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Notizie inedite sulle relazioni tra il Regno d’Arborea e l’Ordine equestre di

San Giovanni di Gerusalemme in una pergamena cancelleresca del secolo XIV1

UN MANOSCRITTO GIUDICALE DIMENTICATO


di Stefano Castello

Pur essendo note da più mezzo secolo, le vicende degli Ordini equestri nei Regni giudicali
sardi sono ancora oggi poco studiate ed analizzate dal punto di vista storico, etnografico e
socio-economico, nonostante l’impegno dei numerosi studiosi e ricercatori che si occupano
di storia della Sardegna giudicale e della cultura Mediterranea.
D’altra parte, è diventato ormai così imponente il fenomeno dell'interesse con cui
alcune persone – forse anche dotate di buone intenzioni e di buona volontà, ma del tutto
prive di metodo, di preparazione e di strumenti di lavoro – seguono la vera o presunta
storia degli Ordini equestri medioevali sardi, e fingono o credono d'indagare sulle presunte
conoscenze teologiche, filosofiche e scientifiche di quei sodalizi religiosi regolari, tanto che
in questi ultimi anni la letteratura sull’argomento ha dato ampio spazio ad una produzione
parastorica e pseudostorica di testi, tale da sorprendere, disorientare ma anche affascinare
il vasto pubblico dei fruitori della divulgazione, anche quando si tratta di studiosi di “cose
storiche”, abbastanza colti ed attenti.
Finalmente, l’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali del CNR, consapevole
del fatto che ancora oggi si è lontani da disporre di una storia esaustiva e sistematica delle
vicende complesse che hanno interessato i grandi Ordini della militia Christi, ha attivato
una commessa di ricerca dal tema “Alle origini
dell’Europa mediterranea: Gli Ordini religioso-
cavallereschi”, la quale, oltre al reperimento e allo
studio delle fonti edite ed inedite, allo studio
storico ed architettonico delle strutture militari e
monumentali, ha come obiettivo anche la
realizzazione di un atlante storico e di una collana
per la diffusione dei risultati di tali ricerche.
L’auspicio è che in un prossimo futuro,
essendo coinvolto in questo progetto anche
l’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea di
Cagliari, in tali pubblicazioni possano confluire
tutte le informazioni riguardanti la presenza degli
Ordini equestri ed ospedalieri nei Regni giudicali
sardi.
Fino a poco tempo fa, sarebbe stato
piuttosto difficile ammettere la possibilità
di rinvenire documenti utili ad aggiornare
le informazioni riguardo le vicende di tali
Ordini equestri nella Sardegna giudicale,
anche perché tutt’oggi nessuno può Acquamanile - Firenze, museo del Bargello
immaginare di poter trovare casualmente

1
Un sentito ringraziamento va alla prof.ssa Olivetta Schena, dell’Università di Cagliari e ai dottori: Sebastiano Fenu,
Grazia Villani, Simonetta Sitzia e Maurizio Casu per la loro collaborazione e i consigli nel corso dello studio e della
redazione del testo. Si ringrazia altresì il direttore e il personale dell’Archivio Comunale di Cagliari per aver reso
possibile la consultazione del documento.
ben conservati nei dotti ripostigli, “dimenticati” da anni in qualche archivio
pubblico o privato, o piuttosto tenuti “al riparo” dalla vista dei curiosi.
Ebbene, non proprio tutti sono a conoscenza del fatto che alcuni di questi
documenti giacciono presso l’Archivio comunale di Cagliari, il quale custodisce, tra le altre
cose, una pergamena risalente nientemeno che al periodo giudicale, ancora oggi in attesa
di una segnatura archivistica definitiva, la quale non solo costituisce una rarità in quanto
documento originale prodotto dalla cancelleria regia arborense, ma riveste particolare
importanza poiché riguarda la precettoria di San Leonardo di Sette Fontane e costituisce
una significativa testimonianza sulla presenza nei Regni giudicali sardi dell’Ordine
equestre ed ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, detto poi di Cipro, di Rodi e
infine di Malta.

LA PERGAMENA DELL’ARCHIVIO COMUNALE DI CAGLIARI

Di tale pergamena era nota in passato


l’esistenza1, ma non l’esatta collocazione. Solo in
seguito alla pubblicazione di Emanuele Melis2, il quale
se ne è occupato per la sua ricerca dottorale, anche il
sottoscritto ha avuto finalmente la possibilità di
poterla consultare di persona.
Un attento e puntuale confronto con lo studio
del Melis, alla luce di una rigorosa analisi su tale fonte
documentale originale, ha consentito di rilevare delle
inesattezze rispetto alla trascrizione proposta dallo
studioso, e di apportare opportune correzioni e
integrazioni che consentono una rilettura dei testi e
una più corretta interpretazione e classificazione delle
notizie riportate.
Di forma rettangolare, la pergamena cancelleresca in
questione misura mm. 475 x 590 e si presenta in
buono stato di conservazione, nonostante le varie
lacerazioni e le abrasioni lungo le piegature, le tracce
di restauri effettuati con aggiunte di rinforzo con
materiale pergamenaceo, e la riparazione di uno Pergamena giudicale
Cagliari, Archivio comunale
strappo tramite cucitura nella parte laterale destra.
La scrittura utilizzata nell’elaborazione del testo, che
procede parallelo lungo il lato corto della pergamena, è una minuscola cancelleresca
italiana3, con tratteggio calligrafico, ribattezzata “gotica cancelleresca arborense” da
Casula4.
Nel retro della stessa pergamena sono presenti alcune parole in scrittura moderna con
dicitura “Eb 150 CAISELLI”, che potrebbe essere verosimilmente la segnatura archivistica
di collocazione in un armadio, presso altro archivio pubblico o privato, ed altre in scrittura
gotica cancelleresca arborense che, sciolte dall’abbreviazione, indicano De tempore

1
F.C. CASULA, La Sardegna aragonese, I, La Corona d’Aragona, Sassari 1990, p. 347: l’autore parla di un
documento inedito conservato presso l’Archivio Comunale di Cagliari, ed al tempo oggetto di studio della dott.ssa
Ester Gessa; M.G. SANNA, Santulussurgiu durante il Medioevo, in Santulussurgiu dalle origini alla grande guerra,
a cura di G. Mele, Nuoro 2005, I, p. 177.
2
E. MELIS, L’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme a San Leonardo. Un documento inedito dall’archivio
medioevale dell’Ospedale di San Leonardo, in «NAE», 11, Cagliari 2005, pp.59-63.
3
Cfr.: A. PETRUCCI, Breve storia della scrittura latina, Roma 1992, pp. 150-155.
4
F.C. CASULA, Breve storia della scrittura in Sardegna. La documentaria nell'epoca aragonese, Cagliari 1972, pp.
82-85
Mariani, e potrebbero appartere probabilmente alla stessa camera cancelleresca
arborense.
Il documento in esame, stilato in un unico foglio pergamenaceo adatto, contiene due
distinte carte, delle quali la prima fu riprodotta in «duo publica consimilia instrumenta»,
due copie simili, una «quorum uno penes homines dicte ville dimesso» destinata cioè agli
abitanti di Sette Fontane, e l’altra «in curia dicti hospitalis debeat rimanere».
La prima carta, rogata il 7 settembre 1363 da Donato Manus1, «per l’autorità del
signore serenissimo Re d’Aragona per tutto il Regno di Sardegna e Corsica, notaio
pubblico del Signore “Giudice”», ci informa sulla volontà di Mariano IV di rendere
chiaramente manifesto a tutti la volontà di risolvere la controversia sorta tra gli abitanti
della villa di Sette Fontane del distretto del castello di Monte Verro, diocesi di Bosa, ed il
priorato di San Leonardo di Sette Fontane, dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di
Gerusalemme.

UNA DISPUTA DA APPIANARE

A quanto risulta dalla lettura del testo, a causa del cattivo e inadeguato governo
della villa di Sette Fontane da parte dei priori, e specialmente durante l’operato di frate
Alberto quondam Mei di Siena2 dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni Gerosolimitano,
che a quel tempo presiedeva per conto del detto Ordine la curia del priorato di San
Leonardo, gli abitanti liberi e servi della medesima villa si erano ribellati e dichiarati
inobbedienti al suddetto priorato. Rivoltisi direttamente al loro sovrano Mariano IV,
chiedevano la risoluzione del feudo e la cessazione dalla prestazione del servizio che da
alcune generazioni erano tenuti a garantire per lo stesso ospedale,.
Frate Paolo di Corneto,
priore del medesimo
priorato, intervenendo
personalmente nella
questione, supplicò
umilmente a più riprese lo
stesso Re affinché
provvedesse benignamente a
trovare i rimedi opportuni
per la risoluzione della
questione. E fu così che
Mariano IV provvide di far
cessare ogni materia del
contendere con una
deliberazione solenne,
convinto – da una parte –
dalle suppliche di tale priore
e soprattutto in
Santulussurgiu - chiesa di San Leonardo di Settefontane considerazione del fatto che il

1
Abitante ad Oristano, figlio di Comita di Cagliari, come egli stesso precisa nel documento.
2
Una ipotesi di lavoro, della quale stiamo verificando la consistenza, è quella che riguarda la traduzione di “Alberto
quondam Mei de Sena” non come “Alberto De Sena del fu Bartolomeo o Tommaso”, ma come “Alberto Mei di
Siena”. Ad ogni modo, tale priore Alberto è attestato, in qualità di speciale testimone, tra i firmatari dei trattati di pace
di Alghero del 13 novembre 1354, tra Pietro IV d’Aragona e Mariano IV re d’Arborèa. Cfr.: Proceso contra los
Arborea, I, COllezione di DOcumenti per il REgno di SArdegna – Collana del CNR-ISEM, a cura di J.Armangué i
Herreo, A. Cireddu Aste, C. Cuboni, Pisa 2001, doc.15, p. 84. Fu priore di Sette Fontane probabilmente fino all’anno
1357, così come dichiarato dagli abitanti della medesima villa allo stesso Mariano IV, nel primo atto della pergamena
in esame.
religioso frate Marco de Vita, suo “antico famiglio”, si adoperò efficacemente e
diligentemente per la riparazione e riedificazione della detta curia di Settefontane, non
senza grandi oneri di spesa; e tenendo – d’altra parte – in considerazione la condizione ed i
diritti dei sudditi, sia attraverso testimonianze dirette e confessioni avute dagli stessi, che
attraverso antichi quaderni custoditi nella curia giudicale.
Disponeva quindi che tutte le persone di entrambi i sessi dipendenti dall’ospedale
venissero ricondotte al precedente stato contributivo e di prestazione di servizio, e fossero
in seguito tenute a mantenere in modo consueto i feudi e i servizi abituali come in
precedenza alla suddetta cessazione, e garantire quindi al detto ospedale, tutte le cose che
erano soliti dare e garantire.
Allo stesso tempo, il sovrano esortava il
frate Marco e gli altri priori esistenti in quel
tempo a fare tutto ciò che era necessario ed
opportuno per portare a termine la fabbrica
della detta curia di Settefontane, così come era
già cominciata.
Nonostante il Re d’Arborea si renda
conto che fu proprio la negligenza dei priori
che vi furono in quel tempo la causa di totale
desolazione e che da quel massimo danno
proveniva probabilmente il pregiudizio verso
tale istituzione, precisa altresì che ha questo
particolare interessamento non solo perché il
frate Marco ha voluto sobbarcarsi la detta
riparazione, ma anche perché egli stesso –
Mariano IV – e la sua famiglia furono fra i
fondatori e i benefattori della curia di Sette
Fontane e delle sue pertinenze, per lo zelo di
devozione verso detto ospedale di Sette
Fontane che, come precisa, fu a capo delle
proprietà e delle altre case dell’isola per il
predetto Ordine. Santulussurgiu - San Leonardo di Settefontane
Perciò, ordina espressamente a tutti gli porte laterali
ufficiali e alle persone di detto villaggio presenti e future, di rispettare la formula del
presente provvedimento, di osservare lo stesso e tutte le cose di seguito precisate e di farle
inviolabilmente osservare, trattenendo appositamente anche i contraddittori e i ribelli,
sotto la pena del doppio di tutto ciò che doveva essere fatto. Allo stesso tempo, esortò il
detto ospedale, i priori e i frati dello stesso, all’osservanza delle cose preannunciate, come
spetta agli stessi, sotto la pena di ricondurre i detti uomini all’antico stato della questione,
senza peraltro che esista alcun pregiudizio di prescrizione per le due parti.
Ad eterna memoria della cosa, ordinò che fossero emessi attraverso un suo notaio
due atti pubblici simili, uno da dare agli uomini della detta villa e l’altro da custorirsi nella
curia del detto ospedale, che fece registrare nei registri cartacei della cancelleria e camera
regia, ordinando altresì che fosse cancellato e cassato qualunque altro atto che, circa la
stessa materia, sarebbe potuto apparire in futuro.

