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Virginia Woolf

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« Chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e
intrappolato in un corpo di donna? »
(Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, 1929)

Adeline Virginia Woolf

Adeline Virginia Woolf, nata Stephen (Londra, 25 gennaio 1882 – Rodmell, 28 marzo
1941), è stata una scrittrice, saggista e attivista britannica. Considerata come uno dei
principali letterati del XX secolo, attivamente impegnata nella lotta per la parità di diritti tra
i due sessi; fu, assieme al marito, militante del fabianesimo[1], nel periodo fra le due guerre
fu membro del Bloomsbury Group e figura di rilievo nell’ambiente letterario londinese. Le
sue più famose opere comprendono i romanzi La signora Dalloway (1925), Gita al faro
(1927) e Orlando (1928). Tra le opere di saggistica emergono Il lettore comune (1925) e
Una stanza tutta per sé (1929); nella quale ultima opera compare il famoso detto "una
donna deve avere denaro e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi".

Biografia

Virginia Woolf nacque a Londra nel 1882 in una casa al civico 22 di Hyde Park Gate; da
genitori entrambi vedovi alle seconde nozze. Suo padre, sir Leslie Stephen fu un notevole
autore, critico e alpinista. Sua madre, Julia Prinsep-Stephen (nata Jackson) (1846-1895),
venne al mondo in India dal dottor John e dalla moglie Mary Pattle Jackson e in seguito si
trasferì in Inghilterra con la madre, dove iniziò una carriera come modella per pittori del
calibro di Edward Burne-Jones. A parte i rispettivi figli di primo letto e Virginia, gli
Stephen ebbero altri tre figli: Vanessa (1879-1961), Thoby (1880-1906) e Adrian (1883-
1948). Julia aveva già avuto tre figli dal suo primo marito, Herbert Duckworth: George
(1868-1934), Stella (1869-1897) e Gerald Duckworth (1870-1937). Leslie aveva avuto una
figlia dalla sua prima moglie, Minny Thackeray: Laura M. Stephen (1870-1945), che venne
successivamente dichiarata mentalmente instabile.

Leslie Stephen, quale letterato di fama nell'ambiente inglese e per la sua stretta connessione
al popolarissimo William Thackeray (Leslie era il vedovo della figlia di Thackeray), fece sì
che i suoi figli fossero allevati in un ambiente colmo di influenze della società letteraria
vittoriana. Henry James, Thomas Stearns Eliot, George Henry Lewes, Julia Margaret
Cameron (una zia di Julia Stephen), e James Russell Lowell (padrino della stessa Virginia)
furono tra i più frequenti visitatori di casa Stephen. Anche la madre della giovane scrittrice
aveva rapporti ed affinità con personaggi di rilievo; addirittura discendente di un servitore di
Maria Antonietta, ella proveniva da una famiglia che ha lasciato vive impronte sulla società
britannica del tempo come modelli per artisti e fotografi successivi. A Virginia, come
prescriveva la regola educativa vittoriana, non fu concesso di frequentare qualsivoglia
istituto scolastico, ma la madre si premurò di darle direttamente o indirettamente lezioni di
latino e francese, ed il padre le consentì sempre di leggere i libri che teneva nella biblioteca
del suo studio.

Virginia e il fratello Thoby manifestano subito la loro inclinazione letteraria e danno vita ad
un giornale domestico Hyde Park Gate News, in cui scrivono storie inventate e danno vita
ad una sorta di diario familiare. Secondo le memorie della Woolf, i ricordi più vividi e
sereni della sua infanzia non erano quelli di Londra ma quelli invece trascorsi nella località
di Saint Ives in Cornovaglia, dove la famiglia passava ogni estate fino al 1895 e dove fa
importanti conoscenze per esempio con Meredith e Henry James. La residenza estiva degli
Stephens, Talland House, guardava sulla Baia di Porthminster. Le memorie e le impressioni
di queste vacanze in famiglia confluirono successivamente come influenza letteraria per uno
dei suoi scritti di maggior successo, Gita al faro. Tuttavia il periodo di felicità non durò
molto. Nel 1895, a soli tredici anni Virginia è colpita da un primo grave lutto: muore la
madre. Il padre, anche lui duramente colpito dalla perdita, vende l'amata casa al mare. Solo
due anni dopo muore invece la sorellastra, Stella e nel 1904 il padre. Questi eventi la
portano al primo serio crollo nervoso.

Nel racconto autobiografico "Momenti di essere e altri racconti" riportò che lei e la sorella
Vanessa Bell subirono abusi sessuali da parte dei fratellastri George e Gerald Duckworth.
Questo ha sicuramente influito sui frequenti esaurimenti nervosi, sulle crisi depressive e sui
forti sbalzi d'umore che hanno caratterizzato la vita della scrittrice e che la porteranno, dopo
diversi tentativi, al suicidio. Le moderne tecniche diagnostiche hanno portato ad una
postuma diagnosi di disturbo bipolare unito, probabilmente, negli ultimi anni, ad una
psicosi.

Dopo la morte del padre, dunque, si trasferì con la sorella a Bloomsbury, dove con ella
diede vita al primo nucleo del circolo intellettuale noto come Bloomsbury Group. Cominciò
a scrivere nel 1905, inizialmente, per il supplemento letterario del Times. Fa conoscenza con
importanti intellettuali, tra cui Bertrand Russell, Edward Morgan Forster, Ludwig
Wittgenstein e colui che successivamente diverrà suo marito. Il gruppo si fa chiamare Gli
apostoli. Nel 1912 sposò Leonard Woolf, un teorico della politica. Il suo primo libro The
Voyage Out (La crociera), fu pubblicato nel 1915. Ebbe relazioni con alcune donne come
Violet Dickinson, Vita Sackville-West, Ethel Smyth, che influenzarono profondamente la
sua vita e le sue opera letterarie.
Assieme ai fratelli Thoby e Vanessa si trasferisce presso Hyde Park Gate, nel quartiere
londinese di Bloomsbury, dove prende vita il Bloomsbury set, formato da coloro che ormai
sono gli ex Apostoli. Esso sarà destinato a dominare per oltre un trentennio la cultura e la
letteratura inglesi. Nascono così le "serate del giovedì"; riunioni alle quali partecipano
intellettuali di alta posizione per discutere di politica, lettere e arte. Alimentata da questo
clima di fervore intellettuale Virginia inizia a dare ripetizioni serali alle operaie in un
collegio della periferia. Intanto medita nei gruppi delle suffragette, pubblica le prime
critiche letterarie (per il "Times Literary Supplement", il "Guardian", il "Cornbill" e la
"National Review") e prosegue alla scrittura dei suoi futuri successi. Nel 1913 però, dopo
aver scritto il primo libro, cade in una seconda depressione e tenta il suicidio. Per farle
trovare fiducia ed equilibrio il marito le propone di fondare un'impresa editoriale e nasce la
Hogarth Press che pubblicherà Katherine Mansfield, Italo Svevo, Sigmund Freud, Thomas
Stearns Eliot, James Joyce e la stessa Virginia Woolf.

