazioni.

Nel carteggio Bnrckhardt-Wólfflin, pubblicato da me nel 1948


le tracce di una discussione, che rileva la grande differenza tra i met
maestri. Il Wolfflin, trovandosi in Italia nell'estate 1896, aveva descritto al
suo predecessore sulla cattedra di Basilea, forse per la prima volta, la sua
nuova maniera di esaminare nelle opere d'arte sopratutto le forme della
visibilità. Il Burckhardt invece, impegnato in quel momento nella redazione
del suo ultimo libro, i Beitràge zur Kunstgeschichte voti Italien, spaventato
dalle opinioni inaspettate del giovane amico, gli rispondeva il 29 agosto 96:
« Io non so, se gli uomini del Cinquecento avevano gli occhi differenti da
quelli del Quattrocento. Ma c'era un altro sole nel cielo che produceva altri
colori ed altre ombre ». E ricorda la grande trasformazione degli stati di al
lora, le nuove forme della vita umana, della prosa dei poeti ecc.
È vero —■ pochissimi sono i passi dei libri e delle lettere, nei quali il Burck
hardt cede alla seduzione di considerare la forma pura, il concetto puro, che
sono centro del sistema estetico del Wolfflin e, per noi, punto di partenza
indispensabile se si vuol comprendere il non finito. Nelle Welgeschichtliche
Betrachtungen il Burckhardt parla della « volontà ideale » espressa nelle forme
architettoniche, nelle quali, dice, l'arte si rivela più chiara che altrove. E nella
sua condanna di Rembrandt — tanto appassionata che si può credere ad una
ammirazione segreta — espressa sopratutto nella celebre conferenza del 1877,
disapprova con parole veementissime il fatto, che nelle opere del Rembrandt
il contenuto non ha più una « significazione autonoma ». Questi quadri, dice
con disprezzo, non dovrebbero avere un titolo, una denominazione; baste
rebbe designarli come « quadro A » ο « quadro Β », tanto è già ridotto il con
tenuto e tanto è dominante la luce. Avrebbe potuto parlare di questa luce,
che distrugge la forma degli oggetti come di una « astratta materia » —· espres
sione adoperata più tardi dal Croce nella sua critica degli schemi di Wolfflin !
Questi schemi di Wolfflin —■ secondo l'espressione un poco unilaterale e
non molto benevola di Lionello Venturi — questo suo sistema di analisi este
tica dell'arte rinascimentale e barocca, formulato provvisoriamente nel li
bro L'arte classica del 1899 e poi con tutti i segni di un sistema nei Concetti
fondamentali del 1915, ha trovato una diffusione così larga e, soprattutto
in Italia, una critica così severa, che certamente tutti gli studiosi di storia
dell'arte ne conoscono almeno le definizioni centrali. Nel solo anno 1952,
7 anni dopo la morte dell'autore, sono usciti una traduzione francese dei
Concetti ed una inglese dell'Arie classica, ed in Italia l'editore Sansoni annuncia
una ristampa della traduzione dell'Arie classica uscita nel 1941 a cura di
Rodolfo Paoli.
Ho parlato ampiamente di questo sistema del mio maestro, della
molto severa di Benedetto Croce, dell'influsso sulla storia dell'arte in
cia ecc. in un libro mio ed in una conferenza tenuta tre anni fa a Firenze
nello « Studio italiano di storia dell'arte » e pubblicata poi nel numero XX
della Critica d'Arte. Lascio questa discussione interessantissima e mi soffe
sul probema di questa relazione.
Il Wolfflin non ha mai parlato del non finito. Suppongo che non si
rebbe opposto all'opinione del Croce, il quale, nei Quaderni della Critica n
(p. 102), respingeva energicamente la mia proposta di fare una differenza
opere finite e non finite, dicendo: «Non è vero, che (il non finito) esista

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J. Gantner: Il problema del e non finito » ecc. 49

le opere a cui si allude, incantano la fantasia e recano un estetico godimen


sono anch'esse finite e perfette». La posizione è chiara: per il Wòlfflin co
per il Croce, la constatazione del fatto estetico dev'essere indipendente d
stato di perfezione dell'opera, e nessuno di noi, penso, qui si opporrà. M
esaminando il non finito, non vogliamo riconoscere soltanto il fatto estet
ma il fatto storico collegato inscindibilmente con quello estetico.
Per questa indagine il Wòlfflin ha aperto la strada con i suoi Concet
fondamentali. Quello che lui chiamava « Vorstellungsformen » — forme
marie dell'immagine intuita — non è altro che la prima tappa di un proc
che si svolge nell'anima e nella bottega dell'artista prima della realizzazi
materiale, e nel quale, logicamente, ha il suo posto anche il non finito.
prima tappa, e poiché questa, come tale, è separata dallo stato definitivo
l'opera per un lungo intervallo, del quale il Wòlfflin non parlava mai, le
forme del concetto puro potevano apparire ai critici italiani ed altri com
costruzioni troppo distanti dall'opera, quindi astratte, nelle quali, come d
il Croce nei Nuovi Saggi, « va perduto il nesso dialettico di contenuto e forma
e si finisce coll'avere sempre nelle mani, invece dell'arte, questa ο quella p
della sua astratta materia ».
Tuttavia, se vogliamo caratterizzare bene il sistema estetito di Wòlf
bisogna sottolineare qui la grande importanza che ha dato al disegno. I
sto punto si distacca di nuovo dal Croce. Nella sua opera, un articolo U
das Zeichnen, pubblicato nel 1910 nel « Berliner Tageblatt », sta all'ini
una serie di progetti per libri ο « Bilderhefte », nei quali voleva illustrar
portanza del disegno per la formazione dell'opera d'arte. Nessuno d
ha mai visto la luce, ma noi vediamo chiaramente il senso di questa inda
sua : cercava di riconoscere, mediante i disegni, quelle forme primarie, intu
che sono il centro del suo sistema. Era tanto convinto della giustezza d
sto pensiero che nei primi appunti per il suo libro centrale dei Concetti
mentali si proponeva di concentrare tutto su dei disegni, il che sfortu
mente non ha fatto. Con tale corredo il suo sistema avrebbe un aspetto m
più organico.
Bisogna dunque — ed ecco la prima delle tesi che vi presento -—■ salvare
questo concetto un po' rigido del Wòlfflin dal suo splendido isolamento, met
terlo in rapporto con altre forme, nascenti prima della realizzazione definitiva
e costituire in questo modo il vero processo svoltosi elfettivamente ο soltanto
immaginato, della creazione dell'opera.
Vedremo più tardi che, praticando questa estensione del sistema wolffli
niano, saremo in grado di fare meglio comprendere e di giustificare una delle
sue rigidezze apparenti, messa giustamente in luce da André Chastel: la
classificazione indistinta di Grunewald e di Raffaello nella stessa visione clas
sica del Cinquecento (Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance. XV.
1953, 152).
Ho proposto — in alcuni scritti dal 1949 in poi e sopratutto in un capitolo
speciale del mio ultimo libro su « Rodin e Michelangelo » del 1953 — di desi
gnare col nome di prefigurazioni tutte queste forme sorte e create nell'anima
dell'artista, primitivamente e coll'intenzione di essere trasformate più tardi,
ο per meglio dire, di essere perfezionate nell'opera definitiva. Gli schemi del
Wòlfflin ne sarebbero il primo gruppo, ancora generale e, se si vuole, astratto;
poi seguono le linee strutturali che il Focillon, fortemente suggestionato e
influenzato dal Wòlfflin, ha cercato e visto nelle forme degli scultori roma

