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Elita Maule

MUSICA E CARTONI ANIMATI


Per una didattica multimediale della musica

A difesa della TV in classe

La TV fa bene ai bambini è il titolo di un libro di Mario Morcellini pubblicato qualche anno fa1. Sin
dalle prime pagine l’autore dichiara perentoriamente il suo intento: “il compito di questo lavoro… è
ritagliarsi anzitutto un intento manifestamente polemico, nella misura in cui punta a dimostrare
l’infondatezza scientifica e l’inutilità morale degli atteggiamenti correnti contro la TV, ma si
prefigge anche di rovesciare in positivo la sindrome apocalittica”2.
Polemicamente, Morcellini afferma invece che la televisione farebbe piuttosto male agli adulti.
“Possiamo…affermare che la televisione sembra avere effetti indesiderabili e pericolosi soprattutto
sugli adulti. Ed infatti i veri teledipendenti siamo noi adulti: le generazioni dei padri e delle madri
(la “centralità televisiva”, nella classificazione delle ricerche di mercato) e dei nonni (i maturi-
anziani, la platea più consistente della TV generalista). Proprio quelli che si lamentano perché la TV
fa male ai bambini e vorrebbero impegnarsi a vietarla o a moderarne il consumo. In realtà siamo noi
ricercatori a sostenere che la TV fa male agli adulti; loro, al contrario, pensano che faccia bene…”3.
Seppur con toni più pacati e mediati, una ricca bibliografia4 attesta l’attuale superamento della
diatriba che, fin dagli anni ’60, aveva contrapposto i detrattori e i difensori ad oltranza della

1
Meltemi, Roma 1999
2
ibidem, pp. 7-8
3
ibidem, p. 40.
4
Cfr. E.Maule, La musica dei cartoni, Quaderni Operativi dell’Istituto Pedagogico n.15, Junior, Bergamo2001. Una
buona sintesi sulle ricerche compiute in merito all’influenza della TV sugli utenti è contenuta in M.D’Alessio, Posso
televisione, mettendo pace tra coloro che accusavano la TV di indurre effetti massificanti e di
forgiare uomini “eterodiretti” e “unidimensionali” e quelli che, invece, difendevano la televisione
in quanto mezzo di democratizzazione e di diffusione della cultura.
Da un lato, infatti, si è dimostrato5 che gli adolescenti ‘cresciuti’ con la TV sono i più pronti a
rompere ogni forma di dipendenza da essa; che sono spettatori molto più accorti e selettivi e molto
meno disponibili ad un rapporto coinvolgente con il mezzo televisivo rispetto alle precedenti
generazioni; che la frequentazione della TV non ha soffocato in loro, ma piuttosto incrementato,
altre forme di consumo culturale; che manifestano addirittura la tendenza a diminuire nel tempo e
con il crescere dell’età l’esposizione al medium televisivo.
D’altro canto, sempre di più si rafforza la convinzione che l’ineludibile presenza della TV nella vita
dei bambini e dei ragazzi debba coinvolge direttamente e in modo responsabile le famiglie, gli
insegnanti e la scuola, obbligati ormai a fare i conti con le modificazioni negli stili
comportamentali, valoriali, di apprendimento e di acquisizione delle conoscenza indotti dai nuovi
media: gli eventuali rischi diseducativi provocati dalla televisione6, soprattutto da parte dei soggetti
più fragili, non sarebbero, infatti, da attribuire al mezzo in sé ma dal suo uso7.
Per tale ragione si sta imponendo una didattica della multimedialità che si riveli funzionale
all’acquisizione di strumenti critici per una lettura-interpretazione del messaggio cinematografico.
In sostanza, non si tratta più di contrastare la televisione ma piuttosto di servirsi di essa a scuola per
imparare ad apprendere nel presente e per il futuro8. E, d’altra parte, più che come interfaccia tra il
bambini e la TV, l’educatore, genitore o insegnante, dovrebbe esercitare il suo ruolo educativo
“esigendo che lo strumento TV rispetti il bambino a priori, come persona… La famiglia e la scuola
hanno diritto di esprimere le loro esigenze educative prima, a monte, in modo da non essere negate
da programmi di pessima qualità, di volgare contenuto e realizzazione rozza”9.