Nel 1919 pubblica il racconto Kew Gardens e nel 1920 il romanzo Notte e giorno. Nelle
opere successive appare chiaro e definitivo l'utilizzo dello stile del "flusso di coscienza" (La
signora Dalloway e Gita al faro). Virginia è attivista all'interno dei movimenti femministi
per il suffragio delle donne e riflette più volte, nelle sue opere, sulla condizione femminile.
In Una stanza tutta per sé del 1929 si tratta il tema della discriminazione del ruolo della
donna mentre in Le tre ghinee del 1938 si vede approfondito quello della figura dominante
dell'uomo nella storia contemporanea. Il rapporto con la donna viene visto anche sul piano
sentimentale dalla stessa Woolf con la sua storia d'amore con Vita Sackville-West che si
riflette nel romanzo Orlando.

Nell'estate del 1940 pubblica l'ultima opera; Tra un atto e l'altro, mentre la Gran Bretagna è
in guerra. Intanto le sue crisi depressive si fanno sempre più violente e incalzanti. Virginia
ama circondarsi di persone ma quando è sola ricade nello stato d'ansia e di sbalzi d'umore
tipico della malattia. A contribuire all'aumento delle sue fobie è il procedere della guerra.
Infine il 28 marzo del 1941, si riempì le tasche di sassi e si annegò nel fiume Ouse, non
lontano da casa, nei pressi di Rodmell. Lasciò una toccante nota al marito:

« Sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro
di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a
concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai
dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che chiunque avrebbe
mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a
quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto
rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco
neanche a scrivere questo come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è
che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e
incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se chiunque avesse potuto salvarmi
saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso
continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di
quanto lo siamo stati noi. V. »
Le sue ceneri sono state seppellite nel giardino della Monk's House, a Rodmell (Sussex,
Inghilterra) sotto un olmo. Virginia ha sofferto per emicranie che l'hanno costretta a letto
anche per mesi.

Opere

La Woolf iniziò a scrivere professionalmente già dal 1905, inizialmente solo per il
supplemento letterario della rivista Times (con un articolo sulla famiglia Brontë), poi come
autrice di romanzi. La sua prima opera, La crociera fu pubblicata nel 1915 dalla casa
editrice fondata da Gerald Duckworth. Questo romanzo era stato originariamente intitolato
Melymbrosia, ma la Woolf cambiò più volte il suo progetto. Una recente versione è stata
ricostruita da una celebre studiosa moderna della Woolf, Louise DeSalvo, ed è ora a
disposizione del pubblico. La DeSalvo sostiene che molti dei cambiamenti operati dalla
scrittrice nel testo sono adattati per rispondere ai cambiamenti nella propria vita.

La Woolf ha pubblicato romanzi e saggi per un pubblico intellettuale, e sia da questi ultimi
che dalla critica ottenne un immenso successo. Molto del suo lavoro fu auto-pubblicato
attraverso la Hogarth Press, fondata da lei e dal marito Leonard. Già in vita fu salutata come
una delle più grandi romanziere del XX secolo e uno dei principali modernisti. Fu
considerata una profonda innovatrice dello stile e della lingua inglesi. Nella sua opera
complessiva ha sperimentato la tecnica del flusso di coscienza ed ha dotato i suoi
personaggi di uno straordinario potere psichico ed emotivo. La sua reputazione ebbe un
forte calo dopo la seconda guerra mondiale, ma la sua preminenza è aumentata nuovamente
con l'aumento della critica femminista negli anni 1970.

Il suo lavoro è stato criticato per le frequenti frecciate rivolte all'intelligentia della classe
media britannica. Alcuni critici hanno ritenuto che fosse privo di universalità e profondità,
senza il potere di comunicare nulla di emotivo o di rilevante eticamente al comune lettore
stanco degli estetisti degli anni venti del novecento. È stata anche etichettata da alcuni come
una antisemita, nonostante il suo matrimonio con un uomo ebreo. Ha scritto nel suo diario,
non mi piace la voce del popolo ebraico; non mi piace ridere del popolo ebraico.

Le peculiarità individuate nel lavoro di Virginia Woolf come scrittore di narrativa hanno
oscurato la forza centrale della sua qualità stilistica: la grande liricità della sua prosa. I suoi
romanzi sono altamente sperimentali: un racconto, spesso banale, è rifrangente e, talvolta,
quasi disciolto in caratteri di squisitamente ricettiva coscienza. Intenso liricismo e
virtuosismo stilistico sono fusi per creare un mondo sovrabbondante di impressioni visive e
uditive. L'intensità poetica di Virginia Woolf eleva normali impostazioni - spesso ambienti
di guerra - nella maggior parte dei suoi romanzi. Ad esempio, ne La signora Dalloway
(1925) romanzo centrato sulla figura di Clarissa Dalloway, una donna di mezza età, e sul
suo sforzo di organizzare una festa. La vicenda è però vista parallelamente con quella di
Septimus Warren Smith, un veterano che è tornato dalla prima guerra mondiale con cicatrici
psicologiche profonde.
Gita al faro (1927) è impostato su due giorni, e dieci anni. La trama ruota attorno alla
famiglia Ramsay, in anticipazione alla visita ad un faro e le tensioni familiari connesse. Uno
dei temi principali del romanzo è la lotta nel processo creativo che affligge la pittrice Lily
Briscoe (che sembra ricordare la sorella di Virginia, Vanessa Bell) mentre lotta per
dipingere in mezzo al dramma familiare. Il romanzo è anche una meditazione sulla vita
degli abitanti di una nazione nel bel mezzo di una violenta guerra.

Le onde (1931) presenta un gruppo di sei amici le cui riflessioni, che sono più vicine a
quelle di recitativi monologhi interiori, sono volte a creare una atmosfera che rende l'opera
più simile ad un poema in prosa che ad un semplice romanzo. Il suo ultimo lavoro, Tra un
atto e l'altro (1941) riassume e magnifica le preoccupazioni e le ansie che affliggono la
Woolf: la trasformazione della vita attraverso l'arte, l'ambivalenza sessuale, e la meditazione
sui temi del flusso del tempo e della vita. Si presenta simultaneamente come corrosione e
ringiovanimento di tutti i temi in una narrazione straordinariamente fantasiosa e simbolica.
Le sue opere sono state tradotte in oltre 50 lingue, da scrittori del calibro di Jorge Luis
Borges e Marguerite Yourcenar.

Lingua e stile [modifica]

Con le stesse tecniche operate da James Joyce in Irlanda, Marcel Proust in


Francia e Italo Svevo in Italia, Virginia Woolf abbandona la tecnica di
narrazione tradizionale per svilupparne una più moderna. Eliminando la forma
comune di dialogo diretto e la struttura tradizionale della trama porta
l'attenzione del romanzo al monologo interiore del soggetto preso in questione.
Il tempo si differenzia per l'assenza di una cronologia precisa. La narrazione
procede attraverso spostamenti in avanti e all'indietro nel tempo, assieme la
maggior parte delle volte a pensieri e ricordi suscitati dall'ambiente circostante.
La Woolf è in grado di rappresentare lo scorrere del tempo in dodici ore (La
signora Dalloway), in pochi giorni (Tra un atto e l'altro), in diversi anni (Gita
al faro) o addirittura in tre secoli (Orlando). Il linguaggio si presenta
particolarmente raffinato e ricercato, ricco di similitudini, metafore, assonanze,
e allitterazioni usato per esprimere il flusso di coscienza. Il tempo non è visto
come uno scorrere perenne bensì come una serie di momenti staccati
successivamente riuniti dall'associazione di idee o dall'immaginazione. La
psicologia dei vari personaggi è continuamente sfruttata nelle trame e
continuamente la forma letteraria e stilistica viene alterata dall'identità della
figura, in uno scambio continuo, una attenta corrispondenza tra l'esigenza
psicologica e quella linguistica.
Opere