UN DOCUMENTO IN LINGUA SARDA

In tali documenti, resi pubblici ad Oristano il 24 febbraio 1360, si parla dei feudi e dei
servizi che gli abitanti di Sette Fontane erano tenuti a solvere e prestare come opera al
detto ospedale e, al contrario, quelli che l’ospedale e i priori erano tenuti a dare alle
suddette persone. E probabilmente, per facilitare la lettura e la comprensione del testo
soprattutto agli stessi abitanti della villa, questa parte fu redatta in lingua sarda1.
Fu stabilito per prima cosa che, durante ogni settimana dell’anno, una parte di questi
uomini poteva servire l’ospedale per tre giorni, un’altra parte per due giorni, ed altri ancora
un solo giorno, ricevendo in cambio indistintamente dal priore quattro pani e della carne o
del formaggio: coloro i quali sceglievano di non servire nei giorni prestabiliti, dovevano
pagare in cambio al detto priore, rispettivamente 48, 32 e 16 soldi all’anno.
Segue l’elenco di tali uomini, dal quale risulta evidente che la ripetizione di alcuni
cognomi, come Cocco, Mozzo, locho o Çelle, tradisce una stretta parentela tra di essi: al
momento della stesura dell’atto alcuni di loro sono già deceduti, mentre altri due risultano
essere anche al servizio di Santa Maria di Bonarcado. Dall’elenco delle donne si possono
invece distinguere facilmente quelle che erano più esperte nel lavoro, poiché se sceglievano
di non eseguire il loro servizio di tre volte alla settimana, dovevano pagare in cambio venti
soldi ciascuna l’anno, al contrario delle altre meno esperte che ne dovevano pagare dodici
ciascuna: è attestato che tre di esse risiedevano in Bagnus2, una a Sagama e quattro a
Senuschi3.
Di seguito vengono poi elencati i vari servizi da eseguire ed il corrispettivo dovuto
per ognuno di questi. In particolare, per quanto riguarda l’allevamento, chi tra queste
persone sceglieva di pascolare pecore per una settimana poteva avere in cambio quattro
pecore che avevano già figliato all’anno, da scegliere a piacimento, e due giorni di
formaggio la settimana. Lo stesso regime era previsto nel caso si trattasse di capre o maiali.
Coloro che invece pascolavano vacche a
settimane avevano in cambio un bue all’anno
e due giorni di formaggio alla settimana.
E infine coloro che pascolavano cavalle,
sorvegliandole di continuo, avevano in
cambio un bue bedustu4 per uomo all’anno,
ed una carra5 di grano, ed una carra di orzo
dell’aia che trebbiavano per il priorato.
Durante il periodo della trebbiatura,
chi sceglieva di servire poteva utilizzare il
proprio giogo di buoi e riceva in cambio la
possibilità di diminuire di un giorno il
servizio.
Trebbiatura con giogo di buoi

1
Questa parte dell’atto, che tratta dei diritti e doveri, è redatta in sardo, nella variante dialettale locale, probabilmente in
modo che fosse comprensibile soprattutto agli abitanti della villa, alle quali era destinata una delle due copie della
detta carta. Cfr.: A. SANNA, La lingua della Carta de Logu, in A. SANNA, Il dialetto di Sassari ed altri saggi,
Cagliari, 1975, pp. 121-180; M. VIRDIS, Note sui dialetti dell’area arborense e la lingua del condaghe di S. Maria
di Bonarcado, in Il condaghe di S. Maria di Bonarcado, a cura di M. VIRDIS, Oristano 1982, pp. XXIII – XXXIX.
2
In tutti i quattro Regni giudicali esistevano piccoli centri abitati chiamati Bagnus – Bangius: il termine sembra derivi
dal latino balneum e starebbe ad identificare l’esistenza di oppidum romani, ad uso di bagni o terme. Cfr. G. SPANO,
Vocabolario sardo geografico patronimico ed etimologico, Cagliari 1872, voce bàngius. In questo caso, il termine
potrebbe identificare più facilmente l’abitato di Bangios-Banzos presso Santulussurgiu, più che il Bagnus-Bangius
presso San Vero Congius – frazione di Simaxis – dove anticamente esisteva la chiesa ed il salto di Sant’Elena,
anch’essi facenti parte dei beni della commenda di Sette Fontane. Cfr. NATIONAL LIBRARY OF MALTA,
manoscritto AOM 5969, p. 4 e sgg..
3
Sa Nuschi – pauli, presso Nurachi. Cfr.: A. TERROSU ASOLE, L’insediamento umano medioevale e i centri
abbandonati tra il secolo XIV ed il secolo XVII, Roma 1974, p. 13.
4
Lett. «vecchio»: riferito ad animali, «vecchio di due anni». Cfr. M. PUDDU, Ditzionàriu de sa limba e de sa cultura
sarda, Cagliari 2000, voce badùstu; M.L. WAGNER, Dizionario etimologico sardo, Cagliari 1989, voce bedustu; G.
SPANO, Vocabolariu sardu-italianu, a cura di Giulio Paulis, Nuoro 2004, voce bedùstu.
5
Dal campidanese kwárra, logudorese kárra: staio, misura di capacità per solidi, in modo particolare cereali,
equivalente a litri 25,25, a mezzo starello di superficie, ossia 40 metri quadrati. Cfr. M.L. WAGNER, Dizionario cit.,
voce kwárra.
Tutti comunque, pagavano sette libbre l’anno di jadu1 e cinque libbre di diritu2 e davano
un capo di bestiame per ogni sinnu3 o branco di pecore, e ogni decina di maiali; andavano
alla corona di Curadoria e alle battute di caccia; pagavano le sovvenzioni quando gli faceva
comodo; quando svolgevano i loro servizi presso la corte del sovrano erano comandati dal
castellano; andavano a servire quando il signore era a Cuglieri, e chi andava portava al
castello due tragus4 di legna all’anno per giogo, insieme ai prodotti dell’agricoltura che si
faceva a nugara5; e infine andavano a consegnare lettere ovunque li si mandava.
Ogni anno davano ai priori la primizia del lavoro del
vino e del bestiame che avevano, e a richiesta davano
loro un pezzo di carne della parte posteriore di ogni
bestia selvatica, a scelta, anche se proveniva dalle
battute di caccia del castellano, che fosse però di loro
gradimento.
In cambio, i priori erano tenuti a dare agli
uomini e alle donne, grandi e piccoli, sia agli infermi
che ai sani, quattro pranzi all’anno, con pane, vino,
carne e minestra, cioè per la Pasqua di Resurrezione,
Natale, per la festa del beato San Giovanni dei Fiori, e
per la festa di Sant’Andrea e di San Leonardo che cade
il sesto giorno di San Saturno6; e se qualcuno non DOLIANOVA - chiesa di San Pantaleo
scena di caccia con falco
poteva partecipare a causa di malattia o altro, riceveva
il suo pranzo direttamente a casa sua.

1
Diritto feudale, tributo, dazio, pagamento. Cfr. G. SPANO, Vocabolariu cit., voce dàda; M.L. WAGNER, Dizionario
cit., voce dare e suo sost. deverb. datu, dadu. Noi ipotizziamo possa riguardare in particolare il taglio di alberi da
legna o, più probabilmente, un diritto di terratico che coll’andar degli anni si protrasse fino al passaggio delle
proprietà al Demanio Regio, avvenuta agli inizi del 1800.
2
Dal campidanese e logudorese deréttu, sost. “diritto”, dazio che si pagava sul vino al feudatario. Cfr. M.L. WAGNER,
Dizionario cit., voce deréttu.
3
Marchio: tipo di taglio che veniva effettuato nelle orecchie degli animali per identificare il legittimo proprietario del
bestiame. Cfr. M. PUDDU, Ditzionàriu cit., voce sínnu; M.L. WAGNER, Dizionario cit., voce sinnare e suo sost.
deverb. sìnnu.
4
Lett. «Traino»: gambe di frasche di grossa taglia, generalmente olivastro, legate insieme, per caricare pietre o altra
cosa messa sopra. Cfr. M. PUDDU, Ditzionàriu cit., voce tràgu; M.L. WAGNER, Dizionario cit., voce tragare e suo
sost. deverb. tràgu
5
Località identificabile forse con NURCARA, antico nome di un distretto amministrativo del Logudoro, dove si trova
la chiesa di Santa Maria de Litto o de s’Ispidale, presso Romana. Valutando l’ipotesi di un possibile errore dello
scrivano, il toponimo in questione potrebbe essere identificato anche con NURACHI, villa denominata già in periodo
romano come "ad Nuragas". In tutti e due i casi ipotizzati erano presenti proprietà della commenda di Sette Fontane.
6
Il mese di Santu Sadurru pare corrispondesse anticamente al mese di novembre. Infatti, nelle fonti [cfr.: B.R.
MOTZO, San Saturno di Cagliari, in «Archivio Storico Sardo», XVI (1926), pp. 1-32 dell’estratto] la dies natalis di
San Saturno compare riferita al 23 novembre o al 30 ottobre dell’anno 303 o 304, identificative probabilmente l’una
della dedicatio della basilica cagliaritana e l’altra forse della vera festa liturgica. Ma nelle leggende anteriori al 1600 e
nei documenti medievali il mese di novembre fu chiamato «su mesi de Santu Sadurru», probabilmente in
corrispondenza della festa più importante. Cfr.: G. MAMELI, Memoria martyrum San Saturnino di Cagliari, in atti
del convegno «San Saturnino, patrono della città di Cagliari nel 17° centenario del martirio», Cagliari 28 ottobre
2004, pp. 142-143. Con il ritrovamento delle reliquie ad opera di Mons. Desquivel, 12 ottobre 1621, il giorno del
martirio fu spostato definitivamente al 30 ottobre. Cfr.: OFFICIA PROPRIA SS. SARDINIAE, Pars autumnalis,
Vaticana 1928, pp. 78-81; S. ESQUIRRO, Santuario de Caller, Cagliari 1624, I, 3, 32; A. PISEDDU, L’arcivescovo
Francesco Desquivel e la ricerca delle reliquie dei martiri cagliaritani nel secolo XVII, Cagliari, 1997.
Così, nel “Martirologio Romano”, il 6 novembre corrisponde alla festa liturgica di San Leonardo di Noblac, nato in
Gallia sul finire del V secolo, il cui dies natalis cade in questa data di un anno imprecisato del VI secolo. Dall’XI
secolo, il suo culto prese ad espandersi in tutta l’Europa Centrale, furono erette in suo onore varie centinaia di chiese
e di cappelle lungo le principali vie di pellegrinaggio, ed i racconti di strepitosi miracoli a lui attribuiti ne
aumentarono la conoscenza e la devozione. Anche in Sardegna il culto di San Leonardo di Noblac, si diffuse dopo
l’anno Mille, forse ad opera dei monaci cistercensi francesi, o più probabilmente dell’Ordine Giovannita, quando al
già esistente ospedale di Sette Fontane affiancò la curia intitolandola a questo santo. Cfr. A.F. SPADA, Storia della
Stettero in questo regime di servizi e pagamenti fino al tempo in cui fu priore frate
Alberto da Siena, cioè intorno al 1355, il quale – a loro detta – li obbligò a prestare opera al
di fuori del consueto, rimanendo risentiti ed impauriti a causa di minacce rivoltegli dallo
stesso priore che diceva di avere il potere assoluto sopra di essi tanto da poterli vendere a 5
soldi, se soltanto gliene fosse venuta la voglia. E sentendosi dire quelle cose, sapendo anche
della guerra che stava per accadere, vollero sapere se il priore Alberto aveva davvero quel
potere su di loro, ma rimasero con quel cruccio anche con gli altri priori che sette anni
dopo si avvicendarono nell’amministrazione di Sette Fontane.
Il notaio, quindi, riprendendo a scrivere in lingua latina, chiude questo primo atto
precisando di averlo rogato il 7 settembre 1363 nella villa di Cuglieri, all’interno della Curia
regia del detto sovrano d’Arborea, essendo presenti in qualità di testimoni, l’arcivescovo e
maestro in sacra teologia Bernardo, Manfredo Giovanni siculo e Baldisone di Baldisone
siculo, e Lorenzo de Martis, tutti componenti della corte giudicale.

