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Conservativa PDF
CONSERVATIVA
1
Queste
dispense
sono
state
preparate
nel
corso
dell’anno
accademico
2009-‐2010
sulla
base
di
appunti
dalle
lezioni
dei
professori
Giachetti,
Grandini,
Bertini,
Scaminaci,
Lorini,
Catalfaro
e
Calamai
seguendo
l’ordine
del
programma
del
“Corso
integrato
di
Odontoiatria
restaurativa”
dell’Università
degli
Studi
di
Firenze.
Alcuni
argomenti
sono
stati
trattati
a
lezione
ma
non
sono
presenti
nel
programma
(appendice).
L’attuale
stesura
del
2010
è
a
cura
di
Carlo
Massimo
Saratti
e
Adele
Lodi
Rizzini,
ed
è
stata
ampliamente
integrata
con:
• Appunti
di
altre
studentesse
(Francesca
Farisco
e
Chiara
Martinolli)
e
già
esistenti
di
questo
corso
integrato
scritti
nel
2004
(Gennaro
Di
Marzo)
• “Odontoiatria
Restaurativa:
procedure
di
trattamento
e
prospettive
future”,
Accademia
Italiana
di
Conservativa
• “Restauri
adesivi
in
ceramica
dei
denti
anteriori”,
Magne,
Belser
• “Restauro
conservativo
dei
denti
anteriori”,
Vanini,
Mangani,
Klimovskaia
• “Odontoiatria
estetica
adesiva:
didattica
multimediale”,
Cerutti,
Mangani,
Putignano
• “La
biomeccanica
del
dente
trattato
endodonticamente:
implicazioni
cliniche”,
Dossier
endodonzia
2002,
Becciani,
Castellucci
Questi
appunti
non
sostituiscono
in
nessun
modo
i
testi
consigliati;
possono
contenere
errori,
anche
gravi,
ed
è
quindi
necessario
controllare
le
affermazioni
riportate.
Inoltre
non
contengono
alcune
parti
fondamentali
per
l’esito
dell’esame:
• L’anatomia
dentale
• L’adesione
e
gli
adesivi
(sul
quale
vi
è
solamente
una
piccola
integrazione)
• Materiali
(compositi,
da
impronta,
ceramici,
cementi,
ecc)
Queste
parti
sono
state
volutamente
tralasciate
in
quanto
già
ampliamente
trattate
e
discusse
in
esami
già
sostenuti,
che
sono
anatomia
dentale
e
materiali
dentari,
peraltro
tenuti
dagli
stessi
docenti.
2
CAP
1:
LA
CARIE
DENTALE………………………………………………………………………………………………………….4
CAP
2:
VISITA
ODONTOIATRICA……………………………………………………………………………………………….11
CAP
3:
ISOLAMENTO
DEL
CAMPO
OPERATORIO……………………………………………………………………….18
CAP
4:
ADESIONE…..…………………………………………………………………………………………………………………23
CAP
5:
STRESS
DA
CONTRAZIONE……………………………………………………………………………………………..28
CAP
6:
RICOSTRUZIONE
DI
DENTI
DEL
SETTORE
POSTERIORE
(DIRETTI).……………………………………33
CAP
7:
RICOSTRUZIONE
DI
DENTI
DEL
SETTORE
POSTERIORE
(INDIRETTI).………………………………..42
CAP
8:
RICOSTRUZIONE
DI
DENTI
DEL
SETTORE
ANTERIORE
(DIRETTI).……………………………………..48
CAP
9:
RICOSTRUZIONE
DI
DENTI
DEL
SETTORE
ANTERIORE
(INDIRETTI)…………………………………..52
CAP
10:
RICOSTRUZIONE
DI
DENTI
TRATTATI
ENDODONTICAMENTE………………………………………..58
CAP
11:
PARAMETRI
ESTETICI…………………………………………………………………………………………………..66
CAP
12:
IL
COLORE..…………………………………………………………………………………
……………………………..
72
CAP
13:
SISTEMI
DI
SBIANCAMENTO………………………………………………………………………………………..80
CAP
14:
TRAUMI
DENTALI…………………………………………………………………………………………………………86
CAP
15:
LESIONI
BIANCHE
DELLO
SMALTO
(APPENDICE)….……………………………………………………….98
CAP
16:
CONTENZIONE
FISSA
(APPENDICE)
……………………………………………………………………………103
CAP
17:
STRIPPING
(APPENDICE)
…………………………………………………………………………………………..108
CAP
18:
AGENESIE
INCISIVI
LATERALI
SUPERIORI
(APPENDICE).………………………………………………113
3
LA
CARIE
DENTALE
Processo
distruttivo
focale
ad
eziologia
multifattoriale
caratterizzato
dalla
dissoluzione
della
componente
minerale
e
dalla
degradazione
della
componente
organica
dei
tessuti
duri
della
corona
clinica
del
dente.
Così
definita
la
lesione
cariosa
è
solo
la
manifestazione
clinica
di
quella
che
potremmo
definire
“malattia”
carie.
Questa
malattia
trova
fondamentalmente
tre
elementi
eziopatogenetici
(triade
di
Keyes)
la
cui
interazione
determina
le
caratteristiche
e
la
rapidità
di
sviluppo
della
lesione
cariosa:
Placca
batterica
Alimentazione
glucidica
Fattori
predisponenti
PLACCA
BATTERICA
Nel
cavo
orale
sono
presenti
migliaia
di
specie
batteriche
che,
in
condizioni
normali,
vivono
in
simbiosi
fra
loro
e
con
l’organismo
che
le
ospita
in
un
equilibrio
d’interazioni
biochimiche
e
metaboliche
che
influenza
l’ambiente
in
cui
esse
stesse
vivono
e
la
composizione
della
loro
comunità.
Tale
equilibrio
è
di
tipo
dinamico
in
quanto
si
modifica
continuamente
per
contrastare
i
vari
fattori
esogeni
che
lo
perturbano.
Se,
tuttavia,
l’intensità
e
la
durata
del
fattore
esogeno
perturbante
sono
tali
da
non
consentire
l’adattamento
del
sistema,
l’equilibrio
si
rompe
e
si
entra
in
uno
stato
patologico
che,
nel
caso
dei
denti,
evolve
con
velocità
variabile
verso
la
distruzione
della
superficie
dentale.
La
rottura
dell’equilibrio
ambientale
orale,
infatti,
si
manifesta
con
l’espressione
di
patogenicità
da
parte
di
specie
batteriche
normalmente
presenti
ma
innocue
e
con
la
colonizzazione
da
parte
di
specie
batteriche
patogene
normalmente
assenti
nel
cavo
orale.
Ogni
microrganismo
che
voglia
colonizzare
un
ambiente
deve
prima
di
tutto
aderire
irreversibilmente
alle
sue
superfici.
Per
farlo
deve
avere
un
complesso
di
strutture
recettoriali
(adesine),
in
grado
di
legarsi
a
specifiche
molecole,
perlopiù
residui
glucidici,
presenti
sulla
pellicola
salivare
acquisita
o
cuticola
secondaria
o
cuticola
di
Angstrom,
un
sottile
biofilm
derivante
dell’aSsorbimento
selettivo
di
lipidi
e
glicoproteine
di
origine
salivare
da
parte
delle
superfici
orali.
4
All’inizio
il
legame
è
labile.
In
una
seconda
fase,
però,
i
microrganismi
sintetizzano
una
struttura
polisaccaridica
extracellulare
(glicocalice,
i
cui
componenti
sono
sintetizzati
a
livello
intracellulare
a
partire
dal
saccarosio,
trasportate
all’esterno
quindi
assemblate
dalla
glicosiltransferasi)
in
grado
di
stabilizzarlo.
Nel
giro
di
8-‐12
ore
dalla
pulizia
meccanica
del
dente
si
formano
microcolonie
in
prossimità
soprattutto
delle
cosiddette
zone
cariorecettive
(solchi,
depressioni,
facce
prossimali,
irregolarità
della
superficie).
Dopo
24
ore
tali
colonie
sono
confluite
in
un
unico
strato
che
ricopre
l’intera
superficie.
Con
il
passare
delle
ore
questo
si
trasforma
in
un
biofilm
multistrato
che
evolve
verso
la
sua
forma
matura,
una
struttura
pluricellulare
organizzata,
la
placca
dentale.
La
placca
dentale
si
presenta
macroscopicamente
come
un
accumulo
bianco-‐giallastro.
È
costituita
per
il
70%
da
batteri
e
per
il
30%
da
una
matrice
amorfa
ricca
di
glicoproteine
e
polisaccaridi
(quindi
è
ben
evidenziabile
con
coloranti
basici
quali
la
fucsina),
resistente
all’azione
detergente
della
saliva
ma
facilmente
rimovibile
con
le
comuni
pratiche
di
igiene
orale.
Gli
strati
superficiali
sono
costituiti
da
batteri
che,
pur
non
essendo
in
grado
di
colonizzare
primariamente
la
superficie,
aderiscono
alla
biomassa
usando
come
ponte
altri
batteri.
Durante
il
periodo
di
maturazione
la
placca
aumenta
di
volume
a
causa
sia
della
sua
intensa
attività
replicativa
sia
dell’apporto
salivare
di
nuovi
microrganismi.
Inoltre
è
un
ecosistema
in
evoluzione
in
cui
l’attività
metabolica
e
proliferativa
delle
specie
batteriche
presenti
modifica
l’ambiente
circostante
creando
condizioni
favorevoli
per
talune
specie
batteriche,
che
così
potranno
unirsi
alla
biomassa,
e
sfavorevoli
per
altre
che
si
ridurranno
di
numero
fino,
eventualmente,
a
scomparire.
Con
il
trascorrere
del
tempo,
ad
esempio,
gli
streptococchi
cedono
il
posto
agli
actinomiceti
e,
negli
strati
profondi,
dove
diminuisce
gradualmente
l’apporto
di
ossigeno
e
nutrienti,
gli
aerobi
obbligati
o
facoltativi
cedono
il
posto
agli
anaerobi.
Dopo
circa
tre
settimane
la
placca
è
caratterizzata
dalla
presenza
di
corn
cobs
(pannocchia
di
granturco),
costituite
da
un
microrganismo
filamentoso
tappezzato
da
cocchi
che
gli
aderiscono
mediante
una
matrice
fibrillare.
Secondo
la
cosiddetta
“ipotesi
specifica”,
la
teoria
eziopatogenetica
oggi
maggiormente
accreditata,
soltanto
alcune
delle
numerose
specie
batteriche
del
complesso
ecosistema
della
placca
avrebbero
un
ruolo
determinante
nello
sviluppo
della
lesione
cariosa:
i
dati
disponibili
dimostrano
una
correlazione
statisticamente
significativa
fra
la
presenza
di
Streptococco
mutans
nella
saliva
e
nella
placca
e
lo
sviluppo
di
lesioni
cariose.
5
Tale
microrganismo,
infatti,
è
in
grado
di
produrre
acidi
organici
nel
processo
di
fermentazione
dei
carboidrati
alimentari
e
sintetizzare,
a
partire
dal
saccarosio,
le
componenti
extracellulari
per
l’adesione
al
dente.
Un
altro
gruppo
di
microrganismi
isolabili
nelle
lesioni
cariose,
i
Lactobacilli
producono
acidi
organici
ma
non
sono
capaci
di
aderire
alla
superficie
dentale
intatta.
Su
queste
considerazioni
si
basa
il
modello
teorico
secondo
cui
lo
S.
mutans
dà
inizio
alla
formazione
della
lesione
cariosa,
mentre
i
Lactobacilli
intervengono
in
una
fase
successiva,
quando
la
demineralizzazione
è
già
iniziata,
divenendo
poi
predominanti.
IL
RUOLO
DELL’ALIMENTAZIONE
L’azione
cariogena
dei
carboidrati
fermentabili
(saccarosio,
glucosio,
fruttosio)
è
nota
anche
ai
non
addetti
ai
lavori.
Essa
è
legata
al
fatto
che
tali
carboidrati
rappresentano
il
principale
substrato
per
la
formazione
di
acidi
organici
e
polisaccaridi
extracellulari
da
parte
dei
microrganismi
della
placca.
Per
lungo
tempo
il
saccarosio
(disaccaride
di
glucosio
e
fruttosio)
è
stato
considerato
lo
zucchero
più
cariogeno
perché
penetra
in
maniera
particolarmente
facile
la
placca.
Ma
anche
glucosio,
fruttosio,
lattosio
e,
a
seconda
della
preparazione,
gli
amidi
arrivano
ad
avere
un
rilevante
potere
cariogeno.
Tuttavia,
più
che
dal
tipo
di
zucchero
e
dalla
loro
quantità
assoluta
nella
dieta,
la
formazione
della
carie
è
influenzata
dalla
frequenza
dell’apporto
di
alimenti
cariogeni
e
dalla
durata
della
loro
permanenza
in
bocca.
Riguardo
il
primo
punto
è
stato
calcolato
che
una
dieta
con
tre
pasti
principali
porta
il
pH
sotto
valori
critici
per
circa
180
minuti/die,
mentre
una
dieta
con
tre
pasti
principali
e
vari
spuntini
interprandiali
può
portare
il
pH
sotto
valori
critici
per
ben
420
minuti/die.
Da
qui
il
consiglio
di
evitare
gli
spuntini.
Il
periodo
interprandiale,
infatti,
ha
un
ruolo
importantissimo
per
la
salute
dentaria
perché:
• Consente
alla
saliva
di
esercitare
la
sua
azione
tampone
mediante:
• Aumentata
disponibilità
di
massa
liquida
che
diluisce
gli
acidi.
• Aumentata
produzione
di
carbonati
tamponanti.
• Consente
il
mantenimento
di
un
alto
gradiente
di
calcio
e
fosfato
che
ne
favorisce
la
diffusione
nello
smalto.
• Consente
la
rimineralizzazione
dello
smalto.
6
Riguardo
il
tempo
di
permanenza
in
bocca
degli
zuccheri
assunti,
esso
dipende
dalla
viscosità
dell’alimento
stesso
e
dalla
sua
capacità
di
stimolare
la
salivazione.
L’alta
cariogenicità
dei
dolciumi,
infatti,
è
legata
soprattutto
al
fatto
che
spesso
contengono
sostanze
addensanti
che
rendono
più
lunga
e
difficoltosa
l’opera
di
pulizia
da
parte
della
saliva,
ed
al
fatto
che
per
il
loro
sapore
gradevole
inducono
ad
una
assunzione
protratta
e
ad
una
maggiore
permanenza
a
contatto
con
i
denti.
Gli
zuccheri
contenuti
in
alimenti
come
il
pane,
le
patate
o
la
frutta
sono
cariogeni
quanto
il
saccarosio
dei
dolci
ma
questi
alimenti
sia
perché
richiedono
una
masticazione
intensa
(pane,
pasta)
sia
per
il
loro
gusto
aspro
(frutta)
stimolano
una
salivazione
intensa
che
ha
un
effetto
protettivo.
FATTORI
PREDISPONENTI
È
evidente
che
poiché
siamo
tutti
portatori
di
una
flora
batterica
orale
potenzialmente
cariogena
ed
abbiamo
tutti,
perlomeno
alle
nostre
latitudini
e
nel
nostro
tempo,
una
dieta
ricca
di
carboidrati,
deve
esserci
una
certa
suscettibilità
personale
a
sviluppare
la
carie,
altrimenti
ne
saremmo
tutti
affetti
indistintamente,
su
tutti
i
denti
contemporanemente.
Si
può
dire
che
questa
suscettibilità
nasce
dall’esposizione
del
soggetto
a
fattori
di
rischio
generali
e
locali
Fattori
di
rischio
generali
Patologie
sistemiche:
• Diabete.
• Infezioni
virali
(HBV,
HIV).
• Avitaminosi.
• Ipertiroidismo.
Hanno
effetti
indiretti
sulle
difese
immunitarie
del
cavo
orale,
sulla
funzione
salivare
e
sulla
mineralizzazione
dei
tessuti
duri.
• Trattamenti
farmacologici
che
diminuiscono
il
flusso
salivare.
• Condizioni
socio-‐economiche:
influenzano
le
abitudini
di
igiene
orale
e
dietetiche.
• Stati
di
stress:
riducono
le
difese
immunitarie
e
la
funzione
salivare
specie
se
associati
ad
assunzione
di
ansiolitici
o
antidepressivi.
7
• Regime
dietetico:
sono
“rischiose”
non
solo
diete
ricche
di
carboidrati
fermentabili
ma
anche
diete
scorrette
perché
possono
avere
conseguenze
sulla
funzione
salivare
e
sulla
resistenza
dei
tessuti.
• Età:
i
bambini
hanno
spesso
abitudini
alimentari
ed
igieniche
scorrette
ed
i
loro
tessuti
dentali
sono
più
sottili
e
meno
mineralizzati.
Un
altro
picco
d’incidenza
si
ha
fra
i
14
ed
i
18
anni.
• Sesso:
le
donne
sembrano
maggiormente
predisposte,
forse
per
la
minore
mineralizzazione
dei
denti.
Fattori
di
rischio
locali
• Deficit
qualitativi
e
quantitativi
della
funzione
salivare.
La
saliva
svolge
un’opera
di
pulizia
meccanica
e
possiede:
o Potere
tampone.
o Fattori
antibatterici:
Lisozima:
danneggia
la
parete
batterica.
Lactoferrina:
sottrae
ferro
ai
batteri.
Lattoperossidasi:
inibisce
la
glicolisi
batterica.
o Fattori
immunitari
(IgA,
IgG):
importanti
soprattutto
nella
fase
di
colonizzazione
batterica.
• Imperfetta
mineralizzazione
dei
tessuti
duri
dentali.
• Malocclusioni
riduzione
dello
spessore
di
smalto.
• Presenza
di
restauri
protesici
o
conservativi
che
favoriscono
l’accumulo
di
placca
e
rendono
parzialmente
inefficaci
le
manovre
di
igiene
orale.
• Morfologia
delle
superfici
dentali
(solchi
e
fossette
particolarmente
profonde)
e
anomalie
di
posizione
(affollamenti)
che
ostacolino
la
pulizia
da
parte
della
saliva
e
le
manovre
di
igiene
orale.
• Livello
d’igiene
orale:
fra
i
numerosi,
un
indice
semplice
è
l’Oral
Hygiene
Index
di
Greene
e
Vermillion.
• Acquisizione
precoce
della
flora
batterica.
EVOLUZIONE
DELLA
CARIE
Quando
gli
acidi
batterici
portano
il
pH
al
di
sotto
di
5.5,
inizia
la
demineralizzazione
dei
tessuti
duri
del
dente.
8
La
lesione
iniziale
è
caratterizzata
dalla
formazione
di
fori
submicroscopici
all’interno
dello
smalto
la
cui
superficie
rimane
integra.
Questa
situazione
è
reversibile
in
seguito
all’eliminazione
delle
cause
che
l’hanno
prodotta.
Con
la
progressione
della
demineralizzazione
allo
smalto
profondo,
i
metaboliti
batterici,
attraverso
la
componente
organica
dello
smalto,
raggiungono
la
giunzione
amelo-‐dentinale
diffondendo
lungo
la
stessa
e
sottominando
lo
smalto,
mentre
i
batteri
migrano
in
profondità
in
seguito
all’espansione
dei
fori
submicroscopici.
Si
ha
così
la
carie
superficiale,
ormai
irreversibile.
Attraverso
i
tubuli
dentinali
esposti
i
microrganismi
cariogeni
avanzano
in
profondità
in
maniera
molto
più
rapida
che
nello
smalto.
Questa
carie
media
può
essere
più
o
meno
profonda
ma
non
si
estende
oltre
la
metà
dello
spessore
della
dentina
altrimenti
siamo
in
uno
stato
ancora
più
evoluto,
definito
carie
profonda.
In
funzione
della
quantità
di
dentina
di
reazione
prodotta
la
lesione
può
quindi
raggiungere
la
polpa.
L’intervallo
di
tempo
necessario
affinché
una
lesione
iniziale
progredisca
sino
ad
un
quadro
clinico
di
carie
profonda
è
estremamente
variabile
ed
influenzato
da
vari
fattori:
Specie
e
carica
batterica
della
placca.
Quantità
e
qualità
dei
substrati
nutritivi.
Difese
dell’ospite.
TERMINOLOGIA
Carie
primaria:
lesione
che
insorge
su
una
superficie
integra.
Recidiva
cariosa:
riattivazione
di
una
carie
preesistente
e
non
completamente
asportata.
Carie
secondaria:
insorge
a
livello
dei
margini
di
un
restauro
come
recidiva
o
come
nuova
lesione.
Carie
rampante:
lesione
caratterizzata
dall’insorgenza
di
almeno
dieci
nuove
lesioni
in
un
anno.
Destruente
e
rapidamente
progressiva,
dovuta
a:
• Frequente
e
massiccio
consumo
di
carboidrati
cariogeni.
• Diminuzione
delle
difese:
• Immunodeficienze.
• Xerostomia
(Sindrome
di
Sjögren,
radioterapia).
In
base
alla
profondità
della
carie
distinguiamo:
− D1:
metà
esterna
dello
smalto
− D2:
tutto
lo
smalto.
9
− D3:
metà
esterna
della
dentina.
− D4:
tutta
la
dentina.
CLASSIFICAZIONE
DI
BLACK
(1908)
Puramente
didattica
ed
operativa,
utile
per
indicare
la
sede
della
carie
ed
il
tipo
di
intervento
necessario.
1a
classe.
Cavità
che
interessa:
• Faccia
occlusale.
• Solchi
vestibolari
e
palatini
di
premolari
e
molari.
• Forame
cieco
degli
incisivi
superiori.
2a
classe.
Cavità
che
interessa
le
superfici
prossimali
di
premolari
e
molari.
3a
classe.
Cavità
che
interessa
le
superfici
prossimali
di
incisivi
e
canini
senza
interessamento
dell’angolo
incisivo.
4a
classe.
Cavità
che
interessa
le
superfici
prossimali
di
incisivi
e
canini
con
interessamento
dell’angolo
incisivo.
5a
classe.
Cavità
che
interessa
il
terzo
cervicale
della
superficie
V
o
L/P.
Nell’ambito
di
questa
definizione
si
devono
includere
le
lesioni
non
cariose
quali
le
abrasioni
e
le
erosioni
cervicali
che,
unitamente
alle
lesioni
cariose,
configurano
la
cosiddetta
patologia
cervicale.
6a
classe.
A
livello
della
sommità
di
una
sola
cuspide.
10
VISITA
ODONTOIATRICA
ANAMNESI
ED
ESAME
OBBIETTIVO
Prima
di
cominciare
l’esame
intraorale
è
necessario
eseguire
un’accurata
anamnesi
sia
generale
che
odontoiatrica.
La
cartella
clinica
non
è
obbligatoria
per
legge
ma
se
ci
sono
problemi
legali
l’assenza
della
cartella
è
un
aggravante.
In
più
la
presenza
della
cartella
equivale
ad
una
fattura
⇒
NO
NERO
- Anamnesi
generale
o Indagine
su
patologie
sistemiche
⇒ Diabete
⇒ Infezioni
virali
⇒ Patologie
che
possono
ridurre
il
flusso
salivare
⇒ Patologie
che
provocano
abbassamento
delle
difese
immunitarie
⇒ Patologie
vascolari
⇒ Allergie
⇒ Malattie
infettive
⇒ Tumori
o Trattamenti
farmacologici
⇒ Anticoagulanti
⇒ Antiaggreganti
⇒ Bifosfonati
o Condizione
sociale
(per
capire
il
grado
d’istruzione)
o Regime
dietetico
- Anamnesi
odontoiatrica
o Elementi
dentali
⇒ Numero
• Presenza/assenza
• Agenesie
• Sovra
numerari
⇒ Restauri
presenti
• Numero
dei
restauri
correlato
all’età
11
• Tipi
di
restauro
• Qualità
dei
restauri
• Sequenza
di
realizzazione
⇒ Lesioni
cariose
• Numero
associato
all’età
• Interessamento
dentinale
• Periodo
di
insorgenza
• Presenza
solo
su
superfici
a
rischio
o
anche
su
superfici
non
a
rischio
⇒ Protesi
• Numero
• Congrue/incongrue
Infine
ci
accertiamo
del
motivo
per
cui
il
paziente
è
venuto
a
farsi
visitare.
Per
l’esame
obiettivo
sono
necessari:
• Sonda
sottile
e
ben
appuntita.
• Specchietto
di
misura
grande
per
riflettere
la
luce
nelle
zone
d’ombra
ed
avere
una
visione
riflessa.
• Sorgente
di
aria
compressa
(siringa
spray).
• Fonte
di
luce
fredda.
• Lampada
da
fotopolimerizzazione
per
transilluminare
i
denti.
• Filo
interdentale.
• (Possibilmente)
Sistemi
di
ingrandimento.
La
prima
cosa
si
fa
è
verificare
i
dati
anamnestici
forniti
dal
paziente
riguardo
gli
elementi
dentali
e
i
tessuti
intraorali.
Dopo
aver
asciugato
le
superfici
dentali
si
procede
settore
per
settore
prestando
la
massima
attenzione
ai
punti
cariorecettivi
(solchi,
fessure,
fossette,
punti
di
contatto,
porzione
vestibolare
del
colletto
del
dente).
Lesione
iniziale,
si
può
presentare
come:
• White
spot:
macchia
biancastra
opaca
nello
smalto
traslucido
dovuta
all’aumentata
porosità
dello
smalto.
• Brown
spot:
macchia
scura
nello
smalto
traslucido
dovuta
a
pigmentazione
dell’area
demineralizzata.
12
La
lesione
iniziale
è
di
difficile
individuazione
clinica.
Al
sondaggio,
da
eseguire
con
molta
attenzione
per
non
favorire
la
rottura
dei
prismi,
risulta
inizialmente
liscia
e
dura,
poi
sempre
più
ruvida
man
mano
che
la
lesione
progredisce.
Eventuali
lesioni
iniziali
interprossimali
appariranno
vestibolarmente
come
ombre
scure
quando
si
transillumina
il
dente
con
una
lampada
da
fotopolimerizzazione
posta
lingualmente.
Carie
superficiale:
Vera
e
propria
cavità
in
cui
lo
specillo
s’impegna.
Carie
media:
Lo
specillo
si
impegna
sul
fondo
della
cavità
occupato
da
dentina
rammollita
rimovibile
con
un
escavatore
a
mano.
Carie
profonda:
Si
esegue
la
stessa
operazione
di
prima,
necessaria
per
valutare
la
profondità
della
carie
e
deve
essere
eseguita
solo
dopo
anestesia
dell’elemento
in
questione.
Carie
del
cemento:
conseguente
a
recessione
gengivale.
Il
cemento
è
meno
resistente
agli
acidi
batterici.
Eventuali
sovracontorni
di
restauri
interprossimali
possono
essere
segnalati
dallo
sfilacciamento
del
filo
interdentale
durante
il
suo
disinserimento
dallo
spazio
interdentale.
ESAME
RADIOGRAFICO
L’indagine
radiografica
endorale
è
indispensabile
nella
diagnosi
della
carie,
soprattutto
di
quella
interprossimale,
ben
evidenziabile
con
la
tecnica
bite-‐wing.
Lesione
cariosa
iniziale:
di
difficile
individuazione
radiografica
perché
la
quantità
di
demineralizzazione
necessaria
a
renderla
radiologicamente
manifesta
si
aggira
intorno
al
40%.
Carie
iniziale:
radiotrasparenza
generalmente
triangolare
con
base
corrispondente
alla
giunzione
amelo-‐dentinale.
Carie
media
e
profonda:
simili
a
quella
iniziale
o
più
irregolari.
La
profonda
si
estende
oltre
la
metà
dello
spessore
della
dentina.
Una
carie
della
superficie
prossimale
si
può
estendere
in
profondità
nella
dentina
lasciando
integra
la
superficie
occlusale,
in
questi
casi
la
radiografia
evidenzia
molto
bene
l’estensione
in
profondità.
Non
bisogna
dimenticare
che
l’immagine
radiografica,
essendo
bidimensionale,
può
indurre
a
sottostimare
la
reale
estensione
della
carie.
13
TEST
DIAGNOSTICI
L’odontoiatria
preventiva
ha
messo
a
punto
dei
test
che
valutano
il
rischio
di
carie
in
un
soggetto
o
in
un
gruppo.
Oggi
sono
eseguibili
direttamente
dal
clinico
perché
non
richiedono
il
supporto
di
laboratori
specializzati.
A
differenza
di
quanto
accade
per
i
programmi
preventivi
della
medicina
di
comunità,
quando
si
considera
il
trattamento
individuale
del
paziente,
i
test
diagnostici
devono
avere
soprattutto
un’elevata
sensibilità
(capacità
del
test
di
individuarla
proporzione
di
soggetti
che
hanno
sviluppato
la
patologia
e
per
i
quali
il
test
è
risultato
positivi)
mentre
la
specificità
(Capacità
del
test
di
individuare
la
proporzione
di
soggetti
che
non
hanno
sviluppato
la
patologia
e
per
i
quali
il
test
è
risultato
negativo)
riveste
un’importanza
decisamente
inferiore:
questo
perché
è
più
importante
individuare
un
falso
positivo
che
un
falso
negativo
in
modo
da
evitare
trattamenti
superflui
(overtreatment).
L’esame
della
funzione
salivare
valuta
il
flusso
ed
il
potere
tampone
della
saliva,
fattori
che
sono
direttamente
correlati.
La
loro
misurazione
viene
quindi
effettuata
congiuntamente
ed
i
dati
ottenuti
rapportati
all’età
e
ai
dati
anmnestici
del
paziente.
Flusso:
si
chiede
al
soggetto,
messo
in
una
condizione
di
tranquillità,
di
raccogliere
la
saliva
in
un
contenitore
graduato
consecutivamente
per
5
minuti.
Alcuni
soggetti
hanno
flusso
salivare
basale
(flusso
in
assenza
di
stimolazione)
molto
basso.
È
però
possibile
stimolare
la
salivazione
con
compresse
di
paraffina
che
il
paziente
deve
masticare
per
tutta
la
durata
del
prelievo
(flusso
salivare
stimolato).
Un
flusso
salivare
basale
inferiore
ad
1
mL/min
ed
un
flusso
salivare
stimolato
inferiore
a
2
mL/min,
sono
indice
di
un’alterazione
della
funzione
salivare
e
di
un
elevato
rischio
di
carie.
Potere
tampone:
si
misura
la
variazione
del
pH
di
un
campione
di
1
mL
di
saliva
all’aggiunta
di
3
mL
di
acido
citrico
in
concentrazioni
diverse
per
la
saliva
stimolata
(0,005
M)
e
non
stimolata
(0,0033
M).
Dopo
20’
di
esposizione
all’aria,
necessari
per
far
evaporare
la
CO2
formatasi,
si
valuta
la
variazione
di
pH.
Entrambi
sono
molto
variabili
interindividualmente;
pertanto
l’ideale
sarebbe
disporre,
per
ciascun
paziente,
di
un
dato
di
partenza
al
quale
riferire
le
eventuali
variazioni,
per
capire
se
esse
siano
occasionali
o
permanenti.
Nel
caso
in
cui
siano
permanenti,
è
necessario:
• Individuare
la
causa
e,
se
possibile,
rimuoverla;
ciò
può
richiedere
la
collaborazione
col
medico
curante.
14
• Consigliare
diete
povere
in
carboidrati
e
ricche
in
fibre.
• Consigliare
l’uso
di
chewing-‐gum
senza
zuccheri
che
stimolano
la
salivazione.
I
test
microbiologici
servono
a
valutare
la
concentrazione
di
microrganismi
cariogeni
nella
placca
batterica
(conta
di
piastra
su
prelievo
di
placca).
Fortunatamente
essa
è
correlata
con
la
concentrazione
salivare,
di
più
semplice
misurazione.
Il
dip-‐slide
test
ci
permette
di
valutare
quali
e
quanti
sono
i
batteri
nella
bocca.
E’
una
metodica
attuabile
nell’ambulatorio
odontoiatrico
senza
particolari
difficoltà.
A
differenza
della
conta
in
piastra,
infatti,
non
richiede
la
disponibilità
delle
attrezzature
di
un
laboratorio
di
microbiologia
e
la
collaborazione
di
personale
specificamente
addestrato.
Fa
uso
di
uno
speciale
supporto
di
materiale
plastico
(slide),
conservato
in
un
contenitore
a
tenuta
stagna
e
ricoperto
di
un
terreno
di
coltura
agarizzato
selettivo
per
il
microrganismo
studiato.
Il
campione
è
rappresentato
da
saliva
stimolata
(che
presenta
variazioni
interindividuali
ridotte
rispetto
al
flusso
salivare
basale)
prelevata
in
determinate
condizioni:
• A
metà
mattinata
per
evitare
interferenze
legate
al
ritmo
circadiano
del
flusso
salivare.
• Il
soggetto
non
deve
aver
fatto
colazione
e
non
deve
aver
assunto
carboidrati
nelle
2-‐3
ore
precedenti.
• Il
soggetto
non
deve
aver
fatto
uso
di
paste
dentifrice
fluorate
nelle
12
ore
precedenti.
Questo
vale
per
S.
mutans
ma
non
per
i
Lactobacilli
che
sono
molto
resistenti
al
fluoro.
Lo
slide
viene
inoculato
bagnando
il
terreno
di
coltura
con
il
campione
diluito
in
una
soluzione
tampone
(Il
volume
dell’inoculo
non
è
importante
perché
lo
slide
viene
posizionato
verticalmente
e
la
quantità
di
saliva
che
vi
rimane
sopra
è
virtualmente
costante).
Dopo
un’incubazione
di
48
ore
a
37
°C
si
confronta
la
densità
delle
colonie
cresciute
sullo
slide
con
una
tabella
di
riferimento.
In
riferimento
sia
ad
S.
mutans
sia
ai
Lactobacilli,
valori
superiori
a105
unità
formanti
colonie
(CFU)/mL
di
saliva,
indicano
un
più
alto
rischio
di
carie
e
la
possibile
presenza
di
cavità
cariose
attive
e/o
di
restauri
infiltrati.
Nel
caso
dei
Lactobacilli,
inoltre,
indicano
scarsa
igiene
orale
ed
eccessivo
e
squilibrato
apporto
di
carboidrati.
Il
Diagnodent
è
un
laser
che
ci
permette
di
calcolare
il
differente
grado
di
mineralizzazione
degli
strati
superficiali,
nelle
zone
più
anfrattuose.
E’
infatti
l’unico
strumento
che
ci
permette
di
rilevare
alcune
situazioni
cariose,
come
per
esempio
alcune
carie
del
solco,
dove
lo
specillo
non
penetra
(80%
delle
carie
dei
bambini
è
così).
I
risultati
che
può
dare
il
diagnodent
sono:
• 0-‐9:
nessuna
carie
• 10-‐20:
carie
iniziale
o
dello
smalto
superficiale
15
• carie
profonda
PROTOCOLLI
PREVENTIVI
Si
possono
trovare:
Soggetti
a
basso
rischio
di
carie:
Regime
dietetico
con
un
apporto
di
carboidrati
equilibrato
cercando
di
evitare
gli
spuntini
interprandiali
e
facendo
eventualmente
uso
di
dolcificanti
e
sostitutivi
dello
zucchero.
Mantenimento
di
un
sufficiente
regime
di
igiene
orale.
Utilizzo
di
dentifrici
fluorati
(fluoro
si
lega
all’idrossiapatite
e
ne
aumenta
la
resistenza).
Soggetti
ad
alto
rischio
di
carie:
In
questo
caso
il
regime
preventivo
è
più
mirato
verso
il
fattore
di
rischio
ritenuto
più
intenso
e
determinante
nella
situazione
attuale
del
soggetto.
Ad
esempio,
in
caso
di
riduzione
del
flusso
salivare
imputabile
a
terapie
farmacologiche
bisognerà
consultare
il
medico
curante
per
valutare
la
possibilità
di
sostituire
la
terapia
farmacologica
in
atto
con
un’altra
priva
di
questo
effetto
collaterale.
Si
consiglia
inoltre
il
consumo
di
gomme
da
masticare
prive
di
zuccheri.
Se
l’anamnesi
ed
i
test
microbiologici
mostrano
che
il
fattore
di
rischio
maggiormente
rappresentato
è
l’elevato
e
frequente
apporto
di
carboidrati
nella
dieta
si
procederà
nella
seguente
maniera:
1. Consigli
dietetici.
2. Verifica
a
2
settimane
degli
effetti
dei
consigli
dietetici
e
ripetizione
dell’analisi
microbiologica.
Come
abbiamo
già
detto,
la
concentrazione
dei
Lactobacilli
è
indice
del
grado
di
compliance
del
paziente.
Finché
questa
non
risulta
soddisfacente,
l’inizio
del
trattamento
viene
posticipato,
limitandolo
alle
eventuali
urgenze.
Se
è
soprattutto
la
concentrazione
di
S.
Mutans
ad
essere
elevata
si
attuerà
una
fluoroprofilassi
intensiva
e
si
prescriverà
l’uso
di
clorexidina
sotto
forma
di
colluttori
o
vernici.
Usati
insieme,
fluoro
e
clorexidina,
hanno
un’attività
sinergica
assai
efficace
e
specifica
nei
confronti
di
S.
mutans.
Il
protocollo
fluoro-‐clorexidina
di
Brambilla
prevede
l’uso
quotidiano
di
un
colluttorio
fluorurato
e
di
uno
base
di
clorexidina
a
cicli
di
2
settimane
ogni
mese
per
3
o
4
mesi.
La
clorexidina
presenta
come
controindicazioni
il
fatto
che
tende
a
scurire
la
superficie
dei
denti
(basta
però
spazzolarli
bene
subito
dopo
lo
sciacquo),
e
tende
a
bruciare
le
papile
gustative
della
bocca.
Fluoro
e
clorexidina
combinate
agiscono
solo
su
S.
mutans.
In
questo
modo
le
specie
microbiche
orali
non
16
cariogene
divengono
prevalenti
contribuendo
a
mantenere
molto
ridotta
la
concentrazione
di
S.
mutans
per
lunghi
periodi
(fino
a
2
anni).
17
ISOLAMENTO
DEL
CAMPO
OPERATORIO
Gli
interventi
che
si
eseguono
nella
bocca
del
paziente
vanno
visti
come
interventi
più
o
meno
grandi
di
chirurgia,
pertanto
richiedono
l’isolamento
del
campo
operatorio.
Esso
deve
essere
affidato
alla
diga
di
gomma.
La
letteratura
internazionale,
infatti,
è
concorde
nel
ritenere
impossibile
ottenere
un
adeguato
isolamento
del
campo
mediante
l’utilizzo
dei
soli
rulli
di
cotone.
Nella
conservativa
moderna
per
di
più,
basata
esclusivamente
su
materiali
compositi
e
adesivi
la
diga
è
ancor
più
fondamentale.
Questo
proprio
perché
l’adesione
dei
materiali,
per
essere
efficace,
richiede
un
campo
operatorio
completamente
asciutto,
situazione
che
può
essere
mantenuta
tale
solo
grazie
all’utilizzo
della
diga
di
goma.
Anche
nei
pazienti
allergici
ai
costituenti
della
gomma
l’isolamento
può
essere
eseguito
con
fogli
di
politilene
pur
con
delle
limitazioni
dovute
alla
mancanza
di
elasticità
di
tale
materiale.
