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La composizione elementare
Quale insegnante?
Prima fase - La prima di queste fasi si attivò nel 1924 con la fondazione a
Monaco di Baviera della Güntherschule (dal cognome di Dorothée Günther,
prima collaboratrice di Orff): una scuola di ginnastica, musica e danza che
prese avvio con un gruppo di allieve fra i 18 e i 22 anni che ne sarebbero
uscite o come danzatrici o come insegnanti. L’attività, distribuita su un arco di
due o tre anni, è eminentemente sperimentale e dedica grande spazio
all’improvvisazione, mirando a una formazione che metta in grado le allieve di
essere, allo stesso tempo, musiciste e danzatrici. Più ancora: creatrici delle
proprie musiche e delle proprie coreografie. Rispetto all’obiettivo “artistico”
prevalse rapidamente l’obiettivo didattico, ristretto tuttavia ai settori della
musica strumentale, realizzata con strumenti prevalentemente esotici, e
dell’espressione motoria. “A parte qualche stentato esperimento – ammetterà
Orff – nella Güntherschule non avevamo mai riconosciuto al canto e alla parola
i loro veri diritti”. Nell’arco di questa più che decennale esperienza viene
progettato e realizzato lo Strumentario a barre: quell’insieme di glockenspiele,
metallofoni e xilofoni a barre estraibili che diventa il corpo intonato della
strumentazione didattica orffiana. Nel frattempo a Orff si è affiancata Gunild
Keetman che ne diventerà la collaboratrice più fedele soprattutto nel portare
l’esperienza schulwerkiana verso il naturale destinatario: il bambino. Già
all’inizio degli anni ’30 Orff comincia a pensare di “utilizzare le esperienze
raccolte istruendo alla musica i giovani della Güntherschule, quale
insegnamento elementare per l’educazione musicale infantile”. Il progetto
dovrebbe realizzarsi a Berlino ma l’epurazione di Leo Kestenberg, ebreo,
Referente per la musica presso il Ministero della Scienza delle Arti e
dell’Istruzione popolare e convinto sostenitore del progetto, manda tutto a
monte. La Güntherschule continua nella propria attività, ma Orff, assorbito
dalla composizione, se ne distrae. Sottoposta prima a vessazioni da parte del
regime nazista, la Scuola finisce poi materialmente distrutta sotto un
bombardamento alleato nel gennaio del 1945.
Improvvisare fa parte delle pratiche creative umane. Nella sua concezione più
comune l’improvvisazione presuppone la conoscenza approfondita di un
determinato linguaggio espressivo. E’ una pratica “professionistica” che
richiede il dominio del linguaggio e della tecnica tramite cui si improvvisa, sia
che appartengano all’area verbale, motoria o musicale. La danzatrice che
improvvisa necessita di un completo dominio del proprio corpo e delle tecniche
gestuali che la rappresentano. Il poeta popolare che improvvisa in ottava rima
(prassi ancora diffusa in alcune regioni dell’Italia centrale) oltre ad uno
spiccato intuito per la combinazione dei versi possiede anche un suo
consolidato repertorio linguistico e sintattico entro il quale riutilizza formule
proprie che contribuiscono ad una sua personale caratterizzazione stilistica. Un
po’ come il jazzista, che ad una approfonditissima conoscenza del relativo
linguaggio armonico unisce l’utilizzo di un “data base” personale di moduli, di
formule, di riffs che mette in gioco sul momento per svolgere il proprio
percorso improvvisativo. Nella musica indiana, i suonatori di tablas o di flauti si
formano su un linguaggio ritmico-melodico dettagliatissimo che fornisce la
base per improvvisazioni di estrema raffinatezza. E analogamente,
l’improvvisatore di area europea “classica” non potrebbe certo – come è ancora
rara prassi – improvvisare a fine concerto una fuga, al pianoforte o all’organo,
su tema dato dal pubblico, se non avesse una conoscenza approfonditissima
del linguaggio tonale armonico, delle tecniche e delle varianti strutturali
contrappuntistiche. Talvolta si dice che delle opere dei più grandi autori di un
passato storico “certificato” dalla letteratura scritta (Frescobaldi, Mozart,
Haydn, Beethoven) non conosciamo che una parte ridotta, a fronte di tutto ciò
che essi, nella prassi d’uso, produssero improvvisando. Al di là delle specifiche
e soggettive doti di “creatore istantaneo” indispensabili per l’attore di tale
pratica, improvvisare significa dunque utilizzare estemporaneamente e
creativamente un linguaggio ed una tecnica di cui si ha pieno dominio. Persino
l’improvvisazione contemporanea “libera”, nata negli anni ’50 per liberarsi in
modo più radicale possibile dai linguaggi e dai modelli formali e strutturali
storici, non poteva sussistere senza una tecnica ed una concezione “anti-
linguistica” che però si dotava via via di formule e di precetti soggettivi e
collettivi.
