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La radioterapia è la branca della radiologia che prevede l’utilizzo terapeutico delle radiazioni ionizzanti
nel trattamento delle patologie neoplastiche. I tumori rappresentano la seconda causa di morte nella
popolazione occidentale, dopo le malattie cardiovascolari, ed hanno una incidenza di 8-10 milioni di nuovi
casi l’anno, di cui 260 mila in Italia e 19 mila in Sicilia. Circa il 50% dei pz oncologici necessita di un
trattamento radioterapico durante il decorso della malattia.
Prima dell’introduzione della chemioterapia (seconda metà del ‘900), la radioterapia e la chirurgia erano le
uniche opzioni terapeutiche contro i tumori. Oggi la RT rappresenta un ponte tra la chirurgia (essendo
anch’essa un trattamento loco-regionale) e le terapie mediche.
Secondo l’OMS una malattia neoplastica può definirsi guarita quando il pz sopravvive in condizione libera
da malattia (NED = No Evidence of Disease) per almeno 5 anni dal termine del trattamento specifico.
Questo concetto si applica alle neoplasie ma non ad altre malattie, come ad es una broncopolmonite, in cui
anche se la malattia si ripresenta dopo 5 anni, non rappresenta una ripresa ma un nuovo episodio di malattia
a se stante.
Se ad es una donna di 40 anni con ca. mammario completa tutto l’iter diagnostico e terapeutico a 45 anni e
poi a 51 anni presenta la malattia metastatica, molto probabilmente morirà a causa delle metastasi e in
questo caso si parla del concetto di lungosopravvivenza. La maggior parte dei tumori solidi metastatici non
guariscono ma al massimo si potrà allungare la sopravvivenza del pz. Il pz neoplastico metastatico muore
per le metastasi.
I tumori che guariscono sono veramente pochi e sono gli stessi da più di 40 anni:
• LH (anche se extranodale)
• Seminoma
• Ca. embrionale del testicolo
• Corioepitelioma metastatico: deriva da una degenerazione maligna della mola vescicolare (in
gravidanza)
• Alcune forme di neuroblastoma
• Rari casi di melanoma
Tuttavia esistono delle neoplasie verso le quali sono stati raggiunti importanti successi terapeutici come la
LMC, i GIST, o anche gli stessi tumori della mammella, in cui una ottimizzazione del trattamento permette
di ridurre il rischio di metastatizzazione. Più precoce è la diagnosi, migliore sarà il controllo loco-
regionale della malattia e minore sarà il rischio di metastasi e quindi di morte.
I protoni hanno la caratteristica di rilasciare il 100% della dose in un dato punto ad una certa profondità
(picco di Brag), cedendo pochissima radiazione ai tessuti circostanti. È la radiazione che ha le
caratteristiche ideali per un trattamento RT ma non è diffusa a causa dei costi.
Nella pratica clinica la gran parte dei trattamenti si realizza con l’acceleratore lineare.
Anche se esiste il fenomeno del build up c’è comunque la necessità di irradiare il bersaglio da più porte
d’ingresso il cui numero varia a seconda della RT da impiegare.
Con le radiazioni attualmente utilizzate (fotoni X, fotoni gamma, elettroni) è necessario erogare le
radiazioni attraverso più porte d’ingresso per coprire il volume bersaglio. Con la terapia protonica questo
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non sarebbe necessario ma ancora oggi la terapia protonica non si usa per i costi elevatissimi.
In passato la RT veniva eseguita solo dopo l’intervento allo scopo di ridurre le recidive. Oggi si assiste ad
una associazione tra radio e chemioterapia anche prima dell’intervento chirurgico (neoadiuvante), con lo
scopo di ridurre non solo il rischio di recidive ma anche la destruenza dell’intervento chirurgico. Importante
è quindi il timing dell’intervento radioterapico.
RADIOBIOLOGIA
La radiobiologia studia gli effetti delle radiazioni ionizzanti sulla materia vivente. Nell’interazione tra
radiazioni ionizzanti e materia, distinguiamo 3 fasi temporalmente successive:
Fase Fisica: le interazione dei fotoni con la materia possono produrre, al crescere dell'energia, effetto
fotoelettrico, effetto Compton e produzione di coppie.
- Effetto fotoelettrico: un fotone interagendo con un elettrone dell’orbitale più interno, cede a questo
la sua energia. Segue l’emissione di un fotone x o di un elettrone; Tale effetto dipende dal numero
atomico la struttura colpita dal fascio, in base al numero atomico delle molecole che la compongono,
assorbirà una certa quantità di radiazioni, lasciandone passare il resto. Si sfrutta tale effetto nella
diagnostica
- Effetto Compton: interazione di un fotone con un elettrone degli orbitali più esterni. La particella
colpita dal fotone espelle un elettrone ed emette un secondo fotone con un angolo compreso tra 0-
90° rispetto all’asse del fotone incidente; si sfrutta tale effetto in terapia
- Produzione di coppie: materializzazione del fotone nelle vicinanze del campo elettrico nucleare in due
particelle, un elettrone e un positrone. Si sfrutta tale effetto in terapia ed in diagnostica (PET)
- Fotodisintegrazione: si studia solo in caso di incidenti nucleari e non ha risvolti clinici
Fase Chimica: le radiazioni ionizzanti con meccanismo indiretto portano alla radiolisi delle molecole
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d’acqua e conseguente formazione di radicali liberi
Fase Biologica: si esplica sostanzialmente sul DNA della cellula in proliferazione interruzione della sintesi
del DNA, rottura del doppio filamento, alterazioni delle basi azotate. Gli effetti sulla cellula sono la morte
riproduttiva, la morte in interfase o l’apoptosi.
Se una popolazione cellulare muore in maniera massiva otteniamo una necrosi che non è un vantaggio.
Dobbiamo ottenere una morte programmata in modo che i tessuti vicini possano riparare. Se otteniamo
necrosi potremmo avere la formazione di una fistola, risultato non terapeutico. Oltre alla radionecrosi, le
radiazioni possono provocare esse stesse l’insorgenza di mutazioni che possono sfociare in una nuova
neoplasia oppure in un’anomalia ereditaria trasmissibile. La radiopatologia è un danno che può essere
provocato dalla RT.
Effetto ossigeno (OER = Oxygen Enhancement Radio): l’effetto biologico delle radiazioni ionizzanti a
basso LET (molto penetrative) è 2-3 volte maggiore in presenza di ossigeno. Questo significa che più una
massa neoplastica è ossigenata, più è suscettibile alla radiazione ionizzante. Un tumore che si accresce
induce esso stesso la neoangiogenesi che è disarmonica. Più è grande il tumore, più ci saranno aree ipossiche
e necrotiche anche in presenza di neoangiogenesi. Più è grande la massa che deve essere trattata con RT e
minori sono i presupposti di risposta alla terapia radiante. Sono stati tentati in passato esperimenti di RT in
camere iperbariche o con fattori di crescita per i GR, ma con scarsa efficacia.
Il gray ha sostituito la vecchia unità, il rad(Radiation Absorbed Dose); vale la relazione 100 rad = 1 Gy. Il
sottomultiplo del Gy è il cGy (centigray):
- 1 cGy = 0,01 Gy
- 1 Gy = 100 cGy= 100 rad
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Il trattamento radiante viene somministrato con una certa dose e non si può definire completato se non si
raggiunge la dose stabilita da somministrare. La dose cancericida deve essere somministrata tutta altrimenti
il trattamento risulta inefficace e controproducente in quanto provoca la selezione di cellule radioresistenti.
La radioterapia è efficace contro le cellule che si trovano in fase M (mitosi). I chemioterapici invece
agiscono prevalentemente nelle altre fasi. La chemioradioterapia quindi ha lo scopo di ottenere un effetto
sinergico tra i 2 tipi di trattamento che agiscono in diverse fasi del ciclo cellulare.
Picco di Bragg: tutti protoni di una data energia hanno un dato potere di penetrazione, la dose erogata al
tessuto è massima solo negli ultimi millimetri del tragitto della particella: questo punto massimo è chiamato
picco di Bragg. Maggiore l’energia dei protoni, più in profondità arriverà il fascio. Gli acceleratori utilizzati
per la terapia protonica in genere producono protoni con energie nella gamma di 70-250 MeV. Regolando
l'energia dei protoni durante il trattamento, si possono quindi risparmiare maggiormente i tessuti posti prima
e dopo la massa tumorale, concentrando il massimo dell'energia proprio su questa. Nella maggior parte dei
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trattamenti, protoni di diverse energie e con picchi di Bragg a diverse profondità vengono applicati per
trattare l'intero tumore. La dose di radiazione totale dei protoni è chiamata spread-out Bragg peak
(SOBP), ed è mostrata come una linea tratteggiata marcata in blu nella figura a sinistra.
La componente αD rappresenta un danno non riparabile (il rapporto dose/effetto è lineare, da urto singolo,
e perciò anche le piccole dosi sono in grado di determinare il danno).
La componente βD2 indica l’esistenza dei processi di recupero (eventi a più urti) per vincere i quali, e
causare danno letale, la dose deve aumentare in maniera quadratica
Il rapporto α/β = dose in Gy in cui si osserva ugual letalità per danno singolo e per somma di subletali. È
caratteristico per ogni popolazione cellulare. Il modello si basa sull’osservazione che esistono 2 diversi tipi
di tessuti: tessuti early responders ad elevata attività replicativa, quali la cute, le mucose, l’epitelio
intestinale, il midollo osseo e tessuti late responders a bassa attività replicativa, proliferativa, quali il
midollo spinale. Un valore elevato del rapporto alfa/beta (per un alfa elevato) è caratteristico di popolazioni
cellulari con elevato turn-over cellulare, “early responding”. Ne consegue che, a parità di dose totale,
diverse modalità di frazionamento della dose possono provocare un differenziale di effetto clinico nei vari
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tessuti:
• Iperfrazionamento della dose comporta un parziale risparmio nei tessuti “late responding” a parità di
effetto sui tessuti early responding (alto rapporto alfa/beta)
• Ipofrazionamento (alte dosi ogni seduta, minor numero di sedute) ha maggiori effetti nei tessuti late
responders (con basso rapporto alfa/beta)
I tessuti che più sono sensibili alle radiazioni ionizzanti sono i tessuti in attiva proliferazione. La
radiosensibilità dei tumori va distinta invece in:
- Elevata: leucemie, LH, seminoma, neuroblastoma
- Media: tumori epidermoidali, tumori della vescica e la gran parte dei tumori solidi non ematologici
- Bassa: sarcoma dei tessuti molli, il melanoma e il glioblastoma
Una popolazione neoplastica scarsamente radiosensibile sarà scarsamente radiocurabile, come ad es nel
caso del glioblastoma multiforme. Il melanoma anche se ha radiosensibilità bassa, può essere radiocurabile
in base alla dose e al frazionamento. Il melanoma della coroide (tunica vascolare dell’occhio) è il tumore
più frequente dell’occhio (anche se raro). La sua storia naturale comprende una lenta progressione e la
metastatizzazione che porta a morte il pz. Le metastasi elettive del melanoma della coroide (a differenza
del melanoma della cute che metastatizza più frequentemente a SNC e polmoni) si localizzano soprattutto
a livello epatico. Se lo trattiamo con la RT protonica, invece si può anche avere una lunga sopravvivenza,
evitando l’enucleazione dell’occhio. Quindi il concetto è proporre un trattamento ugualmente efficace, ma
meno destruente rispetto ad un trattamento chirurgico.
Altro es è la prostata. I pz con adenocarcinoma prostatico trattati con RT erano un tempo solo quelli
metastatici nell’ambito di un trattamento palliativo. Con la diffusione del dosaggio del PSA e con
l’evoluzione delle tecniche RT, in particolare con lo sviluppo della IMRT, è stato visto che un tumore
organo confinato (T1-T2) non deve necessariamente essere trattato con prostatectomia ma può essere
trattato efficacemente con RT con finalità radicale. Un pz con adenocarcinoma prostatico, che ha 70 anni,
che ha un’aspettativa di vita che non è quella di un 50enne, viene inquadrato secondo una classe di rischio
(classificazione di D’amico, tiene conto del PSA, del GS) bassa (PSA < 10, GS = 6), intermedia o alta
probabilità di rischio di metastatizzazione e viene proposto eventualmente un trattamento di ormono-terapia
e RT che assicura un’aspettativa di vita non inferiore a quella del trattamento chirurgico.
Altra discordanza tra radiosensibilità e radiocurabilità si ha nei linfomi. La gran parte dei linfomi sono
LNH. Il LH rappresenta l’1% di tutte le neoplasie. Anche se raro, il LH è un tumore molto studiato. Il LH
è meno radiosensibile dei LNH. Il LH ha 2 picchi d’incidenza: uno in età pediatrica (in oncologia l’età
pediatrica viene considerata fino a 24 anni) e uno intorno alla sesta decade. Il LH è stata la prima neoplasia
trattata e guarita con RT. Il LNH invece viene trattato con la RT solo in completamento della chemioterapia.
Perché un tumore radiosensibile come il LNH non è radiocurabile? Perché la massa tumorale è formata
in parte da cellule neoplastiche e in parte da cellule non clonogeniche. Sono radiosensibili le cellule non
clonogeniche mentre sono radioresistenti le cellule clonogeniche. In un primo trattamento le cellule
radiosensibili muoiono e la massa si riduce fino anche a scomparire. Successivamente la malattia si
ripresenta come massa totalmente radioresistente formata da cellule clonogeniche.
RADIOTERAPIA PALLIATIVO-SINTOMATICO
Il trattamento RT può anche essere solo palliativo-sintomatico per alleviare i sintomi e prevenire le
complicanze dell’evoluzione della malattia in pz che presentano uno stato di malattia non più curabile. La
radioterapia è un trattamento molto efficace nel controllare i sintomi e nel migliorare la qualità di vita dei
pazienti con neoplasia in fase avanzata. Rispetto alla radioterapia radicale, che abbiamo detto può durare
alcune settimane, il trattamento palliativo di solito è erogato in un tempo più breve, come per esempio
cinque giorni di trattamento a settimana o in alcuni casi anche con una semplice seduta di radioterapia. La
RT palliativo-sintomatica può essere:
- Antalgica
- Decompressiva
- Citoriduttiva: per masse voluminose
- Emostatica: per masse sanguinanti (ad es un tumore della vescica o del retto non operabile)
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oncologica ed in molti casi dovrebbe essere trattata nell’arco di 24 h dalla diagnosi. Lo scopo del
trattamento e di mantenere l’autonomia del paziente sia per la deambulazione, che per la continenza. La
maggior parte (95%) dei pazienti affetti da una compressione del midollo spinale, lamentano un dolore
dorsale e presentano dei segni e dei sintomi neurologici come astenia, parestesie, incontinenza, spasticità
ed iperriflessia. Questi sintomi neurologici talvolta progrediscono rapidamente, ed una diagnosi precoce è
di fondamentale importanza. In questi pazienti la radioterapia rimane la principale modalità di trattamento,
ma in alcuni casi si può ricorrere anche ad un intervento di neurochirurgia. La durata del trattamento
radiante di circa 1-2 settimane. La prognosi dipende largamente dalle condizioni generali del paziente prima
della terapia, in altre parole sulla sua autonomia nella deambulazione, sulla velocità della progressione di
sintomi, e sull’estensione della compressione midollare.
La maggior parte dei pazienti che arrivano deambulanti alla diagnosi, rimane autonoma, se sono trattati
prontamente; solo la metà di quelli che arrivano incapaci di deambulare, ma con la mobilità degli arti
inferiori, riacquistano l’autonomia nel cammino dopo il trattamento. Soltanto alcuni dei pazienti paraplegici
prima della terapia, recuperano la funzione neurologica dopo il trattamento, è quindi evidente l’importanza
di una diagnosi precoce e di un trattamento immediato.
Metastasi ossee
Le metastasi ossee sono la più comune indicazione per un trattamento di radioterapia palliativa. Circa
l’80% dei pazienti che ricevono questo trattamento per un dolore, lamentano scarsi effetti collaterali ed un
miglioramento della sintomatologia che compare da 1 a 3 settimane dopo il trattamento. I tumori che più
frequente comportano metastasi ossea sono le neoplasie della mammella, della prostata del polmone. La
diagnosi viene fatta effettuando una scintigrafia o una normale radiografia e se possibile una risonanza
magnetica o una tomografia assiale computerizzata. Se il paziente si presenta con un dolore dorsale e segni
e sintomi neurologici, escludere la possibilità di una futura compressione del midollo spinale. In molti casi
perfino un trattamento singolo di radioterapia provoca un notevole miglioramento della sintomatologia
dolorosa; trattamenti prolungati sono raramente richiesti in pazienti che hanno una sopravvivenza limitata.
Dal momento che spesso vi sia un ritardo tra l’inizio della radioterapia e l’evidente miglioramento nella
sintomatologia dolorosa, è opportuno che nel corso del trattamento i pazienti vengono sottoposti a una
adeguata terapia antidolorifica.
Metastasi cerebrali
Le metastasi cerebrali sono una complicazione presente dal 10-30% dei pazienti con neoplasia. La
radioterapia, in associazione alla somministrazione di corticosteroidi e talvolta all’intervento di
neurochirurgia può migliorare i sintomi e prolungare la sopravvivenza. I pazienti spesso si presentano con
sintomi come cefalea, alterazioni cognitive, deficit neurologico e talvolta convulsioni. Per diagnosticare la
presenza di metastasi cerebrali si ricorre o a TAC o a RM. Se la diagnosi è incerta può essere opportuno
effettuare una biopsia cerebrale. Nell’attesa della radioterapia palliativa si può ricorrere alla
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somministrazione d’alte dosi di corticosteroidi per migliorare e stabilizzare la sintomatologia del paziente.
La radioterapia di solito è erogata sull’intero cervello nell’arco di 1-2 settimane, e può migliorare i sintomi
e perfino prolungare la sopravvivenza. I pazienti che presentano una sola o massimo due o tre metastasi
possono essere idonei, o per l’intervento chirurgico (una sola metastasi), o per la radioterapia
stereotassica (sino a 3 metastasi), una metodica di radioterapia a fasci focalizzati, che si può associare al
trattamento radiante dell’intero cervello.
Altri sintomi
La crescita di un tumore può bloccare parzialmente o completamente un organo come avviene per esempio
per l’esofago, la trachea, i bronchi e la radioterapia può essere molto utile nel ridurre questa ostruzione.
L’emottisi ed il sanguinamento da organi quali la vescica, la vagina ed il retto possono essere contrastati in
modo efficace con un trattamento breve di radioterapia palliativa La RT è utile anche per masse dolorose
nei tessuti molli, l’ingrossamento dei linfonodi o delle metastasi cutanee sottocutanee dolenti.
Infine esiste anche un trattamento RT profilattico nel caso di organi come mammella, retto e stomaco
L’irradiazione cranica profilattica (PCI) è una radiazione esterna inviata al cervello quando il tumore
primario (ad es. un microcitoma ha un elevato rischio di propagazione al cervello).
