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SOLIDIFICAZIONE DEI METALLI

GENERALITA' SULLA SOLIDIFICAZIONE

La solidificazione, con generazione di solidi cristallini a partire dal liquido, avviene sempre
nei metalli (con rare eccezioni) con due processi fisici in competizione fra loro: la
nucleazione di nuovi cristalli o l'accrescimento di quelli già esistenti. Poichè nella grande
maggioranza delle applicazioni strutturali della meccanica, che sono a temperature
moderate, sono essenziali la resistenza e la duttilità del metallo, interessa avere
soprattutto grani fini. Questi sono il risultato di una preponderanza della nucleazione
sull'accrescimento. Perciò, controllare la velocità di nucleazione, incrementandola il più
possibile, è sempre desiderabile nei processi industriali.

Nucleazione omogenea:
 è difficile per via dei fattori di accomodamento degli atomi dal liquido privo di
struttura all'ordine cristallino dei solidi
 richiede energia di attivazione
 richiede importanti sottoraffreddamenti
 richiede estrema purezza del liquido per non avere nucleazione eterogenea sulle
particelle derivanti dalle impurezze
 è possibile nei metalli puri, sotto le condizioni sopra specificate, è molto difficile
nelle leghe
 non avviene nella pratica industriale della fonderia

Nucleazione eterogenea

fungono da nucleatori corpi estranei come impurità, inclusioni, film di ossido o la
parete del contenitore, tipicamente sono presenti 1012-1014 particelle nucleanti al m3

le eterogeneità abbassano l'energia di attivazione della trasformazione

Competizione fra i due meccanismi di nucleazione


La competizione fra i due fenomeni è data dal seguente diagramma di Figura 1, dove la
temperatura ridotta Tr è il rapporto fra la temperatura attuale T e la temperatura di fusione
Tf. Da notare che le scale di entrambi gli assi sono logaritmiche. Le curve riportate
rappresentano l'inizio del fenomeno di nucleazione nei due casi di nucleazione omogenea
ed eterogenea. Si vede che per sottoraffreddamenti da nulli a moderati la nucleazione
eterogenea, rappresentata dalla curva tratteggiata, avviene prima di quella omogenea,
rappresentata dalla curva continua. Per forti sottoraffredamenti la situazione s'inverte e
cioè, se per qualche motivo si riesce ad ottenere un sottoraffreddamento molto forte, la
solidificazione partirà in modo omogeneo.

Nucleazione e accrescimento dei cristalli


La solidificazione progredità con due meccamismi in competizione:
 nucleazione di nuovi cristalli
 accrescimento dei cristalli già presenti
Il sottostante diagramma della Figura 2 è qualitativo, ma rappresenta bene la velocità di
nucleazione eterogenea I in funzione della temperatura T. Al di sotto della temperatura di

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fusione Tf si ha il sottoraffreddamento. Vicino all'equilibrio, cioè dove T≈T , è difficile avere
f
nucleazione, e la solidificazione avverrà piuttosto con la crescita dei nuclei già presenti. In
tal caso la cinetica di accrescimento prevale su quella di nucleazione. Abbassando la
temperatura si favorisce in modo via via maggiore la nucleazione, perchè il
sottoraffreddamento diminuisce l'energia di attivazione. Se il sottoraffreddamento diventa
molto grande entra in gioco la nucleazione omogenea, e la velocità di nucleazione
eterogenea I diminuisce, portando anche ad una diminuzione complessiva della velocità di
nucleazione.

Figura 1: curve di temperatura di nucleazione (A nucleazione eterogenea, B nucleazione


omogenea) di cristalli solidi in funzione del tempo.

Figura 2: tasso di nucleazione eterogenea I (numero di nuclei per unità di volume e unità
di tempo) in funzione della temperatura. Tf è la temperatura di equilibrio della transizione di
fase.

