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N. 8
ECA SARDA
83
In copertina:
Giovanni Marghinotti, Festa campestre in Sardegna, 1861
John Warre Tyndale
L’ISOLA DI SARDEGNA
VOLUME SECONDO
Scheda catalografica:
Cooperativa per i Servizi Bibliotecari, Nuoro
© Copyright 2002
by ILISSO EDIZIONI - Nuoro
ISBN 88-87825-45-9
INDICE
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Ca pitolo X
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AD NELSONEM
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{
2. Circa ovest verso nord Corridoi lunghi circa 9
3. " nord " est piedi e larghi 3 che colle-
4. " est " sud gano la camera a volta 1
5. " sud-sud-est col corridoio 6
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solidi blocchi, uno dei quali, senza dubbio non il più grosso,
misurato per caso, era lungo cinque piedi e nove pollici, lar-
go tre piedi e tre pollici ed alto due piedi e tre pollici. Tutte
le pietre sono di origine vulcanica e molte sono grosse co-
me quella ora descritta.
La Marmora, fra le sue mappe, riporta una camera segna-
ta K ma nella mia non viene inclusa in quanto non fui in gra-
do di individuarla nel nuraghe. Anche le direzioni dei corri-
doi 2, 3 e 4 sono diverse; la misurazione delle pareti esterne
della terrazza è inferiore a quella da me riscontrata.
Il nuraghe Oës, situato in una zona ferace di Giavesu, a
circa mezzo miglio a sud del precedente, si trova su una spe-
cie di terrapieno artificiale, con i resti di due basse muraglie
esterne parallele, fatte di grosse pietre irregolari che furono
probabilmente le fortificazioni e racchiudevano l’intero edifi-
cio. Gli strati inferiori di pietre, della stessa origine vulcanica
di quelle di Santinu, sono molto più irregolari per forma e
posizione dell’altro nuraghe mentre quelle della parte supe-
riore presentano la solita regolarità.
Nell’inclusa pianta del piano terra, la camera a volta e i
corridoi non sono stati inseriti perché sono talmente ostruiti
che è impossibile indicare la loro posizione come pure le
proporzioni, ma non vi è dubbio sulla loro esistenza e molto
probabilmente erano rispondenti alla presunta mappa forni-
ta dal La Marmora.
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5. Valery, nel far menzione della circostanza, afferma che l’uomo fu uc-
ciso «le jour même où il a tteigna it sa centième a nnée »; un errore molto
banale, ma poiché vi attinge costantemente e abbondantemente, avreb-
be almeno dovuto rendere omaggio al padre Angius per aver tradotto
correttamente le parole: «Padrone di 99 greggie di pecore, trucidato nel
giorno istesso che ei doveva formarsi la centesima».
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LVI · A TURRE
IMP · CAESAR · VESPASIANVS · AVG
PONTIFEX · MAXIMVS · TRIB.
—
POT · V · IMP · XIII · P · P · COS · V.
DESIGN · VI · CENSOR · REFECIT
ET · RESTITVIT · curante
SEX · SVBRIO · DEXTRO · PROC · ET
PRAES · PROV · SARDINIAE.
LV · A · Turre
IMP · CAESAR · VESPASIANVS · AVG
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m · p · LVI.
IMP · CAES · L · SEPTIMVS · SEVERVS · PER
TINAX · AVG · ARABICVS · ADIABENICVS · PAR
TICVS · MAXIMVS · IMP · CAESAR · Aug · PIVS
ANTONINVS · PIVS · FELIX · M..….
...……. O ....……
viam · quae · a · VRRES · KARALES · DVCIT · (sic)
vetustaTE · CORRVPTAM · res
titVIT · curaNTE · MARCO · METELLO
e · V · PROC · SVO.
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D · M.
V · PRISCVS.
R · V.
IX · ANNO.
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CAPITOLO XI
Il distretto della Ba rba gia – Ca ra ttere della popola zione – Fuorusciti –
Storia a ntica e moderna – La perda longa – Ma moia da – La vora zione
del torrone – La città di Fonni – Festa della Ma donna dei Ma rtiri – Il mo-
na stero fra ncesca no e reliquie – Superstizioni – Leggenda del dipinto in-
visibile – Istruzione e sa cerdozio – Fuorusciti e ba rda ne – La fiera e la fe-
sta – Dina mismo genovese e pigrizia sa rda – Costumi – Divertimenti –
Stra da roma na e il giogo Sa sacchedda – Sora vile – Desulo – Interno di
una ca sa ba rba ricina – Mobilio e provviste – Il pa ne – Viveri – Ara ncia ta
– Commercio della neve a d Aritzo – Frutta – Ca ra ttere dei Ba rba ricini –
Pa stori e vendetta – I ca ni dei pa stori – Abitudini ra pa ci e perdita del be-
stia me – Costume della ponitura – Abito dei pa stori – Cure della timoria,
lo sca nto della Sicilia – Tra dizioni della da nza , le Opera rie del Sa nto, il
corriolu e sa vardia – Le foreste del Monte Argentu – Il muflone, il ba le-
struccio, il boccamele, le a quile e gli a vvoltoi – Su spegu e is pillonadoris
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trovano i quattro paesi di Aritzo, Meana, Belvì e Gadoni, la cui
popolazione ammonta a 4791 anime. Nella Barbagia inferiore
sono compresi Seui, Seulo, Sadali, Esterzili e Ussassai, con
3920 abitanti, per una popolazione complessiva di 27.907 uni-
tà. Si riscontra che le nascite superano annualmente i decessi
di 188 unità,14 ed il modesto aumento è dovuto a varie ragio-
ni, a parte le morti per intemperie e febbri varie.
Una notevole perdita di vite umane si verifica per man-
canza di ponti, in quanto ne esistono soltanto tre in tutto il
distretto: uno è quello sul fiume chiamato Govosoleo, che va
velocemente in rovina; un secondo, sullo Stanali, ed un terzo
sul Dosa; tutti e tre sono inadeguati, come pure sono del tut-
to sconosciute l’arte del nuoto e quella di tentare di rianima-
re gli annegati. Molti muoiono anche a causa del freddo nei
pascoli delle lontane colline dove badano alle greggi; inoltre,
più di cento persone all’anno muoiono vittime della vendetta
(ossia, 1 ogni 279), nei conflitti coi loro nemici o coi soldati
del Governo.