UN NUOVO ACCORDO

Non essendosi però risolta la controversia, Mariano IV fu costretto a convocare


nuovamente le due parti davanti al suo cospetto: da una parte, il frate religioso Marco de
Vita, luogotenente e vice gerente del priore dell’ospedale di san Leonardo di Settefontane, e
dall’altra gli uomini della villa di Settefontane, rappresentati dal majore Guantino de Pira,
dai giurati Comita Falqui e Gonario Fara, e da Lorenzo Pala e Gennargio Catone.
I detti uomini riferirono al sovrano di sentirsi immensamente gravati a vantaggio
dell’ospedale, e facevano presente che se il priorato non era in grado di rispettare gli
accordi pattuiti in precedenza e se non si provvedeva con altro rimedio giuridico adatto,
avrebbero opportunamente abbandonato la succitata villa di Sette Fontane. Di diverso
parere era il vice gerente del priore, il quale si dichiara contrario ad un tale atto risolutivo.
Avendo appurato il sovrano che tutti
volevano arrivare ad una transazione per
evitare il protrarsi della lite, «suaque
auctoritate et decreto interponente» riuscì
a farli giungere ad un accordo, sancito con
nuove condizioni, col mutuo consenso e la
convenienza di entrambe le parti.
Così il 12 ottobre 1363 fu rogato il secondo
atto, in cui veniva disposto che tutti coloro
fra i sopracitati uomini di Settefontane che
avevano la consuetudine di pagare
all’ospedale 48, 32 e 16 soldi alfonsini
minuti per anno, per compensare la
mancata prestazione, avrebbero dovuto
ROMANA - chiesa di Santa Maria de s’Ispidale
pagare d’ora in poi rispettivamente 25, 20
e 10 soldi, attraverso chi avessero voluto.
Ugualmente, tutte le sunnominate donne che avevano la consuetudine di pagare
all’ospedale 20 o 12 soldi ciascuna all’anno a seconda delle proprie qualità, per compensare
la mancata prestazione, avrebbero dovuto pagare d’ora in poi indistintamente 8 soldi
ciascuna per ogni anno di servizio, attraverso chi avessero voluto. E infine veniva disposto
che tutti i figli maschi e femmine viventi, o che fossero nati in futuro dagli stessi uomini,
venissero trattati secondo la loro stessa età, così come era consuetudine.
Promisero quindi i rappresentanti delle due parti, al cospetto del notaio pubblico, di
provvedere a rispettare e far rispettare nel tempo tutte le prescrizioni contenute nella
transazione e, in particolare, se gli uomini della villa giurarono di non contravvenire né
contraffare gli obblighi circa le cose da solvere ed applicare al priorato, sotto la pena del
doppio di tutto ciò che fu stabilito, il priorato di Sette Fontane rinunciò ai diritti sulle cose
non compiute o imperfette, e sulle cose costituienti danno.
Il notaio pubblico Donato Manus termina questo secondo atto precisanto di averlo
rogato il 12 ottobre 1363, presso la villa di Cuglieri nella reggia della Curia del detto
sovrano, essendo presenti in qualità di testimoni, Pietro Matao della villa di Santo
Lussurgiu, Ugone figlio di Mariano IV, e Pietro Pinna di Plano. Dichiara, infine, di aver
preso parte con tutti i predetti citati uomini alla stesura del documento e di aver redatto,
fatto e terminato con la raschiatura ed emendato queste soprascritte carte richiestegli,
apponendo il segno e il nome consueti.

X
X
X

LE ORIGINI DELLA PRECETTORIA DI SETTE FONTANE

Oltre all’importanza del motivo del contendere, il documento in esame si rivela ricco di
particolari significativi sull’origine stessa della precettoria di Sette Fontane.
Quando Mariano IV afferma «nos qui sumus de genere
fundatorum et dotatorum ipsius curie et aliorum
membrorum suorum», vuole evidenziare che fu la sua famiglia
a fondare ed arricchire di beni la curia ed i suoi membri,
aggiungendo poi, «pro uttilitate et melioramento ipsius
hospitalis», cioè tutto ciò a beneficio e potenziamento dello
stesso ospedale, che risulterebbe così già esistente prima della
fondazione della suddetta curia.
Si ritiene a questo proposito precisare che nei documenti più
antichi compare l’attestazione «Sette Fontane» senza essere
però mai associata al nome di San Leonardo. Infatti, la scheda
157 del condaghe di San Nicola di Trullas, datata tra il 1125 ed
il 1150, cita in modo generico «VII Funtanas» riguardo una
lite per il possesso della «domo d’iscanu»1. La scheda 180 dello
stesso condaghe, datata entro il 1175, parla della lite tra il
monastero di Trullas e «sos dessu ospitale. donnu Gerardu. et
taia ferru. prossa domo d’iscanu»2: l’oggetto del contendere,
che rimanda alla scheda 157, suggerisce come l’«ospitale»
OTTANA - chiesa di San Nicola
citato fosse quello di Sette fontane e, poiché anche qui non pala d'altare – Mariano IV
viene specificato l’ente di
1
Il condaghe di San Nicola di Trullas, a cura di P. MERCI, Sassari 1992, p. 90, doc. 163 e p. 93, doc. 165.
2
Il condaghe di San Nicola di Trullas, a cura di P. MERCI, Sassari 1992, p. 99, doc. 188.
appartenenza di tale ospedale, si potrebbe supporre che in quel dato momento esso
non fosse amministrato dai Giovanniti.
Inoltre, Sette Fontane risulta far parte inizialmente del regno di Torres, e nelle
schede del condaghe di Trullas compare citato Gonario II, sovrano dello stesso regno, il
quale presenzia alla succitata lite.

SETTE FONTANE. PERCHÉ ?

Alcuni vorrebbero attribuire l’appartenenza di questo primo ospedale all’Ordine del


Tempio, senza però fornire alcuna prova certa di tale ipotesi. L’intitolazione stessa alle
«Sette Fontane», densa di valore simbolico più che meramente descrittivo, potrebbe
indicare però una diversa collocazione: oltre ad indicare probabilmente il numero le
bocche da dove ancora oggi fuoriesce la preziosa e rinomata acqua minerale, il termine
contiene dei precisi riferimenti di carattere spirituale1. Nel Cristianesimo il numero Sette è
utilizzato per indicare i doni dello Spirito Santo, le sette virtù che rendono l'anima gradita
a Dio, descritti a volte come sette veli che devono essere scoperti, uno dopo l'altro, per
arrivare all'illuminazione ultima. «I sette Sacramenti comunicano i frutti
dell'Incarnazione e della Redenzione di Gesù Cristo; e, trascorse sette settimane dalla
Pasqua, lo Spirito è mandato sulla terra per stabilirvi e consolidarvi il regno di Dio»2. Il
Sette è considerato anche un numero sacro: nel libro della Genesi la stessa creazione del
mondo è stata eseguita in sette giorni. Sono sette i sigilli del libro a forma di rotolo
dell’Apocalisse di San Giovanni, dove si parla anche di un agnello «con sette corna e sette
occhi, che sono i sette spiriti di Dio inviati a tutta la terra»3.
Nella religione ebraica, la Cabala è composta, in qualche versione, da sette sephirot;
mentre in altre filosofie religiose il numero Sette identifica nel corpo umano sette plessi o
chakra, il numero dei pianeti secondo l'antica concezione del sistema solare, in stretta
relazione con i sette principali metalli terrestri.
Non poteva mancare un collegamento con i riti lustrali eseguiti in Sardegna in
occasione del solstizio d’estate, tra i quali c’era quello tramandato da una tradizione
popolare orale, non altrimenti attestata, che prevedeva l’abluzione con l’acqua presa da
sette fontane diverse. In altre zone d'Italia alla vigilia di questa festa, la ragazza che voleva
conoscere il futuro amoroso esponeva sul davanzale della finestra un boccale di vetro
riempito con acqua attinta da ben sette fontane, sulla quale venivano versate due
cucchiaiate, e non più, di chiara d'uovo: al mattino, le interessate, guardando la superficie
dell’acqua nella caraffa, vi potevano scorgere le fattezze del futuro marito.

