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• Sapir (1921): “La lingua è un metodo puramente umano e non istintivo per comunicare
idee, emozioni e desideri attraverso un sistema di simboli volontariamente prodotti”
• Bloch e Trager (1942): “Una lingua è un sistema di simboli vocali arbitrari attraverso i
quali un gruppo sociale coopera”
• Hall (1968): “La lingua è un’istituzione per mezzo della quale gli esseri umani
comunicano e interagiscono mediante simboli fonico-uditivi abitualmente usati”
• Chomsky (1957): “D’ora in poi considererò una lingua come un insieme (finito o infinito)
di frasi, ciascuna di lunghezza finita e costituita a partire da un insieme finito di elementi”
• Saussure (1916): “La lingua [langue] è un sistema di segni esprimenti delle idee […]. La
lingua non è una funzione del soggetto parlante: è il prodotto che l’individuo registra
passivamente […] è la parte sociale del linguaggio, esterna all’individuo, che da solo non
può né crearla né modificarla”
• Hjelmslev (1943): “Una lingua si può definire come una paradigmatica i cui paradigmi
sono manifestati da tutte le materie […]. In pratica una lingua è una semiotica nella quale
ogni altra semiotica, cioè ogni altra lingua e ogni altra struttura semiotica concepibile, può
esser tradotta”.
Alcune dicotomie metodologiche
rumore (disturbi)
contesto
(referente)
codice
Jakobson e le funzioni della lingua
1. Emittente (Parlante) > funzione emotiva
2. Contesto (Referente) > funzione referenziale
3. Messaggio (desto/discorso) > funzione poetica
4. Canale (medium) > funzione fàtica
5. Codice (sistema linguistico) > funzione metalinguistica
6. Ricevente (ascoltatore) > funzione conativa
rumore (disturbi)
contesto
(referente)
PRIMA
ARTICOLAZIONE: L-a nonn-a s-forn-a l-a tort-
MORFEMI (SEGNI) a
(11) su un
inventario molto alto
e teoricamente
articolo – ‘genitore ‘estrarre’ – articolo –
illimitato ‘dolce’ –
femminile del ‘cuocere (in femminile
singolare genitore’ – forno)’ – femminile
singolare singolare
femminile ‘presente 3^
singolare pers.
singolare
SECONDA
ARTICOLAZIONE:
FONEMI (privi di /l/-/a/-/n/-/o/-/n/-/n/-/a/-/s/-/f/-/o/-/r/-/n/-/a/-/l/-/a/-/t/-/o/-/r/-/t/-/a/
significato
autonomo)
(20) su un
inventario di ca. 27
elementi
SN SV SINTASSI
il gatto corre
fonia significante
(fonazioni) (immagine acustica)
Segno
(corrispondenza di
significante e
significato)
senso significato
(significazioni) (concetto, classe
di sensi simili)
significante
significato
significato
‘oggetto d’arredamento che serve per sedersi ecc.’
referente
significante
(la sedia reale o un
/sedia/ oggetto x designato
come tale)
Materia (purport)
E Sostanza (materia formata)
Forma
FUNZIONE SEGNICA
Forma
C Sostanza (materia formata)
Materia (purport)
/d/ (down)
/θ/ (thin)
/d/ (detto) DANESE TEDESCO FRANCESE
‘forêt’
“Vediamo dunque che la materia non formata che si può estrarre da tutte queste catene
linguistiche [e altre] è formata diversamente nelle singole lingue. Ogni lingua traccia le
sue particolari suddivisioni all’interno della ‘massa del pensiero’ amorfa, e dà rilievo in
essa a fattori diversi in posizioni diverse, pone iI centro di gravità in luoghi diversi e dà
loro enfasi diverse. È come una stessa manciata di sabbia che può prendere forme
diverse, o come la nuvola di Amleto che cambia aspetto da un momento all’altro. Come
la stessa sabbia si può mettere in stampi diversi, come la stessa nuvola può assumere
forme sempre nuove, così la stessa materia può essere formata o strutturata
diversamente in lingue diverse”
Lous Hjelmslev
*swesor EGO
*bhreth2ter *bhreth2ter
*swesriyo- ?
