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Armonia Funzionale 18 R PDF
Armonia Funzionale 18 R PDF
Sergio Lanza
ARMONIA FUNZIONALE
Funzioni e scale
Cadenze che portano alla tonica
Dominanti secondarie e tonicizzazione
Schema della struttura cadenzale fondamentale
Modulazione e matrice dei possibili rapporti funzionali tra le triadi
Cadenze che non portano alla tonica
Cadenze d'inganno
Cadenze d'inganno “allargate”
Cadenze evitate
2018
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Sergio Lanza
Questa dispensa è rivolta a studenti già in possesso delle nozioni di base sulla grammatica dell'armonia, dà quindi per
acquisita la conoscenza delle scale e delle tonalità, la struttura degli accordi consonanti e dissonanti (settime e loro
specie) e la notazione dei rivolti.
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Di un accordo preso isolatamente si può defnire la struttura, ovvero la disposizione e il tipo degli intervalli a partire dal
basso, e identifcarne lo stato di rivolto o, eventualmente la ‘specie’ di settima; ma non si può comprenderne appieno il
signifcato, che gli proviene in modo sostanziale dal contesto musicale in cui si trova.
Consideriamo sempre che questo contesto è temporalmente orientato, infatti, con l’eccezione del primo e dell’ultimo
suono, tutti i suoni si trovano ‘tra’ altri che rappresentano rispettivamente il loro passato il loro futuro.
Parliamo di suoni, prima ancora che di accordi, per sottolineare che questi ultimi non sono che aggregati temporanei di
note in movimento lineare, ovvero contrappuntistico, e che il siglare un accordo corrisponde in realtà a scattare
un’istantenea in un fusso direzionato. Un esempio per tutti: gli accordi di settima e nona, che derivano storicamente
dall’assorbimento statistico di note melodiche di passaggio.
Proprio considerando questo fusso direzionato, assumono grande importanza i rapporti tra i suoni, interpretati,
servendosi di due utili metafore, in termini di attrazioni, spinte e frenate, ovvero di attese ricompensate o frustrate. In
questi termini va letta la confgurazione fondamentale del sistema tonale, la cadenza che, attraverso le sue molteplici
varianti, esprime in pieno il realizzarsi di queste dinamiche attraverso il dispiegarsi del dinamismo delle funzioni
armoniche.
Pur essendoci, secondo la teoria funzionale, tre funzioni armoniche, la tonica, la sottodominante e la dominante, due
sole agiscono dinamicamente “spingendo avanti” il discorso musicale: la dominante D e la sottodominante S. Queste
due funzioni esprimono rispettivamente la conduzione della tensione verso la tonica T e la preparazione di questa
conduzione. La tonica, in quanto funzione “statica”, è solo un punto di riposo, il termine del movimento. Questa dinamica
temporale a mio parere ha una suggestiva analogia nel tempo vissuto con l'attesa del fne-settimana implicata da una
temporalità orientata:
venerdi sabato domenica
S D T
Alle due funzioni tensive corrispondono due gruppi di accordi (di 3, 4 o 5 suoni) posti su diversi gradi della scala che
possiamo incontrare in diverse situazioni cadenzali, ovviamente con differente peso.
Il gruppo della dominante è piuttosto semplice e omogeneo, comprende accordi che sono tutti virtualmente formati da
note appartenenti all'accordo di nona sul 5° grado: sol-si-re-fa-la(b). Dell'accordo di settima diminuita in particolare
bisogna ricordare innanzitutto il suo naturale orientamento verso una tonica minore.
E’ bene chiarire che, quando si parla della tensione generata dalla dominante, in gioco non vi è una tensione o
inquietudine generica che attende una qualsiasi risoluzione o distensione: la dominante è un dito puntato in una direzione
molto precisa, ovvero l’accordo la cui fondamentale si trova esattamente una 5 a giusta sotto (o una 4a sopra). L'accordo di
settima di dominante, poi, è in grado da solo di indicare la tonalità, cosa che non può fare l’accordo di tonica: l'identità di
quest'ultimo –sia esso una triade maggiore o minore– resta infatti dipendente dal contesto in cui è inserito.