VANTAGGI
• Protezione
del
paziente
dall’ingestione
e
dall’inalazione
di
piccoli
strumenti,
frammenti
dentali,
soluzioni
irriganti,
sostanze
irritanti,
ecc..
• Possibilità
di
operare
in
un
campo
chirurgico
privo
di
saliva,
sangue,
residui
organici.
• Possibilità
di
operare
in
assenza
di
umidità.
• Retrazione
(importantissima
nei
settori
posteriori)
e
protezione
dei
tessuti
molli.
• Migliore
visibilità.
• Protezione
degli
operatori
da
infezioni
veicolate
dalla
saliva
grazie
alla
possibilità
di
ridurre
in
modo
significativo
(fino
a
-‐78%
nelle
immediate
vicinanze
degli
operatori)
la
contaminazione
dell’ambiente
odontoiatrico
da
parte
degli
aerosol
secondari
all’uso
di
strumenti
rotanti
durante
la
preparazione
cavitaria.
Tale
abbattimento
della
contaminazione
ambientale
risulta
ancora
maggiore
se
il
paziente
compie,
prima
del
montaggio
della
diga
stessa,
uno
sciacquo
con
clorexidina
gluconato
al
2%.
• Maggiore
comfort
per
l’odontoiatra
che
può
allontanarsi
dal
campo
operatorio
lasciando
il
paziente
protetto.
• Migliore
sensibilità
tattile
perché
l’operatore
impugna
in
maniera
più
delicata
gli
strumenti
canalari
non
dovendosi
preoccupare
che
gli
sfuggano
dalle
mani.
• Maggiore
comfort
per
il
paziente
che
non
si
sente
la
bocca
invasa
da
mani,
strumenti
e
liquidi.
18
STRUMENTARIO
Uncini.
Servono
a
posizionare
e
fissare
la
diga.
Sono
grossolanamente
composti
da
due
braccia,
che
vanno
ad
inserirsi
su
due
facce
opposte
del
dente
da
isolare,
e
da
un
anello
che
le
congiunge.
Sulle
braccia
si
trovano
i
fori
in
cui
vengono
inserite
le
parti
terminali
(o
becchi)
della
pinza
porta-‐uncini,
che
consente
il
loro
posizionamento
in
sede.
Gli
uncini,
inoltre,
si
distinguono
per
la
presenza
o
meno
di
alette
sulle
braccia.
A
fronte
di
un
maggiore
ingombro
nella
cavità
orale,
gli
uncini
con
alette
permettono
di
fissare
il
foglio
di
diga
all’uncino
prima
di
inserire
il
tutto
sul
dente
da
isolare,
consentendo
un
facile
posizionamento
della
diga
anche
senza
assistente.
Gli
uncini
esistono
ovviamente
in
numerose
misure
e
forme
per
potersi
adattare
facilmente
a
tutti
i
denti
in
tutte
le
condizioni
(eruzione
incompleta,
anomalie
di
posizione
in
arcata,
denti
più
o
meno
distrutti,
denti
preparati,
molari
asimmetrici,
ecc.).
N°
IVORY
N°
HYGENIC
Denti
frontali
6,
9,
90N,
212S,
15
B5,
9
Premolari
1,
2,
2A,
0,
00
2,
W2A
Molari
7,
14,
14A,
W8A,
8,7,…
W12A,
W13A
La
cosa
importante
è
che
l’uncino
rimanga
saldamente
in
sede.
A
tale
scopo
la
sua
forma
può
essere
modificata
dall’operatore
stesso.
L’unico
pericolo
che
presentano
gli
uncini
è
la
loro
frattura
una
volta
posizionati
perché,
per
l’elasticità
della
diga,
verrebbero
proiettati
all’esterno.
Pinza
porta-‐uncini.
Serve
ad
allargare
l’uncino
per
poterlo
posizionare
oltre
l’equatore
del
dente.
La
pinza
Ivory
è
da
preferire
perché
consente
di
esercitare
una
pressione
in
direzione
della
gengiva
che
è
spesso
necessaria.
Pinza
fora-‐diga.
Varie
marche
e
modelli.
L’importante
è
che
i
fori
creati
nel
foglio
di
gomma
siano
rotondi,
netti
e
senza
irregolarità
altrimenti
al
momento
di
allargarli
si
lacerano.
La
dimensione
19
del
foro
può
essere
regolata
agendo
su
un
disco
rotante
posto
sul
braccio
della
pinza
opposto
alla
punta.
Telaio.
In
acciaio
o
plastica,
ha
forma
di
“U”
allargata
(archetto
di
Young)
o
ovale
(Archetto
di
Nygaard
–
Ostby)
sul
perimetro
del
quale
si
trovano
alcuni
rilievi
che
servono
per
fissare
il
foglio
di
diga.
Il
telaio,
infatti,
è
necessario
per
tendere
la
diga.
La
tensione
non
deve
essere
eccessiva
per
non
creare
discomfort
al
paziente
ma
deve
essere
sufficiente
per
retrarre
bene
le
labbra
e
le
guance.
Lubrificante
idrosolubile.
Vasellina
o
sapone
da
applicare
alle
superfici
inferiori
del
foro
perché
si
adatti
più
facilmente
al
contorno
del
dente.
Tovagliolini
da
diga.
Da
interporre
fra
il
foglio
di
gomma
e
la
cute
del
paziente
per
assorbire
la
saliva
che
s’infiltra
sotto
la
diga.
Danno
maggiore
comfort
ma
non
indispensabili
se
non
in
caso
di
allergia
alla
gomma.
Filo
interdentale.
Per
analizzare
i
punti
di
contatto
e
facilitare
il
passaggio
del
foglio
al
di
sotto
di
essi.
Fogli
di
diga.
Diversi
formati,
colori,
spessori.
Quando
è
necessario
mettere
sotto
diga
più
denti
(conservativa)
6x6
inches.
In
endodonzia,
dove
generalmente
si
isola
un
dente
alla
volta,
è
sufficiente
il
formato
5x5
inches.
Quando
è
necessario
il
pretrattamento
o
quando
la
posizione
o
la
morfologia
dell’elemento
da
trattare
non
consentono
l’isolamento
singolo,
si
ricorre
all’isolamento
dell’intero
quadrante.
Fogli
di
diga
di
spessore
ridotto
sono
più
facili
da
posizionare,
quelli
di
spessore
maggiore
consentono
una
maggiore
retrazione
dei
tessuti
molli.
Tra
i
colori,
il
blu
risulta
quello
più
riposante
per
la
vista,
mentre
la
diga
bianca
consente
di
posizionare
più
facilmente
la
pellicola
radiografica
durante
l’esecuzione
delle
radiografie
intra-‐
operatorie.
Sono
deteriorabili
quindi
vannoconservare
in
frigo
e
controllare
la
scadenza.
Pasta
termoplastica
per
dare
maggiore
stabilità
all’uncino.
Cunei
di
legno
per
divaricare
leggermente
i
denti
e
facilitare
il
posizionamento
del
foglio
di
diga.
Forbici
per
rimuovere
le
porzioni
di
diga
che
disturbano
e
per
rimuovere
la
diga
alla
fine
della
seduta.
Fondamentale
complemento
ai
mezzi
di
isolamento
del
campo
operatorio
è
la
presenza
di
un
sistema
di
aspirazione
a
bassa
velocità
in
grado
di
allontanare
ogni
traccia
di
liquidi
organici
ed
inorganici
dal
campo
operatorio.
20
SCELTA
DEL
DENTE
E
DELL’UNCINO
Nell’esecuzione
di
restauri
di
2a
classe
l’uncino
non
andrebbe
applicato
sul
dente
da
trattare
ma
almeno
su
quello
immediatamente
posteriore,
poiché
può
interferire
con
il
posizionamento
corretto
della
matrice.Nel
caso
in
cui
si
debbano
isolare
più
elementi
l’uncino
si
applica
a
quello
più
distale.
Gli
uncini
a
nostra
disposizione
sono
numerosi,
ma
quelli
realmente
indispensabili
sono
sostanzialmente
cinque:
• 12A:
Per
molari
nei
quadranti
destri
superiori
e
inferiori
• 13A:
Per
molari
nei
quadranti
sinistri
superiori
e
inferiori
• 2:
Per
premolari
e
radici
• 2A:
Per
premolari
• 212:
uncino
cervicale
anteriore
per
dente
singolo
Altri
uncini
da
tenere
in
considerazione
sono:
• 5:
Per
molari
superiori
larghi
• 7:
Per
molari
inferiori
di
forma
quadrata
• W8A:
Per
radici
di
molari
superiori
e
inferiori.
POSIZIONAMENTO
DELLA
DIGA
Prima
di
posizionare
la
diga
è
bene
illustrare
al
paziente,
specie
se
molto
giovane,
l’utilità
della
diga
ed
il
suo
funzionamento.
Il
paziente
deve
inoltre
essere
avvertito
che
potrà
tranquillamente
deglutire,
tossire,
sbadigliare
e
che
l’unica
cosa
che
non
potrà
fare
è
parlare
e
sciacquarsi.
Anche
i
pazienti
con
riflesso
del
vomito
molto
accentuato
devono
essere
tranquillizzati
perché
non
verranno
neanche
sfiorate
le
zone
che
possono
scatenare
questo
riflesso.
Prima
di
tutto
si
controllano
con
il
filo
interdentale:
I
punti
di
contatto.
La
presenza
di
saldature
fra
corone
protesiche.
La
presenza
di
irregolarità
da
eliminare
da
vecchi
restauri.
3. Si
sceglie
l’uncino
e
se
ne
prova
la
stabilità
muovendolo
in
diverse
direzioni.
4. Si
prepara
il
foro
nella
diga.Si
possono
utilizzare
appositi
timbri
che
indicano,
dente
per
dente,
dove
eseguire
il
foro
sul
foglio
di
diga.
Si
può
tracciare
mentalmente
sul
foglio
di
diga
un’ellisse
corrispondente
alle
arcate
dentarie.
21
Nel
settore
posteriore
è
consigliabile
eseguire
il
foro
in
posizione
tanto
più
centrale
quando
più
distale
è
l’elemento.
La
diga
risulterà
non
centrata
rispetto
alla
bocca
del
paziente,
ma
spostata
dal
lato
nel
quale
dobbiamo
intervenire
vantaggi:
• Maggiore
retrazione
delle
labbra
e
della
guancia
dal
lato
in
cui
s’interviene.
• Maggiore
spazio
dal
lato
opposto
a
quello
in
cui
s’interviene
per:
− Permettere
al
paziente
di
respirare
anche
con
la
bocca.
− Introdurre
in
bocca
le
pellicole
per
le
radiografie
intra-‐operatorie
senza
dover
smontare
il
telaio.
− Introdurre
in
bocca
un
aspira-‐saliva
(nei
pazienti
con
salivazione
abbondante).
• Si
evita
il
rischio
di
ottenere
radiografie
intra-‐operatorie
con
la
sovrapposizione
del
telaio
metallico.
5. Si
lubrifica
il
foro.
6. Si
applica
la
diga.
Ci
sono
molte
metodiche:
• Prima
l’uncino
(senza
alette)
poi
la
diga.
• Prima
la
diga
poi
l’uncino
(senza
alette).
Risulta
difficile,
se
non
impossibile
soprattutto
nei
settori
posteriori
e
nelle
bocche
particolarmente
piccole.
• Uncino
con
alette
e
diga
insieme.
La
più
usata.
7. Posizionamento
del
telaio.
Alcuni
lo
posizionano
contemporaneamente
all’uncino
ed
alla
diga.
RIMOZIONE
DELLA
DIGA
Basta
rimuovere
l’uncino.
Se
erano
stati
compresi
denti
con
restauri
provvisori
o
recenti
è
preferibile
tagliare
la
diga
anziché
farla
passare
attraverso
il
punto
di
contatto
ed
estrarla
da
sotto.
Rimossa
la
diga
si
controlla
che
il
foglio
di
diga
sia
integro
per
assicurarsi
di
non
averne
lasciato
qualche
frammento
nella
bocca
del
paziente.
22
ADESIONE
Meccanismo
che
lega
due
substrati
(aderendi)
in
intimo
contatto
attraverso
un’interfaccia.
Il
legame
ottenuto
si
misura
con
la
capacità
di
resistere
alla
separazione
tra
i
due
materiali
sottoposti
a
forza
meccanica
misurabile
in
MPa.
Il
presupposto
per
ottenere
una
buona
adesione
è
il
maggior
avvicinamento
possibile
fra
le
sostanze
che
devono
aderire,
a
circa
1
nm
di
distanza
(10-‐9
m).
Un
adesivo
permette
quindi
di
eliminare
il
gap
esistente
tra
le
superfici
rendendole
congrue
e
complementari.
TIPI
DI
LEGAME
1. Fisico
(o
meccanico):
è
riferita
a
una
penetrazione
di
un
materiale
in
un
altro
mediante
formazione
di
estensioni
(o
zaffi)
di
resina
nelle
anfrattuosità
della
superficie
dentale.
In
base
alla
dimensione
di
queste
anfrattuosità
si
parla
di
legame:
a. Macroritentivo
→
Sottosquadri.
b. Microritentivo
→
Microanfrattuosità
sulla
superficie
del
substrato.
2. Chimico:
è
basato
sulla
formazione
di
forze
di
legame
(o
di
valenza)
primarie,
per
cui
può
essere:
a. Ionico
b. Covalente
3. Fisico-‐chimico:
è
basato
sulla
formazione
di
forze
di
legame
secondarie,
che
possono
essere:
a. Ponti
a
Idrogeno
b. Forze
di
Van
der
Waals
c. Dipoli
indotti
(London)
FATTORI
CHE
INFLUENZANO
L’ADESIONE
Riguardano
la
natura
chimico-‐fisica
dell’adesivo,
la
Tensione
superficiale
(TS),
e
le
caratteristiche
di
superficie
dell’aderendo,
l’Energia
libera
di
superficie
(ELS)
la
quale
è
espressa
dalla
bagnabilità.
La
TS
di
un
materiale
è
dovuta
al
fatto
che
gli
atomi
più
esterni
di
un
fluido
sono
soggetti
ad
una
forza
contrattile
verso
il
corpo
centrale
dagli
atomi
più
interni
che
li
attraggono.
Ciò
comporta
che
il
fluido
stesso
tende
ad
assumere
una
forma
che
consenta
di
ottenere
la
minor
superficie
libera
possibile
a
parità
di
volume:
quella
sferica.
23
La
bagnabilità
indica
il
grado
di
espansione
di
una
goccia
di
liquido
sul
substrato;
l’angolo
di
contatto
tra
la
goccia
di
liquido
e
la
superficie
è
la
misura
di
questo
fenomeno.
Se
tale
angolo,
che
si
determina
tra
il
piano
del
substrato
e
la
tangente
alla
goccia
del
liquido,
è
acuto,
allora
la
bagnabilità
sarà
buona,
mentre
se
esso
è
superiore
a
90°
allora
la
bagnabilità
sarà
scarsa.
La
bagnabilità
dipende
sia
dalle
proprietà
intrinseche
del
substrato
che
dal
liquido:
un
substrato
idrofilo
sarà
bagnato
facilmente
dall’acqua
ma
non
da
un
composito
idrofobico.
Quel
che
conta
è
che
la
TS
dell’adesivo
rimanga
minore
o
uguale
all’ELS
di
smalto
e
dentina.
TS
≤
ELS
Sulla
TS
dell’adesivo
non
possiamo
fare
niente,
ma
possiamo
agire
sulla
ELS
di
smalto
e
dentina,
condizionandoli
prima
dell’applicazione
dell’adesivo.
CONDIZIONAMENTO
DELLO
SMALTO
Lo
smalto
è
la
sostanza
biologica
più
dura
di
tutto
l’organismo.
Esso
è
un
materiale
composito
costituito
da
una
fase
organica
ed
una
inorganica.
La
fase
minerale
(96%
in
peso,
86%
in
volume)
è
composta
da
sali
di
fosfato
di
calcio,
che
formano
cristalli
esagonale
di
idrossiapatite.
Ordinati
insieme,
e
uniformemente
orientati,
i
cristalli
danno
origine
a
strutture
bastoncellari
chiamate
prismi
dello
smalto,
aventi
un
diametro
traverso
medio
di
3-‐6
µm.
I
prismi
sono
separati
uno
dall’altro
da
una
sottile
pellicola
organica
e
da
smalto
interprismatico.
La
matrice
proteica/organica
rappresenta
solo
1-‐2%
in
peso
e
2%
in
volume;
il
restante
4%
in
peso
è
dato
da
acqua
(12%
in
volume).
L’estrema
durezza
dello
smalto
è
attribuita
al
suo
alto
contenuto
minerale
mentre
la
fragilità
dello
stesso
dipende
dall’elevato
modulo
di
elasticità
e
dalla
bassa
resistenza
alla
trazione.
L’adesione
allo
smalto
è
possibile
grazie
alla
mordenzatura
acida
del
substrato
altamente
mineralizzato,
il
quale
aumenta
considerevolmente
la
superficie
disponibile
per
un
intimo
contatto
con
la
resina.
Tale
passaggio
avviente
mediante
l’impiego
di
Acido
Ortofosforico
(32-‐37%)
applicato
in
forma
di
gel
sullo
smalto
per
30
secondi.
La
mordenzatura
trasforma
la
liscia
e
levigata
superficie
dello
smalto
in
un
substrato
irregolare,
aumentandone
enormemente
l’energia
libera
e
la
bagnabilità,
e
permettendo
così
ad
un
resina
liquida
acrilica,
non
riempita
ed
a
bassa
viscosità,
di
infiltrarsi
nelle
anfrattuosità
per
attrazione
capillare
(o
capillarità).
24
Con
la
mordenzatura
quindi
viene
persa
una
cospicua
quantità
di
smalto.
Per
la
precisione
si
ha
una
perdita
superficiale
di
circa
5-‐15
µm,
mentre
le
anfrattuosità
si
approfondano
per
circa
10-‐30
µm.
Troviamo
infine
nano
porosità
che
possono
prolungarsi
per
10-‐20
µm.
Sono
stati
osservati
tre
diversi
modelli
ultrastrutturali
dello
smalto
dopo
mordenzatura:
• Tipo
I
→
Comporta
la
dissoluzione
dei
nuclei
dei
prismi,
ma
non
quella
delle
loro
aree
periferiche.
• Tipo
II→
E’
l’opposto
del
tipo
I:
la
dissoluzione
riguarda
l’area
periferica
dello
smalto,
mentre
i
nuclei
restano
intatto.
• Tipo
III→
Comprende
aree
che
assomigliano
agli
altri
due
tipi,
ed
aree
la
cui
topogafia
non
è
collegata
alla
morfologia
dei
prismi
dello
smalto.
L’effetto
della
mordenzatura
è
maggiore
sui
prismi
orientati
perpendicolarmente
alla
superficie
e
la
resistenza
alla
trazione
del
legame
allo
smalto
mordenzato
è
maggiore
nella
preparazione
con
prismi
tagliati
trasversalmente
che
in
quelle
con
prismi
tagliati
longitudinalmente.
CONDIZIONAMENTO
DELLA
DENTINA
La
dentina
è
un
complesso
biologico
idratato
composto
per
il
70%
in
peso
da
materiale
inorganico
(50%
in
volume),
per
il
18%
da
matrice
organica
(25%
in
volume)
e
per
il
12%
da
acqua
(25%
in
volume.
La
parte
minerale
della
dentina
è
costituita
da
cristalli
di
idrossiapatite
più
piccoli
rispetto
a
quelli
dello
smalto;
chimicamente
nei
cristalli
ritroviamo
pochi
ioni
Ca
ed
un
alto
contenuto
in
carbonio.
Quasi
tutto
il
contenuto
organico
dentinale
è
sotto
forma
di
collagene
di
tipo
I.
Le
strutture
più
distintive
del
tessuto
dentinale
sono
i
tubuli,
che
rappresentano
le
tracce
lasciate
dalle
cellule
odontoblasti
dalla
giunzione
smalto
dentinale
alla
camera
pulpare,
nei
quali
è
contenuto,
in
condizioni
fisiologiche,
un
prolungamento
degli
odontoblasti
stessi.
I
tubuli
convergono
in
direzione
della
polpa;
il
loro
numero
è
minore
alla
giunzione
amelo-‐dentinale
ed
aumenta
progressivamente
verso
la
camera
pulpare.
Il
substrato
dentinale
può
essere
classificato
in
vari
modi:
• Suddivisione
anatomica
o Dentina
intertubulare:
E’
rappresentata
dalla
dentina
presente
fra
un
tubulo
e
l’altro.
E’
ricca
di
collagene
e
quindi
rappresenta
un
ottimo
substrato
per
l’adesione.
o Dentina
peritubulare:
E’
la
dentina
della
parete
del
tubulo.
La
sua
costituzione
è
prevalentemente
mineralizzata
con
poche
fibre
collagene,
quindi
è
poco
adatta
all’adesione.
25
• Suddivisione
topografica
o Dentina
Periferica:
E’
la
più
esterna,
con
meno
tubuli
(15-‐20
mila/mm2)
con
più
dentina
intertubulare
(96%),
minor
acido
resistenza,
minor
permeabilità
e
miglior
adesione.
o Dentina
Interna:
E’
la
più
vicina
alla
polpa
con
tubuli
di
ampio
diametro
l’uno
molto
vicino
all’altro
(45-‐60
mila/mm2).
Hanno
una
scarsa
componente
intertubulare
(12%),
minore
acido
resistenza,
maggior
permeabilità
e
peggior
adesione.
• Suddivisione
cronologica
o Dentina
primaria:
E’
quella
che
si
forma
durante
lo
sviluppo
del
dente.
o Dentina
secondaria:
o Dentina
terziaria:
• Suddivisione
istologica
o Dentina
fresca:
E’
la
più
ricca
di
tubuli,
meno
mineralizzata,
meno
acido
resistente
e
più
permiabile;
offre
una
buona
adesione.
o Dentina
sclerotica:
Dentina
che
si
forma
come
meccanismo
di
difesa
in
reazione
a
stimolazioni
varie.
I
tubuli
dentinali
vengono
obliterati
da
depositi
di
sali
di
calcio
che
si
depositano
in
zaffi,
e
sono
più
duri
e
più
densi
della
dentina
normale.
Questa
dentina
in
sezione
ha
un
aspetto
trasparente.
La
preparazione
della
dentina
con
una
fresa
comporta,
sulla
superficie
preparata,
la
formazione
di
uno
strato
dendritico
di
componenti
organici
ed
inorganici,
il
cui
spessore
può
variare
dai
0,5-‐5
µm:
il
cosiddetto
Smear
Layer.
Questo
riempie
anche
gli
orifizi
dei
tubuli
dentinali
con
dei
veri
e
propri
tappi
(o
Smear
Plug).
La
mordenzatura
con
acido
orto
fosforico
al
37%
per
15
secondi
provoca
una
dissoluzione
del
fango
dentinale
ed
una
decalcificazione
superficiale.
Tale
azione
favorisce
la
penetrazione
dei
monomeri
idrofili
e
quindi
la
formazione
del
cosiddetto
Strato
ibrido:
zona
di
interdiffusione
di
resina,
fibre
collagene
e
dentina
parzialmente
demineralizzata.
Un
effetto
collaterale
dell’utilizzo
della
mordenzatura
acida
sulla
superficie
dentinale
è
l’aumento
della
permeabilità
del
substrato.
Difatti
la
fuoriuscita
del
fluido
dentinale
e
la
presenza
di
acqua
utilizzata
per
il
risciacquo
dall’acido
rendono
la
dentina
trattata
estremamente
umida,
o
più
propriamente
bagnata.
L’acqua
gioca
un
ruolo
fondamentale
nel
meccanismo
dell’adesione
e
ne
rappresenta
la
variabile
più
difficilmente
controllabile;
ad
essa
spetta
infatti
il
compito
di
sostenere
le
fibre
collagene
non
più
rinforzate
dalla
componente
minerale
dissolta
dall’acido.
L’asciugatura
della
dentina
mordenzata
col
getto
d’aria
può
comportare
la
perdita
delle
26
caratteristiche
elastiche
del
collagene
(soprattutto
se
si
utilizza
un
primer
con
solvente
a
base
acetonica
o
alcoolica).
Durante
l’asciugatura
con
aria,
infatti,
l’acqua
che
occupa
gli
spazi
interfibrillari
in
precedenza
pieni
di
cristalli
d’idrossiapatite,
evapora,
comportando
un
calo
di
volume
della
rete
collagene
fino
a
circa
un
terzo
delle
sue
dimensioni
originali,
evento
che
impedisce
ai
monomeri
di
penetrare
tra
le
fibre
stesse.
Tali
zone
non
infiltrate
vengono
definite
Nanoleakage
e
rappresentano
dei
locus
minoris
resistentiae
per
il
restauro,
non
tanto
a
breve
termine,
quanto
a
lungo
termine
in
quanto
espongono
le
fibre
collagene
ad
una
lenta
degradazione
idrolitica.
Viene
definito
Strato
ibridoide,
lo
strato
in
cui
l’infiltrazione
non
è
avvenuta
correttamente,
per
cui
è
lo
strato
in
cui
ritroviamo
nanoleakage.
USO
DELLA
CLOREXIDRINA
Ultimamente
sono
stati
eseguiti
degli
studi
in
cui
certi
ricercatori
sostengono
che
applicando
la
clorexidrina
prima
dei
sistemi
adesivi
si
preverrebbe
notevolmente
la
degradazione
dell’interfaccia
adesiva.
E’
stato
visto
che
nella
dentina
esistono
delle
metalloproteasi
endogene
le
quali
sembrano
essere
almeno
in
parte
responsabili
delle
reazioni
di
idrolisi
che
avvengono
a
livello
dello
strato
ibrido,
portando
alla
graduale
degradazione
dell’interfaccia
adesiva
nel
corso
del
tempo.
La
clorexidrina
in
questo
caso
sarebbe
utile
non
tanto
per
la
sua
azione
antibatterica,
quanto
per
la
sua
azione
inibente
nei
confronti
delle
MMP.
Non
tutti
però
sono
d’accordo
con
questa
teoria
(e
a
quanto
ho
capito
nemmeno
il
Giachetti,
quindi….)
27
STRESS
DA
CONTRAZIONE
Durante
tutto
l’arco
di
tempo
in
cui
permane
nel
cavo
orale,
l’interfaccia
adesiva
tra
dente
e
restauro
è
soggetta
ad
un
susseguirsi
di
stress
che
potenzialmente
possono
condurre
al
distacco
del
manufatto
ed
al
fallimento
dell’intero
trattamento
conservativo.
Prima
ancora
che
il
dente
restaurato
sia
soggetto
ai
carichi
funzionali
ed
agli
insulti
chimici
e
termici,
la
medesima
interfaccia
è
sottoposta
ad
uno
stress
precoce,
determinato
dalla
contrazione,
a
seguito
della
polimerizzazione,
delle
resine
contenute
nei
materiali
compositi.
In
relazione
al
suo
stato
fisico,
il
composito
lo
si
può
ritrovare
in
tre
fasi
durante
la
polimerizzazione:
1. PRE-‐GEL
⇒
Nella
fase
iniziale
della
polimerizzazione
la
matrice
resinosa
è
in
uno
stato
visco-‐
plastico,
poiché
le
catene
che
si
stanno
formando
non
presentano
ancora
legami
crociati
(cross-‐linking)
e
possono
quindi
scorrere
l’una
sull’altra
all’interno
della
matrice
resinosa.
2. GEL-‐POINT
⇒
Con
il
progredire
della
polimerizzazione
le
macromolecole
aumentano
di
numero
e
di
lunghezza
e
si
vengono
quindi
a
formare
anche
i
legami
crociati.
Il
gel-‐point
rappresenta
quindi
il
punto
in
cui
il
composito
diventa
solido
causando
l’inibizione
del
movimento
o
della
diffusione
delle
molecole
all’interno
della
matrice.
E’
il
momento
in
cui
la
contrazione
del
materiale
non
può
più
seguire
il
suo
scorrimento.
3. POST-‐GEL
⇒
In
fine
il
materiale
è
in
uno
stato
rigido-‐elastico.
Anche
dopo
la
rimozione
della
lampada,
la
reazione
di
polimerizzazione
del
materiale
continua.
La
perdita
volumetrica
di
questi
materiali
varia
in
un
range
tra
il
2-‐6%.
Questa
contrazione
viene
però
ostacolata
dal
legame
adesivo
dei
materiali
al
substrato
dentale,
ed
è
così
che
si
manifesta
lo
stress.
Tali
forze
possono
portare
al
fallimento
del
restauro
secondo
diverse
modalità:
• Fallimento
del
legame
coesivo
o Cedimento
del
substrato
smalto-‐dentinale,
che
può
portare
a
fratture
dello
smalto
e/o
delle
cuspidi,
con
conseguente
infiltrazione
secondaria.
o Cedimento
del
composito
(raro)
che
può
portare
a
infiltrazioni
secondarie.
• Fallimento
del
legame
adesivo
o Cedimento
dell’adesivo
all’interfaccia
tra
resina
composita
e
pareti
della
cavità
che
può
causare
sensibilità
post-‐operatoria,
micro-‐leakage
e
carie
secondaria.
Le
evenienze
più
frequenti
sono
la
prima
e
la
terza.
Solitamente
più
è
ampio
il
restauro,
maggiore
sarà
la
quantità
di
tessuto
rimosso
e
minore
sarà
la
resistenza
delle
pareti
del
dente;
di
28
conseguenza
sarà
più
probabile
un
cedimento
del
substrato
smalto-‐dentinale
piuttosto
che
dell’adesivo.
FATTORI
RESPONSABILI
DELLO
STRESS
DA
CONTRAZIONE
- Riempitivo
⇒
Il
riempitivo
non
partecipa
alla
reazione
quindi
non
si
contrae.
Di
conseguenza
la
presenza
di
alti
livelli
di
riempitivi
è
fondamentale
a
ridurre
la
contrazione
del
composito.
Viceversa
bassi
livelli
di
riempitivi
implicano
alti
livelli
di
monomeri,
quindi
maggior
contrazione.
- Grado
di
conversione
⇒
Minore
sarà
il
grado
di
conversione,
cioè
di
monomeri
che
hanno
partecipato
alla
reazione
da
polimerizzazione,
e
minore
sarà
la
contrazione
e
quindi
lo
stress;
saranno
però
minori
anche
le
proprietà
meccaniche
del
materiale.
- Modulo
elastico
(o
modulo
di
Young)
⇒
Minore
sarà
la
rigidità
del
materiale
e
meglio
questo
potrà
compensare,
con
la
sua
elasticità,
le
forze
di
contrazione.
Lo
stress
sarà
quindi
direttamente
proporzionale
al
modulo
di
elasticità
secondo
la
legge
di
Hooke:
Stress
=
Volume
di
contrazione
x
Modulo
di
Young
- Proprietà
Igroscopiche
⇒
Maggiori
saranno
le
proprietà
igroscopiche
del
materiale
(assorbimento
dell’acqua)
e
minore
sarà
la
loro
contrazione,
poiché
si
espanderanno
a
seguito
dell’assorbimento.
Il
problema
è
che
calano
enormemente
sia
le
proprietà
meccaniche
che
quelle
di
sigillo
del
materiale,
quindi
un
materiale
da
restauro
deve
essere
assolutamente
idrofobo.
- C-‐factor
⇒
E‘
un
fattore
che
riguarda
la
configurazione
cavitaria;
maggiore
è
questo
valore
e
maggiore
è
lo
stress.
Si
esprime
con
il
rapporto:
C-‐factor
=
Superfici
legate
/
Superfici
libere
Ciò
significa
che
cavità
di
I
classe,
che
hanno
cinque
superfici
legate
e
una
non
legata,
saranno
quelle
con
C-‐factor
più
sfavorevole
(5/1
=
5).
Cavità
di
IV
classe,
con
C-‐factor
=
0,5
saranno
quelle
che
risentiranno
meno
dello
stress
da
contrazione.
29
C’è
inoltre
da
dire
che
conta
non
solo
il
numero
delle
pareti
ma
anche
le
loro
dimensioni:
cavità
di
I
classe
piatte
e
poco
profonde
avranno
uno
stress
molto
inferiore
rispetto
a
cavità
strette
e
profonde.
SCELTA
DEL
MATERIALE
⇒ Materiali
Flow:
Sono
materiali
a
bassa
viscosità,
data
dal
fatto
che
presentano
un
basso
contenuto
di
riempitivo
rispetto
alla
matrice
resinosa.
Questa
loro
caratteristica
gli
conferisce
due
proprietà:
un’elevata
contrazione
da
polimerizzazione,
ma
un
basso
modulo
di
elasticità.
In
definitiva
questi
materiali
causeranno
meno
stress
dei
compositi
tradizionali,
proprio
per
quest’ultima
loro
proprietà.
E’
quindi
di
solito
consigliato
usare
un
sottofondo
di
materiale
flow
per
sfruttare
questo
loro
effetto
ammortizzante,
e
che
contribuisce
per
di
più
a
distribuire
uniformemente
lo
stress
sull’interfaccia
adesiva.
⇒ Materiali
Foto
e
Auto-‐polimerizzanti:
Sono
materiali
che
presentano
caratteristiche
molto
diverse
tra
loro.
Differiscono
per
la
velocità
di
polimerizzazione
e
per
la
loro
porosità:
I
foto-‐
polimerizzabili
sono
più
veloci
e
meno
porosi,
mentre
gli
auto
sono
meno
veloci
e
più
porosi.
Materiali
che
polimerizzano
più
velocemente
presentano
un
peggior
adattamento
marginale,
e
una
peggior
distribuzione
dello
stress
interno
(questo
perché
più
breve
è
la
fase
pre-‐gel
e
meno
tempo
i
monomeri
hanno
a
disposizione
per
scorrere
e
quindi
adattarsi
meglio
sulla
superficie).
Materiali
a
più
alta
porosità
hanno
un
minor
stress
da
contrazione
(questo
perché
l’O2
che
rimane
nelle
porosità
ha
un
effetto
inibitore
sulla
polimerizzazione;
avremmo
quindi
un
minor
numero
di
monomeri
convertiti),
ma
anche
peggiori
proprietà
meccaniche.
Se
ne
deduce
quindi
che
materiali
auto
polimerizzabili
sarebbero
teoricamente
vantaggiosi
per
ridurre
lo
stress
da
contrazione;
questi
però
hanno
due
grossi
svantaggi:
basse
proprietà
meccaniche
e
difficile
lavorabilità
(poiché
una
volta
attivati
cominciano
subito
ad
indurire,
e
diviene
molto
difficile
modellarli).
⇒ CVI:
Data
la
loro
composizione,
non
subiscono
contrazione.
Vengono
usati
nella
tecnica
Sandwich:
in
cavità
di
I
classe
molto
profonde
si
utilizza
un
primo
strato
di
CVI
che
riduce
la
profondità
della
cavità,
diminuendo
così
il
C-‐factor
per
il
successivo
strato
di
composito.
Inoltre
la
sua
capacità
sigillante
mediante
il
legame
chimico
permette
di
proteggere
la
polpa
e
diminuire
la
sensibilità
post-‐operatoria.
30
SCELTA
DELLA
TECNICA
Oggi
come
oggi
il
metodo
migliore
per
cercare
di
ridurre
al
minimo
lo
stress
da
contrazione
è
quello
di
utilizzare
una
tecnica
di
stratificazione
adeguata.
Non
esiste
una
tecnica
universalmente
riconosciuta
come
la
migliore;
esistono
però
tre
principi
da
dover
seguire
per
contrastare
lo
stress
da
contrazione:
1. Utilizzare
piccoli
apporti
di
materiale
2. Preparare
cavità
con
un
C-‐factor
meno
sfavorevole
possibile
3. Inserire
apporti
che
non
mettano
in
connessione
due
pareti
opposte
Da
un
punto
di
vista
puramente
teorico
se
io
potessi
mettere
un
infinito
numero
di
apporti
il
mio
stress
sarebbe
tendente
a
0.
Ovviamente
questo
non
è
possibile,
quindi
il
mio
stress
totale
sarà
dato
dalla
somma
degli
stress
di
ogni
singolo
apporto.
Le
tecniche
di
stratificazione
conosciute
sono
tante:
⇒ Stratificazione
orizzontale
→
E’
sconveniente
perché
ogni
singolo
apporto,
in
una
cavità
di
I
classe,
va
ad
unire
due
pareti
opposte.
⇒ Stratificazione
Verticale
→
Sarebbe
quella
teoricamente
più
conveniente
se
non
fosse
che
così
si
va
a
creare
una
cavità
profonda
e
stretta,
e
l’ultimo
apporto
andrebbe
a
generare
un
forte
stress.
⇒ Tecnica
a
tre
siti
(o
di
Lutz)
→
Un
tempo
si
pensava
che
la
contrazione
seguisse
la
luce
della
lampada;
è
per
questo
che
fu
inventata
questa
tecnica
dove
la
lampada
veniva
posizionata
in
tre
siti
diversi,
in
modo
da
distribuire
uniformemente
lo
stress
(venivano
inoltre
usate
matrici
e
cunei
trasparenti).
In
realtà
non
è
così,
poiche
la
contrazione
avviene
dalla
superficie
libera
verso
le
superfici
legate.
Quindi
la
provenienza
della
luce
in
realtà
è
ininfluente.
⇒ Tecnica
a
incrementi
obliqui
→
Con
questa
tecnica
il
secondo
strato
di
composito
va
a
compensare
la
perdita
di
volume
del
primo,
andando
così
a
diminuire
lo
stress.
C’è
però
chi
sostiene
che
questo
non
è
del
tutto
vero
poiché
la
contrazione
dell’apporto
avviene
anche
sul
lato
della
parete,
e
qui
non
ci
posso
andare
a
mettere
altro
composito.
⇒ Tecnica
a
incremento
cuspidale
→
I
singoli
incrementi
corrispondono
ad
una
cuspide.
Oggi
è
la
tecnica
più
usata.
⇒ Tecnica
monoincremento
(bulk)
→
Usata
per
cavità
di
piccole
dimensioni.
⇒ Tecnica
build-‐up
parietale
→
Usata
per
le
II
classi.
Si
ricostruisce
con
una
matrice
la
parete
mancante
in
modo
da
trasformare
la
II
classe
in
I.
31
Un
altro
fattore
considerato
fondamentale
oggi
è
l’impiego
di
un’adeguata
intensità
della
luce
foto
polimerizzante.
Infatti
alti
gradi
di
intensità
forniscono
più
alti
gradi
di
conversione
dei
monomeri,
ma
producono
più
elevate
forze
interne
durante
la
polimerizzazione.
Quel
che
è
importante
è
fornire,
nella
prima
fase,
luce
a
più
bassa
intensità
(Soft-‐start).
Ritardo
così
il
raggiungimento
del
gel-‐point
e
allungo
la
fase
pre-‐gel;
in
questo
modo
ottengo
un
miglior
adattamento
del
composito
alla
superficie
del
substrato,
e
posso
raggiungere
un
ottimo
sigillo
marginale.
32
RICOSTRUZIONE
DI
DENTI
DEL
SETTORE
POSTERIORE
RESTAURI
DIRETTI
La
realizzazione
di
un
restauro
conservativo
implica
la
rimozione
dei
tessuti
duri
dentali
affetti
da
carie
e
di
una
piccola
parte
di
quelli
sani
adiacenti
nella
misura
in
cui
ciò
è
necessario
a
creare
una
cavità
adatta
al
materiale
da
otturazione.