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50 J. Gantner: Il problema del «non finito » ecc.

nici, i quali, dice, « dans le dedale des thèmes géométriques et des com
sons abstraites, voyaient jouer le monde des images ». Poi seguono, in
zona più personale ed individuale del lavoro, gli schizzi, i disegni, gli ab
modelli ed altre forme preparatorie e tante volte abbandonate, compr
notizie ο visioni scritte, le quali nell'opera di Lionardo, per esempio, h
una portata uguale a quella dei disegni. *
Lo storico dell'arte, che considera ed esamina questo mag
plesso delle prefigurazioni, non dovrà mai trascurare tre fatt
1) che questo intervallo delle prefigurazioni ci appare mo
stretto nel medio evo, specialmente nell'arte romanica, che pi
una prova l'inesistenza ο almeno la scarsa importanza di disegn
questa arte.
2) che più tardi, dal Quattrocento in poi, tanti disegni, schizzi ed ab
bozzi diventano autonomi, non sono più concepiti per essere perfezionati,
completati ο integrati in una opera definitiva. Escono quindi dalla zona del
non finito ! E se, certo, non si potrebbe indicare il momento, in cui un disegno
per esempio di Pisanello, si presenta come creazione autonoma, almeno la
frase del Condivi, che caratterizza nel 1553 la Madonna Medici, rimasta non
finita, dicendo che « lo sbozzo non impedisce la perfezione e la bellezza del
l'opera », significa per la metà del Cinquecento e per il più grande artista di
quel tempo, Michelangelo, una convinzione ormai stabilita.
3) che queste forme prefigurate hanno sempre la tendenza di farsi
indipendenti nel senso stilistico, di diventare, pur rimanendo nel loro stato,
forme figurali cioè definitive e, come disse Condivi, perfette. Ecco una delle
ragioni, certo non l'unica della gloria di Rodin.
Ma, prima bisogna parlare di Leonardo.

Il non finito compreso come espressione centrale


ED ORGANICA DI LlONARDO.

Per tutti gli storici che hanno veramente studiato il genio di Lionardo,
palese che lui occupa il posto dominante nelle ricerche del non finito. In
discorso sull'artista, stampato a Basilea l'anno scorso, ed in un capitolo de
libro suddetto su Rodin e Michelangelo, ho dato la più grande importanza
fatto, che per Lionardo la prefigurazione in tutte le forme possibili è la su
espressione organica e naturale. La prefigurazione, o, se si vuole, il non f
nito, è la materia, colla quale Lionardo lavora. E queste forme non fini
non sono « lambeaux », « ombres des oeuvres futures », « fantòmes qui p
cedent », come le ha designate il Valéry (in uno di quei rari passi dei suoi
scritti su Lionardo, nei quali parla di Lionardo e non di Valéry), e come r
petono quasi tutti i libri innumerevoli sull'artista. La forma schizzata, l'a
bozzo, la visione, vuol dire l'opera non finita — ecco il lavoro normale di
Lionardo. L'opera finita, terminata, voi tutti lo sapete, è l'eccezione, e
rebbe facile il provare che dei pochi quadri in apparenza finiti, almeno un
parte non lo è ο non per mano del maestro stesso.
Occorreva, per riconoscere questo fatto, una generazione come la nostr
vivente in mezzo ad artisti, che hanno tentato eroicamente di esprimersi i
forme molto lontane del finito nel vecchio senso, in forme piene di anali
psicologica, forme preparate, inaugurate da artisti come Rodin, i quali, benc

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J. Gantner : Il problema del ο. non finito)) ecc. 51

. si trovassero al di là della frontiera, hanno avuto nondimeno la visione del


futuro.
Fatto strano, e certo non accaduto per caso, è che questo risultato delle
ricerche vinciane coincida col momento in cui la pubblicazione degli scritti di
Lionardo è quasi completa, vale a dire che lo studioso oggi si trova di fronte
a un altro Lionardo, molto più vasto e completo di quello dei secoli passati.
Bisogna studiarlo di nuovo, con questi nuovi mezzi e quindi con nuovi cri
teri. Uno di quei criteri, e di una importanza innegabile, è la funzione cen
trale del non finito, delle prefigurazioni.
Per non ripetere cose già pubblicate e discusse altrove, cerco di rias
sumere in quattro punti la mia tesi.
1) La base di ogni nostra indagine deve essere l'atteggiamento personale
di Lionardo di fronte a tutti i compiti, siano presentati da altri ο siano conce
piti da lui stesso. Ho già accennato allo stato rimasto provvisorio di quasi
tutti i quadri suoi, al fatto, tanto doloroso per l'arte, che i suoi affreschi a
Milano, a Firenze, si guastarono sul muro. Dei tanti « libri » che voleva scri
vere, e per i quali ha radunato un materiale gigantesco di notizie, nessuno
è stato veramente terminato nel senso di un libro organico. Per penetrare
nel carattere intimo di questo scrittore ed artista, bisogna leggere i testi ben
conosciuti sul « mostro marino » ο gli abbozzi delle sue lettere, nei quali tante
volte comincia una frase lasciandola incompleta, poi la ricomincia due ο tre
volte senza trovare l'espressione definitiva, come se non potesse decidersi.
Ecco veramente un « cunctator » nel massimo senso della parola. Quello che gli
mancava — e tutti i biografi del Cinquecento fino al tardo Lomazzo lo ri
petono — era la volontà interna a recare a fine un lavoro, a ultimarlo, a creare
lo stato non più alterabile di un pensiero, di una espressione artistica ο poe
tica. Se pensiamo all'intervallo tra la concezione dell'opera ed il suo stato ma
terialmente finito, Lionardo si ferma quasi sempre per così dire nel mezzo della
strada, ad un punto, dove le ultime decisioni non sono ancora da prendere.
Ma come spiegare questo atteggiamento strano, eccezionale per un ar
tista, Quali possono essere stati i motivi di Lionardo, il quale, certo, tanto
bene come gli altri sapeva che un quadro religioso come l'Adorazione dei Magi
ο un affresco rappresentativo come la Battaglia di Anghiari non potevano
produrre il loro effetto senza una certa perfezione materiale ?
2) Mi pare che la letteratura lionardesca si sia curata troppo poco di
questo stato d'animo di Lionardo. Cercando di dare un contributo assai
modesto alla soluzione del problema, arrivo alla seconda delle mie tesi, la
quale, nello stesso tempo, potrà chiarire un punto molto discusso e general
mente mal inteso della dottrina di Wolfflin.
Se comprendiamo l'arte, con Croce e con tanti altri eminenti filosof
estetica, come un'oggettivazione del « tumulto sentimentale » sorto nell'a
dell'artista, è palese che Lionardo abbia raggiunto l'altissimo grado poss
di tale oggettività, più alto di ogni altro artista comparabile. Direi che
vive più vicino alla natura tanto amata. Questa vita nella intimità d
natura gli porta tre conseguenze importantissime:
a) che si occupa veramente dei problemi stessi della natura, vuol dire, c
diventa scienziato ed indagatore di essa natura — occupazione che st
ganicamente accanto al lavoro artistico.
b) che questa vita nell'intimità della natura limita l'importanza de
stili artistici. Pensiero forse un po' inusitato — ma basta ricordare i la