Il gruppo della sottodominante è molto più complesso e articolato. Vi è, come nel caso della dominante, un primo
gruppo omogeneo di accordi tutti formati da note appartenenti, teoricamente, all'accordo di nona sul 2° grado: re-fa-la-do-
mi, ovvero ii, IV e vi del modo maggiore, e re-fa-lab-do-mi, ovvero ii , iv e VI del modo minore, cui dobbiamo
aggiungere la triade sul secondo grado abbassato ( bII o Napoletana Nap).
DOMINANTE SOTTODOMINANTE
modo Maggiore modo minore
V, V7 (settima "di dominante"), V 9, vii ,
ii, ii6, ii56 ii, ii6, ii56 o bII6 [opp. Nap6]
vii7 (settima "di sensibile"),
IV7 iv, iv7
vii7b [opp. D](settima "diminuita")
vi VI
I n neretto ho indicato le forme di gran lunga più usate per esprimere la funzione, tanto da poter affermare che per
investire una triade mag. qualsiasi della funzione di D è suffciente aggiungerle una settima (V 7) mentre per investire una
triade mag. o min. della funzione di S è suffciente aggiungerle una sesta (II56).
Numeri romani in maiuscolo (II, III,...) = triadi maggiori; in minuscolo (ii, iii,..) = triadi minori, T = tonica magg. t =
tonica minore; barrati (ii, vii) = triadi diminuite; la “settima diminuita” (vii7b ) per brevità possiamo anche notarla così: D ;
b
II, bVII = triadi maggiori sulla fondamentale abbassata di un semitono.
Qui vediamo gli accordi appartenenti alle due funzioni, costruiti sovrapponendo terze, si evidenzia quindi la loro stretta
parentela e affnità che consente la trasformazione di un accordo nell'altro con estrema facilità:
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DOMINANTE SOTTODOMINANTE
Questo schema mostra invece sinteticamente quali funzioni hanno, se le hanno, le varie triadi costruite sui gradi della
scala maggiore o minore e degli esempi di successioni particolarmente frequenti:
Tra la struttura scalare del modo minore e quella del modo maggiore, nella geografa delle sue tensioni interne e delle
sue funzioni, vi sono ovviamente molte analogie ma anche alcune fondamentali differenze caratterizzanti. La più
importante è senz'altro quella che riguarda il ruolo dal III grado che è imparagonabile: nella tonalità minore il III, che è il
relativo maggiore, avrà un ruolo da protagonista, dal momento che attirerà verso di sé la stragrande maggioranza delle
modulazioni (pensiamo alle esposizioni delle forme sonata o, più semplicemente ai tempi di suite). Il iii sarà invece, per il
modo maggiore, una comparsa, una variante di colore, e quasi mai rivestirà un ruolo di importanza strutturale (almeno
fno a Schubert).
La struttura temporale fondamentale della tonalità è la cadenza, cioè quel passaggio fortemente orientato che rende
esplicito il dinamismo delle funzioni tonali. Proprio rispetto a questo dinamismo possiamo suddividere le cadenze in due
grosse classi: le cadenze che portano alla tonica, rendendo effettiva la potenzialità risolutiva della dominante e quindi
gratifcando un'aspettativa e quelle che invece, deludendo questa aspettativa, non vi portano e aprono quindi il discorso a
una maggiore complessità della narrazione.
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Ricordiamo brevemente qui solo due tipi di cadenza, oltre a quella autentica V–T e plagale IV–T, per sottolinearne il
senso formale:
Imperfetta: V I6 , V6 I opp. vii I : si verifca “lungo la strada” poiché il basso muove per moto congiunto, la presenza
dello stato di rivolto indebolisce la soglia, è adatta quindi a segmentare semifrasi, incisi, o parti del discorso comunque
non autosuffcienti e non compiute.