Il
recupero
della
morfologia
originaria
del
dente
è
necessario
per
restituirgli
quegli
elementi
che
sono
venuti
meno
in
ragione
della
patologia
e
del
trattamento
stesso,
ossia
il
giusto
rapporto
con
il
parodonto
e
gli
elementi
dentali
contigui
ed
antagonisti,
e
le
funzioni
masticatoria,
fonatoria
ed
estetica.
Poiché
al
pari
di
altri
tessuti
ed
organi,
anche
nei
denti
forma
e
funzione
sono
indissolubilmente
legate,
è
ovvia
la
necessità
di
conoscere
l’anatomia
normale
di
ciascun
elemento
dentario.
LA
PEPARAZIONE
CAVITARIA
SECONDO
BLACK
La
preparazione
della
cavità
restaurativa
secondo
Black
prevede:
1. Rimozione
del
tessuto
cariato
con
strumenti
manuali
o
meccanici
fino.
Bisogna
sempre
accertarsi
di
aver
eliminato
tutto
il
tessuto
cariato:
si
passa
lo
specillo
sulla
dentina
e
se
ne
valuta
la
consistenza
e
il
rumore;
infatti
si
dovrebbe
sentire
il
cosiddetto
“urlo
dentinale”,
tipico
rumore
che
si
avverse
al
contatto
dello
strumento
metallico
con
la
dentina
sana.
E’
possibile
utilizzare
anche
il
“rilevatore
di
carie”:
si
tratta
di
un
colorante
che
applicato
sulla
dentina
va
a
colorare
la
dentina
cariata;
uno
strumento
utile
ma
che
ha
il
difetto
di
sovrastimare
l’estensione
della
carie,
comportanto
conseguentemente
un’eccessiva
preparazione
dentale.
L’eventuale
ultima
rimozione
di
dentina
si
può
o
con
escavatore
manuale
o
con
frese
a
lama
al
carburo
di
Tungsteno,
a
forma
di
rosetta,
montate
su
micromotore
e
sotto
costante
getto
d’acqua.
Oggi
esistono
anche
frese
costruite
con
la
zirconia,
le
quali
rimangono
taglienti
per
molto
più
tempo,
anche
se
sono
chiaramente
più
costose.
2. Definizione
della
forma
di
contorno
e
del
box
della
cavità.
Il
disegno
della
cavità
del
restauro
(forma
di
contorno)
e
l’architettura
delle
pareti
della
cavità
stessa,
sono
il
risultato
non
solo
della
rimozione
del
tessuto
cariato,
ma
di
più
esigenze
che
dovranno
essere
33
contemporaneamente
soddisfatte
al
termine
della
preparazione
cavitaria.
Per
questo
si
parla
anche
di
forma
di
convenienza.
In
essa
risultano
riassunte
la:
Forma
di
prevenzione:
la
cavità
deve
estendersi
anche
alle
zone
sane
ma
potenzialmente
a
rischio
di
carie
secondaria
ed
i
suoi
margini
devono
collocarsi
in
zone
di
autodetersione,
facilmente
accessibili
alle
manovre
di
igiene
orale
domiciliare.
Per
questo
i
solchi
e
le
fessure
occlusali,
vestibolari
e
linguali/palatali
vanno
compresi
nella
preparazione.
Nelle
cavità
di
2a
classe
il
gradino
cervicale
del
box
si
colloca
sopra
il
margine
gengivale,
mentre
le
pareti
vestibolari
e
linguali
del
box
sono
situate
lontano
dal
punto
di
contatto.
Forma
di
ritenzione
o
di
convenienza
interna.
Nel
caso
di
materiali
da
otturazione
non
adesivi
si
realizza
una
cavità
a
forma
di
box
(scatola),
le
cui
pareti
si
oppongano
meccanicamente
al
dislocamento
del
materiale
da
restauro.
La
ritenzione
si
ottiene
con
una
divergenza
delle
pareti
assiali
verso
il
fondo
della
cavità
stessa;
maggiore
è
la
divergenza
e
migliore
è
la
ritenzione,
ma
vado
a
perdere
una
quantità
maggiore
di
tessuto
sano.
Inoltre
la
divergenza
delle
pareti
non
deve
essere
ottenuta
a
scapito
della
resistenza
del
dente,
quindi
non
si
effettua
a
livello
delle
fossette
marginali,
dove
invece
vanno
addirittura
fatte
convergenti
perché
solo
lì
ho
il
90%
dei
contatti
cuspidali.
Gli
angoli
interni
tra
le
pareti
assiali
e
quella
pulpare
devono
essere
leggermente
arrotondati
in
modo
da
garantire
una
distribuzione
uniforme
del
carico
masticatorio.
Nelle
cavità
di
2a
classe
per
amalgama
il
box
è
costituito
da
una
parte
prossimale
ed
una
occlusale,
unite
attraverso
un
“istmo”
la
cui
dimensione
V-‐L
dovrebbero
essere
pari
ad
1/3
della
distanza
intercuspidale.
Nel
caso
di
materiali
adesivi,
la
forma
del
box
è
caratterizzata
dall’estensione
della
carie,
evitando,
se
possibile
di
abbattere
le
pareti
di
smalto.
Anche
qui
però
se
la
parete
interprossimale
risulta
essere
costituita
da
un
sottile
strato
di
smalto
non
sostenuto,
è
necessario
abbatterla.
Forma
di
resistenza.
La
cavità
deve
essere
disegnata
in
modo
da
impedire
la
frattura
del
dente
e
del
restauro.
Si
parla
quindi
di:
o Forma
di
resistenza
del
dente
⇒
Deve
essere
rimosso
tutto
lo
smalto
non
sostenuto
da
dentina
sana
e
le
pareti
della
cavità
dovranno
essere
piane,
perpendicolari
fra
loro
e
con
angoli
d’incontro
appena
arrotondati
per
materiali
non
adesivi;
per
i
materiali
adesivi
invece
la
cavità
seguirà
comunque
il
contorno
dell’estensione
cariosa.
o Forma
di
resistenza
del
materiale
⇒
L’amalgama
non
ha
resistenza
alla
frattura
con
spessori
<1,5
mm,
per
cui
i
margini
delle
cavità
dovranno
essere
tagliati
in
modo
da
34
evitare
spessori
di
materiale
eccessivamente
sottili.
I
materiali
compositi
invece
non
hanno
questi
problemi
in
virtù
delle
loro
proprietà
adesive
e
del
loro
modulo
di
elasticità
molto
simile
a
quello
del
dente.
3. Rifinitura
dei
margini
dello
smalto
ossia
dell’angolo
fra
pareti
della
cavità
e
superficie
esterna
del
dente.
I
prismi
dello
smalto
non
sostenuti
da
dentina
si
sfaldano
sotto
le
forze
occlusali
a
livello
di
tali
angoli;
bisogna
quindi
ottenere
una
sezione
di
smalto
resistente,
evitando
che
i
prismi
possono
secondariamente
cedere
rendendo
imperfetta
l’integrità
del
margine
dell’otturazione.
4. Pulizia
della
cavità
con
sostanze
detergenti,
battericide
e/o
batteriostatiche
che
rimuovono
parzialmente
o
totalmente
lo
smear-‐layer.
Se
si
usano
materiali
adesivi,
a
questi
passaggi
si
aggiunge
il
condizionamento
della
dentina
e
dello
smalto.
L’atteggiamento
operativo
del
clinico
è
divenuto
col
tempo
sempre
più
conservativo
di
pari
passo
con:
L’acquisizione
di
nuove
nozioni
sui
meccanismi
biochimici
e
sull’eziopatogenesi
della
carie.
Il
miglioramento
delle
condizioni
socio-‐economiche
della
popolazione.
L’aumentata
attenzione
della
popolazione
verso
la
propria
igiene
orale.
L’aumentata
applicazione
di
programmi
di
fluoroprofilassi
e
l’aumentata
disponibilità
di
prodotti
fluorurati.
L’evoluzione
dei
materiali
restaurativi
ed
in
particolare
la
nascita
della
tecnica
adesiva
che
ha
permesso
la
realizzazione
di
interventi
assai
conservativi
come
le
tunnel
restorations
o
le
slot
restoration.
Riportiamo
di
seguito
alcuni
passaggi
storici
che
hanno
col
tempo
portato
ad
una
modifica
radicale
(soprattutto
dal
punto
di
vista
concettuale)
della
forma
di
cavità
secondo
Black.
− Markley
1951:
cavità
di
2s
classe
meno
demolitiva.
Istmo
più
stretto
e
riduzione
dell’estensione
occlusale.
Questo
autore
affida
la
ritenzione
anche
a
scanalature
tra
le
pareti
laterali
e
quella
assiale
del
box.
− Maheler
(1955),
Vale
(1959):
angoli
interni
arrotondati
per
diminuire
gli
stress
occlusali
sulle
pareti.
− Toffenetti
(1983):
maggiore
conservazione
dei
tessuti
duri
dentali,
posizionamento
della
parete
cervicale
al
di
sotto
dell’area
di
contatto
ma
al
di
sopra
o
in
corrispondenza
del
margine
gengivale.
35
− Hirt
e
Lutz:
preparazione
cavitaria
tendente
all’assoluto
risparmio
di
tessuto
sano
(cavità
minimali).
Scanalature
tra
le
pareti
laterali
e
quella
assiale
del
box
evitando
code
di
rondine
e
inutili
demolizioni
estese
ai
tessuti
sani.
Forma
di
convenienza
di
Black
assente.
Forma
di
prevenzione
di
Black
assente
perché
resa
inutile
da
costanti
controlli
clinici,
programmi
di
fluoroprofilassi,
accurata
igiene
orale
domiciliare,
nascita
della
tecnica
adesiva
ed
evoluzione
dei
mezzi
diagnostici
che
permettono
una
diagnosi
precoce
della
carie
ed
il
controllo
dei
risultati
della
terapia.
CAVITA’
DI
1A
CLASSE
PER
AMALGAMA
E’
importante
rispettare
la
forma
di
contorno
e
di
convenienza.
Si
parte
dalla
lesione
cariosa
e
s’includono
solo
i
solchi
e
le
fessure
interessate
dalla
carie.
L’estensione
preventiva
è
ormai
da
considerarsi
un
trattamento
poco
conservativo
e
gli
si
preferisce
la
“prevenzione
dell’estensione”
di,
ossia
la
preparazione
delle
cosiddette
cavità
minimali,
(1987)
perché:
1) Un
restauro
conservativo
deve
essere
ripetuto
nel
tempo
(generalmente
ogni
7-‐10
anni)
ed
ogni
volta
si
eliminano
tessuti
dentari
sani
finché,
dopo
4-‐5
volte
sarà
inevitabile
la
protesizzazione
dell’elemento
divenuto
ormai
strutturalmente
troppo
debole.
2) L’estensione
preventiva
non
ha
motivo
di
sussistere
se
la
salute
dentale
ed
orale
del
paziente
viene
costantemente
controllata
attraverso
programmi
di
fluoroprofilassi
generale
e
locale
e
con
un’adeguata
igiene
orale
domiciliare.
3) Nelle
fasi
iniziali,
il
processo
distruttivo
dei
tessuti
dentari
è
reversibile
se
si
eseguono
applicazioni
locali
di
fluoro
per
lungo
tempo
a
basse
concentrazioni
o
per
breve
tempo
ad
alte
concentrazioni.
4) Il
miglioramento
delle
condizioni
socio-‐economiche
che
si
è
verificato
in
molte
società
a
partire
dal
dopoguerra
ha
migliorato
l’attenzione
individuale
verso
la
propria
igiene
orale.
Inoltre
è
aumentato
l’utilizzo
di
prodotti
fluorurati.
5) È
possibile
sfruttare
nuove
tecnologie
che
consentono
l’adesione
dell’amalgama
ai
tessuti
dentari
previa
condizionamento
chimico
dei
tessuti
stessi.
La
fresa
va
mantenuta
parallela
all’asse
longitudinale
del
dente.
Ci
si
approfondisce
fino
a
0,5-‐1
mm
oltre
la
giunzione
amelo-‐dentinale
sempre
che
l’estensione
della
carie
non
richieda
una
profondità
di
preparazione
maggiore.
Una
volta
in
dentina
si
procede
con
frese
a
rosetta
d’acciaio
o
al
carburo
di
tungsteno
su
contrangolo
sotto
costante
getto
d’acqua,
e
con
escavatori
a
mano
36
nelle
zone
di
proiezione
pulpare.
Detergere
accuratamente
la
giunzione
amelo-‐dentinale
che
rappresenta
una
via
di
diffusione
preferenziale
del
processo
carioso.
Vengono
definiti
i
seguenti
angoli
di
taglio:
− Angolo
AMA
(Amalgam
Marginal
Angle)
=
angolo
formato
dal
materiale
da
otturazione
con
la
superificie
occlusale.
− Angolo
CSA
(Cavo
Surface
Angle)
=
angolo
formato
dalla
parete
della
cavità
con
la
superficie
occlusale.
Un’AMA
di
circa
90°
consente
di
realizzare
uno
spessore
di
materiale
di
almeno
1,5-‐2
mm.
Questo
però
determina
il
rischio
o
di
sottominare
lo
smalto
a
livello
dei
versanti
cuspidali
e
delle
creste
marginali
particolarmente
accentuate
o
di
apporre
troppo
materiale
(sovramodellazione).
Per
questo,
nella
pratica
clinica,
è
considerato
accettabile
un
AMA
di
68-‐70°.
L’angolo
AMA,
insieme
alla
rifinitura
dei
margini
cavitari
(da
effettuare
con
frese
diamantate
a
granulometria
fine
di
circa
25
μm),
sono
fondamentali
per
la
durata
del
restauro.
Secondo
Black
il
fondo
cavitario
deve
essere
piatto
e
tagliato
allo
stesso
livello
per
tutta
l’estensione
della
preparazione.
L’evoluzione
della
preparazione
cavitaria
ha
però
portato
a
collocare
il
fondo
a
diversi
livelli
in
relazione
all’estensione
del
processo
carioso,
permettendo
inoltre
un
risparmio
di
tessuto
sano
e
un
minore
rischio
di
esporre
i
cornetti
pulpari.
Tutti
gli
angoli
di
raccordo
fra
le
pareti
ed
il
fondo
dovranno
essere
arrotondati
(e
non
vivi
come
consiglia
Black)
migliore
distribuzione
delle
forze
↓
rischio
fratture
pareti
cavitarie.
Per
ricreare
un’adeguata
forma
di
ritenzione
è
necessario
creare
sottosquadri
per
impedire
la
dislocazione
del
restauro.
Possono
essere
realizzati
usando,
durante
la
preparazione
cavitaria,
frese
diamantate
a
forma
di
pera.
Bisogna
fare
attenzione
a
non
sottominare
le
creste
marginali
e
i
ponti
di
smalto.
Particolare
attenzione
va
inoltre
riservata
al
primo
premolare
inferiore
e
ai
molari
superiori.
Questi
elementi
infatti
presentano
un
ponte
di
smalto,
la
cosiddetta
cresta
obliqua,
che:
− Nel
1o
premolare
inferiore
unisce
la
cuspide
V
a
quella
L.
− Nei
molari
superiori
unisce
la
cuspide
MP
con
la
DV.
Tali
strutture
non
devono
essere
sottominate
e
le
fossette
(M
e
D)
che
delimitano
devono
essere
preparate
singolarmente.
Nel
1o
premolare
inferiore
il
taglio
della
cavità
dovrà
essere
realizzato
perpendicolarmente
alla
tangente
che
passa
per
gli
apici
delle
cuspidi
in
modo
da
ottenere
un
CSA
ottimale
ed
il
rispetto
dei
cornetti
pulpari.
In
caso
di
processi
cariosi
estesi,
per
non
sottominare
la
cuspide
V,
si
può
diminuire
l’angolo
di
taglio
nella
porzione
dentinale.
37
CAVITA’
DI
2A
CLASSE
PER
AMALGAMA
La
qualità
dei
restauri
realizzati
nelle
aree
interprossimali
influenza
la
salute
del
parodonto
marginale
per
cui
è
molto
importante
il
ripristino
morfologico
di
tale
area.
La
forma
della
cavità
si
realizza
con
una
fresa
diamantata
cilindrica
o
tronco-‐conica
che,
iniziando
dalla
cresta
marginale,
lavora
parallelamente
all’asse
lungo
del
dente
con
piccoli
movimenti
V-‐L
fino
al
raggiungimento
della
cavità
cariosa.
In
questo
modo
si
mantiene
un
sottile
diaframma
di
smalto
a
protezione
del
dente
contiguo;
per
eliminare
tale
strato
si
deve
proteggere
il
dente
contiguo
con:
− Matrice
stabilizzata
da
cuneo.
− Distansiatore
metallico:
permette
di
eseguire
la
preparazione
e
la
rifinitura
delle
superfici
V
e
L
con
migliore
visione
e
precisione,
utilizzando
un
manipolo
moltiplicatore
di
giri
ed
una
fresa
diamantata
a
grana
fine
(25
μm).
La
rimozione
del
diaframma
di
smalto
può
essere
realizzata
anche
con
strumenti
manuali
affilati
(escavatori
o
scalpelli)
facendo
attenzione
a
non
applicare
forze
eccessive.
L’evoluzione
della
preparazione
cavitaria
rispetto
ai
principi
di
Black,
prevede
che
questa
non
si
estenda
oltre
le
aree
realmente
coinvolte
dal
processo
carioso:
è
sufficiente
eliminare
il
contatto
con
il
dente
adiacente.
Gradino
cervicale:
in
caso
di
processi
cariosi
poco
estesi
il
parodonto
marginale
può
essere
allontanato
sufficientemente
con
il
solo
posizionamento
della
diga
e
dei
cunei.
In
caso
di
processi
cariosi
maggiormente
estesi,
specie
se
la
gengiva
ipertrofica
invade
la
cavità
cariosa,
si
renderà
necessaria
la
chirurgia
parodontale.
Contorno
occlusale:
anche
in
questo
caso
i
principi
di
Black
(estensione
a
tutti
i
solchi
e
le
fossette)
sono
stati
abbandonati
a
favore
di
una
preparazione
più
conservativa
limitata
alle
aree
realmente
interessate
dal
processo
cariose
e
comunque
in
grado
di
garantire
una
sufficiente
ritenzione
del
restauro.
In
caso
di
concomitante
carie
di
1a
classe,
le
due
preparazioni
saranno
unite
da
un
istmo
che
avrà
dimensioni
fra
¼
ed
1/6
della
distanza
intercuspidale
V-‐L.
Una
volta
in
dentina
si
procede
con:
• Frese
a
rosetta
d’acciaio
o
al
carburo
di
tungsteno
su
contrangolo
sotto
costante
getto
d’acqua.
Tali
strumenti
vengono
fatti
lavorare
in
modo
intermittente
per
migliorare
il
controllo
e
la
visibilità
della
zona
da
preparare
e
limitare
il
surriscaldamento
della
dentina.
• Escavatori
a
mano
(cavità
profonde).
38
• Detergere
accuratamente
la
giunzione
amelo-‐dentinale
che
rappresenta
una
via
di
diffusione
preferenziale
del
processo
carioso.
Per
ottenere
un’adeguata
forma
di
ritenzione
e
pareti
V
e
L
devono
formare
un
angolo
diedro
con
la
parete
pulpare.
Anche
la
parete
cervicale
forma
angoli
diedri
con
le
restanti
superfici.
Per
assicurare
un
perfetto
adattamento
dell’amalgama
ai
margini
della
cavità,
e
quindi
evitare
possibili
sovra
contorni
o
sottocontorni,
questi
vanno
rifiniti.
La
rifinitura
si
realizza
con:
• Strumenti
manuali
taglienti
e
movimenti
per
“trazione”.
• Frese
ad
alta
velocità
su
manipolo
moltiplicatore:
o Diamantate
a
grana
fine
(25
μm)
utilizzabili
sia
in
entrata
(dall’esterno
dell’elemento
dentario
all’interno
cavità)
che
in
uscita
(viceversa).
Secondo
la
scuola
di
Zurigo,
la
rifinitura
con
tali
frese
va
eseguita
a
bassa
velocità
(moltiplicatore
di
giri-‐anello
blu):
le
ricerche
dimostrano
che
ciò
consente
di
ottenere
una
rifinitura
qualitativamente
paragonabile
a
quella
eseguita
con
strumenti
manuali
taglienti.
o Multilama
(30
lame)
al
carburo
di
tungsteno
da
usare
solo
in
entrata.
CAVITA’
PER
COMPOSITO
Tutti
i
tipi
di
preparazione
prevedono
una
forma
cavitaria
dettata
esclusivamente
dalla
forma
della
carie
o
dal
pre-‐esistente
restauro,
l’accurata
eliminazione
del
tessuto
cariato
abbinato
all’arrotondamento
degli
angoli
interni
e
la
precisa
definizione
e
rifinitura
dei
margini
cavitari.
Soprattutto
in
riferimento
alla
prima
caratteristica,
ci
si
riferisce
a
questa
tecnica
come
Preparazione
minimamente
invasiva,
proprio
per
la
massima
conservazione
e
il
massimo
rispetto
dei
tessuti
dentari
sani.
Gli
accorgimenti
che
devono
essere
presi
sono
pochi:
Gli
angoli
interni
devono
essere
arrotondati
e
deve
essere
effettuata
la
definizione
dei
bordi
cavitari
tramite
la
bisellatura.
In
realtà
la
bisellatura
della
porzione
occlusale
è
solo
una
smussatura
dello
smalto
che
ha
lo
scopo
di
regolarizzare
i
bordi,
abbattere
i
prismi
dello
smalto
non
sostenuti
e
di
migliorare
la
definizione
dei
margini;
un
vero
e
proprio
bisello
non
sarebbe
necessario
in
quanto
i
prismi
stessi,
in
virtù
del
loro
orientamento
a
tale
livello,
sarebbero
già
sezionati
trasversalmente
dopo
il
passaggio
di
una
fresa
di
rifinitura,
cilindrica
o
a
fiamma,
posizionata
perpendicolarmente
alla
superficie
occlusale.
Molto
importante
è
anche
il
rispetto
del
tessuto
parodontale,
soprattutto
siamo
nei
settori
frontali
ed
è
richiesta
l’estetica.
Quando
si
prepara
la
fresa
non
deve
mai
andare
sotto
gengiva
se
non
c’è
necessità,
il
margine
deve
essere
sempre
ispezionabile
e
quindi
la
diga
deve
essere
sempre
39
montabile.
Se
ciò
non
è
possibile
devo
fare
un
allungamento
di
corona
clinica,
o
estrusione
ortodontica.
Ci
sono
situazioni
particolari
in
cui
la
carie
si
approfondisce
in
direzione
della
cresta
marginale
in
profondità,
lasciando
uno
strato
molto
esiguo
al
di
sotto
della
cresta
arginale.
In
questi
casi,
proprio
per
il
principio
della
minima
invasività
e
per
l’importanza
delle
creste
marginali
stesse
nel
mantenimento
dell’equilibrio
biomeccanico
del
dente,
è
consigliato
eseguire
una
preparazione
“a
tunnel”.
Un
altro
fattore
particolare
è
dato
dal
fatto
che
oggi
si
possono
utilizzare
strumenti
sonici
per
la
preparazione
di
cavità
minimamente
invasive,
su
cui
si
montano
frese
appositamente
studiate.
Questi
strumenti
risultano
essere
particolarmente
utili
in
situazioni
di
carie
poco
estese
di
III
classe
interprossimali
le
quali
non
sarebbero
aggredibili,
se
non
dall’alto,
con
le
normali
frese.
Gli
strumenti
sonici
invece
hanno
una
sola
superficie
lavorante,
per
cui
possono
incunearsi
tra
due
denti,
preparando
il
dente
interessato
da
carie,
e
lasciando
intatto
quello
accanto;
ciò
comporta
un’estrema
conservazione
del
tessuto
sano,
in
quanto
tutto
lo
samlto
occlusale
non
viene
nemmeno
toccato,
e
la
cresta
marginale
rimane
intatta.
SENSIBILITA’
POST-‐OPERATORIA
E’
uno
degli
inconvenienti
a
cui
più
frequentemente
si
va
in
contro
in
tutti
i
tipi
di
restauri.
Le
cause
sembrano
essere
molteplici:
• Infiltrazione
marginale
• Distorsione
delle
pareti
per
lo
stress
da
polimerizzazione
• Radicali
di
monomeri
liberi
• Citotossicità
iniziatori
• Teoria
idrodinamica
• Mordenzatura
dentina
• Patologia
pulpare
• Precontatti
occlusali
Le
precauzioni
che
possiamo
prendere
per
cercare
di
diminuire
questa
conseguenza
dei
nostri
lavori
sono:
• Non
eccedere
con
i
tempi
di
mordenzatura
(demineralizzazione
troppo
profonda)
• Non
essiccare
mai
la
dentina
durante
le
fasi
di
preparazione
• Asciugare
correttamente
la
dentina
dopo
l’applicazione
del
primer,
né
troppo
né
troppo
poco
40
• Distendere
bene
il
bonding,
stando
attenti
a
non
lasciare
zone
scoperte
o
troppo
sottili
• Usare
un
composito
flow
come
sottofondo
in
tutte
le
ricostruzioni
• In
cavità
profonde
è
possibile
usare
il
CVI:
questo
garantisce
una
buona
adesione
dentinale,
ma
al
tempo
stesso
non
si
contrae
non
causando
stress.
In
più
liberano
fluoro
favorendo
la
rimineralizzazione
del
dente.
ORIFICAZIONI
Le
indicazioni
per
questa
metodica
sono
rappresentate
da:
• Pits
occlusali
• Fori
ciechi
• V
classi
nel
terzo
gengivale
della
corona
• III
classi
non
estese
vestibolarmente
• Piccole
riparazioni
di
intarsi
dalla
necessità
di
chiudere
l’accesso
endodontico
su
corone
auree
Viceversa
le
controindicazioni
sono
date
da:
• Una
cario
recettività
alta
da
parte
del
paziente
• Cavità
estese
• Presenza
di
una
mobilità
superiore
a
quella
di
primo
grado
(in
quanto
l’oro
in
questa
metodica
viene
compresso
con
forze
notevoli)
• Denti
con
radici
non
completamente
sviluppate
(perché
c’è
un
iperemia
pulpare
secondaria)
• Pazienti
apprensivi
(perché
è
una
tecnica
che
richiede
tempi
di
esecuzione
lunghi)
L’oro
è
un
materiale
con
moltissimi
pregi:
è
insolubile
nei
fluidi
orali,
presenta
un
perfetto
adattamento
alle
pareti
cavitarie,
ha
un’espansione
termica
simile
alla
dentina,
non
provoca
colorazioni,
non
si
corrode,
è
altamente
biocompatibile
e
presenta
un
costo
relativamente
basso
a
lungo
termine.
Esistono
tuttavia
una
serie
di
svantaggi
quali
il
fatto
che,
per
la
sua
morbidezza,
l’oro
coesivo
non
è
utilizzabile
in
aree
di
stress,
l’alto
costo
iniziale,
l’assenza
di
estetica
e
per
tecnica
operativa
sofisticata.
Per
queste
metodiche
viene
utilizzato
l’oro
puro
al
100%
mediante
la
lavorazione
di
saldatura
a
freddo
per
condensazione
metallica.
Viene
fornito
sotto
forma
di
lamine
o
di
spugne
che
vengono
poi
applicate
nella
cavità,
la
quale
deve
essere
ritentiva,
con
limiti
netti,
ma
soprattutto
pulita
da
qualsiasi
sostanza:
affinchè
questi
restauri
funzionino
è
necessario
che
ci
sia
un
intimassimo
contatto
tra
l’oro
e
il
tessuto
dentale.
41
RESTAURI
INDIRETTI
Quando
si
parla
di
restauri
indiretti
nel
settore
posteriore,
si
parla
sostanzialmente
di
tre
diverse
possibilità
operative:
• Intarsi
di
tipo
Inlay:
Le
pareti
coronali
e
tutte
le
cuspidi
sono
conservate,
e
c’è
una
cresta
marginale
integra
(equivalente
della
II
classe
di
Black)
• Intarsi
di
tipo
Onlay:
Una
parete
è
mantenuta,
ma
si
ha
la
perdita
di
una
o
più
cuspidi
e
c’è
una
cresta
marginale
integra.
• Intarsi
di
tipo
Overlay:
Nessuna
delle
due
pareti
è
sostenuta,
e
non
c’è
nessuna
cresta
marginale.
Nelle
situazioni
estreme
si
può
avere
anche
un
ricoprimento
completo
di
tutta
la
corona;
ciò
consente
un
cerchiaggio
del
dente,
per
esempio
del
dente
trattato
endodonticamente,
e
di
scaricare
le
forze
sul
tavolato
occlusale
minimizzando
il
rischio
di
frattura
dovuta
al
perno.
TECNICA
DIRETTA
O
INDIRETTA?
La
scelta
tra
tecnica
diretta
ed
indiretta
non
è
facile
da
fare
per
il
semplice
motivo
che
non
esistono
criteri
di
scelta
assoluti.
E’
importante
valutare
sempre
i
vantaggi
e
gli
svantaggi
relativi.
I
vantaggi/svantaggi
della
tecnica
diretta
sono:
Vantaggi
Svantaggi
Minor
invasività
durante
la
preparazione
della
Possibili
difficoltà
nell’ottenere
un’anatomia
cavità
prossimale
e
occlusale
soddisfaciente
Una
sola
seduta
operativa
Minor
controllo
dello
stress
da
contrazione
Costi
più
contenuti
Viceversa
i
vantaggi/svantaggi
della
tecnica
indiretta
sono:
Vantaggi
Svantaggi
Miglior
controllo
anatomico
e
di
occlusione
Maggior
sacrificio
di
tessuto
sano
per
ottenere
la
divergenza
delle
pareti
Miglior
controllo
dello
stress
da
contrazione
Necessità
di
due
sedute
Maggiori
costi
Non
riparabilità
(solo
ceramiche)
Cementazione
adesiva
richiede
una
certa
esperienza
42
Comunque
i
principali
criteri
di
scelta,
anche
se
non
sono
assoluti,
sono:
1. Dimensioni
delle
cavità.
E’
un
criterio
assolutamente
relativo.
Alla
fine
degli
anni
’80
si
pensava
che
la
tecnica
indiretta
fosse
migliore
della
tecnica
diretta
in
quanto
favoriva
un
miglior
adattamento
marginale
una
riduzione
della
microinfiltrazione
in
qualsiasi
situazione
clinica.
Più
recentemente
è
stato
dimostrato
che
gli
intarsi
sono
superiori
ai
restauri
diretti
solo
in
grosse
cavità,
dove
si
assiste
ad
una
perdita
di
sostanza
importante.
Infatti
è
stato
visto
che
il
comportamento
a
lungo
termine
di
cavità
di
II
classe
dirette
e
intarsi
Inlay
è
sovrapponibile.
2. Numero
di
restauri
complessi
nel
quadrante.
Maggiore
è
il
numero
è
più
è
indicato
l’uso
di
tecniche
indirette,
sostanzialmente
per
due
motivi:
• Il
controllo
dell’occlusione
è
più
facile
• Dopo
un
certo
numero
di
appuntamenti
il
paziente,
ma
anche
l’operatore,
può
andare
in
crisi.
La
restaurativa
indiretta
in
questi
casi
diminuisce
i
tempi
di
lavoro
perché,
per
esempio,
nella
primo
appuntamento
si
può
eseguire
la
preparazione
di
3-‐4
elementi
e
nel
secondo
la
cementazione.
3. Ripristino
dei
rapporti
occlusali.
Con
la
restaurativa
indiretta
si
è
chiaramente
in
grado
di
controllare
con
molta
più
facilità
i
rapporti
occlusali,
grazie
ai
modelli
di
laboratorio
4. Costi.
In
definitiva
risulta
essere
il
criterio
di
scelta
più
influente.
L’intarsio
adesivo
oggi
rappresenta
un’ottima
alternativa
alla
corona
completa.
Nel
caso
di
grande
perdita
di
sostanza
dentale,
come
per
fratture
parziali
della
corona,
la
tecnica
indiretta
permette
di
evitare
trattamenti
endodontici
e
la
preparazione
dentale
completa.
Tutto
ciò
si
traduce
in
un
trattamento
meno
mutilante
ma
anche
più
economico
per
il
paziente.
In
ogni
caso
quando
sono
di
fronte
ad
un
dente
molto
indebolito
devo
prima
provvedere
a
rinforzare
le
pareti
con
il
build-‐up.
Dagli
studi
clinici
proviene
un’altra
importante
informazione:
quando
a
livello
del
gradino
cervicale
lo
smalto
(elemento
decisivo
per
il
successo
dell’adesione)
è
completamente
assente,
gli
intarsi
prevengono
l’infiltrazione
marginali
meglio
delle
otturazioni
anche
nei
pazienti
ad
alto
rischio
di
carie.
SCELTA
DEL
MATERIALE
A
livello
dei
settori
posteriori
il
materiale
da
privilegiare
è
sicuramente
il
composito,
per
una
serie
di
motivi:
• Il
suo
modulo
di
elasticità
è
quello
più
simile
a
quello
del
dente.
Questo
è
un
grande
vantaggi
43
per
una
serie
di
motivi:
innanzitutto
per
l’integrità
sia
del
dente,
sia
del
restauro
(che
nel
tempo
attutisce
meglio
il
carico
rispetto
alla
ceramica,
la
quale
invece
ha
la
tendenza
a
non
piegarsi
ma
a
spezzarsi).
Questo
discorso
è
valido
soprattutto
per
i
margini:
è
stato
visto
che
nel
tempo
gli
intarsi
in
composito
mantengono
un
sigillo
marginale
megliore
di
quelli
in
ceramica.
• Col
tempo
si
consuma,
e
quest’aspetto
è
uno
svantaggio
per
l’integrità
del
marginale,
ma
la
sua
abrasione
favorisce
il
dente
antagonista
con
cui
il
restauro
occlude.
• I
costi
sono
decisamente
più
contenuti,
soprattutto
rispetto
all’oro.
• Il
vantaggio
fondamentale
rispetto
a
tutti
gli
altri
materiali
è
che
il
composito
è
riparabile.
PROTOCOLLO
OPERATIVO
1. Prima
seduta
1. ANALISI
DEL
CASO
⇒
Valutazione
clinica,
valutazione
occlusale,
modelli
di
studio,
rx.
2. VALUTAZIONE
PSICOESTETICA
⇒
Considerare
attentamente
le
aspettative
e
le
esigenze
del
paziente.
3. SCELTA
DEL
COLORE
IN
FASE
PRE-‐OPERATORIA
4. ISOLAMENTO
DEL
CAMPO
5. PREPARAZIONE
DELLA
CAVITA’
⇒
Le
caratteristiche
principali
di
una
cavità
per
intarsio
adesivo
sono:
• Pareti
più
parallele
possibile
• Margini
netti
e
angoli
interni
arrotondati
• Pareti
sufficientemente
robuste
Sostanzialmente
bisogna
cercare
di
ottenere
una
stabilità
primaria
quanto
più
elevata
possibile:
quindi
le
pareti
devono
esseer
più
possibili
parallele,
ma
devono
mantenere
una
seppur
minima
divergenza,
altrimenti
il
manufatto
non
si
può
adattare.
Dopo
aver
aperto
la
cavità,
o
rimosso
eventualmente
il
precedente
restauro,
si
prosegue
con
la
toilette
completa
della
cavità.
Si
valuta
lo
spessore
delle
pareti
vestibolari
e
linguali
che
deve
essere
di
almeno
1,5
mm.
Le
pareti
con
uno
spessore
inferiore
vengono
abbattute
e
abbassate
di
2
mm.
Prima
di
effettuare
il
disegno
completo
della
cavità
si
procede
con
la
realizzazione
del
build-‐up
in
resina
composita
mediante
tecnica
adesiva
tradizionale.
Il
reintegro
della
struttura
dentinale
perduta
permetterà
all’operatore
un
44
disegno
di
cavità
standardizzato
e
non
condizionato
dalla
profondità
della
lesione.
Altri
vantaggi
nell’eseguire
il
build-‐up
sono:
• Eliminazione
dei
sottosquadri
• Diminuisce
la
sensibilità
post-‐operatoria.
In
ogni
caso
risulta
molto
più
frequente
nei
restauri
indiretti
rispetto
a
quelli
diretti.
Si
procede
quindi
con
la
rifinitura
della
cavità
per
ottenere
pareti
divergenti
di
non
meno
di
4°
per
lato,
angoli
interni
arrotondati
e
margini
netti,
quindi
non
deve
essere
eseguita
la
preparazione
di
nessun
bisello.
A
livello
del
gradino
cervicale
la
rifinitura
si
effettua
con
scalpello
da
smalto
a
testa
piatta
e
angoli
arrotondati,
mentre
la
divergenza
delle
pareti
si
può
ottenere
con
delle
frese
calibrate
usate
perpendicolarmente
al
pavimento
della
cavità.
Infine
si
effettua
rifinitura
finale
con
fresa
diamantata
a
grana
fine
o
finissima.
Da
notare
che
nel
caso
di
onlay,
ma
soprattutto
overlay,
al
fine
di
aumentare
la
resistenza
del
dente,
si
possono
eseguire
delle
preparazioni
che
sfruttino
l’effetto
ferula.
6. PRESA
DELL’IMPRONTA
CON
PLIETERI
O
SILICONI
PER
ADDIZIONE
DA
MANDARE
IN
LABORATORIO
7. OTTURAZIONE
PROVVISORIA
2.
Seconda
seduta
8. RIMOZIONE
DEL
PROVVISORIO
9. ISOLAMENTO
DEL
CAMPO
10. DETERSIONE
DELLA
CAVITA’
⇒
Con
spazzolino
montato
su
micromotore
e
paste
da
profilassi.
11. PROVA
DELL’INTARSIO
⇒
Si
verificano
attentamente
la
passività,
la
precisione
e
l’efficacia
del
punto
di
contatto.
12. PREPARAZIONE
DELL’INTARSIO
⇒
Microsabbiatura
con
allumina
a
50
micron,
acido
ortofosforico
o
alcol
per
sgrassare
ed
eventuale
silano,
che
non
va
lavato
ma
solo
asciugato.
Il
silano
teoricamente
permette
un
miglior
adattamento
tra
la
fase
inorganica
(dell’intarsio)
ed
organica
(del
dente).
Il
manufatto
realizzato
in
laboratorio
viene
polimerizzato
in
maniera
forzata
(cioè
non
si
usa
solo
la
luce,
ma
anche
il
calore
ed
in
certi
casi
si
mette
sotto
vuoto,
poiché
l’ossigeno
impedisce
la
polimerizzazione
dello
strato
di
materiale
più
superficiale)
per
ottenere
il
massimo
grado
di
polimerizzazione.
Ciò
però
vuol
dire
che
i
gli
atomi
di
C
liberi
sulla
superficie
esterna
che
normalmente
sono
presenti
in
un
materiale
composito,
essendo
quasi
tutti
legati
per
l’elevato
grado
di
45
polimerizzazione,
non
sono
disponibili
per
la
realizzazioni
di
altri
legami.
Quindi
di
fatto
il
silano
sarebbe
inutile.
In
realtà
si
può
tranquillamente
mettere
poiché
non
disturba
l’adesione
o
la
polimerizzazione
del
materiale,
e
se
alcuni
atomi
di
C
sono
rimasti
liberi,
allora
ne
favorisce
il
legame
alla
fase
organica
del
dente.