Quelli che notoriamente vivono alla macchia da “fuorusci-
ti” sono più di 300 e ad essi se ne possono aggiungere altri
300 di cui nulla sanno le autorità governative così che, facen-
do una media, si ha che una persona su 46 è un reietto della
società, un esule dal focolare domestico. Il rapporto di coloro
che sanno leggere o scrivere è di 840, ossia circa 3 su 100.
Quelli che trovano occupazione in attività meccaniche o
nel commercio non superano le 500 unità e, a titolo esempli-
ficativo del loro stato di arretratezza, hanno imparato soltanto
di recente l’arte di tagliare il legname con la sega. Il numero
dei pastori supera di gran lunga quello degli agricoltori per-
ché, sebbene i pascoli si possano convertire in terreni coltiva-
bili, esiste da tempo immemore un orgoglio ereditario per il
lavoro del pastore ed anzi una sorta di disprezzo nei confronti
degli agricoltori. Forse perché fare il pastore richiede forza
14. In Inghilterra, secondo i dati del Quarto Rapporto Annuale del Re-
gistro Generale di nascite, morti e matrimoni, per l’anno 1841, il divario
fra nascite e decessi sarebbe di 277 e mezzo.
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6. La perda longa
18. Vedi Johann Daniel Schoeflinus, Alsa tia Illustra ta , Celtica , Roma na ,
Fra ncica , Colmariae, 1751, 2 voll. in folio, p. 529, sez. 164.
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21. Il riferimento è tratto dalla Genesi (28, 18) che narra come Giacobbe,
svegliatosi da un sogno, prese la pietra che aveva usato come guanciale,
la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità (N.d.T.).
22. F. K. Movers, Die Phönizier, I, 148.
23. Vedi Erodoto, lib. III, cap. 8; lib. I, capp. 131, 105; vedi anche le anno-
tazioni di Larcher e Wesseling su questi brani che citano il lib. II, cap. 4 di
Diodoro.
24. Vedi Erodoto, lib. I, cap. 105.
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dell’Egitto nel 630 a.C. Così egli afferma: «Il popolo della Sci-
zia, nel viaggio di ritorno alle loro terre, giunse ad Ascalon,
città della Siria. La maggior parte di esso vi passò senza com-
piere azioni moleste, ma altri, rimasti indietro, saccheggiaro-
no il tempio della Venere Celeste. Fra tutti gli edifici sacri
eretti a questa divinità, si trattava, secondo fonti autorevoli,
del più antico dei templi. Gli stessi ciprioti confermano che il
loro tempio fu realizzato sul modello di questo e quello di
Citera fu costruito da alcuni Fenici che giunsero da questa
zona della Siria».
Molte monete ritrovate a Cipro riportano il simbolo del
cono ma nessuna indicazione circa la datazione.
Tacito,25 riferendo della visita di Tito a Cipro (69 d.C.), nel
fornire una descrizione del tempio di Venere Pafia, della sua
fondazione e delle cerimonie che vi si svolgevano, afferma:
«La statua della dea non ha alcuna somiglianza umana. È una
figura rotondeggiante, larga alla base, che gradualmente ele-
vandosi assume la forma di un cono. La ragione di ciò, qua-
lunque essa possa essere, non ha spiegazione».
Erodiano,26 nelle memorie della vita dell’imperatore Ma-
crino, vissuto nel 217 d.C., afferma che l’immagine della divi-
nità fenicia «è rappresentata da una grossa pietra, di forma ro-
tonda alla base che termina a punta e la sua forma è conica».
Ciò trova conferma nelle medaglie di Emesa (la sede
principale del culto di Eliogabalo), fra le quali se ne trova
una di Antonino Pio coniata in quella località che rappre-
senta l’aquila romana su una pietra conica,27 e in quelle di
Caracalla nelle quali un uccello, ubicato di fronte ad essa,
sta al centro di un tempio esastilo. In occasione dell’ascesa
al trono di Marco Aurelio Antonino, dopo che era stato sa-
cerdote della divinità di Eliogabalo, ed aveva, quindi, assun-
to quel nome nel 219 d.C., il culto di quella divinità fu im-
portato a Roma con le stesse sembianze e, in occasione
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che dicesse la verità, li fece uscire dalla chiesa non appena po-
té, anche se essi non erano meno ansiosi di venir fuori dall’im-
barazzante situazione di apparire nello stesso tempo ciechi o
bastardi. Ma l’attendeva un’altra prova.
Ai paesani, cui erano stati riassunti i fatti, fu consentito di
entrare per vedere realizzate tutte le loro speranze, timori ed
aspettative. Le madri, virtuose e sdegnate ma con la coscienza
tranquilla, protestarono la loro innocenza e sostennero che le
proprie creature potevano, senza dubbio, vedere il dipinto;
dal canto loro i figli, desiderosi di non mettere in dubbio la
fama delle madri o di pensare che i loro padri (che stavano a
disagio accanto a loro) potessero diventare “padri putativi”,
non dubitavano, per quanto non lo dicessero esplicitamente,
dell’esistenza del dipinto. Alcuni, la cui condizione di illegitti-
mi era ormai nota e tale da rendere qualsiasi confessione
scontata, riconobbero onestamente di non vedere alcunché e
le voci di alcuni scettici, che ebbero la spavalderia di rivolge-
re il loro sguardo a rischio delle virtù dei rispettivi genitori,
furono subissate dal mormorio generale e dal trambusto della
scena. Secondo l’esplicita richiesta del commediante, ai pre-
senti fu consentito di fermarsi in chiesa soltanto per pochi
istanti e, una volta usciti, vennero di nuovo chiuse le porte.
Il commediante cominciò ora a riflettere sulle mosse
successive da compiere. La fiducia che i monaci nutrivano
nei suoi confronti, e la comoda sistemazione offertagli, erano
bilanciate dalla paura di venir scoperto e di dover fuggire.
Mentre egli meditava sulla sua situazione critica ed ammira-
va il “capo d’opera” dell’imbiancatura delle pareti, udì la vo-
ce nota del suo amico che chiedeva di entrare in convento.