SANTULUSSURGIU
sorgenti di Sette Fontane

1
Il toponimo Sette Fontane, presente in numerose località italiane ed europee ad indicare sia il monte che il torrente che
alimenta le sorgenti, in molti casi non influisce sull’intitolazione della stessa località e dei centri abitati insistenti, che
mantengono inalterati i loro nomi, evidentemente diversi da questo.
2
D.P. GUERANGER, L'anno liturgico, III, Il tempo Pasquale, Alba 1957.
3
La Bibbia concordata, a cura della Società Biblica Italiana, Ravenna 1968, p. 2216.
CISTERCENSI E GIOVANNITI

Il fatto che, più che altri Ordini, proprio i cistercensi utilizzarono frequentemente il
termine “font – fontana” per identificare i loro stanziamenti1, intitolando in modo
particolare nel 1132 col nome di Sept-Fons2 una delle loro più importanti abbazie, ci fa
intuire che forse proprio in quest’ambito potrebbero essere ricercate le origini della
fondazione del primo stanziamento monastico di «Sette Fontane». Nonostante siano
rimaste poche testimonianze sui possedimenti che i cistercensi avevano in Sardegna nel
medioevo, sappiamo che l'area d'influenza delle due abbazie
di Santa Maria di Caraneta e di Santa Maria Salvada, presso
Bosa, e di quella di Santa Maria di Corte, presso Sindia, fu
tanto estesa da toccare buona parte del Marghine e l'intera
Planargia3: oltre alle aziende agricole di San Pietro di Sindia e
di San Lorenzo di Silanus, è ipotizzabile che anche Sette
Fontane, possa essere stata una grangia a carattere agricolo –
forestale dipendente da una di queste abbazie, attrezzata
anche per fungere da ospedale per il ricovero di viandanti,
pellegrini ed infermi.
In seguito ad alterne vicende, intorno alla seconda
metà del XII secolo tale ospedale probabilmente passò in uso
agli Ospedalieri di San Giovanni, la cui presenza nel regno
d’Arborea è attestata per la prima volta nel 1198 in una lettera
papale, in occasione di una controversia tra l'arcivescovo
SINDIA – Santa Maria di Corte d'Arborea ed il suo capitolo di canonici rappresentato dal
presbitero Pietro de Staura, sotto il pontificato di Onorio III°,
nella quale risulta appunto che un Giovannita fece le veci dell'arcivescovo d’Arborea in sua
assenza4.
I Giovanniti risultano comunque presenti nel 1216 anche negli altri Regni giudicali
dell’isola in quanto lo stesso papa Onorio III, con la bolla Inter cetera del 21 novembre di
quell’anno, in riferimento ad un sussidio per la Terra
Santa, si rivolge anche ai «Magistris (Militiae Templi et
Hospitalis Gerosolimitani)» della Provincia Calaritana,
Turritana ed Arborense5.
Nella seconda metà del secolo XIII, al dissolversi del
giudicato di Torres, la zona a sud della curadorìa di
Frussia passa al giudicato d’Arborea, ed è probabilmente
questo il momento in cui i sovrani arborensi fondarono la
curia di San Leonardo, affiancandola alla già esistente
struttura ospedaliera di Sette Fontane ed affidandola
proprio all’Ordine Gerosolimitano. Infatti nella SINDIA - scultura del chiostro del
Monastero di Santa Maria di Corte
pergamena in questione lo stesso Mariano IV attribuisce

1
I cistercensi hanno edificato le loro abbazie dandole nomi composti con aggettivi ornamentali che, con trasparente e
immediato riferimento alla vita spirituale, creano una sensazione di luce, di freschezza, di chiarore, di profumo:
Aiguebelle, Fontfroide, Bonneval, Clairmont, Clairvaux.
2
L’abbazia di Sept-Fons (Septem-Fontes), sita in Francia nell’Alvernia, presso Diou (Allier), fu filiazione dell’abbazia
di Fontenay, in linea con quella di Clairvaux.
3
Cfr. I cistercensi in Sardegna, atti del Convegno di Studi a cura di G. Spiga, Silanus 14-15 novembre 1987, Nuoro
1990, p. 31 e sgg.; G. MASIA, L’abbazia di Cabuabbas di Sindia (1149) e il suo influsso spirituale e sociale nei
secoli XII e XIII, Sassari 1982, p. 34 e sgg.;
4
J.P. MIGNE, Patrologia Latina cursus completus – Series Latina – Parigi 1878–1969, vol. 214, lib. I, ep. CCXXIX,
col. 294/7, p. 294.
5
ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Reg. Vat. 9 – Cfr.: P. PRESSUTTI, Regesta Honoris PP. III, Roma 1888 –
1895, a. I, p. 21.
a se stesso ed alla propria famiglia dei Bas Serra la paternità della fondazione della
curia Giovannita di San Leonardo, per lo zelo devozionale verso questa istituzione,
comprovata anche dalla presenza di «antiquos quaternos composicionum nostre curie»
che ne attestavano la sussistenza da vecchia data.
Da quel momento, avendo ricevuto una dotazione di tutto rispetto1, la precettoria di Sette
Fontane diventerà tanto importante da essere eletta a capo delle proprietà e delle altre case
dell’isola, per il predetto Ordine.
Solamente dal 1384, però, si ha notizia della dipendenza dal priorato di Pisa della
precettoria di San Leonardo di Sette Fontane2.

SANTU GIUANNI DE IS FRORIS

Il documento giudicale in esame chiarisce diversi aspetti, finora


inediti, sulla vita sociale svolta dai “servi” e dagli uomini
“liberi”3 a Sette Fontane e al castello di Montiverro, e descrive i
rapporti che legavano i sudditi al priorato Giovannita.
Tra le importanti festività, in occasione delle quali era
obbligatorio il pagamento di tributi, viene citata la festa in
onore del patrono dell’Ordine, San Giovanni Battista, detta di
“San Giovanni dei Fiori”.
Il culto di questo santo, presente a Tharros nel secolo XI, fu
portato ad Oristano forse dagli stessi abitanti di quella città
dopo il 1070. Lo studioso Maurizio Casu, in riferimento alla
rappresentazione di San Giovanni Battista nel retablo della
Madonna dei Consiglieri, datato 1565 e realizzato da Antioco
Mainas per il Consiglio Civico della città di Oristano, tenendo
conto che nelle rappresentazioni dei famosi retabli dei Consigli
ORISTANO civici delle città di Barcellona e Cagliari sono rappresentati i
chiesa San Giovanni de Venis santi patroni delle stesse – rispettivamente, Santa Eulalia e
San Giovanni Battista
Santa Cecilia – ipotizza un ruolo straordinario del Battista per
Oristano, se non proprio quello di patrono stesso della città4.
Aggiungiamo noi che questo fatto, se appurato, potrebbe confermare anche il profondo
legame che anticamente esisteva proprio tra le istituzioni civili e religiose della città di
Oristano e l’Ordine Giovannita, il quale aveva probabilmente in uso anche l’ospedale di
Sant’Antonio di questa città.

1
Una serie di documenti custoditi negli archivi italiani ed esteri, tra cui i cabrei AOM 5947 (compilato nel 1660, con
memorie risalenti al 1650) e AOM 5969 (compilato negli anni 1627-29, con memorie risalenti al 1560) custoditi
presso la National Library of Malta ed appartenenti all’Archivio dell’Ordine di Malta, descrivono minuziosamente la
dotazione di beni della commenda di San Leonardo. Cfr.: O. P. ALBERTI, Il priorato di S. Leonardo di Sette
Fontane, in «Frontiera», I, 1971, pp. 525-526, ora riedito in Id., Scritti di storia civile e religiosa della Sardegna,
Cagliari 1994, pp. 105-108.
2
NATIONAL LIBRARY OF MALTA, manoscritto AOM 281, f. 55v.
3
Crediamo sia corretto interpretare le lettere «s.» ed «l.», riferite agli abitanti di Sette Fontane, come «serbus» (servo) e
«lierus» (libero). Cfr. E. MELIS, L’Ordine di San Giovanni cit., p. 63, nota 12.
4
M. CASU, De sa cittad’e Tharros portant sa pedra a carros e … su santu patronu?, in corso di stampa nei Quaderni
Bolotanesi.
Esiste ancora oggi ad Oristano una chiesa
risalente al periodo medioevale,
anticamente intitolata a San Giovanni de
Venis 1, che oggi viene chiamata col nome
della stessa festa, San Giovanni de is Froris
(dei Fiori), intitolazione che in un tempo
imprecisato ha di fatto sostituito
probabilmente quella originaria: essa è la
sede del gremio dei Contadini di San
Giovanni, erede della tradizione di una
antica confraternita di mestiere, che da
qualche secolo mantiene viva la tradizione
equestre riproposta nel tempo attraverso la
Sartiglia ed il palio di San Giovanni,
ORISTANO - chiesa San Giovanni de Venis
manifestazioni che ricordano da vicino le
giostre e gli addestramenti equestri militari
medioevali.
Ebbene, il legame tra il santo patrono del Gremio e forse della città di Oristano, la festa
detta di “San Giovanni dei Fiori”, la chiesa oggi così chiamata e le tradizioni equestri
tramandate attraverso lo stesso Gremio dei Contadini legato prima che a Sant’Isidoro
proprio al Battista, ci portano ad ipotizzare un antico collegamento con l’Ordine
Giovannita. Anche ad Isernia si ha memoria, ancora nel 1948, che in occasione della festa
di San Giovanni dei Fiori, «alcuni bimbi del rione erigono un altarino proprio nel sito in
cui, poco più di un secolo addietro, esisteva una delle due chiese del Sovrano Militare
Ordine di Malta», intitolata a San Giovanni, andata distrutta per gli effetti del terremoto
del 18052.