13. PREPARAZIONE
DEL
DENTE
⇒
Mordenzatura
con
acido
ortofosforico.
Applicazione
del
primer
e
del
bonding,
il
quale
viene
disteso
delicatamente
con
getto
d’aria
e
polimerizzato.
14. CEMENTAZIONE
DELL’INTARSIO
⇒
Posizionamento
in
cavità
dell’agente
cementante.
Sia
che
si
usi
un
intarsio
in
composito,
ceromero
o
ceramica
il
cemento
sarà
sempre
un
composito
che
può
essere
duale
o
foto
polimerizzabile.
Per
gli
intarsi
in
ceramica
il
materiale
più
usato
è
il
cemento
duale,
mentre
per
gli
intarsi
in
composito
è
preferibile
usare
la
stessa
resina
microibrida
con
cui
è
stato
realizzato
il
manufatto
(ma
poi
spesso
si
usa
il
normale
composito
da
restauro,
preferibilmente
una
dentina).
Questo
materiale,
denso
e
poco
scorrevole,
per
renderlo
più
fluido,
e
quindi
più
maneggevole
per
la
cementazione,
viene
scaldato
intorno
ai
40
°C.
L’intarsio
viene
posizionato
in
cavità
effettuando
una
pressione
graduale
in
modo
da
permettere
la
fuoriuscita
degli
eccessi
e
prevenire
la
formazione
di
bolle
e
rialzi
(per
far
scendere
del
tutto
l’intarsio
si
può
anche
usare
gli
ultrasuoni).
Sotto
pressione
costante
del
manufatto
sul
dente
prima
si
levano
gli
eccessi,
e
successivamente
si
esegue
la
foto
polimerizzazione
su
ogni
lato
del
restauro.
Per
la
rimozione
degli
eccessi
l’utilizzo
del
normale
composito
da
restauro
è
di
gran
lunga
favorevole,
data
la
sua
maggiore
consistenza.
Infatti,
eseguendo
la
pressione,
il
materiale
in
eccesso
fuoriesce
e
si
rimuove
agilmente.
Il
cemento
duale
invece
è
molto
più
fluido;
ciò
implica
che,
quando
si
preme
sull’intarsio
il
cemento
fuoriesce
e
cola,
quindi
si
rimuove
molto
peggio.
Inoltre
c’è
il
rischio
che
questo
vada
a
livello
del
piano
occlusale
e
nei
solchi,
andando
ad
alterare
l’anatomia
del
manufatto
ricostruita
in
laboratorio,
e
quindi
andando
a
compromettere
uno
dei
principali
vantaggi
degli
intarsi.
15. RIFINITURA
DEI
MARGINI
⇒
Si
effettua
con
gommino
ad
abrasività
controllata
e
dischetti
montati
su
micromotore
a
granulometria
decrescente.
Se
gli
eccessi
sono
particolarmente
abbondanti,
soprattutto
a
livello
interprossimale,
si
può
anche
usare
il
bisturi
n°
12
(che
taglia
da
una
parte
sola).
16. LUCIDATURA
E
BRILLANTATURA
FINALE
⇒
Con
spazzolino
e
feltro.
46
INTARSI
IN
ORO
La
tecnica
degli
intarsi
in
oro,
che
per
tantissimi
anni
ha
rappresentato
la
terapia
di
eccellenza
nel
restauro
dei
settori
posteriori,
trova
al
giorno
d’oggi
minori
applicazioni
sia
per
una
richiesta
estetica
sempre
più
pressante,
sia
per
il
netto
miglioramento
della
qualità
dei
materiali
adesivi.
Esistono
però
delle
situazioni
che
ancora
oggi
potrebbero
essere
trattate
con
questa
tecnica,
soprattutto
per
la
garanzia
che
forniscono
nel
tempo
questo
tipo
di
restauri.
La
tecnica
di
preparazione
usata
è
quella
descritta
da
Tucker
e
prevede
la
costruzione
di
un
build-‐
up
in
composito
per
essere
più
conservativi
possibile.
Molto
importante,
nella
preparazione
cavitaria,
è
la
realizzazione
di
un
bisello,
sia
a
livello
interprossimale
che
a
livello
occlusale,
più
lungo,
per
permettere
un
migliore
adattamento
del
materiale;
infatti
i
materiali
che
si
usano
per
realizzare
i
manufatti
sono
delle
leghe
ad
alto
contenuto
di
oro,
le
quali
sono
piuttosto
malleabili.
Ciò
vuol
dire
che
il
bisello
lungo
consente
di
brunire
l’oro,
stenderlo
e
quindi
adattarlo
meglio
al
margine.
Le
altre
fasi
procedurali
non
sono
particolarmente
differenti
da
un
normale
intarsio
in
composito.
Le
principali
differenze
riguardano
la
cementazione
e
la
rifinitura.
Per
quanto
riguarda
la
cementazione
è
chiaro
che
non
ha
senso
usare
né
un
cemento
duale
ne
tantomeno
un
foto
polimerizzabile,
dato
che
l’intarsio
non
permette
il
passaggio
della
luce,
e
che
l’oro
non
si
lega
alla
resina.
E’
quindi
necessario
cementare
l’intarsio
con
un
cemento
tradizionale
all’ossifosfato
di
zinco,
il
quale
agisce
per
attrito.
La
rifinitura
finale
è
molto
importante
per
permettere
il
perfetto
adattamento
dei
margini:
inizia
con
dischi
di
carta
a
grana
media,
fine
e
finissima;
le
rotazioni
sono
dall’oro
verso
il
dente
sotto
costante
raffreddamento
con
aria
spray.
La
lucidatura
avviene
con
gommino
con
cui
si
passa
pomice
000
e
per
finire
ossido
di
stagno
imbevuto
di
alcool.
47
RICOSTRUZIONE
DI
DENTI
DEL
SETTORE
FRONTALE
RESTAURI
DIRETTI
Quando
si
va
ad
eseguire
un
restauro
sui
settori
frontali
la
difficoltà
principale
consiste
nel
garantire
una
buona
estetica.
Risultano
quindi
cruciali
la
scelta
del
colore,
il
ripristino
di
una
corretta
anatomia
e
il
saper
nascondere
bene
l’otturazione
con
margini
invisibili
(vedi
parametri
estetici).
Bisogna
tenere
in
considerazione
che
nei
settori
anteriori
il
fattore
C
è
generalmente
più
favorevole.
Infatti
mentre
una
1a
classe
di
un
molare
presenta
un
fattore
di
configurazione
cavitario
di
circa
4,03±0,33,
una
5a
classe
ha
1,10±0,09
mentre
una
4a
classe
scende
addirittura
sotto
a
1.
Inoltre
il
volume
della
ricostruzione
è
generalmente
minore,
quindi
si
ha
una
minore
contrazione,
conseguentemente
un
minore
stress
e
inoltre
un
minor
problema
di
sensibilità
post-‐
operatoria.
Operare
sui
settori
anteriori
inoltre
ci
conferisce
una
serie
di
altri
vantaggi:
• Ottima
visibilità
del
campo
• Posizionamento
più
agevole
della
lampada,
quindi
la
luce
arriva
più
in
profondità
e
c’è
un
maggior
grado
di
polimerizzazione.
• Transilluminazione
migliore
• Possibilità
di
controllare
il
vettore
di
polimerizzazione
L’isolamento
del
campo
va
eseguito
da
premolare
a
premolare,
anche
se
si
deve
trattare
un
solo
dente,
per
ottenere
la
miglior
visibilità
possibile
e
per
aver
riferimenti
riguardo
i
dettagli
anatomici
degli
altri
denti.
Per
quanto
riguarda
la
preparazione
della
cavità
non
è
richiesta
una
forma
cavitaria
predefinita,
poiché
l’estensione
di
questa
è
limitata
alla
rimozione
della
dentina
demineralizzata
e
dello
smalto
decalcificato.
E’
molto
importante
ottenere
la
massima
conservazione
del
tessuto
sano,
soprattutto
a
livello
vestibolare.
I
fattori
che
influenzano
l’andamento
del
margine
sono:
• Proprietà
fisiche
dei
materiali
• Adesione
ed
efficacia
dell’adesivo
• Disegno
del
bisello
marginale
48
• Modalità
di
stratificazione
• Modalità
di
fotopolimerizzazione
• Tecnica
e
materiale
per
rifinitura
e
lucidatura
La
bisellatura
permette
l’aumento
della
superficie
di
adesione
dello
smalto,
e
determina
l’esposizione
dello
smalto
prismatico,
più
favorevole
per
l’adesione;
ci
permette
inoltre
di
rendere
il
confine
smalto-‐composito
più
mimetico.
Esistono
diverse
scuole
di
pensiero
su
bisello:
c’è
che
lo
fa
a
45°,
chi
lo
fa
con
un
angolo
maggiore
o
minore,
chi
lo
fa
ondulato
o
chi
non
lo
fa
per
niente.
Molto
importante
è
stratificare
il
composito
dentina
almeno
fino
a
metà
del
bisello.
Se
la
carie
è
particolarmente
piccola
e
poco
accessibile
conviene
utilizzare
un
materiale
adesivo
self-‐etch,
altrimenti
un
total-‐etch.
I
materiali
più
utilizzati
sono
ovviamente
i
compositi,
ma
possono
essere
anche
scelti
i
CVI.
IV
CLASSI
La
patologia
che
ci
porta
ad
avere
questo
tipo
di
lesione
è
sicuramente
quella
traumatica,
più
raramente
quella
cariosa.
Molto
spesso
invece
ci
si
trova
a
dover
rifare
vecchi
restauri
venuti
via,
eseguiti
a
causa
delle
patologie
suddette.
La
preparazione
cavitaria
è
molto
semplice:
si
rimuove
l’eventuale
dentina
cariata
e
si
definisce
un
margine
netto
con
frese
a
grana
fine
(40
µm).
Quindi
si
prende
un’impronta
da
mandare
in
laboratorio
al
fine
di
eseguire
una
ceratura
diagnostica
del
frammento
mancante,
dalla
quale,
con
silicone
rigido
da
laboratorio,
si
ricava
una
mascherina
che
servirà
da
matrice
per
la
realizzazione
del
restauro.
In
una
seconda
seduta
si
esegue
il
restauro:
Inizialmente
si
adatta
la
mascherina
ritagliandola
con
un
bisturi
da
laboratorio
con
lama
lunga
e
sottile;
per
riprodurre
le
pareti
prossimali
mancanti
è
necessaria
una
separazione
degli
elementi
contigui
che
si
ottiene
con
l’impiego
di
segmenti
di
matrici
trasparenti
in
poliestere
alloggiate
in
profondi
intagli
nello
spessore
del
silicone,
mentre
per
migliorare
la
stabilità
delle
radici
e
realizzare
un
miglior
punto
di
contatto,
normalmente
si
impiegano
dei
cunei
in
legno.
Dopo
l’applicazione
degli
adesivi
si
adatta
un
primo
apporto
di
composito.
Si
appone
sulla
mascherina
uno
strato
di
0,5
mm
di
spessore,
in
un'unica
soluzione,
a
creare
tutta
la
porzione
palatale
ed
interprossimale
del
restauro,
e
di
1
mm
sul
confine
perimetrale
tra
restauro
e
dente.
In
questa
fase
si
ottengono
di
già
la
riproduzione
del
punto
di
contatto
e
la
definizione
dei
livelli
incisali.
Le
masse
smalto
impiegate
sono
di
due
tipi:
mediamente
trasparente
per
tutta
la
prima
49
apposizione
e
una
a
più
alto
valore
per
la
porzione
più
esterna
delle
pareti
interprossimali
e
il
bordo
incisale.
Per
poter
rimuovere
la
mascherina
e
continuare
più
liberamente
la
modellazione
del
dente,
è
necessario
consolidare
questo
sottile
guscio
di
materiale
attraverso
l’impiego
di
una
massa
dentina.
Una
volta
levata
la
mascherina,
ottenendo
così
una
miglior
visibilità
e
mobilità,
si
passa
all’apposizione
di
un
ulteriore
strato
di
dentina,
che
questa
volta
va
modellata
nella
riproduzione
dei
mammelloni,
al
fine
di
ottenere
la
tipica
sfumatura
incisale.
A
tal
fine,
spesso
si
rende
necessaria
l’apposizione
di
materiale
trasparente
tra
i
mammelloni
e
il
bordo
incisale,
in
maniera
che
questo
sovrasti
leggermente
i
mammelloni
stessi.
Infine
si
esegue
l’ultimo
apporto
di
materiale
composito
smalto.
Le
masse
scelte
vengono
stese
in
un'unica
soluzione
per
evitare
la
formazione
di
giunture
di
materiale
evidenziate
da
possibili
microporosità,
a
causa
dell’aria
incorporata.
Lo
spessore
in
questo
strato
normalmente
è
compreso
tra
0,1
e
1,2
mm:
materiali
compositi
con
masse
smalto
molto
trasparenti
obbligano
a
usare
spessori
ridotti,
per
evitare
un
eccesivo
abbassamento
del
valore,
al
contrario
masse
smalto
con
una
sufficiente
opacità
permettono
l’apposizione
di
uno
strato
di
materiale
maggiore,
più
simile
al
dente
naturale.
Un
ultima
fase
di
polimerizzazione
si
esegue
apponendo
sul
restauro
del
gel
di
glicerina:
questo
ha
la
funzione
di
eliminare
l’ossigeno
a
contatto
con
il
materiale
composito.
Infatti
la
polimerizzazione
non
avviene
se
il
materiale
è
a
contatto
con
l’ossigeno,
per
cui
rimane
un
sottile
strato
superficiale
non
polimerizzato.
Un
restauro
non
si
può
considerare
se
non
è
stato
correttamente
rifinito
e
lucidato.
La
rifinitura
è
una
fase
importante
sia
per
permettere
una
corretta
igiene
domiciliare,
sia
per
la
longevità
del
restauro,
e
nel
campo
estetico
per
ottenere
un’appropriata
interferenza
della
luce
con
il
restauro.
Tutti
gli
strumenti
in
questa
fase
vengono
utilizzati
a
bassa
velocità
(micromotore)
e
senza
l’uso
di
forze
eccessive.
Si
prevedono
distinte
fasi:
• Definizione
dei
contorni
perimetrali
del
restauro
si
ottiene
con
dischetti
e
strisce
abrasive
di
grana
media
e
fine
e
con
manipolo
reciprocante
per
la
rifinitura
interprossimale.
• Definizione
della
morfologia
macroscopica
delle
superfici
V
e
P
con
frese
diamantate
a
diverse
granulometrie,
a
seconda
del
tipo
di
tessitura
che
si
vuole
conferire.
• Rifinitura
delle
superfici
con
gommini
abrasivi
a
granulometria
decrescente
• Lucidatura
e
brillantatura
finale
con
spazzolini
e
feltro
diamantato
50
V
CLASSI
Secondo
la
classificazione
di
Black
sono
carie
che
ritroviamo
a
livello
del
colletto
cervicale
dei
denti
sia
V
che
P/L,
anche
se
le
V
sono
più
frequenti.
Allo
stesso
livello
possiamo
ritrovare
erosioni,
abrasioni,
e
colpi
d’ascia.
Le
erosioni
sono
prevalentemente
di
natura
acida
(fetta
di
limone
tenuta
costantemente
in
bocca
e
cocaina
per
strofinazione
gengivale
per
quelle
sulla
superficie
V;
reflussi
gastro-‐esofagei
e
bulimia
e
per
quelle
sul
lato
P/L).
Le
abrasioni
più
comuni
a
questo
livello
sono
quelle
da
spazzolamento
(scorretto
e
troppo
aggressivo
e
con
spazzolini
a
setole
dure),
e
colpiscono
prevalentemente
canini
e
premolari.
Le
cosiddette
“lesioni
a
colpi
d’ascia”
si
presentano
come
delle
fessure
a
V
a
livello
del
colletto
vestibolare.
Sono
dovute
alla
fragilità
dello
smalto
cervicale,
dove
questo
risulta
essere
sottilissimo
e
molto
fragile.
In
genere
queste
lesioni
si
trovano
in
pazienti
con
mal
occlusioni;
queste
comportano
una
risultante
scomposta
delle
forze
masticatorie
che
sul
dente
vanno
possono
andare
a
provocare
la
rottura
di
questo
punto
meno
resistente.
La
fragilità
della
zone
della
giunzione
amelo-‐cementizia
può
essere
dovuta
anche
alle
sue
possibili
diverse
morfologie:
1. Smalto
corto,
dentina,
cemento
(la
più
debole
e
sensibile)
2. Smalto
e
cemento
finiscono
esattamente
nello
stesso
punto
3. Cemento
che
va
a
coprire
lo
smalto
Di
fronte
a
questo
tipo
di
lesioni
bisogna
tenere
in
considerazione
una
serie
di
fattori:
- La
diagnosi
precoce
è
molto
importante
perché
ne
condiziona
il
trattamento.
- Il
fattore
C
è
generalmente
poco
favorevole.
- Generalmente
si
usa
un
sistema
adesivo
self-‐etch
per
due
motivi:
per
cercare
di
diminuire
la
sensibilità
post-‐operatoria
(che
in
questo
tipo
di
lesioni
è
generalmente
alta),
e
perché
c’è
molta
dentina.
- Spesso
ci
sono
lesione
in
cui
una
parte
più
o
meno
grande
del
margine
non
è
costituita
da
smalto
bensì
da
cemento,
tessuto
su
cui
l’adesione
e
inferiore.
Per
migliorarla
si
può
quindi
eseguire
una
piccola
ritenzione.
- Non
devo
mai
bisellare
lo
smalto
a
livello
apicale
per
due
motivi:
1. La
direzione
dei
prismi
non
sarebbe
corretta
2. Se
c’è
poco
smalto
lo
elimino
51
- Poiché
sono
otturazioni
che
in
bocca
reggono
poco
se
non
è
richiesta
estetica
o
se
non
vi
è
sensibilità
si
preferisce
non
trattarli.
- Molti
casi
sono
trattabili
anche
con
un
intervento
di
parodontologia:
per
esempio
su
un’abrasione
posso
eseguire
un
innesto
per
abbassare
la
gengiva,
oppure
caso
contrario,
posso
eseguire
un
allungamento
di
corona
clinica
per
poter
arrivare
a
mettere
la
diga
su
una
carie
sottogengivale.
- In
certi
casi
non
è
da
dimenticare
l’amalgama,
ovviamente
in
settori
non
estetici
dove
non
è
possibile
arrivare
a
mettere
la
diga
(es:
carie
sottogengivale
distale
di
un
settimo).
Anche
i
CVI
possono
rappresentare
una
valida
opzione
in
virtù
dei
pregi
che
hanno
di
rilasciare
fluoro,
di
avere
un
ottima
adesione
alla
dentina,
e
di
non
aver
nessuna
contrazione
da
polimerizzazione.
RESTAURI
INDIRETTI
La
prima
cosa
da
decidere
quando
si
fanno
le
faccette
riguarda
la
scelta
del
materiale:
- Ceramica
→
Risultati
estetici
decisamente
migliori,
più
lucente,
più
resistente.
- Composito
→
Possibilità
di
riparazione,
costi
più
contenuti.
Esistono
delle
specifiche
indicazioni
e
controindicazioni:
Indicazioni
Controindicazioni
Discromie
(tetracicline,
fluorosi,
amelogenesi
Relazioni
interocclusali
traumatiche
(cross-‐bite,
imperfecta,
giovane
età)
testa-‐testa)
Traumi
(fratture,
usure)
Scarsa
igiene
orale
Anomalie
di
posizione
Smalto
o
dentina
gravemente
demineralizzata
Anomalie
di
forma
Precedenti
restauri
non
estetici
Nell’eseguire
faccette
ci
sono
dei
vantaggi
e
degli
svantaggi:
Vantaggi
Svantaggi
Permette
e
garantisce
una
buona
igiene
orale,
Preparazione
dentale
meno
conservativa
che
comunque
il
paziente
deve
mantenere
rispetto
ad
una
tecnica
diretta
Si
può
scegliere
la
giusta
cromatura
del
Tempo
→
Più
sedute
e
di
lunga
durata,
restauro
con
precisione.
Quando
devo
fare
una
soprattutto
la
preparazione
e
la
cementazione
singola
faccetta
mi
devo
adattare
al
colore
dei
52
denti
adiacenti;
se
invece
devo
eseguire
sei
facette
da
canino
a
canino
invece
posso
anche
decidere
di
modificare
alcuni
parametri
del
colore
in
relazione
all’estetica
Uso
tecniche
adesive,
quindi
conservative
Non
riparabilità
(le
ceramiche)
Resistenza
all’abrasione
(le
ceramiche)
Tecnica
operativa
difficile
Estetica
eccellente
(soprattutto
le
ceramiche)
Costi
PROTOCOLLO
OPERATIVO
1. ANALISI
DEL
CASO
⇒
Valutazione
clinica,
valutazione
occlusale,
modelli
di
studio,
rx.
2. VALUTAZIONE
PSICOESTETICA
⇒
Considerare
attentamente
le
aspettative
e
le
esigenze
estetiche.
3. ANALISI
FOTOGRAFICA
E
FOTORITOCCO
⇒
In
considerazione
dell’analisi
precedentemente
effettuata,
è
un
primo
approccio
di
presentazione
al
paziente
che
si
può
eseguire
per
fargli
vedere
cosa
si
può
fare
e
quali
saranno
i
risultati
più
o
meno.
4. CERATURA
DIAGNOSTICA
⇒
Con
la
cera
si
corregge
sul
modello.
5. MOCK-‐UP
⇒
E’
un
guscio
di
resina
da
applicare
sui
denti
prima
della
preparazione.
Non
è
sempre
possibile
farlo:
quando
si
devono
eseguire
interventi
di
addizione
funzione
bene,
se
è
una
riduzione
invece
no.
A
volte
si
usa
anche
durante
la
preparazione.
NB:
Questi
ultimi
tre
punti
sono
tutti
di
presentazione.
E’
importante
che
il
paziente
sia
consapevole
di
ciò
a
cui
va
incontro
perché
coloro
che
intendono
eseguire
questo
tipo
di
lavoro
hanno
solitamente
aspettative
enormi,
che
però
talvolta
non
sono
raggiungibili
per
vari
motivi.
Inoltre
le
faccette,
una
volta
cementate,
non
si
possono
modificare.
Bisogna
quindi
illustrarli
il
massimo
risultato
ottenibile
dal
nostro
lavoro,
e
poi,
ovviamente,
ottenerlo.
6. SILICONE
PER
IL
CONTROLLO
DELLA
PREPARAZIONE
⇒
Con
Putty.
7. PREPARAZIONE
GUIDATA
⇒
Insieme
alla
cementazione,
è
una
fase
cruciale
di
tutto
il
lavoro.
Si
definisce
guidata
perché
ci
serviamo
della
dimensione
delle
frese
per
asportare
la
quantità
giusta
di
materiale
che
si
deve
rimuovere.
Distinguiamo
numerose
fasi:
• Deflessione
laterale
della
gengiva
marginale
–
Si
ottiene
mediante
l’utilizzo
di
un
filo
retrattore
(0
o
00).
Questo
deve
essere
posto
in
maniera
atraumatica
prima
della
53
preparazione
e
deve
consentire
un
accesso
confortevole.
A
tale
scopo
è
importante
che
l’igiene
sia
ottimo.
• Preparazione
calibrata
del
limite
cervicale
–
Si
ottiene
mediante
fresa
a
pallina
a
diametro
controllato
(1-‐1,2
mm),
inserendola
per
metà
del
suo
spessore.
La
profondità
dei
solchi
sarà
quindi
di
0,5-‐0,6
mm.
• Preparazione
calibrata
dei
limiti
interprossimali
–
La
preparazione
deve
seguire
il
profilo
interprossimale
visibile
in
proiezione
laterale.
I
principi
sono
gli
stessi
del
precedente
punto
e,
insieme
al
solco
cervicale
vanno
a
completare
quella
che
viene
definita
preparazione
“a
cornice”.
• Esecuzione
dei
solchi
guida
–
Consentono
di
controllare
lo
spessore
della
preparazione.
Si
possono
realizzare
con
la
pallina
usata
precedentemente
o
con
un
fresa
cilindrica,
del
diametro
sempre
di
1-‐1,2
mm.
Tendenzialmente
non
si
arriva
mai
a
creare
solchi
di
0,5-‐
0,6
mm
ma
si
rimane
sempre
un
po’
corti,
perché
nella
fase
successiva
di
regolarizzazione
si
ha
sempre
la
perdita
di
una
certa
quantità
di
tessuto.
• Regolarizzazione
della
superficie
di
preparazione
–
L’uso
di
frese
a
diametro
noto
consente
di
controllare
lo
spessore
di
preparazione,
spessore
che
può
dipendere
da
numerosi
fattori
tra
cui
la
posizione
in
arcata
e
l’entità
dell’eventuale
discromia
presente..
La
riduzione
vestibolare
deve
essere
guidata
dall’impronta
in
silione
o
dal
mock-‐up
realizzata
prima
della
preparazione,
che
ci
permette
di
controllare
ripetutamente
lo
spessore
della
preparazione.
In
ogni
caso
spessori
di
ceramica
inferiori
a
0,5
mm
sono
difficilmente
lavorabili
dal
tecnico.
E’
infine
importante
rispettare
i
piani
frontali
(cervicale,
medio
frontale
e
incisale)
della
preparazione.
• Riduzione
del
bordo
incisale
–
Ci
sono
due
tipi
di
preparazione
per
la
riduzione:
⇒ Window
preparation
→
Prevede
la
riduzione
delle
superfici
vestibolari
mantenendo
integralmente
il
margine
incisale.
E’
indicata
nei
casi
estetici
con
limitato
interesse
funzionale.
⇒ Riduzione
del
bordo
incisale
→
A
sua
volta
può
essere
di
due
tipi:
o Chamfer
palatale
(o
incisal
overlap)
>
Prevede
la
riduzione
della
superficie
vestibolare,
del
margine
incisale
ed
un
chamfer
a
livello
palatale.
E’
un
tipo
di
preparazione
che
però
rende
più
difficile
l’adattamento
nella
fase
di
cementazione,
durante
la
quale
si
possono
creare
delle
tensioni
con
possibilità
di
infiltrazione.
54
o Butt-‐joint
>
Prevede
la
riduzione
di
almeno
1,5
mm
a
livello
del
margine
incisale,
terminando
a
livello
palatale
con
un
margine
netto.
E’
la
tecnica
sicuramente
più
utilizzata
al
giorno
d’oggi,
soprattutto
in
caso
di
un
interesse
funzionale
nel
settore
incisivo,
perché
rende
più
semplice
l’adattamento
della
faccetta
nella
cementazione.
La
preparazione
non
dovrebbe
però
mai
coinvolgere
la
fossetta,
zona
in
cui
si
verifica
il
massimo
stress
occlusale.
Anche
in
questo
caso
si
utilizzano
frese
di
cui
si
conosce
lo
spessore.
• Rifinitura
dei
margini
di
preparazione
–
Devono
essere
netti
e
ben
definiti
e
devono
apparire
quasi
lucidi,
ma
al
tempo
stesso
non
devono
essere
presenti
angoli
acuti
o
superfici
eccessivamente
irregolari.
La
superficie
vestibolare
deve
essere
lucida
a
favorire
l’adattamento
della
faccetta.
• Controllo
di
preparazione
–
Deve
essere
eseguito
non
solamente
alla
fine,
ma
durante
tutto
l’arco
della
preparazione.
Gli
spessori
di
preparazione
devono
essere
attentamente
controllati
prima
di
procedere
al
rilevamento
dell’impronta.
Errori
in
questa
fase
possono
comportare
allungamenti
dei
tempi
di
lavoro
molto
spiacevoli
sia
per
il
clinico
sia
per
il
paziente.
Una
riduzione
controllata
e
uniforme
del
dente,
e
un
omogeneo
spessore
della
faccetta,
sono
fattori
determinanti
per
garantire
una
adeguata
resistenza
e
durata
del
restauro.
Particolare
importanza
è
dato
al
rapporto
CER/CPR
(spessore
ceramica/spessore
cemento)
che
deve
essere
sempre
superiore
a
3
(è
quindi
fondamentale
mantenere
una
massima
attenzione
all’utilizzo
degli
spaziatori
nella
fase
tecnica).
8. IMPRONTA
DI
PRECISIONE
9. PROVVISORIO
10. FASI
DI
LABORATORIO
11. PROVA
MANUFATTI
⇒
Si
può
mettere
della
glicerina
tra
la
faccetta
e
il
dente
per
simulare
la
presenza
del
cemento
12. ISOLAMENTO
DEL
CAMPO
⇒
Con
diga
e
opportune
legature.
Dato
che
le
faccette
vengono
cementate
una
ad
una
si
posiziona
un
uncino
212
o
90N
per
esporre
bene
il
colletto.
Finito
un
dente
si
smonta
e
si
rimonta
sul
dente
accanto.
13. PREPARAZIONE
DEI
MANUFATTI
⇒
Si
passano
in
sequenza
sulla
faccia
interna
della
faccetta:
• Acido
fluoridrico
per
circa
1
minuto
• Silano
• Sottile
strato
di
bonding
che
non
viene
polimerizzato
55
14. CONDIZIONAMENTO
DEI
TESSUTI
⇒
Con
acido
Ortofosforico
al
37%
per
30
secondi.
15. CEMENTAZIONE
ADESIVA
⇒
E’
la
fase
critica
di
tutto
il
lavoro
poiché
una
volta
eseguita
non
è
possibile
tornare
indietro.
Si
utilizzano
cementi
compositi:
• Autopolimerizzabili
(poco
utilizzati)
Vantaggi
Svantaggi
Polimerizzazione
indipendente
dall’apporto
Tempi
di
polimerizzazione
lenta
luminoso
(quindi
nessun
problema
di
spessore
o
accessibilità)
Polimerizzazione
lenta
e
ciò
favorisce
lo
Lucidatura
differita
per
i
lunghi
tempi
di
scorrimento
del
materiale
polimerizzazione
Polimerizzazione
non
ottimale
in
strati
molto
sottili
Incorporazione
di
bolle
d’aria
durante
la
miscelazione
Inibizione
decisa
della
polimerizzazione
nello
strato
superficiale
per
la
presenza
di
ossigeno
• Fotopolimerizzabili
Vantaggi
Svantaggi
Nessuna
miscelazione
quindi
nessuna
bolla
La
polimerizzazione
dipende
da
un
apporto
d’aria
quindi
minor
porosità
esterno
di
eneria
Inizio
della
reazione
controllabile
dall’operatore
Non
si
può
polimerizzare
oltre
certi
spessori
di
ceramica
o
compositi
Reazione
meno
sensibile
all’inibizione
dell’O2
La
polimerizzazione
è
rapida
e
ciò
non
favorisce
rispetto
alla
polimerizzazione
chimica
lo
scorrimento
e
l’adattamento
del
materiale
Rifinitura
e
lucidatura
immediata
I
compositi
da
restauro
sono
a
volte
troppo
viscosi
per
la
cementazione
di
intarsi
e
faccette
Questi
cementi
hanno
inoltre
le
seguenti
caratteristiche:
- Sono
abbastanza
viscosi,
ed
è
quindi
necessario
un
preriscaldamento
per
aumentarne
la
fluidità.
- L’adattamento
della
faccetta
alla
preparazione
deve
essere
lento
e
progressivo.
- La
rimozione
degli
eccessi
è
semplici
e
avviene
senza
problemi.
56
- Sono
utilizzabili
solo
per
preparazioni
che
consentono
la
polimerizzazione
fisica.
- L’interposizione
della
ceramica
comporta
una
notevole
diminuzione
della
potenza
luminosa
della
lampada
- La
presenza
delle
faccette
consente
di
ottenere
una
polimerizzazione
soft
con
riduzione
dello
stress
da
contrazione.
- La
polimerizzazione
del
materiale
dura
per
tempi
superiori
a
un
minuto
per
ogni
lato.
• Duali
Vantaggi
Svantaggi
La
profondità
di
polimerizzazione
non
è
limitata
Bolle
nella
miscelazione
La
reazione
è
rapida
e
l’inizio
è
relativamente
Polimerizzazione
non
ottimale
in
strati
molto
controllabile
dall’operatore
sottili,
e
in
profondità
lontano
dalla
luce
La
foto
polimerizzazione
è
meno
sensibile
alla
presenza
di
O2
rispetto
alla
polimerizzazione
chimica
(ne
beneficiano
gli
strati
superficiali)
Questi
cementi
hanno
inoltre
le
seguenti
caratteristiche:
- Sono
generalmente
fluidi,
quindi
con
rapida
fuoriuscita
del
cemento
durante
l’adattamento.
- Gli
eccessi
sono
più
difficoltosi
da
eliminare.
- Rifinitura
e
lucidatura
più
complessi.
- Sono
indispensabili
nelle
faccette
a
perno.
57
RICOSTRUZIONE
DI
DENTI
TRATTATI
ENDODONTICAMENTE
Apprestandoci
alla
ricostruzione
di
un
elemento
trattato
endodonticamente,
spesso
ci
domandiamo
quale
sia
l’approccio
migliore
inteso
sia
come
tecnica,
sia
come
materiali.
Purtroppo
dall’analisi
della
letteratura
emergono
difformità
di
orientamento,
talora
anche
marcate,
che
certamente
non
aiutano,
e
non
esiste
una
guida
univoca
che
ci
fornisca
un
protocollo
operativo
certo.
L’unico
punto
saldo
in
questo
argomento
riguarda
il
nostro
obbiettivo:
La
ricostruzione
dovrà
restituire
forma,
aspetto
e
funzioni
perdute,
e
permettere
il
mantenimento
dell’unità
dento-‐
parodontale
dell’elemento
da
restaurare.
CARATTERISTICHE
DEL
DENTE
TRATTATO
ENDODONTICAMENTE
Numerosi
sono
gli
studi
in
letteratura
che
hanno
cercato
di
dimostrare
una
presunta
differenza
fra
il
dente
vitale
e
quello
trattato
endodonticamente.
Contenuto
in
H2O,
durezza,
ultrastruttura
del
tropo
collagene,
modifiche
architetturali,
perdita
di
propriocettori,
sono
stati
alcuni
degli
argomenti
maggiormente
presi
in
esame,
spesso
con
risultati
totalmente
contrastanti.
Tutti
gli
autori
viceversa
sembrano
concordare
nell’attribuire
una
grande
importanza
ad
un
parametro:
la
perdita
di
struttura
da
parte
del
dente
per
carie,
fratture,
manovre
conservative
o
endodontiche.
Appena
il
dente
perde
la
sua
integrità,
anche
solo
per
una
piccola
quota,
la
sua
resistenza
nei
confronti
del
carico
comincia
a
diminuire.
Più
struttura
dentale
viene
rimossa,
tanto
più
diminuisce
la
resistenza
alle
forze
occlusali
e
tanto
più
aumenta
la
possibilità
di
frattura.
La
cavità
che
andrà
maggiormente
a
minare
l’integrità
di
un
elemento
dentario
nei
confronti
del
carico
masticatorio
è
quella
con
configurazione
MOD.
La
contemporanea
interruzione
delle
due
creste
marginali
contrapposte
corrisponde
quindi
a
una
drastica
caduta
di
resistenza
del
dente
con
un
pericoloso
aumento
del
rischio
di
frattura;
se
poi
questa
si
verifica
in
un
dente
che
ha
subito
il
trattamento
endodontico,
la
differenza
più
grave
è
che
spesso
la
linea
di
frattura
inizia
in
una
posizione
molto
più
apicale,
tanto
da
rendere
spesso
impossibile
il
recupero.
Tenendo
in
considerazione
queste
premesse
risulta
evidente
che
la
prima
regola
da
seguire
è
di
ridurre
al
minimo
l’asportazione
di
dentina
nelle
varie
manovre
endodontiche
e
restaurative.
Ma
come
mai
il
dente
devitalizzato
va
più
facilmente
incontro
a
rottura?
E
quali
sono
i
fattori
che
58
vanno
ad
influenzarne
il
comportamento?
Sembra
che
il
dente
trattato
presenti,
nei
confronti
del
carico,
una
deformazione
più
accentuata
ed
un
ritorno
alla
forma
originale
con
un
ritardo
maggiore
rispetto
al
dente
vitale.
Tutto
ciò
porta
al
sommarsi
di
piccole
deformazioni
che
arriverebbero
a
oltrepassare
il
limite
del
ritorno
elastico
della
struttura
dentinale,
impedendo,
di
fatto,
il
recupero
della
deformazione
negli
intervalli
liberi
dal
carico,
con
il
conseguente
instaurarsi
del
fenomeno
fisico
della
“fatica”
e
la
successiva
frattura.
Fondamentale,
ai
fini
di
un
aumentato
rischio
di
frattura,
non
è
tanto
la
larghezza
dell’istmo
che
collega
le
porzione
MO
e
quella
OD,
quanto
la
sua
profondità:
risulta
cioè
meno
a
rischio
un
dente
con
un
collegamento
largo
e
poco
profondo
rispetto
ad
uno
con
un
collegamento
più
stretto,
ma
anche
più
profondo.
Un
ruolo
determinante
sembra
inoltre
essere
assunto
dalla
cosiddetta
“dentina
interassiale
residua”,
ovvero
la
dentina
al
di
sopra
del
tetto
della
camera.
Tale
dentina,
che
viene
totalmente
persa
nel
dente
trattato
endodonticamente,
avrebbe
un
ruolo
importantissimo
di
protezione
nei
confronti
degli
stress
masticatori.
Questo
perché
il
comportamento
delle
pareti
dentinali
di
un
elemento
segue
il
fenomeno
dell’isteresi
elastica
secondo
il
modello
della
trave
a
rimbalzo.
Se
la
dentina
interassiale
residua
manca
completamente,
come
nel
caso
di
un
dente
devitalizzato
con
una
cavità
MOD,
ci
si
può
rendere
conto
che
la
deformazione
della
parete
aumenta
notevolmente.
Va
infine
costatata
l’importanza
assunta
dallo
spessore
di
dentina
residua
alla
base
delle
singole
cuspidi
interessate
dall’apertura
di
una
cavità
e
dalla
relativa
indipendenza
di
deformazione
che
hanno
le
altre
rimaste
collegate
alla
cresta
marginale
integra
(nel
caso
di
una
II
classe).
Ciò
vuol
dire
che
le
cuspidi
integre
non
vengono
“trascinate”
nella
deformazione
da
quelle
compromesse.
Dalle
considerazioni
appena
fatte
si
può
dunque
dire
che
l’apertura
di
una
II
classe
in
un
dente
del
settore
posteriore,
in
associazione
con
l’apertura
della
cavità
d’accesso
endodontico,
produce
una
forte
deformazione
delle
cuspidi
interessate,
mentre
le
cuspidi
residue,
grazie
alla
loro
parziale
indipendenza,
si
deformano
molto
meno,
anzi,
a
loro
volta
riducono
l’entità
di
deformazione
a
59
carico
delle
prime.
Ecco
quindi
che
solo
al
momento
in
cui
si
verifica
la
contemporanea
apertura
delle
due
creste
marginali,
in
presenza
di
trattamento
endodontico,
il
rischio
di
frattura
diverrà
così
alto
che
la
necessità
di
una
copertura
con
una
corona
risulterà
inevitabile.
Nel
caso
in
cui,
invece,
il
tipo
di
cavità
che
interessa
il
dente
trattato
endodonticamente
sia
del
tipo
occlusale
o
di
II
classe
e
con
spessori
alla
base
delle
cuspidi
di
almeno
2,5-‐3
mm,
potrebbe
apparire
ingiustificata
l’asportazione
di
dentina
necessaria
a
una
preparazione
invasiva.
