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14 – 15 ottobre 2023
RAVENNA
ABA
Accademia di Belle Arti
200 anni di storia artistica e culturale
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Le sedi dell’Accademia
L’ Accademia di Belle Arti di Ravenna è un’Accademia di grande tradizione storica, fondata dalla
Legazione provinciale e dal Comune di Ravenna quasi duecento anni fa e inaugurata nel 1829. Da
quella data inizia un percorso affascinante per le vicende artistiche e culturali della città ed è unica
nel sistema dell’alta formazione artistica in Italia e nel mondo, grazie a un rinnovato approccio al
mosaico come linguaggio visivo contemporaneo. La particolarità delle Accademie di Belle Arti
italiane, rispetto agli studi universitari, è quella di unire, all’interno del percorso formativo, teoria e
pratica dell’arte, con laboratori accanto ai corsi teorici. Visitando gli ambienti dell’Accademia,
infatti, si troveranno interessanti aule di mosaico, pittura, scultura e decorazione, laboratori di
oreficeria e incisione, in continua evoluzione e innovazione didattica, di cui l’ultima consiste nella
istituzione del corso di “Nuove tecnologie dell’Arte”, avvenuta a seguito della statalizzazione
dell’Accademia del 1° gennaio 2023.
Dalla sua nascita ad oggi, l’Accademia ha trovato sede in diversi luoghi della città e questa ultima in
cui ci troviamo la ospita dal 1998, da quando, cioè, ha traslocato dagli spazi dell’ex monastero di
Santa Maria in Porto (noto come Loggetta Lombardesca), in via di Roma, che occupava dal 1971,
divenuto poi Pinacoteca comunale MAR. L’ultimo trasferimento si è reso necessario nell’ottica del
“sacrificio” delle istituzioni didattiche rispetto alle istituzioni museali, il cui principio era stato già
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applicato a Venezia, dove l’Accademia è stata estromessa dalla sua storica sede in Campo della
Carità, per far posto all’allargamento delle Gallerie dell’Accademia.
La prima degna sede della nascente Accademia di Belle Arti di Ravenna, nel secondo decennio
dell’Ottocento, venne collocata nell’ala del fabbricato dell’ex Monastero di Classe, l’attuale
Biblioteca Classense, che conteneva i magazzini e le stalle, in via di Porta Sisi, l’attuale via Baccarini.
Il progetto di ristrutturazione e ampliamento lo si deve a Ignazio Sarti, scultore, architetto e
incisore bolognese, che divenne anche docente e Direttore dell’Accademia, inaugurata
ufficialmente il 26 novembre del 1829.
Il progetto del Sarti prevedeva la realizzazione di una facciata monumentale in via Baccarini, di
stampo neoclassicista, formata da nove campate scompartite da doppie paraste di ordine gigante
ionico e grandi finestrature ad arco; all’interno la sala di rappresentanza (Sala delle Colonne), e le
gallerie dell’Accademia ospitavano la collezione di quadri, di statue e dei calchi in gesso, fra i quali i
famosi calchi canoviani attualmente collocati MAR.
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Al giorno d’oggi di questo fabbricato rimane solo sono la parte più vicina all’ingresso della
Biblioteca Classense e della monumentale facciata neoclassica si vedono solo le prime tre campate
con le grandi finestre ad arco che illuminano le sale della sezione Holden della Biblioteca. Negli
anni Quaranta, infatti, è stato demolito più della metà dell’edificio per creare la torre in laterizio
con il grande arco sulla strada pubblica, che si affacciava su Piazza Littorio, l’attuale Piazza Caduti,
seguendo il magniloquente progetto di ristrutturazione urbanistica di quest’area della città voluto
dal regime fascista.
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Nel 1949, annesso all’Accademia nasce il Liceo Artistico, divenuto statale nel 1967; all’inizio degli
anni Settanta l’Accademia si sposta di sede e viene trasferita alla Loggetta Lombardesca o
Monastero di Porto.
Il Liceo Artistico Nervi-Severini, che ora si trova in via Tombesi dall’Ova, negli spazi dell’ex ospedale
di Santa Maria delle Croci, è stato oggetto delle Giornate FAI d’Autunno dello scorso anno, con
grande successo di pubblico.
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Torniamo ai giorni nostri. In questo edificio, prima di ospitare l’Accademia, c’era il “Centro di
Formazione Professionale Albe Steiner” che svolgeva attività di formazione nei diversi settori
dell’artigianato artistico, quali la grafica, la comunicazione, il mosaico, la ceramica e la fotografia.