Sospesa: la funzione di D è tensivamente protesa verso una risoluzione che si troverà all'inizio del segmento fraseologico
seguente (sia esso inciso, semifrase, frase, periodo, o addirittura l'intero movimento). Il ruolo del contesto sintattico rivela
qui tutta la sua importanza: è infatti l'intersezione tra la componente armonica (la funzione dominantica) e quella
fraseologica (una qualche chiusura) a indurre il senso di sospensione.
Situazione tipica: segmentazione di due frasi o semifrasi (vedi esempio successivo dalla sonata K 281, III tempo di
Mozart).
Caso particolare: alla fine della transizione non modulante delle sonate (moltissime di Haydn e Mozart), es. K 332 e 281
(ma per questo si veda più oltre).
Frigia: la cosiddetta “frigia”, solo nel modo minore, molto usata nel periodo barocco e usata spesso per chiudere
un movimento lento prima di un Allegro, è una variante di cadenza sospesa in cui si arriva al V dal iv 6.
re: t iv6 V
Vi sono poi altri accordi che esprimono una tensione tipica verso la D:
Prima di parlare delle altre due è necessario però introdurre il concetto di “tonicizzazione”
L a tonicizzazione non va confusa con la modulazione: i mezzi possono essere simili ma lo scopo è diametralmente
opposto. Tonicizzando dei gradi della tonalità principale io arricchisco l’armonia, in alcuni casi potremmo dire che
introduco delle “ornamentazioni” armoniche la cui introduzione o eliminazione non altera il percorso armonico
principale. Con la modulazione invece si produce una vera alterazione del percorso, una virata verso una nuova meta che
dovrà essere confermata perché avrà un rilievo formale.
Ad esempio la successione I IV V I potrebbe essere arricchita così: I (V) IV V I semplicemente facendo precedere
il IV dal proprio “satellite”, cioè dalla propria dominante secondaria:
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Sib: (D) ii V I IV I V
Schubert, 5a sinfonia, II movimento
A proposito della citata centralità del III grado nel la tonalità minore, non è infrequente incontrare temi in minore che
ospitano al proprio interno un breve excursus al parallelo maggiore, un allontanamento temporaneo che non turba ma anzi
rafforza la centralità del tono d'impianto:
t (D) III V t
e un altro esempio ben più antico
Nel prossimo esempio di Chopin vediamo a b.2 la stessa formula cadenzale IV-V-I che nella prima battuta era relativa
alla tonica, do, applicata qui al VI grado della tonalità, LAb. Estendiamo quindi la parentesi ad inglobare anche la S
Possiamo ora tornare a completare il quadro di quegli accordi che “spingono” verso la Dominante:
Indicate così: It Fr Ted, questi accordi, da un punto di vista teorico, nascono da alterazioni degli accordi di dominante
della dominante (D)V, in particolare rispettivamente dal vii l'Italiana, dal V7 la Francese e dalla vii7b la “Tedesca”. Tutti
e 3 subiscono l'abbassamento della 5 a nota dell'accordo (considerato a partire dalla fondamentale sul II grado, anche se
assente) quindi, nel caso della tonalità di DO, del La che diventa Lab e lo spostamento all'ottava superiore della 3 a (la
sensibile) che crea l'intervallo particolare che dà il nome all'accordo:
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di SOL
La risoluzione della tensione armonica creata dall'intervallo di “sesta eccedente” avviene naturalmente risolvendo
“strabicamente” la tensione di quell'intervallo sull'ottava, cioè sul raddoppio della D, che viene raggiunta
contemporaneamente da un doppio movimento cromatico, ascendente e discendente.