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INOCULAZIONE

L'inoculazione è l'aggiunta di sostanze speciali al bagno liquido per modificare le


caratteristiche della solidificazione, cioè:
1. aumentare la velocità di nucleazione, e quindi favorire la formazione di grani più
fini
 introduzione di ferroleghe Fe-Si nella ghisa per nucleare grafite primaria
attraverso l'aumento locale del carbonio equivalente indotto dal Si
 introduzione di Zr o C nelle leghe di Mg per avere grani fini
 introduzione di Fe, Co e Zr per avere grani fini nelle leghe di Cu
 introduzione di P nelle leghe Al-Si per affinare il Si eutettico
 introduzione di Ti+B per affinare il grano α di Al
2. controllare la morfologia delle fasi che solidificano.
 aggiunta di Na, Sr, Sb per controllare la morfologia di crescita del Si eutettico

SOLIDIFICAZIONE DENDRITICA NELLE LEGHE

Formazione delle dendriti colonnari

La solidificazione di un componente incomincia sempre dalle pareti del contenitore del


getto, ovviamente più fredde del liquido. La rugosità superficiale del contenitore fornisce
naturalmente i siti iniziali di nucleazione eterogenea dei cristalli della lega. La bassa
temperatura iniziale della parete e il gran numero di siti di nucleazione favoriscono la
copiosa formazione di fini cristalli equiassici, che formano uno strato iniziale per il solido in
formazione, la cosiddetta chill zone, una specie di zona temprata, cioè che ha avuto un
raffreddamento rapido come una tempra, sebbene qui la tempra degli acciai non c'entri
nulla. A questo punto l’interfaccia solido-liquido è all’incirca piana, cioè avrà una rugosità
che riflette la presenza di molti piccolissimi cristalli affiancati.

Subito dopo la formazione di questa buccia iniziale di cristalli equiassici, si esamina ciò
che accade all’interfaccia fra il solido ed il liquido, riferendosi alla Figura 3 sottostante. Nel
diagramma, che mostra l’evoluzione delle grandezze fisiche all’allontanarsi dall’interfaccia,
sita a z=0, sono disegnati quattro tipi di curve:
1. la distribuzione di temperatura nel solido (curva a sinistra), approssimata come retta
dalla pendenza GS
2. la distribuzione di temperatura nel liquido (curve a destra), approssimate come rette
a, b, c con pendenze GL ognuna diversa dall’altra
3. la distribuzione di concentrazione di soluto nel liquido, ovviamente decrescente a
partire dall’interfaccia ed avente gradiente GC
4. la temperatura di solidificazione costituzionale Tcostitutional, ovviamente crescente a
partire dall’interfaccia (tratteggiata nella Figura 3), che esprime il fatto che la
sovrassaturazione in soluto del liquido vicino all’interfaccia abbassa localmente la
temperatura di solidificazione, che ritorna al valore nominale quando la
concentrazione del soluto è di nuovo quella nominale (vedere la curva di
concentrazione del precedente punto 3), il che accade sufficientemente lontano
dall'interfaccia solido-liquido.

Si può riassumere la situazione con la seguente simbologia:

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z= distanza dall’interfaccia solido-liquido
v = velocità di solidificazione espressa come velocità dell'interfaccia [m/s]
T = T(z)= temperatura
C=C(z)= concentrazione del soluto
GL=T/z= gradiente termico normale all’interfaccia nel liquido dalla parte del liquido
GS=T/z = gradiente termico normale all’interfaccia nel liquido dalla parte del solido
GC=C/z= gradiente di concentrazione di soluto nel liquido.

Seguono alcune osservazioni necessarie per inquadrare il fenomeno della solidificazione


dendritica in modo semplificato, ma fisicamente attendibile:
1. si descrive una situazione semplificata di gradienti termici unidirezionali; in un getto
reale la situazione è più complessa, ma il principio di base vale comunque
2. il gradiente termico nel solido è basso se il contenitore è metallico, facilmente è
minore del gradiente nel liquido GL; non è detto che valga lo stesso se il contenitore
conduce poco, come per colate in sabbia
3. il gradiente nel liquido GL nello strato limite inizialmente sarà forte, perché il
contenitore di colata all’inizio è freddo; poi quest’ultimo si scalderà e G L dovrà
diminuire; in Figura 3, si tende a passare dalla retta a alla retta b.