Nato negli anni Ottanta, venne intitolato ad Albe Steiner (Alberto Massimo Alessandro Steiner,
1913 – 1974), partigiano e grafico, figura di riferimento per la grafica italiana degli anni Cinquanta e
Sessanta. Dopo quello di Ravenna, a lui sono stati intitolati anche altri due istituti professionali
statali a Milano e Torino.
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Diretta da Maria Baldini, la scuola si avvaleva di docenti interni ai quali si affiancavano consulenti
esterni di grande levatura, fra i quali, moglie di Albe. La volontà di coniugare cultura didattica e
cultura professionale permise agli studenti di misurarsi con la progettualità e la realtà del mercato
del lavoro, con la creatività e la capacità di diventare imprenditori di sé stessi, realizzando anche
progetti di pubblica utilità. Grazie agli insegnamenti delle Albe Steiner molti studenti infatti hanno
aperto studi professionali e atelier in gran parte tutt’ora operanti.
L’attività del Centro si è interrotta alla fine degli anni Novanta, con il passaggio dell’Istituto
dall’Amministrazione Regionale all’Ente Locale.
Come potete notare l’edificio si compone di due parti: uno storico edificio riadattato agli usi del
Centro Professionale Albe Steiner e un ampliamento più recente, in chiave razionalista per ospitare
al meglio i laboratori per le attività di formazione nei vari settori dell’artigianato artistico,
progettato dagli stessi studenti del centro e dai loro docenti. All’interno potremo vedere alcuni
pavimenti in mosaico realizzati dagli studenti dell’Albe Steiner su modello di antichi pavimenti
ravennati.
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Biblioteca
Nonostante i diversi traslochi che l’Accademia ha subito durante i suoi 200 anni di vita, qui trova
posto nella sua interezza la storica biblioteca, contenente importanti pubblicazioni specialistiche e
riviste, in rete con le altre biblioteche del territorio
Nella sala di fronte, vi mostriamo alcune pubblicazioni particolari.
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Sala lettura
Questa è una sala di lettura aperta al pubblico esterno, non è riservata solo agli studenti
dell’Accademia. Vi mostriamo alcune pubblicazioni custodite nella biblioteca, come “Emporium”
una storica rivista di arti e grafiche che dal 1895 al 1964 ha illustrato l’evoluzione del linguaggio
visivo storico-artistico e storico-sociale italiano. Mostriamo alcuni “ex libris”, una storica
monografia su Antonio Canova, le pubblicazioni del periodo dell’Art Nouveau.
Alle pareti della sala ci sono alcuni dei cartoni dei mosaici antichi ravennati, dei veri e propri rilievi
del nostro Patrimonio Unesco fatti dagli allievi dell’Accademia quando l’offerta formativa si
concentrò sullo studio e sul restauro conservativo dei mosaici dei monumenti Unesco, sotto la
direzione di Giuseppe Zampiga, pittore molto apprezzato come ritrattista che si avvicinò alla
tecnica del mosaico e al restauro musivo.
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La nascita dell’Accademia
L’accademia nasce in pieno gusto neoclassico e il primo direttore, Ignazio Sarti dotò la neonata
Accademia di un patrimonio artistico per la corretta formazione degli allievi, recandosi allo scopo a
Roma per acquistare un notevole numero di opere, gessi e stampe, ancora oggi prezioso
patrimonio dell’Accademia. In seguito la gipsoteca si arricchì grazie a diverse donazioni di opere da
parte di illustri famiglie, da Cardinali e dagli stessi artisti: fra queste numerose opere sono da
quelle dello scultore neoclassico Bertel Thordvalsen, i modelli in gesso di Antonio Canova e la
scultura Guidarello Guidarelli di Tullio Lombardo, donata dagli eredi della Famiglia Del Sale, opera
che sarebbe diventata in futuro uno dei simboli iconografici di Ravenna e attualmente esposta al
MAR. Fra le acquisizioni e le donazioni, il patrimonio scultoreo si componeva di più di 200 opere.
Per quanto riguarda la pittura, inizialmente la nobiltà ravennate offrì in deposito all’Accademia
molte opere delle proprie collezioni private per dare vita a una pinacoteca che fosse oggetto di
studio per gli studenti, ma che fosse anche una attrazione per il Grand Tour dell’epoca. Purtroppo
l’iniziale ricca pinacoteca fu di breve durata perché gran parte dei depositi vennero ritirati dalle
famiglie per necessità economiche.