guardare la TV? Come dare una risposta consapevole ai nostri bambini, Franco Angeli, Milano 2003; K.Branduardi-
W.Moro, Apprendere con la televisione, La Nuova Italia, Firenze 1997
5
I dati sulle tipologie rispetto agli stili di consumo culturale forniti dalle ricerche IARD ( che coprono gli anni Ottanta
fino al 1997) e dall’EURISKO (che coprono gli anni dal 1989 al 1998) sono riportati da M.Morcellini, La TV fa bene ai
bambini…cit., p.44 segg.
6
La ricerca ha dimostrato gli effetti negativi della violenza in TV sui comportamenti dei piccoli telespettatori . Inoltre,
“In Tv si crea una forma di oggettività… estremamente stereotipata che se non è compensata dalla ricchezza e dalla
diversificazione dell’offerta diventa semplicistica ripetizione e perciò banalizzazione… . Le ore di visione non possono
dare competenze sui contenuti, sugli schemi interpretativi e sui modelli” (M.D’Alessio, Posso guardare la TV?... cit., p.
170
7
P.Bertolini, M.Manini (a cura di), I figli della TV, La Nuova Italia, Firenze 1988; C. Coboldi, R.De Beni et al., Il
bambino metatelevisivo. Insegnare una visione consapevole dei programmi TV, Erickson, Trento 1999; P.M.
Greenffield, Mente e Media. Gli effetti della televisione dei computer e dei videogiochi sui bambini, Armando, Roma
1985
8
Cfr. E.Maule, La musica dei cartoni…cit., p.11
9
M.D.D’Alessio, Posso guardare la TV?... cit., p. 172
Perché i suoni e le musiche dei cartoni a scuola

Si è spesso sottolineato come la dieta televisiva dei bambini, ma anche dei più grandicelli, sia in
primo luogo dominata dai cartoni animati: passando da una rete all’altra l’offerta televisiva, in Italia
come altrove10, copre l’intero arco della giornata. Con la massiccia diffusione del videoregistratore
prima e del DVD poi anche i celebri prodotti d’animazione (corto e lungometraggi come quelli
disneyani), prima destinati alle sale cinematografiche, sono entrati in modo preponderante nella
sfera della fruizione familiare in parte sostituendosi e in parte aggiungendosi al consumo giornaliero
di televisione.
Al di là del tempo ‘fisico’ dedicato alla fruizione del genere televisivo più amato, è necessario tener
conto del tempo psicologico: il bambino porta con sé il mondo della televisione ricreandolo
continuamente nei personaggi che rappresenta con il proprio corpo nel gioco, nei disegni, nei
sogni11 e che lo accompagnano ‘visivamente’ nelle riproduzioni su cartelle, scarpe, magliette o
quaderni.
L’utilizzo in classe del cartone animato rappresenta, dunque, un modo per rispondere alle esigenze
del bambino, partendo dai suoi gusti, dai suoi interessi e da ciò che emotivamente lo avvince.
Il cartone è in grado di rispondere a bisogni profondi dell’infanzia: nel disegno animato, lontano
dalla realtà concreta e oggettiva, tutto è possibile e tutto può modificarsi assumendo le più diverse
identità “in un gioco di immagini che è estremamente vicino al modo in cui il bambino stesso si
accosta, animandoli, agli oggetti che gli stanno intorno… Il cinema d’animazione quindi non sfugge
alla categoria del gioco e della finzione che, nel caso specifico del cartone animato, si materializza
all’interno di opposte tipologie di personaggi nella reiterazione dei loro eterni conflitti”12 .
Nei cartoni vengono usate immagini elementari molto più immediate percettivamente rispetto a
quelle reali. Gli psicologi, inoltre, riconoscono nell’immaginazione dei bambini un certo grado di
sadismo che verrebbe soddisfatto dalle trame dei cartoni (incudini che schiacciano il malcapitato;
spaventose cadute nel vuoto…) il cui lieto fine sarebbe comunque in grado di offrire le opportune
rassicurazioni.
Se molti aspetti della fruizione cartonistica da parte dei bambini sono stati esaurientemente indagati
e costituiscono un buon supporto per progetti didattici mirati in classe13, altrettanto non si può dire