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di Lionardo tra il 1480 e il 1500, tra l'Epifania e il Cenacolo, per veder


questo artista, tra il suo trentesimo e cinquantesimo anno, si è liberato
paterna tradizione fiorentina, ha creato le prime forme veramente classiche
nello stesso tempo, col San Girolamo, non finito anche lui, con una part
disegni per il monumento equestre e con le descrizioni del Diluvio, ha r
zato le prime idee dello stile barocco.
c) Ma la cosa più strana e significativa è la sua conoscenza di quel
forme primarie dell'intuizione primitiva che Wòlfflin ha designato co
« Vorstellungsformen », senza accorgersi che negli scritti di Lionardo av
potuto trovarne alcune descrizioni. Si tratta, per esempio, del passo su
portanza delle macchie causate su un muro quando vi si getta una spug
piena di acqua. Questa macchia, dice Lionardo, contiene « varie invenzi
di ciò che l'uomo vuole cercare in quella, cioè teste d'uomini, diversi ani
battaglie, scogli, mari, nuvole e boschi ed altre simili cose; e fa come il s
delle campane, nelle quali si può intendere quelle dire quel che a te par
Molto caratteristica la frase finale : « Ma ancora ch'esse macchie ti dieno
invenzione, esse non t'insegnano finire nessun particolare ».
Se si considerano queste parole, nessun dubbio è più ammissibile,
Lionardo abbia descritto con esse, per così dire il materiale delle « Vo
lungsformen» del Wòlfflin. Come il compianto storico della letteratu
minio Janner, di origine ticinese, ha provato che alcune delle nozion
fliniane caratterizzanti l'arte classica si trovano già nella prosa contemp
italiana di Baldassar Castiglione, così le sue « Vorstellungsformen » app
adesso come una parte integrante ed essenziale del lavoro di Lionardo
Questi dunque — e bisogna sottolineare il fatto — ha la piena conos
e la piena maestria di tutte le prefigurazioni possibili, dalla macchia
astratta, senza contenuto, attraverso tutte le tappe di disegni, di abb
di descrizioni ecc. fino all'ultimo cartone, dal quale alcune volte, t
raramente, si è sollevato all'opera finita e perfetta.
Da questo punto si capisce meglio un bel passo che il Ludwig ha ins
nel Trattato della pittura n. 33. Lionardo parla qui delle scienze, le quali, pr
di passare « per le manuali operazioni », sono « mentali » — « come è la pit
la quale è prima nella mente del suo speculatore e non può pervenire a
perfezione senza la manuale operazione ». Lionardo dunque distingue
mente tra la speculazione mentale del pittore da una parte, e la manu
operazione, vuol dire, l'esecuzione pratica dall'altra parte. Continuando
questi pensieri descrive chiaramente i « scientifici e veri principi » della pit
tura, cioè di quella speculazione mentale, dicendo : « prima ponendo che cosa
è corpo ombroso, che cosa è ombra primitiva e ombra derivativa, e che cosa
è lume (cioè tenebre, luce, colore), corpo, figura, sito, remozione, propinquità,
moto e quiete, le quali solo colla mente si comprendono senza opera ma
nuale ». Questi principi, secondo Lionardo, sono « La scienza della pittura,
che resta nella mente de' suoi contemplanti, della quale nasce poi l'operazione,
assai più degna della predetta contemplazione ο scienzia ».
Peccato che questo passo importantissimo sia sfuggito agli occhi tanto
perspicaci del Wòlfflin. Avrebbe potuto basare su di esso la sua tesi delle
«Vorstellungsformen», le quali corrispondono quasi esattamente a questi
principi di Lionardo, a questa « speculazione mentale » del pittore. Che la
speculazione sia meno degna dell'esecuzione, come pretende Lionardo, non
può diminuire l'importanza del fatto, che egli conosce perfettamente questi

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J. Gantneb : Il problema del « non finito » ecc. 53

