Sei sulla pagina 1di 1

Luca Morino - MAU MAU

- Innanzi tutto partiamo con una breve storia del gruppo per chi non vi conosce ancora
Il gruppo è nato nel '91 come trio, abbiamo fatto tantissimi concerti acustici, quindi senza impianto, molti di
questi al Balon, dove, tra l'altro, io vendevo anche carabattole nel week-end, ma anche nelle strade di Torino,
dove abbiamo sempre avuto problemi a causa della severità dei vigili e delle multe salate. Il fatto di poter
girare ci ha permesso di farci conoscere un po' dai torinesi, poi da cosa nasce cosa e adesso siamo qui.

- Il vostro interesse per l'emigrazione è chiaro fin dalla scelta del nome.
Certo, Mau Mau è il nome con cui i piemontesi chiamavano, in modo piuttosto spregiativo, i meridionali che
emigravano qui per andare a lavorare alla Fiat, e di conseguenza fin dalla nostra nascita abbiamo avuto un
preciso collegamento con l'emigrazione e soprattutto con quello che l'emigrazione rappresenta.

- Tra le vostre canzoni sono due quelle che in particolare parlano d'emigrazione, di italiani all'estero, e sono
Ellis Island e Union Pacific.
Vuoi spiegarci la genesi di queste canzoni?
Sia Ellis Island che Union Pacific sono state scritte in seguito ad un viaggio a New York. Come tu sai Ellis
Island è l'isola che si trova davanti al porto New York ed è stato il punto di passaggio per tutti gli emigranti che
venivano da fuori gli USA, e quindi è un posto molto carico, oltre che di umanità e di storia, anche di energia,
un'energia presente anche in assenza delle cose, perché in realtà adesso non c'è niente, c'è solo un museo e
un enorme muro con stampati sopra i nomi di 400mila tra i 12 milioni di emigranti che sono passati di lì.
Siccome uno dei miei prozii è passato anche lui attraverso Ellis Island ho trovato necessario scriverci qualcosa
sopra. E lo stesso dicasi per Union Pacific, un pezzo scritto in un inglese maccheronico che non esiste, ma è
soltanto la trascrizione della pronuncia. La prima idea di questo pezzo mi era venuta quando al Balon avevo
trovato un piccolo diario di un emigrante del sud Italia che era in America e che stava cercando di imparare i
numeri in inglese; ad esempio, per scrivere sei, "six", lui scriveva "secchese" e così via. Da lì mi è venuta
l'idea di scrivere una piccola poesiola su questo modo di affrontare una nuova cultura e ad una nuova lingua.

- I Mau Mau hanno sempre alternato l'italiano al dialetto.


A cosa è stata dovuta questa scelta?
Il dialetto ci è sembrata una scelta necessaria fin dall'inizio, innanzitutto perché è stata una cosa che abbiamo
scoperto noi per primi, anche perché noi proveniamo da Torino ma parlavamo poco il dialetto, e a me piaceva
far emergere la nostra cultura attraverso qualcosa che non appartenesse a tutti, cioè attraverso la diversità.

- E' quindi più una sorta di recupero delle proprie radici, che la possibilità di cantare in una lingua che già si
parlava tra voi.
Sì, ricordiamo che il dialetto ha i suoi pro e i suoi contro: da una parte se canti in dialetto sai che uscendo dalla
tua zona nessuno ti capirà, d'altra parte il fatto di essere incomprensibile ai più era anche uno stimolo per far
sì che il messaggio musicale fosse comprensibile per altri motivi; ci siamo trovati a suonare in situazioni
lontanissime da noi essendo compresi lo stesso da chi non capiva le nostre parole.

- Torniamo al tema dell'emigrazione e all'immigrazione. Recentemente su un giornale è stato pubblicato una


sorta di dibattito tra due posizioni ben differenti: secondo te i fenomeni migratori sono un problema sociale o
un segno della maturità dei popoli?
Io credo che si tratti di un problema sociale. A mio parere, per quanto riguarda l'immigrazione, il gioco
dell'economia mondiale ha fatto sì che la grande scatola magica che è la televisione arrivi in qualsiasi angolo
del mondo, riuscendo a commercializzare prodotti ovunque. Peccato che arrivino anche in quei posti dove c'è
soltanto la televisione che presenta un certo tipo di mondo, e null'altro. Ad esempio, attraversando il sud del
Marocco, ho visto capanne fatte di fango ma tutte con l'antenna parabolica che spunta dal tetto; in queste
condizioni può succedere che chi sta lì in mezzo al deserto che guarda la sua bella televisione ad un certo
punto pensi "magari voglio farmi anch'io una storia come quelle che vedo nella pubblicità" e si sposta per
cercarla. Per quanto riguarda invece l'emigrazione il discorso è all'incirca lo stesso, visto che dove non c'era
ancora la tv c'erano la radio o i cinegiornali che funzionavano allo stesso modo. Io penso che gli immigrati nel
nostro paese in questo momento stiano affrontando la stessa situazione che gli italiani hanno vissuto e vivono
tuttora fuori dell'Italia, perciò è normale che ci sia da una parte un sentimento di chiusura, e dall'altra parte è
fondamentale la volontà di integrarsi per gli uni, di essere tolleranti per gli altri, cercando di creare un rapporto
di scambio tra culture differenti.

Potrebbero piacerti anche