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La donna sarda tra ‘800 e ‘900

Brevi orientamenti della ricerca

Lo studio antropologico riguardante la figura femminile nella società sarda risulta piuttosto
settoriale, dal momento che gli studiosi hanno analizzato la donna e il suo ruolo nella società a
partire principalmente dalla funzione produttiva, economica e lavorativa. Tuttavia, dalla lettura dei
numerosi lavori si ha un quadro d’insieme, che presenta i tratti caratteristici femminili, spesso come
recessione culturale rispetto alla capacità giuridica sancita dalla Carta de Logu d’Arborea1. Si deve
notare che il rapporto, emerso dagli studi, lega la figura femminile alla società prevalentemente in
ambito redditizio all’interno dell’ambito familiare e domestico, in rapporto con il lavoro e con
l’assetto socio-produttivo. E’ evidente l’impossibilità di compiere degli studi asettici sulla figura
femminile, tuttavia pare importante annotare la visione di “ruolo” con la quale la maggior parte
degli antropologi affronta la questione. Il periodo in esame è convenzionalmente racchiuso tra il
XIX secolo e la prima metà del XX secolo, in cui il boom economico e tecnologico ha scalzato
radicalmente le consuetudini e i sistemi della secolare società pre-tecnologica.

Famiglia tradizionale

Si è evidenziato il ruolo femminile, in primo luogo, all’interno dell’istituto familiare, poiché,


in esso, uomo e donna costituiscono la base fondante della società tradizionale e del valore morale.
Era quanto mai difficile trovare celibi o nubili nel senso attuale di single, poiché la famiglia
rappresentava il luogo di unione e di consumo2.
La famiglia tradizionale esigeva la caratteristica di mononuclearità nella maggior parte dei
casi, in quanto era impellente il bisogno di riconoscimento del nuovo nucleo da parte della società.

Sull’argomento vedi: F.C. CASULA, La Storia di Sardegna (3 voll.), Carlo Delfino Editore, Sassari 1994; ID., Dizionario
Storico Sardo, Carlo Delfino Editore, Sassari 2001; AA.VV., Il mondo della Carta de Logu, Edizioni 3T, Cagliari 1979;
A.P. LOI, “La figura della donna nella Carta de Logu”, in Quaderni Bolotanesi. Rivista Sarda di cultura (IX), Edizioni
“Passato e Presente”, Bolotana 1983, 153-175; A. SATTA, “La donna nel Medioevo sardo”, in Sardegna Antica. Culture
mediterranee, (Anno III) 1994 n. 6, Poligrafica Solinas, Nuoro; M.A. CORONA, “La donna sarda tra storia, cultura e
società. La Carta de Logu d’Arborea e alcuni statuti coevi”, Theologica&Historica. Annali della Pontificia Facoltà
Teologica della Sardegna (XVIII 2009), 273-309. Per questione di tempo e di esigenze tipografiche, dobbiamo annotare
la recentissima pubblicazione del Prof. Cabizzosu, inerente al nostro tema, di cui, tuttavia, non possiamo presentare il
contributo nella presente analisi. T. CABIZZOSU, Donna, Chiesa e società sarda nel Novecento, Salvatore Sciascia
Editore, Caltanisetta-Roma 2011.
2
Cfr. G. ANGIONI, “Note sulla famiglia sarda tradizionale”, in A. OPPO (a cura di), Famiglia e matrimonio nella società
sarda tradizionale, La Tarantola, Cagliari 1990, pp. 12-13. Si tenga presente che le donne nubili o vedove sono dette
«soggetti di nubilato involontario». Clara Gallini, in un suo celebre volume, ha proposto l’intervista di una single, nata
nel 1910, la quale racconta in modo semplice e puntuale le varie trasformazioni della società, e in particolar modo della
donna, durante il XX secolo. Cfr. C. GALLINI, Intervista a Maria, Illisso, Nuoro 2003 [ristampa].
Essa è la coabitazione della sola coppia sposata e dei figli, con la netta esclusione di familiari in
linea ascendente, discendente e collaterale3. «In un tipo di famiglia rigidamente nucleare,
economicamente autonoma, è molto più ovvio e facile che anche la donna abbia una sua funzione
economica, che spesso non la rende subordinata. La subordinazione passa su altri piani, e prima di
tutto su quello del controllo sessuale di tutte le donne puberi»4. Uomo e donna rappresentano, con la
prole, una nuova entità comunitaria e sociale, che riveste il ruolo di soggetto autonomo e definito.
Le eccezioni a tale principio erano prevalentemente motivate dall’esigenza di coabitazione di
ascendenti di linea femminile (ad esempio, la madre vedova e sola) oppure di fratelli e sorelle
minori, rimasti orfani e presi in custodia dalla sorella maggiore coniugata5. La preferenza di
“allargamento” della famiglia era in direzione della linea femminile 6, ma non mancavano eccezioni
di coabitazione con padre e madre del capofamiglia.
Presumibilmente a causa di esigenze aziendali e produttive, gli oneri pastorali e agricoli
richiedevano una conduzione comunitaria; infatti, i casi più frequenti di tale fenomeno si
riscontrano in famiglie di agricoltori abbienti7. Tuttavia, in queste situazioni, più che parlare di
coabitazione, si dovrebbe porre l’accento sul processo allargato di produzione, dal momento che la
neolocalità veniva generalmente salvaguardata e difesa.
La coppia cercava sempre di staccarsi dalla famiglia d’origine, per poter vivere in un
domicilio autonomo8. La neolocalità non era un obiettivo di facile raggiungimento per tutti i ceti
sociali, dal momento che richiedeva lo sforzo economico – generalmente da parte dell’uomo – per
la costruzione della casa o sistemazione di uno spazio indipendente rispetto all’edificio familiare e –
da parte della donna – della preparazione del tradizionale corredo e dei mobili necessari per
adornare la nuova dimora. Nei ceti più poveri era frequente l’uso di prendere in affitto piccole case
nei primi anni di matrimonio, intanto che ci si costruiva una “casa propria”9.