due strati del lavoro artistico, e che tante volte non volle uscire dal prim
strato, ossia non volle proseguire fino all'esecuzione definitiva.
3) Intanto, questa conoscenza e maestria di tutte le prefigurazioni no
si limita all'arte sola. Le prefigurazioni costituiscono, nelle mani di Lionard
uno strumento incomparabile perché sono un mezzo di espressione adattab
a tutte le indagini del maestro. Se si tratta di una notizia anatomica ο fisi
di un profilo geografico, di una invenzione di meccanica, ο di un « cenno p
un cenacolo » figurativo ο descrittivo — Lionardo si serve di questo mezzo pre
figurale con la stessa esattezza, precisione e fantasia. Vive in un mondo i
cantevole di trasfusione ininterrotta, nel quale — e senza alcun sentimen
tragico — la notizia artistica sta accanto al cenno fisico ο matematico
quando si riflette un poco su questo mondo veramente straordinario, si de
subito riconoscere, che in esso ogni perfezione materiale condurrebbe all
fine di un lungo filo di pensieri, di immagini della fantasia e, quindi, ad u
interruzione del lavoro praticamente interminabile. « Insumma, li suoi espe
menti matematici l'hanno distratto tanto dal dipingere, che non può patir
il pennello », racontava nel 1501 Pietro da Nuvolaria dopo una visita nell
bottega di Lionardo a Firenze. E si capisce la ragione. Ama la scienza esat
perché quella non può mai trovare fine e termine. E respinge il pennello
vuol dire l'opera artistica finita, tanto desiderata da Isabella d'Este, la co
mittente del Nuvolaria, perché nel terminarla il corso della fantasia trasm
tabile arriverebbe ad un punto finale, senza possibilità di continuare. La tr
sfusione sarebbe interrotta.
4) Abbiamo già accennato al fatto che le prefigurazioni vivono una
accanto all'altra, e che la trasfusione da un campo nell'altro si svolge senza
minimo sentimento tragico. Tutti quelli, che, dall'Uzielli nelle Ricerche
1884 fino al Gentile nella grande pubblicazione milanese del 1939, hanno v
luto constatare in Lionardo un dolore, un rammarico causato da una incon
gruenza apparente tra concetto e risultato, hanno sbagliato. Nessun docu
mento ci autorizza a quessa affermazione. Al contrario. Lionardo vive con
tentissimo e in una maniera assolutamente organica nelle prefigurazioni.
Ma questo atteggiamento determina e suppone un altro rapporto con la
realtà delle cose figurate ο immaginate, un rapporto meno attivo, meno evi
dente, più astratto e più fantastico di quello degli altri artisti. È palese — la
prefigurazione merita questo nome in quanto l'autore esita di dare all'opera
un ultimo stimolo verso la sua realtà completa. Vale a dire che l'autore deve
essere capace di elevarsi al disopra del suo lavoro per determinare libera
mente lo stato nel quale può e vuole lasciarlo alla posterità. Possiamo essere
convinti che Lionardo ha preso questa posizione. Due passi del Trattato della
pittura lo dicono chiaramente: « ... quello si drizza alla perfezione dell'arte,
del quale l'opera è superata dal giudizio ». Ed il secondo : « ...quando il giuditio
supera l'opera, questo è perfetto segno ». Con questa affermazione direi filo
sofica Lionardo riprende cambiandolo il celebre pianto di Petrarca tanto
amato e ripetuto da Michelangelo.

5.

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54 J. Gantner: II problema del «non finito» ecc.

L'amor del saper m'ha si acceso


Che l'opra è ritardata dal desio.
Nell'opera di Lionardo vedo due gruppi nei quali questo atteggiament
questo rapporto più libero, più indipendente con la realtà ha preso form
Il primo è la magnifica serie di disegni architettonici, documenti quant
mai rivelatori per la strana situazione di fronte all'architettura ! Ognuno
che Lionardo non ha costruito nessun edificio esistente, e che, quando ne
1487-90 partecipava al concorso per il « tiburio » di Milano, ha ritirato il s
progetto pochi giorni prima della riunione della giuria. Ma ha disegnato
profusione idee, tipi di ogni genere. Basta paragonare i suoi schizzi con que
di altri e veri architetti come Michelangelo per riconoscere, che questi disegni
malgrado tutte le descrizioni e calcolazioni che li accompagnano, vivono
una zona di realtà meno diretta, più generale, più astratta, come se l'autor
non avesse mai pensato ad una realizzazione di essi.
Il secondo gruppo si estende a tutta l'attività di Lionardo : sono gli sfondi
delle pitture coi loro paesaggi, ed i disegni che danno un pezzo della natu
con valli, montagne, nuvole, e spesse volte catastrofi, burrasche, uragan
Lionardo pare essere inesauribile nel trovare aspetti fantastici, e nel rappr
sentare un mondo più che poetico, irreale; immaginato, ideale sulla base
una osservazione esatta della natura, ma passando oltre in una sfera visio
naria, nella quale ogni realtà terrestre perde il suo peso ed il suo valore. L
detto lui stesso in una bella frase del Codice Arundel di Londra : « Perché vede
più certa la cosa l'occhio nei sogni che colla immaginazione stando desto ?
E siccome il pittore, secondo Lionardo, deve esser capace di elevarsi al
disopra del suo lavoro per determinare lo stato di perfezione ο di imperfe
zione, nel quale vuole lasciarlo alla posterità, così Lionardo stesso determin
i gradi differenti di realtà che vuol dare alle parti di una pittura. Nel mio d
scorso di Basilea, pensando alla Monna Lisa, alla Sant'Anna di Parigi ecc
ho parlato di questo processo, e l'ho designato un poco confusamente « Ve
wandlung der Vorstellungsformen », cioè mutazione delle forme intuite.
Vedo più chiaro oggi. Si tratta di una applicazione molto semplice di quest
facoltà di scegliere diversi gradi di realtà e di unirli in una stessa pittura
Ecco certamente una suprema espressione della pratica delle prefigura
zioni, tanto familiare a Lionardo.
Ma dobbiamo lasciarlo ed entrare in un mondo completamente diverso
— quello di Michelangelo.

Il non finito compreso come variazione della


FORMA AUTONOMA DI MICHELANGELO.

Quanto è diverso questo mondo dall'altro ! Penetrando nel cerchio gigan


tesco delle opere di Michelangelo, che si distendono su ben 60 anni, noi sen
tiamo subito che tutto è cambiato. Le questioni formulate davanti all'opera
di Lionardo perdono il loro valore e la loro sostanza. Sorge subito un pro
blema gravissimo che finora non è mai stato posto: quello della relazione
interna tra l'anima dell'artista ed il carattere dell'incarico voluto dal commit
tente. Se mai sarà scritta una comparazione dettagliata, psicologica tr

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J. Gantner : Il problema del « non finito » ecc. 55