Nella pratica musicale gli accordi di sesta eccedente nascono dalla trasformazione cromatica di un accordo che solo
occasionalmente coincide con quello generatore appartenente all'area della (D)V:
Nel prossimo esempio, tratto dalla sonata op.1 n. 2 di Beethoven vediamo la trasformazione enarmonica di un accordo di
settima diminuita: letto con il 'fab' sarebbe ancora una dominante di Lab (freccia rivolta al passato, cioè alla tonalità di
partenza), mentre, scritto con il 'mi' è Dominante del V della tonalità di arrivo, sib. Prima di cadenzare sulla Dominante,
però, l'accordo si trasforma in “sesta eccedente Tedesca” aumentando la tensione. Assistiamo dunque a un bell'esempio di
modulazione cromatica: un cromatismo ascendente prima (mb–mi) e discendente poi (sol–solb) altera l'accordo mentre il
suo “nocciolo”, costituito dalle note sib e reb, resta invariato. Rovesciando la prospettiva dovremmo più opportunamente
dire che le note reb e sib alla mano destra , “nocciolo” dell'inciso melodico iterato per tre volte, conoscono tre
interpretazioni armoniche diverse:
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Ecco riunite in uno schema sintetico le varianti più comuni della struttura cadenzale fondamentale:
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- plagale minore: iv T
- settima diminuita: sia diretta alla tonica, vii7b T, sia come dominante della dominante, (vii7b) V
- napoletana
- sesta eccedente: Ted. anziché It. o Fr.
- cad. d'inganno: usando il VI della omonima minore anziché il vi) oppure, più raramente, l'inverso (vedi oltre).
La modulazione, che, a differenza della tonicizzazione, esprime un cambio duraturo di tonalità, si indica con chiarezza
sovrapponendo grafcamente le linee delle due tonalità, quella di partenza e quella di arrivo –cioè, per l'ascoltatore, il
passato da cui proviene e il futuro verso cui è diretto– su due strati distinti, in modo da tenere traccia, lungo assi
orizzontali, della diversa appartenenza delle varie funzioni armoniche all'una o all'altra tonalità.
Una situazione tipica della modulazione si ha quando uno (o più) accordi fanno da “perno”, appartenendo
simultaneamente a entrambe le tonalità e quindi sovrapponendosi per un certo tempo. Nell'esempio seguente il mi minore
è dapprima senz'altro percepito come vi di SOL, provenendo dalla linea discendente del basso in uscita dalla tonica, ma
nella 3a battuta fa in tempo a “trasformarsi” in ii di RE, disegnando la tipica linea del basso cadenzante con i salti di
quarta/quinta:
SOL: T V6 vi
RE: ii (7)
V
Come detto all'inizio, il signifcato, ovvero il ruolo, la funzione degli accordi viene loro attribuita dal contesto, cioè dal
rapporto che si crea tra un dato accordo e quelli immediatamente precedenti e successivi. Di seguito si propone una
matrice dei possibili rapporti funzionali tra le varie triadi della scala maggiore e minore che rende evidente il cambio di
funzione che può intervenire in coincidenza con una tonicizzazione o una modulazione. I gradi all'interno della matrice
esprimono il ruolo potenziale che le triadi poste in orizzontale (neretto in alto) possono assumere rispetto alle triadi poste
sulla verticale (neretto a destra) considerate come fossero ‘toniche temporanee’. Sono dunque casi di reinterpretazione di
un accordo, il caso del minuetto precedente lo leggeremo così: il vi diventa il ii del V:
scala maggiore
(DO re mi FA SOL la si dim) *)
T ii iii IV V vi vii
(D)III III ii (re
VI Nap III iv iii mi
V vi iii IV FA
IV vi ii V SOL
III iv VI (D)P ii vi la)
( *) L'interpretazione dei gradi della scala in DO è puramente esemplifcativa )
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scala minore
(do REb re MIb fa SOL sol LAb SIb)
dim.