Prima di iniziare un trattamento RT dobbiamo avere una diagnosi istologica, la stadiazione, stabilire il
timing dell’intervento RT e stabilire la situazione clinica del pz (come sta il pz?). Per risolvere quest’ultimo
punto esistono delle classificazioni che ci dicono cosa possiamo fare in ciascun pz in base alle sue
condizioni. Il performance status (PS) che prende anche il nome di indice di Karnofsky, è una
valutazione che tiene conto dello stato clinico generale del pz. La scala di Karnofsky (nome originale
Karnofsky performance status scale) è una scala di valutazione sanitaria dei pazienti calcolata tenendo
conto della qualità della vita del paziente attraverso la valutazione di tre parametri:
- Limitazione dell'attività
- Cura di se stessi
- Autodeterminazione
La scala ha come scopo quello di stimare la prognosi, definire lo scopo delle terapie e determinarne la
pianificazione. La valutazione dello stato di salute finale del paziente è necessaria affinché si possa decidere
la migliore cura possibile nei vari stadi di malattia (guarigione, prolungamento della vita, restituzione
funzionale, palliazione). La scala va da 0 a 100 con classi di 10. In un pz che ha un performance status
inferiore al 50%, l’indicazione alla RT deve essere attentamente valutata. Il performance status basso ci
deve far chiedere se in quel pz la RT può effettivamente apportare dei benefici o se non ne vale la pena.
Accanto alla scala di Karnofsky, per valutare il PS viene utilizzato anche l'Indice della qualità della vita
della Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG). Il concetto è che molto importante è la valutazione
clinica prima di qualsiasi trattamento.
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In base al modo di somministrazione delle radiazioni distinguiamo:
- RT-intraoperatoria
- Brachiterapia
- RT di tipo metabolico
- RT esterna transcutanea (80% delle RT)
RT ESTERNA
Quella più routinaria è la RT fatta con l’acceleratore lineare (LINAC). L'acceleratore lineare produce fasci
di elettroni e di fotoni che, opportunamente collimati, colpiscono il volume bersaglio. Le energie della
radiazione prodotta variano da 2 a 25MeV. Normalmente, le apparecchiature standard usano energie attorno
a 6-9 MeV, in quanto energie superiori causano anche la produzione di neutroni. Per la tomoterapia, in cui
la radiazione è emessa fetta per fetta, si usa un'energia di 6MeV. L'apparecchiatura è contenuta all'interno
di un bunker, un ambiente appositamente costruito su terrapieno, con muri spessi 1,5 m di calcestruzzo e
barite, con un sistema proprio di aereazione. L’unità di RT è costituita essenzialmente da 3 parti:
• Consolle: fuori dal bunker
• Lettino
• Gantry
Il pz che fa la RT rimane solo nella sala. Nessun altro può rimanere con lui durante l’erogazione del fascio.
Irradiare un bambino piccolo può quindi essere difficoltoso e spesso deve essere sedato, cosi come anche i
pz anziani con demenza, con patologie psichiatriche ecc. La parte del corpo che deve essere irradiata deve
essere nuda (in diagnostica invece può essere coperta) perché qualsiasi corpo interposto fa effetto build up.
Il funzionamento di un Linac è complesso ed i suoi componenti principali sono:
• Cannone di elettroni (electron gun): per effetto termoionico, produce elettroni di circa 50 keV
• Magnetron o Klystron: fornisce l'onda elettromagnetica acceleratrice
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• Sezione acceleratrice (o guida d'onda): attraverso la quale gli elettroni prodotti dal cannone
vengono accelerati, su di un'onda elettromagnetica, sino ad acquisire l'energia desiderata.
L'elemento accelerante è costituito da una cavità, divisa in un certo numero di sezioni, in cui si trova un
campo elettrico oscillante a frequenza sincrona con il passaggio dei pacchetti.
L'onda accelerante deve essere sincrona con il passaggio delle particelle attraverso gli spazi tra le cavità,
tali cavità devono essere tanto più lunghe quanto più elevata è la velocità delle particelle, per permettere
alle particelle di restare in fase con l'onda (che ha una frequenza fissa). Poiché c'è un limite superiore alla
velocità (la velocità della luce), le cavità, da un certo punto in poi, sono di lunghezza costante. In pratica,
poiché gli elettroni raggiungono velocemente la velocità della luce, le cavità di lunghezza differente sono
le prime due o tre, le altre sono di lunghezza costante.
Il pennello d'elettroni al termine della fase d'accelerazione, è deflesso dai magneti collocati sulla testata.
Questa procedura permette di omogeneizzare l'energia del fascio d'elettroni, poiché quelli dotati d'energia
differente escono dalla traiettoria programmata e vengono intercettati dalle strutture schermanti della
testata:
• Target: costituito da una lamina in oro (o tungsteno) che, colpita dal pennello d'elettroni, emette raggi
X a spettro continuo con energia massima pari all'energia degli elettroni
• Lamina di diffusione: trasforma il pennello puntiforme d'elettroni in un fascio omogeneo di
dimensioni volute, per indirizzarlo al paziente, in alternativa ai raggi X
• Filtro a cono (“flattening filter”): omogenizza il fascio di raggi X, sia in termini d'energia sia in
termini d'intensità nei nuovi modelli "true beam", questo filtro non è più presente
• Camere monitor: fondamentali nel quantificare la dose erogata e nell'interrompere l'erogazione al
raggiungimento delle unità monitor previste, nel controllare la simmetria e l'intensità del fascio. Sono
costituite da due camere a ionizzazione piatte e parallele (a loro volta divise in due camere
simmetriche), con la funzione di intercettare il fascio di radiazioni perpendicolari al loro asse
• Collimatore mobile: utile per la definizione dei campi, si compone di quattro braccia (Jaws) in
piombo aventi uno spessore adeguato all'energia del fascio. Le Jaws sono interconnesse tra loro in
modo tale che il fascio emergente risulti simmetrico ed il centro del campo d'irradiazione coincida
con l'asse del fascio; inoltre, possono essere disposte, per conformare il fascio nelle dimensioni volute,
in modo simmetrico (contrapposte due a due rispetto all'asse), oppure asimmetrico (regolabili
indipendentemente uno dall'altro).
• Collimatori multilamellari (“multi-leaf-collimator”), usati nelle tecniche “conformazionali”,
modulano il profilo del fascio secondo le tre dimensioni adattandolo alla forma del bersaglio. È
costituito da coppie di lamelle opposte, mobili ed indipendenti. Il numero delle lamelle ed il loro
spessore variano a seconda dei modelli ed il loro profilo è di norma “tongue and groove” (lingua e
palato), per minimizzare la perdita di radiazione attraverso la giunzione di due lamelle adiacenti. Il
funzionamento di tutta la parte elettronica e meccanica è gestito da un computer
Un'ultima menzione spetta alle cosiddette componenti sussidiarie:
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• Pompa a vuoto (pompa ionica): mantiene permanentemente il vuoto nella sezione acceleratrice,
anche ad apparecchio spento (10−6 Atm);
• Impianto di raffreddamento a circuito chiuso: realizzato con acqua filtrata raffreddata dalla rete
idrica urbana attraverso uno scambiatore di calore (T di funzionamento = 26-29 °C).
• Magneti permanenti: come i quadrupoli, il cui compito è il focheggiamento trasversale del pacchetto
di particelle
La seduta ha una durata variabile in base al tipo di tecnica. Per una tecnica classica 3D conformazionale, la
durata è di 1 minuto e mezzo per porta. Se invece si fa l’IMRT, la durata può estendersi anche a 20 minuti.
Il lettino su cui è posizionato il pz è in fibra di carbonio. La posizione del pz deve essere ripetibile e in
genere è in clinostatismo.
Radioterapia con fasci ad intensità modulata (IMRT): è una evoluzione della tecnica 3D prevede
l’utilizzo di un collimatore multilamellare come nella radioterapia conformazionale. Nel corso del
trattamento le lamelle del collimatore si muovono sull’area da irradiare con una sequenza stabilita e
controllata da un computer mentre la macchina eroga il fascio di radiazioni. In questo modo è possibile
conformare la fluenza del fascio di radiazioni all’area da irradiare con una maggiore precisione rispetto alla
tecnica 3D conformazionale.
Recenti studi clinici hanno dimostrato che la radioterapia conformazionale tridimensionale e la radioterapia
con fasci a intensità modulata determinano meno effetti avversi rispetto alla tecnica tradizionale
bidimensionale.
La IMRT volumetrica è una forma avanzata di trattamento a intensità modulata. Utilizza un software
speciale e un acceleratore lineare (LINAC) dalle caratteristiche avanzate. A differenza della IMRT statica
convenzionale, rilascia la dose richiesta durante la rotazione della testata dell’apparecchiatura. Le lamelle
del collimatore multilamellare si muovono durante la rotazione adattando continuamente la sagoma del
fascio alla ‘forma’ del bersaglio. La durata della singola seduta di trattamento è molto ridotta rispetto a
quella di una seduta di IMRT convenzionale.
Radioterapia guidata dalle immagini (IGRT): è una tecnica che prevede l’utilizzo di immagini TC al
fine di assicurare il corretto posizionamento del paziente durante le singole sedute di trattamento. Il
vantaggio di queste tecniche è costituito dalla possibilità di ridurre il ‘margine’ di tessuto sano che circonda
il volume tumorale bersaglio e che deve ricevere una dose elevata per garantire che il tumore stesso sia
sempre contenuto all’interno della zona trattata con dose adeguata. La prevista riduzione degli effetti
avversi ha incoraggiato l’impiego di queste tecniche nel trattamento di numerose neoplasie maligne.
Radiochirugia e RT stereotassica: è una tecnica transcutanea che serve per trattare dei piccoli focolai con
elevate dosi di radiazioni somministrate in poche sedute. Inizialmente è stata pensata ed applicata per le
neoplasie del SNC, oggi viene utilizzata anche per altri distretti corporei. Distinguiamo quindi una
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stereotassi brain e una stereotassi body. Da quando viene applicata la stereotassi body, è stato osservato
che l’induzione dell’apoptosi facilita la risposta immunitaria nei confronti delle cellule tumorali anche a
distanza dalla lesione irradiata. Questo è definito 'abscopal effect', cioè una regressione delle lesioni
metastatiche non irradiate, a distanza dal sito del tumore primario, direttamente trattato con la radioterapia.
Questa risposta clinica è rara, ma è stato ipotizzato sia un fenomeno immuno-mediato, che suggerisce una
potenziale azione sinergica tra immunoterapia e radioterapia.
La radioterapia stereotassica può essere realizzata con i comuni acceleratori lineari (LINAC),
opportunamente modificati (collimatore multimicrolamellare), con un acceleratore lineare denominato
cyberknife o con il gamma-knife (utilizzato per la stereotassi brain). Quest’apparecchiatura utilizza un
fascio di raggi gamma, prodotti da sorgenti multiple di cobalto60 radioattivo (energia di 1,2 MeV), orientato
in modo molto preciso ed emesso da centinaia di angoli diversi.
La radiochirurgia prevede una singola seduta, con somministrazione di una dose di 12-25 Gy.
La stereotassi classica (sia brain che body) prevede la somministrazione di una dose per seduta che va dai
6-10 Gy, le sedute variano da 4 a 7. Le dosi totali sono più basse rispetto ai frazionamenti classici ma
hanno la stessa equivalenza.
Prevede un’immobilizzazione del paziente ancora più accurata mediante sistemi particolari (ad esempio,
casco per stereotassi e body frame, maschere termoplastiche per il corpo) e la somministrazione di una o
più dosi di intensità più elevata rispetto a quelle convenzionali. La stereotassi è nata per il trattamento dei
tumori cerebrali, ma oggi può essere utilizzata anche per altri distretti corporei (stereotassi body). La
stereotassi brain può essere fatta per tumori cerebrali primitivi o metastatici che non superino i 3 cm di
diametro o anche per le MAV.
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Tomoterapia: è una tecnica di radioterapia a fasci esterni, così denominata, perché unisce la tecnologia di
irradiazione ad intensità modulata (IMRT) alla tecnica della tomografia computerizzata (TC).
L’apparecchiatura per la tomoterapia è costituita da un rilevatore TC che lavora in sincronia con
l’acceleratore lineare. Durante il trattamento la fonte di radiazioni ruota in sincronia con i movimenti
longitudinali continui del lettino, creando un fascio di radiazioni conformato tramite un collimatore
multilamellare. La stessa apparecchiatura si utilizza prima di ogni trattamento per eseguire una TC e
confrontare le immagini così acquisite con quelle della TC di centraggio, permettendo così di verificare con
precisione la posizione del tumore e degli organi a rischio e, se necessario, di modificare automaticamente
la posizione del paziente al fine di garantire le condizioni ottimali per l’irradiazione. Le procedure per il
trattamento con tomoterapia sono le stesse dei trattamenti convenzionali (TC di centraggio o PET/TC,
sistemi di immobilizzazione).
RT INTRAOPERATORIA
È una tecnica RT che viene sempre meno utilizzata eroga solo elettroni direttamente sulla lesione. Le
indicazioni sono state ad es il carcinoma mammario.
BRACHITERAPIA
Le sorgenti radioattive (fili, aghi, perle) possono essere messe a contatto con il tumore (brachiterapia di
superficie) o possono essere inserite nel contesto della lesione (brachiterapia interstiziale). La
brachiterapia si utilizza per il ca della prostata o per il trattamento del carcinoma della cervice uterina. La
finalità è quella di erogare una dose cancericida a livello neoplastico. Anche nel melanoma della coroide si
può fare una brachiterapia sclerale di superficie, fissando una placca di routenio.
RT METABOLICA
Si somministrano per via ev o per os dei radiofarmaci. Sono dei farmaci coniugati con isotopi
radioattivi. Esistono neoplasie le cui cellule captano l’isotopo radioattivo. Ad es nei carcinomi
differenziati della tiroide, somministriamo lo Iodio radioattivo che viene captato dalle cellule
neoplastiche che in questo modo si autodistruggono. Nella RT metabolica gli isotopi radioattivi emettono
per lo più radiazioni beta (elettrone).
L’emissione di radiazioni gamma ci serve per localizzare il radiofarmaco con la gamma camera.
L’indicazione classica è il carcinoma differenziato della tiroide. Non è una alternativa alla chirurgia ma è
una tecnica complementare per la sterilizzazione del letto tumorale o per il trattamento di metastasi
linfonodali o sistemiche. È un trattamento che può essere ripetuto.
Recentemente è stato messo in commercio il Radon 223 che emette radiazioni alfa che hanno un percorso
ancora minore della radiazione beta → maggiore precisione del trattamento. Viene utilizzato nel carcinoma
prostatico con metastasi ossee senza metastasi viscerali.
Altro isotopo è lo Iodio 131 coniugato con la metaiodiobenzilguanidina (MIBG) per la diagnostica e
terapia di tumori neuroendocrini, specialmente feocromocitoma.
ADROTERAPIA
Consiste nell’utilizzo di particelle subatomiche quali protoni e ioni in grado di irradiare con estrema
precisione la malattia e con diversa efficacia biologica. Tale tecnica fa uso di un ciclotrone, o acceleratore
circolare, o di un sincrotrone. Il principio sfruttato dal ciclotrone è la risonanza ionica ciclotronica.
All'interno di una camera a vuoto circolare sono presenti due elettrodi semicircolari cavi a forma di D. La
camera è posta tra le espansioni polari di un potente magnete. Quando una particella viene introdotta
tangenzialmente alla camera, ortogonalmente al campo magnetico, essa viene deviata e mantenuta su
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un'orbita circolare per effetto della forza di Lorentz. Nel vuoto la particella è libera di ruotare, ma, perdendo
lentamente energia (tutte le cariche elettriche, se accelerate, emettono fotoni, detti di Bremsstrahlung),
percorre una traiettoria a spirale fino al centro. Se ora viene applicata una opportuna differenza di potenziale
alternata ad alta frequenza tra i due elettrodi a D, le particelle subiscono un'accelerazione ogni volta che
passano nello spazio tra gli elettrodi a D. Accelerando, il diametro dell'orbita aumenta, fino a quando il
fascio non fuoriesce tangenzialmente dal bordo del dispositivo.
VOLUMI RADIOTERAPICI
In ambito radioterapico è importante sapere che esistono degli enti internazionali che forniscono delle linee
guida per poter avere una nomenclatura internazionale. Tra questi enti il più importante è l’ICRU
(International Commission on Radiation Units and Measurements). Quest’ente legifera su tutto ciò che
concerne l’utilizzo delle radiazioni. Nell’ambito della RT l’ICRU emana report periodici che sono appunto
delle linee guida. I 3 report principi sono il report 50 del 1993, il report 62 del 1999 e il report 83 del 2011.
Questi report definiscono in particolare i volumi radioterapici. Nel report 50 del ’93 vengono definiti i
volumi radioterapici:
• Gross Tumor Volume (GTV): è il volume macroscopicamente visibile della neoplasia. Facciamo
una TC, vediamo un nodulo; ciò che vediamo è il GTV. Non è sempre identificabile con facilità. Ad
es nell’adenocarcinoma della prostata, con le varie tecniche di imaging, non è possibile individuare
un GTV reale. In quel caso il GTV coincide con tutta la prostata. Quindi il concetto di GTV dipende
dalla patologia in questione.
• Clinical Target Volume (CTV): considera, oltre alla neoplasia macroscopicamente visibile, anche
l’estensione microscopica. Ogni neoplasia ha delle infiltrazioni, in parte visibili e in parte
microscopiche, che, insieme al GTV, costituiscono il vero volume che deve essere sottoposto a
radiazione. Il CTV è il GTV con una espansione a seconda del tumore in questione. In caso di tumore
cerebrale, il GTV è ciò che si vede alla RM mentre il CTV è tutto l’edema cirscostante alla massa,
spesso più grande della neoplasia stessa, che aumenta di molti cm la zona da irradiare. Nell’edema
perilesionale ci possono infatti essere cellule neoplastiche non visibili macroscopicamente.
• Planning Target Volume (PTV): è un concetto geometrico che tiene conto di una ulteriore
espansione attorno al CTV per tener conto di errori di riposizionamento o dei dettagli fisici ecc. I
trattamenti RT nella maggior parte dei casi (ad es della stereotassi) si fanno in maniera ripetuta. Una
dose deve essere erogata in maniera frazionata per tutta una serie di motivi biologici. Ogni giorno il
pz deve essere nella stessa posizione e il PTV cerca di far fronte agli errori da riposizionamento.
• Treated Volume (TV): è il volume compreso all’interno di un’isodose scelta e specificata dal
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radioterapista oncologo come quella appropriata per raggiungere lo scopo del trattamento
• Irradiation Volume (IV): volume che riceve una dose significativa di radiazioni (20-40 Gy) rispetto
alla tolleranza dei tessuti sani.