*swesor
*nepōts ?
*neptih2 ? *swesriyo- ?
*sŭnus
*putlós ?
*dhugth2ter
*meh2ter-, aind. mātár-, gr. μητέρ-, lat. māter, airl. māth(a)ir, aingl. mōdor, toc.
B mācer, ablg. mater- ecc.
*dhugh2ter-, aind. duhitár-, av. dugədar-, gr. θυγατέρ-, osc. futír, gall. duχtir,
got. daúhtar, toc. B tkācer, ablg. dŭšter- ecc.
*suhxnu-, aind. sūnú-, got. sunus, lit. sūnùs, ecc. e, probabilmente con un
diverso suffisso, gr. υἱύς (υἱός) e toc. B soy, ecc.
lat. filius-filia, mess. *billes, bilia < i.e. *bh(w)ilios da *bhū-, ‘divenire, nascere’
(= ‘become’).
Il problema di stabilire quale sia il numero effettivo delle lingue parlate nel mondo è
spinoso, perché vi sono aree linguistiche soggette a estrema frammentazione e poco
studiate e perché spesso è oggetto di discussione il fatto che varietà molto simili siano
considerate “dialetti” di una stessa lingua o lingue a sé stanti.
In ogni caso, i dati più attendibili individuano fra le 5000 e le 7000 lingue diverse censite,
anche se il numero di quelle endangered è molto elevato, e al contrario vi sono poche
cosiddette grandi lingue che assorbono un’altissima percentuale di parlanti.
La principale classificazione delle lingue del mondo segue il criterio (invalso a partire
dall’Ottocento) della parentela storico-genealogica, ordinandole in famiglie, rami,
gruppi e sottogruppi: ad es. l’italiano può essere così classificato: Indoeuropeo
(famiglia) > neolatino (o romanzo) (ramo) > occidentale (gruppo) > italoromanzo
(sottogruppo); l’inglese sarà invece Indoeuropeo > germanico > occidentale >
anglosassone e così via.
Le famiglie di lingue riconosciute, oltre all’indoeuropeo, sono circa 18: uralica, altaica,
caucasica, dravidica, sinotibetana, paleosiberiana, austroasiatica, kam-thai,
austronesiana, australiana, indo-pacifica, afro-asiatica, nilotico-sahariana, niger-
cordofaniana, koishan, amerindiana, più alcune lingue isolate (basco e poche altre).
Le lingue d’Europa
Indoeuropee
Ramo celtico: gaelico (irlandese), gaelico (scozzese), gallese, bretone
Ramo germanico: danese, svedese, norvegese, islandese, nederlandese, inglese, tedesco
Ramo romanzo: portoghese, gallego, spagnolo, catalano, francese, italiano, romeno
Ramo baltico: lituano, lettone
Ramo slavo: polacco, ceco, slovacco, russo, ucraino, bielorusso, sloveno, serbo-croato,
bulgaro, macedone
Ramo indo-iranico: curdo, romanì
Lingue “isolate”: greco, albanese, armeno
Non indoeuropee
Famiglia afro-asiatica, ramo semitico: maltese
Famiglia uralica, ramo ugro-finnico: ungherese, finnico, estone
Famiglia altaica, ramo turcico: turco, tataro; ramo mongolo: calmucco
Famiglia caucasica, ramo meridionale: georgiano
Lingue agglutinanti
Giustappongono morfemi con elevato indice di sintesi (3:1) e valore univoco, facilmente
individuabili e senza allomorfia e omonimia
söndürülememek turco
sön dür ül eme mek
‘ spegnere’ CAUS PASS POT. NEG. INF
‘non poter venire spento’, lett. ‘spegnere esser fatto non potere’
+Analitico +Sintetico
Esistono inoltre, specie per le lingue SOV e VSO, delle evidenti correlazione fra questo
parametro e altri parametri sintattico-posizionali: se una lingua è SOV, quelle che sono
state chiamate tendenze implicazionali (da alcuni linguisti definiti universali) possiamo
ragionevolmente supporre che l’aggettivo preceda il nome e che lo stesso valga per il
genitivo; mentre in una lingua VSO avverrà in contrario.