b b
t II ii III iv V v VI VII
b (REb
iii V II
vi vii ii IV V III MIb
VI ii III iv fa
iv VI Nap VI v sol
iii IV V vi VI LAb
b
ii IV VII SIb)
Se riprendiamo il preludio n. 20 di Chopin (vedi sopra, p. 6) possiamo riconsiderare il passo come un caso di
reinterpretazione della triade maggiore “napoletana”. Questo accordo per tradizione viene usato come variante di colore
alla classica successione ii–V– t e, in questa veste, compare conclusivamente nella b. 8 alla fne del secondo periodo:
do: VI bII V t
ma alla b. 2 Chopin aveva inserito lo stesso accordo in tutt'altro contesto, come IV di LAb, a sua volta VI di do, quindi,
secondo la nostra matrice:
questa ricontestualizzazione armonica, come spesso accade, non è fne a se stessa ma è al servizio della reinterpretazione
del tratto melodico: mib–fa–mib–re(b)–do, che viene quindi fortemente caratterizzato in senso espressivo.
Un altro esempio, simile ma rovesciato nella successione temporale, lo troviamo nell'Allegro assai del quartetto n. 12 di
Schubert: qui il bII, è dapprima usato per cadenzare nel tono di do mentre più tardi, a b.24, viene interpretato come IV del
VI, per modulare senz'altro alla tonalità di LAb :
Quest'altro esempio è tratto invece dal III movimento della Sonatina viennese n.1 di Mozart, bb. 93–99
nella seconda battuta l'accordo di RE 7 è chiaramente inteso come una dominante della dominante –ripetizione di quanto
fatto tre battute prima– ma, a sorpresa, troviamo l'accordo minore, pronto per essere reinterpretato come sottodominante
in una cadenza che tonicizza il IV. Il tutto, naturalmente, non è che un'interpretazione modulante della classica
progressione per quinte discendenti.
Abbiamo detto prima che la dominante orienta con forza l'ascoltatore verso l'attesa della tonica, se questa non arriva ma
al suo posto vi è un altro accordo si realizza una situazione che ha una sua tipicità in ambito narrativo: un ostacolo, come
un improvviso mutamento di scena o l'introduzione di un personaggio nuovo, si frappone ad interrompere un fusso di
eventi che segue una direzione precisa, questo ostacolo può essere defnitivo o temporaneo. In quest'ultimo caso
l'ascoltatore di solito è in grado di capire se il ritardo nell'adempimento dell'evento atteso è di breve durata o se implica lo
svolgersi di una più ampia digressione. La casistica è molto ricca ma le possibilità principali le possiamo racchiudere in
tre categorie che così riassumiamo:
3) la cadenza evitata
a) su dominanti secondarie di gradi che appartengono alla tonalità
b) su dominanti che portano ad altre tonalità
Tra le cadenze che sorprendono l'ascoltatore è di gran lunga la più frequente, tanto da aver conosciuto una sorta di
stereotipizzazione e, successivamente, il suo rinnovamento con interessanti varianti.
Per il 6° grado vi è, in prima istanza, una chiara analogia nei due modi, così indicheremo la cadenza d’inganno
nel Maggiore: V vi
nel minore: V VI
Osserviamo che, perché si realizzi l'inganno e nella mente dell'ascoltatore si rappresenti questa situazione psicologica
così caratteristica, nella sua forma più piena e convincente, la successione deve rispondere a due requisiti:
a) gli accordi devono essere in stato fondamentale, quindi con la successione 5°-6° al basso chiaramente
riconoscibile,
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b) la posizione ritmica del 6° deve preferibilmente coincidere con un tempo (o una suddivisione) forte nella battuta,
appunto lì dove ci si aspetta la tonica, con una funzione conclusiva che viene elusa.
Senza questi requisiti la concatenazione indebolisce molto la sua identità cadenzale, perde pregnanza e tende a costituirsi
solo come successione.
(Proprio in virtù dell'esistenza di questa cadenza sul 6° grado e del suo carattere di inganno, facciamo fatica a
considerare questo grado come “sostituto della tonica”, come invece sostiene una tradizione teorica affermando quindi
che la “funzione di tonica” sarebbe espressa dal 1° o dal 6° grado allo stesso modo in cui la funzione di sottodominante è
espressa dal 2° o dal 4° e quella di dominante dal 5° o dal 7°. Per queste ultime i gradi sono realmente intercambiabili,
mentre sembra abbastanza evidente che la “funzione di tonica” possa essere espressa solo ed esclusivamente dal 1° grado
che non è quindi una funzione –almeno in senso dinamico– quanto piuttosto uno stato d'essere, un orizzonte di
riferimento.)