Questi possiamo considerarli come volumi concentrici. I campi di irradiazione sono disegnati per poter
trattare il volume bersaglio con un margine di sicurezza intorno, margine che tiene conto della ripetibilità
del trattamento (posizionamento, movimento interno degli organi e penombra del fascio). I margini
dovrebbero essere per quanto possibile piccoli, per minimizzare la dose ai tessuti sani e ridurre quindi il
rischio di effetti collaterali. Nello stesso tempo devono essere sufficientemente ampi da coprire
adeguatamente il volume bersaglio e, di conseguenza, non compromettere la probabilità di ottenere il
controllo locale della malattia.
RT 3D conformazionale: processo nel quale il piano di trattamento, basato su immagini TC, viene elaborato
con lo scopo di conformare precisamente la prescrizione di dose al volume bersaglio ridurre o minimizzare
la dose ai tessuti sani circostanti
Con i raggi X vanno utilizzate più porte di ingresso. Questo perché i raggi X rilasciano la massima dose di
energia radiante a qualche mm al punto d’ingresso. Per poter dare alla zona centrale un certo tot di Gy senza
danneggiare ciò che non è obiettivo del trattamento, utilizzo diverse porte d’ingresso, in modo che il 100%
della dose arrivi al bersaglio danneggiando meno gli altri tessuti.
Nota: ci vogliono 15-20 TC diagnostiche per erogare una dose di 1 Gy.
Per poter dare il 100% della dose al volume bersaglio, PTV o CTV, a causa delle caratteristiche fisiche
delle radiazioni X, devo dare una certa dose anche ai tessuti circostanti al volume. Da qui nasce il concetto
degli organo a rischio (OAR). Gli organi a rischio ricevono una certa dose di radiazione che deve essere
quanto più bassa possibile. L’evoluzione della RT negli ultimi decenni è stato proprio indirizzata verso la
concentrazione delle dosi alle lesioni bersaglio limitando al minimo le dosi alle strutture sane circostanti.
Ad oggi non è esiste alcuna tecnica di assicurare dose 0 ai tessuti sani circostanti.
Il report 62 individua i volumi della RT 3D conformazionale, innovativa negli anni ’90 ma oggi standard
minimo nella RT. Con questo report GTV e CTV rimangono tali, mentre il PTV viene diviso in 2 subvolumi
che sono:
• IM (margine interno): è il margine da aggiungere al CTV per compensare i movimenti fisiologici e
le modificazioni in dimensioni, forma e posizione del CTV durante la terapia;
• Set Up Margin (SM): è il margine da considerare per compensare le incertezze relative al
posizionamento.
Sono margini di sicurezza per compensare i moti d’organo intrafrazione (il pz respira, il pz deglutisce, il
cuore batte ecc) e i moti d’organo interfrazione (ad es nel tumore della prostata, il cambiamento dello stato
di ripienezza del retto e della vescica può modificare la posizione del volume bersaglio). Lo stesso tumore
può modificarsi nel periodo del trattamento radioterapico cosi come anche ci possono essere delle variazioni
nel riposizionamento del pz.
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EFFETTI COLLATERALI DELLA RT
Ciascun organo a rischio ha una certa tolleranza alle radiazioni e le complicanze acute o croniche insorgono
proprio quando tale tolleranza viene superata. Il miglior trattamento RT è quello che consente il miglior
controllo della malattia e il minor danno possibile ai tessuti sani circostanti. L’indice terapeutico in RT è
dato dal rapporto: dose di tolleranza dei tessuti sani/dose cancericida. La malattia è tanto più curabile
con la RT quanto più alto sarà l’indice terapeutico. Ad es prendiamo in considerazione dei linfonodi lombo-
aortici metastatici da seminoma al testicolo. I seminomi al testicolo sono tumori molto sensibili alle
radiazioni per cui basta dare una dose di 30 Gy per curare queste metastasi. L’organo a rischio in questo
caso potrebbe essere il midollo spinale. Il midollo spinale ha una dose di tolleranza di 50 Gy per cui in
questo caso possiamo somministrare i 30 Gy terapeutici. Se gli stessi linfonodi fossero metastatici da
tumore alla prostata, molto resistenti alle radiazioni, occorrerebbe una dose superiore ai 60 Gy. In questo
caso l’irradiazione provoca sicuramente un effetto collaterale tardivo a livello midollare che è la mielite
trasversa con paraplegia. L’indice terapeutico indica la radiocurabilità di una neoplasia. Quasi sempre
l’indice terapeutico è < 1 per cui la RT ha molte difficoltà nel poter dare una dose curativa agli organi
bersaglio rimanendo nei limiti della tolleranza per i tessuti sani.
Es di dosi di tolleranza:
- Midollo spinale 50 Gy;
- Nervo ottico 55 Gy;
- Cristallino 10 Gy.
Purtroppo non è cosi semplice e le linee guida sono in continuo aggiornamento. Esistono 2 tipi di criteri
per stabilire le dosi di tolleranza:
• Criteri del TD (Tollerance Dose, vecchi criteri): consideravano 2 parametri:
- TD5/5: dose di radiazione che può provocare danni severi a un determinato organo nel 5% dei pz a
5 anni. Ad es il midollo spinale ha come TD5-5 i 50 Gy, cioè se do 50 Gy al midollo a 5 anni il 5%
dei pz ha danni gravi. Sono stati per anni i limiti di dose.
- TD50/5: è un limite più ampio che non è raggiungibile in nessun caso. È un concetto teorico che
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indica la dose oltre la quale c’è il 50% di probabilità di determinare un effetto collaterale a 5 anni.
• Criteri del Quantec (Quantitative Analyses of Normal Tissue Effects in the Clinic): con questi criteri
non si danno dei numeri assoluti ma si danno delle % di volume che prendono determinate dosi di
radiazione. Il limite di dose per il polmone ad es è quella della V20 che deve essere inferiore al 30%.
Che significa? Significa solo 1/3 del volume d’organo può ricevere una dose superiore a 20 Gy altrimenti
si sviluppa una polmonite attinica.
EFFETTI DELLA RT ENCEFALICA
La RT encefalica si fa per il trattamento adiuvante o a volte radicale di tumori cerebrali primitivi o
metastatici o per profilassi di malattia che hanno una elevata probabilità di coinvolgere il SNC, soprattutto
neoplasie polmonari e LLA nei bambini. Nei bambini con LLA si fa una chemioterapia intraliquorale con
metothrexate e una RT encefalica fino alla C2, comprendendo anche parte della lamina cribrosa
dell’etmoide.
Il cranio è una scatola rigida per cui la neoplasia e l’edema perilesionale sono già un problema prima del
trattamento radiante. In corso di RT l’edema può essere aggravato soprattutto nella prima fase, potendo
degenerare in ipertensione endocranica (la pressione passa dai normali 7–15 mm Hg a valori superiori a
20–25 mm Hg. La profilassi e la terapia consistono nella somministrazione di desametasone (il CS che
più facilmente attraversa la BEE) e di diuretici osmotici come il mannitolo. Si possono aggiungere
antiemetici e antidolorifici oltre che antiepilettici.
Si può sviluppare alopecia nelle sedi irradiate, ma a differenza dell’alopecia da chemio, quella da RT non
è reversibile nella maggior parte dei casi.
Qual è il punto fragile del SNC? È l’ippocampo, localizzato nella profondità del lobo temporale.
Altro effetto collaterale è il trisma, cioè la difficolta ad aprire la bocca per insorgenza di fibrosi della
ATM. La fibrosi dei muscoli che muovono la ATM può essere uno degli effetti tardivi della RT, specie se
questa non è fatta bene.
Cosa possiamo fare per risparmiare le ghiandole salivari e i tessuti sani? Oggi c’è la possibilità di
eseguire la IMRT che consente di somministrare una certa dose utile senza esporre a dosi troppe elevate i
tessuti sani. Inoltre per evitare che insorga la fibrosi della ATM, si cerca di far tenere al pz la bocca aperta
quanto più possibile, soprattutto durante la notte.
Fondamentale l’igiene orale per evitare la carie prima, e le fratture del colletto dentale dopo. Soprattutto
nell’età pediatrica si pratica anche la fluoroprofilassi: l’odontoiatria realizza uno stampo dell’arcata
dentaria superiore ed inferiore in cui dispone un prodotto a base di fluoro e il pz deve tenere questa protesi
applicata per alcune ore al giorno.
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superiore si ha soprattutto nell’irradiazione di un cavo ascellare che ha già subito una chirurgia. Se si
ha la necessità di irradiare il cavo ascellare, bisogna studiare caso per caso per far si che siano più i
vantaggi che gli effetti collaterali del trattamento. Non ha senso irradiare un cavo ascellare in una pz
che fa un trattamento conservativo senza positività del cavo ascellare perché ciò non aggiunge niente
alla sopravvivenza o al controllo loco-regionale ma espone solo al linfedema. Una volta si faceva la
RT-chemioterapia sopraclaveare protocollo CMF, il fluorouracile amplificava gli effetti negativi della
RT, era alto il rischio di paralisi flaccida dell’arto per danno del plesso brachiale. La cardiopatia
ischemica è un problema più importante per l’irradiazione della mammella sinistra. Bisogna evitare di
comprendere nel piano di trattamento il ramo discendente anteriore della coronaria sx, perché colpendo
struttura aumenta il rischio di cardiopatia ischemica. Se queste pz hanno poi fatto anche una terapia
con antracicline o una terapia biologica con trastuzumab, la cardiotossicità aumenta ulteriormente il
rischio di complicanze cardiache tardive.
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A seconda della dose avremo diverse manifestazioni patologiche a livello cutaneo. Nei tumori del distretto
testa collo dove si impiegano dosi elevate rispetto alla RT della mammella in cui non si superano i 50 Gy,
la percentuale di lesioni cutanea è molto più elevata. Oltre alla dose elevata, al frazionamento (dose elevata
per frazione) e alla chemioterapia pregressa o concomitante, per quanto riguarda la tossicità cutanea
dobbiamo considerare il fototipo. Un pz con fototipo chiaro è più facilmente esposto alle complicanze. Qual
è la terapia?
Abitualmente si usano creme emollienti e cortisonici topici. Si raccomanda al pz di non esporsi a raggi
solari e di impiegare indumenti di cotone in caso di epidermolisi umida (tenere quanto più possibile tale
zona asciutta per evitare macerazione e sovrainfezione). Importante è anche la cura dell’igiene personale.
Si consiglia di utilizzare sapone di marsiglia.
Come si fa a riposizionare il pz nello stesso modo tutti i giorni? Si utilizzano dei sistemi di
immobilizzazione per ciascun distretto corporeo. Tra i più importanti abbiamo ad es quelli per il distretto
testa collo. Tutti i volumi all’interno della scatola cranica vengono irradiati con dosi elevate e con la
precisione nell’ordine dei mm. Il pz deve rimanere durante il trattamento RT e tra le varie sedute
perfettamente immobile e nella stessa posizione. Si utilizzano maschere in termoplastica che si
confezionano direttamente sul pz. Passando da trattamenti palliativi a trattamenti più complessi in IMRT,
l’immobilizzazione deve essere sempre più ferma e riproducibile al decimo di millimetro. Altro sistema di
immobilizzazione per la regione testa collo è il bite block: oltre alla maschera si utilizza anche una sorta di
paradenti sempre modellato sul pz che ha lo scopo di immobilizzare anche l’ATM. Questo si utilizza ad es
per la stereotassi cerebrale.
Per il trattamento delle lesioni mammarie si utilizza ad es il breast board, utilizzando eventualmente anche
sistemi termoplastici che immobilizzino la parete toracica. Esiste il breast board prono in cui la pz in
posizione prona viene posizionata in modo da far scivolare la mammella in un incavo (soprattutto per le
donne con mammelle molto grandi), per irradiare il meno possibile il tessuto polmonare.
Per l’addome e la pelvi si usano i sistemi chiamati belly board: il pz in posizione prona inserisce l’addome
in un incavo in modo da proteggere le anse intestinali dall’irradiazione in caso ad es di tumori pelvici. Le
anse dislocate nell’incavo è come se si proteggessero dalle radiazioni.
Altri sistemi di immobilizzazione per la regione addomino-pelvica sono sistemi in materiale termoplastico.
Per la regione toraco-addominale esistono anche i vacuum form, dei grossi cuscini di materiale plastico
con all’interno microsfere di polistirolo che si adattano al corpo del pz. Quando il pz si posiziona viene
aspirata l’aria e il cuscino diventa molto duro, mantenendo la forma del pz. Altro metodo simile ma oggi
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meno utilizzato è quello delle schiume in poliuretano.
Come faccio a controllare gli organi interni all’interno della stessa seduta? Il pz posizionato e immobilizzato
viene sottoposto a delle radiografie di verifica chiamate EPID. La posizione ottenuta viene confrontata con
quella della pianificazione → le immagini devono essere perfettamente sovrapposte. Oggi esistono anche i
sistemi più complessi di IGRT (Image Guided RT). È una evoluzione di questo concetto che produce
un’immagina TC che deve poi essere confrontata con la TC di pianificazione (mentre prima l’immagine era
radiologica).
Cyberknife: è una macchina che ha un braccio mobile che produce un fascio molto sottile di radiazioni e
viene utilizzata per la stereotassi. È una macchina che ha un sistema di verifica di posizionamento specifico.
Anche la macchina della tomoterapia ha anche un sistema che esegue scansioni TC live (IGRT live) per
posizionare correttamente il pz.
In RT esistono anche degli accessori che schermano la dose di radiazione per gli organi che devono essere
protetti, oggi meno utilizzati per l’avvento del collimatore multilamellare. Altro accessorio è il bolus, un
materiale siliconaceo tessuto-equivalente posto sulla superficie corporea che ha lo scopo simulare la cute
quando questa deve essere irradiata. Poiché il fascio rilascia la dose massima a qualche mm di profondità
dalla cute, nel caso in cui devo irradiare la cute mi serve uno spessore e questo è il bolus.
MAV: le MAV possono essere irradiata con macchine specifiche come la cyberknife o la gamma-knife,
allo scopo di occludere queste malformazioni. Sono come delle spugne di tessuto vascolare di passaggio
tra un sistema arterioso e uno venoso che si possono rompere soprattutto in corrispondenza di episodi
ipertensivi. In genere sono congenite. L’80% ha una localizzazione sopratentoriale.
Malattia di Peyronie: patologia del pene, caratterizzata dalla formazione anomala di tessuto fibroso-
cicatriziale in corrispondenza dei corpi cavernosi. Ciò si riflette negativamente sulla funzionalità erettile,
dando luogo a una condizione medica chiamata pene curvo.
Lesioni dell’osso come l’ossificazione eterotopica dei pz sottoposti a protesi d’anca. Pterigio: crescita
anomala della congiuntiva sulla cornea.
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questo distretto nei maschi.
Fattori di Rischio dei tumori del cavo orale, dell’orofaringe e del laringe:
- Fumo di sigaretta
- Consumo di alcol
- Preesistente leucoplachia del cavo orale, per es a seguito di microtraumi
- Alimentazione poco equilibrata
- Flogosi cronica e correlata all’HPV in rapporto alle pratiche sessuali (queste forma sembrano meno
aggressive delle forme legate al tabagismo e all’alcolismo)
Fattori di Rischi del rinofaringe: fattori ambientali e infezioni virali, il carcinoma indifferenziato del
rinofaringe è frequentemente associato all’infezione da EBV.
Da un punto di vista istologico questi tumori sono per la gran parte carcinomi squamocellulari, spesso
preceduti da lesioni precancerose come la cheratosi, la displasia di vario grado, l’iperplasia squamosa. Ci
possono essere adenocarcinomi e linfomi, sia LH che LNH. Caratteristica comune di questi tumori è che
hanno la precoce tendenza ad infiltrare i tessuti circostanti e hanno la comune predilezione per la
diffusione linfatica. Hanno una crescita espansiva poco frequente e raramente e tardivamente
diffondono per via ematica. Possiamo dire che sono tumori a spiccata malignità loco-regionale. Un pz che
ha un tumore del distretto testa-collo, raramente muore per la metastatizzazione sistemica della malattia ma
muore per progressione regionale.
La probabilità di diffusione linfatica dipende dal grado di differenziazione della neoplasia (più è
indifferenziata, più frequentemente metastatizza per via linfatica) e solitamente segue delle localizzazioni
tipiche in base al tipo di tumore che è importante conoscere per ottimizzare il trattamento chirurgico e
radioterapico.
Ad es il tumore del rinofaringe normalmente metastatizza a livello della 2°, 3° e 4°, raramente nelle altre.
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I sintomi sono aspecifici. Il pz in genere riferisce un discomfort in queste regioni. Sono tumori nella gran
parte dei casi accessibili all’esplorazione clinica o endoscopica ma che spesso arrivano dallo specialista in
una fase piuttosto avanzata. La diagnosi è istologica. Importante per la stadiazione sono la TC, la RM e la
PET.
Che aspetto ha un linfonodo metastatico alla TC? La TC mostra una lesione occupante spazio
caratterizzata da iperdensità periferica e da una zona di ipodensità centrale a causa dei fenomeni colliquativi
e necrotici. La RM ha un ruolo cardine perché ci fa vedere la stessa struttura nelle varie sequenze.
Sono tumori a media radiosensibilità. I 2 capisaldi del trattamento sono la chirurgia e la RT. La RT deve
raggiungere una dose elevata:
• 70 Gy nei tumori del rinofaringe
• 50-60 Gy nei tumori del cavo orale
• 45-50 Gy nei linfonodi laterocervicali
Queste sono dosi molto elevate, soprattutto per questo distretto corporeo. Oltre alla RT a fasci esterni con
tecnica conformazionale 3D, molto diffusa per il trattamento dei tumori di questa regione è la IMRT che ci
consente di ottimizzare il trattamento radiante riducendo gli effetti sulle ghiandole salivari maggiori e sui
muscoli che muovono l’ATM. In alcuni casi è possibile fare una brachiterapia interstiziale nel caso ad es
di tumori della lingua.
Il rinofaringe è la porzione più craniale del faringe e ha come tetto il basicranio, in particolare il corpo dello
sfenoide. Facilmente il tumore si espande verso il basso, verso l’orofaringe ma ha anche la caratteristica di
espandersi verso l’alto, verso il basicranio e penetrando in questo, interessa diversi nervi cranici. Perché si
espande verso l’alto? La regione del basicranio è una regione embriologicamente molto attiva, è una zona
di induzione durante la vita embrionale. A questo livello sono presenti i residui della notocorda e della tasca
di Rathke e qui rimangono dei canalicoli che mettono in comunicazione rinofaringe e basicranio.
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Tramite questi canali le cellule tumorali salgono verso la fossa cranica media e si muovono lungo la parete
laterale del seno cavernoso. Nel seno cavernoso sono presenti il sifone carotideo e, lungo la parete
laterale, il III, IV e VI paio di nervi cranici che innervano la muscolatura estrinseca dell’occhio. Ecco
perché in alcuni pz, in cui il tumore si espande verso l’alto, il primo sintomo può essere la diplopia o lo
strabismo.