due grandi artisti, questo problema, vero problema della vita intera, sar
certo al centro dell'indagine.
Tutti quelli che hanno caratterizzato l'arte e la personalità di Mic
langelo — dal Vasari ai giorni nostri — hanno visto e sottolineato la gran
importanza dell'opera non finita. E naturale, che le loro spiegazioni e va
tazioni siano state differenti, anzi inconciliabili — come p. e. la strana o
nione di Carlo Iusti opposta a quella del suo contemporaneo Henry Thod
ma, insomma, considerando il problema sotto il punto di vista che abbiam
adottato e svolto finora, si presentano le riflessioni seguenti, che ho pub
cate in parte nel mio ultimo libro :
1. A differenza di Lionardo i documenti e monumenti rimangono n
limiti dell'arte ο piuttosto delle arti: sono poesie, pitture, disegni di ogni
nere, architetture e sopratutto sculture. E subito vediamo che le sculture,
mancano quasi totalmente nell'opera di Lionardo, formano un materiale
valore straordinario, pieno di nuove possibilità, sopratutto se si conside
che in esse risiede la vera sostanza della fantasia michelangiolesca. Vedrem
più tardi che la grande importanza del non finito per lo sviluppo dell'ar
moderna si fonda su una serie di realizzazioni plastiche.
In ogni caso bisogna sottolineare che le possibilità di esprimersi c
forme non finite sono molto più ricche nella scultura che nella pittura. S
nella scultura, e si può dire, fin dai tempi di Michelangiolo, esiste uno st
non finito, anzi frammentario dell'opera come espressione autonoma, c
ché la scultura non finita può essere qualcosa di più che un frammento.
pittura non finita ο l'architettura non finita possono recare, come diss
Croce, un estetico godimento, ma sono frammenti nel vero senso della par
Hon parlo ancora del fatto che, almeno nelle pitture di Tiziano, forse già
quelle di Lionardo, comincia un muoversi della materia coloristica, che,
così dire, lascia incerto lo stato di finitezza. Ma sarebbe falso parlare qu
un non finito, perché questo movimento condurrà un giorno ad uno sti
per il quale il non finito sarà l'essenza stessa.
2. Seconda differenza tra Lionardo e Michelangelo: ο quest'ultimo, a
meno nella sua gioventù, aspira ardentemente alla realizzazione dell'oper
ma in un senso differente dai suoi colleghi. Vuole realizzare ad ogni prezz
vero, e nella Cappella Sistina, come si sa, oltrepassa grandemente la prim
ordinazione del Papa. Ma già nelle sculture dei due tondi della Madon
lavorate in Firenze e sotto l'influenza tacita di Lionardo, la perfezione m
teriale non è totale. Già in questo tempo avrebbe potuto definire, come l
fatto 50 anni più tardi il Condivi, che « lo sbozzo non impedisce la perfezi
e la bellezza dell'opera ». Considera dunque già in questi anni giovanili, a
meno nel campo della scultura, uno stato non finito come una delle pos
bilità legittime dell'artista.
Ma come spiegare quest'atteggiamento ? Nel mio libro citato su Rod
e Michelangelo ho dato tre spiegazioni, che cerco di riassumere qui brev
mente.
3. Per ciascuna opera è indispensabile esaminare esattamente tutto
quello che i documenti ci svelano sulla storia del lavoro. Il San Matteo, per
esempio, destinato per il duomo di Firenze, è rimasto non finito, perché M
chelangelo, nel 1505, dovette partire improvvisamente per Roma. E rimasto
non finito e ci appare adesso, come disse molto bene il filosofo basilese ed
amico di Wólfflin, Hans Heussler, « geisterhaft gleich dem Verniinftigwerden

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56 J. Gantner: Il problema del « non finito λ ecc.

des Stoffes » (misterioso a guisa della materia che tende alla razionalità).
Ma quale sarebbe stato l'ultima forma di questa statua ? Veramente ac
conciata e pulita come quella della Pietà di San Pietro a Roma ? Non sappia
mo. Il disegno per un secondo apostolo, conservato a Londra, resta enigma
tico, anche in questo punto.
4. Abbiamo già accennato al fatto che i due tondi, conservati a Firenze
e a Londra, riflettono chiaramente le due pitture alle quali Lionardo lavorav
in questi anni, la Monna Lisa e la Sant'Anna, tutte e due al Louvre. Ora,
sviluppando una bella osservazione fatta dal Wòlfflin sulla Gioconda, abbiamo
descritto quella strana e nuova varietà dei gradi di realtà (Verschiedenheit
der Realitàtsgrade), che è elemento essenziale nei due quadri di Lionardo,
sopratutto nella Sant'Anna. Vuol dire che la realtà delle forme nel primo
piano è più grande, più accentuata di tutto quello che si trova nel piano medio
ο nello sfondo. Il Wòlfflin parla del paesaggio dietro la Gioconda come di un
sogno ! Avrebbe potuto ricordare la bella interrogazione di Lionardo citata
sopra: «Perché vede più certa la cosa l'occhio nei sogni che colla immagi
nazione stando desto ?» E nella tavola di Sant'Anna il motivo centrale di
una figura adulta seduta sul ginocchio di un'altra figura di vecchia d
é per così dire raffinato dalla differenza tra i gradi di realtà delle due pe
Bisogna esaminare i tondi di Michelangelo, se in essi non si tratta
stesso modo vinciano di differenziare la realtà mediante i gradi inegu
finito. E senza dubbio si potrebbe constatare nella composizione dei
lievi una intenzione analoga a quella espressa nelle pitture di Lionard
Ma, si tratta di rilievi nei tondi di Michelangelo, ed il rilievo, seco
bella espressione del Ghiberti, è il disegno della scultura. Vive in un
di evidente affinità dei mezzi artistici con la pittura. Come spiegare
elementi non finiti nel gruppo veramente grandioso delle statue fatt
la Capella Sistina per la tomba di Giulio II e per il mausoleo medic
polavori di Michelangelo quarantenne e cinquantenne ? E vero, che i
specialmente negli schiavi di Giardino Boboli, si trovano analogie coi
bella finitezza dei torsi delle figure, un diminuire del finito, anzi un ond
tra finito e non finito delle mani, dei piedi, dei visi e delle teste. C
rebbe falso di dire, che queste variazioni, per esempio, nella statua del
alla tomba medicea, sono il risultato di un caso, e che, sotto altre condizioni
esterne, Michelangelo avrebbe completamente finito quest'opera, evitando
lo sbozzato. Non ha fatto dichiarare al fedele Condivi che « lo sbozzo non
impedisce la bellezza e la perfezione dell'opera » ? Dunque, le forme
zate, nella mente del maestro, hanno avuto un certo senso, che sarebbe
perdendosi, se avesse finito l'opera.
Naturalmente possiamo spiegare lo stato compatto, quasi amorfo
mani e dei piedi degli schiavi Boboli come un simbolo della schiavitù
lega la figura ed impedisce e toglie ogni libertà. Ma sappiamo tutti,
questa spiegazione tante volte ripetuta, il problema non è esaurito
nel centro dell'anima creatrice di Michelangelo sta una potenza super
enigmatica : il suo sentimento tragico.
5. Tutti i biografi di Michelangelo ne parlano. Tutti, dal Vasari ai
nostri, citano i versi del maestro, nei quali parla della profonda disa
tra il suo concetto artistico e la possibilità di realizzarlo. Ricordano c
chelangelo si riferisce a quei celebri passi dei Trionfi di Petrarca, nei
espresso un sentimento analogo. Le immagini, che l'artista porta nell'