IL FRATE-NOTAIO MARCO DE VITA E IL RESTAURO DELLA CHIESA

La pergamena giudicale attesta, infine, il restauro del


complesso ospedaliero di Sette Fontane eseguito dopo il
periodo di completo abbandono amministrativo, descritto
nel testo come «reparationem et rehificacionem dicte Curie
de Septemfonta[nis]», effettuata in modo «diligenter et
efficaciter … non sine magnis oneribus expensarum dal
religiosus frater Marchus de Vita», il quale «laboravit et
laborare non cessat».
Tali affermazioni confermano tutte le analisi architettoniche
e storico artistiche sinora effettuate sulla fabbrica del
monumento chiesastico3. Sulla base degli elementi finora
raccolti, vogliamo precisare, in riferimento all’analisi fatta
dal Delogu, che l’ampliamento della chiesa fu realizzato
probabilmente non a seguito dell’accresciuta SANTULUSSURGIU
chiesa San Leonardo di Settefontane
1
C. BATTLE, Noticias sobre los negocios de mercaderes de Barcelona en Cerdena hacia 1300, in La Sardegna nel
mondo mediterraneo, I Convegno internazionale di studi geografico-storici (Sassari, 7-9 aprile 1978), n. 2, p. 287
2
M. GIOIELLI, Il comparatico di San Giovanni, in «POLIS», 2, Isernia 2002, p. 12.
3
Cfr.: D. SCANO, Storia dell’arte in Sardegna dal XI al XIV secolo, Cagliari-Sassari 1907, pp. 320-322; G.
CRUDELI, Chiesa di San Leonardo di Siete Fuentes in territorio di Santulussurgiu, in «Studi Sardi», X-XI (1952),
pp. 477-490; R. DELOGU, L’architettura del Medioevo in Sardegna, Roma 1953, pp. 129, 235-236; R. CORONEO,
La chiesa di San Leonardo di Siete Fuentes, in Santulussurgiu dalle origini alla grande guerra, a cura di G. Mele,
Nuoro 2005, II, p. 45-58.
importanza dell’annesso ospedale ma in seguito al un precedente degrado degli
stessi edifici, tanto da impedire il normale utilizzo delle strutture assistenziali e della stessa
chiesa. Possiamo infine correggere la cronologia della seconda fase costruttiva della chiesa,
proposta dallo Scano «agli ultimi del XIII secolo»1 e dal Coroneo «entro l’anno 1341»2,
spostandola entro l’anno 1363, con la notizia del restauro ad opera del frate Marco de Vita.
Questo frate ospedaliere, molto vicino al sovrano tanto da essere chiamato da lui stesso
«familiaris noster antiqus», si preoccupò in quegli anni delle sorti della precettoria, e fu
proprio lui a rappresentare l’Ordine nella citata controversia.
Infatti, esaminando attentamente uno dei fori del manoscritto giudicale, in
corrispondenza del quale, al centro di una riga di testo ed in corrispondenza di una
piegatura, si dovrebbe leggere il nome del frate ospedaliere, possiamo notare ancora dei
lacerti di pergamena, i quali, rigirati con cura, permettono di leggere chiaramente una
lettera “M”, iniziale verosimilmente di Marco de Vita, il quale opera come «vice et nomine
dicti hospitalis»3.
Per capire il peso dell’affermazione «familiaris noster
antiqus», rivolta da Mariano IV nei confronti di Marco de
Vita, si deve tener presente che, dopo la perdita dei
territori in Terra Santa nel 1291, i Gerosolimitani non
potendo nell’immediato incrementare il loro patrimonio, si
dedicarono maggiormente ad attività finanziarie. Mentre la
casa madre a Gerusalemme godeva della protezione del re
di Gerusalemme, della Chiesa siriana e di influenti famiglie
nobili, nelle precettorie in periferia per la ricchezza
dell’ordine furono determinanti, oltre alla questua e alla
protezione papale, soprattutto i legami con la nobiltà
locale.
Ed ecco perché anche in Sardegna, dove la presenza SANTULUSSURGIU
degli Ordini equestri ed ospedalieri era stata fortemente Chiesa San Leonardo Settefontane
voluta e favorita dalle famiglie degli stessi regnanti locali, croce
troviamo ancora nel 1353 l’ospedaliere Marco de Vita nel
Regno d’Arborea, notaio “familiare” del sovrano Mariano IV di Bas – Serra, e al tempo
stesso luogotenente e vice gerente del priore dell’ospedale di San Leonardo di Settefontane,
che godendo di tale appoggio, pur non ricoprendo la carica di priore, si prodigherà per la
ricostruzione degli edifici del medesimo priorato.
Le fonti storiche ci informano che Marco de Vita, prima di entrare nell’ambiente giudicale,
il 15 marzo 1348 fu «auctoritate illustrissimi domini regis Aragonum notarius publicus
per totius Sardiniae, et Corsicae regnum»4, cioè notaio del Re aragonese Pietro IV per il
regno di Sardegna e Corsica, e il 24 maggio 1348 «tam imperiali auctoritate ubique, quam
illustris domini domini Regis Aragonum notarius publicus tocius Regni Sardinie et
Corsice»5. Questo fatto non deve stupire, visti i rapporti stretti che intercorrevano tra i
regnanti della Corona d’Aragona ed i Giovanniti.

1
D. SCANO, Storia dell’arte in Sardegna dal XI al XIV secolo, Cagliari-Sassari 1907, pp. 320-322;
2
R. CORONEO, La chiesa di San Leonardo di Siete Fuentes cit., p. 56.
3
Il Melis, non soffermandosi su tale foro, afferma che «con tutta probabilità il nome che manca è Albertum, cioè frate
Alberto de Senis». Cfr.: E. MELIS, L’Ordine di San Giovanni cit., p. 63, nota 19. Un dubbio su tale affermazione
nasce già dal fatto che tale Alberto figura già come priore di Sette Fontane, mentre il testo di seguito al foro riporta un
«locumtenentem, ac vices gerentem dicti prioris hospitalis sancti Leonardi de Septem fontanis», titoli che indicano
indiscutibilmente una persona diversa. L’iniziale di Marco de Vita nel testo chiarisce poi l’equivoco.
4
P. TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, Torino 1861, tomo I, parte seconda, doc. LIV, p. 720.
5
D. SCANO, Codice diplomatico delle relazioni tra la Santa Sede e la Sardegna, Cagliari 1940, parte prima, doc.
CDXCII, p. 353.
Ma in un documento del 22 novembre 1352, Marco de Vita figura già impegnato all’interno
della curia regia giudicale, comparendo come «notarius et familiaris ipsius nobilis iudicis
Arboree»1. Subito dopo, il 16 agosto 1353, stenderà il documento per la costruzione del
castello del Goceano voluto da Mariano IV2.
Sarà presente successivamente anche
alle Corti di Cagliari indette da Pietro IV
d’Aragona, dove il 26 febbraio 1355 rogherà la
procura a favore di Raniero di Bonifacio dei
Gualandi quale rappresentante del re Mariano
IV d’Arborea3; mentre il giorno 27 febbraio
1355 rogherà ad Oristano la procura del priore
dell’ospedale di Sant’Antonio di Oristano, Frate
Antonio Gallani de Cirreto, a favore di Alberto
de Senis, priore di San Leonardo di Septem
Fontanis, come suo rappresentante alle
suddette Corti4.
Il 14 marzo 1355 compare per la prima
volta con il nome di «Guyllermus Marchus de ORISTANO
Vita, auctoritate Regia totius regni Sardiniae chiesa di Sant'Antonio nel XIX secolo
et Corsicae notarius»5.
Rivestendo una carica così importante, ed essendo a fianco al sovrano d’Arborea durante il
conflitto con la Corona d’Aragona, non poteva non essere presente nella stesura degli atti
relativi ai Procesos contra los Arborea6 figurando dapprima il 14 maggio 1355 come
«auctoritate regia notarium publicum totius Regni Sardinie et Corsice»7, poi l’11 luglio
1355 come «notarii publici per totam terram et dominationem dominis regis ac scriptoris
iurati»8, ed il 13 settembre 1355 come «Prothonotarii»9.
Fortunatamente le fonti ci informano anche della sua carica all’interno dell’Ordine
equestre: «locumtenentem, ac vices gerentem dicti prioris hospitalis sancti Leonardi de
Septem fontanis»10, «religiosi fratris Marchi de Vites de ordine Ospitalensis beati
Johannis Jherosolimitani»11, ma non forniscono ulteriori notizie su questo personaggio
che, probabilmente già prima della morte di Mariano IV d’Arborea avvenuta nel 1375, non
faceva più parte della curia regia, uscendo definitivamente dalla scena politica ed
istituzionale.

1
Proceso contra los Arborea, VI, COllezione di DOcumenti per il REgno di SArdegna – Collana del CNR-ISEM, a
cura di S. Chirra , V. Greco, M.G. Farris, C. Patricolo, doc. 46, in corso di stampa,
2
P. TOLA, Codex cit., tomo I, parte II, doc. XCIII, p. 762.
3
Acta curiarum Regni Sardiniae – Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona (1355), a cura di G. MELONI, Cagliari 1993,
doc. 46, p. 90.
4
ARCHIVO DE LA CORONA DE ARAGÓN (ACA), Cancilleria, Pergaminos, Pere III, 274/1905; Il Parlamento di
Pietro IV cit., pag. 224–225.
5
P. TOLA, Codex cit., I, parte II, doc. CI, p. 768.
6
Si tratta di una serie documentaria composta da dieci registri contenenti le copie degli atti del processo feudale per
ribellione e lesa maestà avviato dai funzionari regi in origine contro il giudice Mariano IV nel 1353. i procedimenti
legali, che riflettono l’evolversi dei rapporti politici tra il Regno di Sardegna e Corsica e il Giudicato d’Arborea,
furono proseguiti anche nei confronti dei successori del giudice oristanese giungendo fino agli anni 1392-93. Cfr.: L.
GALLINARI, Gli ultimi anni di esistenza del Regno giudicale d’Arborea: riflessioni e prospettive di ricerca, in
Medioevo Saggi e Rassegne, 25, Pisa 2002, p. 164, nota 19.
7
Proceso cit., I, doc.19, p. 110.
8
Idem, doc.48, p. 184.
9
Idem, doc.43, p. 173.
10
In questo caso la fonte è la stessa pergamena giudicale qui in esame.
11
Proceso cit., I, doc. 93; Idem, VI, doc. 85, 86, 87, 88, 108, 109, 110.
UNA GUERRA TRA LE DUE “LINGUE”

Dai Procesos giunge la conferma anche sul «religiosus frater Paulus de Corneto prior
prioratus ipsius …», che non è «Priore di Pisa, del quale priorato la domus di Sette
Fontane ha sempre fatto parte fino alla fine del XVIII secolo, quando entrò a far parte del
priorato di Lombardia, anch’esso della Lingua italiana» come riporta il Melis1, ma “priore
dello stesso priorato” cioè del priorato di Sette Fontane, come confermato in vari atti dei
Procesos che attestano il «venerabilium et religiosorum domini fratris Pauli de Corneto,
militis de ordine Hospitalis beati Johannis Jherosolimitani ac prioris de Septem
Fontanis»2.
I motivi che possono aver causato la totale desolazione della mansione di Sette
Fontane, di cui si accenna nel manoscritto giudicale, possono essere ricercati nella
possibile confusione amministrativa dovuta probabilmente alla contemporanea presenza
sia della Lingua Italiana3, che appoggiava in primis i sovrani dei regni giudicali grazie ai
quali si era instaurata nell’isola, che alla presenza alquanto consistente della Lingua
Aragonese, la quale fornì uomini e mezzi durante le fasi della conquista dell’isola e per
questo fortemente remunerata di beni e di incarichi istituzionali dal sovrano aragonese:
vediamo infatti nel 1323 la presenza del Castellano d’Amposta Martin Perez d’Oros che, a
capo di truppe ausiliarie composte da un buon numero
di cavalieri e di fanti4, partecipa e muore durante
l’assedio di Iglesias5, e del Gran Priore di Catalogna
frate Ramon d’Empuries che nel 1339 ebbe in
affidamento prima il castello di Pedres6 presso Olbia,
che già deteneva da tempo, unitamente alla capitania
dell'intera gallura7 e allo stipendio di tre cavalli
armati8.
Nel 1324 quando la guerra entrava nella sua fase più
drammatica il re aragonese Giacomo II° nominava
priore dell'Ordine Ospedaliero dell'isola, come atto di
riconoscenza, un certo frate Lope: quest’atto fu
deliberatamente in netto contrasto con i principi
OLBIA - castello di Pedres (1358)
dettati dalla Regola dell’Ordine, e con l’organizzazione