Si raccontarono subito le rispettive vicissitudini, e cioè, che
l’uno era rimasto in montagna sequestrato dai malviventi e
che l’altro si era trovato impelagato nel monastero con la fac-
cenda dei monaci. Decisero sull’istante che l’artista avrebbe
veramente affrescato le pareti e, stabilito che nessuno potes-
se entrare in chiesa, il pittore iniziò il lavoro e vi si dedicò
con molto impegno. Il commediante, nel frattempo, aveva in-
formato i monaci che, dal momento che la sua opera non li
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Gli uomini dei paesi vicini portavano sulle spalle le loro poche
cose, quali bisacce da sella, zaini, coperte di tessuto grezzo,
tappeti, sovraccoperte, torroni per essere barattati o venduti
oppure mandati in giro con i “viandanti”. Tutte le contratta-
zioni sembravano limitarsi a un po’ di dolci e rosolio ed i
banchi presso i quali venivano venduti, per dirla in altre paro-
le, erano gli altari sui quali le contrattazioni stesse si conclu-
devano.
Oltre il passatempo delle canzoni e del ballo tondo, i
Fonnesi si divertono con su currillu, che è la cosiddetta “pa-
reggia”, la quale consiste nella corsa simultanea di due o tre
cavalli guidati da una sola persona, ma soltanto pochi rag-
giungono il traguardo. Somiglia, per certi versi, alla corsa che
si corre a Cagliari ed il premio solitamente consiste in una
bandierina di stoffa o di velluto.
I dintorni di Fonni sono veramente meravigliosi; la valla-
ta sottostante, bagnata dai torrenti del Monte Spada, è un
susseguirsi di orti e giardini ed è particolarmente verdeggian-
te con un aspetto nordico, protetta dalla grande calura che
viene dal sud. La temperatura è costante, e poiché la stagio-
ne invernale inizia in ottobre e non termina prima di aprile,
la vita vegetale ritarda di due mesi rispetto alle zone meridio-
nali. Il Monte Spada è alto 5336 piedi. Ad otto ore da Fonni
verso Orgosolo, ad un’altezza di circa 4178 piedi, c’è un pas-
so che ha due punte, l’Armarici o Litipori e il Gibinari, da cui
il nome di Corru-e-öe, o corna di bue.
Si può rintracciare la strada romana che da Cagliari con-
duceva a Longo Sardo e a Terranova (Tibula e Olbia) ma, in
certi punti, non la si può percorrere a cavallo. I sentieri attuali,
non certo migliori, secondo il comune modo di dire sono
«piuttosto vie da capre che da uomini» e, laddove sono abba-
stanza ampi da consentire il passaggio di un giogo di buoi, al-
lora si ricorre ad un mezzo rudimentale da trasporto che si
chiama sa sa cchedda e consiste in un grosso tronco cavo di
quercia che viene trainato dal giogo. La strada romana passa
non lontano da Fonni, in un luogo che si chiama Soravile, con
molta probabilità l’antica Sora bile menzionata nell’Itinera rio di
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sono molto più grandi. I Sardi non solo hanno ereditato que-
sta tecnica dagli antichi Romani ma anche il nome: sca ndula .33
L’interno delle case non differisce da quanto descritto in
precedenti occasioni. In una fossa al centro del pavimento si
sistema il ceppo semispento attorno al quale si raduna la fa-
miglia; le donne, quando non lavorano al telaio, siedono con
le gambe incrociate facendo girare il fuso, mentre i figli si di-
vertono, nel sudiciume circostante, a giocare col cane o col
maiale e tutto questo in mezzo a un fumo così denso che
vien da chiedersi come riescano a vedersi l’uno con l’altro.
Spesso non sono stato in grado, per parecchi minuti, di di-
stinguere i particolari dell’interno della casa e, per diverse
ore, gli occhi mi dolevano a causa del fumo piroligneo, men-
tre per loro era del tutto indifferente se quel fumo stagnasse
o uscisse dalla porta o dall’unico pertugio chiamato finestra.
La notte, i figli e i servi dormono sulla stessa stuoia, av-
volti nella “mastrucca” o sa ccus de coberri, coi piedi vicini ai
tizzoni ardenti che formano il centro del cerchio nel quale
giace la famiglia. In un angolo si trova un gran saccone grez-
zo di fieno o paglia sul quale si posa una parte della ra gà na ,
ovvero della coperta, una stoffa tessuta in casa dalla trama
che più ruvida non si può immaginare, sulla quale si corica-
no quanti ce ne stanno, vestiti o meno, e si coprono con l’al-
tra metà della coperta.
Coloro che se lo possono permettere usano un lenzuolo
con la ra gà na di Gavoi, per la quale quel paese va famoso,
sia per la produzione che per la vendita. Talvolta si usa un cu-
scino di paglia mentre un materasso riempito di lino pestato è
un lusso al quale agognano gli aristocratici ed i possidenti.
In un altro angolo della stanza si trova un tavolo, di soli-
to adibito esclusivamente come posatoio, in quanto i pasti si
consumano per terra accanto al fuoco; una coppia di piccole
panche e sgabelli si usa per tutto, fuorché per lo scopo cui
solitamente si ritiene sia destinata. In una casupola di due o
33. Vedi Cesare, De Bello Ga llico, cap. VIII, 12; Plinio, lib. XVI, cap. 8 ss.;
Cornelio Nepote, Fra gmenta , 10.
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CAPITOLO XII
Il distretto d’Oglia stra – Foreste – Fiumi – Il porto di Tortolì – Torri di
gua rdia – Produzioni – Storia – Dona zione a una chiesa nel 1163 – La
lingua sa rda – Pa rticola rità e dia letti – Popola zione e mora lità – Aned-
doto – Abitudini – La legge – Medicina e spiritua lità – Scuole – Festa di
Sa n Pria mo – Divertimenti – Sca rso pudore nei costumi cita to da Da nte –
Abitudine di dormir svestiti – Ma trimoni precoci – Pa esi e nura ghi fra
Aritzo e Ma comer – Occupa zione e ma nufa tti a Ga voi – La fonte di Gup-
punia – Sa rule – Le médecin malgré lui – L’a lta re di Logula – Ospite del
pa store – Otta na – La ca sa del prete – Festa a Nora gugume – Nura ghe e
Perda s’Alta re – Ritorno a Ma comer – Storia de “Il rosa rio e la pa lla ”
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DIALETTO LOGUDORESE
«Ba bbu nostru, qui sta s in sos chelos, sa nctifica du sia t su
nomen tou. Benza t a nois su regnu tou: fa cta sia t sa volunta -
de tua , comente in su chelu, a si in sa terra . Su pa ne nostru de
ogni die dona noslu hoê, et perdona nos sos pecca dos nostros,
comente nos a teros perdona mus sos inimigos nostros. Et nè los
la sses ruere in sa tenta tione, sinò libera nos de ma le. Amen ».