L’evento più frequente con cui poi si giunge alla diagnosi di carcinoma del rinofaringe è la presenza di
linfoadenopatie laterocervicali. Il fatto che sia un tumore a sede centrale o paracentrale spiega il fatto che
la metastatizzazione linfonodale, presente nel 75% dei casi, sia spesso bilaterale. I linfonodi elettivamente
interessati sono quelli perigiugulari del II, III e IV livello. Il pz si può presentare con una linfoadenopatia
mono o bilaterale non dolente e non febbrile, senza che avverta altri sintomi. Questa può essere spesso
confusa con una linfoadenopatia da mononucleosi. La sierologia negativa mi fa escludere questa evenienza
→ biopsia escissionale del linfonodo e diagnosi compatibile con metastasi da carcinoma squamocellulare
del rinofaringe.
Cosa facciamo per verificare la presenza di un carcinoma del rinofaringe? Facciamo una rinoscopia
posteriore. Se non ci sono evidenze macroscopiche del tumore si fanno comunque delle biopsie random
del rinofaringe perché il tumore potrebbe non essere macroscopicamente visibile. Se le biopsie sono
positive abbiamo fatto diagnosi e si passa alla stadiazione. Anche se le biopsie sono negative faremo
comunque una TC e una RM della regione per capire se il tumore è presente a livello del basicranio.
In presenza di paralisi oculare, diplopia, epistassi, otalgia, cefalea, linfoadenopatia laterocervicale non
reattiva, sospettare la presenza di un tumore del rinofaringe. Il tumore del rinofaringe è raro nell’età
pediatrica.
TUMORI DELL’OROFARINGE
L’istotipo più frequente è sempre lo squamocellulare. Tra questi tumori vengono descritti anche i tumori
delle ghiandole salivari minori, i linfomi e i carcinomi indifferenziati delle tonsille. I tumori della tonsilla
e il linfoma dell’anello del Waldeyer possono essere trattati con RT (50-60 Gy).
I tumori che insorgono a livello della lingua e a livello retromolare necessitano di un trattamento chirurgico.
La suddivisione della laringe in regione sopraglottica, regione glottica e regione sottoglottica ha delle
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implicazioni cliniche che si ripercuotono sia sulla prognosi sia sulla strategia terapeutica. In particolare, le
strutture sopraglottiche hanno una ricca rete linfatica e drenano nei linfonodi perigiugulari (II, III e IV
livello), nella regione sottoglottica la rete linfatica è meno sviluppata e il drenaggio è prevalentemente verso
i linfonodi perigiugulari medi e inferiori del III e IV livello e verso i linfonodi paratracheali del VI livello.
Le corde vocali vere (glottide) sono prive di capillari linfatici, per cui la diffusione metastatica linfonodale
dei tumori glottici si ha solo in caso di estensione sopra o sottoglottica. Questo permette di trattare i tumori
glottidei in stadio I e II solo con la RT locale, senza irradiare i linfonodi. Possono essere individuati in
stadio precoce perché danno un sintomo precoce che è la disfonia.
Tumori sovraglottici
Spesso vengono diagnosticati in fase tardiva e molto frequentemente danno metastasi linfatiche. Il primo
sintomo dei tumori sottoglottici potrebbe essere la disfagia.
In genere per il trattamento dei carcinomi sovraglottidei si cerca di fare la conservazione d’organo,
proponendo 2 cicli di chemioterapia di induzione → controllo laringoscopico per valutare la risposta.
- Se la risposta è positiva → RT di consolidamento
- Se la risposta è negativa → chirurgia e poi RT adiuvante.
Tumori sottoglottici
I tumori della laringe sottoglottica sono rari (1% dei tumori del laringe); la radioterapia è generalmente
indicata negli stadi iniziali (T1- T2) mentre in quelli avanzati è preferibile ricorrere all'associazione
chirurgia→RT adiuvante, ove possibile.
Tumori glottidei
Le corde vocali sono dei fascetti muscolari ricoperti da mucosa e sottomucosa, drenati da una scarsissima
rete linfatica. La sintomatologia dei tumori glottidei è precoce ed è caratterizzata dalla disfonia. Il drenaggio
linfatico scarso fa si che per un T1-T2 il rischio di metastasi linfonodali sia pari allo 0. Il trattamento del
carcinoma della glottide dipende dallo stadio:
- Ca. in situ: stripping della corda vocale o laserterapia o RT. Sono trattamenti monomodali
- T1-T2: in questo stadio della malattia, la sopravvivenza a 5 anni solo con la RT supera il 90%. È un
tumore che nella stragrandissima maggioranza dei casi non metastatizza per cui può essere applicato un
campo RT molto piccolo che si attua con un acceleratore lineare in tecnica 3D, frazionamento di 2 Gy
al giorno e che dura in genere 5-6 settima. Se dobbiamo trattare anche le stazioni linfonodali si fa la
IMRT. L’obiettivo è risparmiare quanto più il midollo spinale dalle radiazioni.
- T3-T4: RT+chemioterapia sequenziale o concomitante
Tra gli effetti collaterali della RT dobbiamo considerare la presenza di edema a livello glottideo che
accentua la disfonia. Ci possono essere recidive che hanno un picco massimo entro 18 mesi dalla fine del
trattamento fino anche a 5 anni. Se abbiamo il sospetto di recidiva dopo RT facciamo una TC, RM e PET.
Se abbiamo un sospetto di recidive linfonodali faremo TC-PET.
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In pz che hanno fatto RT e sviluppano una recidiva dopo un tot. Che possiamo fare? Ci sono le chirurgie di
salvataggio: cordectomia, laringectomia ecc con una percentuale di successo fino al 78%.
Se il pz ha un T3, viene operato e dopo non fa la RT, c’è un altissimo rischio di recidiva che può portare a
morte il pz.
La RT nel tumore della laringe ha un ruolo non solo nel trattamento delle lesioni ma anche nel recupero
degli insuccessi della chirurgia.
L’istotipo rappresenta un importante elemento di valutazione ai fini della definizione prognostica e della
programmazione terapeutica. I fattori prognostici più rilevanti sono: lo stadio, l’istotipo, il grading, la sede
di insorgenza e la presenza di paralisi del nervo facciale per le neoplasie parotidee. Vengono considerati
ad alta aggressività i seguenti istotipi: carcinoma adenoideo-cistico (ACC), mucoepidermoide ad alto grado,
adenocarcinoma salivare duttale, oncocitico, ex adenoma pleomorfo invasivo, sarcomatoide, spinocellulare,
a piccole cellule, a grandi cellule, linfoepiteliale.
A differenza delle altre neoplasie del distretto cervico-cefalico, in genere non sussiste una storia di etilismo
o di tabagismo. I tumori maligni delle ghiandole salivari generalmente si presentano come una massa
nodulare a progressivo accrescimento e inizialmente asintomatica; la comparsa di sintomi avviene in un
secondo tempo quando la massa tumorale esprime la sua aggressività infiltrando le strutture adiacenti (n.
facciale, osso, cute).
L’incidenza di metastasi linfonodali latero-cervicali al momento della diagnosi è circa del 25%
globalmente; in alcuni istotipi ad alto grado, come il carcinoma duttale salivare la percentuale è anche più
alta, (invece sono molto rare nel carcinoma adenoide cistico). Le metastasi a distanza sono diagnosticate
molto raramente all’esordio della malattia, generalmente compaiono nel corso degli anni con percentuali
che variano dal 2% al 30% a seconda dello stadio iniziale e dell’istologia. L’organo maggiormente
interessato è il polmone.
Sono tumori non frequenti che si possono manifestare con tumefazioni presenti da molto tempo, soprattutto
a livello parotideo. Sono tumori scarsamente sensibili alla RT e alla CT.
La chirurgia ha un ruolo fondamentale per la terapia di questi pz. Il ruolo della radioterapia è quindi
essenzialmente complementare alla chirurgia. Le principali indicazioni alla RT adiuvante sono le seguenti:
- Tumori del lobo profondo della parotide
- Lesioni avanzate (T3-T4)
- Residuo microscopico (R1) o macroscopico (R2) dopo chirurgia
- Alto grading (G3-G4)
- Infiltrazione ossea o del tessuto connettivo
- Diffusione perineurale
- Metastasi linfonodali
- Rottura capsulare
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- Exeresi di recidiva locale dopo pregressa chirurgia.
La RT, oltre che adiuvante, può essere l’opzione di prima scelta nel caso in cui il pz non sia operabile (ad
es pz molto anziano). Si fa una RT protonica o adronica se c’è la possibilità, altrimenti si opta per una
IMRT con ipofrazionamento spinto. La chemioterapia ha poca efficacia. Solo le forme duttali rispondono
all’ormono-terapia.
Il carcinoma mammario rappresenta il 30% di tutte le patologie trattate dalla RT. Il carcinoma mammario
è un tumore che una volta metastatico non guarisce. Per alcune localizzazioni metastatiche, come quella
della colonna vertebrale, una buona palliazione può aumentare la sopravvivenza di alcuni anni.
TRATTAMENTO CONSERVATIVO ADIUVANTE
Mentre in passato in genere la tecnica chirurgica consisteva in una mastectomia, oggi le opzioni chirurgiche
sono diverse e in molti casi è possibile attuare un trattamento chirurgico conservativo con nodulectomia o
quadrantectomia.
Il protocollo QUART consiste nella quadrantectomia, nella asportazione del cavo ascellare e nella RT
adiuvante eseguita sulla mammella residua. Perché si aggiunge la RT alla chirurgia conservativa? Perché
riduce sensibilmente il rischio di recidiva locale e di mortalità in quanto elimina i microfocolai neoplastici
che possono essere rimasti.
L’omissione del trattamento RT adiuvante può essere preso in considerazione nelle pazienti con età >70
anni affette da tumore mammario a prognosi favorevole (T1 N0 M0; ER e PGR positivi, terapia endocrina
in atto, Ki67 <20%) spiegando alla paziente i potenziali rischi (incremento del rischio di recidiva).
Nelle pz a basso rischio è possibile proporre una irradiazione parziale della mammella (PBI). La PBI
può essere considerata una opzione di trattamento accettabile nei casi seguenti: pazienti con età ≥50 anni
con tumore duttale invasivo, unicentrico, unifocale, pT1-2 (≤30 mm) pN0, senza presenza di estesa
componente intraduttale e invasione linfo-vascolare e con margini negativi per almeno 2 mm. La PBI
consiste nell’irradiare solo il letto tumorale e al tessuto mammario immediamente limitrofo. I vantaggi
offerti dalla PBI sono rappresentati essenzialmente dalla riduzione del numero di sedute e quindi della
durata del trattamento, con vantaggi logistici per le pazienti; si facilita inoltre il decongestionamento delle
liste di attesa dei centri di radioterapia, con possibile ottimizzazione dell’accesso dei pazienti al trattamento.
L’irradiazione parziale della mammella può essere attuata con diverse metodiche: brachiterapia
interstiziale (sia low dose rate, sia high dose rate), brachiterapia endoluminale (MammoSite), radioterapia
a fasci esterni, e radioterapia intraoperatoria (IORT).
L’irradiazione dei linfonodi regionali è indicata nelle pazienti con tumori pT3-T4 e nei pT1-2 con 4 o più
linfonodi ascellari. Tuttavia si sta estendendo l’indicazione anche alle pazienti con tumori pT1-2 con 1-3
linfonodi ascellari positivi soprattutto in caso di parametri biologici sfavorevoli. Dopo trattamento con
chemioterapia neoadiuvante, si ritiene opportuna una irradiazione estesa alle stazioni linfonodali in caso di
presentazione localmente avanzata o in presenza di linfonodi patologici dopo chemioterapia, mentre nelle
pazienti con risposta linfonodale completa il trattamento radiante sulle stazioni linfonodali può essere
omesso.
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Le neoplasie localmente avanzate rappresentano un gruppo eterogeneo di tumori che comprendono sia T3-
4 con o senza linfonodi interessati, sia N2-N3 (con ogni T), tutte ad alto rischio di ripresa di malattia.
Pertanto il trattamento radiante è indicato perché impatta positivamente sul controllo loco-regionale e a
distanza, migliorando sia la sopravvivenza globale sia quella libera da malattia.
Tecnica e dose: Si fa un trattamento radiante nella mammella residua con un acceleratore lineare e con
un’energia del fascio compresa tra 4 e 6 MeV. L’organo di rispetto è il parenchima polmonare per cui
vengono utilizzati dei campi tangenziali. La dose è di 50 Gy nel trattamento convenzionale (30 sedute) +/-
boost di 10 Gy sulla cicatrice chirurgica, o come proposto dalla scuola canadese 2,6 Gy a seduta per
dose totale di 42 Gy nell’ipofrazionamento (16 sedute).
OAR: gli organi di rispetto sono il polmone e il ramo discendente della coronaria di sx. Il parenchima
polmonare colpito andrà incontro ad atelettasia cicatriziale che radiologicamente sarà visibile come
un’opacità e non deve essere confusa con una ripresa di malattia o con una metastatizzazione. A sx bisogna
evitare di colpire il ramo discendente della coronaria sx. Nella cicatrice una volta veniva fatto un boost di
RT ma oggi non si fa routinariamente.
Come facciamo il follow-up di una pz che ha fatto quadrantectomia? Abbiamo un follow-up sistemico e un
follow- up loco-regionale. Il follow-up sistemico serve a capire se la pz sviluppa metastasi, il follow-up
loco-regionale serve a vedere gli effetti precoci e tardivi della RT soprattutto a livello polmonare e cardiaco.
RT RADICALE
Nelle pz anziane, che non possono fare o che rifiutano l’intervento chirurgico, è possibile fare un
trattamento chemioradioterapico. Il trattamento radiante si fa con una dose leggermente più alta di
radiazioni. La RT seguirà a 3-4 mesi di ormono-terapia di induzione.
Il trattamento può essere di tipo escissionale nel caso ad es di una recidiva nodulare ma bisogna fare la RT,
anche se la pz in passato l’ha già fatta.
Le recidive loco-regionali possono essere accompagnate o meno da recidive a distanza. La recidiva locale
consiste nello sviluppo di noduli cutanei tumorali a livello della parete toracica in vicinanza o sulla cicatrice
di mastectomia o nell’area dei lembi cutanei può verificarsi dopo mastectomia oppure dopo chirurgia
conservativa (sviluppo di tumore nella mammella omolaterale, già trattata, che si verifica dopo il
trattamento dell’iniziale carcinoma mammario). La recidiva regionale consiste invece nella ripresa
tumorale a livello dei linfonodi regionali (ascellari, sopraclaveari, mammari interni).
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In caso di recidiva locoregionale, la determinazione delle caratteristiche biologiche del tumore (recettori
ormonali, HER2, Ki67) dovrebbe sempre essere ripetuta, vista la possibilità di una loro variazione. Un
trattamento locoregionale con intento curativo va sempre preso in considerazione nelle pazienti non
metastatiche.
Le pazienti con recidiva locale inizialmente sottoposte a mastectomia dovrebbero essere sottoposte ad
escissione chirurgica della lesione con l’obiettivo di ottenere margini di resezione indenni. Dopo
asportazione della recidiva locale in una paziente precedentemente mastectomizzata ma non irradiata, la
RT adiuvante sulla parete è raccomandata. Il trattamento con RT adiuvante o esclusivo delle stazioni
linfonodali non ha invece indicazioni univoche e va individualizzato.
Le pazienti con recidiva locale inizialmente sottoposte a chirurgia conservativa dovrebbero essere
sottoposte a mastectomia con stadiazione ascellare nel caso in cui non sia stata effettuata in precedenza una
dissezione del cavo ascellare di I/II livello. In situazioni selezionate, è comunque possibile considerare una
seconda chirurgia conservativa, in particolare se la paziente non aveva ricevuto radioterapia sul volume
mammario. Dopo una seconda chirurgia conservativa, in pazienti in precedenza già irradiate può essere
presa in considerazione la possibilità di effettuare una re-irradiazione della parete o una irradiazione
parziale della mammella con radioterapia a fasci esterni o brachiterapia,
Il trattamento sistemico deve tenere in considerazione le caratteristiche biologiche della recidiva (recettori
ormonali, HER2, Ki67), ed essere adeguato conseguentemente: nelle pazienti con recettori ormonali
positivi, è raccomandato l’uso dell’ormonoterapia successiva al trattamento locale e nelle pazienti HER2-
positive dovrebbe essere considerato un nuovo trattamento con agenti anti-HER2, in associazione a
chemioterapia o terapia ormonale.
RT NELLE PZ METASTATICHE
Metastasi ossee ed encefaliche sono le classiche indicazioni alla RT. Oggi c’è la possibilità in pz
oligometastatiche o in pz che sviluppano le metastasi dopo il trattamento, di fare una terapia stereotassica
in caso di metastasi epatiche.
Le metastasi encefaliche vanno distinte in metastasi corticali e profonde.
Se la pz ha solo metastasi corticali (non ha metastasi polmonari ecc) si fa prima l’intervento chirurgico
(metastasectomia corticale) e poi una RT whole brain o stereotassica in base alle indicazioni. È stato
dimostrato che con questo trattamento le pz vivono meglio e più a lungo, fino a 12 mesi.
Se la lesione è profonda, la neurochirurgia non trova applicazione e si fa solo una RT stereotassica,
completata o meno da una RT whole brain.
Nota: la stereotassi si può fare sia con il gamma-knife che con l’acceleratore lineare (molto più economico)
che può fare la RT stereotassica brain e body.
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TUMORI PEDIATRICI
La radioterapia dei tumori pediatrici è una branca di nicchia. I tumori pediatrici in linea generale possono
essere distinti in 3 categorie in base all’età del pz:
• 0-14 anni: più frequenti sono le leucemie, seguite dai tumori del SNC
• 15-19 anni: prevalgono i linfomi di Hodgkin (il LNH è raro in età pediatrica), seguiti dai tumori
gonadici
• 20-24 anni: tra i tumori più frequenti abbiamo sia i linfomi che i tumori gonadici
Già sopra ai 18 anni in realtà parliamo di adulti ma possiamo dire che alcuni tumori che si manifestano tra
i 18 e i 24 anni, hanno caratteristiche più simili a quelle dei tumori pediatrici. I protocolli radioterapici
pediatrici quindi possono includere pz fino all’età di 24 anni qui in Italia.
La sopravvivenza a 5 anni in età pediatrica in generale è del 78% dei bambini sotto i 14 anni. Al di sopra
dei 14 anni la sopravvivenza a 5 anni arriva anche all’80%.
Per quanto riguarda la radioterapia dei tumori pediatrici bisogna tenere presente nel bambino vanno
utilizzate le minime dosi necessarie (vale anche per la chemioterapia) perché i tessuti del bambino sono dei
tessuti in accrescimento.