Romanzi [modifica]

• 1913 The Voyage out - La crociera


• 1920 Night and Day - Notte e giorno
• 1922 Jacob's room - La stanza di Jacob
• 1925 Mrs Dalloway - La signora Dalloway
• 1927 To the lighthouse - Gita al faro tradotto anche come Al faro
• 1928 Orlando - A Biography - Orlando
• 1931 The waves - Le onde
• 1937 The Years - Gli anni
• 1941 Between the acts - Tra un atto e l'altro (pubblicato postumo)

Racconti brevi [modifica]

• Una casa infestata


• A Society
• Monday or Tuesday
• An Unwritten Novel
• The String Quartet
• Blue & Green
• Kew Gardens
• The Mark on the Wall
• Il nuovo abito
• La duchessa e il gioielliere

Saggi [modifica]

• 1919 Modern Fiction


• 1924 Mr. Bennett e Mrs. Brown
• 1925 The common reader - Il lettore comune
• 1929 A room of one's own - Una stanza tutta per sé
• 1932 Lettore comune (seconda edizione)
• 1938 Three guineas - Le tre ghinee
• 1953 A writer's diary - Diario di una scrittrice (pubblicato postumo)

Biografie [modifica]

• 1933 Flush - Flush, vita di un cane


• 1940 Roger Fry; a Biography - Biografia di Roger Fry
Una stanza tutta per sé

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Una stanza tutta per sé

Titolo originale A Room of


One's Own

Autore Virginia Woolf

1ª ed. originale 1929

Genere saggio

Una stanza tutta per sé (A Room of One's Own) è un saggio della celebre autrice inglese
Virginia Woolf. Fu pubblicato per la prima volta il 24 ottobre 1929 e si è basata su una serie
di conferenze tenute al Newnham e Girton College dell'Università di Cambridge nel 1928.

Il saggio esamina la possibilità delle donne di essere in grado di produrre un lavoro della
stessa qualità di quello di William Shakespeare, tra gli altri argomenti. In una sezione
particolare, la Woolf inventa un personaggio fittizio, quello di Judith "la sorella di
Shakespeare", per illustrare che una donna con gli stessi doni del bardo avrebbe visto negate
tutte le opportunità date a lui di sviluppare il talento, solo perché esse sono chiuse alle
donne. Ma la Woolf non si sofferma solo su questo, esamina anche le carriere dei vari autori
di sesso femminile, tra cui Aphra Behn, Jane Austen, le sorelle Brontë e George Eliot.
L'autrice si riferisce sottilmente a molti dei più importanti intellettuali del tempo.

Il titolo deriva dalla concezione della Woolf che, "una donna deve avere soldi e una stanza
tutta per sé per poter scrivere". Si fa anche riferimento alla necessità di una licenza poetica e
alla libertà personale per creare arte, da parte di qualsiasi autore od artista.

Si tratta di un saggio dove in uno stile scorrevole e di facile comprensione la Woolf percorre
la storia, soprattutto quella culturale, dai primordi ai suoi giorni evidenziando come la donna
abbia avuto in essa un posto sempre ridotto, come non le sia mai stato possibile ottenere
“una stanza tutta per sé”, un luogo della casa, cioè, dove potersi dedicare a quell’attività di
riflessione, di pensiero richiesta dal concepimento e realizzazione di un’opera letteraria,
musicale, figurativa, scenica, scientifica o altra. E non solo “una stanza” ma anche una
rendita annuale (almeno cinquecento sterline) sarebbero occorse ad una donna perché
acquistasse quella “libertà intellettuale nel cui seno nascono le grandi opere”. Invece per
secoli i tempi, i costumi hanno negato a lei tutto questo e soltanto adesso, scrive la Woolf,
si può dire che lo stia ottenendo come dimostra la sua presenza negli ambiti di lavoro,
compreso quello intellettuale.

Un saggio, questo libro, ed una contestazione, una protesta contro quanto, nella storia, è
avvenuto riguardo alla donna anche se lo si deve riconoscere come inevitabile. Lunghe e
attente sono le divagazioni che l’opera contiene e che offrono la possibilità di conoscere la
posizione della scrittrice e soprattutto quanto, per lei, è collegato con la produzione artistica.
Per la Woolf si può pervenire all’arte solo se ci si libera da tutti gli impedimenti che la vita
comporta, soltanto se si giunge ad una dimensione sottratta ad ogni contingenza. Si deve
vivere solo d’idea se si vuole ottenere un messaggio come l’artistico che supera la
quotidianità in nome dell’eternità, il finito in nome dell’infinito, dell’universale. Ogni peso
comportato dalla materia deve essere superato ché l’arte è soltanto spirito: far questo, in
passato, non si è mai reso possibile per le donne tranne in qualche caso. Esse sono state
sempre costrette ad assumersi obblighi, incarichi, mansioni di carattere pratico, materiale,
sono state quasi unicamente figlie, mogli, madri, nonne quando non serve o schiave e,
perciò, impedite a pensare ad altro. Né per gli uomini è stata sempre possibile quella “libertà
intellettuale” che sola conduce all’arte dal momento che soltanto una condizione di vita
agiata, sicura, sostiene la Woolf, può garantirla mentre la povertà, la contingenza
costringono ad impegni più immediati, più concreti.

Piuttosto limitato, riduttivo risulta il discorso della scrittrice: si vorrebbe riportare a schemi
fissi, unici, inalterabili un fenomeno come l’artistico che, invece, è molto più ampio e più
mosso; si vorrebbero stabilire, fissare gli elementi, i modi necessari per pervenire all’arte
come se questa fosse un risultato possibile a chiunque segua una determinata linea di
condotta. Sbaglia o almeno esagera la Woolf in questo forse perché nel 1929, quando lo ha
scritto, l’atmosfera culturale era improntata ad uno spiritualismo così acceso che poteva far
alterare i termini di una questione letteraria. La cultura positivista era definitivamente
tramontata e pensatori come Freud, Nietzsche, Bergson, avevano rivelato l’esistenza ed
evidenziato l’importanza di quanto avviene dietro le apparenze, di quella vita interiore che
determina e condiziona l’esteriore. In filosofia, letteratura, arte, i valori dell’idea, dello
spirito avevano annullato quelli della realtà , della materia e la Woolf, che parlava di
liberazione da ogni peso compreso quello del proprio corpo, va inserita in questo clima così
prodigo d’idee e teorie. Inoltre era finita, per lei, la prima fase della produzione, quella
realista, ed era pervenuta ad opere come “La signora Dalloway”, “Gita al faro”, “Orlando”,
nelle quali le tecniche del “flusso di coscienza”, del “monologo interiore”, l’avevano
condotta a vivere e rappresentare i suoi famosi “momenti d’essere”, pensieri, ricordi, sogni,
cioè, sottratti allo scorrere del tempo e da riconoscere come infiniti, universali, eterni.

Un’altra, questa, delle cause delle esagerazioni della Woolf?