Per la formazione delle dendtiti, a partire da un fronte solido con interfaccia all’incirca
piana, conta l’andamento relativo della distribuzione delle temperature nel liquido (curve a,
b, c con diverso possibile gradiente G L) e la temperatura di solidificazione Tcostitutional.
Ovviamente all’interfaccia la temperatura di solidificazione Tcostitutional (che tiene conto della
concentrazione locale del soluto e del suo gradiente) e la temperatura attuale T sono
uguali.

Figura 3: distribuzione delle temperature e delle concentrazioni di soluto di una lega (per
semplicità didattica assunta come binaria) nella regione dell’interfaccia solido (a sinistra)-
liquido (a destra). In ascisse vi è la distanza z dall’interfaccia.

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a) Inizialmente, subito dopo la nucleazione dei primi cristalli equiassici superficiali, il
gradiente termico nel liquido G L è ancora molto forte perchè il contenitore non ha
ancora raggiunto la temperatura di regime, che si verificherà quando si avrà anche
scambio termico con l’aria circostante o eventuali supporti al contenitore. E’ la
situazione della retta a: la pendenza è alta, i cristalli presenti crescono e su di essi
ne nucleano anche di nuovi, cioè la buccia di fini cristalli equiassici s’inspessisce.
b) Crescendo lo strato dei cristalli superficiali equiassici si abbassa il gradiente G L
finchè si arriva alla pendenza della retta b, che è la stessa della temperatura di
solidificazione Tcostitutional. Si è arrivati al limite della crescita dello strato superficiale
dei cristalli equiassici. Se la velocità di raffreddamento è molto forte fino alla fine,
perchè il getto è piccolo o la velocità di asportazione del calore da parte del
contenitore è molto grande, come nel caso di una colata a pressione, la
solidificazione si concluderà con soli cristalli equiassici e non si avrà formazione di
dendriti.
c) Oltre la situazione precedente (punto b), il gradiente termico del liquido G L diventerà
più basso del gradiente termico della temperatura di solidificazione Tcostitutional, cioè ci
si troverà nella situazione della retta c della Figura 3. Immediatamente oltre
l’interfaccia, dove T=Tcostitutional, la temperatura del liquido sarà più bassa di quella di
solidificazione, cioè T<Tcostitutional. L’interfaccia solida è ora affacciata su di un liquido
sottoraffreddato. Siccome l’interfaccia non è perfettamente piana, perchè essa è
fatta da molti diversi cristalli, ciascuno con la propria orientazione e giacitura, vi
saranno piccolissime regioni solide che sono più avanzate (di pochissimo) del
fronte medio, e quindi saranno a contatto con un liquido più sottoraffreddato di
quelle adiacenti. Il sistema diventa instabile: le regioni solide più avanzate del fronte
medio crescono più velocemente delle altre, formando delle protuberanze che si
prolungano nel liquido.

Non solo: esse avvelenano la crescita delle zone rimaste più indietro, perchè tali
protuberanze mentre avanzano liberano attorno a sè il calore di solidificazione e quindi
mitigano o addirittura annullano di fianco a sè il sottoraffreddamento del liquido. Tale fatto,
oltre a distruggere la planarità dell’interfaccia complessiva di solidificazione e produrre una
crescita di cristalli colonnari, finisce per eliminare completamente la crescita di alcuni
cristalli, quelli sfavorevolmente arretrati. Quindi il numero dei cristalli diminuisce
all’avanzare dell’interfaccia.

La liberazione del calore di solidificazione crea intorno ad una protuberanza una zona a
crescita cristallina inibita. La dimensione di tale zona è dell’ordine di grandezza di quella
della protuberanza stessa. Quindi, al di fuori della regione a sottoraffreddamento mitigato
che si trova attorno alla protuberanza vi sono le condizioni perchè se ne formi un’altra.
Questa, a sua volta, genererà nel suo intorno, con un’estensione dello stesso ordine di
grandezza della sua stessa dimensione, un’altra regione a sottoraffreddamento mitigato.
Di qui ne deriva una struttura periodica, cioè vi sarà una schiera di protuberanze solide
equispaziate che crescono nel liquido.