Difatti
sono
oramai
molti
gli
studi
in
cui
si
dimostra
la
minor
deformazione
delle
cuspidi
dei
denti
restaurati
con
composito
e
sistemi
adesivi,
che
risulta
essere
l’unico
sistema
in
grado
di
rinforzare
un
elemento
dentario
indebolito
da
una
cavità.
CRITERI
DI
SCELTA
PER
UN
RESTAURO
DI
TIPO
CONSERVATIVO
Ad
oggi,
nonostante
i
numerosi
studi,
non
esiste
una
procedura
univocamente
e
scientificamente
provata.
E’
per
questo
che
questa
procedura
operativa
è
estremamente
operatore-‐dipendente,
poiché
soltanto
l’esperienza
può
insegnare
quali
sono
le
situazioni
in
cui
un
perno
va
usato
e
quali
no.
Nonostante
ciò
si
possono
tenere
in
considerazione
una
serie
di
fattori
che,
considerati
nell’insieme,
ci
possono
dire
quale
piano
di
trattamento
siamo
meglio
intraprendere:
1. Settore
di
appartenenza
⇒
Restauri
di
denti
del
settore
anteriore
sono
a
minor
rischio
di
frattura
rispetto
a
denti
del
settore
posteriore.
Per
cui
se
non
esistono
particolari
esigenze
estetiche,
come
la
necessità
di
un
cambiamento
di
forma
o
la
necessità
di
inserire
l’elemento
anteriore
in
un
bloccaggio
perio-‐protesico,
appare
giustificato
il
restauro
conservativo
di
elementi
anteriori
anche
nel
caso
di
estese
perdite
di
sostanza.
Per
quanto
riguarda
il
canino
bisogna
tenere
in
considerazione
i
forti
vettori
tangenziali
a
cui
è
sottoposto
per
la
guida
di
lateralità
che
fornisce.
Sarà
quindi
opportuno
valutare
bene
la
situazione
anche
in
base
agli
altri
criteri
di
scelta.
Per
quanto
riguarda
il
primo
premolare
superiore
è
l’elemento
che
più
facilmente
va
incontro
a
frattura.
Viceversa
il
primo
premolare
inferiore
trattato
endodonticamente
è
l’elemento
meno
suscettibile
alla
frattura.
Nel
settore
posteriore
il
rischio
di
frattura
è
molto
alto;
per
cui,
nella
scelta
del
trattamento,
saremmo
orientati
a
ricopertura
dell’elemento,
tenendo
sempre
in
considerazione
anche
gli
altri
criteri
di
scelta.
2. Percentuali
di
perdita
di
sostanza
⇒
Si
tratta
di
un
criterio
utile
se
associato
agli
altri,
ma
piuttosto
aspecifico
e
di
difficile
applicazione.
Aspecifico
perché
potremmo
la
stessa
percentuale
di
perdita
di
sostanza
in
una
cavità
occlusale
o
in
una
di
II
classe,
ma
il
rischio
di
60
frattura
risulterebbe
completamente
diverso.
Non
è
di
facile
applicazione
perché
viene
necessariamente
eseguito
“a
occhio”,
quindi
in
modo
altamente
empirico.
3. Spessore
delle
cuspidi
residue
⇒
Una
volta
che
il
tessuto
cariato
è
stato
completamente
rimosso
si
misurano
lo
spessore
delle
cuspidi
grazie
a
degli
spessimetri
che
riportino
la
scala
millimetrica.
La
misurazione
non
va
eseguita
nel
corpo
della
cuspide
ma
alla
base.
Spessori
di
2,5-‐3
mm
sono
la
misura
minima
indispensabile
per
un
restauro
conservativo
a
basso
rischio.
4. Geometria
della
cavità
⇒
Configurazioni
cavitarie
MOD
in
un
dente
posteriore
è
di
per
sé
criterio
sufficiente
ad
indicare
l’obbligatorietà
della
protezione
protesica.
Nel
caso
di
cavità
occlusali
o
di
II
classe
semplice
si
potrà
optare
per
una
ricostruzione
di
tipo
conservativo
prendendo
in
esame
glia
altri
parametri.
5. Restauri
accessori
⇒
Cavità
di
V
classe
possono
indebolire
la
parete
di
un
elemento.
Ideale
sarebbe
rimuovere
i
vecchi
restauri,
riprendere
la
misura
dello
spessore
residuo
della
parete
e
decidere
quale
tipo
di
restauro
effettuare.
6. Tipo
di
occlusione
⇒
La
presenza
di
una
guida
incisiva
e
canina
efficace
è
indispensabile
per
scongiurare
il
pericolo
di
un
sovraccarico
di
stress
tangenziali.
Viceversa
l’assenza
di
guide
che
si
verifica
in
particolari
tipi
di
occlusione
e
la
presenza
di
ampie
faccette
di
usura
da
parafunzione
devono
sconsigliare
in
partenza
un
tipo
di
restauro
non
protettivo.
7. Presenza
di
precontatti
⇒
La
presenza
di
faccette
di
usura
sulla
superficie
dell’elemento
da
trattare
e
sui
denti
adiacenti
indica
il
verificarsi
di
contatti
prematuri
nei
movimenti
eccentrici
della
mandibola.
Prima
di
iniziare
la
ricostruzione
è
necessario
accertarsi
se
è
possibile
eliminare
questi
precontatti.
A
restauro
ultimato
va
ricontrollata
l’occlusione
dell’elemento,
assicurandoci
la
presenza
dei
soli
contatti
puntiformi
di
centrica.
8. Materiali
e
tecniche
di
restauro
⇒
Oggi
il
materiale
di
elezione
per
il
restauro
di
dente
devitalizzato
è
il
materiale
composito
applicato
con
tecnica
adesiva.
Trattandosi
della
ricostruzione
di
un
dente
già
indebolito
dall’ampia
perdita
di
sostanza
è
certamente
indispensabile
mettere
in
atto
tutte
quelle
procedure
tecniche
atte
ad
evitare
di
sottoporre
la
struttura
a
vettori
di
stress,
come
quello
legato
alla
contrazione
da
polimerizzazione.
Nella
scelta
della
tecnica
è
da
tener
presente
la
possibilità
di
effettuare
un
intarsio,
ovviamente
le
disponibilità
economiche
e
di
tempo
del
paziente
lo
concedono.
61
Tenendo
in
considerazione
tutti
questi
criteri
possiamo
quindi
trovarci
di
fronte
a:
- Elementi
lievemente
compromessi
⇒
Sono
denti
in
cui
la
cavità
d’accesso
ha
mantenuto
tutte
le
pareti
integre.
In
questo
caso,
anche
nei
settori
posteriori,
si
utilizzano
tecniche
adesive
dirette
senza
l’utilizzo
del
perno.
- Elementi
mediamente
compromessi
⇒
Anteriori
con
almeno
una
cresta
marginale,
e
posteriori
con
almeno
tre
pareti
o
con
presenza
di
tunnel
su
una
delle
pareti.
Anche
in
questo
caso
è
consigliato
l’uso
di
tecniche
adesive
dirette.
Nel
caso
di
un
canino
invece,
per
le
alte
forze
di
lateralità
è
consigliato
l’uso
di
un
perno
sempre
su
ricostruzione
diretta.
- Elementi
gravemente
compromesi
⇒
Anteriori
o
posteriore
con
grave
perdita
di
sostanza.
E’
consigliato
moncone
ricostruito
in
composito
con
l’utilizzo
di
perno
e
incapsulamento
protesico.
PERNI
Esistono
diversi
tipi
di
perni:
• Metallici
o Prefabbricati
(presentano
una
filettatura
per
avvitarli
nel
dente;
non
si
usano
più
per
l’alta
incidenza
di
frattura
che
causavano).
o Su
misura
(o
fusi;
dopo
la
preparazione
del
canale
si
prende
l’impronta
e
si
manda
in
laboratorio
dove
viene
fuso
il
perno)
• In
fibra
o Di
carbonio
o Di
vetro
Esistono
inoltre
altri
due
tipi
di
perno:
i
perni
in
zirconia,
che
sono
però
troppo
rigidi
e
non
tralucenti,
anche
se
bianchi,
per
cui
non
vengono
utilizzati,
e
i
perni
in
fibra
anatomici.
Questi
ultimi
vengono
eseguiti
in
laboratorio,
quindi
con
tecnica
indiretta.
Si
prende
l’impronta
e
poi
viene
costruito
con
fibre
di
vetro
o
carbonio.
E’
quindi
caratterizzato
da
passaggi
molto
più
laboriosi
e
tempi
di
esecuzione
molto
più
lunghi,
che
però
in
certe
situazioni
conviene
fare,
soprattutto
nel
ritrattamento
dove
prima
c’era
un
perno
fuso.
Il
suo
vantaggio,
infatti,
consiste
nel
minimo
spessore
di
cemento
necessario.
I
perni
in
fibra
di
carbonio
sono
costituiti
da
una
serie
di
fibre
di
carbonio
tenute
insieme
da
una
matrice
resinosa,
quindi
del
tutto
simile
a
quella
del
composito.
Ciò
implica
una
massima
somiglianza
del
modulo
di
elasticità
e
una
miglior
adesione
tra
i
due
materiali.
Il
principale
difetto
62
è
rappresentato
dall’estetica:
si
ha
un
abbassamento
di
valore
con
conseguente
compromissione
del
lavoro
estetico
effettuato
con
le
ceramiche
integrali
che
appaiono
più
opache.
I
perni
in
fibra
di
vetro
invece
sono
tralucenti,
quindi
non
vanno
assolutamente
ad
alterare
l’estetica
e
contemporaneamente
trasmettono
all’interno
del
canale
la
luce
polimerizzatrice
contribuendo
così
alla
polimerizzazione
del
cemento.
Oltre
a
questo
possiedono
gli
stessi
vantaggi
in
termini
di
proprietà
meccaniche
perché
possiedono
un
modulo
di
elasticità
pari
a
quello
del
composito
e
quindi
molto
simile
a
quello
del
dente.
Altre
caratteristiche
dei
perni
in
fibra
sono:
• Dimensioni
del
perno
(tre
diverse
possibili
e
standardizzate)
• Conicità
generalmente
doppia
per
un
maggior
risparmio
di
tessuto
• Eccellente
resistenza
alla
fatica
• Radiopachi
• Blisterati
singolarmente
(assicura
che
il
perno
non
sia
contaminato)
• Autoclavabili
a
131°C
(quindi
sterilizzabili)
Quando
si
utilizza
un
perno
bisogna
sempre
tenere
presente
che
la
sua
funzione
è
quella
di
aumentare
la
ritenzione
del
restauro,
ma
non
ha
alcuna
funzione
di
rinforzo
della
struttura
dentale
residua.
Quindi
il
perno
ritiene
il
moncone,
e
il
moncone
ritiene
il
restauro
definitivo
che
a
sua
volta
proteggerà
la
struttura
residua.
Studi
recenti
inoltre
hanno
dimostrato
che
l’uso
dei
perni
in
fibra,
piuttosto
che
dei
perni
metallici,
migliora,
in
caso
di
frattura,
quella
che
è
la
recuperabilità
del
dente,
poiché
le
fratture
che
possono
provocarsi
sono
meno
gravi
di
quanto
non
sarebbero
con
i
perni
metallici
(ciò
sono
più
coronali,
quindi
più
facilmente
gestibili).
Le
fasi
operative
sono:
- Isolare
il
campo,
e
valutare
la
necessità
di
mettere
il
perno
prima
di
rimuovere
la
guttaperca
- Scelta
del
perno
- Creazione
del
Post-‐spaces
con
frese
di
Gates
o
di
Largo
(con
i
perni
prefabbricati
vengono
spesso
fornite
frese
calibrate;
c’è
inoltre
chi
usa
gli
strumenti
sonici).
Si
prova
ad
alloggiarci
il
perno
il
quale
deve
entrarci
nel
modo
più
preciso
possibile,
mantenendo
una
certa
stabilità
al
suo
interno
(per
ridurre
al
minimo
la
quantità
di
cemento
necessaria).
Se
la
forma
del
canale
non
è
abbastanza
ritentiva
creare
dei
piccoli
punti
di
ritenzione
con
frese
a
pallina
per
stabilizzare
maggiormente
il
perno.
Queste
piccolissime
anfrattuosità
conferiscono
una
miglior
ritenzione
considerando
il
rapporto
tra
cemento
e
dente
(chiaramente
non
tra
cemento
e
perno,
rapporto
per
cui
non
si
può
fare
niente
per
migliorarlo).
Il
post-‐space
deve
63
avere
caratteristiche
ben
precise.
La
profondità
sarà
in
rapporto
all’anatomia
e
alla
conservazione
del
sigillo
apicale:
nella
radice
supportata
da
osso
alveolare
la
profondità
dovrebbero
essere
uguale
alla
lunghezza
della
corona
sopra-‐alveolare
o
estendersi
a
2/3
della
lunghezza
della
radice
(comunque
mai
meno
di
metà);
dovrebbero
inoltre
essere
lasciati
intatti
almeno
5
mm
di
guttaperca
per
garantire
il
sigillo
apicale.
Per
quanto
riguarda
il
diametro
invece
questo
sarà
in
rapporto
all’anatomia
e
alla
dimensione
dei
perni
e
delle
radici.
Essendo
una
fase
critica,
un
possibile
errore
nella
creazione
del
post-‐space
può
voler
dire
fallimento
terapeutico.
Gli
errori
possibili
sono:
• Preparazione
canalare
eccessiva
con
indebolimento
della
parete
• Perforazione
canalare
causata
da
strumenti
rotanti
• Dislocamento
apicale
della
guttaperca
Infine
c’è
da
dire
che
la
preparazione
del
post-‐spaces
può
essere
immediata
o
differita,
cioè
in
una
seduta
successiva
a
quella
dell’otturazione
canalare.
La
preparazione
immediata
sembra
garantire
una
minor
grado
di
infiltrazione
secondaria.
Prima
di
eseguire
una
preparazione
differita
è
necessario
eseguire
irrigazione
con
ipoclorito
di
sodio,
al
fine
di
prevenire
una
possibile
contaminazione.
- Lavaggio
del
canale
con
soluzione
fisiologica
per
rimuovere
eventuali
detriti.
Eventualmente
si
può
utilizzare
anche
una
punta
ad
ultrasuoni
per
garantire
una
corretta
detersione,
seguito
da
lavaggio
con
fisiologica.
- Asciugatura
con
aria,
aspiratori
e
coni
di
carta.
- Trattamento
del
perno:
⇒ Pulitura
con
alcool
per
60”
e
successiva
asciugatura
⇒ Passaggio
del
Silano
per
60”
(in
realtà
questo
passaggio
non
serve
perché
il
silano
ha
la
funzione
di
collegare
le
fibre
di
collagene
scoperte
con
la
resina,
ma
qui
fibre
scoperte
non
ce
ne
sono).
⇒ Passaggio
con
il
bonding,
ha
la
funzione
di
collegare
meglio
la
resina
del
cemento
a
quella
del
perno
(però
non
si
deve
polimerizzare,
perché
così
facendo
aumento
il
diametro
del
perno
che
non
mi
entrerà
più
nel
post-‐spaces).
- Preparazione
canale:
⇒ Acido
orto-‐fosforico
al
37%
⇒ Lavaggio
abbondante
per
rimuovere
l’acido
64
⇒ Asciugatura
con
aria,
aspiratore
e
coni
di
carta
⇒ Applicazione
del
sistema
adesivo
mediante
applicatore
di
calibro
adatto
al
canale
(in
questi
casi
i
migliori
sono
i
sistemi
total-‐etch
a
tre
passaggi
o,
visto
la
notevole
quantità
di
dentina
anche
i
self-‐etch
a
due
passaggi).
⇒ Eliminare
eventuali
eccessi
mediante
coni
di
carta
strofinati
delicatamente
lungo
le
pareti.
⇒ Far
evaporare
il
solvente
con
leggero
soffio
d’aria.
⇒ Eventuale
passaggio
di
bonding
(se
necessario)
- Cementazione
del
perno
mediante
cementi
duali.
Infatti
la
luce
non
è
in
grado
di
trapassare
tutta
la
dentina
fino
a
2/3
della
radice,
per
cui
in
tale
zona
è
necessario
che
vi
sia
una
componente
auto
polimerizzabile.
Per
evitare
che
si
formino
bolle
d’aria
nell’interfaccia
dente-‐cemento
e
cemento-‐perno
si
sporca
il
dente
col
cemento
e
se
ne
mette
un
po’
dentro
il
canale,
quindi
si
inserisce
il
perno.
Al
fine
di
diminuire
lo
stress
da
contrazione
si
lascia
polimerizzare
la
componente
chimica
per
qualche
minuto;
ciò
ci
permette
di
allungare
la
fase
pre-‐gel
e
quindi
ritardare
il
raggiungimento
del
gel-‐point.
Inoltre
si
determina
la
formazione
di
microporosità
della
fase
del
cemento
(ma
non
sulle
interfacce).
In
un
secondo
momento
quindi
si
completa
la
polimerizzazione
mediante
la
luce,
per
migliorare
le
proprietà
meccaniche.
Questa
sarà
effettuata
con
sistemi
efficienti
(800-‐1000
mW/cm2)
per
tempi
lunghi
- Sezionare
il
perno
mediante
fresa
diamantata
a
circa
1
mm
al
di
sotto
della
superficie
occlusale
della
ricostruzione
(questo
passaggio
può
essere
eseguito
anche
prima
della
cementazione).
- Modellazione
per
sottrazione
con
strumenti
rotanti.
Il
Sistema
Relyx
Fiber
Post
è
un
sistema
mediante
il
quale
si
può
accorciare
notevolmente
il
tempo
di
lavoro.
Si
eseguono
i
passaggi
fino
alla
rimozione
dei
detriti.
Poi
in
un
unico
passaggio
si
inserisce
il
cemento
e
il
perno,
saltando
quindi
tutte
le
fasi
di
preparazione
del
perno
e
del
canale.
E’
sicuramente
più
comodo
e
voloce,
e
si
vengono
a
creare
meno
bolle.
Si
tratta
però
di
un
sistema
meno
resistente
nel
tempo
e
molto
costoso.
Considerando
però
che
quest’operazione
è
molto
operatore-‐dipendente,
è
anche
vero
che
in
mano
di
operatori
inesperti
può
essere
consigliato
l’utilizzo
di
tale
sistema.
65
PARAMETRI
ESTETICI
Sono
i
criteri
di
valutazione,
di
giudizio
per
cercare
di
valutare
l’estetica
di
un
oggetto,
la
quale
risulta
essere
estremamente
soggettiva.
“La
bellezza
è
una
qualità
delle
cose
percepite
che
suscita
sensazioni
piacevoli,
che
si
sviluppa
spontaneamente
e
tende
a
collegarsi
ad
un
contenuto
emozionale
positivo,
in
seguito
ad
un
rapido
paragone
effettuato
consciamente
o
inconsciamente
con
un
canone
di
riferimento
interiore
che
può
essere
innato
o
acquisito
per
istruzione
o
connessione
sociale.”
BELLO
=
SANO
MALATO
=
NON
BELLO
GUARDARE→
visione
elementare
o
retinica
(percezione
sensoriale)
VEDERE→
visione
arricchita
e
mentale
Nel
nostro
cervello
l’emisfero
sinistro
è
più
logico
razionalistico,
matematico
e
sfrutta
il
ragionamento
logico;
il
sinistro
è
più
creativo
immediato
e
sfrutta
una
logica
istintiva
(nei
mancini
è
il
contrario).
Esistono
criteri
di
tipo
soggettivo
e
oggettivo.
I
primi
riguardano
un’analisi
più
approfondita
che
prevede
la
conoscenza
assoluta
degli
oggettivi,
che
sono,
appunto,
oggettivabili.
Sono:
1. SANITA’
GENGIVALE:
La
stabilità
del
tessuto
risulta
massima
quando
la
gengiva
marginale
è
distanziata
di
3mm
dalla
cresta
ossea
vestibolare,
e
4mm
dalla
cresta
ossea
a
livello
interprossimale.
Ovviamente
se
la
misura
presa
con
la
sonda
è
maggiore
la
terapia
deve
mirare
a
riportare
l’attacco
a
quel
livello.
Al
fine
di
mantenere
il
rispetto
di
questi
tessuti
le
preparazioni
devono
seguire
un
procedimento
clinico
atraumatico,
si
deve
seguire
e
ottenere
un
corretto
posizionamento
del
margine.
la
preparazione
dentale
deve
essere
coordinata
sulla
base
del
materiale
scelto
per
il
restauro;
si
deve
inoltre
mantenere
una
precisione
di
adattamento
del
disegno
marginale.
Le
preparazioni
extrasulculari
(al
di
fuori
del
solco
gengivale)
hanno
dei
notevoli
vantaggi:
− Rispetto
parodontale
− Possibilità
di
controllo
a
360°
della
precisione
del
margine
del
manufatto
66
− Facilità
nel
rilievo
dell’impronta,
perché
ovviamente
non
devo
entrare
a
livello
sottogengivale
(in
certi
casi
può
anche
non
essere
necessario
il
filo
retrattore)
− Rispetto
dell’anatomia
e
del
profilo
d’emergenza
− Rifinitura
e
lucidatura
dei
margini
semplificata.
Si
può
far
scomparire
l’alone
di
rifrazione
diverso
usando
un
metal
free
o
compositi
in
un
certo
modo
− Isolamento
del
campo
semplificato
− Mantenimento
dei
margini
nelle
manovre
di
igiene
professionale.
2. CHIUSURA
INTERDENTALE:
per
il
mantenimento
dello
spazio
biologico
e
della
papilla,
la
distanza
interdentale
misurata
a
livello
della
cresta
ossea
deve
essere
di
2mm.
Una
negligenza
anche
transitoria
dell’igiene
orale
e
la
malattia
parodontale
possono
alterare
tale
architettura
gengivale.
La
papilla
interdentale
può
sussistere
quando
la
distanza
tra
il
punto
di
contatto
e
la
cresta
ossea
non
supera
i
5mm.
Spostando
il
punto
di
contatto
più
coronalmente
posso
raggiungere
questi
5
mm.
3. ASSE
DENTALE:
tutti
i
denti
dell’arcata
superiore
hanno
un
asse
dentale
inclinato
in
senso
D-‐
M.
Il
limite
esterno
dei
denti
segue
della
linee
dette
linee
di
perimetrazione
distale:
a
livello
degli
incisivi
(dove
queste
linee
sono
inclinate)
se
vengono
prolungate
verso
il
bassi
si
congiungono
a
livello
del
processo
xifoideo
dello
sterno.
Dai
canini
in
poi
nvece
si
fanno
parallele
e
verticali.
Il
parametro
visivo
definisce
i
contorni
di
un
oggetto
e
può
essere
influenzato
dall’angolo
di
osservazione.
Le
linee
di
perimetrazione
distali
quindi
determinano
nell’osservatore:
− Direzioni
assiali
− Dimensioni
dei
restauri
− Armonizzazione
con
la
cornice
labiale
− Quantità
a
valore
della
zona
prossimale
− Tridimensionalizzazione
complessiva
− Entità
e
forma
del
trinagolo
incisale
4. ZENIT
GENGIVALE:
Data
l’inclinazione
D-‐M
dei
denti
anteriori,
anche
lo
zenit,
cioè
il
punto
più
apicale
della
gengiva,
è
leggermente
distalizzato
e
non
precisamente
in
asse
verticale.
La
nostra
preparazione
deve
tener
conto
di
tale
caratteristica.
Questa
regola
non
è
sempre
confermata
per
gli
incisivi
laterali
superiori
e
per
gli
incisivi
mandibolari,
il
cui
zenit
può
anche
essere
centrato
lungo
l’asse
del
dente.
67
5. EQUILIBRIO
DEI
TESSUTI
GENGIVALI:
dallo
zenit
del
centrale
e
quello
del
canino
dovrebbe
esserci
un
dislivello
di
circa
1,5
mm.
Inoltre
il
contorno
gengivale
degli
incisivi
laterali
dovrebbe
trovarsi
in
posizione
più
coronale
rispetto
sia
a
quello
degli
incisivi
centrali
che
dei
canini→questa
situazione
rappresenta
un
livello
gengivale
di
I
CLASSE.
Data
la
notevole
variabilità
anatomica
degli
incisivi
laterali,
possimo
ottenere
una
situazione
armoniosa
e
gradevole
anche
non
rispettando
alla
lettera
questa
regola.
Nel
livello
gengivale
di
II
CLASSE,
il
contorno
gengivale
degli
incisivi
laterali
è
situato
apicalmente
a
quello
dei
centrali
e
dei
canini;
in
questo
caso
occorre
però
accorciare
il
margine
gengivale
per
garantire
l’armoniosità.
6. ZONE
DI
CONTATTTO
INTERDENTALE:
la
posizione
del
punto
di
contatto
dipende
dalla
posizione
e
della
morfologia
dei
denti.
Di
solito
esso
è
localizzato
in
posizione
più
coronale
nei
due
incisivi
centrali
e
tende
a
spostarsi
più
apicale
dagli
incisivi
verso
i
denti
posteriori.
Ci
sono
casi
in
cui
i
punti
di
contatto
sono
molto
ampi:
si
parla
di
superfici
di
cotatto.
7. DIMENSIONI
DENTALI
RELATIVE:
i
rapporti
ideali
tra
i
denti
sono
anatomicamente
definiti:
− Diametro
M-‐D
del
canino
è
1,5mm
>
del
laterale
− Diametro
M-‐D
del
centrale
è
1,5mm
>
del
canino
− Diametro
M-‐D
del
laterale
è
3mm
<
del
centrale
− Diametro
M-‐D
dell’incisivo
centrale
inferiore
è
1
volta
e
mezzo
più
piccolo
del
superiore
− Inisivi
centrali
e
canini
hanno
altezze
simili
(differiscono
di
0,5mm)
e
sono
mediamente
più
lunghi
di
1,5mm
dei
laterali.
In
realtà
queste
sono
linee
guida
che
però
non
possono
essere
sempre
applicate
a
causa
della
variabilità
dentale.
Esistono
poi
rapporti
ben
precisi
all’interno
dei
singoli
elementi
dentali.
Il
rapporto
tra
larghezza
M-‐D/lunghezza
cervico-‐coronale
deve
essere
compreso
tra
il
75-‐80%.
Se
ciò
avviene
il
sorriso
è
gradevole;
se
ciò
non
avviene
a
causa
di
parafunzioni
,
invecchiamento,
anomalie,
ecc
si
perde
l’armonia.
Le
proporzioni
relative
dei
denti
sono
state
paragonate
a
lungo
tempo
agli
elementi
classici
dell’arte
e
dell’architettura.
Di
conseguenza
teoremi
matematici
quali
quello
della
“proporzione
aurea”
sono
stati
proposti
per
la
determinazione
degli
spazi
M-‐D
ideali.
Queste
regole
sono
state
applicate
alla
“dimensione
opportuna”,
ovvero
quella
che
si
evince
osservando
i
denti
da
davanti.
La
percezione
della
simmetria,
della
dominanza
e
della
proporzione,
tuttavia,
è
anche
fortemente
correlata
all’altezza
dentale,
al
rapporto
lunghi/larghi,
alle
linee
angolari
di
transizione
e
alla
forma
dentale.
Di
conseguenza
l’applicazione
rigida
della
proporzione
aurea
si
è
dimostrata
troppo
severa.
68
8. CARATTERISTICE
FONDAMENTALI
DELLE
FORME
DENTALI:
Incisivi
centrali:
“Così
come
l’unità
è
il
primo
requisito
di
una
composizione
armonica,
la
dominanza
è
il
primo
requisito
per
ottenere
l’unità”.
Grazie
alle
sue
dimensioni
la
bocca
è
l’elemento
dominante
della
faccia.
Alla
stesso
modo
l’incisivo
centrale
è
l’elemento
dominante
del
sorriso.
In
un
restauro
ricostruire
questo
dente
con
la
propria
forma
è
il
fattore
più
importante,
ancor
più
di
ricreare
il
giusto
colore/variazioni
cromatiche
che
risultano
essere
poco
rilevanti
e
del
tutto
inosservate
se
la
forma
è
ristabilita
correttamente.
Gli
incisivi
centrali
sono
utilizzati
per
stappare
e
tagliare,
e
sono
caratterizzati
vestibolarmente
da:
− Contorno
mesiale
diritto
o
leggermente
comvesso
e
angolo
M-‐I
abbastanza
retto.
− Contorno
distale
più
convesso
e
angolo
D-‐I
più
arrotondato
− Contorno
incisale
irregolare
che
si
regolarizza
in
seguito
ad
usura
funzionale.
Una
forma
realistica
è
data
anche
dalle
credte
interprossimali,
che
rappresentano
zone
strategiche
di
riflessione
della
luce.
Queste
creste
non
influenzano
il
profilo
della
corona,
ma
la
lunghezza
e
la
larghezza
apparenti
possono
essere
modificate
dalla
lunghezza,
posizione
ed
orientamento
della
luce
angolare
di
transizione.
Vi
sono
tre
tipologie
dentali
principali:
− Quadrata:
contorno
diritto
con
marcate
linee
angolari
di
transizione
e
lobi
− Ovale:
contorno
rotondo
con
linee
angolari
di
transizione
uniformi
che
mostrano
una
certa
convergenza
in
direzione
incisale
e
cervicale
− Triangolare.
Contorno
diritto
con
marcate
linee
angolari
di
transizione
e
lobi
che
mostrano
una
certa
convergenza
in
direzione
cervicale.
Incisivi
laterali:
come
forma
assomigliano
molto,
in
genere,
ai
centrali,
e
ne
coadiuvano
la
funzione.
Differiscono
soprattutto
per
le
loro
dimensioni
ridotte
e
per
l’angolo
M-‐I
più
arrotondato.
Possono
tuttavia
mostrare
la
più
grande
varietà
di
forma
tra
i
denti
e
non
è
raro
che
alcuni
individui
abbiamo
incisivi
laterali
conoidi.
Canini:
sono
più
spessi
in
senso
V-‐P
e
hanno
radice
più
lunga.
Inoltre
l’anatomia
cuneiforme
sembra
compensare
le
forze
funzionali
e
conferisce
a
questo
dente
l’abilità
unica
di
resistere
a
carichi
non
assiali.
Presentano:
− Il
contorno
mesiale
della
corona
può
essere
leggermente
convesso.
La
linea
angolare
di
transizione
mesiale
è
ben
definita
fino
a
formare
un
piccolo
lobo.
− Il
contorno
distale
della
corona
è
piatto
o
concavo
e
ricorda
quello
del
premolare.
69
− Il
contorno
incisale
è
messo
in
evidenza
dalla
punta
della
cuspide
che
è
in
linea
con
il
centro
della
radice.
9. LINEE
ANGOLARI
DI
TRASMISSIONE:
vedi
sopra
10. CARATTERIZZAZIONE
DENTALE:
caratteristiche
dei
denti
che
vanno
a
determinare
l’opalescenza,
la
trasparenza
e
la
traslucenza.
11. TESSITURA
SUPERFICIALE:
è
strettamente
connessa
al
colore
attraverso
la
lucentezza,
parametro
che
essa
influenza
in
modo
diretto.
La
marcata
topografia
superficiale
dei
denti
giovani
fa
sì
che
essi
riflettano
più
luce
e
appaiano
più
luminosi.
La
tessitura
diminuisce
con
l’età
causando
una
minore
riflessione
della
luce
e
denti
più
scuri.
Le
componenti
determinanti
della
tessitura
sono
essenzialmente:
− Una
componente
orizzontale,
risultato
diretto
delle
linee
di
crescita
(strie
di
retzius),
che
lasciano
sottili
strisce
parallele
sulla
superficie
dello
smalto.
− Una
componente
verticale,
definita
dlla
segmentazione
superficiale
del
dente
in
differenti
lobi
di
sviluppo.
La
riproduzione
di
tali
dettagli
richiede
una
cronologia
specifica:
le
caratteristiche
verticali
devono
essere
caratterizzate
per
prima,
e
le
linee
di
crescita
orizzontali
vengono
riprodotte
solo
al
termine
della
rifinitura
della
superficie.
Questi
dettagli
possono
inoltre
causare
effetti
illusori
di
dimensione:
componenti
orizzontali
marcate
contribuiranno
a
rendere
il
dente
più
grande
e
più
corto;
marcate
componenti
verticali
lo
faranno
apparire
più
lungo
e
più
stretto.
12. COLORE
(vedi
capitolo
colore)
13. CONFIGURAZIONE
MARGINALE
INCISALE:
la
configurazione
dei
paamentri
incisali
è
un
parametro
critico:
quando
no
vengono
disegnati
in
modo
corretto,
possono
far
apparire
i
denti
come
finti.
Vi
sono
tre
componenti
da
considerare:
− Contorno
generale:
nei
pazienti
anziani
e
di
mezza
età.
L’andamento
dei
margini
incisali
è
spesso
una
linea
diritta
o
una
curva
rovesciata
che
genera
uniformità
e
appiattimento
del
sorriso.
Nel
paziente
giovane
i
margini
incisali
hanno
una
configurazione
più
a
“gabbiano”
grazie
alle
dimensioni
relative
originali
dei
denti.
− Angoli
interincisivi:
esercitano
una
grande
influenza
sulla
definizione
del
cosiddetto
spazio
negativo
(lo
spazio
scuro
tra
i
denti
mandibolari
e
mascellari
che
si
forma
quando
si
ride
o
si
apre
la
bocca),
e
quindi
sulla
caratterizzazione
del
contorno
generale.
Per
poterli
ricreare
correttamente
si
usa
la
regola
della
V
rovesciata.
70
− Spessore:
incisivi
piacevoli
esteticamente
hanno
un
margine
sottile.
Margini
spessi
lo
possono
far
apparire
vecchio,
artificiale
e
luminoso.
Bisogna
infine
considerare
che
con
l’invecchiamento
i
muscoli
del
sorriso
(principalmente
l’infraorbitario
che
si
inserisce
sulla
bozza
canina)
perdono
di
tono,
per
cui
si
vedono
di
più
gli
incisivi
inferiori
che
i
superiori.
14. SIMMETRIA
DEL
VOLTO:
siamo
tutti
asimmetrici;
fino
al
3%
risulta
tollerabile,
oltre
non
più.
Per
simmetria
del
sorriso
si
intende
il
posizionamento
relativamente
simmetrico
degli
angoli
della
bocca
sul
piano
verticale,
e
può
essere
ricavato
direttamente
dalla
linea
bipupillare.
Anche
il
posizionamento
dei
denti
deve
seguire
per
quanto
possibile
la
composizione
del
viso
e
la
linee
di
contorno
del
viso.
Si
deve
trovare
una
concisione
delle
linee
interincisive
dei
contrali
superiori
e
inferiori.
La
linea
occlusale
si
dovrebbe
invece
conformare
alla
linea
commissurale,
anche
se
piccole
asimmetrie
sono
auspicabili.
71
IL
COLORE
Rappresenta
uno
dei
principali
criteri
estetici
per
un
corretto
restauro
dentale,
anche
se
è
molto
importante
considerarlo
sempre
insieme
a
tutti
gli
altri,
in
particolare
alla
forma
e
alla
finitura
superficiale.
Il
colore
è
una
percezione
della
luce,
che
risulta
essere
fortemente
soggettiva.
La
luce
può
essere
o
riflessa
da
un
oggetto
o
emessa
da
una
sorgente,
e
si
propaga
nello
spazio
sotto
forma
di
onde
elettromagnetiche
a
lunghezze
d’onda
(λ)
comprese
tra
i
380
nm
(violetto)
e
i
780
nm
(rosso).
La
luce
monocromatica
è
costituita
da
una
sola
λ;
la
policromatica
è
costituita
da
un
insieme
di
onde
a
diverse
λ;
la
luce
bianca
è
l’insieme
di
tutte
le
λ
sommate.
Un
corpo
è
bianco
quando
riflette
la
luce
bianca,
cioè
tutte
le
λ,
ed
è
nero
quando
assorbe
tutte
le
λ
e
non
ne
riflette
neanche
una;
è
invece
di
un
colore,
per
esempio
il
rosso,
quando
assorbe
tutte
le
λ
tranne
quelle
del
rosso,
che
vengono
riflesse.
Il
colore
dei
denti
è
intorno
ai
580
nm.
Nella
percezione
del
colore
sono
importanti
una
serie
di
fenomeni
ottici:
- Riflessione
→
Fenomeno
per
cui
un
raggio
incidente
che
colpisce
una
superficie
viene
riflesso
dalla
superficie
stessa
e
ritorna
nel
mezzo
in
cui
si
propagava
in
origine
con
lo
stesso
angolo
con
cui
ha
colpito
l’oggetto.
Quanto
più
una
superficie
riflette
la
luce,
tanto
meno
si
verifica
l’assorbimento
selettivo
della
luce,
che
è
alla
base
del
colore.
In
altri
termini
aumentando
la
riflessione
della
luce
aumento
il
valore
del
colore.
- Rifrazione
→
Fenomeno
per
cui
un
raggio
luminoso
subisce
una
deviazione
rispetto
alla
direzione
originaria
quando
propagandosi
in
una
sostanza
incontra
un
corpo.
- Indice
di
rifrazione
→
Definisce
il
rapporto
tra
la
velocità
della
luce
di
una
data
λ
nel
vuoto
e
nella
materia.
Varia
in
funzione
della
λ
del
fascio.
- Dispersione
→
Raggio
di
luce
policromatica
incidente
sulla
superficie
di
un
prisma
di
vetro.
- Diffusione
→
Fenomeno
che
consiste
nella
remissione
in
molte
direzioni
di
una
radiazione
incidente
su
un
sistema
costituito
da
particelle
più
o
meno
disperse
e
di
grandezza
variabile
all’interno
di
una
sostanza
trasparente.
La
luce
diffusa
può
avere
la
stessa
λ
della
luce
incidente
o
di
poco
diversa.
Con
l’aumento
della
diffusione
si
ha
una
diminuzione
della
trasparenza
della
sostanza.
- Assorbimento
→
Fenomeno
per
cui
la
luce
che
colpisce
la
superficie
di
una
sostanza
viene
assorbita
in
tutto
o
in
parte
da
quest’ultima
trasformandosi
in
energia
termica.
72
- Metamerismo
→
Fenomeno
per
il
quale
un
oggetto
cambia
colore
alle
diverse
temperature,
fonti
e
angolo
d’incidenza
della
luce.
Si
verifica
quando
gli
oggetti
in
questione
presentano
differenti
curve
spettrali.
Un
colore
che
viene
percepito
da
un
osservatore
non
è
costituito
unicamente
da
una
ben
precisa
λ,
ma
più
frequentemente
è
il
risultato
di
varie
bande
di
λ
diverse.
Quindi
colori
che
sembrano
gli
stessi
possono
essere
generati
da
luci
aventi
diverse
curve
spettrali.
- Fluorescenza
→
E’
un
meccanismo
grazie
al
quale
un
corpo
assorbe
all’interno
energia
luminosa,
sotto
forma
di
onde
corte
invisibili
all’occhio
umano
(ultravioletti)
per
poi
trasformarla
e
ridiffonderla
sotto
forma
di
onde
più
lunghe
e
visibili.
Se
l’emissione
avviene
entro
i
10-‐8
secondi
dall’eccitazione
si
parla
di
fluorescenza,
se
è
superiore
di
fosforescenza.
