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La Carta de Logu d’Arborea e alcuni statuti coevi
Sommario – Lo studio presenta la posizione della donna nel medioevo sardo, secondo
quanto appare dai testi della Carta de Logu d’Arborea, il Breve di Villa di Chiesa
e gli Statuti Sassaresi. I codici offrono un’interessante spaccato della figura femminile,
della sua capacità patrimoniale, della possibilità di redigere testamento, della sostan-
ziale parità con gli uomini del suo stesso ceto. Nel confronto tra i vari codici si evince la
modernità dei testi meno influenzati dai domini pisani e genovesi, ponendo in rilievo la
situazione giudicale come un momento di modernità culturale. La lettura dei testi offre
l’opportunità di riscoprire il patrimonio culturale sardo, la freschezza delle normative,
la ricchezza del periodo giudicale. La categoria del “ricordo” e quella del “dialogo” sono
i punti nodali intorno ai quali si deve prolungare il lavoro di ricerca e di comprensione
della dignità umana e, in questo caso, di quella femminile sarda.
Theologica & Historica. Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, XVIII (2009), pp.
258 Michele Antonio Corona
2
Ogni Giudicato possedeva il suo codice di leggi, che veniva ugualmente denominato
Carta de Logu, con la ovvia specificazione del nome del Logu, o Breve. Cagliari, Sassari,
Iglesias, Castelsardo, Terranova, Alghero, Domusnovas, Orosei, Bosa avevano i loro
statuti. In ogni città tali codici presentavano caratteristiche proprie legate alla tipologia
di governo e alle attività produttive proprie. Nel Breve di Villa di Chiesa di Iglesias,
ad esempio, si trovano parti molto dettagliate sull’attività mineraria, mentre in quello
cagliaritano è molto più accentuato il commercio e l’economia legati al porto. Cfr. G.
Todde, Politica e cultura in Sardegna nel XIV secolo, in G. Todde [e al.], Il mondo della
Carta de Logu, Edizioni 3T, Cagliari 1979, pp. 15-16. Nell’Ottocento vennero pub-
blicate dal Martini delle carte false attribuite al periodo di Eleonora, che sostenevano
il mito della giudicessa. Vennero ritenute valide e in loro difesa si pose, tra gli altri,
Salvator Angelo De Castro. Per un’esposizione chiara della vicenda e delle problema-
tiche, si veda: P. Gaviano, Le Carte d’Arborea, Ed. S’Alvure, Oristano 1996 e Le Carte
d’Arborea. Falsi e falsari nella Sardegna del XIX secolo, a cura di L. Marroccu, AM&D
EDIZIONI, Cagliari 1997.
3
La parte finale del proemio offre la possibilità di datare la revisione di Eleonora attra-
verso il computo di oltre sedici anni dai quali la Carta non fu più rettificata. “Sa Carta
de Logu, sa quali cun grandissimu provvidimentu fudi fatta peri sa bona memoria de juy-
ghi Mariani padri nostru, in qua direttu juyghi de Arbarèe, non essendo corretta per ispa-
ciu de seighi annos passados,…”. F.C. Casula, La “Carta de Logu” del Regno di Arborea.
Traduzione libera e commento storico, Carlo Delfino Editore, Sassari 1995, pp. 32-
33. Uno dei problemi maggiori che gli esperti cercano di studiare è l’individuazione
delle norme emanate da Mariano, quali quelle introdotte da Ugone e le ultime novità
inserite da Eleonora. Tale problematica rimane irrisolvibile a causa della mancanza di
un qualche manoscritto, che attesti il codice primigenio promulgato da Mariano, in
modo tale da poterlo confrontare con le edizioni di Eleonora. L’unico modo per poter
fare delle ipotesi rimane l’analisi della situazione culturale e sociale in cui si può con-
cepire la genesi delle diverse norme.
4
Per avere una visione d’insieme del testo, della sua importanza e dell’ambiente sto-
rico-culturale in cui viene promulgato, si veda: Id., La Sardegna aragonese (2 voll.),
Chiarella, Sassari 1990. pp. 448-464.
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 259
del 1395, deducendo ciò dai capitoli XIX, XX e CV del testo5. Besta6 e
Casula7 hanno datato, invece, la promulgazione nel 1392, mentre la Fois
tra il 1388 e il 13898.
Il codice, prima destinato ai soli territori d’Arborea, allargato da Ma-
riano a molte zone di influenza arborense, venne, nel 1421, esteso all’intera
Isola dal Parlamento celebrato a Cagliari da Alfonso V, detto il Magna-
nimo9. Il codice rimase in vigore fino alla promulgazione del Codice Fe-
liciano del 16 Aprile 182710. L’esaltazione romantica della giudicessa è da
tempo superata11, in virtù di una più approfondita e oggettiva conoscenza
5
Cfr. G.M. Mameli De’ Mannelli, Le costituzioni di Eleonora giudicessa di Arborea
intitolate Carta de Logu, Fulgoni, Roma 1805. E’ interessante notare come la data-
zione del Mameli abbia influenzato la cultura e l’arte del tempo, inducendo gli artisti
ottocenteschi, che raffiguravano Eleonora nell’atto di promulgare la Carta, ad apporre
la data di APRILIS MCCCXCV. Si veda, ad esempio, l’affresco presente nell’attua-
le Aula Consiliare dell’Amministrazione Provinciale di Cagliari nella sala del Palazzo
Viceregio.
6
E. Besta - P.E. Guarniero, “Carta de Logu” de Arborea. Testo con prefazioni illustrative,
«Studi sassaresi» III (1905).