L’obiettivo di tutte le terapie è quello della guarigione o l’allungamento della sua sopravvivenza, riducendo
al minimo la tossicità di queste. In ambito oncologico il bilancio tra effetti positivi e negativi della terapia
spesso risulta complicato. In radioterapia pediatrica, si calcola che un singolo trattamento di radioterapia
duri tra i 15-20 minuti, tempo che però può risultare maggiore per le difficoltà ad approcciare il bambino
che spesso deve essere sedato.
L’apparecchiatura per la radioterapia pediatrica è la stessa che per l’adulto. Si utilizza un acceleratore
lineare LINAC. C’è la possibilità in alcuni centri di impiegare la proton-terapia.
Nota: in sala di trattamento di radioterapia per legge non può essere presente nessuno, solo il pz.
Per i trattamenti di pz con età compresa tra 0-4 anni è necessaria la sedazione previa valutazione
anestesiologica.
Ciò che si avvicina di più a questo obiettivo è il cambio della sorgente di radiazione. Mentre le metodiche
convenzionali come la 3DCRT, la IMRT e la stereotassi, utilizzano raggi X, nell’adroterapia vengono
utilizzati fasci di protoni o ioni carbonio, più pesanti, che hanno la capacità di rilasciare energia in maniera
molto più localizzata, risparmiando al massimo i tessuti sani circostanti. L’adroterapia però è un tecnica
utilizzata solo in pochissimi centri perché molto costosa.
LINFOMA DI HODGKIN
È una malattia neoplastica eterogenea che si diagnostica istologicamente per la presenza delle cellule di
Reed- Sternberg. Ne esistono principalmente 4 istotipi:
• LH ricco in linfociti
• LH a deplezione linfocitaria
• LH con sclerosi nodulare
• LH a cellularità mista
Oggi in realtà la variante a cellularità mista viene inclusa nella sclerosi nodulare, forma più frequente e a
prognosi migliore rispetto alla variante ricca in linfociti e a deplezione linfocitaria.
Il LH rappresenta l’1% di tutte le neoplasie e il 25% delle neoplasie ematologiche solide. Ha 2 picchi di
incidenza in base all’età:
- Età pediatrica (fino a 24 anni)
- VI decade di vita
È una malattia che storicamente è stata per prima trattata e guarita con RT. Fino agli ’60 la sopravvivenza
a 5 anni era intorno al 50%. Oggi è aumentata in relazione al fatto che è migliorata l’integrazione chemio e
radioterapia. La lungosopravvivenza a 10-20 anni, ha condotto all’insorgenza di danni iatrogeni legati al
trattamento. Le complicanze iatrogene più frequenti sono la leucemia mieloide acuta (conseguenza della
CT) e i sarcomi delle parti molli (conseguenza della RT). Un ragazzo che a 15 anni è guarito per LH, vive
per 20 anni libero da malattia e poi sviluppa una leucosi acuta o un sarcoma. Il farmaco più incriminato è
stato la dacarbazina. Il protocollo classico infatti si basava sull’alternata di MOPP e ABVD (adriblastina-
bleomicina-vinblastina-dacarbazina).
La stadiazione non segue la TNM ma segue la stadiazione di Ann-Arbor con la distinzione in 4 stadi:
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Nella sclerosi nodulare la prima localizzazione è in genere mediastinica o laterocervicale. La sintomatologia
di tipo B è presente in circa il 40% dei pz.
Da cosa dipende la prognosi? Dipende in gran parte dallo stadio. Se il linfoma di Hodgkin classico è
monostazionario o al massimo 2 stazioni linfonodali, spesso basta la radioterapia. Se ci sono più stazioni
linfonodali colpite si fa chemio + radio. Particolarmente colpite sono l’età a partire da quella pediatrica-
adolescenziale (10-15) fino ai giovani adulti (fino a 35-40 anni), ma teoricamente può colpire tutte le età.
Teoricamente può interessare tutti i linfonodi, ma prevalentemente i linfonodi superficiali, possibile anche
un esordio mediastinico con interessamento dei linfonodi profondi del mediastino. Può essere sintomatico
o no, la sintomatologia è febbre alta e sudorazioni notturne profuse (febbre di PelEbstein), 15 giorni di
febbre alta e 15 giorni di remissione.
È una patologia guaribile ma stadio-dipendente. Subito dopo che il patologo fa diagnosi di linfoma,
qualunque esso sia, bisogna fare la stadiazione. Si deve fare una PET soprattutto nel linfoma di Hodgkin
classico per la stadiazione. Mi interessa anche sapere se il midollo osseo è infiltrato dalla patologia
neoplastica. Nei pz con diagnosi di linfoma si fa sempre una biopsia osteo-midollare. Se è infiltrato il
midollo osseo, la prognosi peggiora nettamente.
Il LH è stata la prima patologia oncologica guaribile solo con la RT. Nel corso degli anni è stata modificata
sia la tecnica, sia la dose totale erogata.
Come si fa la stadiazione di un LH? Si fa con la TC collo, torace e addome. Utilissima è stata negli ultimi
anni l’impiego della PET con fluorodesossiglucosio per la stadiazione, poiché permette la visualizzazione
di linfoadenopatie inferiori al cm che non sono visibili alla TC. La PET è importante anche per la
ristadiazione e per la definizione del protocollo terapeutico che si basa proprio sulla risposta PET. La PET
si fa quindi prima del trattamento e dopo 2 cicli di trattamento per valutare la risposta precoce. Il tipo
di risposta che si ottiene a questa ristadiazione precoce, cambia l’iter terapeutico. Si parla di trattamento
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adattativo basato sulla risposta ottenuta. Se il pz va in risposta PET completa (non ci sono accumuli PET)
fa un tipo di percorso, se non c’è fa un altro tipo di percorso terapeutico..
Si inizia con 2 cicli di chemioterapia con schemi MOPP (Mustargen, Oncovin, Procarbazina, Prednisone)
o ABV (adriamicina, bleomicina, vinblastina,) → si ripete la PET (non si fa la TC perché i linfonodi, anche
se ridotti di volume, sono fuori scale) → vediamo se la malattia si è spenta → si completa con la
chemioterapia e con la radioterapia adattativa:
- Se la risposta è completa, si completa con una dose di 14 Gy
- Se la risposta è parziale si fa con 25 Gy
- Se la risposta è parziale ma si partiva da una malattia Bulky mediastinica (il diametro della neoplasia
supera 1/3 del diametro toracico) si fanno 36 Gy
Se la PET rimane positiva → RT ad alte dosi per il trapianto di midollo.
Radioterapia adattativa-ART: associa la IGRT e la IMRT consentendo di controllare nel corso di ogni
singola seduta di trattamento radiante non solo la posizione del bersaglio ed il movimento d’organo, ma
anche la distribuzione di dose nella singola frazione, permettendo altresì di modificare i parametri fisico-
dosimetrici di trattamento in relazione alle variabili riscontrate durante l’esecuzione del trattamento stesso,
che diviene così effettivamente personalizzato. La ART può essere offline (tra una seduta di trattamento e
l’altra), online (immediatamente prima dell’erogazione), e in real-time (durante una frazione di trattamento.
Alcune tecniche di controllo, quali la dosimetria in vivo (IVD), comprendono misurazioni della dose di
radiazioni erogata sui pazienti durante un trattamento radioterapico, in modo da verificare che questa
coincida con quella prescritta su uno specifico volume o regione. Altre tecniche si basano sulla
visualizzazione dell’anatomia del paziente tramite sistemi IGRT, per controllare variazioni e movimenti
d’organo. Esempio classico di RT adattattiva è quella che si fa ne trattamento del LH.
Quali sono le stazioni linfonodali più colpite nel LH?
- Sovraclare
- Laterocervicale
- Ascellare
- Mediastino
- Lomboaortici
- Ileosplenici
- Inguinali
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- Ileopelvici
TUMORI CEREBRALI
I farmaci antiblastici, chemioterapici, immunoterapici, diffondono difficilmente attraverso la BEE, non
potendo dunque raggiugere il SNC in quote cancericide adeguate, questo il motivo principale del fatto che
la gran parte delle terapie antiblastiche sono poco efficaci per i tumori cerebrali. Quindi la terapia dei tumori
primitivi o delle mts encefaliche, oltre che sulla chirurgica, fa affidamento sulla RT.
Ci sono varie tecniche di terapia radiante ma tutte devono essere basate sul principio di depositare più
energia lì dove c’è il tumore cercando di limitarne la deposizione alle strutture sane. È una regola valida
per tutta la radioterapia ma soprattutto per il SNC dove ogni struttura ha una precisa funzione finissima, ha
una sua discreta tolleranza alle radiazioni, che non può essere superata.
Nell’adulto i tumori cerebrali primitivi più frequenti in assoluto sono i gliomi e, nello specifico, i gliomi di
alto grado (High Grade Glioma). Rappresentano circa il 60-70% di tutti i tumori cerebrali. Si identificano
i gliomi a basso quelli di I (pilocitico) e II grado (diffuso), alto grado sono III (anaplastico) e IV grado
(glioblastoma). Sebbene i gliomi di alto grado siano i più frequenti fra tutti i tumori cerebrali primitivi i
tumori cerebrali più frequenti sono quelli metastatici.
Anche se hanno una classificazione TNM, non esiste il parametro N, perché tutti i tumori cerebrali si
diffondono solo all’encefalo o SNC; è rarissima la presenza di tumori cerebrali con metastasi
sistemiche. Così come i farmaci hanno difficoltà a raggiungere il SNC, allo stesso modo tumori del SNC
hanno difficoltà a superare la barriera ematoencefalica e dare metastasi sistemiche. Queste neoplasie fanno
danno localmente per recidiva locale e progressione locale.
La classificazione prognostica di questi tumori non dipende tanto dallo stadio, ma da:
- Istologia
- Età del paziente: minore età significa prognosi migliore e questo è correlato in parte anche al
performance status
- Perfomance status: paziente con tumore piccolo che non ha delle funzioni neurologiche conservate, è
un paziente che va malissimo rispetto a un giovane con tumore magari tre volte più grande ma con
delle perfomance neurologiche conservate
- Estensione della chirurgia, per definizione, se il chirurgo riesce a togliere tutto il tumore è meglio:
quanto più è estesa la chirurgia, tanto meglio è il dato prognostico. Nei tumori cerebrali non avrete mai
una definizione d’immagine della resezione chirurgica, perché non si può fare un resezione di tessuto
cerebrale sano, perché nel cervello ogni piccola quantità di tessuto cerebrale ha una sua funzione
precisa. Per cui non avrete mai una resezione completa, avrete sempre un pezzo istologico asportato a
pezzettini. Per cui la persistenza di malattia, quantomeno microscopica, è un dato di fatto per la
chirurgia dei tumori cerebrali. Quindi le asportazioni sono nel limite del macroscopico. L’esito della
chirurgia avrà una sua importanza ma non sarà mai radicale.
- Parametri biologici molecolari: un dato importante proveniente dalla biologia molecolare è lo stato
di metilazione MGMT. È un enzima che ha la funzione di degradare un determinato tipo di sostanze
tossiche, nel caso specifico anche un antiblastico. Quindi, quando questo enzima è ipermetilato vi è
una minore degradazione di questo chemioterapico. Per cui nei pazienti che hanno una ipermetilazione
dell’MGMT la chemioterapia è più efficace e sono pazienti con una prognosi migliore. La presenza
di deplezione, nelle cellule neoplastiche, dell 1P19Q è un altro fattore prognostico favorevole perché
rende le cellule più responsive sia ai trattamenti chemioterapici che radioterapici.
Il trattamento principale dei tumori cerebrali è la chirurgia, con l’asportazione della neoplasia, seguita da
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un trattamento radiante. La RT post-operatoria (adiuvante) prolunga in modo significativo la
sopravvivenza. Non è prevista per questi pazienti altro trattamento se non quello adiuvante.
NON È PREVISTA UNA RADIOTERAPIA NEOADIUVANTE come nel caso del retto. La
sopravvivenza mediana si può allungare fino a 9-12 mesi e nel caso dell’astrocitoma anaplastico (G3).
Oltre alla RT, un ruolo importante è anche quello dei farmaci. La temozolamide è una nitrosurea
particolarmente efficace nei pazienti con un’ipermetilazione del MGMT.
La radioterapia normalmente viene effettuata con frazionamento convenzionale con dose di 1,8 o 2 Gy/die
per 5 giorni la settimana, fino al raggiungimento della dose totale di circa 60 Gy.
Diverso è il caso quando facciamo dei frazionamenti non convenzionali come quelli utilizzati in caso di
trattamenti stereotassici che prevedono 10 -15 Gy per singola seduta.
La dose diventa un po’ meno importante nei pazienti con bassa performance/status, soprattutto di tipo
neurologico. In pazienti anziani o con patologie neurologiche (40% dei pz) si predilige eseguire
ipofrazionamento con una dose totale di 40 Gy in 15 gg.
L’imaging nella pianificazione del trattamento RT dei tumori cerebrali è un imaging integrato TC, RM
funzionale, PET (che non utilizza FDG ma altri traccianti come la metionina marcata con il C11).
Anche per i tumori cerebrali c’è la possibilità di fare brachiterapia: il neurochirurgo dopo aver asportato
il tumore inserisce un catetere a palloncino che gonfia dall’esterno con soluzione saline e immettendo
all’interno di questa soluzione isotopi radioattivi che rilasciano radiazioni beta (a basso percorso nel
tessuto).
Radioterapia stereotassica: usata quando abbiamo la possibilità di localizzare un target piccolo con
modalità tridimensionali. Devono essere volumi piccoli. La stereotassi prevede che la caduta di dose oltre
il target sia rapida, entro pochi mm o massimo qualche cm. Le modalità con cui si può fare la stereotassi
sono 2:
- RT stereotassica classica: ipofrazionamento spinto
- Radiochirurgia: una singola seduta di RT
Le macchine che permettono di fare la stereotassi sono la gamma-knife (sorgenti radioattive di cobalto 60,
permette di fare solo la stereotassi brain), la cyber-knife (consente di fare la stereotassi brain e body) oppure
acceleratori lineari come lo stesso LINAC.
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MEDULLOBLASTOMA
Il medullobastoma è una neoplasia di derivazione embrionale. È tipico dell’età pediatrica, soprattutto
intorno ai 5-6 anni ed ha una localizzazione tipicamente sottotentoriale, a livello del verme cerebellare. È
una neoplasia che si accresce rapidamente, che ha una prognosi infausta e che diffonde attraverso il liquor.
Può avere un certo grado di differenziazione neuronale esprimendo marker come i neurofilamenti o la
sinaptofisina ma solitamente è indifferenziato.
È una neoplasia estremamente cellulata, con elevatissimo indice mitotico, altamente maligna e la prognosi
dei pz non trattati è infausta. Tuttavia è una neoplasia altamente radiosensibile. Totale escissione (terapia
chirurgica) + radioterapia: la sopravvivenza a 5 anni arriva anche al 75%. La riuscita di un R0 chirurgico a
livello cerebrale è quasi impossibile perché il tessuto cerebrale non può essere asportato estesamente.
La radioterapia ha un bersaglio più ampio della sede tumorale perché il medulloblastoma tende a diffondere
per via liquorale. Quindi tutto il SNC deve essere sottoposto a radioterapia. La tecnica si chiama
irradiazione cranio-spinale (CSI). I volumi bersaglio da irradiare sono estesi comprendendo encefalo,
midollo, sacco durale sotto la cauda equina, tutte le radici spinali e tutto ciò che è rivestito dalle meningi.
Si pratica una radioterapia 3D conformazionale con cui si irradiano più campi, andando a schermare in
ciascun campo le strutture che non sono bersaglio. Non ci deve essere una sovrapposizione di questi campi
perché se si sommano le dosi questo potrebbero essere tali da causare una mielite trasversa che entro 1
anno può portare a paraplegia. Stare attenti alla sovrapposizione di campi e stare attenti ai punti di giunzione
tra i vari campi perché un ipodosaggio può voler dire recidiva in quella sede.
Quali sono le sequele tardive da RT dei tumori cerebrali pediatrici? Le radiazioni possono provocare
deficit cognitivi, deficit di attenzione, deficit di memoria e apprendimento, deficit motori. Possono avere
potenziali difetti endocrini e psicologici, oltre che deficit di tipo morfologico per lo sviluppo delle ossa
craniche e vertebrali.
METASTASI CEREBRALI
Si localizzano soprattutto a livello emisferico, più raramente a livello cerebellare. Tra le più comuni vi sono
quelle da tumori polmonari. Se le metastasi sono poche, fino a 3, e sono piccole, si possono trattare
individualmente con la stereotassi. Se le metastasi sono numerose o se sono voluminose si effettua una
whole brain irradiation, a basse dossi con boost stereotassici sulle lesioni.
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anche per fare diagnosi istologica. La RT ha indicazione se:
- Neoplasia già grande all’inizio (oltre i 4-5cm)
- Neoplasia non asportata completamente con la chirurgia
Non tutti i gliomi di basso grado richiedono quindi trattamenti adiuvanti. Una caratteristica è quella di
aumentare di grado se si presentano in recidiva.
Come si curano? Alla diagnosi istologica segue spesso ma non sempre una chirurgia primaria radicale.
Se la chirurgia non si può fare perché la massa è troppo estesa, si effettua un primo trattamento
neoadiuvante per ridurre il volume della massa. Alla riduzione volumetrica segue la chirurgia radicale o
nel caso in cui non possa essere fatta, un trattamento radioterapico radicale.
In base al tipo di chirurgia eseguibile, si classificano i pz in (stadi IRSG = International Rabdomiosarcoma
Study-Grup):
• IRSG 1: chirurgia primaria radicale. Non si fa RT, o si fa solo per pz ad alto rischio (istotipo alveolare)
• IRSG 2: chirurgia radicale con residuo microscopico. RT raccomandata
• IRSG 3: chirurgia bioptica con residuo macroscopico (maggior parte dei casi). RT obbligatoria
TUMORI POLMONARI
L’efficacia delle terapie attuali risulta modesta, soprattutto negli stadi più avanzati che sono anche gli stadi
più comuni al momento della diagnosi. Il fumo di tabacco è il fattore causale più importante. Circa la metà
dei fumatori costanti morirà per cause legate al fumo e di questi la metà morirà perdendo circa 20-25 anni
di aspettativa di vita. Nel mondo circa 1,2 miliardi di persone fumano mediamente 14 sigarette al giorno. Il
fumo ucciderà circa 500 milioni di persone attualmente in vita nel mondo. Con il fumo, il rischio di
insorgenza di carcinoma polmonare è di circa 20 volte superiore rispetto ai non fumatori. Tra gli ex
fumatori, il rischio diventa uguale a quello dei non fumatori dopo circa 10-15 anni che hanno smesso di
fumare. Negli ultimi 30 anni l’aumento della sopravvivenza a 5 anni è trascurabile. Alla fine degli anni 80
viene fuori l’impiego quasi routinario della TC ma l’evoluzione della diagnostica e della terapia, compresa
la RT, alla fine non hanno portato grandi benefici nella diagnostica e terapia dei tumori polmonari.