Virginia Woolf - Una stanza tutta per

La Mortola 8/2/2002
Ho finito da poco di leggere "Una stanza tutta per sé" di Virginia
Woolf. Mi ha fatto un'impressione enorme. E' uno di quei libri
che restano. Sono sicura che non lo dimenticherò. L'ho letto
lentamente, centellinandolo perché ogni frase mi ha generato
pensieri, mi ha sorpreso, mi ha divertito. Me lo sono proprio
gustata, condividendo ogni riga, ogni immagine, ogni passaggio
concettuale. Mi ha dato gioia per la passione e l'intelligenza con
cui è scritto. Avrei voluto ricopiare da qualche parte tutti i
passaggi che più mi hanno colpito, ma mi sono accorta che
avrei finito per ricopiare tutto il libro.
Sono stata catturata dal suo stile. Sicuro, vivace, ironico, multiforme. Lei passa da un
tono argomentativo, da saggio letterario, a un tono intimo, da confessione o da
racconto autobiografico per lei sola, fino a raggiungere vette sublimi con l'intensità
delle sue metafore limpide, cristalline, pure come le cime innevate inviolate dei monti
più alti.
Ma quello che mi ha lasciata stupefatta è la capacità di mettermi a parte, di
compromettermi col suo ragionare, così vivace e completo. Mi ci sono trovata, lì con
lei, l'ho vista camminare per il prato della Biblioteca, l'ho sentita col tono alterato
adirarsi per l'opinione che l'illustre professore ha delle donne, l'ho ascoltata ragionare
realisticamente sulle limitazioni che la vita quotidiana impone alla capacità creatrice
delle donne, alla possibilità che possano diventare poetesse, scrittrici, studiose di
varie discipline. L'ho vista avvicinarsi agli scaffali della biblioteca e prenderne via via
un libro, un altro, noto, meno noto, sconosciuto. L'ho vista mentre ne sfogliava le
pagine, mentre lo leggeva, lo vivisezionava, lo smontava. Ne ricavava gli elementi
necessari per fare la sua perorazione appassionata alle donne:

Le donne hanno avuto meno libertà intellettuale di quanto non avessero i figli degli
schiavi ateniesi. Le donne, pertanto, non hanno avuto la più piccola opportunità di
scrivere poesia…[…] mi piace leggere; mi piace leggere un libro dopo l'altro. Negli
ultimi tempi questa dieta è per me diventata piuttosto monotona; la storia parla
quasi sempre di guerra; la biografia si occupa di uomini illustri; la poesia ha
dimostrato, credo, una tendenza alla sterilità; e il romanzo… Perciò vi chiedo di
scrivere ogni sorta di libri, su qualunque argomento. Senza dubitare, per quanto
triviale o per quanto vasto vi possa sembrare. In un modo o nell'altro spero che un
giorno avrete denaro sufficiente per viaggiare e per oziare, per contemplare il futuro
o il passato del mondo, per sognare davanti ai libri e vagare per le strade e lasciare
che la lenza del pensiero scenda sempre più in fondo al fiume".

Due momenti in particolare mi hanno affascinato: la straordinaria invenzione della


"sorella di Shakespeare", un genio della poesia finita suicida nel più completo
anonimato e sepolta a Londra in un luogo dove ora c'è un crocicchio; e la capacità di
"deridere" che le donne devono imparare, illuminando quel posticino "non più grande
di uno scellino" che sta dietro la testa sia degli uomini che delle donne.
E' un monumento. Questa copia l'ho presa in biblioteca. Devo assolutamente
comprarne una. Un libro così devo poterlo leggere e rileggere ogni volta che voglio.
Devo poterlo penetrare, devo poterci ritornare su perché è un condensato di
pensiero.

Forse oggi, a distanza di più di settant'anni da quel saggio immaginifico e


appassionato come un pamphlet, alcune donne hanno avuto e hanno (nell'Occidente
ricco o nelle caste elevate dei Paesi Terzi) denaro sufficiente per viaggiare e per
oziare, per contemplare il futuro o il passato del mondo, per sognare davanti ai libri e
vagare per le strade e lasciare che la lenza del pensiero scenda sempre più in fondo
al fiume. O per permettersi un corso di autoanalisi autobiografica. Ma a volte, anche
a queste donne fortunate, manca quella stanza tutta per sé o quel coraggio di osare
di mescolarsi agli esseri umani, di stare in relazione con la realtà, di coltivare
l'abitudine alla libertà e a scrivere esattamente ciò che pensano. E' questo che
Virginia ancora ci chiede.

Annamaria Pedretti

Virginia Woolf
Romanziera e saggista inglese (Londra, 1882 - Lewes, 1941).

Proseguendo la via aperta da Henry James e Marcel Proust, Virginia Woolf ha


cercato - come il suo contemporaneo James Joyce - di tradurre nella scrittura la
fugacità delle impressioni, di dissolvere le forme tradizionali del racconto nel flusso
di coscienza: l’approdo cui perviene è la liberazione dalle regole del realismo
psicologico per scendere lentamente in un precario “attraversamento delle
apparenze”, nel cuore delle incertezze dell’essere.
Innovatrice nei suoi scritti, Virginia Woolf lo fu anche nelle sue letture: nei suoi
articoli di critica letteraria come nelle sue scelte di editore indipendente, privilegiò
sempre gli autori che condividevano con lei questo sguardo nuovo che esige modi
d’espressione nuovi. Stessa originalità nella sua visione della società del suo
tempo: i suoi saggi polemici appaiono fra i grandi testi fondatori del femminismo.

Il peso delle ascendenze


Venti anni dopo avere lasciato il 22 di Hyde Park Gate, indirizzo memorabile di cui
Virginia Woolf farà più tardi il titolo di una breve confessione autobiografica,
evocherà la cupa atmosfera di questa residenza del South Kensington, zona
londinese dove, da più di mezzo secolo, il vittorianesimo trionfante prediligeva
erigere le sue costruzioni più monumentali. Qui, in una sapiente disposizione di
appartamenti attigui idonei ad accogliere negli stessi spazi una ventina di persone,
vive la tripla famiglia di sir Leslie Stephen e Julia Prinsep Stephen: entrambi vedovi
provenienti da un primo matrimonio, hanno insieme quattro figli, che vengono ad
aggiungersi ai quattro nati dai loro primi rispettivi letti. In questa complessa
figliolanza, Virginia Adeline occupa la settima e penultima posizione.

Una famiglia illustre


Certamente, nascere nel focolare degli Stephen dà tutti i vantaggi che offre di primo
acchito un ambiente agiato e colto. Ma, nello stesso tempo, sotto il peso di modelli
famosi, l’ascendenza esige che si eccella: il nonno, sir James Stephen, dopo
essere stato sottosegretario di Stato alle colonie dei primi anni del regno vittoriano,
fece a Cambridge una carriera brillante di professore di storia contemporanea; lo
zio, sir James Fitzjames Stephen, elevato al titolo nobiliare in ricompensa dei suoi
servizi di alto funzionario in India, era autore celebrato di opere e di articoli di
riflessione giuridica, filosofica o teologica; ma è ovviamente la figura di suo padre,
personaggio ricco e complesso, che segna di più la giovane Virginia.
Profondamente credente nella primissima giovinezza - al punto di prendere quasi i
primi ordini della Chiesa anglicana -, in seguito disconobbe repentinamente ogni
religione. Ormai discepola di Kant, di Auguste Comte e di John Stuart Mill, professa
un agnosticismo virulento e si appassiona all’... alpinismo: il rigore e vigore vittoriani
si esercitano fin sulle vette svizzere, delle cui ascensioni sir Leslie riporta resoconti
tali che contribuiscono ad innalzare l’ alpinismo al rango di disciplina sportiva. Ma
soprattutto, quest’uomo imprevedibile e traboccante d’energia è un uomo di lettere.
Genero, per il suo primo matrimonio, di Thackeray, al quale succede alla guida del
“Cornhill Magazine”, influente rivista letteraria, amico stretto del romanziere
Meredith, sir Leslie è uno prosatore prolisso, storico delle idee, critico letterario e
biografo dei grandi autori inglesi.