10
H.Theunert (a cura di), Begleiter der Kindheit: Zeichentrick und die Rezeption durch Kinder, Bayerische
Landeszentrale für Neue Medien (BLM), Fischer, München 1996
11
C.Coboldi, R. De Beni et al., Il bambino metatelevisivo. Insegnare una visione consapevole dei programmi TV,
Erickson, Trento 1999, p.17
12
P.Barotolini, M.Manini, I figli della TV…cit., p.157
13
Cfr. la bibliografia riportata in E.Maule, la musica dei cartoni…cit.,; A.Torazza, C.Baruffi, ImmagInAzione. Dagli
effetti ottici al cartone animato, Elledici, Torino 1999, M.D’Alessio, Posso guardare la TV?...cit.
per il sonoro e la musica, tuttora in buona parte escluso sia dalle riflessioni teoriche che dalle
proposte didattiche14.
Eppure, già MacLuhan sottolineava la prevalenza dell’organo uditivo, rispetto agli organi sensoriali,
nelle comunità orali, comunità alla quale appartiene anche il bambino15. “Un bambino che ancora
non conosce la lettura e la scrittura, è un individuo che agisce e apprende mediante meccanismi
analoghi a quelli che regolano la cultura orale… Del resto, l’attuale invadenza delle nuove
tecnologie multimediali e informatiche, che portano con sé l’inevitabile modificazione del rapporto
tra i sensi e nuovi stili di apprendimento spontaneo, rendono sempre più necessaria una educazione
o, meglio, una ri-educazione dell’orecchio, indispensabile per consentire una corretta relazione con
le nuove forme comunicative e di adeguarci al cambiamento”16.
Le sigle musicali dei cartoni preferiti sono memorizzate con facilità, vanno a costituire il vissuto
musicale esperienziale del bambino in modo privilegiato e vengono frequentemente canticchiate in
svariate circostanze, fungendo anche da contenitore privilegiato per produzioni linguistiche
spontanee mediante l’adattamento testuale alle esigenze psicologiche del momento17 (cambio di
parole e di frasi in canti pot pourri).
La D’Alessio rileva come la fruizione del cartone richieda abilità quali la comprensione,
l’elaborazione, l’integrazione e la capacità di inferire. Tali abilità chiamate in causa risentono
pesantemente della variabile età per cui molti studiosi ritengono che i bambini di età prescolare non
siano grado di comprendere i contenuti impliciti del cartone perché non capaci di integrare e
ricordare ciò che vedono.
In realtà, sostiene sempre l’autrice, “gli studi sperimentali hanno evidenziato come le caratteristiche
formali (le zoomate, il timbro della voce, la musica) influenzino la comprensione, configurandosi
come una guida per il bambino durante il processo di selezione dei contenuti”18. In tal modo, e
proprio tramite il sonoro e la musica, il bambino anche piccolissimo è in grado di recepire il
messaggio cartonistico godendo di esso.
Musica e immagine, ovvero i linguaggi non verbali, costituirebbero insomma una miscela esplosiva
in grado di provocare reazioni emotive forti nei piccoli ma anche nei grandi utenti ma anche di
veicolare la comprensione del discorso narrativo ancor meglio del linguaggio verbale stesso.