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J. Gantner : Il problema del « non finito » ecc. 57

nel cuore, sono tanto alte e sublimi, che mai non potrà riuscire a figura
coi mezzi che sono a portata sua. Non vorrei qui riassumere tutte le opini
che sono state pubblicate dagli storici italiani e tedeschi, sopratutto nel
prima metà di questo secolo. Si dovrebbero discutere le componenti cristi
e platoniche del problema, le quali, tutte e due, esistono nella mente di
chelangelo.
Vorrei piuttosto esprimere un ammonimento : di non identificare la forma
non finita con questa disarmonia, cosa che tanti biografi hanno fatto, basan
dosi inoltre su di una definizione non troppo felice del Vasari. In verità, il
sentimento tragico di Michelangelo è indipendente dallo stato di perfezione
che ha conferito alle opere sue. Il sentimento tragico è l'essenza stessa della
sua anima, che crede trovarsi, come dice lui stesso, in un « foco, ov'io mi
struggo e ardo », ove « prostrato a terra mi lamento e piango ». E questo
sentimento ci appare in tutte le creazioni del maestro, nelle poesie come nelle
pitture della Sistina, e sopratutto nelle sculture, che siano finite ο no.
L'esempio di Lionardo ci dice chiaramente, come risolvere questo grave
problema. Siccome nell'opera di Lionardo le prefigurazioni costituiscono un
vasto materiale di possibilità che si estende su tutti i distretti dell'arte e della
scienza, e nel quale nessun rammarico ha posto, così le forme non finite di
Michelangelo sono una serie di variazioni espresse con questo nuovo mate
riale, una serie di tappe, colle quali evidentemente l'artista lavora di più in
più. Sono espressioni di un sentimento tragico non perché non finite, ma
perché sorte dalla mente di quest'uomo, per il quale tutto, anche il finito,
è stato una tappa verso quel che chiamava « L'immagine del cuor », irrea
lizzabile con i mezzi terrestri.
Vedeva molto bene il Rod in, il quale, nelle conversazioni col segreta
Gsell, disse di Michelangelo: « Toutes les staues qu'il fit, sont d'une contra
si angoissée, qu'elles paraissent vouloir se rompre elles-mèmes. Toutes s
blent près de céder à la pression trop forte du désespoir qui les habite. Qu
Buonarroti fut devenu vieux, il lui arriva de les briser réellement. L'art ne
le contentait plus. Il voulait l'infini ».
È palese, che per un artista di questo « credo », il problema di finire ο
di non finire una opera, perde il suo valore. Con Lionardo e con Michelangelo
la storia dell'arte ha raggiunto questa piattaforma, sulla quale si è sviluppata
l'arte moderna. Da loro in poi, il non finito apparisce tra i mezzi legittimi
dell'arte. E molto più tardi, in un giorno del nostro tempo, verrà il momento
nel quale il non finito avrà il suo trionfo.

Il non finito compreso come essenza dello stile di Rodin.

Il vero triondo della forma non finita ci appare nelle oper


Rodin. Tante volte già nella letteratura il rapporto intimo tra
chelangelo è stato descritto, e più di una volta e soprattutto in
ho trovato un'accusa piuttosto amara pronunciata verso Rodin
sfruttato le forme di Michelangelo e rifatto con pura abilità artist
creati faticosamente dall'altro.
Nel mio libro ho cercato di dare una spiegazione un po' differente, dell
quale vorrei presentarvi i punti salienti.
1. Prima di tutto bisogna chiarire Vimportanza della forma non finita per

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58 J. Gantner: Il problema del e. non finito » ecc.

la storia dell'arte. Da Lionardo in poi essa rimane un elemento essenziale, che


cresce di secolo in secolo. Già la formazione dello stile barocco sarebbe im
possibile senza il contributo del non finito nelle opere di questi « pad
barocco », che sono stati appunto Lionardo e Michelangelo. Con Remb
poi l'arte raggiunge una tappa, la quale per la sua distruzione del finito
materia spaventava grandemente un Iacopo Burckhardt. E nell'ottoce
corrente dell'impressionismo, tanto amato e venerato dalla generazione nos
conduce per la prima volta ad una autonomia artistica del framment
torso, del non finito. Sarebbe un bellissimo compito, che non posso sv
qui, di descrivere questa evoluzione straordinaria, da Tiziano a Remb
da Rembrandt a Goya, da quest'ultimo a Manet ed ai suoi seguaci. In
processo l'arte per così dire si compènetra di più in più dello spirito d
finito, del provvisorio fino a preparare quel dissolvimento completo d
stanza, che è avvenuto nel novecento.
Nel corso di questo dissolvimento l'arte di Rodin segna un fenomeno
quasi unico, per il fatto che, ispirandosi con passione alle opere di Michelan
gelo, egli arriva finalmente a una scultura, che, servendosi di tutta la tradi
zione del non finito, cerca di integrare il non finito nel complesso dello stile
moderno. Parliamo brevemente di Rodin e del suo atteggiamento.
2. La sua passione per le sculture di Michelangelo è tanto conosciuta che
non mi pare essere necessario descriverla. Interessante però la confessione
fatta nel 1911 a Gsell, nella quale parla colla stessa commozione della scul
tura di Fidia e di quella di Miehelangiolo, come delle due grandi potenze della
sua vita e della sua opera. Tuttavia è memorabile e strana la differenza che
sottolinea. « Les thèmes favoris de Michel-Ange, la profondeur de l'àme hu
maine, la sainteté de l'effort et de la souffrance sont d'une austère grandeur
Mais je n'approuve pas son mépris de la vie ». Rodin vede nell'arte di Fidia
« la divine sérénité », nell'arte di Michelangelo « la farouche angoisse ».
In tanti casi crediamo vedere, come l'impressione di una forma plastica
di Michelangelo ammirata da Rodin, si trasformi reincarnandosi in una opera
di lui : L'uomo col naso rotto, ispirato dal ritratto di Michelangelo, busto attri
buito a Daniele da Volterra, al Louvre; la bella statua di un giovane, chia
mata L'età di bronzo ispirata dallo Schiavo morente di Michelangelo al Lou
vre; l'Adamo della parte superiore della Porta dell'Inferno derivato dall'Ada
mo cacciato dal Paradiso della volta Sistina; il Pensatore ispirato tanto dal
Lorenzo pensieroso quanto dal Geremia della Sistina, e così via.
Lentamente, nelle opere di Rodin, vediamo penetrare le forme del non
finito, e sarebbe facile anche qui richiamare l'ispirazione michelangiolesca.
Quante volte il Rodin ha studiato i marmi del mausoleo dei Medici, le statue
di Giardino Boboli ! Vedeva in queste opere, per così dire, il materiale di
una maniera nuova, che di più in più sarà repressione organica del suo genio.
Possiamo vedere davanti a noi lo svilupparsi di questo « corso della vita tra
sformata », come disse lui stesso.
3. Nel gruppo di Paolo e Francesca da Rimini il non finito serve di ma
teria oggettiva, rappresentando, secondo l'espressione di Dante, « l'aer ma
ligno », dal quale emerge la copia degli amanti. In altre opere, specialmente
in alcuni busti femminili, come quello della Signora Fenaille, il non finito ci
da la sensazione di una serie di movimenti della materia, i quali danno al
motivo centrale del viso un accento tanto più espressivo e forte, quando le
altre parti restano nell'amorfo.