Spesso questa cadenza ha un ruolo fortemente legato alla sintassi, esprimendo innanzitutto una parentesi, una “presa di
tempo” poco prima di una cadenza autentica e conclusiva:
fa: V V_____ VI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . t
Nel fnale dello stesso brano osserviamo la ripresa della cadenza d'inganno come cliché seguita però, subito dopo, da una
fermata: l'iterazione della successione V-VI sfocia su una pausa collettiva di effetto drammatico e, retoricamente, una
fgura di sospensione:
idem, bb.39-47
Per comprendere il senso profondo di questa cadenza, la sua coloratura semantica, quando non occorre come semplice
cliché, dobbiamo innanzitutto distinguere i due modi maggiore e minore nella loro funzione di contesto affettivo. Nel
maggiore il senso di “frustrazione” è sì generato dall’avvento di un accordo diverso dalla tonica ma sembra rafforzarsi per
il fatto che l’accordo che compare in luogo della tonica maggiore è un accordo minore. Nel modo minore, invece, la
successione V VI, aprendo alla “positività” di un accordo maggiore (il VI) cambia il segno alla frustrazione generata
dall’inganno: siamo di fronte ad una potenziale apertura che pospone l’ineluttabilità del ritorno alla “negatività” del
minore offrendo una via di scampo digressiva, seppure temporanea.
Il preludio di Chopin mostra il caso di due successioni V–VI : la 2) assolve entrambi i requisiti che la caratterizzano come
cadenza d’inganno, oltretutto all’interno della forma complessiva svolge un suo ruolo funzionale preciso collocandosi in
prossimità della fne. Nella 1), invece, si verifca solo b) e la successione assume il ruolo di una variante
nell’armonizzazione del tratto melodico del basso.
si: D V t ii 56 V VI6 V VI
1) 2)
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Analogamente nell'esempio seguente delle due successioni 5°-6°, tra l'altro riferite a due tonalità diverse, solo la 2)
assolve la funzione sintattica di inganno:
Bach, corale "Herr Christ, der einig Gotts-Sohn" BWV 164
SIb: T IV T V vi
1) sol: ii56 V VI
2)
Sempre nell’op. 53, alla fne dell’esposizione troviamo ancora la cad. d’inganno, ma con una nuova interpretazione del
suo ruolo sintattico: l'apertura alla svolta armonica, in questo caso il ritorno alla tonalità d’impianto (DO):
Un altro caso interessante lo troviamo in Schumann, nella terza delle Kinderszenen op.15, Hasche-Mann. Nella seconda
parte di questa brevissima scena, una breve progressione modulante basata sulla successione d’inganno ci conduce sul II
grado abbassato della tonalità di impianto (si min.), ma il DO maggiore si rivela come napoletana solo all’ultimo, quando
compare la dominante. E’ un raffnato scambio di identità che avviene attraverso l’iterazione del gesto cadenzale, sempre
deluso. Se mai un'idea squisitamente musicale possa alludere ad una situazione extra-musicale, questo avviene proprio
qui, in una chiave raffnata e allusiva, non certo “pittorica”: è nel gioco infantile dell'acchiapparsi ( Hasche-Mann) che la
mano continuamente afferra chi continuamente si scansa:
La deviazione dalla norma conosce poi casi interessanti di sostituzione del VI grado o con quello dell'omonima minore o
con un'altra variante alterata, un bell'esempio di commistione dei modi:
Si vede qui come la cadenza sul VI dell'omonima minore porti a un'apertura digressiva nel modo maggiore che implica un
percorso sensibilmente più lungo. Questa apertura digressiva è tipicamente sfruttata nell'opera:
RE: T IV V VI !