14
Una particolare attenzione al fenomeno sonoro dei cartoni è eccezionalmente contenuta nel testo di AA.VV.,
Medienerziehung im Deutschunterricht. Materialen für di Praxis, Die Blaue Eule, Essen 1998.
15
M.MacLuhan (a cura di G.Gameri), La galassia Gutenberg.Nascita dell’uomo tipografico, Armando, Roma 1998
16
E.Maule, S.Cavagnoli, S.Lucchetti, Musica e apprendimento linguistico, Quaderni operativo dell’Istituto Pedagogico
n.18, Junior, Bergamo 2005, p.27
17
Ricerche compiute sul canto infantile hanno dimostrato come le melodie dei cartoni costituiscano spesso un efficace
contenitore da riempire, mediante sostituzione di parole e frasi, con contenuti utili a esternare stati d’animo, emozioni.
Per approfondimenti cfr. S.Lucchetti, Musica nella scuola dell’infanzia: contributi metodologici per una pedagogia
delle condotte musicali, CLEUP, Padova2003
18
M.D’Alessio, Posso guardare la TV…cit., pp.109-110
Numerose serie cartonistiche, “mute” verbalmente come le Silly Simphonies disneyane o quelle
dedicate a Tom e Jerry, a gatto Silvestro ecc., confermerebbero questa realtà.

Uno spunto di lavoro in classe: dalle musiche del cartone all’opera lirica e
all’operetta viennese19

E’ singolare il fatto che il lungometraggio d’animazione, comunemente collocato tra il genere


musical (traduzione inglese abbreviata di commedia musicale), non sia stato ancora indagato
all’interno di un ambito specifico che se ne dovrebbe occupare: la storia della musica20.
Possiamo provvedere noi, con le nostre classi di ragazzi di scuola media, a ricostruire un po’ la
storia del nostro genere preferito e ad analizzarne le fattezze musicali. Il cartone può rappresentare
un modo gradevole per accostare i ragazzi al mondo dell’opera e dell’operetta, repertori ritenuti
‘ostici’ da affrontare in classe ma che tuttavia rappresentano uno dei nostri patrimoni storici di
maggior rilievo.
Genere drammatico misto di prosa e di canto, creato a Brodway nella versione teatrale e a
Hollywood in quella cinematografica, sotto i nomi di “musical comedy”, “musical play” o,
semplicemente, Musical, si intende un genere di spettacolo che conserva, seppur con lievi
differenze, tutte le caratteristiche dell’operetta europea dalla quale trae origine: parti recitate,
alternate a melodie orecchiabili e a danze, supportano una narrazione dal carattere evasivo e
gradevole (con una forte predilezione per la continua trasposizione della favola di Cenerentola),
destinata al grande pubblico.
Proprio la fortuna del musical cinematografico degli anni Trenta ispira a Disney il modello per il
suo primo lungometraggio animato: Biancaneve e i sette nani (1937) al quale faranno seguito gli
innumerevoli altri classici dell’animazione a noi tutti noti.
Le parti musicali, proprio come nell’operetta, sono assegnate ai personaggi in base a convenzioni
precise desunte dal teatro d’opera: i personaggi buoni, protagonisti del cartone, hanno una voce
sopranile (Biancaneve) o tenorile (il principe) dal colore chiaro e limpido proprio come il loro
carattere leale e fedele. I cattivi hanno una voce baritonale o di basso; i maschi cavernosa e a volte
contraffatta (la Bestia), le femmine contraltile, spesso sgraziata (la matrigna). Proprio come nel