DIALETTO CAGLIARITANO
«Ba bbu nostru, qui ses in chelu, sia t sa nctifica du su nomi-
ni tuu. Bengia t a nos sa regna tua , sia t fa cta sa volonta di tua ,
comente in celu, et a ici in terra . Su pa ni nostru de ogni dì
da inos iddu hoi, et perdona nos is pecca dus nostus, comenti
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52. Due città della Gran Bretagna famose per le industrie tessili (N.d.T.).
53. Marcellino, De Genere Vestimentorum, p. 567, “Tapete”.
54. Varrone; Hercule Sa cra tico.
55. Gli antichi diedero una natura divina ai fiumi e alle fonti più note,
che immaginavano protetti da ninfe. Aretusa fu una fanciulla che per
andare in sposa ad Alfeo, figlio di Oceano, si trasformò in una fonte nel
porto di Siracusa (N.d.T.).
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CAPITOLO XIII
Il distretto di Cuglieri – Foreste – Composizione di una lite sarda – La città
di Bosa – Castello di Serravalle – La cattedrale – Popolazione e clero – Insa-
lubrità – Il fiume Temo – Il porto – Peschiere – Antichi ruderi – Prodotti –
Vini – Rovine e storia dell’antica Cornus – Lussurgiu – Borore – La perda
di San Baingiu – Tomba di Losa – Paulilatino – Milis – Ballo al palazzo del
marchese di Boyl – Occupazioni ed usanze popolari – Aranceti e limoneti –
Prezzo, quantità e dettagli – Caccia al cervo – Il capriolo – Osservazioni ge-
nerali sulla popolazione dell’Isola – Numero degli abitanti – Decremento –
Intemperie – Mancanza di braccia – Viandanti – Nobiltà – Cavalieri – Pri-
vilegi – Il basso ceto – Caratteristiche generali – Conseguenze della domina-
zione straniera – Ignoranza, scuole, istruzione – Collegi – Scuole Pie – Or-
dini monastici e dei Gesuiti – Statistiche sull’istruzione – Riforme
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comprendere la propensione al litigio dei sardi e la facilità
con la quale un alterco, a meno che non venga risolto sul
nascere, possa condurre all’alternativa fra le ingiustizie della
legge o lo spargimento di sangue come epilogo della vendet-
ta. Mentre ci si dirigeva verso la pianura, giunse alle nostre
orecchie l’eco di una fucilata e, ritenendo si trattasse di un
cacciatore, proseguimmo il cammino per una decina di minuti
quando fummo indotti a fermarci all’udire forti urla. Scorgem-
mo attraverso la macchia che ricopriva il terreno un uomo a
cavallo che si dirigeva al galoppo verso di noi. Poiché non
accennava a fermarsi, pur giungendo ad una decina di iarde,
pensai che avrebbe proseguito invece, quando fu alla nostra
altezza, bloccò il cavallo così bruscamente da farlo quasi ruz-
zolare per terra e, senza dire una parola, saltò giù in un bale-
no, lasciò che il destriero si rialzasse e si avventò sulla guida
che quel giorno mi accompagnava. Con la mano sinistra affer-
rò l’uomo sbalordito e dopo averlo quasi disarcionato, si ri-
trasse di qualche passo e spianò il fucile che teneva con la
destra. Le poche parole che i due si dissero, in un tono di vo-
ce altissimo, furono per me incomprensibili, ma nel frattempo
il mio servitore ed io smontammo e ci affrettammo a metterci
in salvo. Istantaneamente la guida si rifugiò dietro di noi e si
aggrappò al mio uomo per farsene scudo contro il fucile pun-
tato e volendo evitare che si sparassero, cosa che, a giudicare
dal modo in cui egli si spostava avanti e indietro non sembra-
va del tutto improbabile, afferrai io l’arma e la spostai. Perder
tempo a parlamentare – da quel che mi parve intuire – sareb-
be stato inutile perché non saremmo riusciti a comprenderci a
vicenda e, come unica alternativa, ne seguì una violenta lotta
e una zuffa per accaparrarsi il fucile, zuffa che, fortunatamen-
te, si concluse col mio nuovo conoscente steso per terra ed io
sopra di lui con la sua stessa arma puntata al petto.
Nel frattempo la guida aveva estratto il coltellaccio dalla
cintola e tentava di liberarsi dalla stretta del mio servitore. Es-
sendo, tuttavia, chiaro che soltanto col disarmo generale si sa-
rebbe avuta l’unica possibilità di pace, gli feci capire, adottan-
do il solido argomento della minaccia del fucile, che l’avrei
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est bibere». Tre quarti dei Milesi sono impegnati nel trasporto
e nella vendita delle arance nelle diverse parti dell’Isola, e
quando tornano a casa spendono una discreta parte dei loro
guadagni in quel che usano definire: «Brindare alla salute dei
clienti». A giudicare dall’abbondanza delle libagioni, ci sareb-
be da pensare che esistano particolare affetto e gratitudine
nel rapporto fra venditori ed acquirenti. Sebbene non pro-
prio ubriachi, questi vagabondi amanti del vino, trovano il si-
stema di scacciare, per appena tre soldi, tutte le preoccupa-
zioni del commercio e del carico del giorno successivo: un
insuccesso o un successo nel loro modesto lavoro, non fa di-
minuire né aumentare l’usuale baldoria quando tornano a ca-
sa. In qualunque modo vada, «se qualche dispiacere e qual-
che spicciolo rimangono, lo affogano nel bicchiere».