La situazione culturale ravennate di metà Ottocento mescolava l’amore per un neoclassicismo
rigoroso e accademico a un gusto già in qualche modo romantico e se da una parte si teneva in
massima considerazione la copia da opera d’arte per gli allievi, dall’altra si richiedeva loro anche
l’aspetto dell’invenzione, così come avviene tutt’ora. Importante fu anche la partecipazione
dell’Accademia alla vita pubblica, le commissioni da parte della città sin dall’epoca della direzione
di Ignazio Sarti, come anche l’attenzione, nei percorsi di studio, alla conservazione dei monumenti
e all’artigianato artistico.
Diversi furono gli studenti prestigiosi dell’Accademia, come lo scultore Enrico Pazzi, ad esempio, e
ci fu una costante presenza femminile, seppur minore rispetto alla maschile.
Attorno al 1870 arriva a dirigere l’Accademia il fiorentino Arturo Moradei, vicino alla pittura
macchiaiola del Caffè Michelangelo di Firenze; con Moradei e con il gruppo degli artisti toscani che
all’epoca ebbero contatti con l’Accademia, ci si avvicina alla tematica naturalistica, che influenzerà
la pittura di genere locale per tutto il secolo successivo e i cui soggetti riguardano pinete,
popolane, raccoglitrici di legna e pinoli, tramonti sui canali, ecc.: Corrado Ricci, il padre dei “Beni
Culturali” è stato infatti uno degli allievi più illustri di Moradei, e poi Vittorio Guaccimanni, grande
disegnatore, incisore e ritrattista che, divenuto a sua volta direttore dell’Accademia, riuscì a
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coniugare gli insegnamenti artistici con le arti industriali, con importante ricaduta nella realtà
lavorativa del territorio romagnolo. Era il periodo della nascita del design, delle Arts and Crafts,
un movimento artistico per la riforma delle arti applicate nato in Gran Bretagna, delle grandi
esposizioni, fra cui la celebre esposizione ravennate all’ex ippodromo, ora Giardini Pubblici, del
1904, in cui vennero esposte anche opere prodotte in Accademia.
In questo periodo arriva in Accademia come docente Giovanni Guerrini, incisore affermato e artista
eclettico, architetto e designer attento alle arti minori.
Giovanni Guerrini, insieme a Vittorio Guaccimanni, recupera la vocazione musiva ravennate con
l’istituzione della Scuola di Mosaico all’Accademia, scuola che sta per compiere cent’anni.
Prima dell’interesse attivo degli artisti che ruotarono nell’ambito dell’Accademia, come il ravennate
Giuseppe Zampiga, incaricato dal Sovrintendente Corrado Ricci, ex allievo dell’Accademia, di
realizzare una mappatura del patrimonio musivo ravennate, la tecnica musiva si era perduta, non
era una tradizione artistica, ma rappresentava una eredità culturale, una presenza visiva all’interno
dei monumenti. L’Accademia di Belle Arti di Ravenna ha il merito di aver ritrovato una parte
essenziale dell’identità della nostra città e di aver posto le basi per il successivo evolversi di questo
straordinario linguaggio artistico.
Proseguiremo il discorso sulla affascinante e ricchissima storia dell’Accademia più aventi, nelle aule
di mosaico.
Usciamo dalla sala di lettura e saliamo al primo piano dalla scala adiacente la portineria.
Corridoio 1° piano
In questa bacheca sono esposte delle opere in micromosaico, una tecnica che ha origine all'interno
dello Studio Vaticano del Mosaico nel 1770, quando gli artisti romani iniziarono a produrre degli
oggetti di ridotta dimensione come soprammobili, gioielli, tabacchiere, cofanetti, fermacarte,
scatoline, per soddisfare la richiesta degli stranieri, in visita in Italia per il Grand Tour di opere
preziose ispirate all’antico. Del mosaico conserva la semplificazione del disegno e il forte contrasto
dei colori, ottenuto con l'utilizzo di micro tessere di smalto vitreo e il gusto per la decorazione.
(spiegazione delle opere a cura degli allievi dell’Accademia)
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Laboratori di incisione
Negli anni ’70 il direttore dell’Accademia Raffaele De Grada chiama per la docenza di incisione
l’artista Tono Zancanaro, straordinario maestro che non disdegnava incursioni nel mondo del
mosaico. Qui troviamo un magnifico torchio litografico ottocentesco, perfettamente funzionante
(questo torchio, curiosamente, è quello che compare in internet fra le immagini di Wikipedia alla
voce “litografia”), alcune pietre litografiche e altre macchine per incisione.