Perché i risultati sono cosi modesti? Perché nei primi stadi la malattia non può essere diagnosticata.
Quando ci troviamo nella fase sintomatologica, quasi sempre siamo nella fase finale o comunque avanzata
della malattia. Il gold standard della terapia è la terapia chirurgica ma ancora oggi, la gran parte dei tumori
polmonati, si ritrovano ad uno stadio avanzato (3b, 4) in cui la terapia chirurgica non è indicata.
Anatomia dell’apparato respiratorio. Il radiogramma del torace rappresenta ancora oggi l’esame più
frequente nella diagnostica radiologica. I non-microcitomi vengono classificati con la TNM mentre i
microcitomi non hanno tutt’oggi la classificazione TNM e si dividono principalmente in malattia
locale e malattia sistemica.
La prima formulazione di una diagnosi di un carcinoma polmonare avviene solitamente sulla base di un
radiogramma toracico e di un successivo esame TC, anche se una buona parte di pazienti giunge
all’osservazione del medico accusando già sintomi secondari a una diffusione metastatica di malattia. Il
sospetto diagnostico su base clinica viene posto, il più delle volte, solo negli stadi avanzati. Le più comuni
modalità di presentazione radiologica in pazienti affetti da neoplasia polmonare sono:
• Lesione periferica solitaria
• Atelettasia polmonare (con/senza versamento pleurico)
• Lesione addensante ilare con/senza infiltrazione del mediastino, senza segni di metastasi a distanza o di
versamento pleurico
• Nodulo non solido o parzialmente solido (“a vetro smerigliato”, ground glass opacity, GGO)
• Lesione metastatica singola o lesioni multiple a distanza
• Versamento pleurico
La fase diagnostica e la successiva stadiazione clinica richiede l'impiego razionale delle metodiche
attualmente disponibili. Un approccio di tipo sequenziale prevede l'esame obiettivo, l'esecuzione del
radiogramma toracico, il confronto con eventuali radiogrammi in precedenza effettuati, la TC del torace
con mezzo di contrasto, l'esecuzione della broncoscopia (con accertamento dell'eventuale estensione
endobronchiale della lesione), la definizione di natura dell'addensamento toracico tramite l'esame
citoistologico e la valutazione dell'entità della estensione intratoracica od extratoracica della lesione.
La valutazione dei fattori T, N e, per alcune sedi, M (con eventuali esami complementari) è possibile con
l’impiego della TC. La TC deve essere eseguita con l'impiego di mezzo di contrasto e dovrebbe includere,
oltre al torace, anche l’addome superiore, così da verificare nella stessa seduta l’eventuale interessamento
del fegato e dei surreni. La TC del torace è il test di scelta sulla base delle informazioni che è in grado di
fornire rispetto agli altri esami strumentali disponibili. I parametri da valutare nel sospetto di neoplasia
sono: grandezza della lesione, forma, densità e accrescimento nel tempo. Le dimensioni della
neoformazione sono strettamente correlate al rischio di malignità, come l’irregolarità del profilo. La densità
della massa può essere omogenea o disomogenea e varia da lesioni solide a neoformazioni a “vetro
smerigliato”. Il rischio di malignità si associa maggiormente a lesioni solide non calcifiche con densità
variabile. L’accrescimento nel tempo, qualora dimostrato, costituisce un alto rischio di neoplasia. Per
quanto riguarda l’accuratezza della TC nella definizione del coinvolgimento linfonodale mediastinico, una
revisione sistematica degli studi pubblicati negli ultimi 10 anni ha stimato una sensibilità variabile dal 40-
65% ed una specificità dal 45-90%. È considerato patologico un diametro linfonodale >1 cm nell’asse corto.
I casi con valutazione TC falsamente negativa sono rappresentati soprattutto dalle micrometastasi in
linfonodi di dimensioni normali, mentre immagini TC falsamente positive sono spesso dovute a processi
infiammatori in corso o comunque recenti.
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La tomografia ad emissione di positroni con 18-fluoro-desossiglucosio (PET con 18FDG), meglio se
associata alla TC (PET-TC), ha assunto un ruolo significativo sia nell’iter diagnostico del nodulo polmonare
solitario che nella stadiazione e ristadiazione del carcinoma polmonare.
Le difficoltà diagnostiche della prima fase per la definizione della natura della/e lesione/i sono differenti in
rapporto alla collocazione centrale o periferica del tumore primario.
Per le lesioni centrali endoscopicamente visibili, la diagnosi patologica si ottiene tramite prelievi cito-
istologici in corso di broncoscopia (biopsia, brushing, agoaspirato transbronchiale).
Le lesioni periferiche possono essere approcciate sia per via transbronchiale sia per via percutanea. Il
vantaggio dell’approccio transbronchiale è legato alla possibilità di ottenere informazioni stadiative con
l’esplorazione delle vie aeree (eventuale interessamento di grossi bronchi o presenza di neoplasie
broncogene centrali sincrone) e alla ridotta incidenza di complicanze (specialmente pneumotorace). Inoltre
l’approccio transbronchiale fornisce la possibilità, durante la stessa procedura diagnostica, di campionare
eventuali linfonodi tramite agoaspirato transbronchiale (TBNA). Per contro, l’approccio percutaneo (pur
non fornendo informazioni stadiative) garantisce una migliore sensibilità diagnostica, anche se gravato da
un maggiore rischio di pneumotorace. L’approccio transbronchiale andrebbe considerato in prima istanza,
specialmente per i pazienti candidati a chirurgia (per i quali è indispensabile un’accurata stadiazione) o per
i pazienti con severa compromissione della funzionalità respiratoria (per i quali il rischio di uno
pneumotorace potrebbe essere eccessivo). Sia l’approccio transbronchiale che quello percutaneo alle lesioni
polmonari periferiche forniscono una sensibilità diagnostica che è funzione del diametro della lesione,
essendo più bassa per le lesioni inferiori a 2 cm. Tuttavia, qualora la broncoscopia con TBNA e l'agobiopsia
transtoracica risultino negative, in assenza di una specifica diagnosi di patologia benigna, occorre, in
presenza di un motivato sospetto clinico, giungere in tempi brevi ad una definizione diagnostica. In
un’esigua minoranza dei casi (meno del 5% per noduli >2 cm), la diagnosi cito-istologica di neoplasia resta
indeterminabile, nel qual caso si pone indicazione di biopsia escissionale video-toracoscopica (VATS) o
mediante toracotomia.
Una volta accertata la diagnosi cito-istologica, occorre stabilire l’estensione intratoracica ed extratoracica
della neoplasia, al fine di definirne la stadiazione clinica nel primario intento di ottenere una resezione
radicale, particolarmente nel caso del NSCLC. Tale valutazione è routinariamente basata sui risultati
dell'indagine TC con mezzo di contrasto. Il livello della sua accuratezza diagnostica è funzione dei differenti
criteri di soglia dimensionali prescelti con sensibilità e accuratezza medie del 65-70%. La presenza di
polmonite ostruttiva o di atelettasia non altera la sensibilità della TC ma ne abbassa la specificità in
conseguenza di linfoadenopatie sede di iperplasia reattiva. L'impiego della risonanza magnetica trova
giustificazione in casi selezionati, al fine di valutare le strutture di confine (parete toracica, diaframma,
apice polmonare, mediastino).
La PET-TC con 18FDG permette una stadiazione più accurata del cancro del polmone. Per il parametro T
consente di differenziare con maggiore accuratezza rispetto alle metodiche morfologiche la presenza di
tessuto neoplastico rispetto ad alterazioni non neoplastiche. Rende inoltre possibile la localizzazione della
captazione del glucosio radiomarcato, evidenziando eventuali disomogeneità nel contesto della massa.
Quest’aspetto consente di indirizzare la biopsia di aree sospette a livello del tessuto con elevato
metabolismo glucidico, con una maggiore probabilità di pervenire ad un risultato diagnostico. La PET con
18FDG è di particolare utilità nell’individuazione delle metastasi linfonodali. La PET consente la
visualizzazione di tutto il soma ed è utile nella diagnosi della malattia metastatica con l’eccezione delle
metastasi cerebrali, poiché l’accumulo fisiologico di 18FDG a livello del tessuto encefalico può ostacolare
la visualizzazione delle metastasi cerebrali e delle metastasi renali per la fisiologica escrezione del
radiotracciante attraverso l’emuntorio renale (per l’encefalo appare più indicata la PET con metcolina). Il
limite più importante della PET consiste tuttora nella mancanza di specificità nella differenziazione di
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lesioni benigne infiammatorie da lesioni maligne. Pertanto la biopsia di lesioni critiche ai fini della
stadiazione resta tuttora obbligatoria.
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Linfonodi mediastinici: peribronchiali, ilari, mediastinici omolaterale e controlaterali. Linfonodi della
finestra aorto-polmonare che classicamente sono i primi che aumentano di volume nel linfoma di Hodgkin.
Interessamento del nervo ricorrente (T4) si manifesta con disfonia, criterio di inoperabilità. Tra i criteri di
applicabilità di un trattamento radiante post-chirurgico nei NSCLC, dobbiamo considerare non tanto l’R0,
ma la presenza o meno di linfonodi mediastinici N2.
In linea di massima il pz è operabile fino ad uno stadio IIIa. Questo però in linea teorica. Vanno infatti
sudiate le comorbilità del pz. Un pz in uno stadio IIa può non essere candidato all’intervento chirurgico per
le comorbilità o solo anche per l’età avanzata.
Stadio IIIb e IV rappresentano più del 50% dei pz in cui viene diagnostica un NSCLC.
La sopravvivenza a 5 anni è in rapporto allo stadio. Anche quelli che vengono operati, non hanno una buona
sopravvivenza a 5 anni che precipita agli stadi III e IV.
Il microcitoma viene distinto in malattia localizzata e malattia diffusa (80% delle diagnosi di microcitoma).
Anche nella malattia localizzata non c’è l’indicazione alla chirurgia.
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- La LDH sierica pretrattamento: il tumore del polmone non ha dei marker sierici specifici. È facile
che uno stadio 3 abbia il CA125, il CA15.3, il CEA elevato. Una LDH superiore a 1000 è un fattore
prognostico negativo, indice di patologia altamente proliferativa
- Comorbilità
Oggi un pz che si presenza al PS con sintomi cerebrali in presenza di un processo espansivo cerebrale,
prima di andare in neurochirurgia deve fare una TC del torace per escludere che si tratti di una metastasi da
tumore polmonare. Possiamo fare approfondimenti con RM ma il gold standard è la TC.
Bisogna studiare la presenza di metastasi linfonodali ileo-mediastiniche che fanno la differenza tra lo
stadio, rendendo il pz operabile o meno. Dobbiamo sapere se i linfonodi mediastinici sono positivi o
negativi. Per fare ciò possiamo utilizzare un criterio TC che è il criterio dimensionale: viene definito
patologico un linfonodo il cui asse piccolo sia > 1cm di diametro. È sufficiente questo valore? Per
migliorare la stadiazione viene impiegata la PET con 18-FDG. Una negatività per la PET però non esclude
la presenza di linfonodi anatomicamente positivi che erano PET negativi. Si potrebbe ricorrere allora alla
mediastinoscopia per verificare la presenza di linfonodi mediastinici metastatici.
La possibilità chirurgica esiste solo per gli stadi I e II, sempre se le condizioni del pz lo consentono. È vero
che solo il 20% dei pz si trova in questi stadi alla diagnosi. Gli stadi III e IV hanno una iniziale difficile
indicazione chirurgica. Magari possono arrivare al tavolo operatorio dopo una chemioterapia neoadiuvante.
Per molti di questi però si ha l’opzione di un trattamento radicale non chirurgico radiochemioterapico. La
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terapia sistemica non si basa solo sulla chemioterapia ma anche su farmaci biologici e immunoterapici, in
base alla presenza di determinati geni mutati.
Qualora venga indicata la radioterapia in genere ci si trova davanti ad ampi volumi da irradiare nel contesto
di strutture toraciche e mediastiniche che sono molto sensibili all’azione tossica delle radiazioni (polmoni,
cuore, midollo spinale). Il polmone è un organo che ha una sensibilità variabile alle radiazioni; se irradiamo
una piccola area, questa può sopportare anche un’ampia dose (50-60 Gy), ma se aumenta la superficie
irradiata, la tollerabilità diminuisce e la tossicità si manifesta per dosi sempre minori. Nella Total Body
Irradiation, in cui si irradiano tutti e 2 i polmoni, la dose tollerabile si abbassa a 8-10 Gy, cioè bastano 10
Gy per dare una polmonite attinica. Non si possono erogare dose importanti al di sopra di quelle dette
perché aumentano in maniera grave le complicanze: pericarditi, polmoniti attiniche, fibrosi polmonare e
mieliti trasverse.
I tumori polmonari purtroppo sono radioresistenti e per essere trattati richiedono dosi elevata, intorno a
65-70 Gy. Queste dosi superano le dosi di tolleranza delle strutture adiacenti ed è sempre difficile erogare
una dose cancericida mantenendo entro i limiti le dosi di tolleranza per tutte le strutture circostanti.
I NSCLC richiedono questi dosi ma spesso non riescono ad essere erogate e ci si ferma a 60 Gy. Cosa
importante è il frazionamento. Nel trattamento dei NSCLC, per far fronte alla loro radioresistenza, si è
cercato di fare un ipofrazionamento moderato, con dosi totali di 50 Gy. Le tecniche con cui si possono
erogare queste dosi sono varie. Sempre con LINAC si erogano Raggi X e poiché i tumori polmonari sono
profondi, si devono erogare Raggi X con un potere molto penetrante (energia 6-10 MeV).
Nota: La malattia può esordire con un versamento pleurico recidivante trattato con talcaggio. Come si forma
un versamento pleurico? Le 2 pleure hanno una vascolarizzazione diversa: la pleura viscerale è
vascolarizzata dal piccolo circolo (a bassa pressione idrostatica), la pleura parietale è vascolarizzata dal
circolo sistemico (ad alta pressione). Il liquido pleurico si forma dalla pleura parietale e viene assorbito dal
foglietto viscerale. Nel momento in cui il foglietto viscerale viene alterato, il liquido non viene assorbito e
si forma il versamento che si localizza prima alle basi (versamento intrapolmonare, anche non visibile
perché scambiato con la curvatura del diaframma). Accertato il versamento neoplastico recidivante si fa la
pleurodesi con talcaggio.
Nota: Il tumore alla diagnosi può avere già metastatizzato le vertebre. Se raggiunge il canale midollare può
comprimere il midollo e manifestarsi con anomalie funzionali ad es a carico dell’arto superiore (dolore alla
spalla irradiato al braccio e perdita di forza nella mano).
Dosi
• Tumore primitivo NSLC: 55-65 Gy
• Linfonodi ilari e mediastinici 55-65 Gy
• Linfonodi sopraclaveari primitivi 40 Gy
• Linfonodi sopraclaveari metastatici 55 Gy
Il frazionamento tipico della RT di un tumore al polmone è di 1,8-2 Gy al giorno. Oggi è possibile fare un
trattamento radioterapico a intensità modulata per raggiungere meglio le dosi necessarie. Abitualmente
vengono trattati con acceleratore lineare che emette fotoni X nel range di energia tra i 10-18 MeV. Questo
vale per i NSLC inoperabili.
I NSLC operabili fanno tutti RT adiuvante? No. Diversi studi (tra cui lo studio PORT = Post-operative
RT) hanno affermato che è opportuno fare RT post-chirurgica se:
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- Pz che hanno fatto chirurgia oncologicamente non radicale
- Pz con stadio linfonodale N2 (mediastinici omolaterali)
Nei pazienti affetti da NSCLC allo stadio I-II radicalmente operati la radioterapia post-operatoria non è
raccomandata, poiché è stato dimostrato che la RT post-operatoria in questi pz ha peggiorato la
sopravvivenza, perché peggiora lo stato immunitario, anche se controlla le recidive locali.
Controindicazioni alla RT
- Tumore ascessualizzante: tumore polmonare molto voluminoso che per la rapida crescita ha
determinato al suo interno la presenza di aree di necrosi e colliquazione; sono pz che in genere hanno
un performance status bassissimo che non rispondono in nessun caso.
- Fistole tracheo-bronco-esofagee: la presenza di comunicazioni tra l’albero respiratorio e l’app
digerente è una controindicazione alla RT per il rischio di aggravare o causare una polmonite ab
ingestis.
- Tumori molto voluminosi
- Grandi versamenti pleurici che non siano stati trattati con talcaggio: il pz ha un distress respiratorio
notevole che ne compromette la condizione generale
- Presenza di metastasi ad esclusione di metastasi cerebrali e ossee: un pz con metastasi epatiche
raramente sarà candidato alla RT perché ha delle aspettative di vita modeste e la RT non apporta alcun
beneficio.
Oggi conta molto il performance status e la risposta alle terapie.
RT a finalità palliativa
- Sindromi dolorose
- Sindrome mediastinica da ostruzione della vena cava superiore.
Il tumore che più frequentemente può esordire con una S. da occupazione mediastinica (compressione della
vena cava superiore, urgenza oncologica) è il microcitoma.
Perché a parità di stadio ci sono delle variazioni nell’aspettativa di vita? ci sono diversi parametri che non
ancora possono essere studiati routinariamente.
RT stereotassica body: è una tecnica RT utilizzata per molti anni nella RT encefalica. Oggi viene utilizzata
anche per tumori polmonari piccoli (stadio I e II). Un pz di 70 anni con un tumore di 3 cm al polmone ha
la possibilità di scegliere tra la chirurgia e la stereotassi, con la stessa capacità di controllo locale della
malattia. Le apparecchiature che permettono di fare stereotassi sono diverse, tra cui il semplice LINAC. La
stereotassi è una terapia estremamente ipofrazionata: in genere si fanno 4-5 sedute con dosi molto elevate
(12-20 Gy a singola seduta)
MICROCITOMA
Non è una malattia da trattare con la chirurgia, ma con chemioradioterapia. È la malattia verso cui negli
ultimi anni si sono avuti il minor numero di progressi. In un primo momento risponde molto bene alla
chemioradioterapia ma è un risultato apparente perché la malattia dopo poco tempo riprende in maniera
irreversibile.
Per gli SCLC non esiste la classificazione TNM ma la malattia viene divisa in localizzata (che può essere
inclusa in un unico campo di radiazione) o diffusa.
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Le indicazioni per un trattamento intensivo chemioradioterapico (concomitante o sequenziale) sono:
- Diagnosi istologica certa
- Assenza di metastasi a distanza
- Buona crasi ematica
- Assenza di trattamenti pregressi
- Funzionalità renale nei limiti: il trattamento cardine si basa sulla somministrazione dei Sali di platino
e dell’etoposide
- Indice di Karnofsky superiore a 50
Il trattamento radiante del microcitoma rispetto al non microcitoma utilizza dosi più basse, un
frazionamento convenzionale ma con campi più ampi rispetto ai NSCLC. Si attua anche il trattamento
radiante profilattico dell’encefalo whole brain perché il microcitoma rispetto ai NSLC ha una tendenza
più spiccata a dare metastasi cerebrali (che non si fa nei non microcitomi).