Sui loro fianchi il liquido a sottoraffreddamento mitigato riproduce una situazione simile
all’interfaccia dello strato dei cristalli equiassici prima dell’inizio della crescita colonnare.
L’entità del sottoraffreddamento residuo dovrà dipendere dal calore di solidificazione: più
quest’ultimo cresce, più il primo tende a smorzarsi. Esisterà dunque, ai fianchi delle prime
protuberanze, un liquido a temperatura più bassa di quella di solidificazione Tcostitutional.

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L’interfaccia diventa quindi instabile e può nascere e crescere una nuova serie di
protuberanze dai fianchi di quelle precedenti. Nasce, cioè, una struttura ad albero, le
dendriti, dove le prime protuberanze, dette bracci primari, sono come il tronco dell’albero,
le seconde sono i bracci secondari. Per quanto spiegato sopra, tutti i bracci dendritici
obbediscono ad una distribuzione periodica. Inoltre le dendriti hanno crescita colonnare,
cioè il loro braccio primario è parallelo al gradiente termico.

In linea di principio, vi potrebbero essere anche bracci di ordine n, ma in pratica i dati


sperimentali indicano che, oltre ai primari, si trovano solo quelli secondari o, in taluni casi,
quelli terziari. Due semplici ragioni giustificano questo fatto:
1. ogni volta che nuclea un braccio dendritico, si libera il calore di solidificazione, il
quale mitiga il sottoraffreddamento, che potrebbe molto presto svanire, inibendo
così la nucleazione di nuovi bracci di ordine n+1
2. i bracci primari hanno molto spazio davanti a sè, quindi hanno grandi possibilità di
crescita, mentre quelli di ordine superiore si trovano subito a fronteggiare i problemi
di spazio che derivano dalla presenza di quelli di ordine precedente: anche ciò è un
efficace fattore d’inibizione.

Criterio di formazione delle dendriti

E’ possibile formulare in modo semplice un criterio di formazione delle dendriti. Da quanto


spiegato sopra, è subito evidente che il fattore più importante sia il gradiente di
raffreddamento nel liquido. Se questo si abbassa sufficientemente, come nel caso della
retta c della Figura 3, si verificherà la crescita di cristalli dendritici colonnari.

Tuttavia, un altro fattore può entrare in gioco, la velocità di v avanzamento dell'interfaccia


solido-liquido. Il modello discusso nel paragrafo precedente si fonda sull'assunzione tacita
che non vi siano scambi di materia, cioè che non siano operanti meccanismi fisici che
tendono ad uniformare la composizione del liquido, ossia ad annullare il gradiente di
concentrazione del soluto. Due meccanismi di trasporto di massa sono invece operanti:

1. la diffusione allo stato liquido, che obbedisce alla legge di Fick, inevitabile perchè
esiste il gradiente GC
2. la convezione naturale dovuta al gradiente di temperatura imposto dal
raffreddamento; ciò implica un rimescolamento del liquido ed un'attenuazione del
gradiente composizionale.

L'importanza dei due fattori sopra enunciati è di natura essenzialmente cinetica: se la


velocità di v avanzamento dell'interfaccia solido liquido è alta, non vi è tempo per il
riequilibrio composizionate dettato dai due fattori di cui sopra. Al contrario, avanzamenti
lenti dell'interfaccia lasciano il tempo per smorzare a sufficienza i gradienti composizionali,
finchè il sottoraffreddamento costituzionale non sarà più sufficiente a garantire la crescita
delle dendriti colonnari.