7
Cfr. F.C. Casula, La “Carta de Logu”…, cit., p. 240.
8
Cfr. B. Fois, Sulla datazione della Carta de Logu, «Medioevo. Saggi e Rassegne» 19
(1994) 133-148.
9
Per un confronto con i documenti coevi delle altre zone isolane, per una chiara analisi
dell’applicazione e dell’adattamento della Carta, si veda: M.M. Costa Paretas, Intorno
all’estensione della Carta de Logu ai territori feudali del Regno di Sardegna (1421), in
La Carta de Logu d’Arborea nella storia del diritto medievale e moderno, a cura di I.
Birocchi - A. Mattone, Ed. Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 377-384; M.M. Costa,
Intorno all’estensione della Carta de Logu ai territori feudali del Regno di Sardegna nel
1421, «Medioevo. Saggi e Rassegne» 19 (1994) 149-158.
10
Questo dato, apparentemente solo di ambito giuridico, rappresenta un aspetto fon-
damentale: il codice, prima in vigore in un territorio delimitato, poi venne esteso alla
quasi totalità dei cittadini isolani. Questo fatto imprime alla Carta un grande valore
simbolico di unità e mutua integrazione dei vari popoli. La Carta ha rappresentato, sia
nella lingua, sia nella condivisione giuridica, un elemento di appartenenza al popolo
sardo nelle sue varie regioni e culture locali. «In una lettera datata: “Sanluri, 3 febbraio
1392”, Brancaleone Doria annunciava trionfante in ydiomate sardisco che, per ritorna-
re alla situazione territoriale precedente l’iniqua pace dell’88, mancava solo Logosardo,
compensato dall’occupazione di Gioiasaguardia presso Villamassargia. Ciò vuol dire
che, in meno di sei mesi, il regno di “Sardegna e Corsica” si era ridotto solamente
alle due città di Castel di Cagliari e Alghero, ed a qualche castello isolato. Il resto era
tutto Sardegna giudicale». F.C. Casula, La Storia di Sardegna. L’Evo Medio (II), Carlo
Delfino Editore, Sassari 1994, p. 773; ID, La Sardegna…, cit., pp. 636ss.
11
Su Eleonora è stata creata una letteratura romantica, che l’ha dipinta come una vera
e propria eroina con una forte personalità e un’autorevole tempra di governo. Molti
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14
Eleonora non avrebbe citato il fratello per evitare che le norme, da lui introdotte e
da lei riprese, potessero essere rigettate o contestate. Cfr. R. Carta Raspi, Storia della
Sardegna, cit., p. 669.
15
Manoscritti e Lingua Sarda, a cura di C. Tasca, La Memoria storica, Cagliari 2003, p.
41.
16
Cfr. A. Sanna, Il carattere popolare della lingua della Carta de Logu, in Il mondo…, cit.,
pp. 51-70. Cfr. anche: E. Besta - P.E. Guarniero, “Carta de Logu”…, cit., 69-81; F.C.
Casula, Cultura e scrittura nell’Arborea al tempo della Carta de Logu, in Il mondo…,
cit., pp. 71-109. Bisogna tener ben presente che nelle edizioni che ci sono giunte si
trovano differenze evidenti di scrittura, di dialetto e di forma, per il fatto che esse
hanno gradualmente adattato il linguaggio alla situazione culturale e linguistica, in cui
venivano ripubblicate. La cancelleria arborense usava di norma la lingua latina per i
propri documenti, anche se «occorre operare una distinzione tra documenti ammini-
strativi ad uso interno e documenti di portata internazionale». A. Piras, I caratteri del
latino nei documenti della cancelleria arborense, in Giudicato d’Arborea…, cit., p. 915.
Per approfondire l’uso del latino e lo stile di scrittura, si veda: L. Cicu, Il latino nel
Giudicato d’Arborea, in Società e cultura nel Giudicato d’Arborea e nella Carta de Logu,
Atti del Convegno internazionale di studi (Oristano, 5-8 Dicembre 1992), a cura di
G. Mele, Poligrafica Solinas, Nuoro 1995, pp. 121-131.
262 Michele Antonio Corona
17
A. Dettori, Testualità e lingua nella Carta de Logu di Arborea, in La Carta de Logu…,
a cura di I. Birocchi - A. Mattone, cit., p. 142. L’articolo rappresenta uno studio serio
di tutte le caratteristiche linguistiche e formali presenti nella Carta, ed, inoltre, offre
un apparato esplicativo notevolmente ricco di riferimenti testuali e bibliografici per
analizzare scientificamente la questione.
18
Cfr. J. Lalinde Abadía, La Carta de Logu…, cit., pp. 20-21.