In queste sale si sperimentano le diverse tecniche di stampa tradizionali, come la xilografia, ovvero
il procedimento di stampa su matrici lignee incise a rilievo, la calcografia, la stampa ad incisione su
lastra di rame o zinco e la litografia, il procedimento che usa come matrice la pietra calcareea.
(spiegazione di alcune opere da parte degli studenti dell’Accademia)
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Galleria dei gessi
In questa sala sono collocate tre bellissime opere in gesso restaurate da tre allieve del corso di
restauro dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, negli anni accademici 2017-18, riportando alla
luce originaria le sculture segnate dall’incuria o danneggiate dal tempo, dopo aver condotto una
approfondita ricerca storica sugli autori, di cui si erano perse le tracce.
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Le opere “Dopo il ciclone” e Quousque tandem?” sono di Attilio Maltoni, scultore ravennate nato
nel 1862 da genitori di estrazione umile, che frequentò l’Accademia e si distinse per le sue innate
doti creative. Il linguaggio del Maltoni si caratterizza per il forte contenuto sociale e si fece
interprete della difficile situazione del proletariato e della miseria dei lavoratori, come possiamo
notare dalla potente forza espressiva dei soggetti di queste due opere. “Dopo il ciclone”, del 1904,
raffigura un contadino seduto sul tronco di un albero, con lo sguardo fisso nel vuoto e un’aria
desolata che comunicano un forte senso di sconfitta e rassegnazione. L’opera “Quousque
tandem?”, dal latino “fino a quando?”, rappresenta un bracciante, disteso, col viso scavato e il
corpo magrissimo, abbandonato, con una profonda stanchezza per il duro lavoro, come segno di
accusa verso lo sfruttamento delle classi più deboli.
Attilio Maltoni è stato lo scultore dei tondi nella facciata del macello, oltre che di numerose steli
funerarie nel Cimitero di Ravenna.
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Questo “Mezzo busto di Medinzoff” è un’opera della scultrice Teresa Ries, nata a Mosca nel 1874,
da una nota famiglia borghese ebrea. Frequentò un collegio per ragazze nobili a Mosca e fu
ammessa all’Accademia di Arte, dove scoprì la passione per la scultura. Si trasferì a Vienna, dove
realizzò quest’opera che poi donò al Museo dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna, a seguito di
uno dei suoi numerosi viaggi in Italia che la portarono anche nella nostra città, visitata assieme a
Vittorio Guaccimanni, che aveva conosciuto a Venezia. Per le sue origini ebree, da Vienna emigrò a
Lugano e molte delle sue opere andarono disperse o distrutte.
Progetto SCART.
In questa sala troviamo un lavoro di scultura in fase di realizzazione con materiale di recupero: si
tratta del progetto SCART, in collaborazione con HERA. Vediamo una fantina realizzata coi materiali
di scarto che si possono trovare in un maneggio che sarà collocata sul cavallo
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Usciamo da questa ala dell’edificio attraversando un passaggio aperto sopraelevato.
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Atrio con graffiti
Questi sono degli studi sul graffito e in questa bacheca ci sono altri gioielli/sculture del laboratorio
di oreficeria.
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Sala mostra libri d’arte
Affacciamoci in questa sala dove è allestita la mostra “Libri d’Artista”.
Laboratorio di oreficeria
Nel 1971, sotto la direzione di Raffaele de Grada, milanese, storico dell’arte, critico d’arte e uomo
di cultura, arriva in Accademia Giò Pomodoro, grande scultore astratto e innovatore nell’ambito del
jewel design, inteso come progettazione artistica e sperimentazione formale. Giò Pomodoro
considerava l’oreficeria al pari della scultura e vedeva il gioiello come opera d’arte: crea in
Accademia una novità assoluta, il corso di fonderia/oreficeria, il primo ad essere istituito in una
accademia italiana contemporanea.
(descrizione delle opere da parte degli studenti dell’Accademia)
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Aula scultura e decorazione
Siamo nella sala di scultura e decorazione e queste che vediamo sono degli studi sugli abiti
realizzati con materiali insoliti, molto spesso di scarto, come le vecchie carte da gioco o le capsule
del caffè. Molte delle realizzazioni create per questo progetto sono attualmente in mostra alla
Biennale del Mosaico
(Spiegazione delle opere e della attività di decorazione da parte degli studenti dell’Accademia)
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Atrio con pavimento Albe Steiner e gessi
Questo pavimento in mosaico è una delle realizzazioni degli allievi del Centro di Formazione
Professionale Albe Steiner, di cui vi abbiamo già parlato. Nell’edificio ci sono altri pavimenti che
testimoniano le attività del Centro Professionale.