L’emisfero femminile della popolazione trascorre il tem-
po pensando all’abbigliamento. Il loro costume è sobrio e
semplice, e ben si presta a mettere in risalto l’eleganza e il
portamento eretto che deriva loro dall’abitudine, acquisita fin
dall’infanzia, di portare grandi anfore sul capo. L’acqua che si
consuma nel paese viene attinta da una fonte che si trova in
un luogo romantico, completamente appartato e circondato
da aranci. Fu divertente vedere gruppi di ragazze senza scar-
pe e senza calze, arrivare, fare capannello e ripartire con i re-
cipienti colmi d’acqua, mentre il loro cicaleccio formava un
frastuono che sovrastava il mormorio della fonte. Così, men-
tre discutono delle nuove del villaggio, queste giovani riem-
piono l’anfora e compiono una terza, quanto inutile e poco
romantica operazione: la lavanda dei piedi.
Chi vede per la prima volta gli aranci ed i limoni di Milis
non prova meraviglia né ammirazione; è necessaria una sosta
solitaria di un’ora in mezzo agli alberi per poter comprende-
re e godere della loro bellezza e provare lo stesso sentimento
che altri hanno già provato. Gli agrumeti della vega , o tuerra ,
come anche da queste parti vengono chiamati il fiume e le
terre irrigate, si estendono in lunghezza per circa tre miglia,
sono larghi tre quarti di miglio ed appartengono a diversi pro-
prietari i maggiori dei quali sono il decano e il Capitolo della
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CAPITOLO XIV
Arrivo a d Orista no sul Ponte del Dia volo – Titolo di Ma rchese di Orista -
no – La città – Il ca rcere – Pa la zzo di Eleonora – La ca ttedra le – Il clero
– Terra glie – Terra da follone – Ra cconti sui Giudici d’Arborea – Ba riso-
ne e Federico Ba rba rossa – La giudicessa Eleonora e suo pa dre Ma ria no
IV – La Carta de Logu – L’a mba scia ta del duca d’Angiò a l giudice Ugone
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CAPITOLO XV
Escursione a Ca bra s – Il ca stello – Pesca nelle la gune – La festa del pesce
per il nuovo viceré – Fordongia nus – La stra da roma na – I prodotti della
zona – I ponti – Sorgenti minera li – Rovine roma ne – La chiesa di Sa n
Lussorio – Lo sposa lizio – Usa nze del ma trimonio, della na scita e delle ce-
rimonie funebri – Il riso sa rdonico – Da Orista no a Ura s – Storia – Le sor-
genti minera li di Sa rda ra – Sa nluri – Costumi – Azienda a gricola – Bo-
nifica e coltiva zione dello sta gno – Da Mona stir a Ca glia ri
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quale egli non potrà mai venir meno, pena conseguenze serie
per sé stesso e il disonore per la sua amata.
Il giorno del fidanzamento e del contratto – gli sponsa lia
e il pa ctum – finalmente giunge.80 Gli amici dello sposo, chia-
mati “pa ra lymphos”, nome e funzioni simili a quelli dei Greci,
formano un corteo e portano a casa del padre di lei gli ogget-
ti che costituiscono la dote. Qui giunti, bussano alla porta e
ostentano impazienza perché non gli viene subito aperto.
Quelli di casa, a loro volta, che recitano la parte con non mi-
nor formalismo, chiedono chi e che specie di gente siano co-
loro che vogliono entrare. In risposta alla domanda sul che
cosa essi portino, i paraninfi rispondono che recano «onore e
virtù». Dopo questa soddisfacente risposta vengono fatti entra-
re; allora i genitori li accolgono cordialmente e li presentano
alla famiglia riunita ed agli amici, tutti abbigliati coi loro co-
stumi più vivaci adatti alla circostanza.
Procedono, quindi, allo scambio dei pegni e viene presa
in esame la lista dei vari oggetti; viene firmato il documento
della dote reciproca, sigillato e consegnato con una festa.
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82. Vedi Ovidio, Fa sti, lib. II, 742; Plinio, lib. VIII, cap. 48 e Plutarco in
Qua estionibus Roma nis.
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83. L. Rossini, Le Antichità dei contorni di Roma ossia le più fa mose cit-
tà del La zio, Roma, 1826 (N.d.T.).
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sedesse sul letto a fianco della moglie, la relazione fra i due ri-
ti non è sufficientemente forte da potersi connettere. È possi-
bile, in realtà, che l’usanza fosse in auge nei tempi antichi, e
fosse assai diffusa in Corsica poiché Diodoro Siculo,91 a pro-
posito di quest’isola, afferma: «Esiste presso quel popolo una
consuetudine assolutamente paradossale relativamente alla na-
scita dei figli poiché, quando la donna entra in travaglio, di lei
nessuno si cura durante il parto mentre il marito si mette a let-
to come se fosse malato e lì rimane per alcuni giorni, quasi
che fosse lui a patire le doglie».
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CAPITOLO XVI
La zona di Iglesia s – Villa ggi – Il ca stello – La festa di Sa nta Greca – Il
nura ghe Ortu – La grotta di Sa n Giova nni – Domusnova s – Ruscelli – La
ca rtiera – Fa llimento – La città di Iglesia s – L’a ssedio del 1323 – Il feudo
a utoa cquista to – Insa lubrità – Popola zione – Ca ra ttere e costume – Ferti-
lità – Vescova do e ca ttedra le – Reliquie – La festa di Sa nt’Antioco – L’a nti-
co vescovo di Sulci – Monteponi – Minera li della Sa rdegna – Osserva zioni
genera li sul loro va lore, produzione e condizioni – Fluminima ggiore – Il
clima – La ca ccia – Il nura ghe – Superstizione – Le grotte – Resti di Anta s,
l’a ntica Metalla – Villa ggi – L’isola di Sa n Pietro – Ca rta ginesi ed a ltri ru-
deri – Storia – Ca rloforte – Corsa ri tunisini – La flotta di Nelson – Rimo-
stra nze per un tra tta mento inospita le – Ca ra ttere e occupa zione della
gente – Sa line e pesca del tonno – L’isola di Sa nt’Antioco – Popola zione –
Il tiro a l piccione – Stra de roma ne – Consuetudini dei Sulcita ni – Pa lma s
– Ca po Teula da – Il nura ghe – Pula – Miniere – La chiesa – Resoconto su
Nora e sulle epigra fi fenicie – L’a cquedotto roma no sulle rovine di un nu-
ra ghe – Altri ruderi roma ni – Da Pula a Orri – Migliora mento delle colti-
va zioni a d opera del ma rchese di Villa hermosa – Pietra milia re roma na
ed epigra fi – Arrivo a Ca glia ri
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101. Più precisamente si tratta del Nuraghe Orcu, che significa gigante
(N.d.T.).