I
denti
naturali
esposti
alla
luce
ultravioletta
presentano
una
fluorescenza
prevalentemente
bianca
con
una
lieve
tonalità
blu
(bianco-‐bluastra).
Responsabile
del
fenomeno
è
la
dentina
che
ha
una
fluorescenza
più
intensa
di
quella
dello
smalto,
grazie
alla
maggior
componente
organica.
Questa
caratteristica
aumenta
sensibilmente
il
valore
degli
elementi
dentali
- Opalescenza
→
Fenomeno
che
viene
definito
come
aspetto
iridescente
o
latteo
di
un
corpo
quando
viene
illuminato
da
radiazioni
policromatiche.
Per
ottenere
questo
fenomeno
un
corpo
deve
possedere
un’elevata
traslucenza,
per
questo
è
tipico
dello
smalto.
La
luce
che
viene
assorbita
viene
ridistribuita
all’interno,
privilegiando
determinate
lunghezze
d’onda
cui
corrispondono
precise
sfumature
cromatiche,
a
seconda
della
composizione
e
del
diametro
delle
particelle
che
costituiscono
il
corpo.
Questo
fenomeno,
detto
anche
diffusione
di
Rayleigh,
è
lo
stesso
fenomeno
grazie
al
quale
il
cielo
si
colora
di
azzurro
(le
particelle
che
costituiscono
l’atmosfera
hanno
diametri
molto
vicini
alle
λ
della
luce
blu
e
violetta,
pertanto
assorbono
e
re
irradiano
queste
λ
disperdendole
in
tutte
le
direzioni).
Nello
smalto
naturale
i
cristalli
di
idrossiapatite,
a
seconda
della
loro
disposizione,
creano,
interagendo
con
la
luce,
gradi
diversi
di
opalescenza.
L’effetto
opalescente
è
molto
evidente
a
livello
incisale
dove
lo
smalto,
privo
di
dentina
interposta,
presenta
un
buon
grado
di
traslucenza
e
crea
appunto
il
fenomeno
dell’opalescenza
incisale.
Per
ottenere
un
materiale
composito
opalescente
le
masse
devono
essere
ad
alta
traslucenza
e
caricate
con
particelle
opache
finissime,
e
ben
distribuite
nella
matrice
in
densità
non
troppo
elevata.
Assorbimento
e
riflessione
della
luce
dipendono
dalle
caratteristiche
di
trasparenza,
translucenza
e
opacità
dell’oggetto.
Corpi
trasparenti
e
tralucenti
trasmettono
la
luce,
corpi
opachi
la
bloccano.
Un
corpo
trasparente
lascia
passare
completamente
la
luce
(vetro);
uno
translucente
permette
73
una
parziale
trasmissione
della
luce
creando
una
diffusione
interna
molto
importante.
Due
denti
possono
avere
lo
stesso
identico
colore
ma
una
translucenza
diversa
che
crea
effetti
cromatici
e
percezioni
completamente
differenti.
In
odontoiatria
interessano
particolarmente
le
proprietà
di
translucenza
e
opacità,
poiché
i
denti
presentano
minime
nelle
caratteristiche
di
trasparenza.
Questo
rapporto
luce-‐colore,
molto
importante,
è
condizionato
da
parecchi
fattori
tra
i
quali
i
materiali
da
ricostruzione,
la
tecnica
di
stratificazione
e
la
forma
di
superficie.
La
morfologia
di
superficie
condiziona
la
riflessione
della
luce,
giocando
un
ruolo
importante
sulla
percezione
del
colore.
Se
la
luce
colpisce
una
superficie
piatta,
i
raggi
riflessi
saranno
tutti
paralleli
e
si
creerà
un
effetto
di
luce
riflessa
speculare;
se
la
superficie
invece
è
irregolare
i
raggi
riflessi
vengono
dispersi
in
varie
direzioni
dando
origine
ad
un
effetto
di
luce
riflessa
diffusa.
Più
la
superficie
di
un
dente
è
irregolare
e
meno
sarà
tralucente,
ma
allo
stesso
tempo
determinerà
una
maggior
riflessione
della
luce
con
un
aumento
del
valore;
più
è
piatta
e
più
sarà
tralucente,
ma
allo
stesso
tempo
determinerà
una
minor
riflessione
della
luce
e
un
maggior
assorbimento
con
un
abbassamento
del
valore.
La
superficie
dei
denti
naturali
è
interessata
da
solchi,
creste
e
infinite
irregolarità
che,
interferendo
con
la
luce,
determinando
il
riflesso
di
superficie.
Principalmente
la
tessitura
superficiale
può
essere:
• Verticale
⇒
LOBI
• Orizzontale
⇒
STRIE
DI
RETSIUS
DIMENSIONI
E
PARAMETRI
1. La
Tinta
è
il
nome
del
colore
2. Il
Croma,
o
saturazione
del
colore,
è
l’intensità
della
tinta.
3. Il
Valore
è
il
grado
di
luminosità
del
colore,
può
essere
interpretato
come
la
quantità
di
grigio,
cioè
di
nero
e
bianco,
di
luce
e
ombra,
presente
in
una
tinta.
Il
valore
si
definisce
basso
se
è
tendente
al
nero,
alto
se
è
tendente
al
bianco.
Rappresenta
il
parametro
più
importante
in
odontoiatria:
Se
il
valore
di
un
restauro
è
corretto,
piccole
differnze
di
tinta
e
croma
generalmente
risultano
impercettibili,
mentre
non
vale
il
contrario.
E’
comunque
la
cosa
più
semplice
da
correggere:
basta
modificare
la
tessitura
superficiale.
74
SISTEMI
DI
CLASSIFICAZIONE
• Sistema
Munsell
→
Ha
inventato
il
diagramma
spaziale
del
colore
di
Munsell.
Scelse
10
tinte
principali
ognuna
suddivisa
il
10
sezioni
(per
un
totale
di
mille
sezioni
diverse,
ognuna
con
un
colore
diverso.
Per
il
valore
ha
scelto
a
sua
volta
100
sezioni
diverse
• Sistema
RGB
• Sistema
CIELAB
SCALE
COLORI
Sono
dei
campionari
di
colore
che
si
confrontano
con
i
denti
naturali
per
decidere
il
colore
del
restauro.
La
scelta
del
colore
è
quindi
affidata
alla
percezione
visiva,
metodologia
puramente
empirica.
• Scala
Vita
→
I
colori
vengono
ordinati
con
delle
lettere
che
indicano
la
tinta
(A
=
Arancione-‐
marrone;
B
=
Arancione-‐giallo;
C
=
Verde-‐grigio;
D
=
Rosso-‐grigio),
con
dei
numeri
che
indicano
il
croma
(1-‐2-‐3-‐3,5-‐4
per
le
tinte
A;
1-‐2-‐3-‐4
per
le
tinte
B
e
C;
2-‐3-‐4
per
le
tinte
D).
Il
valore
non
si
identifica
ma
aumentando
il
croma
abbasso
il
valore
e
viceversa.
Il
difetto
principale
di
questa
scala
sta
proprio
nel
fatto
che
non
si
può
misurare
il
valore.
Se
si
dovessero
classificare
in
base
al
valore
li
troveremmo
nel
seguente
ordine:
C4-‐A4-‐D4-‐A3,5-‐D3-‐
D2-‐C3-‐B4-‐C2-‐A3-‐B3-‐A2-‐C1-‐B2-‐A1-‐B1.
• Scala
Vita
3D
→
Ha
il
grande
vantaggio
di
essere
espressa
nelle
tre
dimensioni
del
colore.
Ritroviamo:
o 5
gradi
di
valore
(1-‐2-‐3-‐4-‐5)
o 3
tinte
(L-‐lemon,
giallo;
M-‐medium;
R-‐red)
o 5
gradi
di
croma
(1-‐1,5-‐2-‐2,5-‐3)
Si
ha
quindi
un
totale
di
26
campioni
rispetto
ai
16
della
Vita
tradizionale.
E’
una
scala
molto
utilizzata
in
protesi
ma
poco
in
conservativa
perché
le
ceramiche
sono
disponibili
con
questa
scala
mentre
i
compositi
no.
75
FATTORI
CHE
INFLUENZANO
LA
RILEVAZIONE
- Adeguata
sorgente
di
luce
→
L’ideale
sarebbe
rilevare
il
colore
con
luce
diurna,
cielo
leggermente
coperto,
tra
le
11
e
le
15.
- Luce
artificiale
a
5500
°K
→
La
temperatura
di
calore
di
una
sorgente
che
emette
luce
corrispondente
alla
temperatura,
in
gradi
K,
alla
quale
un
corpo
nero
deve
essere
riscaldato
affinchè
esso
produca
una
luce
dello
stesso
colore.
E’
fondamentale
che
l’indice
di
resa
cromatica
sia
>90.
- Fattori
ambientali
o Pareti
e
soffitto
della
stanza
o Mobili
o Rossetto
(da
far
levare)
- Fattori
legati
all’osservatore
o Acromatopsia
o Daltonismo
o Illusioni
ottiche
- Fattori
dentali
→
Corretta
igiene
orale.
- Fattori
legati
alle
tecniche
o Confrontare
il
dente
con
un
singolo
campione
alla
volta
in
asse
con
il
dente.
o Inumidire
sia
il
campione
che
il
dente.
o Confrontare
i
campione
con
il
dente
per
pochi
secondi
(∼5
sec),
a
causa
dell’immagine
postuma
negativa
o
fatica
della
retina.
o Stabilire
nell’ordine
VALORE-‐TINTA-‐CROMA.
L’ideale
sarebbe
la
scala
Vita
3D,
ma
per
i
materiali
compositi
spesso
non
è
disponibile
e
quindi
si
può
usare
solamente
la
scala
Vita
classica.
o Per
una
misurazione
non
empirica
del
colore
si
può
ricorrere
agli
spettrofotometri,
strumenti
che
misurano
il
valore
di
riflessione
spettrale
e
calcolano
il
colore
in
maniera
molto
precisa.
Il
problema
è
che
la
lettura
avviene
per
punti,
e
che
la
superficie
del
dente
non
è
né
piana
né
tantomeno
uniforme,
quindi
è
impossibile
riuscire
a
ottenere
un
indicazione
precisa
per
il
restauro
di
tutto
il
dente.
76
CARATTERISTICHE
DELLA
DENTINA
La
dentina
è
un
tessuto
opaco,
e
la
luce
diffonde
solo
attraverso
i
tubuli:
è
quindi
responsabile
della
cromaticità
del
dente.
La
cromaticità
media
di
incisivi
e
canini
presenta
λ=580
nm
(arancione-‐giallastro),
quindi
a
gradazione
A
è
quella
che
si
avvicina
di
più.
La
maggior
parte
dei
denti
anteriori
è
tutta
A,
tra
A2
e
A3,5.
Ma
ciò
che
più
è
importante
è
che
il
colore
di
un
restauro
me
lo
determina
lo
strato
di
smalto
che
mi
sta
sopra
la
dentina:
- MASSA
DENTINALE
A2
+
SMALTO
A
BASSO
VALORE
⇒
C2
(Arancione-‐marrone
della
dentina
alla
fine
VALORE ⇒ D2
La
dentina
naturale,
con
l’invecchiamento
e
a
seguito
d
processi
di
mineralizzazione,
aumenta
la
sua
cromaticità
è
assume
una
sfumatura
rossastra.
Sulla
giunzione
smalto-‐dentinale
la
dentina
raggiunge
un
alto
grado
di
traslucenza
o
quasi
trasparenza,
determinando
così
un
ulteriore
aumento
della
traslucenza
dello
smalto
sottile
dell’anziano,
e
abbassando
così
il
valore
del
dente.
Inoltre
aumentando
il
grado
di
mineralizzazione
diminuisce
la
fluorescenza,
caratteristica
di
cui
la
dentina
è
responsabile.
CARATERISTICHE
DELLO
SMALTO
Lo
smalto
è
responsabile
del
valore,
dell’opalescenza
e
della
traslucenza.
Infatti
i
prismi
cristallini
permettono
alla
luce
di
passare
liberamente,
mentre
la
sostanza
organica
interprismatica
presenta
una
elevata
opacità.
Tale
sostanza,
avendo
un
indice
di
rifrazione
diverso
dalla
matrice
dello
smalto,
provoca
una
diffusione
interna
della
luce
che
conferisce
allo
smalto
una
sfumatura
biancastra.
Senza
la
sostanza
interprismatica
i
denti
sarebbero
azzurri-‐grigi.
Lo
spessore
dello
smalto
condiziona
quindi
la
traslucenza
e
quindi
il
valore
o
la
luminosità
del
dente:
- SMALTO
SPESSO
⇒
Alta
densità,
bassa
traslucenza,
alta
luminosità
e
alto
grado
di
riflessione.
- SMALTO SOTTILE ⇒ Bassa densità, alta traslucenza, bassa luminosità e basso grado di riflessione.
77
naturale
(∼1/3).
Lo
smalto
è
inoltre
responsabile
dell’opalescenza;
uno
smalto
opalescente
innalza
il
valore.
Dato
che
lo
smalto
è
particolarmente
acromatico,
non
va
a
modificare
la
tinta,
ma
modifica
solo
il
croma
ed
il
valore.
Oltre
che
aumentare
il
valoer,
lo
smalto
va
a
ridurre
il
croma;
difatti
nell’anziano
la
perdita
di
smalto
coincide
con
una
perdita
di
valore
ed
un
aumento
del
croma.
FATTORI
PRATICI
DA
CONSIDERARE
NELLA
RICOSTRUZIONEDI
UNA
DENTE
1. Cromaticità
–
Si
desatura
dalla
zona
cervicale
a
quella
incisale
in
modo
netto
e
graduale
(quindi
sul
colletto
è
di
intensità
maggiore).
2. Valore
–
Lo
smalto
né
è
il
maggior
responsabile.
Nella
valutazione
di
questa
dimensione
consideriamo
l’età,
lo
stato
di
conservazione
di
superficie
(macro
e
micro
tessitura),
e
il
grado
di
mineralizzazione.
3. Opalescenze
–
Si
riscontrano
nel
terzo
incisale,
a
livello
interprossimale
e
del
margine,
dove
lo
smalto
esprime
la
sua
massima
traslucenza.
In
queste
aree
lo
smalto
da
origine
a
quelle
sfumature
grigio-‐azzurre
che
creano
l’aureola
incisale.
Il
bordo
incisale
dello
smalto
è
sottile,
opaco
e
con
valore
più
elevato
4. Intensivi
–
Possiamo
ricreare
macchie,
sotto
forma
di
gocce,
punti
o
strisce
di
tonalità
bianco-‐
lattescente
molto
intensa.
Sono
presenti
con
maggior
frequenza
nei
denti
dei
bambini
e
nei
giovani
e
tendono
a
sparire
con
l’usura
dello
smalto
poiché
situati
negli
strati
più
superficiali.
5. Caratterizzazioni
–
Mammelloni,
bande,
margine,
macchie,
crepe.
6. Tessitura
superficiale
–
Fondamentale
aumentare
il
valore
e
farlo
sembrare
più
reale
e
non
finto.
Si
possono
ricreare
i
lobi
e
le
strie
di
Retsius.
7. Forma
–
Il
colore
ha
un’importanza
fondamentale
nella
percezione
della
forma.
La
forma
dell’oggetto
consente
una
diversa
riflessione
della
luce,
così
da
creare
contrasti
di
luminosità
che
permettono
la
percezione
della
forma
stessa
e
del
colore.
E
inoltre
importante
rispettare
la
forma
dell’area
piana
(terzo
medio)
perché
la
riflessione
della
luce
in
questa
zona
è
responsabile
della
percezione
della
forma
complessiva
del
dente,
e
delle
dimensioni.
8. Colore
delle
resine
composite
–
Bisogna
tenere
presente
che
la
matrice
resinosa
è
trasparente,
mentre
sono
la
quantità
il
tipo
e
le
dimensioni
delle
particelle
di
riempitivo
che
ne
determina
la
traslucenza
e
l’opacità.
Ne
deriva
quindi
che
abbiamo:
a. MASSE
DENTINA
(opache,
non
tralucenti
e
più
colorate)
78
Traslucenza
e
opacità
di
un
composito
dipendono
anche
dallo
spessore
del
materiale:
più
è
spesso
e
più
è
opaco
e
viceversa.
Oltre
a
questo
conta
anche
il
croma
(nemero):
Un
croma
basso
è
più
opaco
e
copre
di
più
di
un
croma
alto,
anche
se
verrebbe
da
pensare
il
contrario.
Quindi
se
devo
coprire
qualcosa
(macchie
di
amalgama,
perni,
ecc)
parto
con
un
materiale
a
croma
più
basso.
79
SISTEMI
DI
SBIANCAMENTO
Lo
Sbiancamento
è
un
trattamento
cosmetico
volto
a
correggere
le
discromie
dei
denti.
Le
discromie
sono
alterazione
del
colore
fisiologico
del
dente.
Ci
si
chiede
quindi
quale
sia
il
confine
tra
colore
fisiologico
e
colore
patologico?
Non
esiste.
In
realtà
è
molto
soggettivo,
ma
in
alcuni
casi
invece
può
essere
conseguente
a
patologie
specifiche
(traumi,
tetracicline,
ecc).
Lo
sbiancamento
si
effettua
con
degli
agenti
sbiancanti.
Questi
sono
chimicamente
dei
potenti
agenti
ossidanti
a
basso
peso
molecolare.
I
principali
sono:
− PEROSSIDO
DI
IDROGENO
− PEROSSIDO
DI
CARBAMIDE
Le
molecole
devono
essere
piccole
per
poter
passare
attraverso
gli
spazi
interprismatici
dello
smalto
e
i
tubuli
dentinali.
PEROSSIDO
DI
IDROGENO
(H2O2)
⇒
H2O2
→
H+
+
H2O-‐
↔
H+
+
O2-‐
A
questo
punto
le
molecole
di
H20-‐
attaccano
le
lunghe
catene
delle
sostanze
cromagene
portando
alla
sostituzione
dei
doppi
legami
con
legami
singoli
e
frammentandole
in
molecole
più
piccole
(a
più
basso
PM)
che
sono
meno
cromatiche,
cioè
riflettono
meno
la
luce,
e
più
diffusibili
attraverso
dentina
e
smalto.
L’effervescenza
prodotta
dall’ossigeno
nascente
O2-‐
favorisce
la
rimozione
fisica
delle
molecole
frammentate.
In
soluzione
acquosa
H2O2
è
debolmente
acido
e
produce
in
percentuale
maggiore
anioni
superossidi
O2-‐.
Per
promuovere
in
percentuale
l’aumento
della
produzione
di
H20-‐,
più
stabili
e
attivi,
la
sostanza
viene
tamponata
a
pH
tra
9,5
e
10,8.
Il
pH
alto
ha
un
ruolo
fondamentale:
− Velocizza
l’azione
sbiancante
− Innalza
il
pH
del
cavo
orale
oltre
a
quello
critico
(sotto
il
quale
inizia
la
mobilitazione
dell’idrossiapatite
di
calcio
da
smalto
e
dentina):
o Smalto
5,2
–
5,8
o Dentina
6
–
6,8
80
PEROSSIDO
DI
CARBAMIDE
⇒
H2N-‐CO2-‐NH2
x
H2O2
REAZIONE
1:
Si
forma
urea
(70%)
e
H2O2
(30%)
REAZIONE 2: L’urea si scinde in CO2 e NH3, che rialzano il pH della cavità orale a 6-‐8 per 2 h
H2O2
si
scinde
in
H20-‐
e
O2-‐,
che
vanno
ad
agire
come
agenti
sbiancanti
L’azione
sbiancante
è
equiparabile
a
quella
del
perossido
di
idrogeno
ma
si
esplica
in
tempi
più
lunghi.
Altri
ingredienti
sono:
− GLICERINA
(85%)
è
il
riempitivo
principale
− STANNATO
DI
SODIO
è
uno
stabilizzante
− ACIDO
FOSFORICO
e/o
ACIDO
CITRICO
IN
TRACCE
sono
degli
stabilizzanti
− AROMI
− CARBOPOL
940:
appartiene
ad
una
classe
di
polimeri
dell’acido
poliacrilico,
una
classe
di
resine
solibili
in
acqua
contenute
nei
dentifrici,
shampoo,
ecc.
si
lega
bene
con
il
perossido
di
carbamide
rendendolo
più
viscoso.
Rallenta
la
cessione
dell’ossigeno
di
2
volte
e
mezzo.
Il
pH
iniziale
acido
(3,5)
è
tamponato
con
tralamina
(base
forte
7,9).
Prolunga
l’attività
sbiancante
dell’H2O2
e
inibisce
la
per
ossidasi
salivare.
I
materiali
che
contengono
carbopol
sono:
− Più
viscosi
− Leggermente
più
acidi
− L’H2O2
rimane
attivo
3-‐4
ore
− Azione
sbiancante
prolungata
− Restano
nel
cucchiaino
individuale
I
materiali
senza
carbopol:
− Più
fluidi
− Meno
acidi
− L’H2O2
rimane
attivo
13-‐45
minuti
− Non
rimangono
bene
nel
cucchiaino
E’
importante
sottolineare
che
non
ci
sono
differenze
ai
fini
del
risultato
finale,
ma
cambiano
solo
i
metodi
di
impiego.
81
PRODOTTI
SBIANCANTI
Sono
tutti
su
base
acquosa
e
riducono
la
disidratazione
dello
smalto
e
l’irritazione
dei
tessuti
molli.
Si
presentano
sotto
forma
di
gel
tissotropici
densi
e
appiccicosi
per
la
presenza
di
un
ispessente.
La
viscosità
è
necessaria
per:
− Aumentarne
l’adesione
allo
smalto
− Rallentare
il
tempo
di
decomposizione
del
materiale
− Prolungare
l’efficacia
sbiancante
− Aumentarne
la
conservazione
Infatti
vengono
confezionati
in
siringhe
opache
(il
perossido
di
idrogeno
è
sensibile
alla
luce)
e
tenute
il
frigorifero
per
conservare
la
stabilità
e
durata.
EFFETTI
SULLO
SMALTO
E
SULLA
DENTINA
Gli
agenti
sbiancanti
non
provocano
significativi
cambiamenti
micro
morfologici
e
strutturali
sulla
superficie
di
smalto
e
dentina.
Non
aumentano
la
suscettibilità
dello
smalto
all’azione
degli
acidi
e
alla
carie.
Solo
i
prodotti
ad
alta
concentrazione
di
perossido
di
idrogeno
provocano
un
danneggiamento
della
sostanza
interprismatica
più
ricca
di
materiale
organico.
Queste
alterazione
sono
reversibile
grazie
ad
un
immediato
ed
efficace
meccanismo
di
rimineralizzazione
della
superficie
dello
smalto.
EFFETTI
SULL’ORGANO
PULPARE
L’ossigeno
attraverso
i
tubuli
dentinali
giunge
alla
polpa
provocando,
in
una
bassa
percentuale
di
pazienti,
ipersensibilità
di
intensità
a
volte
elevata.
La
sensibilità
è
temporanea,
reversibile
(scompare
in
pochi
giorni),
e
facilmente
eliminabile
con
agenti
desensibilizzanti
(floruro
di
sodio
neutro,
nitrato
di
potazzio,
fosfato
di
calcio).
L’ipersensibilità
dipende
da:
− Temperatura
− Concentrazione
del
prodotto
− Tempo
di
esposizione
− Tipo
di
dente
(in
relazione
allo
spessore
di
smalto
e
dentina.
Gli
incisivi
inferiori
sono
i
denti
più
sensibili).
82
Bisogna
inoltre
fare
attenzione
a
RECESSIONI,
ABRASIONI,
CARIE,
OTTURAZIONI
INFILTRATE.
In
questi
casi
occorre
proteggere
l’area
con
diga
liquida.
Su
una
carie
si
fa
prima
lo
sbiancamento
e
poi
l’otturazione
per
non
sbagliare
colore.
EFFETTI
SULLE
MUCOSE
Il
contatto
accidentale
del
perossido
di
idrogeni
ad
alte
concentrazioni
può
provocare
ustioni
ai
tessuti
molli.
Questa
lesione
assume
l’aspetto
di
una
macchia
bianca
che
a
differenza
della
ustione
da
calore
non
va
incontro
a
necrosi.
Può
causare
solo
un
leggero
bruciore.
Macchie
e
bruciore
scompaiono
in
poche
ore.
Il
bruciore
inoltre
può
essere
alleviato
con
l’applicazione
di
olio
a
base
di
vitamina
E
o
di
provitamina
D.
Per
questi
motivi
occorre
sempre
proteggere
le
mucose
anche
con
diga
liquida.
TECNICHE
DI
SBIANACAMENTO
Il
panorama
commercaiale
offre
una
enorme
varietà
di
tecniche
per
lo
sbiancamento
a
base
di
perossido
di
carbamide
con
o
senza
carbopol,
o
di
solo
perossido
di
idrogeno
a
concentrazioni
diverse,
con
tempi
di
applicazione
diversi,
ecc.
In
ogni
caso
distinguiamo
due
situazioni:
1. Sbiancamento
in
studio
2. Sbiancamento
domiciliare
a. Professionale
b. Per
automedicazione
1)
IN
OFFICE
o
POWER
BLEACHING
Il
trattamento
è
gestito
esclusivamente
all’interno
dello
studio
e
in
un’unica
seduta.
I
principi
attivi
sono:
− H2O2
(dal
16%
al
55%)
quindi
molto
alte
per
il
poco
tempo
a
disposizione
− Perossido
di
carbamide
dal
30%
al
45%
Si
eseguono
2-‐3
applicazioni
successive
di
10-‐20
minuti
ciascuna
a
seconda
del
grado
di
discromia
e
della
concentrazione
del
prodotto
(sono
sempre
riportate
le
indicazione
del
produttore).
Per
non
aumentare
troppo
la
sensibilità
conviene
aumentare
il
numero
di
applicazioni
e
non
il
tempo
di
applicazione
(anche
perché
dopo
10-‐15
minuti
i
prodotti
hanno
finito
la
loro
azione).
L’attivazione
può
essere:
83
1. Chimica:
Prodotto
in
due
componenti.
In
uno
è
contenuto
ferro
che
favorisce
la
scissione
dell’H2O2,
quindi
l’azione
sbiancante
è
più
rapida.
2. Foto-‐catalitica:
Il
gel
contiene
delle
sostanze
sensibili
alla
luce
con
particolare
lunghezza
d’onda
(fotoiniziatori)
che
si
attivano
ed
accelerano
la
scomposizione
del
perossido
di
idrogeno
nei
suoi
sottoprodotti.
La
lunghezza
d’onda
usata
può
essere
lunga
(attivazione
foto-‐
termica:
fotoni
hanno
meno
energia
che
fornisce
calore
e
attiva)
o
corta
(attivazione
foto-‐
chimica:
fotoni
ad
alta
energia
con
effetto
termico
minimo
o
nullo).
Le
lampade
utilizzate
(per
questi
due
primi
metodi)
possono
essere:
− A
LUCE
CALDA
(Alogene
e
Plasma):
producono
calore
quindi
bisogna
fare
attenzione
quando
si
utilizzano.
La
soglia
di
sicurezza
è
un
aumento
della
temperatura
della
polpa
non
superiore
ai
5,60°C.
queste
lampade
hanno
software
che
consentono
di
erogare
luce
secondo
cicli
predeterminati
di
tempo
e
potenza
in
modo
da
intervallare
periodi
di
emissioni
a
periodi
di
non
emissioni
così
da
non
surriscaldare
il
dente.
− A
LUCE
FREDDA
(Led
e
Ultravioletti):
emettono
luce
che
non
scalda
la
polpa,
permettendo
loro
di
effettuare
cicli
di
emissione
continui.
Sono
i
sistemi
utilizzati
per
la
maggiore.
3. Attivazione
a
Laser:
Anche
qui
può
essere:
− FOTOTERMICO:
• LASER
a
CO2
(supera
facilmente
il
valore
soglia
per
cui
è
poco
usato)
• LASEA
a
DIODI
(supera
facilmente
il
valore
soglia
per
cui
è
poco
utilizzato)
− FOTOCHIMICO:
• LASER
AD
ARGON
• LASER
KTP
4. Nessuna
attivazione
La
procedura
operativa
prevede:
- Si
fa
vedere
al
paziente
con
i
misuratori
il
colore
del
dente
e
quello
che
sarà
- Diga
liquida
- Applicazione
agente
sbiancante
- Controllo
(bisogna
tenere
presente
che
l’effetto
a
volte
compare
dopo
qualche
giorno)
84
2a)
SBIANCAMENTO
DOMICILIARE
PROFESSIONALE
Il
trattamento
è
gestito
a
casa
dal
paziente,
monitorato
dal
medico.
I
principi
attivi
sono
sempre
gli
stessi
a
concentrazioni
minori:
− PEROSSIDO
DI
CARBAMIDE
(10%
-‐
22%)
− PEROSSIDO
DI
IDROGENO
(6%
-‐
9%)
Le
applicazioni
sono
da
fare
per
2
–
8
ore
al
giorno
a
seconda
del
tipo
e
della
concentrazione
del
prodotto.
Si
fa
per
10
–
15
gg
consecutivi
a
seconda
della
discromia.
Viene
applicato
mediante
una
mascherina
individuale.
La
procedura
operativa
prevede:
− Impronta
− Modello
in
gesso
− Costruzione
della
riserva:
si
applica
un
piccolo
strato
di
resina
che
fa
un
spessore
di
circa
1
mm
ma
non
viene
messa
sul
colletto
e
sul
margine
incisale.
− Costruzione
della
mascherina
− Ritaglio
mascherina
seguendo
il
contorno
del
colletto
dei
denti
− Consegna
mascherina/prodotto
e
istruzioni
TECNICA
ALTERNATIVA
DI
COSTRUZIONE:
non
si
fa
la
riserva
e
si
taglia
1
mm
oltre
il
colletto
così
che
risulti
un
po’
più
lunga.
2b)
SBIANCAMENTO
DOMICILIARE
PER
AUTOMEDICAZIONE
Il
trattamento
è
gestito
esclusivamente
dal
paziente
che
decide
autonomamente
quale
prodotto
usare
o
la
durata
del
trattamento.
Il
principio
attivo
è:
− PEROSSIDO
DI
IDROGENO
(6%
-‐
9%)
dosaggi
maggiori
sono
illegali
Si
applica
per
20
–
30
minuti
al
giorno
per
1
–
2
settimane.
Si
trovano
sotto
forma
di:
− STRISCE
SBIANCANTI
DI
POLIETILENE
− SISTEMI
PAINT-‐ON:
il
prodotto
si
applica
sulla
superficie
con
un
pennello
o
una
penna.
Vengono
indicati
solo
nel
caso
di
discromie
molto
lievi
e
macchie
estrinseche
resistenti
allo
spazzolamento
con
dentifrici
sbiancanti.
85
TRAUMI
DENTALI
I
traumi
dentali
sono
molto
frequenti
e
rappresentano
il
5%
di
tutte
le
lesioni
per
cui
è
richiesto
soccorso
(18%
per
i
bambini
in
età
prescolare).
In
età
adulta
le
lesioni
dentali,
soprattutto
fratture
coronali
e
lussazioni,
sono
in
assoluto
le
più
frequenti.
Le
principali
cause
sono:
• Cadute
(26%)
• Incidenti
stradali
(20,5%)
• Sport
(19,2%)
• Episodi
di
violenza
(16,4%)
• Scontri
con
persone
ed
oggetti
inanimati
(6,8%)
I
fattori
predisponenti
per
questo
tipo
di
patologie
sono:
• Orali
Overjet
>
5mm
Incompetenza
labiale
• Ambientali
o
socio-‐economici
(paesi
più
poveri
sono
più
soggetti)
• Comportamentali
(bambini
iperattivi,
obesi,
vittime
del
bullismo,
ecc)
• Secondari
Malattie
sistemiche
Difficoltà
di
apprendimento,
soprattutto
motorio
Limitazioni
fisiche
Piercing
orali
Uso
inappropriato
dei
denti
Affinché
la
prognosi
sia
buona
è
fondamentale
un
corretto
piano
di
trattamento.
L’international
association
of
dental
traumatology
ha
redatto
una
serie
di
linee
guida,
che
rappresentano
il
miglior
protocollo
operativo
da
seguire,
in
quanto
basato
su
una
revisione
della
letteratura
e
l’opinione
dei
membri
board
dell’IADT
stessa.
MISURE
DI
PRIMO
SOCCORSO
• Mantenere
la
calma
• Lavare
delicatamente
la
ferita
con
acqua
corrente
e
bloccare
il
sanguinamento
comprimendo
la
zona
colpita
con
una
garza
o
del
cotone
per
5
minuti.
• In
caso
di
frattura
o
di
avulsione
cercare
e
recuperare
il
frammento
o
il
dente
se
possibile.
86
• Recarsi
subito
da
un
dentista
• Per
i
traumi
dei
denti
decidui
importante
spiegare
ai
genitori
che
il
trauma
può
avere
delle
conseguenze
a
lungo
termine
che
potrebbero
evidenziarsi
molti
anni
più
tardi
al
momento
dell’eruzione
degli
incisivi
permanenti.
Nei
traumi
più
severi
quando
c’è
sanguinamento
di
labbra
o
tessuti
molli,
i
genitori
portano
il
bimbo
al
pronto
soccorso.
Dopo
la
sutura
delle
lacerazioni
e
dei
tessuti
molli,
il
bimbo
dovrebbe
essere
inviato
da
un
pedodonzista.
È
opportuno
sempre
valutare
la
possibilità
di
maltrattamenti
subiti
dal
bambino.
ESAME
CLINICO
L’esame
diagnostico
si
avvale
del
momento
dell’ispezione
clinica,
dell’esame
radiografico
e
dei
test
di
vitalità.
Le
proiezioni
usate
maggiormente
sono:
• Proiezione
frontale
con
tubo
radiogeno
posto
perpendicolare
al
dente
in
questione.
• Proiezione
occlusale.
Le
dimensioni
della
pellicola
utilizzata
dipendono
dalle
dimensioni
della
bocca
del
paziente.
• Proiezione
laterale
extraorale
dalla
parte
mesiale
o
distale
del
dente
in
questione.
È
consigliata
soprattutto
nelle
intrusioni
per
i
denti
decidui:
è
infatti
utile
per
mettere
in
evidenza
i
rapporti
dell’apice
del
dente
colpito
e
il
germe
del
succedaneo
e
la
direzione
della
dislocazione.
I
test
di
vitalità
sono
i
test
termici
ed
elettrici.
Se
effettuati
dopo
il
trauma
danno
frequentemente
dei
FN,
a
causa
della
transitoria
mancanza
di
risposta
conseguente
allo
shock
pulpare
transitorio
dopo
il
trauma.
Di
solito
può
bastare
un
mese
ma
in
certi
casi
ne
sono
necessari
anche
tre
per
poter
fare
una
corretta
diagnosi
pulpare.
Per
questo
è
fondamentale
un
follow-‐up
prolungato
nel
tempo.
Le
istruzioni
che
dovremmo
dare
al
paziente
sono:
• Cibi
morbidi
per
10-‐14
gg
• Lavare
i
denti
con
spazzolino
a
setole
morbide
dopo
ogni
pasto
• Eseguire
sciacqui
di
clorexidina
(0,12%)
due
volte
al
giorno
per
sette
giorni.
Nei
bambini
invece
la
clorexidina
si
applica
localmente
nell’area
colpita
sotto
forma
di
gel
e
con
un
batuffolo
di
cotone;
anche
in
questo
caso
2
volte
al
gg
per
1
settimana
(bimbi
piccoli
non
possono
fare
degli
sciacqui).
• In
caso
di
ferita
al
labbro
applicare
burro
di
cacao
per
prevenire
secchezza
delle
labbra
87
• Limitare
l’uso
del
ciuccio
per
i
bambini
• Avvertire
i
genitori
delle
possibili
complicanze:
edema,
aumentata
mobilità,
fistole
e
soprattutto
avvertire
i
genitori
dei
possibili
danni
ai
denti
permanenti
dopo
INTRUSIONE,
AVULSIONE
E
FRATTURE
OSSO
ALVEOLARE
NEI
BAMBINI
SOTTO
I
3
ANNI
(non
si
è
ancora
completata
la
mineralizzazione
completa
della
corona).
CLASSIFICAZIONE
- Fratture
dento-‐aveolari
o FRATTURE
CORONALI
SEMPLICI:
All’esame
clinico
la
frattura
interessa
solo
lo
smalto
o
smalto
e
dentina
senza
esposizione
pulpare.
Il
test
di
vitalità
può
essere
negativo.
All’rx
si
eseguono
tre
radiografie
in
tre
diverse
proiezioni
(frontale,
occlusale
o
laterale)
e
permette
di
escludere
dislocazioni,
fratture
radicolari
o
ossee,
e
che
la
camera
pulpare
sia
interessata
dalla
frattura
(le
tre
proiezioni
sono
consigliate
dalle
linee
guida
dell’IADT,
in
realtà
poi
spesso
la
proiezione
frontale
basta
ed
avanza).
Se
il
frammento
coronale
è
presente
la
terapia
consiste
nel
riattacco
di
questo,
altrimenti
si
può
eseguire
un
restauro
diretto
in
CVI
o
con
il
flow
che
dovrà
durare
fino
a
che
i
test
pulpari
non
mi
confermeranno
la
vitalità
del
dente.
Nei
denti
decidui
si
cerca
di
smussare
i
margini
taglienti.
Se
possibile
il
dente
può
essere
restaurato
con
CVI
o
compositi,
ma
non
è
sempre
facile
lavorare
con
bimbo
che
ha
subito
un
trauma.
o FRATTURA
CORONALE
CON
ESPOSIZONE
PULPARE:
All’esame
clinico
si
ha
frattura
che
interessa
smalto
e
dentina
ed
esposizione
pulpare.
Una
sola
rx
frontale
(ma
anche
qui
l’IADT
ne
consiglia
tre)
è
utile
per
stabilizzare
l’estensione
della
frattura,
lo
stadio
di
maturazione
dell’apice
e
nei
denti
decidui
lo
stadio
di
formazione
della
radice.
La
terapia
varia
a
seconda
dell’età:
Negli
adulti
si
procede
con
il
trattamento
endodontico;
nei
giovani,
con
denti
che
presentano
apice
immaturo,
si
cerca
di
preservare
la
vitalità
pulpare
con
incappucciamento
diretto
o
pulpotomia
(mediante
Idrossido
di
Ca
o
pasta
di
Kri).
Anche
per
i
denti
decidui
la
terapia
consiste
nel
mantenere
la
vitalità
pulpare
con
incappucciamento
diretto
o
pulpotomia,
sfruttando
così
le
capacità
di
riparazione
dell’elemento
dentale;
se
il
bambino
non
consente
tali
procedure
si
prosegue
per
l’estrazione.
o FRATTURA
CORONO-‐RADICOLARE:
All’esame
clinico
si
può
vedere
che
frattura
interessa
smalto,
dentina
e
si
estende
anche
a
livello
radicolare,
con
o
senza
esposizione
pulpare.
88
Occasionalmente
si
possono
osservare
frammenti
di
dente
mobili
ma
ancora
attaccati.
Quando
avviene
nei
denti
decidui
questi
possono
presentare
dislocazione
da
minima
a
moderata
(quando
questa
frattura
avviene
nel
permanente
non
c’è
mai
dislocazione).