Questi sono due parti di due gessi, che speriamo possano essere recuperati nel loro intero e che
possano essere restaurati, in particolare, questa è la base della Nike di Samotracia.
(Spiegazione del pugile di Cafiero Tuti da parte degli studenti dell’Accademia)
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Aula mosaico 2° e 3° anno
(Spiegazione delle opere e della attività che si svolge da parte degli studenti dell’Accademia)
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In quest’aula possiamo continuare il discorso sulla storia dell’Accademia che avevamo interrotto
nella sala di lettura all’inizio della visita.
La storia dell’Accademia
Allievi della Scuola di Mosaico saranno Renato Signorini, che sostituirà Giuseppe Zampiga alla
guida della scuola dal ’35 al ’76, gli artisti Antonio Rocchi, Ines Morigi Berti, Libera Musiani e molti
altri, primi protagonisti dell’arte musiva contemporanea. E’ grazie a Renato Signorini che il mosaico
ritroverà anche una vena propriamente artistica, come linguaggio autonomo assolutamente libero,
vissuto non esclusivamente come mimesi di altre creatività. Nasce la figura del Maestro Mosaicista,
un tecnico raffinatissimo in grado di accompagnare pittori e creativi nel contatto con un linguaggio
espressivo affascinante e complesso, ma al tempo stesso artista sapiente dotato di autonomia
poetica ed estetica. Il gruppo di artisti che affianca renato Signorini forma il Gruppo Mosaicisti
dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna nel 1948, in un momento storico in cui il lavoro di restauro,
dopo i danni causati dalla Seconda Guerra mondiale, per la Scuola-Bottega dell’Accademia divenne
molto importante e contemporaneamente aumentano anche le collaborazioni con artisti come
Gino Severini, che teneva lezioni sul mosaico a Parigi all’Accademia di Belle Arti e all’Ambasciata
italiana.
Quello degli anni ’50 è un periodo di grande successo per i mosaicisti ravennati dell’Accademia e
aumentano le occasioni di offrire agli allievi quelli che oggi vengono chiamati Workshop e stage
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con artisti di fama internazionale. Degli anni ’50 è anche la “Mostra delle copie dei mosaici antichi”,
promossa da Professore Giuseppe Bovini, fondatore dell’Istituto di Antichità Ravennati e docente
di Archeologia Cristiana all’Università di Bologna. Le copie realizzate dal Gruppo dell’Accademia
vennero esposte per la prima volta a Parigi nel 1951 e nei decenni successivi visiteranno più di
centocinquanta nazioni. Giuseppe Bovini fu anche l’ideatore della “Mostra dei Mosaici Moderni”,
inaugurata a Ravenna nel 1959: l’intento era quello di coinvolgere alcuni dei maggiori protagonisti
dell’arte contemporanea nella realizzazione di cartoni destinati ad essere tradotti a mosaico dai
maggiori esponenti del linguaggio musivo in ambito ravennate in modo da fornire il primo nucleo
del Museo del Mosaico Contemporaneo, sotto la supervisioni di un comitato tecnico di storici
dell’arte formato dallo stesso Bovini e da Giulio Carlo Argan e Palma Bucarelli. Al progetto
partecipò un gran numero di famosi artisti contemporanei i cui cartoni sono stati realizzati dai
maestri musivari ravennati. Contemporaneamente a questa attività innovativa, continuavano sia gli
studi e i restauri di mosaici antichi, come quelli a piazza Armerina, sia le nuove commissioni come i
mosaici moderni del Duomo di Salerno.
Iniziò in questo periodo anche l’avventura di Isotta Fiorentini Roncuzzi, la studiosa del mosaico più
importante a livello internazionale, fondatrice nel 1980 dell’Associazione Internazionale Mosaicisti
Contemporanei (gli artisti che hanno realizzato i mosaici per il Parco della Pace, luogo scelto dalla
delegazione FAI di Ravenna per le Giornate Fai D’Autunno del 2021).
In pittura si stabilisce una linea sostanzialmente naturalista confermata da Guido Ferroni e
aggiornata da Luigi Varoli, di vena espressionista e intimista, a cui seguono quella di Teodoro Orselli
e Umberto Folli, mentre in scultura il periodo è caratterizzato da Umberto Pinzauti a cui solo negli
anni Sessanta segue Giannantonio Bucci.
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Aula mosaico biennio
(Spiegazione delle opere e della attività che si svolge da parte degli studenti dell’Accademia)
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In quest’aula, prima di salutarvi, possiamo concludere il lungo discorso sulla storia dell’Accademia.
Manuela Giacomin
Delegazione FAI Ravenna
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