102. A. La Marmora, vol. II, p. 91, tav. 14.
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XI.
IMP · CAES · M · IVLIVS.
PHILIPPVS · PIVS · FELIX
AVG · PONT · MAX · TRIB · POT.
COS · III · P · P · PROCOSVL.
IMP · CAES · M · IVL PHI
LIPPVS · PIVS · FELIX · AVG
FILIVS · DOM · NOSTRI · AVG
PONT · MAX · TRIB · POT · V
COS · II · P · P · PROCOSVL · VIAM
QVAE · DVCIT · A · NORA · KA
RALIBVS · VETUSTATE · COR
RVPTAM · RESTITVERUNT
CVRANTE……
….PROC · SVO · E · V.
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CAPITOLO XVII
La provincia di Ca glia ri – Una ma ggiore civiltà – Ca ra tteri fisici e mora li
– Storia a ntica e moderna – La fonda zione – Stemma della Sa rdegna –
Posizione e descrizione della città – Il Ca stello, porte, torri e emblemi –
Qua rtieri e sobborghi – La Ma rina , Sta mpa ce, Villa nova , Bona ria e Sa nta
Gilla – Il ca stello di Sa n Michele – Le pa sseggia te pubbliche della Polverie-
ra , il Ca sino, Sa n Lorenzo e la terra zza del Ca stello – Gli sta gni – Uccelli
selva tici – Il fenicottero – Le chiese – L’edificio della ca ttedra le – Sa n Cle-
mente – Alta ri, dipinti, tombe, reliquie – Interpreta zione di lettere – Chiese
di Sa n Pietro, della Vergine del Ca rmine, di Sa n Lucifero e di Sa nt’Agosti-
no – Le sue reliquie – L’ora torio da lui mira colosa mente costruito – Dipinti
– La chiesa di Sa nt’Efisio – Cerimonie, reliquie, mira coli – Sa n Domenico
– Elenco dei mona steri e conventi – Sta tistiche ecclesia stiche – Mona stero
fra ncesca no e ca ppuccino – Il collegio dei Gesuiti – Il mona stero di Bona -
ria – Nostra Signora di Bona ria – L’imma gine mira colosa – La riva le Ma -
donna del Mira colo – Pia zza Sa n Ca rlo – La stra da di Sa n Michele – Il
Corso e la pa reggia – Stra de – Ca rri e buoi – Il pa la zzo municipa le – La
visita di Ca rlo V – La cita zione del Robertson e gli schia vi libera ti a seguito
della spedizione dell’impera tore – Il pa la zzo viceregio – Incendio e sue
ca use – La sta tua di Ca rlo Felice nell’Arsena le – Un a bbiglia mento fuori
luogo – Aneddoto – Le ca serme – Il contingente milita re dell’Isola – I di-
versi Corpi, loro orga nizza zione e compiti – Il Sa n Lucifero ed il Conser-
va torio della Provvidenza , gli ospizi degli orfa ni e delle orfa nelle – L’ospi-
zio dei trova telli – L’ospeda le civico – L’ispezione delle lenzuola da pa rte
del viceré – Gli ospeda li milita re e di Sa n Pa ncra zio – Fondi ed istituzioni
per la ca rità pubblica e priva ta – I poveri – Il cimitero pubblico
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di conseguenza, il legname è scarso e costoso e la gente di
campagna è costretta, per potersi riscaldare, a far ricorso alle
fascine ed allo stallatico essiccato. Grazie alla coltivazione
estensiva del terreno arabile, e all’inesistenza di quelle pas-
sioni che sono caratteristiche dei pastori di montagna, la cri-
minalità, ed in particolare la vendetta, sono meno comuni; la
popolazione, naturalmente quella più evoluta, si è ingentilita
con la civiltà e con i contatti con altre realtà esterne; contatti
che, invece, sono stati banditi dalle altre comunità isolane.
L’istruzione, tuttavia, viene trascurata come altrove, dal
momento che – in base al censimento del 1834 (l’ultimo fino-
ra reso noto) – si rileva che la provincia contasse 99.489 ani-
me e pare molto improbabile che 1000 bambini, nel com-
plesso della popolazione, ricevessero un’istruzione scolastica.
Trova così dimostrazione la seguente affermazione: «Perciò di
questi provinciali (salvo i cittadini), appena 2500 persone sa-
ranno che sappian leggere, e di questi non più di due terzi
che possano servirsi della penna nelle loro faccende».120
Ciò significherebbe che circa l’uno per cento della popo-
lazione frequenta le scuole; una persona, circa, su quaranta,
sa leggere ed una su sessanta sa scrivere. Nel commentare
questi dati statistici con un amico di Cagliari, la cui conoscen-
za in materia era profonda grazie alla sua esperienza ed al ti-
po di lavoro svolto, egli affermò senza esitazione che, al mo-
mento attuale, il numero delle persone alfabetizzate è perfino
molto inferiore se rapportato all’aumento della popolazione.
Il carattere indolente ed incurante di questa gente – che è
ancor più rimarchevole rispetto ad altre zone della Sardegna –
ed il basso livello di intelligenza e di acume, può essere im-
putato al clima ed alla mescolanza di sangue africano e spa-
gnolo. Non esistono industrie o attività commerciali di alcun
genere, salvo quelle indispensabili per le esigenze primarie.
Un contadino mangerà, magari, la foglia del fico d’India,
senza preoccuparsi che dentro c’è il frutto, nonostante il terre-
no sul quale esso cresce e sul quale egli vive, sia fertile e ricco
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148. L’autore fa riferimento alle corse a pariglie che avevano luogo nella
strada di San Michele a Cagliari. “Pareggia” equivale al termine più in
uso “pariglia” (N.d.T.).