In definitiva, basso deve essere il gradiente termico nel liquido ed alta deve essere la
velocità di avanzamento dell'interfaccia solido-liquido. Mettendo assieme questi due fattori,
si può formulare come criterio di crescita dendritica colonnare il rapporto fra gradiente
termico e velocità GL/v, che va minimizzato. I risultati sperimentali riportati in letteratura

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sono assai variabili, ma in sintesi si può affermare che nella pratica dei getti industriali
l'interfaccia solido liquido si muove a velocità ben al di sotto di 1 m/s (mentre elevate
velocità di solidificazione si ottengono solo con atomizzazione di liquido o il melt spinning,
tecnica usata per ottenere metalli amorfi, e fusione laser). Al contrario, in condizioni
industriali il gradiente termico nel liquido è molto meno variabile, variando usualmente fra
100 e 1000 K/m.

Con solidificazioni effettuate in contenitori di sabbia o di metallo (conchiglie), i gradienti


sono sufficientemente bassi per assicurare solidificazione dendritica. Al contrario, con
colata a pressione e squeeze casting, i gradienti termici nel liquido sono molto alti e si
arriva facilmente a sopprimere la solidificazione dendritica.

Controintuitivamente, con velocità di solidificazione (non è la velocità di raffreddamento!)


molto basse c’è tempo per smorzare i gradienti composizionali G C, diminuirà il super-
raffreddamento costituzionale e la temperatura di solidificazione Tconstitutional vicino
all’interfaccia si avvicinerà a quella di equilibrio. Nel contempo la temperatura attuale T del
liquido all’interfaccia e un poco oltre potrà essere più bassa di Tconstitutional e quindi il fronte
solido può avanzare senza instabilità. Similmente, con un gradiente termico nel liquido
molto forte, non c’è pericolo che T<Tcostitutional davanti all’interfaccia e quindi nessuna
perturbazione di forma del fronte raggiungerà mai un liquido sottoraffreddato.

Formazione delle dendriti equiassiche

Man mano che la solidificazione avanza si affossa tutto il profilo della temperatura T nel
liquido, ma la temperatura all’interfaccia diminuisce poco per via dello scambio quasi
stazionario fra il contenitore e l’ambiente circostante. La situazione è quella mostrata nella
Figura 4 parte A. In uno stadio avanzato della solidificazione tutta la curva della
temperatura del liquido si abbassa, e si andrà a finire che ci sarà tutta la zona centrale in
cui T<Tcostitutional, come è illustrato nella Figura 4 B.

A questo punto si avrà crescita di nuclei solidi già presenti nell’ultimo liquido. Lavori di
ricerca sperimentale hanno dimostrato che nuclei del solido sono già presenti e vengono a
concentrasi nel liquido finale, come tutte le impurezze; i nuclei sono già presenti per i
seguenti motivi:

a) alcuni di essi si sono formati durante il versamento del liquido della colata
quando questo è venuto transitoriamente a contatto con il contenitore più freddo
b) durante la crescita colonnare normale, si sono staccati alcuni frammenti di
dendriti che si sono poi concentrati nell’ultimo liquido.

Da questo punto in poi la crescita dei nuclei cristallini già presenti sarà dendritica ed
equiassica per i seguenti motivi:
a) il gradiente GL perde la monodirezionalità, che era la condizione per avere
crescita colonnare
b) c’è sottoraffreddamento come prima, ma ora non direzionale
c) ci può anche essere effetto del calore latente di solidificazione, che avvelena la
crescita del cristallo nelle regioni immediatamente adiacenti al braccio dendritico
che si stava sviluppando; tuttavia, siccome non si partiva da un’interfaccia planare

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ma da un cristallo più o meno poliedrico, vi saranno facce cristalline più distanti da
quelle interessate dalla liberazione del calore latente di solidificazione e che
saranno quindi in grado di crescere in una diversa direzione; in definitiva si ha una
crescita complessiva non direzionale; in sostanza ogni cristallo cresce
dendriticamente in direzioni diverse e in modo simultaneo.