- -
Tis: Carcinoma in situ: intraepiteliale o invasione della N1 Metastasi in 1-3 linfonodi regionali
lamina propria [comprende cellule tumorali confinate ▪ N1a Metastasi in 1 linfonodo
all’interno della membrana basale ghiandolare ▪ N1b Metastasi in 2-3 linfonodi
▪
(intraepiteliale) o della lamina propria (intramucosa) che N1c Depositi tumorali satelliti nella sottosierosa o nei
non raggiungono la sottomucosa] tessuti non peritonealizzati pericolici e perirettali senza
evidenza di metastasi linfonodali regionali
- T1 Tumore che invade la sottomucosa
- N2 Metastasi in 4 o più linfonodi regionali
- T2 Tumore che invade la muscolare propria ▪ N2a Metastasi in 4-6 linfonodi
▪ N2b Metastasi in 7 o più linfonodi
- T3 Tumore con invasione della sottosierosa o nei tessuti
pericolici e perirettali non ricoperti da peritoneo - MX Metastasi a distanza non accertabili
- M0 Assenza di metastasi a distanza
- - M1 Metastasi a distanza
T4 Tumore che invade direttamente altri organi o strutture
e/o perfora il peritoneo viscerale ▪ M1a Metastasi confinate ad un organo (fegato, polmone,
▪ T4a Tumore che perfora il peritoneo viscerale ovaio, linfonodi extraregionali)
▪ T4b Tumore che invade direttamente altri organi o strutture M1b Metastasi in più di un organo o nel peritoneo
Nell’ultima classificazione del TNM è stato aggiunto N1c cioè presenza di depositi tumorali nel tessuto
adiposo periviscerale.
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Il fegato è il maggiore accettore di metastasi per la funzione di filtro. Il secondo filtro è il polmone. Nel
caso del retto basso, il drenaggio venoso è assicurato dal plesso emorroidario inferiore che drena nella vena
pudenda interna → iliaca interna → cava inferiore: metastasi più frequente nel polmone, senza metastasi
epatiche.
Fattori prognostici
A parità di stadio, il carcinoma del colon ha un elevato indice di metastatizzazione, mentre il carcinoma
del retto basso ha, oltre ad un elevato indice di metastatizzazione, anche un elevato indice di recidiva
locale. La recidiva abitualmente si presenta entro i primi 3 anni dall’intervento e nel 20% dei casi non ci
sono metastasi e comunque il pz muore. Quindi il pz può morire anche senza metastasi. La recidiva locale
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porta a morte perché erode il sacro, infiltra la vescica (infezioni), riduce di molto la qualità di vita del pz.
Nel corso degli anni per far fronte a questo problema si è cercato di capire da dove nascesse la recidiva e
cosa si potesse fare per abbassarne il rischio di insorgenza. Si scoprì che la recidiva originava dal mesoretto.
Il mesoretto è il tessuto adiposo che contiene vasi ematici e linfatici che circonda il retto. Questo viene
spesso invaso dagli adenocarcinomi del retto configurando quindi uno stadio T3. Venne introdotta la total
mesorectal excission associata a RT adiuvante. Le recidive locali però si presentavano lo stesso, la
riduzione della loro incidenza era minima. Un gruppo di svedesi propone allora la RT come terapia
neoadiuvante.
Terapia
Il trattamento NEOadiuvante radiochemioterapico con 5FU è oggi il gold standard nel trattamento
del carcinoma del retto localmente avanzato (LARC) in quanto consente sia di abbassare il rischio di
recidiva locale in seguito a intervento chirurgico sia perché permette di candidare alla chirurgica
conservativa (resezione anteriore) pz che alla prima stadiazione non hanno l’indicazione alla chirurgia
conservativa.
Il carcinoma del retto localmente avanzato (LARC) è un tumore T3-T4 con o senza N+ oppure un
tumore qualunque T con N+. La finalità è quella di ridurre il rischio di recidiva locale e di evitare la
chirurgia demolitiva, permettendo un trattamento sphincter saving.
In genere si inizia con 2 cicli di chemio di induzione per poi proseguire con la radiochemioterapia. Il
trattamento radioterapico dura abitualmente 1 mese e mezzo poiché si devono raggiungere i 50 Gy con un
frazionamento convenzionale di 1,8-2 Gy al giorno. Il pz viene posizionato in posizione prona e si utilizza
il bell board.
Finito il trattamento neoadiuvante il pz dopo 8 settimane viene ristadiato per valutare la risposta, sempre
con TC e RM e poi viene operato. Il chemioterapico utilizzato solitamente è il 5FU o la capecitabina (pro-
farmaco del 5FU somministrabile per os).
Perché aspettare le 8 settimane? Perché sono fondamentali per completare l’effetto della radioterapia.
È stato dimostrato che l’effetto della radioterapia non va oltre questo periodo per cui si riducono anche le
complicanze intraoperatorie ed è più facile ottenere un buon post-operatorio. Il rischio di una resezione
anteriore è la deiscenza della sutura per ovviare a ciò si fa una colostomia transitoria e poi dopo 3 mesi
circa si fa la ricanalizzazione.
La RT adiuvante post-operatoria oggi non si fa più. Oggi se si fa è una RT di salvataggio, di rattoppo, a cui
il pz in genere non risponde.
Esiste una RT radicale nell’adenocarcinoma del retto? La RT radicale è appannaggio dei pz anziani che
non possono essere trattati chirurgicamente o in pz che rifiutano l’intervento chirurgico. La dose totale della
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RT radicale è superiore poiché in questo tipo di trattamento non è previsto l’intervento chirurgico (60-65
Gy).
Se dopo trattamento neoadiuvante si ha la regressione completa (e ciò avviene nel 20-25% dei casi),
si può evitare l’intervento chirurgico? La risposta ancora oggi è no. Il pz si deve operare anche se
apparentemente non è visibile tumore residuo, perché è stato dimostrato che all’interno delle ghiandole
dell’adenocarcinoma rimangono dei nidi cellulari da cui la malattia può ripresentarsi.
Perché una chemioterapia fatta prima dell’intervento risulta più efficace di una chemioterapia fatta
dopo? Perché quando si somministra il chemioterapico al pz non operato, troviamo ancora il suo
microcircolo integro.
La RT può anche essere utilizzata a scopo palliativo con finalità antalgiche ed emostatiche. Il
frazionamento in questi casi è un ipofrazionamento spinto con singole dosi di 5 Gy per un totale di 15-20
Gy.
Negli ultimi anni l’approccio terapeutico è cambiato. Mentre in passato l’approccio era chirurgico
demolitivo (resezione addomino-perineale), oggi il principale approccio terapeutico è
chemioradioterapico e quindi conservativo, mentre la chirurgia ha indicazioni di salvataggio.
È un tumore che raramente metastatizza a distanza per via ematica. La malattia invece si estende
frequentemente per via linfatica:
• Il canale anale vero e proprio scarica ai linfonodi meso-rettali
• Il margine anale nei linfonodi inguino-femorali
• Il canale anale inferiormente alla linea dentata scarica ai linfonodi inguinali.
Nota: quali sono i linfonodi che drenano la linfa dei testicoli? Sono i linfonodi lombo-aortici. Perché?
perché i testicoli si sviluppano in addome e poi discendono nella borsa scrotale.
La sintomatologia è spesso aspecifica → ritardo alla diagnosi. Consiste in sanguinamento rettale, prurito
anale. Diagnostica:
- TC addome e pelvi
- RM pelvica
Come si trattano questi tumori?
Se il tumore è in situ (raramente diagnosticato) si può fare l’escissione chirurgica. Se il tumore si trova al I
o II stadio, si fa una chemioradioterapia concomitante con finalità curativa. Il pz guarisce senza fare
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l’intervento chirurgico. Il protocollo FUMIR (5FU-Mitomicina C -RT) fu introdotto da Nigro. La
sopravvivenza a 5 anni è del 65-70%. Altro protocollo è il PLAFUR (cisplatino-5FU-RT) che può essere
fatto nei casi in cui non è tollerata la tossicità della mitomicina c (nei pz anziani con scarsa crasi ematica,
perché la mitomicina è mielotossica). La dose media è di 55 Gy
Il trattamento chirurgico è di salvataggio, riservato a quei pz che non rispondono ai protocolli di chemio-
RT. È un trattamento demolitivo che quasi mai ha successo.
La prostata è in rapporto con la base della vescica e con la parete anteriore del retto. Questo determina tutta
una serie di problematiche in ambito radioterapico poiché si deve regolare la dose per limitare i danni alle
strutture sane circostanti. Tra le strutture anatomiche da considerare quando si fa il trattamento radiante del
carcinoma prostatico ci sono anche le teste femorali. Queste infatti hanno una vascolarizzazione terminale
→ un danno delle strutture vascolari può causare necrosi della testa del femore.
Il tumore della prostata ormono-resistente (chiamato oggi tumore resistente alla castrazione) è una patologia
a se stante. Concentriamo sulla malattia ormono-sensibile.
Anche il carcinoma della prostata segue la stadiazione TNM. La malattia sostanzialmente viene distinta in:
• Malattia intraprostatica (T1-T2, N0)
• Malattia localmente avanzata (T3-T4, o N1)
• Malattia metastatica
Tumore primitivo (T) T3 Tumore che si estende al di fuori della prostata
TX Il tumore primitivo non può essere definito T3a Estensione extraprostatica, unilaterale o
T0 Non segni del tumore primitivo bilaterale, compresa l’invasione del collo vescicale.
T1 Tumore clinicamente non apprezzabile, non T3b Tumore che invade la(e) vescichetta(e)
palpabile né visibile con le immagini seminale(i)
T1a Tumore scoperto casualmente nel 5% o meno T4 Il tumore è fisso o invade strutture adiacenti oltre
del tessuto asportato in seguito a alle vescichette seminali: collo della vescica, sfintere
TURP/adenomectomia esterno, retto, muscoli elevatori e/o parete pelvica.
T1b Tumore scoperto casualmente in più del 5% del
tessuto asportato in seguito a TURP/adenomectomia Metastasi ai linfonodi regionali (N)
T1c Tumore diagnosticato mediante agobiopsia (ad NX I linfonodi regionali non sono stati prelevati
esempio, a causa del PSA elevato) N0 Non metastasi nei linfonodi regionali
N1 Metastasi in linfonodo(i) regionale(i)
T2 Tumore limitato alla prostata*
T2a Tumore che interessa la metà o meno di un lobo Metastasi a distanza (M)
T2b Tumore che interessa più della metà di un lobo M0 Non metastasi a distanza
ma non entrambi i lobi M1 Metastasi a distanza
T2c Tumore che interessa entrambi i lobi M1a Metastasi in linfonodo(i) extraregionale(i)
M1b Metastasi ossee
M1c Metastasi in altre sedi con o senza metastasi
ossee
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La stadiazione dell’adenocarcinoma della prostata consiste innanzitutto nel sapere se l’adenocarcinoma è:
- Intraprostatico: non ha superato i confini della prostata; si dice che non ha infiltrato la “capsula
prostatica”. In nessun punto l’adenocarcinoma ha infiltrato il tessuto fibro-adiposo periprostatico o,
nelle porzioni non rivestite, ha superato il parenchima prostatico. A grandi linee è un tumore che va
bene. L’adenocarcinoma intraprostatico nella stadiazione TNM è:
• T2: se tutto il tumore è intraprostatico, va bene nella stragrande maggioranza dei casi.
La RT nel trattamento del carcinoma della prostata occupa un ruolo fondamentale, sia come terapia loco-
regionale sia come terapia palliativa nella malattia metastatica.
In base a diversi parametri possiamo stabilire diverse categorie di rischio per la presenza di malattia
extraprostatica:
- Tumore a rischio basso: T1-T2, GS 3+3, PSA < 10. Comprende la stragrande maggioranza dei pz.
- Tumore a rischio intermedio: T1-T2, GS 3+4, un PSA compreso tra 10 e 20.
- Tumore a rischio alto: T3-T4, qualsiasi GS, PSA > 20.
Il trattamento del carcinoma della prostata si propone obiettivi diversi, a seconda dell’estensione anatomica
e dell’aggressività della malattia, ma anche della speranza di vita del paziente e della presenza di situazioni
di comorbilità che possono rappresentare un rischio di morte superiore a quello rappresentato dalla stessa
neoplasia prostatica. Non bisogna, infatti, trascurare il fatto che una porzione non esigua (circa il 40%) dei
pazienti cui viene diagnosticata una neoplasia prostatica è destinata a morire “con” e non “per” il proprio
tumore e che questa porzione comprende anche pazienti con malattia localmente avanzata o metastatica.
Tumore a rischio basso-intermedio di malattia extra-prostatica
Nei pazienti con malattia apparentemente confinata alla prostata, l’obiettivo del trattamento è la guarigione,
anche se vale tutt’oggi per questi pazienti l’assioma che non tutti i pazienti con malattia localizzata
necessitano di un trattamento curativo e, per contro, la guarigione è un obiettivo realistico solo per una
porzione di questi pazienti. Questo assioma può giustificare ancora oggi la scelta di una politica di vigile
attesa (watchful waiting) nei pazienti che abbiano minore probabilità di morire “per” il loro tumore
prostatico, sia per la relativa indolenza della loro malattia (pazienti con tumore sicuramente intracapsulare:
T1a-b-c T2a, neoplasia ben differenziata [Gleason ≤ 6] e bassi livelli di PSA [≤ 10 ng/ml]), sia per la
relativamente breve speranza di vita (inferiore ai 10 anni), a causa dell’età avanzata o della presenza di
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comorbidità con più elevata letalità della stessa neoplasia prostatica.
Il concetto di watchful waiting differisce in realtà profondamente da quello di “sorveglianza attiva”. La
politica del watchful waiting è, infatti, una politica di sorveglianza (in assenza peraltro di controlli
sistematici) di quei pazienti nei quali si ritiene ragionevole pensare che il trattamento immediato del tumore
non sia in grado di impattare sulla reale speranza di vita e nei quali, pertanto, eventuali terapie sono
dilazionate alla comparsa di sintomi, con finalità pressoché esclusivamente palliative. La “sorveglianza
attiva” è invece una strategia di trattamento differito, che viene offerta ai pazienti con malattia a basso
rischio alla diagnosi ai quali, invece di un trattamento immediato, viene offerta l’opzione di uno stretto
monitoraggio attraverso la ripetizione periodica delle biopsie prostatiche, la visita clinica e il dosaggio del
PSA al fine di rilevare tempestivamente l’eventuale progressione della malattia, e solo allora avviare il
paziente al trattamento locale più idoneo, pur sempre con intento “radicale”.
Per quanto riguarda tutti gli altri pazienti con malattia apparentemente intraprostatica e pertanto candidabili
a terapie locoregionali con fini di radicalità, la scelta delle diverse opzioni terapeutiche (prostatectomia
radicale, radioterapia con fasci esterni, brachiterapia) deve basarsi fondamentalmente sulle preferenze del
paziente (considerando anche le diverse sequele legate ai singoli trattamenti), sullo skill professionale
dell’equipe dei medici chiamata ad erogare il trattamento e sulle facilities di tipo tecnico disponibili (da
applicarsi sia alle opzioni chirurgiche che a quelle radioterapiche).
Opzioni terapeutiche
- Terapia chirurgica: prostatectomia radicale
- Radioterapia a fasci esterni
- Brachiterapia
I 3 tipi di trattamento hanno la stessa efficacia.
Il volume bersaglio si identifica con la prostata e non solo con il nodulo prostatico. Anche le vescichette
seminali sono bersagli di RT perché potrebbero essere infiltrate. Si utilizzano 5-7 porte d’ingresso. Il
carcinoma prostatico è un carcinoma radioresistente ma radiocurabile (si devono utilizzare dosi elevate).
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L’IMRT (RT ad intensità modulata), mediante la modifica dell’intensità del fascio di irradiazione, si eroga
una intensità del fascio più selettiva cercando di risparmiare gli organi sani circostanti. Il vantaggio si ha
nell’irradiazione di volumi irregolari, come nel caso della prostata, soprattutto nella parte posteriore,
quando si interfaccia con la parete anteriore del retto. Le linee di isodose quindi si adattano al volume
dell’organo bersaglio, risparmiando il retto da dosi importanti di radiazione che possono provocare erosioni
della mucosa rettale proctite attinica che si manifestano in genere dopo 1-2 anni dal trattamento con
sanguinamento della mucosa e anemizzazione. Altra complicanza tardiva è la cistite attinica
IGRT (Image Guided RT): è una tecnica che si associa al trattamento radiante per visualizzare prima di
ogni seduta di RT la posizione degli organi rispetto agli organi circostanti. È una TC che permette di
visualizzare live gli organi pelvici.
Altra tecnica è la brachiterapia interstiziale. Da utilizzare solo in casi molto selezionati a basso rischio:
T1-2, PSA < 10 ng/ml, GS < 7 (Low risk PC) e volume della prostata inferiore ai 50-55 cc. Per i tumori a
rischio intermedio non c’è l’indicazione alla brachiterapia. È una metodica RT che consiste nell’impianto
di sorgenti radioattive all’interno della prostata. Le sorgenti radioattive sono varie. Si utilizzano soprattutto
lo Iodio125 e Iridio192. I “semi radioattivi” vengono impiantati nella prostata attraverso degli aghi. La
complicanza più frequente della brachiterapia è la disuria causata dall’uretrite.
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Metodiche ancora in studio sono la RT stereotassica applicata al trattamento di tumori molto piccoli in
fase iniziale quindi a basso rischio o su piccole recidive in pz già irradiati. Si può utilizzare per la stereotassi
sia il LINAC sia il Cyberknife. Si irradia solo la prostata, in poche frazioni, con dosi elevate per singola
frazione (5 frazioni ciascuna da 5-7 Gy). La finalità è quella di erogare in poche frazioni (nell’arco di 10-
12 giorni), dosi elevate per irradiare piccoli volumi.
Trattamento del carcinoma localmente avanzato (T3-T4 o N1) o ad alto rischio di malattia extra-
prostatica
In questi casi l’indicazione al trattamento chirurgico scompare. Il ruolo della prostatectomia radicale nel
trattamento dei pazienti con malattia localmente avanzata, e in generale ad alto rischio alla diagnosi (cT3-
4, o Gleason score >7 o PSA >20 ng/ml), è controverso, per la mancanza di dati sicuri su un positivo impatto
sulla sopravvivenza. Esiste un consenso pressochè unanime che i pazienti con neoplasia localmente
avanzata dovrebbero essere avviati a RT esterna in associazione alla ormonoterapia.