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delle figlie dei militari indigenti, creata sul modello della Con-
fraternita del S.S. Sudario di Torino, ma il complesso delle
persone accolte è molto esiguo.
I fondi per i due asili dei Trovatelli non sono sufficienti
ad affrontare gli impegni gestionali, e poiché l’affidatario del
bambino paga soltanto due lire nuove, vale a dire 1 scellino,
7 penny e un quarto, non è difficile immaginare in quale sta-
to di abbandono e di miseria versino. Non riuscii a conosce-
re l’esatto numero di coloro che vi erano stati ammessi e che
morirono all’interno di quelle mura nel corso degli ultimi die-
ci anni; certo è che, dal 1825 al 1834, degli 810 bambini ac-
colti, ne morirono 473.
Il complesso dei fanciulli dell’istituto non tiene conto del
novero certo dei figli illegittimi a Cagliari perché, quale che sia
stata la licenziosità di molte madri, esse hanno avuto, tuttavia,
un sentimento di grande tenerezza nei confronti della loro
prole da non affidarla alla disumanità degli ospizi pubblici.
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CAPITOLO XVIII
I tribuna li – Pa nora mica genera le sullo sta to politico e giuridico dell’Iso-
la , pa ssa to e presente – Gli Sta menti o il Pa rla mento – Sua convoca zione
– Il dona tivo – La politica di Ca sa Sa voia – Osserva zioni di Lord Nelson
compa ra te con quelle del Ma nno – Il fonda mento roma no delle leggi – La
Carta de Logu – Soprusi e disordini sotto il dominio a ra gonese – Riforme
e conseguente a ssolutismo sotto Ca sa Sa voia – La ca duta del feuda lesimo
– Le funzioni del viceré – Sa la rio – Un a neddoto – Brevità della perma -
nenza in ca rica – Aneddoti – Il ca ncelliere – I giudici ed i tribuna li – Re-
tribuzioni – La Rea le Udienza – Le prefetture – Tribuna li minori e funzio-
na ri – I giudici del Ma nda mento – Loro poteri e uso scorretto – Segretezza
del diba ttimento – Altera zione delle deposizioni – Aneddoti – Ca rcera zio-
ne dei testimoni – Impunità del crimine e ma nipola zione delle prove –
Storie di rita rdi nei processi e nelle sentenze – L’opinione di un giudice
sa rdo – La gna nze per la nomina di Piemontesi negli uffici sa rdi – Condi-
zioni di indigenza dei giudici – Un a neddoto – Auda cia dei fuorusciti –
Aneddoti – Osserva zioni del Sismondi – Attua le a bolizione della tortura –
La gra zia – Cerimonia pa squa le – La professione forense e i nota i – Com-
mento della giudicessa Eleonora – Le pa rcelle – Le corti di giustizia – La
prigione – Le detenzioni – Celle sotterra nee – I ga leotti – Il porto ed i fra n-
giflutti – La ra da – Il la zza retto – La doga na – La ma rina merca ntile –
Commercio e tra ffici dell’Isola – Esporta zioni e importa zioni – Le ta sse –
Segretezza dei profitti – Il bila ncio – I monopoli regi – La vori di secon-
d’ordine per i Ca glia rita ni – I merca ti del gra no – Prodotti a limenta ri –
I vini – I pozzi – L’a lto costo dell’a cqua – L’a cquedotto roma no – Le sa line
– Produzione e prezzo del sa le
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male la causa, e che coloro che hanno reso vera o falsa testi-
monianza, non corrano il rischio di finire vittima di vendette.
Anche i “processi” o atti d’accusa vengono condotti con analo-
ga segretezza ed in modo totalmente inquisitorio, dal momen-
to che l’accusato non viene neanche chiamato a presenziare al
processo e pertanto nulla sa del proprio destino finché non
viene a conoscenza della sentenza.
L’atto d’accusa viene formulato da due magistrati, il “De-
legato”, o querelante, e l’“Attuario”, il funzionario della Corte.
Il primo prende in esame le testimonianze mentre l’altro sman-
tella la loro evidenza a seconda delle risposte che gli vengono
suggerite dal Delegato. Che le testimonianze siano vere o fal-
se ha poca importanza, dal momento che accade raramente
che gli imputati sappiano leggere o scrivere, così da poter ve-
rificare la correttezza dei verbali e che, per questa ragione, le
testimonianze rese possono venire alterate, aggravate o atte-
nuate, sotto lo scudo protettivo del segreto, secondo volontà
e piacimento del Delegato e dell’Attuario. Qualora un teste,
interrogato da un altro magistrato di un tribunale superiore,
renda una deposizione diversa da quella che risulta agli atti,
anche se la sostanza risponde a quanto in precedenza ha af-
fermato, incorre nel reato di falsa testimonianza ed è soggetto
alle pene di legge; poiché solitamente un secondo interroga-
torio differisce costantemente dal primo, o risultano colpevoli
di falsa testimonianza il denunciante ed il funzionario, oppure
figura colpevole di falso il testimone ma, poiché quest’ultimo
può raramente discolparsi nei confronti del duplice potere
dell’altro, non soltanto i rei la fanno franca ma l’innocente
viene condannato proprio per scagionare loro e, seppure il
testimone fosse in grado, per colmo di fortuna, di provare la
verità della propria deposizione, è altrettanto raro che gli altri
vengano puniti. Si verifica spesso il caso in cui il delegato in-
terroghi come testimone il vero criminale (se le sue entrate
sono superiori alle sue parcelle); in tal caso, il colpevole ricco
accusa altre persone del reato di cui è incriminato e, molto
spesso, accusa lo stesso testimone la cui deposizione avrebbe
potuto farlo condannare, oppure accusa un suo nemico contro
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162. “Con la lotta al coltello” cioè con la lotta all’ultimo sangue (N.d.T.).
163. J. C. L. Sismondi, Études sur les Constitutions libres des Peuples libres,
p. 82.
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166. J. C. L. Sismondi, Études sur les Constitutions libres des Peuples libres,
p. 234.