19
F.C. Casula, La “Carta de Logu”…, cit., p. 26. Il giudizio critico di Casula sul mano-
scritto cagliaritano e sulla traduzione di Besta e Guarniero è piuttosto negativo, poiché
lo ritiene lacunoso e scritto su «modesta carta invece che su più degna pergamena, ed
inoltre con una sciatta grafia documentaria della seconda metà del Quattrocento in
luogo di un’aulica scrittura gotica libraria della fine del Trecento». Ib., p. 239. Besta,
nell’introduzione, aveva a sua volta criticato l’opera del Mameli. «Benché offra ampio
corredo di illustrazioni storico-giuridiche e l’autore abbia anche avuto delle pretese
critiche, è forse di tutte (le edizioni fino ad allora pubblicate, NdR) la peggiore. Non
di manoscritti si valse il Mameli, ma di stampe e di stampe non ottime». E. Besta -
P.E. Guarniero, “Carta de Logu”…, cit., 9. Le nove edizioni a stampa che possediamo
sono riconducibili a due archetipi, chiamati comunemente “A” e “B”, che potrebbero
essere a loro volta delle copie di copie del manoscritto originale; per questo motivo,
tutte le edizioni hanno bisogno di un notevole lavoro di critica testuale. All’archetipo
“A” si rifanno le seguenti edizioni: 1485, 1560, 1567 (utilizzata dal Mameli de’
Mannelli (1805) dal Casula (1995), 1607, 1628, 1805; mentre all’Archetipo “B”:
1617, 1708, 1725. Cfr. F.C. Casula, La “Carta de Logu”…, cit., pp. 26, 243. Per avere
un’attenta panoramica sul manoscritto e sulle edizioni a stampa, si veda: G. Cossu
Pinna, La Carta de Logu. Dalla copia manoscritta del XV secolo custodita nella Biblioteca
Universitaria di Cagliari alla ristampa anastatica dell’incunabolo: bibliografia aggiornata
e ragionata, in Società e cultura…, cit., pp. 113-119; T. Olivari, Le edizioni a stampa
della Carta de Logu (XV-XIX sec.), «Medioevo. Saggi e Rassegne» 19 (1994) 159-175.
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 263
ché di domande e risposte tra il padre della sposa e l’intermediario. I procedimenti fa-
vorivano i due criteri necessari per il riconoscimento sociale del matrimonio: pubblico
e consensuale. Un problema notevolmente importante era la mancanza di riconosci-
mento del rito da parte dell’autorità ecclesiastica. Per questa ragione fu notevolmente
duro il continuo richiamo della Chiesa nei confronti della società e del Legislatore, che
favoriva la convivenza “more uxorio”. Tuttavia, ancor peggiore si presentava la situazio-
ne del clero, che spesso viveva nel concubinato riconosciuto e pubblico, attraverso la
modalità presentata. Cfr. J. Day, Uomini e terre nella Sardegna coloniale del XII-XVIII
secolo, CELID, Torino 1987, pp. 297-298. La figura del “trattatore” o “paraninfo”
rimase nell’uso popolare per secoli, fino al dominio sabaudo. Esistono documenti no-
tarili ritrovati nell’Archivio del Tribunale di Cagliari, che descrivono la consuetudi-
ne e l’impossibilità di perfezionare il matrimonio in assenza del citato intermediario.
Cfr. C. Pillai, Riti nuziali e matrimoni clandestini nella Sardegna sabauda, «Quaderni
Bolotanesi» XXX (2004) 371-384. E’ interessante leggere: A. Bresciani, Dei costumi
dell’isola di Sardegna, Illisso Edizioni, Nuoro 2001 [ristampa], pp. 373-394.
30
Cfr. F.C. Casula, La “Carta de Logu”…, cit., p. 244.
31
Negli archivi sono numerosi gli atti notarili dei secoli successivi (XV-XIX), in cui i co-
niugi che avevano contratto matrimonio nella forma dotale separata (richiamata anche
qui – over a dodas – ma che analizzeremo meglio nel capitolo successivo) passavano
a quello comunistico del coiuviu a sa sardisca o ad modo sardesco o senso carta. Cfr. A.
Argiolas, Il matrimonio a sa sardisca nei secoli XV-XIX, in La Carta de Logu…, a cura
di I. Birocchi - A. Mattone, cit., p. 355. Per avere un’ampia panoramica sulle peculia-
rità della comunione dei beni nel matrimonio sardo, si veda il datato, ma validissimo
articolo: M. Roberti, Storia dei rapporti patrimoniali fra coniugi, «Archivio Storico
Sardo» IV (1908) 282 ss.
32
Cfr. E. Besta - P.E. Guarniero, “Carta de Logu” de Arborea…, cit., 58-59.
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 267
semper s’intendat chi ciascunu creditori chi havirit a reciver innantis chi su dittu ma-
leficiu esseret perpetradu e fattu, chi siat pagadu de totu chi justamenti hat a mostrari
chi happat a reciver».
38
Cfr. F.C. Casula, La “Carta de Logu”…, cit., p. 246; A. Argiolas, Il matrimonio a sa
sardisca…, cit., p. 356. Si trova un attento confronto tra l’usanza comunionale sarda e
la legislazione pisana, che non consentiva alla donna né l’acquisizione né l’alienazione
di beni senza il consenso del marito, in A. Era, Sulla capacità giuridica della donna
maritata nella storia del diritto in Sardegna, Gallizzi, Sassari 1932.
39
A. Argiolas, Il matrimonio a sa sardisca…, cit., p. 356.
40
La verginità era una caratteristica ambita dagli uomini che cercavano moglie ed era
considerata dalle famiglie un aspetto importante per il “valore” della donna. I mariti
sovente pretendevano che la propria moglie non si potesse risposare dopo la loro mor-
te. Cfr. G. Olla Repetto, La donna cagliaritana tra ‘400 e ‘600, «Medioevo. Saggi
e Rassegne» 11 (1986) 201ss. Per una descrizione ampia e dettagliata degli istituti
giuridici romani, longobardi e franchi circa gli apporti maritali e muliebri, si veda: R.
Braccia, “Uxor gaudet de morte mariti”: la donazione propter nuptias tra diritto comune
e diritti locali, «Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Genova» XX (2000-2001)
76-128 [Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”].