Figura 4: fasi finali della solidificazione di un getto. In A si vede quando sta per terminare la
situazione quasi stazionaria che descrive tutto lo stadio di crescita delle dendriti colonnari:
al di là dell’interfaccia con il solido, esiste uno strato di liquido sottoraffreddato dove
crescono le dendriti, mentre la restante parte centrale del liquido è nello stato
surriscaldato, cioè la sua temperatura supera quella di solidificazione. In B si vede lo stato
termico del liquido restante al centro del getto alla fine della solidificazione: anch’esso
finisce per essere tutto sottoraffreddato, e dà quindi luogo a crescita di nuove dendriti,
questa volta equiassiche.

STRUTTURA FINALE DEI GETTI

Alla fine il getto avrà una prima zona esterna di fini cristalli equiassici, seguiti da dendriti a
sviluppo colonnare verso l'interno, per terminare in una zona di dendriti equiassiche nel
cuore del pezzo. La situazione è schematizzata nella Figura 5. Naturalmente la zona
iniziale di fini cristalli equiassici è sempre presente, la sua estensione dipende dalla
velocità di raffreddamento, e quindi dal gradiente termico nel liquido G L. Quanto più tale
velocità è elevata, tanto più si ritarda la formazione di dendriti colonnari fino, al limite, alla
loro soppressione. Ciò si verifica normalmente nelle solidificazioni che avvengono durante
la colata a pressione o lo squeeze casting.

Anche l'estensione della zona dendritica a sviluppo equiassico centrale è determinata


dalle condizioni di raffreddamento e dal tipo di lega. Getti di grandi dimensioni restringono
la zona dominata dal gradiente termico (quella in cui crescono dendriti colonnari) ad una

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frazione solo moderata del volume complessivo. Di conseguenza si raggiungeranno
condizioni di sottoraffreddamento generalizzato (quello schematizzato nella Figura 4B) in
un'ampia percentuale del volume del getto: ne risulta perciò un'ampia zona di dendriti
equiassiche. Anche vibrazione meccanica e agitazione elettromagnetica favoriscono
l'estensione delle dendriti equiassiche, sia perchè, smorzando i gradienti composizionali,
ostacolano il sottoraffreddamento costituzionale, sia perchè moltiplicano la
frammentazione delle dendriti colonnari e quindi forniscono nuclei per la crescita
equiassica nella zona centrale del getto. Effetto simile si consegue con l'utilizzo
d'inoculatori per l'affinazione del grano: si riduce la crescita colonnare perchè si favorisce
la nucleazione eterogenea direttamente nel liquido.

Da un punto di vista composizionale, leghe con ampio intervallo di solidificazione hanno


come risultato che le zone con gradiente del soluto nel liquido vicino all'interfaccia con il
solido abbiano un'estensione assai ampia, e quindi favoriscano un sottoraffreddamento
generalizzato (quello della Figura 4B) su ampia scala, con esteso sviluppo di dendriti
equiassiche.

Figura 5: schema generale della distribuzione morfologica dei grani cristallini e delle
dendriti all'interno di un getto.

RITIRO DI SOLIDIFICAZIONE

Ci sono in generale tre tipi di ritiro durante le operazioni di fonderia:


1. contrazione liquida, e dipende dal grado di surriscaldamento con il quale si cola
2. contrazione solida fra la solidificazione e le temperaturadi sformatura, e di solito si
compensa facendo le forme poco più grandi
3. contrazione di solidificazione, è la più importante; dà luogo a ritiro liquido-solido,

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che può portare facilmente alla creazione di porosità, con decadimento delle
caratteristiche meccaniche; dipende dalla composizione delle leghe e si contrasta
utilizzando assieme il principio della solidificazione direzionale e il posizionamento
di materozze vicino alle aree di fine solidificazione

Lega metallica Contrazione di


solidificazione, % in volume
acciaio dolce 3
C100 4
ghisa bianca 4,5
ghisa grigia -1,5-2,5
ghisa sferoidale -2,7-4,5
Cu 5
Cu-30Zn 4,5
Al 6,6
Al-4,5Cu 6,3
Al-12Si 3,8
Mg 4,2
Zn 6,5
Fonte: Metals Handbook vol. 15 “Casting”

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