1
E. MELIS, L’Ordine di San Giovanni cit., p. 63, nota 10.
2
Proceso cit., I, doc.93; Idem,VI, doc. 88, 110.
3
Durante un Capitolo Generale dell’Ordine, convocato nel 1319 a Montpellier dal Gran Maestro Fra' Elione de
Villeneuve, fu deciso di riunire gli Ospedalieri in compagnie corrispondenti ai loro paesi di provenienza. Quei gruppi
furono chiamati Lingue ed ebbero a capo un «Piliero», al quale spettava di diritto una carica nel governo.
Inizialmente vennero istituite le Lingue di Provenza, Alvernia, Francia, Italia, Aragona, Inghilterra (con Scozia e
Irlanda) e Alemagna. Piú tardi, nel 1462, Castiglia e Portogallo si separarono dalla Lingua d'Aragona e costituirono
l'ottava. Ogni Lingua comprendeva Priorati o Gran Priorati, Baliaggi e Commende. Cfr.: M. M. MARROCCO
TRISCHITTA, Cavalieri di Malta. Una leggenda verso il futuro, Roma 1996, p. 9.
4
Cfr.: A. ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña por Jaime II de Aragón, Barcellona 1952, n.10, p. 212:
l’autore sostiene che il numero dei fanti doveva aggirarsi intorno alle cinquecento unità.
5
Cfr.: G. ZURITA, Anales de la Corona de Aragón, Saragozza 1610, VI, 46, f. 50v, sgg.; Chronique Catalane de
Pierre IV de Aragón, III de Catalogne, Tolosa-Parigi 1941, I, 22, pp.30 e sgg.; A. LUTTRELL, The Aragonese
Crown and the Knights Hospitallers of Rhodes: 1291–1350, in «English Historical Review», 76 (1961), p. 11.
6
ACA, Canc. cit., C.R.D., cassa 7, carta 895, regestata da L. D’ARIENZO, Carte Reali Diplomatiche di Pietro IV il
Cerimonioso, re d’Aragona, riguardanti l’Italia, Padova 1970, n. 57, p. 28; cfr.: G. MELONI, L’attività in Sardegna
di Raimondo d’Ampurias, dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, in Anuario de Estudios Medievales, XI,
Barcellona 1981, pp. 549 – 558.
7
ACA, Canc. cit., C.R.D., cassa 7, carta 896, regestata da L. D’ARIENZO, Carte Reali cit., n. 58, p. 28; cfr.: G.
MELONI, L’attività in Sardegna di Raimondo d’Ampurias, cit., pp. 549 – 558.
8
ACA, Canc. cit., C.R.D., cassa 7, carta 897, regestata da L. D’ARIENZO, Carte Reali cit., n. 59, p. 29; cfr.: G.
MELONI, L’attività in Sardegna di Raimondo d’Ampurias, cit., pp. 549 – 558.
gerarchica Giovannita già esistente nell’isola, data l’esistenza del priore frate Domici
Durberto1 appartenente alla Lingua italiana.
Lo scopo evidente del sovrano era quello di voler creare dei maestrats, direttamente
dipendendi dalla Corona d’Aragona, con dei naturals del regno fedeli allo stesso,
escludendo gli ospedalieri pisani appartenenti alla Lingua italiana. Lo stesso sovrano il 5 di
novembre 1325 prese sotto la sua protezione los Hospitalarios de Cerdeña2, intendendo
probabilmente quelli di Lingua aragonese.
Inoltre, questi frati ospedalieri iberici che ricevettero in feudo le proprietà isolane, non
essendo residenti nell’isola, probabilmente si disinteressarono completamente alla loro
amministrazione e, per possibili ragioni gerarchiche e politiche, non fecero alcuna procura
ad altri ospedalieri di differente estrazione e Lingua, come quella italiana stanziatasi già da
tempo nel regno d’Arborea.

CRISI E DECADENZA DI “SETTE FONTANE”

Oltre a questi fattori istituzionali interni, il dilagare nel 1347


della peste nera, se da una parte uccise pochi Ospedalieri che
conducevano una vita sana nelle zone rurali e con buona
alimentazione e controllo medico, al contrario decimò la
popolazione, riducendo forzatamente le rendite e causando
conseguentemente il crollo dei prezzi delle coltivazioni3.
Tutti questi fattori contribuirono a determinare una crisi nel
governo della villa di Sette Fontane ed il progressivo
decadimento degli edifici evidenziato nel documento dallo stesso
sovrano Mariano IV, avvenuto tra il 1357 ed il 1360, seguito da
una successiva riparazione e riedificazione degli stessi ad opera
del religioso frate Marco de Vita, attestata come abbiamo visto
nel 1363.
Stessa sorte seguirono altre domus dell’isola, come quelle
di Uta e di Pittinurri, che furono totalmente abbandonate e
finirono successivamente in mani diverse4. UTA – Chiesa di Santa Maria
croce

1
Cfr.: J. MYRET y SANS, Itinerario del Rey Alfonso III de Cataluña IV de Aragòn, el conquistador de Cerdeña, in
«Boletin de la Real Academia de Buenas Letras de Barcelona», 34, Barcelona 1909, p. 62.
2
ACA, reg. 392, f. 136 – cfr. A. LUTTRELL, Actividades economicas de los Hospitalarios de Rodas en el
Mediterraneo occidental durante el siglo XIV, in VI Congreso de historia de la Corona de Aragon celebrado en
Cerdeña en 1957, p. 182, nota 53.
3
cfr.: A. LUTTRELL, Las Ordenes Militares en la sociedad hispânica. Los Hospitalarios Aragoneses: 1340-1360, in
«Anuario de Estudios Medievales», XI, Barcelona 1981, p. 594.
4
In due documenti del 1363, indirizzati dal re catalano – aragonese Pietro IV° rispettivamente ad Umberto Çes Corts
maestro dell’Ordine di Alfama, ed a Berengario Carroz, conte di Quirra, la domus Sancte Marie d’Uta è citata come
possesso dell'Ordine ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, ma risulta a quell'epoca deserta "propter malam
administrationem suorum dominorum seu aministratorum" e per questo fu affidata allo stesso Ordine di Alfama. Cfr.:
ACA, Canc. cit., reg. 1036, ff. 134r e 135v; L. D’ARIENZO, S. Saturno di Cagliari e l'Ordine militare di S. Giorgio
de Alfama, in «Archivio Storico Sardo», 34, 1983, p. 43–80.
Il locus de Pitxinurri fu devastato da un incendio il 16/08/1353, e fu forse a causa anche di questo motivo che tale
mansione gerosolimitana fu aggregata a quella di Uta, vista la convocazione agli Stati Generali di Cagliari del 1355 di
un non identificato priore di Sancte Marie d’Uta e Pixanurri. Cfr.: CNR – ISEM, Proceso cit., II, doc. 19, p. 107 e
sgg.Cfr.: Acta curiarum Regni Sardiniae – Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona (1355), a cura di G. MELONI, cit.,
p. 80, p. 165 doc. 2 e p. 257 doc. 60; ACA, Canc. cit., Sardinie, reg. 1025, c. 15v; ACA, Canc. cit., Papeles por
incorporar, cassa 22, n. 484, c. 3.
In seguito, pur essendo stata concessa in feudo a privati, Pittinurri restò in mano agli Arborea sino alla fine del
Giudicato: nonostante ciò l’Ordine Giovannita non perse mai i diritti sui suoi territori, come risulta da notizie risalenti
Non siamo in grado di sapere se in qualche modo Marco de Vita ed i priori di San
Leonardo siano stati coinvolti nelle trattative che, a partire dal 1369 e sino alla morte di
Mariano IV d’Arborea nel 13751, si svilupparono tra Arborea, Corona d’Aragona e Papato
per porre fine alla guerra che si svolgeva da ormai un ventennio.
Il Luttrell evidenzia che «intorno all’agosto del 1370, Pietro IV d’Aragona
proponeva al papa il progetto secondo cui i “giudici” d’Arborea avrebbero dovuto
lasciare la Sardegna rinunciando a tutti i loro possessi in quest’isola in cambio di varie
terre possedute dagli Ospedalieri in Italia»2. La proposta venne rinnovata nel novembre
dello stesso anno e sostenuta con la tesi che tale scambio sarebbe stato vantaggioso anche
per l’Ospedale dal momento che la Sardegna era
molto fertile e in grado di fornire vettovaglie ed altri
prodotti a Rodi: «per ço car la terra de Serdenya es
molt fertil e porien sen acorrer de viandes en Rodes e
en altres parts»3. I precettori italiani allora reggenti le
terre che sarebbero passate in possesso del “giudice”
sarebbero stati trasferiti in precettorie ma sostituiti
successivamente da naturals del re provenienti dalla
Catalogna o dall’Aragona, oppure inviati «en la terra
ferma deça mar», ossia nella penisola iberica, mentre
in Sardegna sarebbero stati nominati subito dei
precettori catalani o aragonesi. Tutto questo sarebbe
stato preceduto, naturalmente, da una stima accurata
delle terre italiane e sarde. Se il papa, il maestro
dell’ordine e gli stessi Ospedalieri non fossero stati
d’accordo, il re si dichiarava disposto ad offrire loro
alcune città reali della Sardegna4. «Questo singolare
progetto non ottenne alcun consenso, e nel 1371 SANTULUSSURGIU
Pietro IV d’Aragona pensava ad una spedizione Chiesa di San Leonardo di Settefontane
cornice del campanile
armata che, però, non raggiungeva la Sardegna».5
Fu questo clima di tensione che probabilmente generò i contrasti e le
incomprensioni evidenziate nel nostro documento giudicale, e che portarono lo stesso
priore di Sette Fontane Alberto de Senis, verso la fine del suo mandato intorno al 1357, a
rivolgersi ai “servi” e ai “liberi” subalterni della stessa villa con frasi minacciose, dicendo
loro di avere il potere assoluto sopra di essi tanto da poterli vendere a 5 soldi se soltanto
voleva.
Lo stesso re Mariano IV d’Arborea precisa che gli stessi abitanti della villa gli confessarono
di essere rimasti in questa situazione di tensione anche sotto la direzione

1
Sull’effettiva morte di Mariano nel 1375 e non nel 1376, si veda, M.G. SANNA, La morte di Mariano IV d’Arborea
nella corrispondenza di Pietro IV d’Aragona, in Momenti di cultura catalana in un millennio, VII Convegno
dell’AISC (Napoli, 22-24 maggio 2000), a cura di A.M. COMPAGNA, A. DE BENEDETTO, N. PUIGDEVALL I
BAFALUI, Napoli 2003, II, pp. 475 – 486.
2
A. LUTTRELL, Gli ospedalieri e un progetto per la Sardegna: 1370 – 1374” in SOCIETA – ISTITUZIONI –
SPIRITUALITA’ – studi in onore di Cinzio Violante, Centro di studi sull’alto Medioevo, Spoleto 1994, I, p. 504;
ACA, reg. 1240, ff. 104; cfr.: J. VIVES, Galeres catalanes pel retorn a Roma de Gregori XI en 1376, in «Analecta
Sacra Tarraconensia», VI (1930), p. 85.
3
A. LUTTRELL, Gli ospedalieri e un progetto per la Sardegna cit., I, p. 504; ACA, reg. 1240, ff. 104; cfr.: J. VIVES,
Galeres catalanes cit., VI (1930), p. 85.
4
ACA, reg. 1227, ff. 119 – 120.
5
A. LUTTRELL, Gli ospedalieri e un progetto per la Sardegna cit., I, p. 504.
degli altri priori che si susseguirono fino a quella data per l’amministrazione della
precettoria.
Successivamente, nella primavera del 1374, il re Pietro IV d’Aragona riproponeva al
papa il progetto sopra citato e inviava ad Avignone Ramòn de Villanova perché
sottoponesse al pontefice questo suo piano, che lo stesso inviato considerava ormai l’unica
via possibile per una soluzione del problema sardo1. Ma nulla fu fatto poiché lo stesso
Pietro IV nel novembre del 1376 chiedeva al priore degli Ospedalieri in Aragona Juan
Fernàndez de Heredia, Castellano d’Amposta, di esercitare la sua influenza sul pontefice
per risolvere sia la questione degli ordini militari castigliani che il problema sardo2. Ma
ancora una volta si risolse tutto in un nulla di fatto.
In seguito, dopo la morte del sovrano aragonese nel 1387, i figli Giovanni I e
Martino I, pur occupandosi durante i loro regni della questione sarda ancora aperta e
praticamente irrisolta, non riproposero l’improbabile ed anacronistico progetto di scambio
tra i beni italiani degli Ospedalieri e le terre del “giudice” d’Arborea3.