3
Cfr. G. ANGIONI, “Pane e formaggio”, in F. MANCONI - G. ANGIONI, Le opere e i giorni. Contadini e pastori nella
Sardegna tradizionale, Consiglio Regionale della Sardegna, Silvana Editoriale, Cagliari 1982, pp. 118-119.
4
Ib., p. 119. Tale affermazione rappresenta un punto fermo, in quanto sottolinea come il principio paritetico tra uomo e
donna e componenti familiari abbia avuto una sua forte connotazione e conservazione nella famiglia, spesso tralasciate
– nella pratica – a causa di un crescente autoritarismo maschile.
5
Cfr. Ib., p. 13; A. OPPO, “La nuclearità della famiglia in Sardegna”, in ID. (a cura di), Famiglia e matrimonio nella
società sarda tradizionale, La Tarantola, Cagliari 1990, p. 78.
6
Ancora maggiormente specifica era la mansione delle donne nei confronti dei malati allettati o, comunque, costretti a
stare in casa. Cfr. C. GALLINI, Intervista a Maria…, cit., pp. 52-53.
7
E’ utile ricordare che non esiste nella mentalità contadina dei sardi l’idea di abbondanza, poichè la popolazione viveva
quotidianamente affrontando ristrettezze e frugalità. Il raccolto (s’incungia) era considerato sempre più esiguo dell’anno
precedente, causando così forti pressioni sull’indole caratteriale delle persone. Il fenomeno di tale difficoltà non è legato
alla sola Sardegna, ma investiva tutti i territori e le zone mediterranee. Cfr F. M ANCONI, “La fame, la povertà e la
morte”, in ID. - G. ANGIONI, Le opere e i giorni,…, cit., pp. 50ss.
8
Cfr. G. ANGIONI, “Note sulla famiglia…”, cit., p. 13.
9
In Sardegna – ancora oggi – è radicata la mentalità di costruirsi la propria casa, lavorandoci, spesso, direttamente con
le proprie mani. Questa tradizione rivela l’importanza della casa come elemento di stanzialità e di sicurezza economica,
oltre che di riconoscimento da parte della società. In questo senso, l’abitazione era un vero e proprio simbolo dello
status economico e sociale della famiglia.
Un’altra caratteristica fondamentale della famiglia tradizionale era l’unità di produzione e di
consumo in cui la donna svolgeva un ruolo di rilevo. Il nucleo familiare nella sua unità non si
dedicava a differenti ambiti lavorativi e di produzione, ma incentrava il proprio comune lavoro in
unica direzione. Nella fattispecie, la famiglia di contadini univa gli sforzi del capofamiglia e della
prole nella lavorazione della terra; il pastore, dal canto suo, dedicava le forze della propria famiglia
nella conduzione degli animali al pascolo – con particolare impegno per la transumanza degli ovini
– e nella produzione di latte e derivati, affidati spesso alla professionalità della donna10. Nella
lavorazione artigianale, il fenomeno consueto era quello della trasmissione della bottega familiare e
del mestiere paterno. A tale unità di produzione è connesso il secondo aspetto del mutuo soccorso,
per il quale ogni membro della famiglia usufruiva dei proventi comuni col diritto ad essere
sostenuto. L’aiuto, spesso, si estendeva anche ai parenti prossimi, soprattutto nel caso in cui la
famiglia possedeva le caratteristiche necessarie per caricarsi delle esigenze dei collaterali 11. Tale
situazione era frequente nella famiglia-azienda, in cui la manodopera rappresentava il perno
fondamentale per il miglioramento della produzione e dell’economia. Lo scambio reciproco di aiuto
lavorativo o alimentare era anche dettato da rapporti di affinità, di amicizia, di comparatico, oltre
che di parentela. La pratica dell’offerta (mandàdas) dei frutti migliori e delle primizie al vicino,
veicolava, in modo non troppo velato, il bisogno di ricevere il contraccambio in tempi di magra. Nel
momento in cui la famiglia, pur cosciente dell’impossibilità di eventuale restituzione, faceva la
propria offerta al vicino o all’affine, il dono si trasformava in elemosina (spesso: pro sas animas), il
cui compenso era demandato al divino12.