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J. Gantner : Il problema del « non finito » ecc. 59

Ma il colmo di questa aspirazione artistica di Rodin mi pare essere ra


giunto nella statua del poeta Balzac, l'opera più bella e più caratterist
dello scultore. Conosciamo fortunatamente tutta la storia tragica di ques
commissione data nel 1885 al Rodin dalla « Societè des Gens de Lettres ».
La vediamo illustrata molto bene oggi nella Cappella del Museo R
Parigi, e anche all'incrocio dei Boulevard Raspali et Montparnasse,
nel 1939, 54 anni dopo l'ordinazione e 22 dopo la morte di Rodin,
eretto il monumento, con una iscrizione che onora ugualmente lo scri
lo scultore.
Come nel suo libro sulle Cattedrali francesi Rodin scrive « Toute la France
est dans les Cathédrales », possiamo affermare che tutto Rodin si trova in
questa statua, la quale, emergendo lentamente da una concezione naturali
stica, studiata su ritratti, dagherrotipi, anzi su modelli vivi che potessero
ricordare nel corpo e nel viso il poeta defunto e sconosciuto al Rodin, rinun
ciare sempre più ad ogni tratto di finitezza per arrivare finalmente ad un
non finito sublimato, divenuto stile lui stesso. Ecco il destino della materia
nelle figure di Rodin e soprattutto nel Balzac: perde le caratteristiche della
materia stessa, entra in una zona media, nella quale lo spirito scioglie gli ele
menti naturalistici, finché la testa sola ricorda ancora la persona terrestre del
poeta. Aveva forse ragione il Rilke, per lungo tempo segretario di Rodin e
autore di un libro su di lui, quando disse, che Rodin, lavorando in questo
modo, aveva conferito al Balzac una grandezza, che forse supera la sua vera
importanza. E si capisce bene un detto di Rodin, trascritto dalla fedele Giu
ditta Cladel : « Dal giorno in cui avevo concepito il Balzac, io stesso sono di
venuto un altro uomo ».
E vero, che in questa statua la storia del non finito arriva ad una tappa
decisiva : il non finito è salito al grado di uno stile, e così esce dallo stato o
ginario del non finito. Il Rodin era convinto dell'importanza di questo pass
Nel libro sulle Cattedrali formula una bella domanda retorica ai maestri del
l'arte greca e gorica,tanto venerati da lui, dicendo : « Non mi sono io avvic
nato un poco a voi, maestri, colla statua del Balzac ? Non è in essa un pas
decisivo per tutta la scultura fatta per l'aria libera ? ».
4. Accanto a questo lavoro ci sono altri nella bottega sempre abbo
dante di Rodin, e nei quali crea un'altra specie di opere non finite: statue
senza testa e senza braccia — come per esempio il grandioso Uomo che cam
mina — e poi mani singole, che sporgono da una tomba e altri. Motivi ch
appartengono piuttosto alla categoria dei frammenti divenuti autonomi, e c
illustrano benissimo la sua passione per la forma rovinata, dunque pro
niente da una primaria forma integrale. « Ce qu'il y a de plus beau qu'une
belle chose, c'est la ruine d'une belle chose ». Ecco una delle sue massime.
Con questi lavori Rodin ha anticipato motivi dell'arte che doveva fiorire
soltanto dopo di lui, del cubismo e del surrealismo. Era scandalizzato, ci
racconta Marcella Tirel, dei primi quadri cubisti, ma alcune delle sue opere
con la loro materia ridotta, rovinata, mutilata, devono essere considerate
tra i precursori dell'arte modernissima.

La descrizione di questo fenomeno varcherebbe il limite della mia re


lazione. Nel momento in cui sulla base di quel che ho detto, la distruzione
della sostanza nell'arte del Novecento è compiuta, vuol dire attorno al 1930,
l'arte torna per così dire al principio del concetto stesso e ci presenta nelle

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60 J. Gantner: Il problema del anon finito» ecc.

forme astratte una parentela stupenda colle forme intuite, viste da Lionard
indovinate dal Wólfflin. Una grande era sembra chiudersi davanti agli occh
nostri. Speriamo che la storia dell'arte troverà i mezzi per analizzare e ri
noscere i misteri di questo secolare processo. « Grandissimi fìiumi », dice
Lionardo, «corrono sotto terra». (Cod. Α., 160 b).
Testo scritto in italiano dall'autore, gentilmente ri
veduto da Giuseppe Zamboni. Basilea, giugno 1953.

1. Il concetto di « non finito » presuppone il concetto dì « finito ». Che cosa è il « finito » ?


E come si distingue tra « non finito » e incompiutezza dell'opera d'arte ?
Rispondo eon una frase di Croce, che mi disse: «Insomma l'arte va dall'imper
fetto all'imperfetto ». Generalmente nessuna opera d'arte è finita in un senso severo,
spirituale. Nel momento che l'opera d'arte è materialmente finita l'artista non è sod
disfatto del suo risultato. Croce ha ragione, nessuna opera d'arte sarà mai finita in
senso spirituale. La mia distinzione concerne lo stato materiale dell'opera d'arte.
La Pietà di Michelangelo in San Pietro, è finita, mentre il S. Matteo è « non finito ».
Tante opere d'arte non sono compiute per ima causa esteriore che ha impedito al
l'artista di terminarle. Direi che prima di tutto l'accettazione del « non finito » è una
questione di fede. Croce non crede al « non finito », ma per lo storico d'arte, che si
vede sempre davanti a una certa serie di documenti che nascono nella mente del
l'artista la questione prende diverse forme: il materiale col quale bisogna lavorare. Na
turalmente è chiaro che in questo momento il « non finito » non esiste più perché è
diventato stile, e non c'è più la possibilità di esprimersi in un non finito analogo
a quello del '500. Il « non finito » compreso in questo senso potrebbe essere limitato
ad alcuni artisti del '500.
Michelangelo ha fatto disegni per il S. Matteo, dai quali si vede che
stato di finitezza non sarebbe stato completo.
Non sappiamo e non possiamo dedurre quale stato di finitezza avrebbe potuto
ο voluto compiere la statua se fosse stato a Firenze. Altri documenti ci dicono che la
vorava con la forma non finita alla quale voleva dare una espressione. Per Michelan
gelo il non finito è un mezzo per esprimersi.
Il barocco nasce da un particolare dello stile precedente, e cosi lo stile tardo ot
tocentesco: Rodin e gli impressionisti. In questo caso lentamente Rodin si impadro
nisce di questo mezzo per esprimersi, da lui studiato nelle opere di Michelangelo.