e questa inattesa presenza del parallelo minore non può che avere, qui all'inizio, una valenza ben diversa dalla funzione
procrastinativa, tipica della sintassi fnale: qui è incertezza nell'affermazione della tonalità di Mib maggiore che viene
prima continuamente offuscata dalla presenza del do minore (bb.3-4-5) e quindi, nel passo che segue, dal riferimento
all'omonima minore, introdotta, non a caso, dalla ripresa della cadenza iniziale che compie così un inganno duplice, nei
confronti della tonica e del suo modo:
Mib/mib: V - - - - - - - - - - VI !
Il linguaggio romantico spinse i compositori alla ricerca di soluzioni che superassero la capacità dell'ascoltatore non
soltanto di prevedere ma anche di riconoscere –con troppa facilità– determinate concatenazioni armoniche stereotipate.
Troviamo quindi esempi, più rari comunque, anche del caso opposto. Nella Kleine Romanze di Schumann, dall'op. 68, in
cui, all'armonia di Dominante segue l'accordo del 6° grado dell'omonima minore, quindi fa# min. anziché FA:
la: V vi ! V vi V t
Nel prossimo esempio, da Brahms, il V risolve sulla triade del 6° grado giusto, cioè sulla fondamentale abbassata solb,
ma essa è stata “minorizzata” (vi anziché VI), solb minore anziché maggiore (con la nota la = sibb)! L'effetto particolare,
straniante, è ammorbidito dalla scelta di usare l'arpeggio rovesciato, dall'acuto al grave, il che rallenta il disvelamento
dell'armonia:
sib: V_____________ vi !
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SIb: T V6 IV6V T
Modo minore:
Nell'esempio seguente, tratto dalla I delle Kinderszenen di Schumann, troviamo invece la cadenza sul relativo maggiore:
Al termine della maestosa Passacaglia e Fuga in do per organo BWV 582 di Bach, 8 battute prima della fine, la lunga
perorazione sulla dominante è bruscamente interrotta dall'irruzione della “sesta napoletana”, con un effetto tanto più
inaspettato in quanto inverte il corso naturale della cadenza che va –come il fiume al mare– da una sottodominante a una
dominante. La sua funzione retorica, naturalmente, è sempre quella di prendere un respiro prima della conclusione
definitiva, dando nuovo slancio e nuova freschezza all'immancabile cadenza autentica:
do: V___________________________________________________________
do: Nap6 !
Una simile esigenza retorica spinge sempre Bach a interpolare tra la Nap e il V la Dominante della Dominante:
Preludio BWV 998
lab: t VI 6
MIb: Nap6 (D2)! V
Un esempio particolarmente effcace del fatto che sia la sorpresa la chiave semantica che caratterizza tutta questa
famiglia di cadenze, lo troviamo in questo momento tratto dall'introduzione all'aria del “Cold Genius” dal King Arthur di
Purcell. Osserviamo prima la consueta progressione per quinte discendenti, quindi l'armonizzazione di un tratto di scala
melodica ascendente. Tra l'una e l'altra notiamo, di passaggio, la 'tonicizzazione del III e del IV grado. Fin qui siamo nella
convenzione ma, appena oltre, emergono due soluzioni cadenzali inaspettate: a b. 5 in un'armonia di dominante il ritardo
della 3a (do–si naturale), anziché risolvere completando l'accordo del V, risolve sul si b, 5a del III grado (caso analogo a
quello di Schumann). Nella battuta seguente la dominante della dominante (Re) risolve sul bII6 (napoletana) con un
sorprendente scivolamento cromatico. (Molto utile il suggerimento di D. de La Motte di indicare tra parentesi quadra [x]
l’accordo che l'ascoltatore si aspetta di trovare, cioè quell'accordo cui tendeva la (D) ma che non arriva. Al di sotto
dell’accordo in quadre scriviamo l’accordo che troviamo effettivamente):
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Purcell, dall'opera King Arthur, III atto, introduzione all'aria del “Cold Genius”:
do: Nap ! V t ii V t
(D) [V]
Il caso delle cadenze sospese nelle sonate che non presentano modulazione al termine della zona di transizione tra il
primo e il secondo gruppo tematico (frequente in Haydn e Mozart), può ben essere incluso in questa rassegna di cadenze
che “non concludono”, pur non essendoci qui propriamente di una cadenza di inganno. Il senso di “frustrazione” deriva
dal fatto che all'armonia di dominante viene imposto, con l'avvio della nuova enunciazione tematica, il ruolo di tonica,
mentre nel nostro orecchio è ancora ben salda la sua funzione dominantica, proprio in virtù della cadenza sospesa.