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 269
41
Interessante notare che anche Mariano, il Legislatore, concesse alla propria figlia
Eleonora Casteldoria come dote per il matrimonio con Brancaleone Doria. Tuttavia,
non si conoscono né i dettagli contrattuali, né con quale istituto venne sancito il pat-
to coniugale. Cfr. P.F. Simbula, Casteldoria: dote matrimoniale di Eleonora d’Arborea,
«Medioevo. Saggi e Rassegne» 16 (1991) 117-130, con appendice documentaria.
42
«Item ordinamus chi si alcuna femina si coyarit a modu sardiscu, over a dodas, e mor-
rerit et lassarit alcunu figiu picciu, si cussu figiu picciu morrerit posca senza legittima
edadi de annos deghiottu, chi su padri dessu dittu ceraccu succedat et happat s’here-
didadi dessu dittu figiu suo; e simigiàtementi sussedat sa mamma assu figiu picciu in
cussos benis ch’illi furuntu remasidos dae su padri. Excettu chi su padri over sa mam-
ma havirint fattu testamentu, ch’in cussu casu si deppiat osservari s’ordini de cussu
testamentu ed issa voluntadi dessu testadori».
43
Cfr. A. Virdis, Il Matrimonio a su modu sardiscu e la Carta de Logu, «Teologica &
Historica» XI (2002) 451-485. Virdis analizza questo capitolo attraverso un’ottica ca-
nonistica con particolare attenzione alla posizione di Olives (1567).
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Il problema sorgeva nel momento in cui il coniuge morto avesse avuto precedenti lega-
mi matrimoniali con prole. Nella Carta non è menzionato il problema. Per avere una
visione del problema nel mondo fiorentino nel periodo coevo alla promulagazione del
documento arborense, si veda: I. Chabot, Seconde nozze e identità materna a Firenze
tra Tre e Quattrocento, in Tempi e spazi della vita femminile nella prima età moderna, a
cura di S. Seidel Menchi - A. Jacobson Schutte - T. Kuehn, Il Mulino, Bologna 1999,
pp. 493-523, (Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento; quaderno 51)
[Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”].
270 Michele Antonio Corona
45
G.M. Mameli De’ Mannelli, Le costituzioni di Eleonora…, cit., nota 162.
Testimonianza forte di tale antichità sia il fatto che anche il codice di Sassari del 1316
(Il codice degli Statuti del libero comune di Sassari) riportava lo stesso istituto, eviden-
ziando l’utilizzo comune da parte dei cittadini isolani. Cfr. J. Day, Uomini e terre…,
cit., p. 291.
46
La casistica è esplicitata ed esemplificata in modo diretto dal capitolo LI, in cui si
evidenzia nettamente la mancanza di un numero sufficiente di notai per permettere te-
stamenti validi e la preoccupazione incalzante dei Capitoli per le donazioni, chiamate
Cause pie. Cfr G.M. Mameli De’ Mannelli, Le costituzioni di Eleonora…, cit., nota
99.
47
Nei documenti notarili rinvenuti negli archivi dei Condaghi sono state trovate nume-
rose testimonianze di atti voluti, firmati e portati a termine da attori di sesso femminile
in completa autonomia. Cfr. E. Artizzu, Il ruolo della donna nei negozi giuridici ripor-
tati dai Condaghi, «Quaderni Bolotanesi » XIX (1993) 251-262. Per il ruolo delle mo-
nache benedettine, si veda: I. Delogu, Quasi una cronaca al femminile nel Condaghe
di San Pietro in Silki, «Quaderni Bolotanesi» XXVII (2001) 153-168. Il ruolo delle
religiose può certamente essere un filone da studiare, per capire meglio la posizione
delle donne nella società e nella chiesa medievale d’Arborea.
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La disparità giuridica tra moglie e marito è praticamente inesistente sia a livello pa-
trimoniale, sia giuridico. Si tenga tuttavia presente che, anche nella Carta de Logu, si
trovano delle differenze di prezzo per il riscatto di servi maschi o serve. Si dovrebbe
ricondurre tale differenza alla diversa capacità di forza lavoro agricola tra i due sessi,
piuttosto che a mere illazioni sulla svalutazione femminile. Cfr. J. Day, Uomini e ter-
re…, cit., pp. 292-295. Riteniamo interessante annotare una particolarità dell’Isola
legata saldamente alla donna. Nel Medioevo sono testimoniati in diversi documenti i
matronimici: i figli di donne di varia estrazione sociale avevano il cognome della ma-
dre. Si ipotizza il loro uso per diverse ragioni: per distinguere figli di diverse madri e
stesso padre, per distinguere un figlio dall’altrimenti omonimo padre, per indicare ille-
gittimità, per indicare che lo status giuridico derivava dalla propria madre, per indicare
i figli di matrimoni di ecclesiastici, non canonici, per indicare che la posizione sociale
ereditata derivava dalla madre. Cfr. R. J. Rowland Jr., Matronimici e altre singolarità
nella Sardegna medioevale, «Quaderni Bolotanesi» XV (1989) 369-375.
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 271
del padre o della madre nel momento della morte di questi56. Dobbiamo
osservare che non esisteva discriminazione tra figlio maschio e figlia fem-
mina, sebbene si debba rilevare che il passaggio patrimoniale fosse auto-
matico per il primo, mentre per la figlia necessitava di codifica. Risulta
interessante annotare, inoltre, che il Legislatore stabiliva che parte dell’ere-
dità dovesse andare di diritto a fratelli o sorelle del morto. Si può proba-
bilmente ricondurre tale preoccupazione all’esigenza di non avere famiglie
e persone completamente sprovviste del necessario per vivere; così parte
del patrimonio di un uomo con una sola figlia doveva essere condiviso, in
giusta misura, coi collaterali.