Cavalieri ospedalieri di
San Giovanni di Gerusalemme

X
X
X

1
ACA, reg. 1240, ff. 114 – 117 (senza data, ma il 26 aprile 1374 il re scriveva al papa comunicandogli l’arrivo di
Ramòn de Villanova, cfr. L. D’ARIENZO, Carte reali cit. p. 387).
2
Cfr.: J. VIVES, Galeres catalanes cit., pp. 184 – 185.
3
Cfr.: A. LUTTRELL, Gli ospedalieri e un progetto per la Sardegna cit., I, p. 508.
TRASCRIZIONE INTEGRALE DEL DOCUMENTO

[1363, settembre 7, Cuglieri]


Il sovrano Mariano IV d’Arborea, su richiesta degli abitanti della villa di Sette Fontane e
dei priori dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, interviene nella lite sorta tra
questi e dispone la risoluzione della controversia con il ripristino dei vecchi accordi, già
regolamentati e raccolti in altre carte esistenti nell’archivio giudicale.

In nomine Domini Amen. Ex hoc publico instrumento pateat omnibus evidenter quod nos
Marianus Dei gratia Iudex Arboree, comes Goçiani et vice Comes de Basso, notum fieri
volumus universis, quod, cum infrascripti homines utriusque sexus ville de Septemfontanis
districtus castri nostri Montis Verri, Bosanensis dioecesis, ob deffectum et malum regimen
priorum, et specialiter tempore regiminis fratris Alberti quondam Mei de Senis ordinis
Hospitalis Sancti Johannis Jerosolimitani, qui curie prioratus Sancti Leonardi ipsius ville
de Septem fontanis vice et nomine dicti [hos]pitalis tunc temporis praesidebat, cessassent
a solucione feudi et praestacione servitiorum, [quae] eidem hospitali praestare ab hactenus
anno quolibet tenebantur, ex continua derivacione ascendentium eorundem, sicut inferius
particulariter et per ordinem decla[rat]ur, per concessiones scilicet bone memorie
dominorum progenitorum nostrorum prout fuimus [ve]raciter informati [et ob
prae]textum cessacionis ipsius, grandis inter utramque partem fuerit exorta ma[te]ria
questionis, cuius prosecucio ambas partes importabilibus expensis et laboribus fatigabat ac
sperabatur adhuc eas large durius fatigare. Et postea Religiosus frater Paulus de Corneto
prior prioratus ipsius prout sua intererat, nobis humiliter et pluries suplicasset, ut super
hiis deberemus benigniter providere de remediis opportunis, pro reverentia Dei et
Hospita[lis] praedicti. Nos igitur illius supplicationibus inclinati et praesertim quia
religiosus frater Marchus de Vita familiaris noster antiqus, circa reparationem et
rehificacionem dicte Curie de Septemfonta[nis] diligenter et efficaciter laboravit et
laborare non cessat, non sine magnis oneribus expensarum, habita prius informacione
plenaria omnium praemissorum et infrascriptorum, tam scilicet per antiquos quaternos
composicionum nostre curie quam per attestaciones confessionum aliquorum ex
hominibus supradictis et infrascriptis quam alia etiam, de benignitate nostra solita pro
cessanda omni materia questionis solenni deliberacione providimus, quod dicti homines
utriusque sexus et eorum quilibet cum posteris et descententibus eorundem revertantur et
reducantur ad [statum] pristinum solvendi et praestandi anno quolibet ei[dem] hospitali
seu dicto fratri Marc[ho] ac prioribus pro tempore existentibus vice et nomine dicti
hospitalis huiusmodi feuda et servicia consuetta prout […]t cessacionem praedictam
tenebantur […] ac facere consueti. Et similiter dictum hospitale ac priores et fratres ipsius
tenerentur […] et prestare eisdem hominibus et cuilibet eorum illa quae eisdem hominibus
erant soliti dare et prestare […] inferius describitur et notatur. Et nichilominus quod tam1
dictus frater Marchus suo tempore quam a[lii] priores qui pro tempore fuerint teneantur et
debeant continuare fabricam dicte curie de Septemfontanis prout incepta est, et alia facere
quae ipsi […] seu eius ecclesie necessaria extiterint seu etiam opportuna. Cum revera cu[ria
ipsa] quae [ca]put insule pro dicto hospitali ob negligenciam priorum qui pro tempore
fuerant erat totaliter desolata, quod ad dampnum maximum et praeiudicium dicti
hospitalis probabiliter redundabat, nisi quia frater Marchus voluis[set] […] pro dicta
reparacione subire, hoc enim facimus propter zelum devocionis quem [dicto] hospitali
gessimus et gerimus puro corde nos qui sumus de genere fundatorum et dotatorum ipsius
curie et aliorum membrorum [suorum] pro uttilitate et melioramento ipsius hospitalis, [ad
finem] videlicet ut Christi fideles ad benefaciendum [dicto] hospitali fervencius animentur.

1
Aggiunto nell’interlinea superiore e segnalato dal notaio nella completio finale.
Et propterea mandamus expresse omnibus et singulis officialibus nostris, quicumque sint
et quocumque [tempore esse …]nseantur, nec non cunctis hominibus et personis dicte ville
praesentibus et fucturis ut, actenta forma presentis provisionis nostre et omnium quae
inferius per ordinem sunt descripta, ipsam et ea omnia observent et faciant inviolabiliter
observa[ri], [con]tradictores eciam et rebelles ad hoc opportunis remediis conpescendo
sub pena dupli totius eius de quo ageretur. Et similiter dictum hospitale, priores et fratres
ipsius exhortamur ad observantiam praemissorum, prout ad ipsos [spe]ctat, sub pena
reducendi dictos homines ad statum pristinum questionis, prout eos invenimus; et propter
hoc nullum praescriptionis praeiudicium dictis partibus generetur. In cuius rei
testimonium et certitudinem praemissorum fieri mandavimus per notarium nostrum
publicum infrascriptum, duo publica consimilia instrumenta, quorum uno penes homines
dicte ville dimisso, reliqum scilicet presens in curia dicti hospitalis debeat remanere, que in
registris nostre cancillarie et camare eciam ad eternam rei memoriam fecimus registrari et,
cancellatis et cassis aliis quibuscumque que de eadem materia per inantea for|sitan
apparerent; feuda vero [et] servicia quae dicti homines utriusque sexus solvere et praestare
dicto hospitali et eius prioribus ten[ebantur] et versa vice illa quae dictum hospitale et eius
priores eisdem hominibus dare similiter tenebantur, et per quem modum talia esse
noscuntur secundum informacionem inde habitam videlicet die vicesimo quarto februarii
anno dominice incarnacionis millesimo trecentesimo sexagesimo aput Arestanum.
(in lingua sarda – il grassetto è nostro)
In primis chi alcuna partida dessos hominis dessa dita villa de Septe Funtanas
serviant assu hospitali in cussus servicios quillis comandavat su priore de
Septefuntanas çio [est di]es tres sa simana et qui non serviat sas ditas tres
dies pagavat s’annu assu dictu priore soldos baranta octo. Et alcuna atera
partida dessos dictos hominis serbiant assu dictu hospitali dies duas sa
simana [et qui non] boliat serbiri pagavat soldos trintaduos s’annu per
homini assu dictu priore. Et alcuna atera partida dessos | ditos hominis
serbiant assu dicto hospitali dies una sa simana, et qui non boliat serbiri
pagavat soldos […]1 [ass]u priore. Assos quales hominis totos quando serbiant
illis davat su priore battuor panes per homini conpetantes et peça et quando
peça non si mandigavat dessu casu per modu qui si contentavant. Item qui
dessos dictos [hominis] tantu quantu indellis bisognavat assos priores indi
mictiant apaschiri in bestiamini dessa chida aquidas et davat illis pro rasoni
issoro pro sa chida qui paschiant çio est assos qui paschiant in berbegues,
berbegues batuor agnadas s’annu, sas chissi boliat levari, et duas dies de casu
sa simana. Et issos qui paschiant in porchos chi paschiant a chidas aviant pro
rasoni issoro suis battuor porchadas per homini, sas qui si bo[lia]t levari. Et
issos qui paschiant in cabras serviant et levavant su simili comente et dessas
berbegues. Et issos qui paschiant in vachas chi paschiant a chidas aviant pro
rasoni issoro boe unu […] s’annu, et duas dies de casu sa simana. Et issos qui
paschiant in ebas qui guardavant devitu aviant unu boe bedustu per homini
s’annu et una carra de trigu et una carra de orri dessa arg[io]la qui treulavant
assu hospitali. Et davant illis bailia qui si poderent treulari una argiola de
laore s’annu pro dictis et issos dictis torravant assos avasones, si veramente
qui cussos chi serviant tres dies sa simana a tempus de arari serviat duas dies
sa simana ad arari cum iuvo suo, et non plus, et issu qui serbiat duas dies sa
simana, serbiat ad arari cun su iuo suo s’una simana duas dies, et issatera
simana una die. Et niente desminus totos sos scriptos hominis faguiant sos
servicios assa corti dessu segnore nostru iuigue quellis fudi comandadu per
issu castellanu, et pagavant de jadu libras sete s’annu et