Una famiglia di cultura


Questa galleria di ritratti maschili sembra avere tutte le chance di arricchirsi delle
figure già promettenti dei fratelli, fratellastri e cugini della giovane Virginia. Mentre i
ragazzi seguono il percorso rigoroso che conduce da Eton a Cambridge, le ragazze
ricevono in casa un’istruzione che resta la prima delle prerogative materne: Julia
Stephen veglia sull’insegnamento apprestato da governanti, precettori e ripetitori
alle tre figlie - Vanessa, Virginia e la loro sorellastra Stella Duckworth. Più tardi,
Virginia Woolf commenterà questa disuguaglianza nel trattamento riservato ai
ragazzi da un lato, alle ragazze dall’altro, pur riconoscendo il suo debito verso
questo ambiente familiare molto stimolante. Dagli Stephen, le visite di scrittori,
editori, giornalisti, artisti sono quotidiane, e le conversazioni appassionanti.
D’altronde, sir Leslie apre in gran parte la sua biblioteca a tutti i suoi figli, ragazzi e
ragazze.

Una famiglia di uomini


In quest’alveare vibrante di individualità forti, ciascuno prosegue i suoi interessi, nel
rispetto delle norme tacite che impone Julia Stephen, madre adorata, attenta al
mantenimento dell’equilibrio di questa famiglia composita. Purtroppo, questa donna
sagace e briosa muore nel 1895. Per Virginia, appena tredicenne, è il primo di una
serie di lutti che la segnano profondamente. Due anni più tardi, Stella Duckworth,
che aveva assunto il ruolo della madre scomparsa, si sposa e muore a sua volta,
vittima delle complicazioni di una gravidanza difficile. Durante i sette anni che
seguono, Virginia e sua sorella Vanessa restano sole in un universo
esclusivamente maschile. Più nessuno, ormai, viene a contrastare l’autoritarismo
ostinato e le ubbie del padre, vecchio, afflitto da una sordità crescente e vedovo
inconsolabile che passa i giorni chiuso nella sua biblioteca. Le due giovani donne
cadono sotto la tutela fastidiosa dei loro fratellastri, Gerald e George Duckworth:
alle attenzioni incestuose di questi fratellastri maggiori senza scrupoli si aggiunge
la fatuità di George, personaggio superficiale ed arrivista purtroppo promosso al
rango di capo famiglia. Presto si manifestano in Virginia, fragile e sensibile, i primi
segni dell’angoscia e della depressione mentale che, a partire dalla morte della
madre, l’attanaglierà tutta la vita.

La fioritura intellettuale
Nel 1904, dopo avere pubblicato uno studio ambizioso sulla letteratura e società
inglesi del XVIII secolo, sir Leslie si spegne. Per quanto dolorosa, questa
scomparsa segna per le figlie l’occasione di una vera liberazione: senza di essa,
come Virginia Woolf scriverà più tardi, «Cosa sarebbe successo? Nulla. Né
scrittura, né libri ». Vanessa e Virginia, rispettivamente di venticinque e ventidue
anni, ormai sono decise a dar sfogo alle proprie passioni. La maggiore decide di
esprimersi con la pittura, la più giovane con la scrittura.

L’influenza del gruppo di Bloomsbury


I ragazzi Stephen lasciano Hyde Park Gate per andare a vivere al 46 di Gordon
Square, nella zona di Bloomsbury, dove prendono l’abitudine di ricevere
intellettuali, scrittori ed artisti, in un circolo ben presto battezzato il “gruppo di
Bloomsbury”. Alimentata e spinta da questo clima di fervore intellettuale, Virginia
Stephen sembra infine capace di agire e di scrivere: dà ripetizioni serali alle operaie
di un collegio della periferia, milita nei gruppi delle suffragette, pubblica le sue prime
critiche letterarie nel “Times Literary Supplement”. Ma c’è nella eterogeneità di
queste attività il segno di una dispersione, il sintomo di una febbrile inanità. La
sofferenza psichica ed emozionale dell’adolescenza è lontana dall’ essere alleviata
quando si verifica un nuovo lutto: nel 1906, nel corso di un viaggio in Grecia,
Thoby, il fratello tanto ammirato, è ucciso da una febbre tifoide.
L’anno successivo, Vanessa va in sposa a Clive Bell. La complicità che la lega a
Virginia, senza essere rimessa in discussione, passa tuttavia in secondo piano.
Virginia, probabilmente delusa, si lascia corteggiare da Lytton Strachey;
quest’ultimo non ha mai nascosto la sua bisessualità, e il loro fidanzamento è
infranto fin dal giorno dopo del suo annuncio ufficiale.

Un coniuge attento e premuroso


Nel 1912, Virginia Stephen finisce per sposare l’autore e giornalista socialista
Leonard Woolf, al quale è legata da una complicità profonda, intellettuale ed
estetica. Quest’uomo paziente ed attento le sarà fino alla fine fedelmente devoto e
veglierà senza sosta sulla salute mentale e l’attività letteraria della moglie. È in
effetti grazie al sostegno ed agli incoraggiamenti del marito che Virginia Woolf
riesce infine a concentrare i suoi sforzi: mentre le riunioni del gruppo di Bloomsbury
si svolgono nel nuovo domicilio coniugale, completa il suo primo romanzo nel 1913,
La crociera, pubblicato nel 1915. Durante i lunghi mesi della redazione di
quest'opera, non ha cessato di dubitare della sua capacità di condurla a termine.
Esausta, va incontro ad un nuovo periodo di depressione.
Per farle ritrovare fiducia ed equilibrio, il marito le propone di aprire una casa
editrice. Nel 1917, fondano insieme la Hogarth Press, che svolgerà un ruolo
capitale sulla scena letteraria inglese del periodo tra le due guerre. Da subito, la
politica editoriale dei Woolf è indirizzata verso scrittori nuovi o autori stranieri poco
o male tradotti. Accanto ai loro libri, Virginia e Leonard Woolf riescono in alcuni anni
a fare apparire nel catalogo del Hogarth Press delle opere decisive come quelle di
T.S. Eliot, Katherine Mansfield, Freud, Rilke, Svevo, Gorki, Cechov, Tolstoj e
Dostoevskij.

Romanzi non convenzionali


Nel 1919, Virginia Woolf pubblica il suo secondo romanzo, Notte e giorno, la cui
l’eroina - giovane prigioniera di una famiglia di letterati - ricorda Vanessa; nella
forma, questo libro rimane fedele alle convenzioni chiuse della costruzione del
personaggio.
Ma nel 1922 pubblica La camera di Jacob, primo racconto destrutturato, puzzle
impressionista evocante la morte di un giovane il cui il modello, questa volta,
sembra essere quello del fratello Thoby. Il libro è immediatamente accolto, tanto
dai suoi difensori che dai suoi detrattori, come un manifesto di rottura delle regole
del romanzo psicologico tradizionale. Fino all’ultima delle sue dieci opere
romanzesche, Virginia Woolf cercherà di affinare le tecniche di scrittura, spingendo
sempre più a fondo l’elaborazione di tecniche di scrittura idonee a seguire da
presso le aritmie degli atti percettivi, l’alchimia delle sensazioni e le ellissi del
monologo interiore.