56
Successivamente tra le richieste degli Stamenti militari in periodo aragonese si può
notare una puntualizzazione, che nella risposta regia, mina la capacità giuridica della
donna. Il re approvò la successione della donna, in un feudo in cui non fossero pre-
senti eredi maschi, a condizione che la successione femminile fosse durata per una sola
generazione. Precisa inoltre, nei casi in cui non era stato fatto testamento, che si fosse
preferito il figlio maschio del primogenito morto a qualsiasi sorella del legittimo di-
scendente. Tali precisazioni rivelano, da una parte la direzione maschilista che si veniva
formando con le decisioni della corte d’Aragona, dall’altra la quasi totale disattenzione
alle norme degli statuti sardi. Cfr. Acta Curiarum Regni Sardiniae, I Parlamenti del
Viceré Giovanni Dusay e Ferdinando Giròn de Rebolledo (1495,1497,1500,1504-1511),
a cura di A.M. Oliva - O. Schena, Cagliari 1998, pp. 721, 728.
57
«Volemus ed ordinamus chi alcuna femina non usit nen deppiat dari in alcunu modo
assu maridu nen in vida nen in morti sua plus de liras deghi, ed issu maridu assa mu-
geri atteru e tantu, dess’issoru pegugiari ; ed icussu det cussu chi hat a haviri valsenti de
liras vinti ‘nsusu ; ed icussu chi hat a haviri valsenti dae liras vinti ‘ngiossu, det soddos
vinti ; ed icussu det s’unu a s’atteru, s’illi hat a plagheri ; e si nolli plagherit, nondi siat
tenudu nen assu maridu nen assa mugeri. Ed icustu capidulu happat legittimu logu
in casu chi su maridu over mugeri havirint descendentis over ascendentis; e si nondi
havirint, siat illis licitu de lassarisi s’unu ass’atteru per testamentu, over per donacioni
causa mortis, totu ciò chi hant a voler dessos benis issoru».
274 Michele Antonio Corona
1.2.6 Caso in cui un uomo muoia senza fare testamento (Cap. CI)59
Il primo dato da notare in questo capitolo è la differenza presente tra
il testo e la rubrica. In quest’ultima si parla di Dessos Ufficialis chi debint
fagher inventariu dessos benis dessos Minoris chi remanint appusti dessu padri
over dessa mamma ed è presente un esplicito riferimento alla morte di en-
trambi i genitori. Padre e madre avevano lo stesso diritto di lasciare, come
già visto, la propria parte di eredità alla prole. Nel testo invece si dice:
quando alcun homini morrerit senza fagheri testamentu, dando l’impressione
di un’impronta maschilista. E’ probabile, invece, che in questo caso il ter-
mine homini abbia un’accezione ampia, indicando l’individuo giuridico a
prescindere dal sesso60.
Giungendo al senso della norma, si deve annotare l’interesse del Legisla-
tore per una giusta e inopinabile chiarezza sui beni dei minori orfani. La
procedura prescritta è molto accurata e attenta per evitare ogni improvvisa-
zione. La norma appare anche molto severa verso parenti o tudoris reticenti
e sprovveduti. I curadoris avevano il dovere di redigere con alcuni boni ho-
mines61 un elenco ordinato dei beni (“dintro de domu e foras”). Questo ca-
58
Nel Parlamento del 1500 venne chiesta l’abrogazione di un precedente capitolo di
corte (1481-1485), che aveva modificato la normativa della Carta. Si chiese sostanzial-
mente di rimettere in vigore il capitolo C. Cfr. Ib., pp. 251-253.
59
«Constituimus et ordinamus chi sos Curadoris ed Officialis nostros de Corti de
Arbarèe, ciascunu in sa curadorìa ed officiu suo, chi hant a haviri in manos, deppiant
esser tenudos, quando alcun homini morrerit senza fagheri testamentu, e lassarit figios
o figias piccinnas, e nollas accomandarit per testamentu, chi sos benis suos propios,
chi remanint dintro de domu e foras, chi si deppiant totu fagheri scriviri ordina(da)
menti, avendo s’Officiali a compagnia sua dessos bonos hominis dessa contrada over
dessa villa (…)».
60
Già Mameli aveva notato questa discrepanza tra il testo e la nota rubricale, ribadendo
l’assoluta parità di diritti tra padre e madre. Cfr. G.M. Mameli De’ Mannelli, Le
costituzioni di Eleonora…, cit., nota 167. Casula traduce “…allorquando qualcuno
muore…”, interpretando allo stesso modo. Cfr. F.C. Casula, La “Carta de Logu”…,
cit., p. 127.
61
I boni homines sono giudicati tali per la loro integrità e statura morale (requisiti:
buon senso, equilibrio, diligenza, onestà, senso civico, giustizia, etc.). Cfr. G. Olla
Repetto, L’ordinamento costituzionale-amministrativo della Sardegna alla fine del ‘300,
in Il mondo…, cit., pp. 154-157. Casula precisa: « probi uomini per integrità morale e
pubblica stima». Cfr. F.C. Casula, La “Carta de Logu”…, cit., p. 127.