1
La cifra che manca è sedici, come risulta indicato nel testo della seconda carta.
libras quinbi de diritu et pegus per sinnu de berbergues, et deguina de porcos
et andavant a corona de Coradoria et silvas, et pagavant subventione quando
indi ghetavant [cosa] comoda et andavant a serviri quando su segnore fudi in
Culleri et qui beniat assa dicta villa de Septefuntanas et portavant duos tragus
de linna s’annu assu Castellu per iugu, et portavant a castellu su laore dessa
massaricia qui si faguiat in nugara et andavant cum litteras ahue los
mandavant. Item davant assos priores sa primicia de laore de vinu et de
bestiamini caviant ogna annu; item davant assos ditos priores unu pec de
petça de segus de ogna fera apru qui ochiant exceptu si furunt in silvas qui
faguiat su Castellanu qui nondellis davant si non aplaguere issoro. Et issos
dictos priores furunt tentos de dare assos hominis et feminas mannos et
pichinnos gasì assos infirmos comente et assos sanus bator prangios sannu,
de pane vinu petça et menestru, çio est pro pascha de resurexione, pascha de
natali, pro sa festa dessu beatu sanctu Johanni de Floris, et pro sa festa de
sanctu Andria, et de sanctu Leonardu qui benit a die .VI. de Sanctu Sadurru et
a calincuna persona qui non bie poderet benne pro infirmidadi o atera cosa
qui avirit, illi mandavant su prangiu suo in fine a domo. Et in custos servicios
et pagas istetirunt in|fine a tempus chi fudi priore fradi Albertu de Senis chi
podet esser dae annos quinbi, over ses chi pro acagione quelli inteserunt
narari meneçiandollis et ponendollis a faguere cussu qui non debiant faguer,
qui ipse aviat [balia] supra issos de pod[erlis] bendere a quinbi soldos s’unu
sitantu boliat. Et issos intendendo custas cosas, et criadas pro sa guerra qui
bennit adicussu puntu bolsirunt ischiri si ipse aviat cussa balia chi naravat
cun ipsos et in custa briga sunt restados cun sos ateros priores quelios sunt
benidos [posca setti anni pro…]. [Sos homines qui] serbiant tres boltas sa
simana sunt sos infrascriptos, çio est: s. Johanni Cocho; s. Manitu Pulliu; s.
Bartolus Cocho; mortu s. Angiolo Cocho; s. Arradinu Canpoti; s. Johanni [de]
Miray; s. Guantinu Mocho; s. Antiogu Frau; s. Johanni Lepore; s. Barcholu
Cadala; s. Maçeu Mocho; s. Leonardu Lepore proprie xij. Sos de duas dies sa
simana sunt custos çio est: s. Barçolu Marchi; s. Comita Locho; s. Simonitu
Locho; s. Johanni Cadone; s. Arsoco Cresche, s. Amodeo Cresche, s. Justu
Spiga, s. Gunnari Frau; mortu s. Jorgi Lochellu; s. Jennaiu Cadone; s.
Leonardu Fara; s. Iacamu Fara; mortu s. Angiolu de Congia; s. Andria
Cuguda; mortu s. Johanni Muntone; s. Marchu Muntone; mortu s. Comida
Çelle; s. Johanni Çelle; s. Petru Çelle; s. Trobini Çelle; s. Petru de Congia; s.
Gaini Fara; s. Angiollu Fara; s. Nicola Muntone; s. Andria Muntone; mortu s.
Petru Fara; s. Petru Mocha; s. Simone Çelle somma per xxviij. Sos qui
serbiant una die sa simana sunt custos çio est: […] Luxorio de Clesia; Petru
Pinna; mortu l. Natalesu Murgia; l. Nicola Dorotelli; l. Julianu Cau; s. Furadu
Vacha; s. Sperandeu Murgia; s. Johanni Pinna; s. Leonardu de Villa; mortu l.
Furadu Masala; l. Larençu Pala; mortu s. Natalesu Vacha; s. Gunnari de Vila;
Gantinu Casa serbu de sancta Maria de Bonarcadu; mortu Johanni Casu
serbu ut supra; s. Gunnari Porru; mortu l. Petru Porru, l. Gantinu Pinna
Congia; l. Saltaro Casole; s. Tomasu Vacha; mortu l. Arsocho de Lella; s.
Albertu Murgia; s. Johanni de [Sii], […] Manieli de Sii; s. Guantinu Vacha.
Anchu totos sos ateros quesi laborant assa Curia dessu Segnore Iuighe serbint
su lunis assu hospitali. Feminas qui sunt tenudas de serviri tres dies sa
simana assu dictu hospitali [et qui] non serbiant pagavant soldos binti s’annu
per femina et tales soldos doigui per femina, secundu sa qualitade desa
femina çio est: xij Jorgia Polia qui fudi de Bagnus; xx Maria Congia; xij Amada
Casa; xx Sar[digna] Mochu; xx Veronniga Mochu; xx Maria de Cugoni; xij
Paulina Casa; xij Lasa Casa; xx Helena | Mocho; xx Pascha Polliu est in
Bagnus; xx Susanna Pulliu est in Bagnus; xx Anna Pulliu; xx Maria Mochu; xx
Agustina Pulliu; xx Susanna Mochu est in Sagama; xx Bera Prunchis; xx […];
xx Bera de Congia de Senuschi; xx Sardigna Poligui de Senuschi, xij Martina
Casa in Senuschi; xx sa figia de Leonardu Fara et est in Senuschi et ad anomen
Juliana Pulliu.
Actum in villa de Culleri in regia curia dicti domini, presentibus reverendo in Christo patre
domino fratre Bernardo archiepiscopo cosolon.1 in sacra theologia magistro, Manfrido
Johannis Siculo, et Baldiçono de Baldiçonis siculo, et Laurentio de Martis familiaribus
dicti domini testibus ad haec rogatis die septimo septembris anno dominice incarnationis
millesimo trecentesimo sexagesimo tertio2, secundum cursum et consuetudinem provincie
Arboree.

[1363, ottobre 12, Cuglieri]


Il sovrano Mariano IV d’Arborea, convoca davanti al suo cospetto il frate Marco de Vita,
rappresentante dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, ed il majore ed i giurati che
rappresentavano le persone della detta villa di Settefontane, per ricomporre la vertenza
con un accordo, sancito con nuove condizioni, col mutuo consenso e la convenienza di
entrambe le parti.

Postea vero, cum lis questio et controvertia esset, et verti diucius speraretur, inter dictum
Religiosum fratrem M[archus de Vita] nunc locumtenentem, ac vices gerentem dicti prioris
hospitalis sancti Leonardi de Septem fontanis dicto nomine ex una parte, et homines dicte
ville de Septemfontanis ex altera, pro eo quia dicti homines se senciebant multipliciter
gravatos de et pro hiis, quae eis exigebantur, per dictum locumtenentem et vices gerentem
prioris vigore et occasione praedicte concessionis et carte dicto hospitali desuper
scriptarum per dictum magnifficum dominum iudicem, asserent[e]s praedicta salva
renuncia dicti domini Iudicis tacita veritate impetrata fuisse, et se ad praedicta de iure non
teneri nec posse resiste[re] ad ea, ymmo nisi alia provideret[ur] super praedictis de
conpetenti iuris remedio opporteret eos dictam villam desererem, [cum vero] vices gerente
prioris contrarium asserente. Igitur cum dubius sit litis eventus, praedictus vices gerens
prioris nomine praedicto ac vice et nomine dicti hospitalis ex una parte, et Guantinus de
Pira maior dicte ville de SeptemFontanis, Comita Sali et Gonnarius Fara iurati de loco
dicte ville, Laurentius Pala, et Jenargius Catone, de suprascripta villa vices et nomine
hominum et personarum dicte ville qui ad praemissa tanguntur et sunt obnoxii et eorum
mandato, ut constitit per litteram officialem dicte contracte in qua continebatur in summa
quod praedicti mictebantur et fuerant electi per omnes praedictos superius nominatos ad
prosequendam dictam causam seu iudicium, se eorum nomine conveniendum et
paciscendum ante conspectum dicti domini iudicis in praesentia dicti magniffici et potentis
domini domini Mariani Dei gratia Judicis Arboree, Comitis Gociani et vice Comitis de
Basso, et, eodem domino praesente, volente et consenciente, suaque auctoritate et decreto
interponente, volentes anfractus litium evictare, mutuo consensu ad talem tranzationem,
pactum et concordiam pro commoditate utriusque partis [devenerant], videlicet quod
omnes illi [ex] praedictis hominibus de Septemfontanis tam nunc ibidem morantibus
quam extra in suprascripta [prima carta] contentis, qui solvebant et solvere consueverunt
dicto hospitali soldos quadraginta octo alfonsinorum minutorum per annum, solvant
amodo per quemlibet [dicto] hospitali anno quolibet soldos vigintiquinque. Et [illi] qui
solvebant soldos trig[intaduos] solvant soldos viginti per quemlibet. Et illi qui solvebant
soldos sexdecim, solvant soldos decem per quemlibet, ut s[upr]a. Et quod dictae mulieres
in dicta carta contente solvant amodo comuniter anno quolibet soldos octo per quamlibet.

1
Probabile errore del notaio: potrebbe essere «toloson».
2
Scritto su rasura.
Et quod [omnes] maschuli et femine ex ipsorum natis et nascituri tractentur secundum
hetatem ipsorum, prout solitum est fieri in conposicionibus curie usque ad dictam
quantitatem superius conventam gradatim anno quolibet. Et quod dicti homines et femine
n[ovit]er nati vel nascituri ex eis ad aliquid aliud faciendum, solvendum vel prestandum et
eciam ad pro[viden]dum in aliquo nullactenus amodo teneantur nec astringantur nec
astringi vel teneri debeant eidem hospitali vel eius priori, nisi tantum in et dumtaxat ad
solvendum anno quolibet tempore recollecte, prout superius est expressum, [et
contentum]. Et quod ipsis sic | solventibus, ab omnibus aliis solutionibus et serviciorum
praestationibus, in quibus tenebantur et teneri poterant dicto hospitali, sint penitus liberi
et exempti, promictentes dicte partes nominibus quibus supra et pro se et eorum
successoribus sibi vicissim stipulantibus dictis nominibus ac mihi notario infrascripto
tanquam persone publice stipulari et recipi pro omnibus, quorum interest et intererit ac
poterit quomodolibet interest, hanc praesentem tranzacionem, pactum, et concordiam et
omnia suprascripta, et suprascriptorum singula, semper et in tempore1 ratam et rata
firmam et firma habere et tenere ac actendere facere et inviolabiliter observare et actendi,
fieri et observari facere et contra non venire n[ec] facere, per se vel per alium in iudicio vel
extra, de iure vel de facto ullo modo aliquo tempore aliqua causa vel occasione sub pena
dupli totius eius de quo ageretur a parte vel persona contraveniente vel faciente solvenda et
applicanda curie; ind[…] reddenti pro medietate et parti obedienti et fidem servanti pro
alia medietate pro singula vice qua contravenerit vel fecerit stipulari promissa. Et omnes
expensas quae inde fierent pars contraveniens parti obedienti et fidem servanti dare et
[solvere] convenit et promissa obligatio inde se dictis nominibus et eorum bona ac dictum
hospitale sibi ipsis vicissim pro omnibus et singulis suprascriptis, r[enunciando] in
praedictis exceptione dicte tranzationis sic non facte, et rei dicto modo non geste, et doli
mali cause et infactum [actioni]. Et omni alii iuri et exceptioni eis et cuique eorum
adversus predicta vel aliquid praedictorum conpetenti et conpetituro.
Actum in villa Culleri in Regia curie dicti domini iudicis, presentibus presbitero Petro
Matao de villa Sancti Loxurgii, Ugho[ne …] familiare dicti domini iudicis, et Petro Pinna de
Plano testibus ad haec rogatis die xij octobris anno dominice incarnacionis millesimo ccc.o
sexagesimo tertio.

X
Ego Donatus Manus quondam Gomitis de Callaro et nunc habitator civitatis Arestani
auctoritate serenissimi domini domini Regis Aragonum per totum Sardinie et Corsice
Regnum, notarius publicus et praefacti Magnifici domini iudicis scriba praedictis omnibus
interfui et has suprascriptas cartas a me rogatas rogatus scribi feci et clausi cum raso et
emendato in undecima linea prime carte ubi dicitur nerentur, et cum supraposito in
duodecima linea ubi legitur tam et cum raso2 in ultima linea prime carte ubi dicitur tertio,
et cum supraposito in quintadecima linea secunde carte ubi legitur tempore, ac cum
supraposito in hac linea ubi dicitur tempore non vitio set errore meumque signum [et
nomen] apposui consueta.

1
Scritto nell’interlinea superiore.
2
Cum raso risulta scritto nell’interlinea superiore.

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