Segue La signora Dalloway (1925), soliloquio incrociato di due voci messe in


controcanto durante lo spazio di un solo giorno: quella di Clarissa Dalloway, moglie
frivola di un deputato occupata dai preparativi del prossimo ricevimento, e quella di
Septimus Warren Smith, il suo improbabile alter ego maschile, ferito della Grande
guerra, un mezzo folle errante per Londra. Con Gita al faro (1927), la romanziera
ritorna alla storia familiare: sotto le caratteristiche appena mascherate del signor e
della signora Ramsay e dei loro otto bambini, fa rivivere la sua famiglia e le sue
villeggiature a Talland House, in Cornovaglia, trasposte, in questo quinto romanzo,
nell’isola di Skye.

Una voce femminista


Orlando (1928) occupa un posto molto particolare: biografia immaginaria di un
personaggio androgino che attraversa quattro secoli di storia inglese, il libro è in
realtà un poema d’amore indirizzato alla scrittrice Vita Sackville-West, amica ed
amante di questo periodo in cui il femminismo di Virginia Woolf si esprime
nettamente in Una stanza tutta per sé (1929), bruciante guanto di sfida lanciato
contro l’ordine culturale maschile. In questo saggio, al quale darà più tardi una
dimensione più politica (Le tre Ghinee, 1938), elabora la cronistoria della quasi
totale assenza delle donne sulla scena letteraria. Ai suoi occhi, la
marginalizzazione - nella pazzia spesso - di cui furono vittime le poche donne
scrittrici nei fatti conferma la teoria di una repressione secolare della scrittura e
della parola femminili. Complementari nella loro espressione di una femminilità in
cerca di se stessa, Orlando ed Una stanza tutta per sé sono l’ultimo grido di un
decennio di creatività intensa e febbrile.

La triste minaccia della follia


Nel corso degli anni ‘30, un ciclo di depressione l’assedia nuovamente. Diversi
fattori concorrono ad inasprire presso la scrittrice le paure sempre più ossessive e
afflittive: la lontananza di Vita Sackville-West, la morte di un nipote - figlio maggiore
di Vanessa, ucciso durante la guerra civile in Spagna -, l’orrore incombente del
nazismo e, una volta la guerra scoppiata, il timore di un’invasione tedesca, un
timore che le origini ebree di Leonard non fanno che aumentare man mano che si
confermano i segni della barbarie.
Contestualmente la sua attività inclina sempre più a toni cupi nella scelta dei temi
e più titubante appare il suo progetto letterario. L’ ossessione della solitudine e
della morte è al centro de Le onde (1931). Nel 1937 esce Gli anni: in questa lunga
cronaca, costruita intorno dell’agonia di una madre, Virginia Woolf traccia, in modo
quasi classico, dall’epoca vittoriana agli anni ‘30, la storia del clan Pargiter, famiglia
dell’alta borghesia. Per il suo ultimo romanzo, Tra un atto e l'altro (1941), ritorna
alle complessità delle costruzioni a specchio: al di là della metafora di una festa di
paese dove si mescolano, in un turbinio, illusione e realtà, passato e presente, si
addentra in una meditazione sulle fondamenta della civilizzazione.

Mentre i bombardieri tedeschi solcano il cielo inglese, Virginia Woolf, sempre più
convinta che la follia abbia preso il dominio del mondo, decide di porre fine al suo
“Attraversamento delle apparenze”. Il 28 marzo 1941, si annega nel fiume Ouse, il
cui corso delimita la proprietà di Monk’s House, a Rodmell, piccolo villaggio del
Sussex dove, in quei mesi bui, i Woolf si rifugiavano spesso. C’è, in questa morte
cercata nell’acqua, il simbolo di un completamento impossibile, come un’ eco di
quella fluidità che la sua opera cercò sempre di cogliere.

SE SHAKESPEARE AVESSE AVUTO UNA SORELLA


Una stanza tutta per sé - Virginia Woolf
Nel 1928 Virginia Woolf fu invitata a tenere due conferenze alle studentesse di un college di
Cambridge,in Inghilterra,sul tema Le donne e il romanzo.

L'occasione consentì alla scrittrice di riflettere sulla creatività della donna e sulle limitazioni
che,nel corso dei secoli,la donna aveva dovuto subire nella libera manifestazione del suo
talento.

La rielaborazione di quelle riflessioni divenne il materiale per il racconto-saggio Una stanza


tutta per sè che uscì nel 1929,si può considerare un vero studio sociologico.

Lei stessa,figlia di Sir Leslie Stephen,storiografo e critico tra i più famosi del periodo
vittoriano,cresciuta quindi in un ambiente colto e raffinato,soffrì nel vedersi impedita la
possibilità di frequentare l'università di Cambridge,a cui fu ammesso invece il fratello
Thoby.

Ne la stanza tutta per sè Virginia effettua una dura critica alla discriminazione culturale a
cui erano soggette le donne.

Nel 1904 morì il padre,Virginia,la sorella Vanessa e Thoby si trasferirono nel quartiere di
bloomsbury;intorno a loro,scrittori,artisti e critici d'arte crearono il gruppo che venne
chiamato Bloomsbury set,destinato ad occupare una posizione di primo piano nella vita
culturale e intellettuale londinese per circa un trentennio.

Ne faceva parte anche Leonard Woolf che diventerà suo marito.

La stanza tutta per sè esprime già nel titolo le conclusioni a cui era pervenuta Virginia,per
potersi esprimere,ogni donna deve avere prima di tutto a disposizione una stanza
completamente per sè,dove poter pensare,produrre,rielaborare in libertà il proprio pensiero
secondo quella che è la sua ispirazione.
Nello stesso tempo dovrebbe avere una certa disponibilità economica,con cui permettersi
l'autonomia dagli altri e la possibilità di dedicarsi e concentrarsi solo su ciò che si preferisce.
Nella parte centrale del libro Virginia riflette sul perché sappiamo così poco della vita,delle
emozioni,dei pensieri,dei comportamenti delle donne del passato.
Sappiamo ad esempio che cosa rappresentava Beatrice per Dante;ma nessuna Beatrice ha
mai scritto che cosa sentiva nei confronti di Dante.
E la scrittrice si chiede come mai nessuna donna ha lasciato opere paragonabili a quelle di
Dante,di Shakespeare,di Goethe.