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 275
talogo doveva essere inoltre redatto in duplice copia, in modo tale da con-
segnarne uno alla persona prescelta per l’affidamento dei minori e l’altro
depositato nella Corte. Tale ufficialità e precisione burocratico-legislativa
rivelava l’importanza dell’eredità in una società legata al patrimonio e l’in-
teresse per una giustizia equa, soprattutto nei confronti dei più indifesi. Il
ruolo dell’affidatario non poteva essere rifiutato dalla persona nominata,
a meno che non ci fossero stati dei motivi validi e giustificati. Nel caso in
cui il parente stretto (alcunu parenti de istrittu) avesse i giusti motivi per
rigettare l’incarico, si prescriveva, ad altre persone di fiducia, l’affidamento
e la custodia dei beni, fino alla maggiore età dei minori62. Ogni violazione
dei diritti dei minori e le varie irregolarità nella gestione dei beni avrebbero
comportato delle pene pecuniarie a carico dei tutori.
62
La cura con cui il Legislatore prescrive tale norma e obbliga un parente, o una persona
di fiducia, all’affidamento dei minori, richiama quella figura giuridica presente nella
società ebraica veterotestamentaria, denominata go’el. Nel caso in cui una donna fosse
rimasta vedova, senza aver avuto figli da suo marito, il parente più prossimo (go’el) del
defunto avrebbe dovuto prendersi cura della vedova e concepire con lei, per una logica
comunitaria, un figlio, in modo tale da concedere la discendenza. Ciò avveniva anche
per gli orfani, i quali erano affidati al parente più prossimo del padre.
63
«Item ordinamus chi si alcuna persona maschiu o femina darit a mandigari over a bieri
alcunu venenu malu, o tossigu, dessu quali poderit morri s’homini, over sa femina, a
chi esserit dadu, s’indi esserit confessa, over ch’illi esserit provadu legittimamente, e
morreritindi s’homini, over sa femina a chi esserit dadu, si est homini cussu chi hadi
fattu su dittu mali, siat infurcadu ch’indi morgiat; e si esserit femina, siat arsida. E non
campit pro dinari alcunu. E si cussu a chi s’illi darit su dittu toscu, over venenu, nondi
morrerit, nen haverit mancamentu dessa persona, siat illi segada sa manu destra. E pro
dinari alcunu non campit, chi nolli siat segada (…)».
64
Non è scontata tale uguaglianza anche esplicita, visto che in molti codici medievali si
valutava il reato in modo diverso, a seconda del sesso e dello stato sociale della vittima.
Per avere un quadro ampio sull’argomento, in riferimento al basso Medioevo, si veda:
P. Aries - G. Duby, La vita privata. Dall’Impero romano all’Anno Mille, Arnoldo
Mondadori Editore, Cles 1993, pp. 366-382.
276 Michele Antonio Corona
65
L’impiccagione non era operata con un cappio al collo, ma la testa dell’imputato veni-
va bloccata nello snodo di due rami appoggiandovi la mandibola. E’ evidente che tale
modalità presenta una maggiore brutalità e provocava lunghe sofferenze.
66
Sugli aspetti generali riguardanti l’omicidio e le pene connesse nella Carta de Logu,
si veda: E. Artizzu, L’omicidio nella Carta de Logu, «Quaderni Bolotanesi» XXII
(1996) 157-166.
67
Si può supporre che la gravità e l’infamia del rogo fossero legate al fatto che questa
condanna distruggeva il corpo e lo deturpava, presentando un grave problema per il
dogma cristiano della resurrezione della carne. Questo motivo potrebbe essere la causa
più probabile del giudizio così negativo nei confronti della condanna al rogo. Altri
hanno supposto che la difformità di pena sia in funzione intimidatoria nei confronti
della donna, più incline per natura (!) a compiere avvelenamenti. Cfr. J. Lalinde
Abadía, La Carta de Logu…, cit., p. 34.
68
Il Mameli nel suo commento ricorda che solo nel 1593 si mutò tale disposizione,
stabilendo anche per la donna la forca. Nello stesso periodo della Carta, anche il Re di
Francia, Luigi IX (1214-1270), prescrisse che le donne venissero condannate al rogo.
Cfr. G.M. Mameli De’ Mannelli, Le costituzioni di Eleonora…, cit., nota 8. Nella ri-
cerca degli atti dei Parlamenti sardi, abbiamo ricavato che la data esatta della modifica
è il 1594 e non il 1593, come afferma il Mameli. Cfr. Acta Curiarum Regni Sardiniae,
Il Parlamento del viceré Gastone de Moncada marchese di Atona (1592-1594), a cura di
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 277
lavoro (in un’economia agro-pastorale), per questo la norma era ancora maggiormente
efficace. A questo proposito è interessante riportare il raccapricciante commento del
Mameli: «La durezza, ed austerità di queste pene, ch’io non oso chiamare barbare, per
averne veduto delle simili stabilite da umanissimi Principi, e fra gli altri dal santo Re di
Francia (…) dimostra la costumatezza, ed invidiabil contegno di que’ tempi, e quan-
to i Legislatori fossero zelanti protettori dell’onestà, e dell’innocenza. (…) Era forse
questo uno di que’ delitti, ne’ quali convenisse aver riguardo al maggiore, o minor
dolo? Che se la Legge volle aver riguardo al caso di seduzione per parte della donna,
avrebbe potuto stabilire una pena contro la donna seducente, lasciando in quel caso
l’uomo impunito: disposizione, che forse avrebbe servito di maggior contegno all’or-
mai troppo sfacciato sesso femminile». G.M. Mameli De’ Mannelli, Le costituzioni
di Eleonora…, cit., nota 41.