Aiuto lavorativo e spazio domestico

In questo panorama familiare, alla donna-madre era tradizionalmente riservato lo spazio


domestico in cui far emergere la propria “identità femminile” 13. Tuttavia, si devono prendere le
distanze da posizioni intransigenti, per le quali la donna non ha mai avuto alcun ruolo attivo
nell’agricoltura e nella produzione14. Recenti indagini e studi hanno presentato il lavoro agricolo

10
Cfr. G. MURRU CORRIGA, Dalla montagna ai campidani. Famiglia e mutamento in una comunità di pastori, EDES,
Sassari 1990.
11 Ib., pp. 13-14.
12 Cfr. G. ANGIONI, “Pane e formaggio”, cit., p. 119. Vedi anche: ID., Rapporti di produzione e cultura subalterna.
Contadini in Sardegna, EDES, Cagliari 1982; I D., Sa laurera. Il lavoro contadino in Sardegna, EDES, Cagliari 1975.
13
«La domesticità delle donne rurali sarde si esprimeva in un complesso di comportamenti e attività che delineavano un
ruolo femminile allo stesso tempo subordinato e di estremo rilievo sociale. La subordinazione era data dall’esclusione
formale da tutte le transazioni economiche o economicamente rilevanti, dalle attività produttive ritenute socialmente più
importanti, dalla partecipazione a quel che, per brevità, potremmo chiamare la vita “pubblica”. Il rilievo sociale
proveniva dalla centralità femminile nella casa e nelle occasioni cerimoniali alla casa legate, e dalla continua attenzione
e sostanziale partecipazione della donna all’economia familiare nel suo complesso». A. OPPO, “Il lavoro domestico
nella società tradizionale”, in F. MANCONI (a cura di), Il lavoro dei sardi, Ed. Gallizzi, Sassari 1983, p. 46.
14
Di questo avviso erano gli studiosi del Settecento e Ottocento: Mondolfo, Bresciani, Bechi,… Cfr. M.G. DA RE, La
casa e i campi. Divisione sessuale del lavoro nella Sardegna tradizionale, Cuec, Cagliari 1990, pp. 15ss.
della donna attraverso una variegata gamma di ruoli e di competenze, a seconda dell’entità
dell’azienda familiare, del tipo di produzione e dell’area geografica di riferimento 15. E’ accertato da
tutti gli studiosi il fatto che al lavoro femminile non spettava in alcun modo l’uso di arnesi, come
l’aratro e macchine complesse16. Tale compito era completo appannaggio del maschio adulto, il
quale mostrava competenze adatte per l’utilizzo di simili attrezzi. Secondo alcuni, la donna che
adoperava tali utensili era socialmente denigrata, perdendo il riconoscimento di identità
femminile17. Dalle nostre indagini, in alcuni paesi del Campidano di Oristano 18, dalla memoria
popolare risulta che le donne che avessero fatto qualcosa di prettamente maschile non erano
sottovalutate, ma - con apprezzamento - equiparate all’uomo per vigore e capacità. Ad essere
disprezzato era, piuttosto, il padre o il marito, che affidava alla donna i compiti, che egli stesso
avrebbe dovuto sbrigare. Questa valutazione positiva nasconde però una profonda concezione
maschilista, poiché la donna è valutata positivamente in conformità all’uomo, come se questi fosse
il modello supremo da imitare19.
E’ frequente, tuttavia, che alle donne fossero riservati quei compiti, connessi alla
produzione, che richiedevano manualità e capacità di scelta del prodotto. Ad esempio, era compito
delle donne andar dietro ai mietitori per la raccolta delle spighe rimaste nei campi, separare
manualmente il grano dalla pula, scegliere il fior di farina (xetti) dalla semola, ripulire cereali e
leguminose, raccogliere mandorle20. Inoltre le donne – ciò risulta anche dalle nostre ricerche –
avevano grande capacità di seminare cereali (es. fave). E’ notevolmente apprezzata in questo senso
la capacità femminile di posizionare la semente in modo equidistanziato. La semina del grano,
invece, non veniva mai fatta dalle donne per due principali motivi: poiché richiedeva una tecnica
particolare nello spargere uniformemente il seme su tutto il terreno e perché il lavoro era pesante, al
punto da non essere adatto alle donne21.