2. Perché il « non finito » di Michelangelo sia tipico della scultura, non appaia invece
nella sua pittura ?
Potrei citare scrittori d'arte italiani (Bertini, Ara), e direi che sarebbe utile ri
spondere con un detto di Leonardo : per lui la pittura è l'arte suprema e la scultura è
l'arte secondaria. La pittura, secondo Leonardo, è l'arte suprema perché necessita il
massimo grado di astrazione artistica. Qui risiede il mistero. Nella pittura le possibi
lità di dare grado di una esecuzione sono molto minori che nella scultura, la quale ha
da fare soltanto col corpo umano ο con corpi plastici.

3. Che relazione ha voluto porre tra Michelangelo e Rodin ? Esiste l'evoluzione del con
cetto di « non finito » della Rinascenza dell'arte contemporanea ?
Esiste la relazione. C'è nei quadri di Tiziano un inizio della incertezza nella su
perficie della materia. Sono piccoli passi e credo che per estendersi su questo punto
non si possa concentrarsi solo sulla forma, bisognerebbe mettere in rilievo la grande
importanza del contenuto e insistere sulla grande importanza di Rembrandt, il quale
distrugge una certa parte della materia, perché vede un'altra forma sorgere in questo
processo, una forma per la quale l'espressione « non finito » sarebbe falsa, ma sa
rebbe giusta per il contenuto. Burkhardt era scandalizzato dal fatto che Rembrandt
ha lasciato in ombra e non descritto una parte del quadro. Questa corrente diventa
sempre più forte, diventa stile.

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J. Gartner: II problema del « non finito » ecc. 61

4. Quali sono i rapporti tra il « non finito » di Rodin e quello degli « impressionisti,
dei cubisti, surrealisti, etc. ? »
Anche qui si potrebbe fare una differenza. Naturalmente tra il Rodin e gli im
pressionisti, suoi contemporanei, ci sono molte somiglianze interne. Direi che la ma
teria coloristica, per esempio di un Renoir ο Degas, svolge leggi analoghe a quelle
che svolge Rodin nella materia plastica. L'altro lato del problema sta nel fatto che
Rodin ha avanzato i cubisti e surrealisti in quelle forme di cui ho parlato stamani.
Rodin è stato il primo a fare frammenti, a tagliare il capo di ima figura, il fram
mento è stato curato come forma autonoma dal Rodin: questo, secondo me, è un
primo capitolo del cubismo e del surrealismo.

5. Può specificare quello che è stato scritto partendo dal Wólfflin nel campo del dise
gno considerato come « prefigurazione », oppure come opera d'arte a sé stante ?
Non posso, perché su questo argomento non esiste niente. Posso solo raccontare quello
che conosco. WòlfHin ha notato nei suoi quaderni la possibilità di tutto quello che
voleva dire sui disegni, che erano molto importanti per lui e li ha sempre studiati.
Egli ha molto studiato disegni infantili, cercando in loro una radice delle « forme
primarie ». Su questo niente è stato scritto salvo alcuni saggi di Britsch e di Kovn
mann. Quando Wólfflin è stato a Roma, ha disegnato, ha avuto modelli, e voleva di
segnare un modello alla Rembrandt e uno alla Diirer per impadronirsi di questi mezzi
preparatori dell'artista. Anche a Monaco quando ero suo studente, c'erano corsi im
partiti da artisti, nei quali abbiamo dovuto disegnare per capire come mai Diirer
fa un contorno e Rembrandt non lo fa.

6. Come si può paragonare il fondo di prospettiva della « S. Anna » del Louvre con i
fondi dei due tondi di Michelangelo ?
Su questo punto ho scritto un intero capitolo nel mio libro. Nel quale esamino
cosa è rappresentato nel primo piano, cosa e come è rappresentato nell'ultimo fondo
della pittura e della scultura, etc., e dopo questo si vedrebbe che questo rapporto che
è sempre stato constatato, esiste effettivamente, e che il giovane Michelangelo si è
ispirato alla maniera di dipingere di Leonardo.

7. Perché gli schemi del Wólfflin sarebbero, secondo il prof. Gantner, il primo gruppo
ancora generale delle prefigurazioni ?
Nello sviluppo delle idee del Wólfflin vediamo due tempi. Prima quando costituì
questo concetto, intorno al 1900, per lui queste forme primarie erano astratte, senza
contenuto; dopo forse sotto l'influenza del Croce, che si è energicamente opposto a
questo libro, è arrivato intorno al 1930 a formulare che in queste prime forme è già
visibile il contenuto, e che non si può astrarre dal contenuto come aveva fatto prima.
Nel momento dove si prende questa seconda interpretazione del Wólfflin è chiaro che
risiede la prima apparenza di ima prefigurazione, come ha descritto Leonardo; appaiono
forme primarie che lentamente prendono forma.
Stamattina ho parlato poco di Focillon, il quale ha sviluppato queste idee del
Wólfflin che ammirava molto, e in tutto quello che ha scritto dopo il 1930 ha fatto
una applicazione del pensiero di Wólfflin per l'arte medievale. È certo che il passo
fatto dal Focillon per chiarire il pensiero del Wólfflin prova la giustezza di questa
definizione, che in queste forme primarie ο in questo ordine strutturale, come diceva
il Focillon, risiede la prima apparizione delle prefigurazioni.

8. Nel caso di Leonardo, e specialmente di Michelangelo, si può ritenere che vi sia


una relazione tra il « non finito » e la dottrina neo-platonica ?
Tutti lo hanno detto, l'ultimo è stato il Tolnay. Penso che il Tolnay esageri, credo
piuttosto che nella mente di Michelangeló, soprattutto da vecchio, ci siano sempre state
due correnti: la corrente cristiana, che più tardi diventa fortissima e la corrente pla
tonica, che è sempre presente. Praticamente si potrebbe argomentare così: Michelan
gelo nella sua poesia dice che vede davanti a sé un ideale, una forma a cui non può
arrivare; questo è un pensiero platonico, è la càusa del non finito in lui.

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