Nella sonata di Mozart K. 280 in FA, dopo una elaborata fase di transizione che di fatto non modula, approdiamo alla
cadenza sospesa, saremmo ora pronti a ricevere il ritorno del FA come logica conseguenza, sia che implichi una ripresa
del primo tema, sia che venga introdotto un diverso materiale melodico. La battuta seguente porta invece al secondo tema
che attacca “direttamente” in DO:
b. 107
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3) la cadenza evitata
Chiamiamo cadenza evitata il caso in cui a un accordo di dominante segua un'altra dominante che quindi indirizza
l'ascoltatore –punta il dito– verso una nuova tonica. Una successione formalizzabile così:
V → (D) → ?
caso a)
in cui interviene la tonicizzazione di un grado della scala che spesso è indirizzata a rafforzare una cadenza interna, quindi
con un effetto sostanzialmente centripeto rispetto alla tonalità d'impianto:
V (D) ii
V (D) IV
o anche V (D) iv t (con un rafforzamento della cadenza plagale, cfr. preludio di Chopin n. 20 visto prima)
V (D) vi
caso b)
in cui si verifca una discontinuità, che apre a eventuali modulazioni o deviazioni digressive che innescano un effetto
tonalmente centrifugo o comunque introducono una zona di incertezza tonale.
Nel prossimo esempio Haydn inserisce in un momento della forma sonata piuttosto convenzionale – la preparazione della
ripresa – un piccolo colpo di scena con una cadenza evitata che sembrerebbe puntare alla tonicizzazione del iv di si
minore, nel qual caso sarebbe rientrata nel caso a), invece il mi minore si rivela essere il ii di RE e alla misura successiva
rientra il primo tema:
Haydn, sonata III, Hob. XVI:37, Allegro con brio
b. 57
Nel caso che segue, tratto dal Lied di Schubert "der Wanderer" (bb. 53–57), la distanza tra le tonalità (tra le toniche)
interessate dalla cadenza evitata è maggiore:
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la: t Ted V 7 9b
MI: (D56)ii 6
V––––––– T
Nel seguente preludio di Chopin troviamo, una di seguito all'altra, tre cadenze che non risolvono. La prima è una normale
cadenza sul vi, sia pure arricchita di settima e nona, ma la seconda? La risoluzione eccezionale del V di SI sull'accordo
re#-fa#-la-do# non avrebbe il sapore di una cadenza evitata, cioè su un'altra dominante, sembrerebbe quasi alludere alla
possibilità di innescare un moto cadenzale ii-V-t relativo a do# (tonalità satellite di SI), ed essere quindi interpretato come
una sottodominante: è la quadriade di terza specie che ha una potenziale ambiguità – che in epoca romantica non si esita a
sfruttare – e la sua rivelazione come dominante di MI costituisce una piccola sorpresa, poiché pensavamo di aver
imboccato la strada dell'allontanamento dalla tonalità di impianto! Allontanamento che si realizza invece subito dopo
quando la dominante di MI sarà seguita dalla dominante di DO.
(continua....)
© sergiolanza 2018
Bibliografia
D. de La Motte, Manuale di armonia, La Nuova Italia 1988
W. Piston, Armonia, EDT 1996
(e Schönberg, Ratner, Epstein, etc..)