76
A.P. Loi, “La figura della donna…”, cit., p. 155. La modifica della pena per lesioni e
per violenza carnale prevedette che il reo fosse inviato alle galere per dieci anni, senza
alcuna pena corporale. La pena inflitta rispondeva alla necessità urgente di vogatori
nelle galere iberiche. Cfr. Acta Curiarum Regni Sardiniae…, a cura di D. Quaglioni,
cit., p. 610. Il nostro obiettivo non è assolutamente quello di giustificare o appoggiare
un penalizzazione corporale e di mutilazione, contro i colpevoli. Ma l’interesse mag-
giore è quello di far notare come le pene dei reati compiuti contro le donne, vennero
mitigati in direzione strumentale e funzionale. La pena corporale non è condivisa,
né valida nei confronti della dignità della persona, neppure, logicamente, di quella
colpevole. L’attenzione si concentra sulle modalità diseguali in cui vennero modificate
alcune norme, minando la dignità e la sicurezza femminile.
280 Michele Antonio Corona
«Volemus ed ordinamus chi si alcun homini reerit over tennerit femin’alcuna coyada
80
palesamenti, cun sa quali havirit a fagheri carnalimenti contra a sa voluntadi dessu ma-
ridu, e dimandandosilla cussu maridu, s’illa denegarit siat condennadu in liras centu,
sas qualis deppiat pagari infra dies bindighi de chi hat a esser juygadu; e si non pagat
siat illi segada un’origla in totu. Ed issa femina siat condennada, secundu in su capidu-
lu si contenit».
282 Michele Antonio Corona
81
«Item ordinamus chi nexuna femina chi siat fanti de lettu angina, o chi non siat muge-
ri legittima, usit nen deppiat levari dae sa domu dess’habitacioni chi fagherint impari
cun s’amigu cos’alcuna dess’homini suo contra sa voluntadi de cussu, sutta pena de
esser condennada e punida pro fura secundu ch’insu capidulu dessas furas si contenti,
e siat tenuda de restituiri sas cosas furadas e levadas. E simili pena s’intendat ass’amigu
chi levarit contra sa voluntadi dess’amiga cosas proprias».
82
Si noti la discrepanza esistente tra il testo e la rubrica (Dessas Fantis de lettu, over
Servicialis, chi levarint dae sa domu dess’habitacioni dessos fancellos, over padronos issoru
cos’alcuna contro sa voluntadi issoru). Nel testo si parla solo di concubine e non di don-
ne di servizio, come nel titolo.
83
Dopo gli studi del Satta-Branca, gli studiosi sono concordi nel ritenere che l’influsso
maggiore sugli Statuti non fu principalmente genovese, ma pisano. Cfr. F. Artizzu, La
Sardegna pisana e genovese, Sassari, Chiarella, 1985, pp. 207-208.
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 283
24.
88
La testimonianza è data dalla scritta «Consta este volumen de 146 ojas escritas, y por etc.
Pinna Deidda secretario» ritrovata nel verso dell’ultimo foglio del manoscritto. Cfr. L.
D’Arienzo, Il codice del Breve…, cit., 81-82.
89
Cfr. J. Lalinde Abadía, “La Carta de Logu…”, cit., pp. 26-27.
90
Sebbene il riferimento non sia esplicito, possiamo supporlo. Cfr. Breve di Villa di
Chiesa nel Sigerro, in Codice Diplomatico di Villa di Chiesa in Sardigna, a cura di C.
Baudi di Vesme, Torino 1877, l. III, III, col. 124. [Da ora in poi citeremo: BVC]
91
BVC, l. III, LXXIII, col. 166. E’ ricorrente l’assimilazione o, almeno, l’accostamento
nell’espressione “mascho e femina”. Cfr. BVC, l. II, VI, col. 88; l. II, XXI, col. 98; l. II,
XXX, col. 101; l. II, XXXIII, col. 102; l. II, XLVI, col. 107; l. II, XLVII, col. 108. Un
problema su cui lavorare e indagare con precisione sarebbe capire il differente valore
tra homo, femina e persona: la questione è tutt’altro che solo linguistica.
92
BVC, l. II, X, coll. 91-92.
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 285
110
Cfr. F. Artizzu, La Sardegna pisana…, cit., pp. 181-182. Per avere una breve e pano-
ramica presentazione storica della città, si veda: G.G. Ortu, La Sardegna dei Giudici,
cit., pp. 215-219.
111
Cfr F. Artizzu, La Sardegna pisana…, cit., p. 182.
112
Cfr. F.C. Casula, La Storia… (II), cit., pp. 690ss.
113
Cfr. F. Artizzu, La Sardegna pisana…, cit., p. 183. Per leggere la convenzione si con-
sulti: P. Tola, Codice degli Statuti della Repubblica di Sassari, Chiarella, Sassari [ristam-
pa anastatica Tipografia di A. Timon, Cagliari 1880], pp. 3ss. [Da ora in poi citeremo
CSRS].
114
Per maggiore approfondimento, si veda: F. Artizzu, La Sardegna pisana…, cit., pp.
185-189; Id., Le strutture politico-amministrative del Comune di Sassari attraverso la
lettura degli Statuti, in Gli Statuti Sassaresi. Economia, Società, Istituzioni a Sassari
nel Medioevo e nell’Età Moderna. Atti del Convegno di studi (Sassari, 12-14 maggio
1983), a cura di A. Mattone – M. Tangheroni, EDES, Cagliari 1986, pp. 170-176.