Nella nostra concezione didattica l’approccio è radicalmente rovesciato. La
prima forma di improvvisazione si concreta in una esplorazione assolutamente
ignara. Né potrebbe essere altrimenti considerando la totale “innocenza” del
bambino rispetto a elementi linguistici e formali, di cui possiede solo tracce
intuitive, competenze inconsapevoli. L’area sulla quale esso si avventura – che
si tratti di corpo, voce o strumento – gli è sconosciuta e l’improvvisazione
diventa il tramite per la scoperta delle potenzialità espressive proprie e dello
strumento di turno. E’ qui che la didattica musicale accademica incorre ancora
e sempre nell’equivoco che si debba “prima imparar la musica” per poterla poi
“fare”. Cioè imparare le note per poter suonare. Nel nostro caso, invece, il
rapporto con lo strumento si rovescia. Non è il bambino a dire allo strumento
“cosa fare” in base a conoscenze teoriche pregresse, ma è lo strumento a
“insegnare al bambino”, a rivelargli le proprie potenzialità, a seconda dei modi
in cui viene conformato e sollecitato. Ovviamente questo approccio
improvvisativo non può avvenire in forma puramente arbitraria. Certo, anche
in didattica una forma di improvvisazione completamente “libera” può avere il
suo luogo, che è però quello del puro sfogo, della necessità di scaricare
tensione, di recuperare attenzione: il momento del “chiasso”. L’approccio
esplorativo va invece governato proprio perché possa condurre a scoperte
fruttuose e significative. Per produrre questo effetto è essenziale rispettare tre
condizioni:
1. Operare su un campo delimitato – Avere a disposizione per improvvisare
l’intera e indiscriminata gamma di possibilità vocali, gestuali o strumentali,
dopo un iniziale senso liberatorio di totale discrezionalità, finisce per produrre
incertezza e insicurezza, non fornisce appigli strutturali, strumenti di
caratterizzazione. Dunque andrà delimitato il campo (delimitazione di area)
entro cui svolgere la propria esplorazione: un certo ambito di materiali verbali,
vocali, motòri, strumentali. Ad esempio un ridotto gruppo di strumenti ritmici o
la tastiera di uno strumento a barre cui si sia dato un assetto specifico (barre
alla rinfusa, in sequenza disordinata, ecc.). Assetto che fa anche parte
integrante della “delimitazione” del campo su cui si opera (delimitazione di
forma), unitamente alla tipologia dei materiali ritmici, melodici o gestuali.
2. Operare in base a una o più regole – Ad esempio combinare un numero
prefissato di segmenti motòri, scelti entro un ampio repertorio, al fine di
realizzare una propria sequenza coreografica. O combinare sequenze di parole
che contengano tutte una determinata consonante. Oppure eseguire un
accompagnamento strumentale ostinato vincolato a una certa forma del gesto
percussivo.
3. Fruire di un margine di discrezionalità soggettiva – I segmenti motòri
vengono scelti a proprio gusto. Le parole vanno trovate o inventate senza altro
vincolo che quello della consonante prefissata. Le note dell’ostinato sono a
discrezione del singolo suonatore.
Via via che l’esplorazione improvvisativa procede l’innocenza iniziale viene
sostituita da una progressiva consapevolezza, poiché lo scopo dell’esplorazione
è sempre la conoscenza. Si acquisiscono e si razionalizzano elementi di
linguaggio musicale e motòrio, ci si accosta alla notazione, alle capacità di
lettura, di esecuzione, di riconoscimento percettivo. Ed è così che anche in
ambito didattico si giunge a forme, sia pure molto elementari, di
improvvisazione consapevole, riproducendo in modo molto più semplificato
quel rapporto con la creazione estemporanea che è proprio della prassi
professionistica.
LA COMPOSIZIONE ELEMENTARE
L’ensemble integrato – Non c’è dubbio che una delle più fortunate invenzioni
del percorso schulwerkiano sia quella dello strumentario a barre, oggi più che
mai diffuso malgrado sia stato spesso ritenuto superato, soprattutto con
l’avvento della strumentazione elettronica. Va detto che una distorta mentalità
commerciale ha dato luogo talvolta a massicci tentativi di introduzione
smaccatamente anti-pedagogica della strumentazione elettronica nella scuola.
Il sogno mercantile di “una tastiera per ogni allievo” ha prodotto mostruosità,
per fortuna solitamente superate. Un sogno che corrisponde in realtà ad una
prassi didattica radicalmente opposta a quella dell’”ensemble”. Che si tratti di
una tastiera elettronica, di una clavietta, di un flauto dolce o di un violino per
ciascuno allievo, l’idea di uno strumento uguale per tutti sul quale imparare
collettivamente prima le note poi a eseguire le medesime melodie risponde ad
una prassi didattica più massificante che collettiva e socializzante.
Lo strumentario, in verità, essendo tuttora un veicolo assai efficace della
diffusione del nome di Orff è stato spesso scambiato per il “metodo” stesso.
Imparare, pur seguendo specifiche procedure didattiche, ed eseguire musiche
elementari, orffiane o no, con lo strumentario a barre intonate, fu spesso
praticata e intesa come una adeguata e sufficiente applicazione dello
Schulwerk. A partire da questa restrizione metodologica si giustifica il fatto che
lo strumentario venisse percepito come uno spazio musicale troppo angusto e
sacrificato, troppo datato, troppo caratterizzato.
Questa visione e quest’uso dello strumentario sono ampiamente superati. Oggi
gli strumenti a barre non sono che il corpo intonato, praticabile ed accessibile
anche ai livelli più inesperti - mediante adeguate forme d’approccio - di un
insieme aperto tutti gli strumenti musicali di cui il gruppo dispone. Strumenti
elettronici, strumenti d’arte, strumenti folclorici, strumenti autarchici, prendono
parte all’ensemble a seconda del prodotto musicale cui si mira. Nella ritrovata
popolarità generale della percussione, lo strumentario si rivela quanto mai
adeguato alla sensibilità giovanile corrente, offrendo in più quelle proprietà di
chiarezza e maneggevolezza (l’impostazione diatonica dei modelli base, la
possibilità di estrarre e sostituire le barre a seconda delle esigenze) sempre
assai utili in ambito didattico.
QUALE INSEGNANTE?