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ga rde na tiona le, l’a bolition de toute censure préa la ble pour les
livres et la discussion de tous les intérêts de l’Eta t da ns une a s-
semblée na tiona le suffisa mment nombreuse. Nous croyons
que tout mona rque a bsolu de l’Europe, da ns son propre inté-
rêt, peut et doit a ccorder à son peuple ces ga ra nties, s’il veut
ca lmer une fermenta tion croissa nte, rega gner les a ffections de
ses sujets, et éviter les cha nces des révolutions. Nous croyons
a ussi que toute na tion qui entre da ns la ca rrière de la liberté,
doit se contenter de ces privilèges, qu’elle doit songer qu’il est
da ns son intérêt de pa sser pa r l’éduca tion lente et progressive
du gouvernement constitutionel, et qu’il va ut bien mieux pour
les citoyens recueillir les fruits de l’a rbre qui fleurit a u milieu
d’eux, que de l’a rra cher da ns l’espoir de le rempla cer pa r un
a utre de meilleure qua lité ».
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lire nuove, ossia 120.000 sterline l’anno, così che il gettito com-
plessivo delle entrate si può, grosso modo, stimare in 4.286.747
lire nuove, vale a dire 171.470 sterline.
Non sono disponibili dati particolari in merito alla spesa
nei diversi comparti e un cauto riserbo viene mantenuto sui
dettagli dei rendiconti. I monopoli regi del sale, tabacco e
polvere da sparo si possono considerare solo in parte come
componenti importanti del commercio e dell’industria citta-
dina; tuttavia, nella situazione precaria delle altre attività la-
vorative, risultano importanti per il loro valore.
Circa 3000 Cagliaritani trovano occupazione nella mano-
valanza e il loro modesto tenore di vita si può attribuire a di-
verse cause. Il lavoro ed il salario di un anno sono insuffi-
cienti per tirare avanti, anche perché delle 365 giornate, circa
ottanta intere e ventiquattro mezze giornate, sono scrupolo-
samente riservate alle feste, ad eccezione dei giorni festivi in
cui, a dire il vero, non ci si rifiuta di lavorare se vien richie-
sto. A questi giorni di riposo fissati dal calendario, con le re-
lative spese per il divertimento, si devono aggiungere anche
le feste facoltative e quelle occasionali.
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173. Misura del sale che equivaleva a 1400 libbre sarde, 32 stai. Due sal-
me facevano una tonnellata (N.d.T.).
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174. Collina di Cagliari nota attualmente come Monte Urpinu, che è una
derivazione di Mons Vulpinus, in quanto si riteneva che la località fosse
abitata dalle volpi (N.d.T.).
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CAPITOLO XIX
L’a rchivio regio – Archivi – L’Università – Esa mi e la uree – Moda lità del-
l’elezione – Retribuzione dei professori e dei funziona ri – Teologia – Legge
– Medicina – La biblioteca – Libri vieta ti – Uso del la tino – Rigide ed inu-
tili leggi dell’Università – I ma joli – Popola zione di Ca glia ri – Abbiglia -
mento – La lingua – Ta lenti na tura li mortifica ti da ll’indolenza – Feste –
Cerimonie religiose – Consuetudini e costumi – La siesta – Le feste sera li –
La società – Le sera te da ba llo del viceré – Ca se – Lo studio di Ma rghinotti
– Restrizioni per i libri – Il giorna le – Le sta mperie – La censura – Festa a
Qua rtu – Costumi – Il tirai de pei – Dintorni di Ca glia ri – La ta ra ntola –
La descrizione di Swinburne delle credenze e dei costumi pugliesi messi a
confronto con quelli sa rdi – Ca po Sa nt’Elia – Ca ccia a i piccioni selva tici
nella Grotta dei Colombi – La Torre dei Segna li – Il golfo di Qua rtu – La
ca tena dei Sette Fra telli – L’isola dei Ca voli – Il villa ggio di Ca rbona ra –
Popola zione del distretto – Storia di sa mannu rugia
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È per tale ragione che se si vogliono effettuare proficue ricer-
che sulla storia sarda, occorre recarsi a Pisa, Genova, Barcello-
na, Madrid, Roma e Torino mentre, per quanto riguarda gli ar-
chivi ancora esistenti a Cagliari, è indispensabile – per poterli
consultare – ottenere un permesso speciale dal momento che
il Governo è estremamente rigoroso e controlla con occhio
molto vigile qualsiasi tipo di ricerca. Lo stesso sistema vige an-
che a Torino ed un illustre letterato mi rivelò che, nonostante
fosse un rispettabile suddito piemontese, dovette affrontare
molte difficoltà per poter eseguire ricerche d’archivio.
La brevità della mia permanenza in quella capitale fu tale
che non valse la pena che richiedessi alcuna autorizzazione
ma, al mio rientro dall’Isola, mi fu cortesemente consentito
l’accesso. Nelle ricerche estemporanee da me compiute a Ca-
gliari nelle raccolte di documenti, nessuna fonte storica mi of-
frì un quadro delle antiche usanze e delle tradizioni dei Sardi
più esauriente del resoconto dell’ambasciata del duca d’Angiò
a Ugone, giudice di Arborea, nel 1378, e della relazione sulla
cessione del patrimonio di Leonardo Cubello, marchese di
Oristano, a Martino, re d’Aragona e Sicilia, avvenuta nel 1410.
Il primo documento viene riportato in altra parte di questo li-
bro mentre non si è ritenuto che l’altro possa interessare il let-
tore comune. Va dato atto alle autorità competenti ed al Go-
verno dell’ordine e del buono stato di conservazione degli
originali, delle copie dei testi e dei documenti; un’epigrafe in
latino, che si trova nella sala dell’Archivio regio, ricorda la sua
istituzione ad opera di Vittorio Amedeo III, nell’anno 1776.
In un altro stabile si conservano gli antichi archivi eccle-
siastici; sono soltanto sessantacinque, ammucchiati nella con-
fusione più scriteriata, dentro una rozza cassapanca dipinta
nella quale santa Cecilia compare come nume tutelare.
Sembra si continui con la stessa incuria del passato per
cui molto opportunamente Ferdinando V, nel 1511, fece ese-
guire un duplicato di tutti i documenti da conservarsi nella sa-
la capitolare della cattedrale o nel palazzo arcivescovile; una
disposizione che ha tuttora conservato la sua validità. I po-
chi documenti che prima di questo provvedimento vi stavano
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