L’ormonoterapia di lunga durata (di almeno 24-36 mesi) è il gold standard associata a RT esterna con
somministrazione di dosi più basse (66-70 Gy) rispetto al trattamento radicale del pz a basso o intermedio
rischio (perché l’intento di radicalità è meno perseguibile). Le tecniche utilizzate possono essere le tecniche
convenzionali o le tecniche a intensità modulata. Si irradia in genere tutta la pelvi perché non sappiamo
microscopicamente quanto sono infiltrati i linfonodi pelvici, anche se la reale utilità ai fini della
sopravvivenza è stata messa in dubbio. L’IMRT si utilizza in questi casi per ridurre la distribuzione di dose
alle anse del tenue, organo a rischio più importante nell’irradiazione di tutta la pelvi. Anche dosi piccole
possono essere molto tossiche per il tenue → diarrea con conseguente disidratazione e squilibri elettrolitici.
TUMORI GINECOLOGICI
Tra i tumori ginecologici di interesse radioterapico difficilmente abbiamo indicazioni alla RT per il
carcinoma ovarico. Più frequentemente la RT riguarda l’adenocarcinoma endometriale e il carcinoma
squamoso della cervice uterina. Anche il tumore vulvare (raro) può essere trattato con
radiochemioterapia.
Anche in questo caso si utilizza sia la RT esterna che la brachiterapia, che rispetto a quella della prostata è
completamente diversa. È una brachiterapia intracavitaria in quanto all’interno delle cavità naturali in
cui sono presenti i tumori, si inseriscono sorgenti radioattive che erogano una certa dose di radiazione e poi
vengono asportate.
La valutazione dell’imaging iniziale è fondamentale ai fini della pianificazione radioterapica. Le
immagini TC sono fondamentali perché i software di pianificazione riconoscono le scale densitometriche.
Sull’immagine TC però l’identificazione dei volumi tumorali potrebbe non essere sufficiente per cui
occorre integrare con altre metodiche di imaging come la RM pelvica. Le immagini TC di simulazione
vengono fuse con le immagini TC, RM e PET diagnostiche al fine di delineare i volumi di interesse
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radioterapico.
Anche per i tumori ginecologici c’è il problema degli organi circostanti a rischio di irradiazione: vescica
anteriormente, retto posteriormente, anse intestinali superiormente.
La strategia terapeutica per i tumori del corpo dell’utero è molto diversa rispetto a quella per i tumori
della cervice, soprattutto come timing delle diverse componenti terapeutiche (chirurgia, RT,
chemioterapia):
- Tumore della cervice si fa prima la stadiazione con l’imaging e poi un trattamento neoadiuvante
chemioterapico o radiochemioterapico con lo scopo di ridurre il volume della massa. Successivamente
il trattamento chirurgico.
- Tumore dell’endometrio invece non lo si può stadiare se non chirurgicamente. Quindi si fa all’inizio
la chirurgia per stadiare poi RT adiuvante
Nel tumore della vulva, il tumore tende a diffondersi per contiguità e inoltre tende a dare metastasi
linfonodali a stazioni diverse da quelle del tumore dell’utero o della cervice. I primi linfonodi ad essere
coinvolti sono i linfonodi inguino-femorali (cosi come anche nei tumori dell’ano).
CARCINOMA DELL’ENDOMETRIO
È la neoplasia ginecologica più frequente. Rappresenta il 6% di tutte le neoplasie e il 2% di tutte le cause
di morte per tumore. È una patologia che tipicamente si presenta in età avanzata, dai 60 anni in poi. In
alcuni casi è ormone dipendente in quanto esprime i recettori per il progesterone (tipo I endometriale). Tra
i fattori di rischio abbiamo l’azione degli estrogeni. I tumori dell’endometrio sono quasi sempre
adenocarcinomi di tipo endometrioide. Meno frequenti sono le altre forme (a cellule chiare, papillare
sieroso ecc) che hanno anche prognosi peggiore e sono ormono-indipendenti.
Stadiazione FIGO:
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Quali sono i pattern di diffusione della patologia secondo la sua storia naturale?
Il carcinoma dell’endometrio tende a diffondere prima nel contesto della parete uterina, poi verso la cervice
uterina, verso i parametri, verso la volta vaginale e verso i linfonodi paracervicali, parametriali, iliaci,
lombo-aortici. La terapia chirurgica è l’approccio terapeutico di prima linea, ma richiede un accurato
inquadramento preoperatorio della malattia per escludere la presenza di patologia extrauterina. Dopo la
chirurgia si può stratificare il rischio di queste pz. La stratificazione del rischio tiene conto di:
- Istologia: come detto prima ci sono forme a prognosi peggiore
- Grading: G1, G2 e G3
- Profondità di infiltrazione del miometrio
- Diffusione alle strutture circostanti (cervice, linfonodi ecc)
Quali sono le indicazioni alla RT nelle pz con adenocarcinoma dell’endometrio? Si effettua una terapia
adiuvante negli stadi Ia con brachiterapia del fondo vaginale. Negli stadi più avanzati alla
brachiterapia si associa anche una RT esterna. Nelle forme francamente avanzate si associa anche la
chemioterapia.
La RT adiuvante incrementa il controllo locale, riducendo il tasso di recidiva fino al 70%. La RT esterna è
migliore della sola brachiterapia. La brachiterapia si può associare alla RT esterna poiché spesso la recidiva
insorge sulla cupola del moncone vaginale. L’associazione con la chemioterapia non è ancora stata
approvata e non si è visto un maggiore beneficio dall’associazione radiochemioterapica.
La brachiterapia ha lo scopo di dare una dose aggiuntiva di radioterapia. Si effettua mediante dispositivi
interni standard o con i dispositivi a cilindro. I trattamenti brachiterapici possono essere a basse dose di
irradiazione o ad alte dosi.
La RT esterna può essere fatta con la IMRT quando si devono irradiare grandi campi, riducendo il rischio
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di provocare un’enterite attinica. Può essere considerata un’alternativa alla brachiterapia per boostare la
terapia, in quanto la brachiterapia si fa solo in pochi centri.
Stadio II: carcinoma della cervice che si estende oltre l’utero senza giungere alla parete pelvica o al terzo
inferiore della vagina.
- IIA: senza invasione dei parametri.
▪ IIA1: lesione macroscopica <4cm di dimensione maggiore.
▪ IIA2: lesione macroscopica >4cm di dimensione maggiore.
- IIB: con invasione dei parametri.
Stadio III: il tumore si estende alla parete pelvica e/o coinvolge il terzo inferiore della vagina e/o causa
idronefrosi e/o rene non funzionante. (Vengono inclusi tutti i casi di idronefrosi o rene escluso indipendentemente
dalla causa).
- IIIA: il tumore coinvolge il terzo inferiore della vagina, senza estensione alla parete pelvica.
- IIIB: estensione alla parete pelvica e/o idronefrosi o rene non funzionante.
Stadio IV: il tumore si estende oltre la piccola pelvi o ha coinvolto la mucosa della vescica o del retto
(con conferma istologica su biopsia. L’edema bolloso come tale non permette di assegnare lo stadio
IV).
IVA: infiltrazione degli organi adiacenti.
IVB: metastasi a distanza.
Il carcinoma della cervice tende a diffondere ai fornici vaginali, ai tessuti paracervicali e parametriali, al
setto retto vaginale, all’endometrio superiormente e ai linfonodi paracervicali, parametriali, ipogastrici,
otturatori, iliaci. Quelli più interessati sono i parametriali e paracervicali.
Per il tumore della cervice agli stadi iniziali è importante definire l’estensione locoregionale della malattia.
La stadiazione è effettuata preoperatoriamente con l’imaging e permette di distinguere tra tumori trattabili
subito con la chirurgia da tumori che invece necessitano di una terapia neoadiuvante.
Negli stadi precoci, fino allo stadio 1A2, molti studi hanno dimostrato l’equivalenza tra il trattamento
chirurgico e il trattamento radiochemioterapico radicale. Nelle malattie localmente avanzate, a partire dallo
stadio 1B, il primo approccio è una terapia neoadiuvante chemioradioterapico. Successivamente si fa la
chirurgia e si fa la stadiazione patologica dopo il trattamento neoadiuvante (y-TNM)
Quali sono le indicazioni alla RT? Nei tumori iniziali (fino allo stadio 1A2) la RT può essere una alternativa
alla chirurgia, con la stessa sopravvivenza. Negli stadi localmente avanzati (dimensioni superiori ai 4 cm
in genere) la tendenza è quella di fare il trattamento neoadiuvante radiochemioterapiaco → intervento
chirurgico → RT adiuvante
RT + cisplatino = sopravvivenza migliorata del 12%
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CARCINOMA VULVARE
Il carcinoma vulvare ha tendenza a diffondere localmente e a infiltrare le catene linfonodali inizialmente
inguino-femorali e poi in senso ascendente le altre stazioni. In questo caso si cerca di evitare il trattamento
radiante dei tessuti superficiali. Il trattamento è in primo linea chirurgico. Eventualmente si associa una
RT o radiochemioterapia adiuvante. È una patologia tipica delle donne anziane.
URGENZE ONCOLOGICHE
Sono situazioni che possono portare a morte il pz se non rapidamente corrette. Possono rappresentare il
primo sintomo della malattia. Il pz ad es muore per una grave emorragia e non perché sviluppa metastasi.
Tra queste abbiamo:
- Urgenze cardiovascolari: versamento pericardico, sindrome della vena cava superiore.
- Urgenze respiratorie;
- Urgenze genito-urinarie;
- Urgenze gastro-enteriche;
- Urgenze emorragiche;
- Urgenze neurologiche;
- Urgenze settiche;
- Urgenze dismetaboliche.
Quali sono quelle di pertinenza radioterapica? Sicuramente tra quelle cardiovascolari abbiamo la sindrome
da occupazione mediastinica (o sindrome della vena cava superiore) e il tamponamento cardiaco.
A seconda del livello in cui si verifica la compressione della V. Cava avremo diversa sintomatologia:
- Compressione sopra lo sbocco dell’azygos: sintomatologia più grave perché non c’è possibilità di
scaricare il flusso in vena cava inferiore. I sintomi sono: edema del volto, turgore delle giugulari, edema
palpebrale, cefalea, presenza di reticoli venosi a livello toracico, cianosi e dispnea. Il radiogramma in
proiezione PA e LL mostra un aumento asimmetrico dell’ombra mediastinica verso dx.
- Compressione sotto lo sbocco dell’azygos: la situazione è meno grave, poiché il sangue che non può
scendere dalla cava superiore, passa per la Azygos (inversione di flusso)
- Compressione in corrispondenza dello sbocco dell’azygos.
La sindrome della vena cava superiore può svilupparsi gradualmente nel giro di settimane o può insorgere
acutamente in pochi giorni. Spesso i pz riferiscono che non riescono a dormire in posizione supina. La
cefalea potrebbe essere dovuta all’edema cerebrale (sindrome da cervello umido) ma bisogna escludere
la presenza di metastasi cerebrali, frequentemente associate al microcitoma.
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La RT con acceleratore lineare irradia il mediastino e quasi sempre anche le regioni sovraclaveari.
TAMPONAMENTO CARDIACO
Circa il 30% dei pz che muoiono per neoplasia, presentano un certo grado di versamento pericardico che
se cospicuo può causare il tamponamento cardiaco. Qual è la sintomatologia? La sintomatologia è data
dalla tachicardia, ipostenia, ipotensione. Se facciamo un radiogramma del torace possiamo trovare il “cuore
a fiasca”. La diagnosi di certezza si fa con l’ecocardio o con la TC. Il trattamento consiste nella
pericardiocentesi per via sottoxifoidea, con la possibilità di somministrare antiblastici. Il tumore che più
frequentemente può causare versamenti pericardici massivi è il tumore del polmone.
URGENZE NEUROLOGICHE
Ipertensione endocranica, stato di male epilettico, emorragia cerebrale, compressione midollare.
IPERTENSIONE ENDOCRANICA
L’ipertensione endocranica si verifica sia in caso di tumore primitivo sia in caso di tumore metastatico
localizzato al SNC, quando il sistema intracranico (Legge di Monro-Kellie: La legge dice che il volume
all’interno della scatola cranica, somma delle 3 componenti, deve rimanere costante. Qualsiasi aumento di
volume di una delle 3 componenti, deve essere compensato dalla riduzione degli altri 2) non riesce più ad
essere compliante verso l’aumento della pressione intracranica. I sintomi sono soprattutto cefalea, vomito
a getto e diplopia. Qual è la terapia dell’ipertensione endocranica? Dipende da cosa è sostenuta. Terapia di
supporto con desametasone e mannitolo. Si può posizionare una derivazione ventricolo-peritoneale
transitoria o definitiva. Si può fare una RT palliativa nel caso di metastasi. Nel caso di tumori cerebrali
primitivi, come i PNET (Primary NeuroEctodermal Tumor: pinealomi, ependimomi, medulloblastomi) in
età pediatrica, la RT può avere anche finalità radicale.
MALE EPILETTICO
Il male epilettico è caratterizzato dalla presenza di attività convulsiva superiore a 30 minuti o da attacchi
convulsivi senza il completo recupero della coscienza da parte del pz. Può essere legata alla presenza di
metastasi, alla tossicità da chemioterapici, a problemi coagulativi o emorragici. Va gestita assieme al
rianimatore poiché ci sono pz che devono essere sedati e intubati. L’antiepilettico va somministrato ev.
COMPRESSIONE MIDOLLARE
La compressione midollare è un evento che può insorgere in maniera acuta o subacuta. È causata dalla
compressione diretta o indiretta del midollo a livello toracico (più frequente), lombare, sacrale e cervicale.
Quando avviene nella maggior parte dei casi per metastatizzazione ossea vertebrale; le vertebre più
colpite sono quelle toraciche.
Le metastatizzazioni possono essere:
• Osteolitiche
• Osteoblastiche
• Di tipo misto
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Quelle di tipo osteoblastico sono tipiche dell’adenocarcinoma prostatico metastatico. Le metastasi
osteolitiche sono tipiche degli altri tumori che frequentemente metastatizzano a livello vertebrale
(mammella, polmone, rene, mielomi, tumore primitivo occulto, linfomi).
Nota: tumore primitivo occulto (carcinoma of an unknown primary-CUP) tumore altamente aggressivo,
scarsamente responsivo ai trattamenti medici e radioterapici, che rappresenta l’11% dei tumori e che si
mantiene a partenza non nota. L’anatomopatologo anche con l’immunoistochimica non riesce a capire da
dove origina questo tumore. Esistono anche degli pseudo-CUP, cioè tumori ad apparente origine non nota
ma che in realtà originano quasi sempre da mammella, polmone, rinofaringe, raramente retro-peritoneo.
La metastatizzazione di tipo osteolitico può interessare il corpo vertebrale, nella sua porzione anteriore o
posteriore, e l’arco. Le più a rischio di sviluppare una compressione midollare sono quelle della
porzione posteriore del corpo perché facilmente provocano la rottura del muretto posteriore del corpo
vertebrale. La pressione esercitata sul legamento longitudinale posteriore provoca la compressione
midollare e favorisce l’espansione della metastasi verso le radici dei nervi spinali lateralmente. L’effetto è
la compressione diretta delle radici, del midollo e la compromissione della vascolarizzazione midollare.
L’esordio abitualmente è subdolo. Se insorge una paraplegia, dopo 6 ore l’evento può considerarsi
irreversibile. Un segno di compressione midollare sono le fascicolazioni e il dolore. Nell’ulteriore
evoluzione sono presenti disturbi sfinterici, perdita della sensibilità fino alla plegia e poi alla paralisi. Nella
maggior parte dei casi l’esordio è subacuto.
Nella metastasi osteoblastica (tipica del tumore della prostata), alla TC la vertebra appare uniformemente
compatta e iperdensa. L’osso però ha una resistenza molto ridotta e l’accrescimento della metastasi di tipo
concentrico, determina una strozzatura del midollo.
Oltre al crollo vertebrale possiamo avere metastasi pure nello spazio epidurale. Ad es ragazzo trattato per
sarcoma di Ewing che dopo 2 anni sviluppa una metastasi endomidollare. Ci possono anche essere lesioni
paravertebrali (delle colate neoplastiche) che infiltrano il midollo. La metastasi leptomeningea è molto
difficile da trattare, e per fortuna infrequente.
Nel caso del tumore della mammella, la complicanza può avvenire dopo anni dal trattamento della
patologia e può rappresentare l’unico segno di ripresa della malattia. Il lungo intervallo di tempo libero
da malattia è tipico della malattia ormono-sensibile (o che è diventata ormono-sensibile), con grading
inferiore a 3. Il sintomo tipico è il dolore. La pz deve essere ristadiata (anche sotto il profilo
immunoistochimico) per capire se quella è l’unica sede di ripresa della malattia nel caso di recidiva e per
capire che tipo di cellule sono presenti nella recidiva. Una pz con metastasi da ca. mammario, anche a
distanza di anni dalla malattia principale, non guarisce, ma con un adeguato trattamento può avere dei buoni
periodi di sopravvivenza, fino anche a 9 anni. Se la pz però sviluppa le complicanze della metastatizzazione
vertebrale, cioè se diventa tetraplegica/paraplegica, sicuramente non avrà questa sopravvivenza perché la
paraplegia nel pz neoplastico precede una serie di malattie intercorrenti che portano a morte il pz (infezioni,
pielonefriti, insufficienza renale ecc).
Quadro clinico:
• Dolore
• Deficit motorio e della sensibilità;
• Perdita del controllo sfinterico;
• La radiografia della colonna nella gran parte dei casi non è dirimente. Statisticamente in quasi 2/3
dei casi la radiologia tradizionale non aiuta. Quando c’è il sospetto di metastasi della colonna
bisogna fare in urgenza una TC e poi come esame elettivo per valutare il midollo la RM.
SINDROMI DISMETABOLICHE
La sindrome più frequente in caso di tumore solido è l’ipercalcemia mentre la sindrome più frequente in
caso di tumori ematologici è la sindrome da lisi tumorale con iperuricemia.
L’ipercalcemia si può osservare nelle neoplasie polmonari, mammarie, ematologiche, germinali, metastasi
ossee. È causata dall’attivazione degli osteoclasti. Si manifesta nel 10-15% dei pz ed è associata ad una
cattiva prognosi. Non è sempre collegata alla coesistenza di metastasi ossee. I sintomi più frequenti
riguardano il SNC: astenia, confusione, stato soporoso fino al coma, tetania, iporiflessia.
Si può trattare idratando il pz e somministrando i bifosfonati (acido zoledronico 4 mg in 15 min). La
gravità dipende dalla velocità con cui aumenta la calcemia e dal valore assoluto della calcemia.
URGENZE EMORRAGICHE
Ematuria e rettorragia sono delle complicanze frequenti di tumori del retto e della vescica. La RT
ipofrazionata può essere impiegata con effetto emostatico palliativo.
SEPSI
Possono essere legate al trattamento medico (posizionamento e mantenimento di un CVC) o
all’associazione radio-chemioterapica. Se sappiamo che il trattamento è neutropenizzante, possiamo
somministrare il fattore di crescita per i neutrofili. Se dovesse insorgere la febbre si fa una profilassi
antifungina.
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