All’rx
si
può
osservare
l’estensione
della
frattura
in
rapporto
al
margine
gengivale.
Per
i
denti
permanenti
la
terapia
è
analoga
a
quella
della
frattura
con
esposizione
pulpare;
talvolta
può
essere
necessario
effettuare
un
allungamento
di
corona
per
esporre
il
margine
sottogengivale.
Nei
casi
in
cui
si
abbia
un
frammento,
conviene
attaccarlo
anche
come
misura
temporanea,
prima
che
possa
essere
formulato
un
piano
di
trattamento
definitivo.
Per
i
decidui
la
terapia
consiste
nell’estrazione,
facendo
molta
attenzione
a
non
provocare
traumi
al
germe
del
permanente
che
si
trova
vicinissimo
alla
radice.
o FRATTURA
RADICOLARE:
All’esame
clinico
il
frammento
coronale
può
essere
mobile
e
dislocato,
ma
non
necessariamente.
L’rx
permette
di
localizzare
la
rima
di
frattura
che
può
essere
orizzontale,
e
in
genere
si
trova
a
livello
del
1/3
coronale
della
radice
(e
si
valuta
con
la
proiezione
frontale),
oppure
diagonale,
e
in
genere
si
trova
al
livello
del
1/3
apicale
(e
si
valuta
con
la
proiezione
occlusale).
A
volte
il
dente
può
andare
anche
in
contro
ad
una
discromia,
che
può
essere
grigia
o
rossa.
Per
la
terapia:
se
il
segmento
coronale
è
dislocato
si
riposiziona
in
sede,
e
per
valutare
la
corretta
posizione
si
esegue
un
rx;
quindi
stabilizzo
il
dente
con
uno
splintaggio
flessibile:
se
avviene
a
livello
del
3°
apicale
o
medio
per
4
settimane,
se
invece
avviene
a
livello
del
3°
cervicale
per
4
mesi.
Si
esegue
quindi
un
follow-‐up
di
almeno
1
anno;
il
nostro
auspicio
è
che
la
polpa
si
rivascolarizzi
e
che
mantenga
la
propria
vitalità;
se
ciò
non
avviene
e
va
in
necrosi
allora
si
effettua
il
trattamento
canalare
solamente
fino
a
livello
della
rima
di
frattura,
poiché
il
frammento
apicale
tende
a
riassorbirsi
autonomamente.
Se
avviene
sui
denti
decidui
si
estrae
il
dente
e
si
lascia
in
sede
il
frammento
apicale
in
attesa
del
suo
riassorbimento.
o FRATTURA
OSSO
ALVEOLARE:
All’esame
clinico
la
frattura
interessa
l’osso
alveolaree
può
estendersi
fino
all’osso
adiacente.
Il
segmento
osseo
che
contiene
il
dente
è
mobile
e
generalmente
dislocato.
È
possibile
spesso
notare
interferenze
occlusali
dovute
al
dislocamento
dei
segmenti
alveolari
fratturati,
mentre
i
test
di
vitalità
del
dente
possono
essere
positivi
o
negativi.
Conviene
eseguire
un
OPT
per
visualizzare
meglio
la
linea
di
frattura.
Per
quanto
riguarda
i
denti
decidui
possono
essere
necessarie
più
endorali
in
diverse
proiezioni:
quella
frontale
evidenzia
la
posizione
della
rima
di
frattura
dell’osso
alveolare
in
rapporto
agli
apici
dei
decidui
e
ai
germi
dei
permanenti;
quella
laterale
può
89
evidenziare
i
rapporti
tra
decidui
e
germi
dei
permanenti
e
indicare
se
il
segmento
alveolare
è
dislocato
vestibolarmente
o
lingualmente.
La
terapia
consiste
nel
riposizionare
il
segmento
alveolare
dislocato
ed
effettuare
uno
splintaggio
flessibile
per
4
settimane.
Spesso
è
indicata
l’anestesia
generale.
Per
i
denti
decidui
è
importante
effettuare
il
monitoraggio
dei
denti
a
livello
della
rima
di
frattura
fino
al
completamento
della
permuta.
- Lussazioni
o CONCUSSIONI:
All’esame
clinico
il
dente
si
presenta
sensibile
al
contatto
ma
non
presenta
mobilità
aumentata
e
non
presenta
sanguinamento
del
solco
gengivale.
All’rx
non
si
apprezza
nessun
segno:
Lo
spazio
del
legamento
risulta
normale
e
non
allargato.
La
terapia
non
è
necessaria,
si
esegue
solo
il
monitoraggio
della
salute
pulpare
per
almeno
un
anno.
o SUBLUSSAZIONE:
All’esame
clinico
il
dente
ha
mobilità
aumentata
ma
non
è
stato
dislocato.
Si
può
osservare
sanguinamento
del
solco
gengivale
(segno
patognomonico).
All’rx
di
solito
non
si
ha
nessun
segno:
lo
spazio
del
legamento
parodontale
risulta
normale.
Per
il
confort
del
paziente
si
può
eseguire
uno
splintaggio
flessibile
per
2
settimane,
mentre
i
denti
decidui
non
richiedono
terapia.
o LUSSAZIONE
ESTRUSIVA:
All’esame
clinico
il
dente
appare
estruso,
e
presenta
mobilità
marcata.
All’rx
l’ampiezza
del
legamento
parodontale
è
aumentata
a
livello
apicale,
mentre
il
test
di
vitalità
è
negativo,
poiché
si
sono
strappate
le
fibre
nervose.
La
terapia
consiste
nel
riposizionamento
del
dente
nell’alveolo,
chiaramente
sotto
anestesia,
ed
effettuare
uno
splintaggio
flessibile
per
2
settimane.
Per
i
denti
decidui
invece
bisogna
valutare
il
grado
di
maturazione
del
dente.
Con
il
dente
immaturo,
e
se
l’estrusione
è
lieve
(<3mm),
si
riposiziona
delicatamente
il
deciduo
e
attendere
lo
spontaneo
allineamento.
Con
il
dente
completamente
formato,
e
se
l’estrusione
è
severa,
si
procede
con
l’estrazione.
La
scelta
della
terapia
dipende
anche
dal
grado
di
collaborazione
del
paziente.
o LUSSAZIONE
LATERALE:
All’Esame
clinico
il
dente
si
presenta
dislocato,
di
solito
linguale
o
vestibolare,
spesso
immobile,
non
sensibile
al
contatto,
negativo
ai
test
di
vitalità,
e
alla
percussione
emette
un
suono
metallico
(tipico
dell’anchilosi).
All’rx
l’ampiezza
del
legamento
parodontale
è
aumentata
a
livello
apicale,
e
visibile
soprattutto
nella
proiezione
occlusale
ed
obliqua
(nei
vari
casi
di
lussazione
l’IADT
consiglia
quattro
90
proiezioni:
frontale,
occlusale,
obliqua
mesiale
e
obliqua
distale).
Per
quanto
riguarda
la
terapia
questa
varia
in
base
all’età:
Il
nostro
obbiettivo
deve
essere
quello
di
cercare
di
ottenere
una
rivascolarizzazione
dell’elemento
dentale,
e
ciò
avviene
con
più
probabilità
tanto
più
l’apice
dell’elemento
dentale
è
immaturo.
Prima
di
tutto
il
dente
deve
essere
mobilitato,
anche
con
l’ausilio
della
pinza,
per
poterlo
riposizionare
nella
sua
sede,
e
ciò
si
verifica
con
un’endorale.
Quindi
si
esegue
lo
splintaggio
per
4
settimane.
Si
deve
monitorare
la
vitalità
pulpare
e
nel
caso
in
cui
questa
continui
a
risultare
negativa,
allora
devo
eseguire
la
devitalizzazione.
Sui
denti
decidui
invece
valuto
il
grado
di
dislocazione:
Dislocazione
lieve
o
moderata:
se
siamo
in
assenza
di
interferenza
occlusale
si
attende
il
riposizionamento
spontaneo;
in
presenza
di
interferenza
occlusale
minima
si
fa
un
leggero
molaggio
selettivo;
invece
in
presenza
di
interferenza
occlusale
più
importante
si
riposiziona
delicatamente
il
deciduo
con
pressione
combinata
vestibolare
e
palatale.
Dislocazione
severa:
estrazione
soprattutto
se
la
corona
è
dislocata
in
direzione
vestibolare.
o LUSSAZIONE
INTRUSIVA:
All’esame
clinico
il
dente
è
dislocato
assialmente
in
profondità
dell’alveolo
osseo,
è
immobile,
e
alla
percussione
presenta
un
suono
metallico.
All’rx
lo
spazio
parodontale
è
assente.
In
questi
casi
si
deve
lussare
leggermente
il
dente
con
la
pinza
sotto
anestesia.
Se
l’apice
è
immaturo
si
può
tentare
di
aspettare
una
spontanea
estrusione
del
dente,
ma
se
non
si
osserva
nessun
movimento
entro
3
settimane
effettuo
un
rapido
riposizionamento
ortodontico.
Invece
se
l’apice
è
maturo
bisogna
estrudere
il
dente
chirurgicamente
o
ortodonticamente.
La
polpa
è
quasi
sicuramente
in
necrosi,
per
cui
conviene
effettuare
il
trattamento
endodontico
già
dopo
7-‐10
giorni;
prima
di
chiudere
il
dente
però
è
consigliato
aspettare
1-‐3
settimane
con
medicazioni
di
idrossido
di
Ca.
Per
quanto
riguarda
i
decidui
invece
il
dente
è
generalmente
dislocato
nella
parete
vestibolare
dell’alveolo
(caso
più
favorevole)
o
assialmente
andando
ad
interferire
con
la
gemma
del
succedaneo
(caso
meno
favorevole).
All’rx
quando
l’apice
è
dislocato
nella
parete
alveolare
vestibolare,
l’estremità
apicale
può
essere
visualizzata
nella
radiografia
e
il
dente
appare
più
corto
del
controlaterale
(situazione
favorevole).
Quando
l’apice
è
dislocato
verso
il
germe
del
permanente,
l’estremità
apicale
non
può
essere
visualizzata
e
il
dente
appare
allungato
si
ha
una
intrusione
assiale.
Terapia:
se
l’apice
è
dislocato
nella
91
parete
alveolare
vestibolare
attendo
il
riposizionamento
spontaneo.
Se
l’apice
è
dislocato
nel
germe
dentario
del
succedaneo
procedo
con
l’estrazione.
- Avulsione:
Fondamentali
per
la
prognosi
sono
le
misure
di
primo
soccorso.
Bisogna
innanzitutto
accertarsi
che
il
dente
sia
un
permanente
(nei
bambini);
si
deve
trovare
il
dente,raccoglierlo
dalla
parte
della
corona
evitando
di
toccare
la
radice,
se
è
sporco
lavarlo
per
10
secondi
in
acqua
corrente
fredda
e
reimpiantarlo
il
prima
possibile.
Si
fa
quindi
mordere
un
fazzoletto
per
tenere
il
dente
in
posizione,
e
recarsi
dal
dentista.
Se
non
è
possibile
il
reimpianto
(per
esempio
per
la
mancanza
di
collaborazione),
si
deve
conservare
il
dente
in
un
bicchiere
di
latte
o
di
soluzione
fisiologica
(non
in
acqua),
oppure
in
bocca
tenendolo
nel
fornice
tra
i
molari
e
la
guancia.
Il
dentista
può
quindi
trovarsi
di
fronte
ad
una
serie
di
situazioni,
nei
confronti
dei
quali
si
deve
comportare
in
maniera
differente.
1.
Dente
ad
apice
maturo
a.
Dente
reimpiantato
2.
Dente
ad
apice
immaturo
b.
Dente
conservato
bene
per
<
60
min
c.
Dente
non
conservato
bene
per
>
60
min
1a
–
Pulire
la
zona
con
spray
ad
acqua,
soluzione
fisiologica
o
clorexidrina.
Il
dente
non
va
estratto,
ma
si
deve
valutare
la
sua
corretta
posizione,
e
successivamente
stabilizzare
con
uno
splint
flessibile
per
2
settimane
(non
di
più
per
evitare
l’anchilosi).
Se
necessario
si
sutura
le
eventuali
lacerazioni
gengivali,
soprattutto
se
cervicali.
Quindi
si
lascia
il
paziente
sotto
copertura
antibiotica
per
7
giorni
(controllare
anche
l’antitetanica
se
il
frammento
è
caduto
in
terra).
La
terapia
canalare
si
effettua
7-‐10
giorni
dopo
il
reimpianto
e
prima
della
rimozione
dello
splinting,
ma
prima
della
chiusura
definitiva
è
consigliabile
una
chiusura
intermedia
con
l’idrossido
di
Ca
per
7-‐10
giorni.
1b
–
Se
è
contaminata,
pulire
la
superficie
radicolare
e
il
forame
apicale
con
un
lavaggio
di
fisiologica.
E’
importante
rimuovere
il
coagulo
che
si
è
formato
mediante
lavaggio
di
fisiologica
o
anche
courettage.
Prima
di
reimpiantare
il
dente
verifico
se
c’è
una
frattura
della
parete
alveolare
(nel
caso
riposizionarla),
quindi
suturo
le
eventuali
dilacerazioni.
Il
dente
reimpiantato
viene
stabilizzato
con
un
bloccaggio
per
2
settimane,
e
il
paziente
tenuto
sotto
copertura
antibiotica
per
una
settimana.
Dopo
7-‐10
giorni
effettuo
la
terapia
canalare.
1c
–
La
prognosi
a
lungo
termine
non
è
buona
poiché
il
legamento
parodontale
è
andato
incontro
a
necrosi
e
non
può
guarire.
Il
nostro
obbiettivo
è
quindi
arrivare
ad
un
anchilosi
funzionale,
favorendo
la
crescita
dell’osso
alveolare
intorno
al
dente.
Quindi
si
rimuove
il
legamento
parodontale
necrotico
attaccato
alla
radice
con
una
garza,
e
poi
si
immerge
il
92
dente
in
una
soluzione
al
2%
di
fluoruro
di
sodio
per
almeno
20
minuti;
dopodiché
si
reimpianta.
Anche
in
questo
caso
va
rimosso
il
coagulo
che
si
è
formato
all’interno
dell’alveolo,
vanno
riposizionate
eventuali
fratture
alveolari
e
vanno
suturate
eventuali
dilacerazioni.
Il
trattamento
canalare
può
essere
effettuato
prima
del
reimpianto
o
dopo
7-‐10
giorni.
Con
questa
operazione
però
nei
pazienti
giovani
(<
15
anni)
si
rischia
di
andare
incontro
alla
infraocclusione:
se
questa
è
>
1mm
effettuo
una
decoronazione
dell’elemento
dentale
per
preservare
l’altezza
della
cresta
alveolare.
Infatti
sfrutto
il
fatto
che
l’osso
mi
può
ricrescere
anche
sopra
la
radice
decoronata,
e
il
frammento
radicolare
va
incontro
a
riassorbimento
spontaneo.
In
questo
modo
però,
mantengo
un
altezza
ossea
adeguata
per
un
successivo
reintervento.
2a
–
La
procedura
è
uguale
a
1a,
con
la
differenza
che
il
nostro
obbiettivo
è
di
ottenere
la
rivascolarizzazione
del
dente.
Quindi
invece
di
eseguire
la
devitalizzazione
dopo
7-‐10
giorni
si
aspettano
almeno
tre
mesi
con
un
controllo
continuo
della
vitalità.
Se
i
test
si
mantengono
negativi
effettuo
il
trattamento
canalare.
2b
–
La
procedura
è
uguale
a
1b.
Per
aiutare
la
guarigione
si
può
ricoprire
la
superficie
radicolare
con
microsfere
di
Minociclina
idrocloridrato
o
immergere
i
dente
in
una
soluzione
di
Doxiciclina.
2c
–
La
procedura
è
uguale
a
2c
FOLLOW-‐UP
Come
è
già
stato
ampiamente
detto
è
fondamentale
il
follow-‐up
nel
tempo.
Infatti
in
base
a
risultati
di
questo
può
variare
sia
la
nostra
terapia
che,
conseguentemente,
la
prognosi.
Patologia
Segni
+
Segni
-‐
Frattura
coronale
semplice,
- Dente
asintomatico
- Dente
sintomatico
complicata
e
corono-‐ - Risposta
+
ai
test
di
vitalità
- Risposta
-‐
ai
test
di
vitalità
radicolare
(considerando
che
si
possono
- Lesioni
periapicali
avere
FN
fino
a
3
mesi)
- Sviluppo
interrotto
dell’apice
- Nei
denti
ad
apice
immaturo
Terapia
endodontica
continua
lo
sviluppo
dell’apice
Continuo
il
monitoraggio
93
Fratture
radicolari
- Risposta
+
ai
test
di
vitalità
- Risposta
-‐
ai
test
di
vitalità
- Segni
radiografici
di
- Lesioni
periapicali
riparazione
tra
i
segmenti
- Radio
trasparenza
adiacente
fratturati
alla
linea
di
frattura
Continuo
il
monitoraggio
Trattamento
endodontico
del
segmento
coronale
alla
linea
di
frattura
Fratture
osso
alveolari
- Risposta
+
ai
test
- Risposta
-‐
ai
test
- Nessuna
lesione
periapicale
- Lesioni
periapicali
e
di
Continuo
il
monitoraggio
riassorbimento
radicolare
esterno
Trattamento
endodontico
Concussioni
e
sublussazioni
- Dente
asintomatico
- Dente
sintomatico
- Risposta
+
ai
test
- Risposta
-‐
ai
test
- Continua
lo
sviluppo
degli
- Lesioni
periapicali
apici
nei
denti
immaturi
- Interruzione
dello
sviluppo
- Lamina
dura
intatta
degli
apici
Continuo
il
monitoraggio
Trattamento
endodontico
Lussazione
estrusiva
- Sintomatologia
minima
- Sintomatologia
severa
- Lieve
mobilità
- Mobilità
accentuata
- Minima
radio
trasparenza
- Risposta
-‐
ai
test
periapicale
- Segni
clinici
e
all’rx
di
Continuo
il
monitoraggio
parodontite
Trattamento
endodontico
e
apecificazione
Lussazione
laterale
- Dente
asintomatico
- Segni
clinici
e
rx
di
- Parodonto
normale
e
guarito
parodontite
- Risposta
ai
test
+
- Aumento
della
mobilità
- Nessun
abbassamento
della
- Abbassamento
delle
creste
cresta
ossea
nell’area
marginale
Continuo
il
monitoraggio
Trattamento
endodontico,
splint,
sciacqui
di
clorexidina
94
Lussazione
intrusiva
- Dente
in
posizione
- Dente
non
in
posizione
e
in
- Lamina
dura
intatta
anchilosi
- Segni
di
riassorbimento
- Segni
rx
di
lesione
periapicale
radicolare
assente
- Segni
di
riassorbimento
periapicale
Avulsione
- Dente
asintomatico
- Dente
sintomatico
- Normale
mobilità
- Eccessiva
mobilità
- Suono
normale
alla
- Suono
metallico
alla
percussione
percussione
- Nessun
segno
rx
di
- Segni
di
riassorbimento
riassorbimento
radicolare
periradicolare
- Corona
in
infraocclusione
- La
radice
continua
a
formarsi
nei
denti
immaturi
CONSEGUENZE
DEI
TRAUMI
DEI
D.D.
A
LIVELLO
DEI
D.
PERMANENTI
La
maggior
parte
degli
studi
epidemiologici
riportano
una
prevalenza
dei
traumi
in
dentatura
decidua
del
12-‐36%.
La
maggior
parte
di
questi
avvengono
tra
i
2,5-‐
5,5
anni
d’età
e
il
picco
di
prevalenza
si
trova
all’incirca
ai
3,5
anni.
Inoltre
è
emerso
che
i
bambini
sono
più
copliti
delle
bambine.
I
denti
più
interessati
sono
gli
incisivi
centrali
superiori
(72-‐98%)
seguiti
dai
laterali
superiori,
gli
incisivi
centrali
inferiori
e
infine
i
canini.
Nell’ambito
dei
traumi
i
più
frequenti
sono
danni
che
interessano
il
parodonto
senza
dislocamento
(59%),
parodonto
con
dislocamento
(22%),
tessuti
duri
dentali
(13%)
e
alcuni
non
presentano
evidenza
clinica
(6%).
Le
lesioni
più
frequenti
in
DD
sono
a
carico
dei
tessuti
molli:
l’osso
alveolare
insieme
al
legamento
parodontale
infatti
sono
più
elastici
e
consentono
un
effetto
di
ammortizzamento
delle
forze
che
raramente
porta
alla
frattura
dei
processi
alveolari.
Inoltre
il
progressivo
riassorbimento
della
radice
rende
più
facile
una
lussazione,
visto
lo
scarso
supporto,
piuttosto
che
una
frattura
dell’elemento.
Le
lussazioni
intrusive
sono
più
frequenti
verso
i
3,2
anni:
il
bambino
comincia
ad
esplorare
ciò
che
gli
sta
intorno
senza
la
sufficiente
coordinazione.
Le
principali
cause
di
traumi
sono:
• Cadute
per
insufficiente
controllo
motorio
• Incidenti
stradali
95
• Traumi
durante
il
gioco
Esistono
delle
linee
guida
molto
diverse
nel
trattamento
di
traumi
che
colpiscono
denti
decidui
permanenti.
I
fattori
che
influenzano
la
scelta
del
trattamento
sono:
la
capacità
del
bambino
di
affrontare
la
situazione
di
emergenza,
il
tempo
dalla
perdita
del
dente
colpito
(fase
di
formazione
radicolare)
e
l’occlusione.
Il
trauma
più
grave
è
l’intrusione→
avulsione→
frattura
alveolare→
lussazione→
frattura
dente.
La
stetta
continuità
della
radice
del
deciduo
e
del
germe
rende
quest’ultimo
molto
vulnerabile
di
qualsiasi
tipo
d’insulto
meccanico,
soprattutto
di
una
lussazione
intrusiva.
Intrusione
e
avulsione
rappresentano
i
traumi
più
severi
che
colpiscono
il
germe
dentario
in
bambini
di
0-‐2
anni.
La
frequenza
di
danno
secondario
causato
da
lesioni
traumatiche
è
compresa
tra
il
12
e
69%.
Nel
25%
dei
traumi
a
carico
degli
incisivi
decidui
si
riscontrano
sequele
a
carico
dei
permanenti
di
sostituzione.
In
un
avulsione
traumatica
l’rx
è
essenziale
per
escludere
l’intrusione
del
dente
mancante,
mentre
per
la
terapia
non
è
consigliato
il
reimpianto
dei
denti
decidui
avulsi.
Le
conseguenze
dei
traumi
a
livello
dei
permanenti
possono
essere:
1. DISCROMIE:
Macchie
bianche/giallo
brunastre
dello
smalto
nettamente
delineate.
L’estansione
varia
da
piccole
lesioni
a
superfici
più
ampie
senza
difetti
rilevabili
sulla
superficie
dello
smalto.
Lo
smalto
colpito
risulta
bianco
per
il
minor
contenuto
minerale
rispetto
allo
smalto
circostante.
Nel
caso
in
cui
i
metaboliti
del
sanguinamento
si
diffondano
in
un’area
dove
sta
ancora
avvenendo
la
formazione
dello
smalto,
il
risultato
sarà
una
discromia
giallo/brunastra.
2. IPOPLASIA:
Lesione
bianca
o
giallo-‐brunastra
con
difetti
di
superficie
rilevabili.
Lì
estensione
può
variare
da
piccole
superfici
ad
aree
più
estese.
Una
forma
particolare
è
l’IPOPLASIA
ORIZZONTALE:
sottile
indentazione
orizzontale
dello
smalto
che
spesso
si
associa
a
discromie.
È
dovuta
ad
un
arresto
localizzato
della
matrice
dello
smalto
prima
del
completamento
della
mineralizzazione.
Poiché
gli
ameloblasti
sono
insostituibili
e
non
vanno
incontro
ad
ulteriori
divisioni,
una
dislocazione
traumatica
delle
radici
dei
D.D.
può
interferire
nella
fase
secretiva
dell’attività
ameloblastica
causando
questo
difetto
dello
smalto.
3. DILACERAZIONE
DELLA
CORONA
O
RADICE:
Deviazione
di
una
parte
del
segmento
coronale
o
radicolare
rispetto
l’asse
lungo
del
dente.
La
dilacerazione
della
corona
è
il
risultato
della
dislocazione
non
assiale
di
un
tessuto
duro
già
formato
rispetto
ad
una
matrice
di
smalto
non
ancora
mineralizzata.
96
4. SVILUPPO
RADICOLARE
INTERROTTO:
Parziale
o
completo
arresto
della
formazione
della
radice
5. RITENZIONE
DEL
SUCCEDANEO
PER
ANCHILOSI
O
ERUZIONE
ECTOPICA:
Per
danno
alla
guaina
epiteliale
di
Hertwig
Tali
conseguenze
dipendono
dall’epoca
di
sviluppo
del
permanente
(età
del
bambino)
e
dal
tipo
di
trauma:
se
avvengono
in
fase
molto
precoce
è
possibile
che
interessino
la
sola
corona
del
P,
se
avvengono
in
età
successiva
vi
è
una
probabile
ripercussione
sulla
corona
e
sulla
radice.
Bambini<
3
anni
→
deformazione
corona;
ipoplasia
smalto
Bambini>
3
anni
→
alterazioni
di
eruzione
RIATTACCO
DEL
FRAMMENTO
Il
riattacco
del
frammento
a
seguito
di
un
trauma
è
consigliabile
per
una
serie
di
motivi:
• Anatomici:
è
difficile
ricostruire
un
dente
uguale
al
100%
• Di
resistenza:
Lo
smalto
è
più
resistente
del
composito,
e
nella
linea
di
saldatura
si
può
sempre
reintervenire
• Di
reintervento
• Di
durata
Esistono
due
tecniche
operative
che
si
differiscono
solamente
per
la
tempistica
con
cui
viene
eseguito
il
bisello
− Tecnica
di
Simonsen
→
Il
bisello
si
esegue
prima
del
riattacco
del
frammento.
Dopo
aver
isolato
il
campo,
e
deterso
con
soluzione
fisiologica,
si
fa
un
bisello
sia
palatale
che
vestibolare.
Quindi
si
mordenza
il
dente,
si
cementa
il
frammento
e
infine
si
riempie
il
solco
residuo
con
del
composito.
Quindi
si
effettua
la
rifinitura.
− Secondo
una
nuova
tecnica
inventata
da
un
gruppo
di
Padova,
il
bisello
si
può
effettuare
dopo.
Si
riattacca
prima
il
dente
per
poterlo
riposizionare
nella
giusta
posizione,
quindi
si
fa
il
bisello.
97
APPENDICE
98
giorno
per
bambini
tra
2-‐4
anni.
Bisogna
inoltre
dire
che
mentre
i
denti
permanenti
il
fluoro
è
determinante
per
la
prevenzione
di
carie,
non
vale
altrettanto
per
i
decidui.
Per
effettuare
la
diagnosi
esistono
diversi
indici:
• Indice
di
Dean
(1930)
Normal
→
Smalto
normale.
Questionable
→
Si
intravede
un
inizio
di
opacità
corrispondente
alle
strie
di
Retzius;
non
ha
le
caratteristiche
dello
smalto
normale
ma
nemmeno
c’è
una
lesione
vera
e
propria.
Very
Mild
→
Sulla
superficie
si
osservano
opacità
più
ampie
dovute
alla
confluenza
di
più
strie
di
Retzius,
ma
non
raggiungono
mai
il
25%
della
superficie
totale.
Mild
→
Opacità
oltre
il
50%
della
superficie.
Moderate
→
Oltre
che
alla
normale
porosità,
ci
sono
affossamenti
e
depressioni
che
tendono
a
confluire
con
un’alterazione
generale
della
superficie
del
dente
Severe
→
Il
dente
finchè
non
è
erotto
è
integro,
seppur
con
lo
smalto
alterato;
quando
poi
è
in
occlusione
non
sopporta
i
carichi
masticatori
e
tende
a
usurarsi
molto
velocemente.
• Indice
TF
(Thylstrup-‐Fejerskov)
o 0
o
normale
→
Normale
traslucenza
dello
smalto,
rimane
anche
dopo
prolungato
soffio
d’aria.
o Fluorosi
lieve
1
→
Strisce
molto
sottili
corrispondenti
alle
strie
di
Retzius
2
→
A
livello
delle
superfici
liscie
le
linee
che
seguono
le
strie
di
Retzius
presentano
un’opacità
accentuata
e
tendono
a
confluire.
A
livello
del
tavolato
occlusale
invece
le
aree
sono
<2
mm
e
coinvolgono
anche
le
cuspidi
3
→
A
livello
delle
superfici
lisce
si
hanno
aree
irregolari
e
più
estese.
Il
tavolato
occlusale
tende
a
consumarsi
e
ci
trae
in
inganno
perché
lo
smalto
malato
non
si
vede
più.
o Fluorosi
moderate
4
→
Sulla
superficie
si
ha
una
marcata
opacità
bianco
gessoso;
i
denti
sono
sempre
più
consumati.
Le
superfici
occlusali
cominciano
ad
usurarsi
appena
dopo
l’eruzione.
5
→
Su
entrambe
le
superfici
ci
sono
ampie
depressioni.
o Fluorosi
severa
99
6/7/8/9
→
Gravità
sempre
maggiore.
Al
nono
grado
si
ha
perdita
quasi
totale
della
superficie
dello
smalto
con
alterazione
della
forma
del
dente.
Tipico
è
un
sottile
strato
di
tessuto
sano
al
livello
del
margine
cervicale,
anche
nei
casi
più
gravi
di
fluorosi.
La
terapia
ovviamente
varia
a
seconda
della
severità
della
patologia:
• TFI
1-‐2
→
Sbiancamento.
• TFI
2-‐4
→
Microabrasione.
Alcuni
autori
dicono
di
abbinare
le
due
tecniche,
eseguendo
prima
la
microabrasione
e
poi
lo
sbiancamento.
La
microabrasione
è
una
procedura
abbastanza
conservativa
per
risolvere
il
problema
estetico.
Si
effettua
con
pasta
abrasiva
(pomice)
e
gel
di
acido
ortofosforico
al
37%
(o
ac.
Cloridrico
al
10%),
che
viene
strofinata
sulla
superficie
pigmentata
per
10
sec,
seguita
da
un
lavaggio
abbondante
con
H2O
per
20
secondi.
La
procedura
si
può
ripetere
dopo
15
giorni
e
per
più
volte
fino
a
che
non
si
ottengono
buoni
risultati.
• TFI
>5
→
Restauri
diretti
in
compositi
o
indiretti
• TFI
8-‐9
→
Restauro
protesico
OPACITA’
NON
FLUORO
DIPENDENTI
E’
importanti
porle
in
DD
con
le
forme
leggere
della
fluorosi
o
situazioni
miste
di
fluorosi,
o
anche
situazioni
miste
di
fluorosi
e
non
fluorosi.
Si
riscontrano
frequentemente
in
pazienti
con
storia
di
infezione
durante
l’infezione
(otite,
colite).
Possiamo
avere:
• Ipoplasia
dello
smalto
→
E’
un
difetto
quantitativo
e
qualitativo
dello
smalto
poiché
questo
è
di
aspetto
normale
ma
più
sottile
e
irregolare
in
superficie.
Il
paziente
presenta
spesso
sensibilità
dentale.
• Ipomineralizzazione
→
Lo
spessore
è
normale
ma
sono
presenti
alterazioni
qualitative.
Ha
origine
sistemica
e
solitamente
colpisce
tutti
i
molari
permanenti,
e
a
volte
anche
gli
incisivi.
Si
tratta
di
una
patologia
che
colpisce
gli
ameloblasti
in
fase
funzionale,
e
ha
una
prevalenza
che
va
dal
2,4-‐45%.
Gli
aspetti
clinici
che
la
caratterizzano
sono:
o I
denti
decidui
non
ne
sono
affetti
o Opacità
bianche-‐giallo-‐brunastre
ben
demarcate
rispetto
allo
smalto
sulla
superficie
occlusale
e
vestibolare.
o Distribuzione
asimmetrica
o Rischio
di
incisivi
affetti
100
o Molari
sensibili
al
freddo
e
difficilmente
anestetizzabili
o Incisivi
con
problemi
estetici
o Denti
restanti
sani
La
terapia
di
queste
due
patologie
è
analoga
a
quella
della
fluorosi
e
dipende
dalla
severità.
Per
i
restauri
in
composito
la
cosa
più
difficile
è
la
preparazione
cavitaria
perché
non
si
sa
fine
a
che
punto
preparare
(discorso
valido
anche
per
la
fluorosi).
Nell’ipomineralizzazione
inoltre
se
elimino
tutto
lo
smalto
pigmentato
rischio
un
eccessivo
indebolimento
del
dente,
mentre
se
ne
levo
troppo
poco
rischio
la
dissoluzione
dello
smalto
circostante
l’otturazione.
Si
cerca
quindi
di
rimuovere
solo
lo
smalto
poroso
andando
con
molta
cautela
con
la
fresa
fino
a
che
non
si
avverte
manualmente
che
la
resistenza
che
oppone
il
tessuto
ritorna
normale.
E’
però
ovviamente
un
metodo
eccessivamente
empirico;
per
questo
è
importante
mantenere
un
monitoraggio
nel
tempo.
WHITE
SPOT
Porosità
dello
smalto
di
tipo
sotto-‐superficiale
dovuto
a
demineralizzazione
che
si
presenta
con
aree
bianco
latte
più
o
meno
estese.
Questa
demineralizzazione
avviene
anche
in
superficie,
ma
questa
tende
a
rimineralizzarsi
più
velocemente.
Il
50%
dei
pazienti
ortodontici
con
apparecchio
fisso
presenta
almeno
una
white
spot
(percentuale
doppia
rispetto
ai
non
trattati,
solo
il
24%).
Infatti
pazienti
in
terapia
ortodontica
hanno
una
maggior
difficoltà
a
mantenere
un’igiene
orale
corretto;
conseguentemente
si
ha
accumulo
di
placca,
abbassamento
del
pH,
e
una
modificazione
della
composizione
della
flora
batterica
a
favore
dei
batteri
acidofili
(come
il
mutans).
Se
i
batteri
dispongono
di
una
sufficiente
quantità
di
zucchero
abbasseranno
ulteriormente
il
pH,
scendendo
sotto
i
valori
di
4,5.
Una
profilassi
a
base
di
fluoro
può
determinare
un
innalzamento
del
pH,
quindi
aiuta
a
prevenire
questo
rischio,
ma
ciò
non
basta
se
l’igiene
orale
non
è
sufficiente.
Ciò
determina
la
decalcificazione
della
superficie
dello
smalto
adiacente
agli
attacchi
(le
bande
sono
ancora
più
pericolose),
la
quale
si
manifesta
con
la
macchia
bianca.
I
denti
più
colpiti
sono
i
I
molari,
gli
incisivi
laterali,
e
i
canini
inferiori.
Queste
si
possono
formare
anche
nel
giro
di
4
settimane,
localizzate:
• In
adiacenza
alle
apparecchiature
ortodontiche
o
sotto
le
bande
• In
strisce
sottili
che
circondano
la
basetta
del
brackets
• In
aree
tra
il
bracket
e
il
margine
gengivale
(in
pz
con
corona
clinica
bassa)
• Zona
di
distacco
del
retainer
101
Se
non
trattate
queste
lesioni
possono
esitare
in
una
carie,
quindi
è
importante
prevenirli
e
saperli
diagnosticare.
Per
prima
cosa
si
asciuga
bene
il
dente
per
capire
se
è
presente
decalcificazione
e
comprenderne
la
severità.
Questa
viene
espressa
dalla
differenza
di
bianco
che
la
lesione
assume
rispetto
allo
smalto
circostante
dopo
l’asciugatura).
Ancora
meglio
però
è
prevenire
queste
situazioni,
mantenendo
una
corretta
igiene
orale
grazie
all’uso
del
superfloss
(filo
che
presenta
una
parte
rigida
per
poterla
far
passare
tra
tutti
i
denti
con
l’apparecchio),
e
di
un
dentifricio
al
fluoro
o
a
diverse
forme
di
fluoro
(fluoro
di
sodio,
monofluorofosfato,
fluoruro
amminico
o
fluoruro
stannoso).
Quest’ultimo
in
particolare
è
risultato
particolarmente
efficace
in
quanto:
• Gli
ioni
fluoruro
promuovono
la
rimineralizzazione
dello
smalto
con
cristalli
di
fluoro
apatiche,
la
quale
è
meno
solubile
dell’idrossiapatite
• Il
fluoruro
stannoso
inibisce
l’adesione
di
placca
allo
smalto
• Gli
ioni
stagno
inibiscono
il
trasporto
di
saccarosio
dentro
le
cellule
batteriche
Per
i
pazienti
poco
collaboranti
esistono
lacche
ad
alta
concentrazione
di
F;
queste
hanno
mostrato
una
diminuzione
della
demineralizzazione
del
44,3%
dei
casi.
Esistono
inoltre
sigillanti,
primer
e
adesivi
a
rilascio
continuo
di
F.
Dopo
il
Debonding
degli
attacchi
si
ha
una
netta
diminuzione
dell’ambiente
cariogeno,
soprattutto
al
livello
incisale;
è
fondamentale
eliminare
tutti
i
residui
di
composito
perché
determinano
un
accumulo
di
placca.
Le
lesioni
iniziali
di
superficie
si
rimineralizzano
spontaneamente
nel
giro
di
qualche
setimana.
E’
importante
non
dare
il
fluoro
in
questa
fase,
poiché
mi
ha
un
effetto
positivo
sulla
lesione,
bloccandola
e
riminerlizzando
lo
strato
superficiale,
ma
mi
crea
una
barriera
al
passaggio
di
ioni.
Viceversa
in
un
secondo
momento,
se
il
risultato
non
soddisfa
il
paziente,
si
può
eseguire
l’applicazione
topica
di
F
a
basse
concentrazioni
per
favorire
la
penetrazione
in
profondità.
Dopo
6
mesi
la
rimineralizzazione
non
può
più
avvenire,
quindi
posso
fare:
• Microabrasione
–
Spesso
la
prima
seduta
è
quella
che
garantisce
meno
risultati
in
quanto
mi
abrado
lo
smalto
più
superficiale
e
quindi
più
mineralizzato.
• Sbiancamento
–
E’
fondamentale
non
eseguirlo
subito
dopo
il
debonding.
• Faccette
–
soluzione
estrema
102
CONTENZIONE
FISSA
Per
splintaggio
s’intende
l’unione
meccanica
di
diversi
elementi,
solitamente
realizzata
con
l’ausilio
di
un
filo
metallico
e
di
resina
compisita,
al
fine
di
raggiungere
una
maggiore
solidità
in
caso
di
mobilità
dentale
di
uno
o
più
denti.
Lo
splintaggio
risulta
essere
molto
utile
(o
è
addirittura
necessario)
a
fine
di
un
trattamento
ortodontico
di
riallineamento
(soprattutto
del
settore
frontale
inferiore),
ma
anche
per
necessità
parodontali
o
in
caso
di
denti
traumatizzati.
SPLINTAGGIO
POST-‐TRATTAMENTO
ORTODONTICO
I
denti
spostati
dall’apparecchio
con
l’intervento
ortodontico
hanno
la
tendenza
a
ritonare
nella
posizione
iniziale.