Alcuni rispondono che le donne sono inferiori agli uomini e quindi incapaci di scrivere
grandi opere;ma, sostiene la Woolf,
la loro "incapacità"diepnde invece dalle condizioni materiali in cui esse sono state costrette
a vivere per secoli.
Le idee della Woolf rappresentarono un punto di rottura nella tradizione letteraria
dell'epoca.
Nel momento in cui in tutta Europa andavano affermandosi vari regimi fascisti,la scrittrice
inglese iniziava a diffondere le sue posizioni,in difesa della valorizzazione della donna nella
società.
Questo aspetto rimase una caratteristica della produzione della Woolf che divenne il
simbolo della battaglie femministe.
Grazie Virginia.Bye

Una Stanza Tutta per Sé di Virginia Woolf


Credere che le donne siano arrivate a scrivere a seguito di un qualche processo
naturale è errato. Così come è errato credere che uomini e donne abbiano
potuto attingere, nei secoli, da realtà similari e da contesti paritari.
La cultura tanto decantata è da sempre stata, infatti, solo appannaggio
maschile. La donna che decideva di scrivere, lo faceva nel silenzio della sua
stanza, alla fine di giornate faticose dedicate alla famiglia, e lontano da sguardi
indiscreti.
Fino al XIX^ secolo, le “virtù femminili” non potevano, e non dovevano
identificarsi con doti artistiche di un qualsivoglia genere, ma era piuttosto nella
castità e la totale abnegazione alla famiglia che risiedeva il “vero” valore della
donna.
L’archetipo fino ad allora più apprezzato era stato quello dell’Angelo del
focolare o della Vergine Maria, la cui repressione sessuale e sociale, faceva da
stridente contrasto con una realtà maschile tutelata sia da una morale elastica,
che da leggi flessibili.
E mentre l’uomo “viveva” a pieno la sua realtà umana, la donna veniva
relegata in casa. Ruolo questo che, dietro ad un’immagine di grande moralità,
nascondeva, però, una pericolosa oppressione nella quale la donna diventava
incapace di esprimere sé stessa, sia negli affetti, che nel sociale.
E se lo faceva, nel migliore dei casi, diventava una donna “perduta”, una
sbandata emarginata da tutti.
Virginia Woolf, nata in piena età vittoriana, non solo dovette affrontare il caos
morale e sociale di questa epoca così profondamente contraddittoria, ma anche
farsi largo nel “logos” maschile ed in ciò che era stata, da sempre, sua unica
prerogativa: la cultura.
Riuscire a scrivere in un contesto così profondamente maschilista, spiega la
Woolf, diventava per una donna un’impresa titanica.
Molti furono gli sforzi che lei, per prima, dovette compiere per ritagliarsi uno
spazio autonomo, una zona franca in cui la sua penna potesse imprimersi con
libertà sulla pagina bianca. Dopo anni di buio, tentativi, cadute e risalite,
Virginia riuscirà ad affermarsi; ma solo in seguito alla morte del padre: il
grande critico letterario Leslie Stephen; colui che impersonava, di fatto, il
potere patriarcale della cultura vittoriana.
Prima di riuscire a sentirsi finalmente libera di scrivere, Virginia dovrà uccidere
dentro di sé questo universo patriarcale La catarsi, la rinascita di questo genio
indiscusso, sono passate attraverso la morte iniziatica, quella del padre prima,
la sua stessa poi. La figlia dovette, infatti, decidere se continuare ad essere
figlia, o diventare una donna libera, ma“orfana”.
E’ vero che Virginia Woolf riuscirà là dove molte donne artiste falliranno; ma il
prezzo pagato sarà molto alto: la salute e l’equilibrio della sua mente ne
risulteranno, infatti, profondamente compromessi.
Ma perché?! ci viene da chiedersi! Cosa accadeva ad una donna che, nel XIX^
secolo, decideva di scrivere? Quale fu il percorso interiore di tante donne
geniali quali Mary Shelley, Gorge Sand, Gorge Eliot, le sorelle Bronte, Sylvia
Plath, Virginia Woolf e molte altre?
La risposta si nasconde nelle sabbie del tempo.
Ognuna di queste donne, infatti, visse intensamente la sua epoca, e si ritrovò a
dover decidere profondamente e definitivamente se incarnare il mito della
Vergine Maria, chinando il capo al dovere e abbandonando desideri e
aspirazioni, oppure quello dell’Eva Satanica, ossia della donna perduta che,
decidendo di vivere la propria vita senza limiti, assisteva, però, alla distruzione
della sua immagine “pubblica” e della sua “rispettabilità”.
L’impossibilità di conciliare questo dualismo interiore, l’impossibilità di poter
essere donna e artista allo stesso tempo, pose queste donne di fronte ad un
bivio definitivo: Maria o Eva, la santa o la meretrice?
Ma Eva e Maria rappresentavano, però, gli aspetti dicotomici della stessa
natura; e decidere se incarnare l’una o l’altra, significava rinunciare ad una
parte fondamentale di sé.
Non a caso l’emblema di queste donne e, più in generale, della cultura
ottocentesca divenne quello del Velo.
Il Velo inteso come l’elemento divisorio di due realtà diverse, opposte e
complementari, interne ed esterne all’essere umano.
Il velo racchiudeva il mistero di un’imminente rivelazione, di una verità vicina
che poteva essere raggiunta solo da quelli che trovavano la forza, il coraggio di
spostare ciò che li separava dalla loro vera natura.
Dietro il Velo si celava il grande dualismo che queste donne coraggiose e
disperate dovettero affrontare, nonché la realtà di una natura in perenne
equilibrio fra un “cuore di donna” ed una “mente di uomo”; fra genio artistico e
dimensione puramente umana.
E l’essere costrette a scegliere fra l’uno e l’altro, per loro significò colpa,
alienazione, rabbia, incompletezza.
E’ necessario comprendere che queste scrittrici vissero la loro realtà intima
come forza paralizzante che le avrebbe potute distruggere o innalzare, ma mai
riconciliare con una società della quale non avrebbero mai potuto, comunque,
fare parte. Nella loro vita non ci fu spazio per il compromesso. O l’arte o la
prigionia dell’anima.
Virginia Woolf fu una di queste donne, di questi geni senza sesso e senza
tempo. (Sì perché il genio non ha sesso. L’artista appartiene al sublime.
Rappresenta il tramite fra il Divino e i comuni mortali). E fu una donna scissa,
spaccata in due. Il suo animo gentile fu squassato da ansie, paure,
depressioni. La sua identità sessuale spesso confusa. Il dominio di sé sempre
precario.
Ma creò. Scrisse e visse della sua arte e, cosa fondamentale, vide riconosciuto
il suo genio.
Genio che, però, spesso non comprese e percepì come nemico, come barriera
fra sé e normalità, fra sé e salute.
Fu nondimeno consapevole della realtà della “condizione femminile”, dei
problemi delle scrittrici donna, del loro isolamento psichico e culturale, e di
tutti i pregiudizi sociali che lei per prima incontrò, e soltanto in quanto
“donna”; e a questa realtà complessa dedicherà una delle sue opere critiche
più apprezzate, un pilastro della critica letteraria sull’universo femminile. Nel
1928, nacque, così, il saggio: Una Stanza Tutta per Sé.
Definire questo libricino, collocarlo, circoscriverlo, non è semplicissimo.
Perché è un testo in perenne equilibrio fra riflessione, studio antropologico e
letterario della figura femminile attraverso i secoli; fra un laisser-aller
dell’anima e un’analisi ironica di fatti e persone.
E’ un collage a volte puntiglioso, a volte sfocato di immagini, nomi e volti che
hanno costellato la storia della letteratura. Ed è una denuncia del disagio
interiore di una donna scrittrice e, come lei, di molte altre scrittrici.
La Woolf analizza in maniera critica e romantica cosa manchi alla donna per
essere un’artista “completa”; cosa le sia sempre mancato. Si immerge nei
dedali della psiche umana e descrive le difficoltà sociali e culturali che ogni
donna che abbia avuto velleità artistiche ha da sempre incontrato. Fra esempi
e caratteri, pone domande e cerca risposte.
Attraverso il suo percorso incerto di analisi scopre e mette insieme i perché di
tante paure, di tanto isolamento, di tanta ansia.
Si inventa fatti, confronti. Ci provoca e con un sorriso tagliente, risponde alle
affermazioni fatte da professori e letterati sul perché nessuna donna avrebbe
mai potuto scrivere le opere di Shakespeare; sul perché la società elisabettiana
non avrebbe mai potuto partorire un genio femminile di siffatta portata, sul
perché nel 1600 nessuno avrebbe mai permesso ad una donna di diventare
Shakespeare, minandone la genialità sin dalla nascita, per poi continuare con
l’educazione, fino alla negazione di ogni forma di apprendimento.
E l’urlo di questa sorella putativa, di questa Judith Shakespeare, costretta alla
rassegnazione, alla fuga e al suicidio, ci commuove e ci adira profondamente.
Sì perché anche se non ce ne rendiamo conto, spiega la Woolf, quella povera
fanciulla vive in ognuna di noi; nei nostri sogni, nelle nostre furie. Nelle nostre
lacrime e nelle nostre ambizioni. Nella solitudine e nella ribellione che porta
alla morte.
Perché? Ci viene da chiedersi ancora una volta!
E Virginia ci risponde tornando alla storia dell’uomo, della società, dell’arte.
Torna al concetto di “scissione interiore” mai completamente abbandonato;
scissione che si identifica con un’ansia profonda ed irrimediabile. Un’ansia, una
rabbia che da sempre accompagnano la donna e che, nonostante gli sforzi, è
presente in tutte le scrittrici, anche in quelle diventate famose; così come
quelle che la fama, ancora, la sognano.
Un’ansia-rabbia che, ancora nel 1928, non aveva permesso a nessuna donna di
scrivere con tranquillità e piena acquisizione del “Sé”.
Nel suo geniale Il Secondo Sesso, Simone de Beauvoir riprende e fa suo un
passo estremamente esaustivo del saggio della Woolf.

