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Il canto bizantino delle chiese d’Oriente e la tradizione degli Arbëresh di Sicilia

Tra le realtà delle “minoranze” etniche e linguistiche presenti in Italia, quella Arberëshe è una
tra le più interessanti e numerose. Gli albanesi hanno lasciato la penisola balcanica intorno al
XV secolo, per fuggire al turco invasore, raggiungendo l'Italia meridionale, attraversando il
mediterraneo verso occidente, ripercorrendo idealmente l'antico viaggio dei coloni greci.
Quasi 100mila italo-albanesi sparsi per il meridione d'Italia, tra Puglie, Abruzzo, Basilicata,
Calabria (dove rappresentano un continuum territoriale non indifferente con tanti paesi sparsi
tra le provincie di Cosenza e Catanzaro) e in Sicilia dove circa 20 mila individui continuano a
tener in vita la tradizione.
In Sicilia la distribuzione dei centri che ancora mantengono la propria identità è disomogenea,
sparsa nella provincia di Palermo tra i suoi confini meridionali nei monti Sicani e i monti di
Piana degli Albanesi. Partendo da sud si trova il comune di Contessa Entellina (Kundisa)
primo centro fondato da esuli albanesi intorno al 1450, proseguendo verso est per 30 km
Palazzo Adriano (Pallaci), andando a nord verso il capoluogo per circa 40 km Mezzojuso
(Munxifsi), infine proseguendo a nord ovest per altri 40 km oltre il bosco della Ficuzza si
trova la comunità di Piana degli Albanesi (Hora e Arbëreshëvet) con il piccolo centro di
Santa Cristina Gela (Sëndahstina) contiguo ad essa.
Piana degli Albanesi tra questi è il centro più importante, sia per questioni demografiche, sia
sul piano religioso essendo sede dell'Eparchia della chiesa cattolica a cui sono soggette le
realtà appena elencate, in cui con diversi livelli di convivenza con il rito latino(tranne che a
Santa Cristina, che resta esclusivamente “latina”) si celebra la Divina Liturgia secondo il rito
greco bizantino. Nonostante sia relativamente vicina a Palermo, dove è presente come
“exclave bizantina” e concattredale la chiesa della Martorana, Piana si trova decisamente
isolata, delimitata a nord da netti confini naturali. E' suggestivo raggiungere il centro, adagiato
su una collina che è orientata come un anfiteatro naturale verso il lago di Piana che crea un
microclima caratteristico. Ma non sono solo le qualità climatiche e la conformazione del
territorio a creare la scenografia di un luogo che riflette la propria tradizione attraverso una
moltitudine di elementi dell'identità arberëshe, dalla raffinatissima sartoria, agli abili orafi
celebri in tutta la regione, alle profumate e generose forme di pane usate nell'eucarestia.
Elementi di un'identità che ha tra i suoi maggiori punti di forza la lingua (che è ancora
attivamente parlata a differenza degli altri centri) e l'alterità del rito.
È bene sottolineare che il rito greco bizantino celebrato nei centri afferenti all'Eparchia di
Piana sia Cattolico e non Ortodosso. La chiesa degli Albanesi di Sicilia è infatti sui iuris
legata al Papa di Roma.
Dato che il repertorio musicale della liturgia arberëshe si basa sull'identica struttura di quello
bizantino celebrato in Grecia, e la trasmissione dei canti è sempre stata sostanzialmente orale,
molti studiosi si sono approcciati al tema con una visione distorta e antiquata, volta a
dimostrare la “purezza” del canto liturgico albanese di Sicilia, ingenuamente ritenuto reperto
archeologico risalente intatto al XV secolo, quando i primi albanesi vennero qui.
Diverse prove ridimensionano in modo netto la tesi per cui la tradizione albanese di Sicilia sia
stata impermeabile ad influenze esterne. Nonostante la Sicilia sia stata per essa terra di
emigrazione non bisogna pensare alla comunità albanese come isolata del tutto dalla restante
parte del mondo bizantino, che al contrario nella sua storia ha avuto diversi contatti con le
regioni del mediterraneo orientale da cui sono anche arrivati diversi sacerdoti. In secondo
luogo, sia fisiologiche influenze latine da parte dei centri contigui, che nuovi canti aggiunti
negli ultimi tempi provenienti dalla tradizione strettamente greca, hanno influenzato il
repertorio, il quale ha avuto una lenta ma significativa evoluzione. Dunque nel confrontare i
canti della tradizione greca e siciliana, che sono basati sullo stesso materiale verbale del testo
liturgico, troveremo sicuramente delle identità, conseguenza dello sviluppo di essi a partire da
un sostrato comune, ma anche delle nette differenze. Ascoltando l'inizio della Divina Liturgia
prima ad Atene e poi nella piccola realtà di Contessa Entellina (ascolti 1,2) ci accorgeremo di
come la risposta alla cantillazione del sacerdote, solenne nella cattedrale di Tutti i Santi di
Atene, venga declinata in un contesto rurale a Contessa. Il coro amatoriale siciliano risponde
con sole voci femminili e con l'ausilio delle triadi maggiori di un organo, i professionisti