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 289
115
«Anche la parlata genovese è pochissimo presente nella versione volgare degli Statuti:
secondo il Wagner l’unica testimonianza sarebbe data dalla parola asteris che significa
“tranne”, “eccetto che”, ed è da ricondursi al genovese aster». F. Artizzu, La Sardegna
pisana…, cit., p. 209. Tuttavia alcuni studiosi ritengono che l’influsso genovese non
sia stato così inefficace, ma che abbia condizionato significativamente a livello politico
ed economico, soprattutto dopo il 1294, gli Statuti. Cfr. V. Piergiovanni, Il diritto
genovese e la Sardegna, in Gli Statuti Sassaresi…, cit., pp. 213-221.
116
Il problema della datazione è di rilievo, al punto che gli studiosi non hanno ancora
trovato prove inconfutabili che possano confermare qualche ipotesi. Cfr. A. Mattone,
Gli Statuti Sassaresi nel periodo aragonese e spagnolo, in Gli Statuti Sassaresi…, cit., pp.
415-418. Meloni ha fissato la prima redazione (1216) a cento anni dalla pubblicazione
ufficiale in volgare (1316), ma ci sembra un errore di battitura. Cfr. G. Meloni La
Sardegna nel quadro della politica mediterranea di Pisa, Genova, Aragona, in Storia dei
Sardi e della Sardegna, Volume II: Il Medioevo. Dai Giudicati agli Aragonesi, a cura di
M. Guidetti, Jaka Book, Milano 1987, p. 83.
117
Cfr. A. Mattone, Gli Statuti Sassaresi…, cit., pp. 424-428.
118
CSRS, l. II, p. 106, nota 1.
290 Michele Antonio Corona
119
Cfr. CSRS, l. I, XLIX, p. 48.
120
Cfr. CSRS, l. I, L, p. 48.
121
Per antefatto si intendono i beni posseduti dalla donna prima del matrimonio, come se
fosse sposata assa sardisca. Antefatto era l’atto di costituzione di parte della dote prima
del contratto di matrimonio, che costituiva un terzo della dote, secondo l’articolo 140
del presente Statuto. Cfr. G. Madau Diaz, Il Codice degli Statuti del Libero Comune di
Sassari, Ed. Sarda F.lli Fossataro, Cagliari 1969, p. 184.
122
Cfr. CSRS, l. I, CIIII, pp. 74-75. Questo capitolo è il più ricco per la casistica presen-
tata e il più complesso per la sistemazione delle varie norme.
123
Cfr. CSRS, l. I, CV, p. 75.
124
Cfr. CSRS, l. II, I, p. 105.
125
Cfr. CSRS, l. II, II, p. 105.
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 291
133
Cfr. CSRS, l. III, III, p. 140.
134
«Se una donna ne ferisce un’altra facendole fuoriuscire del sangue e lasciandole il segno
sul volto, deve pagare 10 libbre se fosse libera e 3 per la schiava; se la ferisse senza fuo-
riuscita di sangue paghi 40 solidi per la libera e 20 per la serva; se la ferisse in altra parte
del corpo oltre la viso, deve corrispondere 20 solidi per la libera e 10 per la schiava.
(…) Se una donna, invece, produce una ferita al volto, facendo uscire del sangue ad un
uomo deve pagare 10 libbre per il libero e 3 per il servo; se non uscisse sangue paghi 5
libbre per il libero e 20 solidi per il servo; se lo ferisse in altra parte del corpo sia tenuta
a pagare 5 libbre per il libero e 20 solidi per lo schiavo». Cfr. CSRS, l. III, VI-VII, pp.
143-144. [Nostra libera traduzione].
135
Cfr. CSRS, l. III, III, p. 142.
136
Cfr. CSRS, l. III, IX, p. 144.
137
Cfr. CSRS, l. III, IX, p. 144.
138
Cfr. CSRS, l. III, VIII, p. 144.
La donna sarda nella Carta de Logu e in alcuni statuti coevi 293
Conclusioni
Dopo aver presentato con attenzione i punti nodali circa la donna all’in-
terno dei documenti sardi medievali, lo sguardo si deve rivolgere al presente
e al futuro. La ricerca non è stata compiuta con il solo interesse storico di
riportare all’attenzione dei lettori alcuni dati sociologici, ma con l’inten-
zione di indicare la posizione della donna sarda medievale, che godeva di
specifiche responsabilità e significativa identità propria. Pertanto, il lettore
non si deve sentire appagato dalla conoscenza di questi dati, ma deve cer-
care di lasciarsi interrogare dal patrimonio storico, trovando in esso gli ele-
menti utili per favorire un cammino di reciprocità reale tra uomo e donna.
Pertanto, queste conclusioni non sono destinate a sancire un punto
fermo sulla questione femminile sarda, ma devono invitare al dialogo tutti
coloro che, avendo responsabilità civili e religiose, interessi storici e sociolo-
gici, prospettive identitarie e conservatrici, capacità di contatti con le altre
regioni italiane, sentono la crescente necessità di considerare il patrimonio
culturale come una base su cui proporre nuove piste antropologiche, so-
ciologiche ed etiche. La donna deve essere posta al centro della riflessione
e deve essere essa stessa protagonista della costruzione di una società più
equa e più attenta alle esigenze di chiunque. La proposta etica che si pro-
spetta, a tal punto, è rappresentata dal confronto armonico e sinergico tra
istanze culturali e storiche e la dignità umana nella sua pienezza. Solo nel
ricordo storico delle proprie origini, nella conoscenza delle vicende umane
e sociali che hanno generato la società in cui viviamo, nel riconoscere il
bisogno del dialogo con l’altro, si può giungere al riconoscimento unanime
e condiviso della pari dignità e del reciproco richiamo tra uomo e donna.