19
Numerosi spunti di lavoro in classe e percorsi didattici compiuti, sia disciplinari che trasversali, sono contenuti in
E.Maule, La musica dei cartoni…cit.; E.Maule, Le musiche dei cartoni: una prospettiva interdisciplinare, in “Musica
Domani” n.122, EDT, Torino 2002, pp. 14 segg.
20
Accenni sull’argomento sono però contenuti in E.Simeon, Per un pugno di note. Storia, teoria, estetica della musica
per il cinema, la televisione e il video, Rugginenti, Milano 1995
teatro d’opera non manca l’ouverture (sigla iniziale), i concertati (scene musicali d’assieme) e le
parti danzate.
Il lavoro in classe può dunque partire dall’analisi dei timbri vocali cartonistici, rilevandone i
significati, i rimandi emotivi, il modo mediante il quale essi caratterizzano il personaggio, fino a
giungere ad una loro classificazione (soprano, tenore, basso ecc.).
Sarà indagata quindi la struttura musicale complessiva del cartone indicando le funzioni assolte
dalla musica nelle diverse situazioni (musica per presentare l’evento – ouverture -; musica per
comunicare stati d’animo / aria solistica, duetti, terzetti; musica correlativa d’azione / balletto…) e
dei suoni-rumori (effetti sonori in e out).
La produzione disneyana, come quella della Warner Bros, ha utilizzato in moltissime occasioni
musiche dell’Ottocento e ha nutrito una particolare predilezione per la musica operistica e
operettistica la quale, poiché inserita in un contesto narrativo, più ancora di altri generi si prestava
ad essere trasportata nella versione cinematografica, sonorizzandone situazioni analoghe a quelle
del contesto originario. Il repertorio musicale di riferimento era quello in voga nell’America del
primo Novecento, amato e coltivato da Walt Disney (nato a New York nel 1901): l’opera romantica
e l’operetta viennese, delle quali tutti conoscevano, e sapevano canticchiare, le più celebri arie.
Per questa ragione sono innumerevoli i cartoni costruiti appositamente su queste musiche, come le
Silly Symphonies disneyane, il cui scopo era, appunto, quello di animare celebri musiche del
passato. Possiamo trarre spunto da uno di questi cortometraggi per avvicinarci a questo genere
musicale. L’Ora della sinfonia, per esempio (miniclassici Disney), costruita sull’ ouverture
dell’operetta di Franz Von Suppè Die Leichte Kavallerie, può rappresentare un ottimo spunto per
attivare un ascolto attivo del brano originale (magari utilizzando la tecnica del “suoniamoci su”
elaborata da Piazza21) e per assumere informazioni su questo genere musicale. Avremo così modo
di scoprire tutte le affinità che accomunano il musical all’operetta stessa.
Il mondo dell’opera lirica è, come si diceva, altrettanto ben rappresentato nei cartoni. Negli
Aristogatti (è facile da reperire: appartiene al “corredo familiare” di tutti i nostri ragazzi) vi è un
episodio nel quale la vecchia signora proprietaria dei gatti, ex cantante lirica, ascolta e danza con il
suo amico notaio un brano tratto dalla Carmen di Bizet (Bizet è anche il nome del gattino
‘musicista’ protagonista del film). Chiediamoci come ‘suona’ e come è fatta quella musica;
confrontiamola con il brano originale; assumiamo informazioni per ‘saperne di più’ sul genere,
sull’opera…; riconsideriamo l’impianto complessivo del nostro lungometraggio: la struttura, la
forma, le sequenze musicali, assomigliano a quelle dell’opera lirica?

21
G.Piazza, Suoniamoci su. Sonorizzazioni di gruppo su playback, Ricordi, Milano1994
Per concludere, e per appropriarci ‘esteticamente’ del genere e dell’opera considerata attraverso
attività espressive pratiche, eseguiamo, insieme al coro e alla grande orchestra registrati su cd, con
la voce (parte semplificata) e con gli strumenti didattici il Coro dei monelli (Carmen, I Atto),
seguendo le indicazioni fornite da Piazza22: ci sentiremo parti integranti dell’opera e forse
impareremo ad apprezzarla ancor di più.

22
ibidem, pp. 60 segg.

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