15
Cfr. Ib., pp. 45ss.
16
La motivazione più attendibile è quella che richiama al grande sforzo fisico necessario per governare tali strumenti,
ancor più se a trazione animale. Tuttavia Ida Magli ha ipotizzato che si possa far derivare tale proibizione a esigenze
simbolico-rituali: lo sforzo potrebbe provocare perdita del sangue mestruale. Il ciclo mestruale, considerato anche in
Sardegna un segno di impurità, avrebbe potuto causare l’impurità del terreno fertile. Ipotesi provocatoria e interessante.
Cfr. I. MAGLI, La donna: un problema aperto. Guida alla ricerca antropologica, Vallecchi, Firenze 1978, p. 22.
17 Cfr. M.G. DA RE, “La donna, la casa e il campo”, in F. MANCONI - G. ANGIONI, Le opere e i giorni …, cit., p. 218.
Si veda anche: J. DAY, “Alle origini della povertà rurale”, in F. MANCONI - G. ANGIONI, Le opere e i giorni …, cit.,, pp.
13-32.
18
Le interviste sono state rivolte a uomini e donne, nati intorno al 1930, di Siamanna, San Vero Milis, Santa Giusta,
Cabras. Tutti gli intervistati provengono da una famiglia a vocazione contadina e hanno operato lavorativamente in
questa direzione.
19
Si tenga conto, d’altro canto, dell’importanza della forza fisica, della laboriosità e operosità delle donne, soprattutto
nelle famiglie in cui non c’erano figli maschi.
20
Cfr. M.G. DA RE, La casa e i campi..., cit., pp. 50ss.
21
Cfr. Ib., pp. 48-49. La nostra indagine ha confermato la prima motivazione, ma ha suggerito, anche, una certa
sensibilità degli uomini nei confronti delle donne, denunciando l’indubbia pesantezza fisica di tale operazione non
adatta alle forze femminili.
Se è stato fin qui evidente l’aiuto che le donne offrivano all’uomo nelle attività agricole, in
modo più o meno omogeneo in tutta l’isola, non si può dire l’inverso nei lavori domestici.
«L’ambito che si può chiamare “di identità femminile”, quello in cui le donne si riconoscevano e
venivano riconosciute nella pienezza del loro ruolo e in cui formavano fin da bambine le proprie
competenze e specializzazioni e di cui da adulte si dovevano assumere la completa e prioritaria
responsabilità, era quello cosiddetto domestico»22. Da eliminare il collegamento tra domesticità e
femminilità in senso moderno, al punto che più si saliva nella scala sociale e maggiormente si
annullava il lavoro domestico delle donne23. Il lavoro e il dominio all’interno delle mura di casa era
prerogativa femminile, nella regolazione di tempi e modalità di vita ed economia domestica. La
panificazione, il lavaggio della biancheria, la pulizia e l’ordine degli arredi e utensili domestici, la
preparazione dei pasti, la sistemazione dei cortili e delle aie, la creazione di cestini, le tecniche di
ricamo, la conservazione di cereali e legumi erano compiti svolti dalla donna a qualsiasi livello
sociale appartenesse. Unica distinzione di rilievo appare il fatto che le donne-proprietarie si
preoccupavano di controllare che questi lavori fossero svolti in modo efficiente dalla servitù.
«Integrazione, segregazione, distinzione non sono le basi funzionali e tecniche di ruoli sociali
simmetrici, ma il risultato di dislocazioni gerarchizzate e a-simmetriche, che si perpetuano e si
alimentano anche – è il caso della Sardegna – in presenza di un ruolo tradizionale femminile
relativamente autonomo nell’organizzazione del lavoro e relativamente autorevole nella gestione
della vita familiare e domestica»24.