…] tuttavia, come fa notare Virginia Woolf, Jane Austen, le sorelle Bronte, George Eliot hanno
dovuto spendere negativamente tanta energia per liberarsi dalle costrizioni esteriori che sono
arrivate un po’ senza fiato allo stadio da cui partono gli scrittori di grandi possibilità; non
rimane loro abbastanza forza per approfittare della vittoria e spezzare tutti i legami; per
esempio, non troviamo in loro l’ironia, la disinvoltura, né la tranquillità sincera di una Stendhal.
Non hanno avuto la ricchezza di esperienze di un Dostoievskij, di un Tolstoj: ecco perché quel
bel libro che è Middlemarch non è pari a Guerra e Pace; e Hauts de Hurle-Vent malgrado la sua
grandezza non ha la portata de I Fratelli Karamazov. Oggi, le donne devono già faticare meno
per affermarsi; ma non hanno ancora affatto superato la millenaria distinzione che le relega
nella loro femminilità. La lucidità, per esempio, è una conquista di cui sono giustamente fiere,
ma di cui si soddisfano un po’ troppo presto. Il fatto è che la donna tradizionale è una coscienza
mistificata e uno strumento di mistificazione; cerca di nascondersi il suo stato di dipendenza, e
questa non è che una maniera di confermarla; dichiarare questa dipendenza, è già una
liberazione; contro le umiliazioni, contro l’infamia, il cinismo è una difesa: è l’abbozzo di
un’assunzione. Volendo essere lucide, le donne scrittrici rendono il più grande servizio alla
causa della donna; ma - generalmente senza rendersene conto – rimangono attaccate a servire
questa causa per assumere davanti all’universo quell’atteggiamento disinteressato che apre gli
orizzonti più vasti. Quando hanno eliminato i veli dell’illusione e della menzogna, credono di
aver fatto abbastanza: ma questa audacia negativa ci lascia ancora davanti ad un enigma:
perché la verità stessa è ambiguità, abisso, mistero: dopo aver indicato la sua presenza,
bisogna pensarla, rifarla. E’ un’ottima cosa non essere tratti in inganno ma questo è solo il
punto di partenza; la donna esaudisce il suo coraggio nel dissipare i falsi miraggi e si arresta
atterrita alle soglie della realtà. […]
E’ tutto lì, in quel disagio, in quell’ansia mista a rabbia che il genio di queste scrittrici si impenna e
fa uno scarto di lato cercando di esorcizzare qualcosa. Ed è in questo “qualcosa in più” umano e
letterario non richiesto, che si percepisce l’ansia e l’insoddisfazione. E’ lì che un romanzo
eccezionale come Jane Eyre diventa pieno di rancori mai sopiti. E’ lì che Charlotte Bronte cerca di
dissimulare il disagio interiore usando frasi “da uomo” innaturali per una donna; ed è lì che una
grande scrittrice come George Eliot, sempre per lo stesso motivo, “commise delle atrocità
impossibili da descrivere”.

Ed è lì, ci spiega pazientemente la Woolf, che le scrittrici devono intervenire per uccidere
quell’ideale estetico col quale erano già state uccise precedentemente dall’arte maschile, che ne
aveva da sempre proposto un’immagine deformata e, quindi, incompleta.

Solo uccidendo l’angelo e il suo opposto il mostro-Medusa, queste scrittrici avrebbero potuto dare
vita ad un’arte che fosse scevra da quella rabbia fomentata da secoli di ingiustizie e isolamento.

Solo una volta libere, sarebbero state in grado di raccontarsi pazientemente per quello che
veramente erano, e non per quello che gli uomini avevano sempre preteso che fossero.

Per riuscire in ciò, ci spiega Virginia, la cosa migliore sarebbe che ogni donna, ogni nuova
scrittrice, avesse una stanza tutta per sé dove rifugiarsi, e magari un’indipendenza economica che la
rendesse libera da ogni tipo di ricatto morale e sociale. Questo è il suo augurio ad ognuna di noi.

Viene da chiedersi se, dopo tanta saggezza, la stessa Virginia Woolf alla fine fosse riuscita a
riequilibrare le sue forze interiori.

E viene da rispondere che…no, nemmeno lei è riuscita a bilanciare, a spengere l’ansia che la
divorava. Su di lei, donna tutto sommato privilegiata, ancora gravavano millenni di storia al
maschile, di ingiustizie e alienazione.

In lei, così forte e fragile al contempo, l’angelo e la Medusa non avevano trovato pace, né
conciliazione.

E forse, viene da pensare, non lo troveranno mai in nessuna di noi.

Forse, quello che realmente conta, sembra suggerirci la Woolf, è riuscire ad essere Sé, senza rabbia,
né imbarazzo. E’ riuscire a raccontarsi avvolti in una compassione quasi materna che tutto
abbraccia, e che sa chiudere gli occhi su imperfezioni e recriminazioni, disagi e desideri di rivalsa.
E’ riuscire a trovare l’armonia e l’equilibrio nella consapevolezze di “Sé”

Questo l’ultimo messaggio di un Saggio così attuale. Sì perché le donne di oggi sono e saranno
sempre le figlie di quelle di ieri. E il fiume della vita continuerà a scorrere in noi anche dopo
millenni di fluire e rifluire.

E’ su quello che si ha, che si è, ci sussurra Ginia, che si può lavorare; mentre non si può e non si
dovrebbe mai pretendere di diventare qualcun’altro.
Le donne devono scrivere da donne, e non come scriverebbero se fossero uomini. Il segreto
dell’arte al femminile è tutto qui.

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