La
forma
delle
arcate
non
può
essere
modificata
in
modo
pemanente
ed
è
per
questo
che
si
ha
una
spiccata
tendenza
alla
recidiva,
anche
perché
l’osso
e
i
tessuti
adiacenti
hanno
bisogno
di
tempo
per
riorganizzarsi
dopo
il
trattamento.
Non
esiste
nessuna
variabile
pre-‐
e
post-‐trattamento
che
ci
possa
far
prevedere
la
recidiva:
E’
per
questo
che
se
si
vogliono
ottenere
dei
risultati
a
lungo
termine
sarà
necessario
mantenere
la
contenzione
anche
a
vita.
I
principi
per
la
stabilità
a
lungo
termine
sono:
• Seguire
il
più
possibile
la
forma
d’arcata
di
inizio
trattamento
• Mantenere
il
diametro
intercanino
iniziale
• Mantenere
l’inclinazione
iniziale
degli
incisivi
inferiori
• Ricorrere
alla
fibrotomia
circonferenziale
sopracrestale
(CSF)
nei
casi
di
severe
rotazioni;
infatti
sono
soprattutto
queste
fibre
(ma
non
solamente)
che
ne
determinano
la
recidiva.
• Mantenere
lo
splintaggio
più
a
lungo
possibile
(come
minimo
un
anno
ma
anche
a
vita)
SPLINTAGGIO
DI
DENTI
CON
PARODONTO
RIDOTTO
Le
indicazioni
sono:
• Quando
il
parodonto,
anche
se
guarito
e
ormai
sano,
si
è
ridotto
a
tal
punto
per
cui
il
carico
funzionale
normale
è
divenuto
oramai
eccessivo.
Si
esegue
quindi
lo
splintaggio
al
fine
di
distribuire
il
carico
occlusale
a
più
elementi.
103
• Quando
un
eccessivo
carico
funzionale
localizzato
rischia
di
provocare
l’estrazione
di
un
dente
compromesso
o
la
lacerazione
del
legamento
parodontale.
In
pratica
è
la
stessa
cosa
del
primo
punto
solo
che
localizzata.
• Quando
si
sviluppa
una
parafunzione
su
un
dente
mobile:
Lo
splint
fa
comparire
un
feed-‐back
propriocettivo
che
attenua
la
parafunzione.
• Se
c’è
il
rischio
di
effetti
ortodontici
indesiderati
(soprattutto
a
livello
degli
incisivi).
Tipico
è
lo
sventagliamento
degli
incisivi
superiori
e
l’affollamento
degli
inferiori.
• Se
c’è
il
rischio
di
estrazione
con
le
procedure
di
levigatura
radicolare.
• Se
è
necessaria
stabilità
dopo
un
intervento
di
rigenerativa.
Ci
si
può
render
conto
come
in
molte
di
queste
situazioni,
soprattutto
le
ultime
tre,
l’obbiettivo
principale
non
è
tanto
suddividere
il
carico
funzionale,
quanto
eliminare
la
causa
di
forza
avversa.
Comunque
in
generale
si
parla
di:
- Splint
permanente
⇒
Stabilizzare
denti
con
significativa,
ma
stabile,
perdita
di
attacco
parodontale.
- Splint
temporaneo
⇒
Prevenire
la
mobilità
dei
denti
instabili
durante
la
fase
di
guarigione
di
procedure
rigenerative.
In
questo
caso
quindi
l’obbiettivo
è
mantenere
i
denti
in
una
situazione
funzionale,
estetica
e
di
confort
accettabile
per
un
periodo
di
tempo
più
lungo
possibile.
Uno
splint
temporaneo
può
diventare
permanente
nei
casi
di
severa
perdita
di
attacco.
Per
far
sì
che
ciò
non
avvenga
è
fondamentale
non
determinare
un
peggioramento
della
prognosi
con
un
igiene
non
adeguata:
è
quindi
fondamentale
istruire
i
pazienti
a
mantenere
un
igiene
orale
più
vicina
possibile
alla
perfezione.
SPLINTAGGIO
DI
DENTI
TRAUMATIZZATI
Denti
dislocati
o
avulsi
in
modo
traumatico
richiedono
di
essere
stabilizzati
con
lo
splintaggio.
E’
stato
visto
però
che
splintaggi
rigidi
e/o
prolungati
nel
tempo
possano
portare
ad
anchilosi
dento-‐
alveolare
o
a
riassorbimento
esterno
della
radice.
Per
questo
motivo
è
fondamentale
usare
splint
flessibili
e
per
periodi
brevi
(2-‐4
settimane);
infatti
è
fondamentale
mantenere
una
minima
mobilità
fisiologica
sia
verticale
che
orizzontale
per
garantire
la
guarigione
del
legamento
parodontale.
Cio
nonostante
non
c’è
evidenza
scientifica
di
questo
fatto,
ma
fino
a
che
non
viene
dimostrato
il
contrario
è
necessario
seguire
queste
linee
guida.
104
Lo
splinting
dei
denti
traumatizzati
comprende
il
dente
lesionato
e
i
due
denti
adiacenti
non
traumatizzati,
quindi
saldi,
perché
non
ci
sarebbero
vantaggi
nell’estendere
lo
splint
ulteriormente.
L’obbiettivo
rimane
mantenere
la
fisiologica
mobilità
del
dente
(sempre
per
il
rischio
di
anchilosi).
Le
indicazioni
e
i
tempi
di
splintaggio
indicati
sono:
• Sublussazione
e
lussazione
estrusiva
⇒
Dente
sensibile,
mobile,
estruso
ma
nell’alveolo
(nella
sublussazione
in
sede).
Tempo
di
trattamento:
2
settimane.
• Lussazione
laterale
⇒
Dente
sensibile,
stabile
ma
dislocato
V
o
P.
E’
necessario
mobilitare
il
dente
con
le
pinze
e
rimeterlo
in
posizione
prima
di
applicare
lo
splintaggio:
tempo
di
trattamento:
4
settimane.
• Frattura
radicolare
o Terzo
medio
o
apicale
⇒
4
settimane
o Terzo
coronale
⇒
4
mesi
• Frattura
osso
alveolare
⇒
4
settimane
• Dente
avulso
(Il
dente
andrebbe
rimesso
nell’alveolo
immediatamente,
altrimenti
conservato
in
bocca
o
in
un
bicchiere
di
latte)
o Se
è
stato
<
60
minuti
in
ambiente
extraorale
secco
⇒
2
settimane
o Se
è
stato
>
60
minuti
in
ambiente
extraorale
secco
⇒
4
settimane
(Poiché
le
cellule
del
legamento
parodontale
hanno
cominciato
ad
andare
in
necrosi
la
guarigione
è
sempre
meno
probabile
più
che
passa
il
tempo;
in
certe
situazioni
si
può
sperare
che
avvenga
un
anchilosi,
anche
se
poi,
a
causa
dell’assenza
della
mobilità
fisiologica
che
mi
comporta
un
aumento
del
carico,
si
rischia
di
andare
incontro
a
riassorbimento
osseo.
TECNICA
OPERATIVA
I
requisiti
di
una
tecnica
operativa
sono:
- Procedura
semplice
- Adeguata
fissazione
e
stabilità
- Non
deve
determinare
trauma
addizionale
- Deve
consentire
la
fisiologica
mobilità
- Non
ci
devono
essere
interferenze
occlusali
- Facile
da
tenere
pulito
(più
lontani
possibile
dalla
gengiva)
105
- No
danni
alla
gengiva
- Estetico
- Consentire
test
di
vitalità
e
trattamento
endodontico
Esistono
sostanzialmente
quattro
tecniche
operative,
le
quali
sono
state
messe
a
confronto
con
Periotest
(ci
indica
la
mobilità
del
dente,
che
deve
essere
simile
a
quella
fisiologica):
• TTS
(Titanium
trauma
splint):
Metodo
di
splintaggio
che
permette
di
associare
diversi
aspetti
favorevoli
tra
cui
maneggevolezza
e
le
facilità
di
applicazione
in
bocca.
• Filo
ortodontico:
E’
fondamentale
l’operazione
di
passivazione
del
filo.
I
fili
Ni-‐Ti
sono
più
difficili
da
passivare,
quindi
da
evitare,
mentre
i
Cr-‐Co
sono
ideali.
E’
da
evitare
inoltre
la
sezione
rettangolare,
mentre
è
meglio
quella
quadrata
o
circolare.
• Resina
• Legature
A
parte
la
resina,
non
è
stata
rilevata
alcuna
differenza
tra
le
varie
tecniche.
Altre
piccole
alternative
possono
essere:
• Uso
della
mascherina
• Uso
del
flow:
conferisce
una
serie
di
vantaggi
tra
cui
una
più
precisa
e
accurata
applicazione
(grazie
alla
siringa),
non
sono
necessarie
procedure
di
rifinitura
e
lucidatura
e
una
sostanziale
diminuzione
del
tempo
di
lavoro.
• Uso
del
Ribbond
(nastro
di
fibro
di
vetro
al
posto
del
filo
metallico).
• Si
può
eseguire
lo
splintaggio
intradentale,
accogliendo
il
filo
in
una
doccia
creata
con
la
fresa.
In
questo
caso
è
più
facile
mantenere
l’igiene.
PROTOCOLLO
OPERATIVO
1. Diga
di
gomma.
2. Superficie
linguale
deve
essere
pulita
con
la
pomice.
3. Mordenzatura
con
acido
orto
fosforico
al
37
%
per
30
sec.
4. Lavo
e
asciugo.
5. Si
taglia
la
lunghezza
necessaria
di
filo
(o
Ribbond).
6. Si
applica
il
filo
sulla
superficie
linguale
dei
denti
fissandolo
con
pezzi
di
cera
a
livello
dei
quarti.
Se
il
bondaggio
arriva
solo
a
livello
dei
canini
tende
a
staccarsi
di
meno,
ma
contiene
molto
di
meno
gli
incisivi.
Viceversa,
quando
si
esegue
superiormente
è
meglio
fermarsi
a
livello
dei
laterali
ed
evitare
i
canini.
106
7. Applicazione
dell’adesivo
con
procedura
standard.
Sarà
preferibile
un
adesivo
total-‐etch
in
virtù
del
fatto
che
siamo
solo
su
smalto.
Se
si
usa
il
ribbond
l’adesivo
si
applica
anche
su
di
esso,
e
poi
il
ribbond
stesso
viene
posizionato
in
sede
applicando
una
leggera
pressione
usando
uno
strumento
arrotondato.
8. Applicazione
del
composito
a
copertura
(sia
con
il
filo
che
con
il
ribbond).
9. Rifinitura
degli
spazi
interprossimali
e
di
eventuali
punte,
e
lucidatura
finale.
PROBLEMI
- Distacco
o
rottura
- Difficoltà
nelle
procedure
di
igiene
107
STRIPPING
È
una
procedura
di
riduzione
dello
smalto
interprossimale.
Quando
viene
effettuata?
1. Per
correggere
denti
con
problemi
dimensionali
2. Per
dare
una
migliore
morfologia
a
denti
con
forme
anomale
e/o
ridurre
i
triangoli
neri
3. Per
risolvere
problemi
di
affollamento
in
associazione
alla
terapia
ortodontica
I
denti
migliori
come
candidati
allo
stripping
sono:
INCISIVI
TRIANGOLARI
(sono
solitamente
i
laterali
inferiori)
e
i
PREMOLARI
DI
FORMA
OVOIDALE.
CORREGGERE
DENTI
CON
PROBLEMI
DIMENSIONALI
Si
va
a
valutare
l’INDICE
DI
BOLTON:
determina
i
rapporti
tra
gli
elementi
delle
due
arcate.
Bolton
era
dentista
che
prese
pazienti
con
occlusioni
considerate
ideali
e
misurò
il
diametro
MD
di
tutti
i
denti
e
ottenne
dei
valori.
Sommò
poi
tutti
i
diametri
MD
degli
elementi
dell’arcata
superiore;
il
risultato
ottenuto
lo
rapportò
alla
somma
dell’inferiore
(sup
dividendo,
inf
divisore).
Il
valore
ottenuto
variava
da
87,5
–
99,8%
e
la
media
era
91,3%
L’indice
di
Bolton
relativo
ai
settori
anteriori
(ABI)
risultava
in
media
77,2%
molto
importante
nella
valutazione
clinica.
Se
questo
indice
risultava
alterato
era
indice
di
alterazioni
nell’occlusione.
DARE
MIGLIORE
MORFOLOGIA
A
DENTI
CON
FORME
ANOMALE
E/O
RIDURRE
I
TRIANGOLI
NERI
I
triangoli
neri
si
trovano
quando
è
aumentato
lo
spazio
tra
2
superfici
interprossimali.
Sono
spessissimo
indicazione
allo
stripping
per
motivi
estetici.
Le
cause
di
comparsa
possono
essere
molteplici:
− Punti
di
contatto
troppo
incisali
− Perdita
di
supporto
parodontale
− Forma
divergente
o
triangolare
delle
corone
− Non
corretta
angolazione
delle
radici
− Restauri
protesici/conservativi
impropri
− Procedure
scorrette
di
igiene
dentale
Uno
studio
ha
riportato
una
relazione
tra
distanza
del
punto
di
contatto
e
la
cresta
ossea
interdentale
e
la
salute/presenza
della
papilla:
108
− Distanza
p.d.c.
–
cresta
ossea
interprossimale
≤
5
mm,
la
papilla
è
conservata
nel
100%
dei
casi
− Distanza
p.d.c.
–
cresta
ossea
interprossimale
circa
6
mm,
la
papilla
è
presente
nel
56%
dei
casi
− Distanza
p.d.c.
–
cresta
ossea
interprossimale
>
7
mm
la
papilla
è
presente
raramente
(27%
o
meno)
Capisco
quindi
che
se
il
mio
punto
di
contatto
è
troppo
coronale
si
possono
formare
i
triangoli
neri.
Particolare
attenzione
va
fatta
duranTe
i
trattamenti
ortodontici
dove
si
può
verificare
una
recessione
gengivale
per:
− Radici
divergenti
degli
elementi
per
posizionamento
improprio
del
bracket
− Denti
con
forma
anomala
o
alterata
usura
interprossimale
in
posizione
di
affollamento
prima
del
trattamento
ortodontico
− Malattia
parodontale
avanzata
Nel
paziente
ortodontico
si
può
verificare
la
comparsa
dei
triangoli
neri
perché
riallineando
denti
che
erano
affollati
o
coperti
tra
loro
e
magari
con
corone
triangolari,
appaiono
i
triangoli
con
conseguenze
anestatiche.
→
E’
BENE
FARE
UNA
ATTENTA
VALUTAZIONE
PRIMA
DELLA
TERAPIA
ORTODONTICA.
Come
ricostituire
la
papilla?
− Sposto
apicalmente
il
punto
di
contatto
− Sposto
coronalmente
la
cresta
alveolare
con
estrusione
dentale
controllata
− Combino
le
due
precedenti
Spostare
apicalmente
il
punto
di
contatto
è
l’opzione
più
facile
e
veloce.
Può
essere
eseguita
con:
− Restauro
protesico
− Restauro
in
composito
− Modifica
dell’angolazione
radicolare
− STRIPPING
Gli
obiettivi
della
ricostituzione
della
papilla
sono:
− Conferire
forma
anatomica
migliore
agli
incisivi
− Spostare
più
apicalmente
il
punto
di
contatto
109
− Allungare
l’area
di
connessione
(superficie
dove
visivamente
i
denti
sembrano
toccarsi)
secondo
la
regola
del
50-‐40-‐30.
Questa
proporzione
mi
dice
che
in
un
sorriso
armonico
questa
area
di
contatto
deve
essere
• Tra
IC
–
IC
il
50%
della
superficie
dell’
IC
• Tra
IC
–
IL
il
40%
riferito
sempre
alla
superficie
dell’
IC
• Tra
IL
–
C
il
30%riferito
sempre
alla
superficie
dell’
IC
− Area
di
connessione
deve
essere
parallela
alla
linea
mediana
facciale
− Eliminazione
del
triangolo
nero
RISOLVERE
PROBLEMI
DI
AFFOLLAMENTO
IN
ASSOCIAZIONE
ALLA
TERAPIA
ORTODONTICA
Nell’arcata
inferiore
per
cercare
di
risolvere
problemi
di
affollamento
possiamo:
− RUOTARE
I
DENTI
(spesso
il
diametro
V-‐L
occupa
più
spazio
ma
va
sempre
visto
caso
a
caso)
− VESTIBOLARIZZARE
INCISIVI
FRONTALI
(limiti
sono
rappresentati
dalla
tipologia
morfo-‐
scheletrica
del
paziente)
− LEE-‐WAY
SPACE:
discrepanza
di
spazio
in
arcata
tra
dentizione
decidua
e
permanente.
Questo
si
verifica
soprattutto
a
livello
dei
secondi
molaretti
che
sono
molto
più
larghi
in
senso
M-‐D
rispetto
ai
premolari
corrispondenti;
si
può
avere
una
differenza
anche
di
3
mm.
Questo
spazio
può
essere
sfruttato
se
ancora
sono
in
fase
di
dentatura
mista,
posso
guadagnare
dei
mm
con
la
premuta.
− RICOSTITUZIONE
DELL’ORIGINALE
FORMA
D’ARCATA
(spesso
molari
possono
essere
M-‐
versi,
tipico
se
manca
il
dente
mesiale.
È
condizione
che
sottrae
spazio
in
arcata)
VANTAGGI
DELLO
STRIPPING
− Evito
le
estrazioni
con
affollamento
inferiore
a
4mm
− Evito
le
contenzioni
inferiori
in
quanto
le
superfici
di
contatto
piane
resistono
meglio
alle
recidive
INCONVENIENTI
DELLO
STRIPPING
− I
solchi
e
le
abrasioni
prodotti
dallo
stripping
possono
aumentare
il
rischio
di
carie
110
− Questa
metodica(stripping+ortodonzia)
può
avvicinare
le
radici
di
elementi
che
già
sono
vicini
in
spazi
ristretti
e
portare
ad
un
assottigliamento
delle
creste
ossee
interprossimali
e
alla
lunga
a
problemi
parodontali.
METODICHE
DI
STRIPPING
− Strisce
abrasive
a
mano
o
montate
su
micromotore
− Dichetti
abrasivi
diamantati
montati
su
manipolo
− Frese
al
carburo
di
tungsteno
e
frese
diamantate
Air
rotor
stripping
(ARS):
Introdotta
più
di
20
anni
fa
come
alternativa
ai
trattamenti
estrattivi
o
espansivi
nei
casi
borderline;
non
deve
essere
utilizzato
come
tecnica
a
sé
stante
ma
sempre
associato
all’ortodonzia.
Permette
di
rimuovere
grandi
quantità
di
smalto
interprossimale
(si
riesce
a
recuperare
uno
spazio
di
8
mm
MA
è
MOLTO
DEMOLITIVA).
Presenta
i
seguenti
vantaggi:
− può
essere
utilizzata
sia
negli
adulti
che
adolescenti
in
quanto
lo
spessore
dello
smalto
dei
denti
permanenti
è
sempre
lo
stesso
− lo
stripping
con
turbina
è
preciso
e
indolore.
Si
rimuovono
al
massimo
0,5
–
0,8
mm
di
smalto
da
ogni
area
interprossimale.
Si
possono
ottenere
4-‐8mm
complessivamente
per
arcata
e
la
riduzione
può
essere
misurata
con
calibri
presenti
in
commercio.
È
opportuno
guadagnare
un
campo
aperto
con
molle
compresse
o
elastici
separatori
prima
dell’ARS.
L’area
di
contatto
dovrebbe
essere
aperta
per
fornire
un
accesso
visivo
all’area
interprossimale.
Prima
della
procedura
dovrebbe
essere
posizionato
un
filo
indicatore
.020-‐.030”
in
posizione
gengivale
al
punto
di
contatto
per
proteggere
la
papilla
dalla
fresa.
Uso
fresa
multilama
parallelamente
al
PO
evitando
di
lacerare
le
zone
interdentali
ed
eseguo
dei
movimenti
verso
occlusale.
Alterno
movimenti
sul
versante
linguale
e
vestibolare
sempre
raffreddando.
La
fresa
diamantata
a
grana
media
o
fine
riporta
le
superfici
interprossimali
a
una
normale
morfologia
e
tessitura.
Con
frese
diamantate
ancora
più
delicate
e
con
dischi
soft-‐lex
le
pareti
di
smalto
raggiungono
una
superficie
ancora
più
liscia
di
quella
del
dente
non
trattato.
Si
effettua
quindi
levigatura
finale
con
delicate
strisce
abrasive
ricoperte
da
gel
d’acido
orto
fosforico.
Questo
ultimo
passaggio
è
dubbio:
servirebbe
per
ottenere
una
superficie
più
liscia,
piatta,
mordenzata
e
priva
di
solchi.
La
superficie
mordenzata
mostrava
una
notevole
crescita
di
cristalli
dopo
5-‐10
ora
di
esposizione
a
sostanze
remineralizzanti
a
basso
contenuto
di
calcio.
La
superficie
di
smalto
modificata
poteva
essere
riparata.
111
Con
la
tecnica
ARS
deve
essere
mantenuto
l’ancoraggio
per
non
sprecare
lo
spazio
ottenuto.
Lo
stripping
non
deve
essere
effettuato
prematuramente
nei
casi
con
indice
di
Bolton
alterato.
Infatti
anche
questi
casi
possono
ottenere
una
buona
occlusione.
In
questi
casi
lo
stripping
dovrebbe
essere
effettuato
dopo
il
livellamento
e
l’allineamento
o
durante
la
fase
di
finitura.
La
tecnica
prevede
poi
l’applicazione
di
gel
o
colluttori
a
base
di
fluoro
che
dovrebbero
aiutare
il
potenziale
di
rimineralizzazione
delle
superfici
prossimali
abrase.
In
letteratura
si
trovano
delle
posizioni
completamente
opposte
sulla
efficacia
ma
soprattutto
sulle
conseguenze
di
questa
tecnica.
Le
posizioni
contrarie
a
questa
tecnica
dimostrano
con
studi
che
tutte
le
modalità
di
stripping
irruvidiscono
in
maniera
significativa
lo
smalto
andando
a
creare
superfici
non
più
lisce
anche
dopo
la
rifinitura.
ARS
aumenta
la
suscettibilità
alla
demineralizzazione
delle
superfici
interprossimali
per
un
accumulo
di
placca
che
è
superiore
rispetto
alle
superfici
non
trattate
con
conseguente
maggiore
rischio
di
carie.
Limitarsi
a
togliere
0,3
-‐
0,4mm
per
superficie
dovrebbe
garantire
la
sicurezza
della
procedura
ma
lo
stesso
è
più
suscettibile
all’accumulo
di
placca.
Le
posizioni
a
favore
dicono
in
contrario
che
questi
trattamenti
rendono
la
zona
ancora
più
resistente
alla
carie
e
ai
problemi
parodontali
rispetto
ad
una
superficie
non
trattata.
Analisi
al
SEM
però
dimostrano
che
non
è
possibile
eliminare
completamente
i
solchi
lasciati
da
frese
diamantate.
Quali
sono
quindi
le
metodiche
più
affidabili?
1. FRESA
MULTILAMA
AL
CARBURO
DI
TUNGSTENO
SEGUITA
DA
DISCHETTI
SOFT-‐LEX
PER
LUCIDARE
LO
SMALTO.
È
tecnica
più
recente
e
sicura
2. DISCHI
DIAMANTATI
SPECIFICI
A
GRANULOMETRIA
INFERIORE
A
30µ
E
DISCHI
SOFT-‐LEX
FINI
E
EXTRAFINI
PER
RIFINIRE.
Le
superfici
così
trattate
risultano
in
più
del
90%
dei
casi
più
lisce
con
minore
ritenzione
di
placca
di
quelle
non
trattate
sia
nei
denti
anteriori
che
posteriori.
In
conclusione:
È
un
metodo
valido
per
guadagnare
spazio
e
ridurre
la
necessità
di
estrazioni
ma
dovrebbe
essere
effettuata
dopo
un’attenta
valutazione
della
quantità
di
smalto
che
può
essere
rimossa.
L’ANAMNESI
è
il
momento
di
partenza
fondamentale
(quali
gli
elementi
più
indicati?
Incisivi
laterali
inferiori
triangolari,
premolari
ovoidali).
È
necessario
effettuare
la
rimozione
interprossimale
con
la
migliore
rifinitura
della
superficie
di
smalto
per
rispettare
i
requisiti
biologici
del
cavo
orale.
Molto
dipende
dalle
capacità
dell’operatore
di
effettuare
stripping
adeguati.
112
AGENESIE
INCISIVI
LATERALI
SUPERIORI
Le
agenesie
di
questi
elementi
presentano
un’incidenza
del
2,5%.
Rappresenta
infatti
il
20%
di
tutte
el
agenesie
congenite
ed
è
terza
dopo
i
secondi
premolari
superiori
e
inferiori.
È
più
frequente
nelle
donne
e
in
forma
bilaterale.
Le
possibilità
terapeutiche
sono:
1. Sostituzione
con
canini
2. Protesi
estetica
adesiva
(Maryland
bridge)
o
protesi
fissa
conservativa
3. Implanto-‐protesi
dente
singolo
I
casi
di
agenesie
risultano
controversi
per
a
pianificazione
del
trattamento:
è
importante
stabilire
un
rapporto
interdisciplinare
tra
conservativa
e
ortodonzia.
La
terapia
ideale
vorrebbe
trovare
la
soluzione
più
conservativa
che
sia
in
grado
di
raggiungere
obiettivi
funzionali
ed
estetici.
La
scelta
terapeutica
si
effettua
in
base
a:
− tipo
di
occlusione
− spazio
disponibile/necessario
nelle
arcate
− forma
e
dimensioni
denti
adiacenti
Le
terapie
ortodontiche
da
intraprendere
possono
prevedere
una
APERTUTA
DI
SPAZIO
(ponte
adesivo,
ponte
classico,
monoimpianto)
oppure
una
CHIUSURA
DI
SPAZIO
(corono
plastica
di
addizione
o
sottrazione)
1.
SOSTITUZIONE
CON
CANINI
Spesso
eccellente
soluzione
terapeutica
ma
va
valutata
bene
la
situazione
del
paziente.
In
particolar
modo
devono
essere
valutati
specifici
criteri
facciali
e
dentali:
a) Tipo
di
malocclusione
b) Quantità
di
affollamento
c) Profilo
d) Forma
e
colore
del
canino
e) Posizione
del
labbro
superiore
durante
il
sorriso
(il
laterale
ha
altezza
minore
rispetto
al
canino)
113
a
/
b)
La
sostituzione
con
canini
può
essere
utilizzata
quando
ho:
− II
classe
dentale
con
lieve
o
assente
affollamento
nell’arcata
mandibolare
→
mantenimento
classe
II
molare
− I
classe
con
sufficiente
affollamento
nell’arcata
mandibolare
tale
da
richiedere
l’estrazione
di
denti
permanenti→raggiungo
I
classe
molare
In
entrambi
i
casi
l’occlusione
finale
deve
prevedere
la
funzione
di
gruppo
nei
movimenti
di
lateralità
(cioè
il
4°
deve
fare
correttamente
la
guida
canina
al
posto
del
3°).
c) un
profilo
armonico,
relativamente
piatto
è
la
condizione
ideale.
Anche
un
profilo
leggermente
convesso
può
essere
accettabile
ma
VA
EVITATA
la
sostituzione
mediante
canini
con
mandibola
retro
posizionata
e
mento
poco
prominente.
Quindi
con
profilo
ORTOGNATICO
→
ok
Profilo
PROGNATICO
o
RETROGNATICO
→
no
d)
Rispetto
ad
un
incisivo
laterale
un
canino
presenta
corona
più
grande
(MD
e
VL),
superficie
vestibolare
più
convessa
e
croma
più
intenso.
Se
i
canini
hanno
parametri
molto
differenti
rispetto
ad
un
incisivo
laterale
sono
obbligato
a
rimuovere
una
significativa
quantità
di
smalto
per
ristabilirne
la
forma
anatomica.
Questo
può
provocare
un
eccessivo
assottigliamento
dello
smalto
con
maggiore
esposizione
della
dentina.
Più
i
canini
sono
piatti
e
piccoli
e
meglio
sarà.
In
relazione
all’usura
del
margine
incisale
del
canino
può
essere
necessario
il
restauro
dei
margini
mesio-‐incisali
e
disto-‐incisali.
Una
significativa
quantità
di
rimozione
palatale
e
incisale
è
generalmente
necessaria
per
posizionare
verticalmente
il
canino.
Inoltre
per
avere
una
buona
estetica
a
livello
gengivale
in
posizione
3
è
bene
far
estrudere
in
canino.
L’ampiezza
della
corona
a
livello
della
CEJ
dovrebbe
essere
valutata
a
livello
radiografico
per
determinare
il
profilo
finale
di
emergenza→
un
canino
con
una
ridotta
ampiezza
MD
a
tale
livello
consente
un
profilo
di
emergenza
più
estetico.
Il
colore
del
canino
dovrebbe
essere
simile
a
quello
dell’incisivo
centrale.
Il
metodo
più
conservativo
per
correggere
tale
differenza
è
lo
sbiancamento
selettivo.
Caratteristiche
del
canino
per
poter
eseguire
tale
sostituzione:
− Stesso
colore
o
simile
− Superficie
vestibolare
relativalemte
piatta
− Stretto
sia
MD
che
VL
a
livello
della
CEJ
114
− Ampiezza
VL
ridotta
a
livello
del
terzo
medio
coronale
Ma
il
reshaping
del
canino
può
causare
sensibilità
dentale:
è
stata
dimostrata
sensibilità
a
breve
termine
per
2-‐
3
gg
al
freddo
ma
non
è
stata
riscontrata
a
lungo
termine.
e) Se
il
paziente
presenta
un
gummy
smile
le
parabole
gengivali
saranno
più
visibili.
Bisogna
prestare
attenzione
al
posizionamento
del
margine
incisale
del
canino.
Un
sorriso
armonico
presenta
un
parabola
gengivale
che
a
livello
del
canino
ha
il
suo
punto
più
alto.
Se
si
portano
i
canini
in
posizione
2
bisogna
posizionarne
il
margine
gengivale
leggermente
coronalmente
agli
incisivi
centrali
(estrusione).
Occasionalmente
si
può
effettuare
una
gengivectomia
per
definire
i
corretti
margini
gengivali
non
solo
nel
canino
ma
anche
nel
primo
premolare.
Se
il
paziente
presenta
un
gummy
smile
anche
una
bozza
canina
prominente
può
causare
un
problema.
Durante
la
rifinitura
ortodontica
è
necessario
ridurre
l’ampiezza
MD
del
canino
per
raggiungere
un’estetica
ottimale
e
un
overjet
normale→stripping.
Dopo
aver
effettuato
il
reshaping
è
necessario
effettuare
una
terapia
restaurativa
per
ripristinare
forma
e
colore
ideali
dell’incisivo
laterale→sbiancamento,
restauro
in
composito/
faccette
2.
PROTESI
ESTETICA
ADESIVA
O
PROTESI
FISSA
CONSERVATIVA
Sebbene
il
trattamento
implantare
del
singolo
costituisca
il
trattamento
d’elezione
nel
caso
dell’apertura
degli
spazi,
in
alcune
circostanze
può
essere
necessario
ricorrere
ad
un
restauro
protesico
sostenuto
da
denti.
Esistono
tre
principali
tipi
di
restauro:
− Protesi
fissa
adesiva
(Maryland)
− Protesi
fissa
a
sbalzo
(a
bandiera)
− Protesi
fissa
convenzionale
Il
trattamento
restaurativo
può
iniziare
dopo
che
l’ortodonzia
mi
abbia
posizionato
in
modo
corretto
i
denti
adiacenti.
Queste
sono
soluzioni
che
prevedono
l’apertura
degli
spazi.
Come
posso
determinare
quanto
spazio
ci
serve
nella
sostituzione
di
un
incisivo
laterale?
a. Proporzione
aurea:
L’ampiezza
percepita
dei
denti
anteriori
visti
di
fronte
dovrebbe
avere
un
rapporto
di
1:
0,618
con
il
dente
distale
adiacente.
Il
problema
è
che
questa
115
proporzione
deriva
da
una
dimensione
percepita
dei
denti
e
non
ha
relazione
con
l’effettiva
misura
MD
b. Utilizzo
le
dimensioni
dell’incisivo
contro
laterale
(se
è
presente
e
non
è
conoide)
c. Utilizzo
indice
di
bolton
anteriore
può
essere
utile
per
calcolare
matematicamente
lo
spazio
edentulo.
È
metodo
veloce
ed
efficace
per
determinare
lo
spazio
necessario.
d. Costruzione
di
un
set-‐up
diagnostico
impronta-‐
modello-‐
tecnico
mette
i
modelli
in
occlusione
ideale
di
I
classe
e
vede
quanto
spazio
rimane.
Solitamente
lo
spazio
varia
dai
5
ai
7
mm.
Protesi
fissa
adesiva:
È
la
procedura
più
conservativa
di
protesi
fissa
sostenuta
da
denti.
Si
utilizzano
i
MARYLAND.
Devono
essere
rispettati
degli
specifici
criteri
per
garantire
la
stabilità
a
lungo
termine:
• Posizione:
Si
riferisce
alla
posizione
verticale
degli
incisivi.
Un
overbite
poco
accentuato
definisce
la
quantità
di
forze
esercitate
sui
denti
di
sostegno
e
aumenta
la
superficie
disponibile
per
il
bonding.
Un
overbite
accentuato
diminuisce
la
superficie
disponibile
per
l’adesione
o
il
dente
deve
essere
preparato
e
i
contatti
occlusali
posizionati
a
livello
del
restauro.
I
pazienti
con
overbite
accentuato
e
cuspidi
posteriori
alte
non
sono
i
candidati
ideali
per
restauri
di
protesi
fissa
adesiva.
Negli
incisivi
con
inclinazione
ottimale
le
stesse
forze
occlusali
generano
soprattutto
una
forza
di
compressione
all’interfaccia
dente-‐restauro.
Negli
incisivi
proclinati
il
carico
occlusale
normale
determina
soprattutto
una
forza
di
taglio
a
livello
dell’interfaccia.
Un
soggetto
sottoposto
ad
una
forza
di
taglio
può
sopportare
il
40%
circa
di
carico
in
più
rispetto
ad
un
soggetto
sottoposto
ad
una
forza
di
tensione.
• Mobilità:
La
mobilità
dei
denti
di
sostegno
è
una
controindicazione
a
causa
dello
stiramento
che
si
sviluppa
all’interfaccia
dente-‐restauro,
quando
la
rigidità
del
restauro
si
contrappone
al
movimento
dei
denti
sotto
carico.
Il
problema
si
presenta
perché
sebbene
entrambi
i
denti
pilastro
si
muovano
in
direzione
V-‐L,
questo
movimento
si
sviluppa
su
due
vettori
differenti
per
la
posizione
che
i
due
denti
occupano
in
arcata.
Quando
solo
una
dei
due
denti
di
sostegno
presenta
mobilità
sotto
il
carico
occlusale
il
restauro
si
stacca
generalmente
a
livello
del
meno
mobile.
116
• Translucenza:
denti
sottili
o
molto
trans
lucenti
a
livello
del
terzo
incisale
coronale
possono
presentare
problemi
estetici
se
l’estansione
del
restauro
è
troppo
coronale.
I
candidati
ideali
per
questi
tipo
di
restauro
sono
i
denti
che
non
presentano
motilità,
che
sono
sufficientemente
spessi
e
che
presentano
bassa
translucenza
e
con
overbite
modesto.
Se
non
ho
queste
caratteristiche
espongo
il
restauro
a
rischio
di
fallimento
alto.sor
Protesi
fissa
a
sbalzo:
Il
canino
può
sostenere
una
protesi
a
sbalzo
grazie
alla
lunghezza
delle
radici
e
alle
dimensioni
della
corona.
Il
successo
a
lungo
termine
è
legato
alla
gestione
dei
contatti
occlusali
a
livello
del
ponte.
È
imperativo
che
non
vi
siano
contatti
a
livello
del
pontic
durante
i
movimenti
di
protrusiva
e
lateralità.
Protesi
fissa
convenzionale:
È
l’opzione
meno
conservativa.
È
trattamento
di
scelta
quando
i
denti
adiacenti
allo
spazio
agenesico
necessitano
di
restauri
per
altri
motivi
(carie,
fratture..).
durabnte
la
fase
di
allineamento
e
livellamento
è
importante
controllare
l’angolazione
e
l’inclinazione
dei
denti
pilastro.
Guardando
i
pilastri
dalla
prospettiva
frontale,
l’asse
lungo
del
centrale
e
la
superficie
vestibolare
del
canino
devono
essere
paralleli.
Guardando
i
pilastri
dalla
prospettiva
laterale
l’asse
lungo
dell
canino
e
la
superficie
vestibolare
dell’incisivo
centrale
devono
essere
paralleli.
3.
IMPIANTO
A
DENTE
SINGOLO
È
l’alternativa
più
comune
perché
permette
di
non
andare
ad
intervenire
sui
denti
adiacenti.
Un
problema
è
rappresentato
dal
fatto
che
non
si
possono
mettere
impianti
prima
della
fine
della
crescita.
Bisogna
aspettare
che
il
paziente
abbia
raggiunto
un’età
adeguata
per
fare
l’impianto
e
occorre
salvaguardare
il
sito
impiantare
negli
anni.
In
alcuni
casi
può
essere
indicata
l’estrazione
dell’incisivo
laterale
deciduo
per
favorire
l’eruzione
del
canino
permanente
in
posizione
2.
Questo
mi
consente
di
mantenere
lo
spessore
in
zona
2
per
il
futuro
impianto.
Il
seguante
spostamento
del
canino
in
posizione
3
lascia
un
sito
impiantare
con
uno
spessore
V-‐L
che
si
mantiene
negli
anni.
La
perdita
di
osso
dopo
aver
distalizzato
il
canino
è
pari
all’1%
in
4
anni
quindi
possono
non
essere
necessarie
le
tecniche
rigenerative
preimplantari.
Per
avere
spazio
adeguato
per
lo
sviluppo
della
papilla,
1,5-‐2
mm
di
spazio
sono
consigliati
tra
la
testa
dell’impianto
e
i
denti
adiacenti.
L’impianto
può
essere
posizionato
a
17
anni
per
le
ragazze
e
21
per
i
ragazzi
cioè
al
termine
della
crescita
facciale.
Il
termine
di
crescita
può
essere
valutato
misurando
su
teleradiografie
latero-‐
laterali
eseguite
a
distanza
di
6
mesi-‐1
anno
l’altezza
faciale
verticale
(nasion-‐
mesion).
Per
117
stabilite
lo
spazio
necessario
occorre
eseguire
un’analisi
interdisciplinare:
il
protesista
valuta
lo
spazio
per
la
corona,
l’ortodonzista
analizza
l’occlusione
per
la
classe
canina
e
il
chirurgo
deve
considerare
lo
spazio
tra
le
radici
(minimo
5mm).
In
alcuni
pazienti
può
essere
impossibile
raggiungere
uno
spazio
interradicolare
accettabile
anche
se
lo
spazio
coronale
è
ideale.
Nelle
III
classi
scheletriche
gli
incisivi
superiori
sono
proclinati
e
gli
apici
radicolari
tendono
a
convergere.
La
corticale
vestibolare
mascellare
limita
ogni
significativo
spostamento
vestibolare
delle
radici
degli
incisivi
superiori.
118