Educazione e ruolo sociale

Se il padre, sia l’agricoltore che il pastore, aveva il compito di formare i figli maschi al
lavoro dei campi, all’esperienza tecnica, ai valori morali, alla lealtà nei rapporti sociali e alla
risposta proporzionata all’eventuale offesa25, così la madre educava e formava le figlie femmine.
L’educazione della prole fino all’età scolare era di pertinenza della madre, sia per questioni legate
all’allattamento – nel primo anno di vita – sia perché l’uomo trascorreva tutta la giornata nei campi
o dietro il gregge. Tale fenomeno era ancora più evidente nel mondo pastorale durante il periodo
invernale in cui l’uomo era lontano dalla propria famiglia per la transumanza 26.
A causa di questa preminenza domestica è invalsa l’ipotesi del matriarcato sardo, come
fenomeno per cui la donna-madre ha potere decisionale e pesante ascendente sui propri familiari.
L’ipotesi non può essere accantonata totalemnte, né, d’altra parte, considerata scientificamente
22
Ib., p. 32.
23
Cfr. Ib., p. 40.
24
Cfr. Ib., p. 102.
25
Cfr. B. BANDINU, “Il mestiere del pastore tra vecchio e nuovo”, in F. MANCONI - G. ANGIONI, Le opere e i giorni…,
cit., p. 135.
26
Cfr. B. MELONI, “La transumanza”, in F. MANCONI - G. ANGIONI, Le opere e i giorni…, cit., pp. 157ss..
inappellabile, ma si deve tener presente che l’assenza dell’uomo nella casa poteva certamente
generare un notevole rilievo del ruolo femminile-materno27. Si deve sottolineare che l’importanza
non è data dall’identità femminile, quanto dal ruolo materno. I due aspetti, in questo caso, non
possono essere confusi, dal momento che l’autorità della madre dipende dal suo compito di
capofamiglia. D’altra parte, non si può dimenticare l’importanza del temperamento femminile e la
capacità della donna di tenere salde alcune componenti fondamentali per la famiglia: tradizione,
ruolo educativo, affetto, severità, attenzione. Pare obsoleto e poco corretto riproporre alcuni modelli
antropologici tradizionali, che rappresentavano l’uomo come razionalità e autorità, mentre la donna
quale sede di sensibilità, abnegazione, attenzione. In tale direzione potrebbe essere riletta l’ipotesi
del matriarcato, a partire dalle sue conseguenze nella dimensione sociale.
Un ulteriore aspetto importante è dato dalla considerazione degli spazi vitali dell’uomo e
della donna. L’uomo trascorreva la maggior parte del proprio tempo in “spazi aperti” e comunitari:
la campagna, l’ovile, l’ambiente lavorativo in genere, la piazza, la bettola (zilleri); mentre la donna
viveva la propria giornata e agiva principalmente in “spazi chiusi”: la casa, il forno, la chiesa. E’
pur vero che il lavatoio, o il fiume, erano luoghi in cui le donne riuscivano ad avere un contatto
libero e aperto tra loro. Si tenga presente che tale distinzione deve essere considerata in modo
generale e volutamente schematica, senza con ciò voler fissare dei criteri uguali per ogni paese della
Sardegna.

Conclusioni

La presentazione degli ambiti comuni di lavoro e produzione, rende più evidente la necessità
di riflettere meglio sull’identità femminile in Sardegna all’interno di un panorama culturale e
sociale variegato e di dimensioni particolari. In questa direzione, sarà interessante offrire – quanto
prima – un quadro teologico e antropologico di sintesi dei documenti del Concilio Plenario Sardo
del 2001, in cui si dedicano alcuni capitoli alla figura della donna e al suo ruolo nella famiglia e
nella Chiesa. Tale contributo arricchirà la riflessione della e sulla donna sarda contemporanea, la
quale non può dimenticare l’alveo culturale e storico in cui nasce e la tradizione cristiana a cui
attinge.

27
Viene ribadito il concetto che la stanzialità domestica della donna favorisce una preminenza familiare e sui figli ed un
ruolo attivo nella relazione sociale. Questo ruolo specifico della donna, pare all’A. una causa dell’importanza del
matriarcato e del suo specifico all’interno del panorama culturale del Meridione italiano. [L’indagine si riferisce
principalmente ai primi anni ‘60]. A. ANFOSSI, Socialità e organizzazione in Sardegna. Studio sulla Zona di Oristano-
Bosa-Macomer, Franco Angeli Editore, Azzate (Varese) 1968, p. 54. Si vedano anche le interessanti suggestioni di Ida
Magli, Cfr. I. MAGLI, La donna…, cit., pp. 29ss.

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