greci, tutti uomini, riescono a far vibrare le volte della propria cattedrale con le frequenze
basse raggiunte per cantare l'ison. Sono due mondi ovviamente diversi, ma il risultato ai fini
della liturgia comunque è raggiunto da entrambi i cori. L'ison presente ad Atene, è
l'accompagnamento alla monodia attraverso il canto di lunghe note nel registro grave. Talvolta
viene usato anche nella tradizione siciliana. Ad esempio un canto che presenta l'ison sia nella
tradizione greca che siciliana è l'ode nona del canone di natale, Megalinon, psichi' mu,
eseguito in Grecia dal coro di Angelopulos, in Sicilia dai Papàs di Piana degli Albanesi.
( ascolti 3-4). Il coro greco riesce con maestria a condurre la melodia anche con molte voci
all'unisono che riescono ad eseguire insieme melismi complessi. In Sicilia a condurre la
melodia è una sola voce con un ritmo leggermente più lento. L'altezza del ison greco varia
spesso a seconda delle note toccate dalla melodia, quello siculo è decisamente più statico. In
merito alle parti di lettura, in entrambe le tradizioni si tratta un flusso melodico perlopiù
continuo. Ascoltando la lettura tratta da una lettera di una apostolo ad Atene eseguita dallo
stesso coro del primo esempio ( ascolto 5) e la lettura in albanese di un passo del Vangelo
secondo Luca a Piana (ascolto 6) è interessante notare come nel flusso melodico della
cantillazione alcune parole chiave, che risaltano nel testo liturgico, vengano quasi sempre
fiorite e mantenute più a lungo in entrambe le tradizioni. Anche il ritmo della sintassi è
sottolineato dai melismi. Vi è un rapporto tra testo e musica, forse evidenziato in maniera piu'
retorica nell'esempio greco. Che sia per via delle origini comuni delle due tradizioni, o per via
dell'”aggiornamento” del repertorio siciliano con melodie bizantine moderne, molto spesso
capita che vi sia una identità quasi totale tra canti greci e siciliani nella struttura melodica di
base. Mettendo a confronto I parthenos simeron dal Kondakion di Natale composto da
Romano il Melode, e Dhefte idhomen pisti' da un kathisma del mattutino di Natale nelle
versioni greca di Angelopulos e siciliana dei Papas di Piana degli Albanesi (ascolti 7,8,9,10), è
facile con un minimo di attenzione accorgersi delle somiglianze melodiche. Attraverso una
trascrizione sommaria sul pentagramma l'identità risulta ancora più evidente, filtrate le
differenze nel ritmo e nell'estensione.
Il rito bizantino è legato ad una “drammaturgia mistica” propria della liturgia orientale, che
spesso è soggetta totalmente alla musica, riuscendo a creare diversi piani di narrazione.
Esempio chiave è la sospensione del significato testuale nell'inno cherubico, che viene cantato
nella Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, all'inizio del Grande introito. In breve, la
frase che canta il coro “Affinché possiamo accogliere il Re dell’universo scortato
invisibilmente dalle angeliche schiere” viene interrotta a metà dalla ekfonesis del sacerdote,
che declama un'invocazione sconnessa logicamente con la frase in cui si inframmezza. .Nella
versione del coro di Atene (ascolto 11) il coro viene interrotto dal sacerdote sulle parole “Re
dell'universo” nella versione di Contessa Entellina (ascolto 12) direttamente sulla parola “Re”,
creando una divisione ancora più netta. Curiosa nella tradizione greca la presenza dei
kratimata e teretesmi. (ascolto 15) Vocalizzi privi di senso, legittimati in chiave liturgica,
forse nascondendo l'ardimento creativo di queste composizioni libere e non legate al testo
liturgico dietro l'ineffabile e incomprensibile parola Divina.
In occasione di ricorrenze festive speciali la tradizione arberëshe si fregia di canti che hanno
una melodia esclusiva. Il tropario che ha una melodia specifica ed esclusiva si chiama
idhiomelon. Esiste un tipo di tropario, detto aftomelon, la cui melodia invece viene usata da
altri inni denominati prosomia. Esempio di idhiomelon è il Simeron Kremate, inno della
Passione e resurrezione di Cristo, cantato in occasione del Mattutino del Giovedì Santo.
Se a Piana degli Albanesi la lingua arberëshe continua ad essere parlata anche dalle nuove
generazioni, lo stesso non si può dire per gli altri centri. Nonostante ciò a Palazzo Adriano e a
Mezzojuso il repertorio continua a sopravvivere, aiutandosi con influenze da parte della
tradizione siciliana . Succede che a Mezzojuso la musica di un canto paraliturgico come Il
canto di Lazzaro viene supportata da un accompagnamento di tipo bandistico, creando un
momento sonoro molto simile alla paraliturgia tradizionale siciliana del rito latino.(ascolto 22)
Nello stesso centro, il direttore della banda paesana Di Grigoli è riuscito addirittura a creare
un'interessante ed efficace orchestrazione del Christos Anesti per banda da concerto, soprano
e mezzosoprano.(ascolto 23).

Marco Ardizzone

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