Per alcuni linguisti il nucleo duro della tipologia sintattica è il costituente formato da verbo e
oggetto diretto, che consente di distinguere fra lingue postdeterminanti (VO) che
“costruiscono a destra” [testa/modificatore] e lingue predeterminanti (OV) o a testa
finale, che “costruiscono a sinistra”: le implicazioni tendenziali, in quest’ottica, sono
VO NA NG NPoss NRel VAvv AAvv AusV, preposizioni ecc.
OV AN GN PossN RelN AvvV AvvA VAus, posposizioni ecc.
Si tratta peraltro di tendenze statistiche prevalenti perché la maggior parte delle lingue
presentano incoerenze tipologiche: in italiano, ad es., che è lingua VO si ha NA (ma non
sempre), NG, NRel, AusPP, preposizioni ma anche tratti delle lingue predeterminanti
quali AvvA, PossN (e DetN), NumN ecc.
L’apparato fonatorio
Nella linguistica strutturale formale (europea e in parte americana) il fonema, inteso come grandezza
oppositiva, relativa e negativa (secondo la definizione del valore linguistico di Suassure) è individuato
anzitutto in base alla posizione all’interno della lingua come forma pura (distribuzione), senza tener conto
delle qualità foniche positive e considerandolo come una semplice ‘casella’ nella rete strutturale delle
opposizioni.
Ad es. la r francese /R/ sarà definita come l’entità che appare nei seguenti contesti: #/R/__#; #__/R/;
#Cons/R/Voc__#; #__Cons/R/Voc#; ecc.
Il fonema come grandezza distintiva è già un’unità positiva, definita in base ai soli caratteri pertinenti ai
fini della commutazione (la sostituzione di unità che manifestano invarianti o fonemi diversi).
Da questo punto di vista, la r francese sarà definita come una vibrante, in quanto commutabile ad es. con
la laterale /l/: /Rwa/ vs /lwa/, ‘re’ vs ‘legge’. È a questo livello che i fonemi si definiscono in base a insiemi
di “tratti” distintivi: ad es. in italiano /p/ è definibile come [- sonoro] (per distinguerlo da /b/, /m/), [+
bilabiale] (per distinguerlo da /t/, /k/ ecc.), mentre [+ occlusivo] è un tratto (parzialmente) ridondante
(servirebbe semmai a distinguerlo da /m/, che tuttavia è sonoro; in italiano infatti non esiste una fricativa
sorda bilabiale come la /φ/ dello spagnolo, ad es.).
Infine il fonema come classe di foni o fascio di differenze foniche sarà definito sia in base ai caratteri
pertinenti ai fini della commutazione, sia in base a ulteriori caratteristiche distinguibili sul piano
articolatorio e uditivo che costituiscono la serie dei suoi allofoni (o varianti).
La r francese sarà perciò definita come una vibrante sonora roulée alveolare, o come vibrante uvulare, o
ancora come una vibrante alveolare non arrotondata (in questo caso, tutti allofoni determinati sulla base
di varietà diatopiche o geografiche).
Coppie minime, serie minime, fonotassi o combinazioni possibili fra suoni
Una regola fonologica è un meccanismo che connette una rappresentazione fonologica ad una fonetica
operando una serie di cambiamenti soggetti a restrizioni. Le regole fonologiche possono:
a) cambiare dei tratti: ad es. diko ditsi, cioè k ts + [i, e];
b) Inserire dei segmenti: rara in italiano, ad es. in storia in istoria, per scritto per iscritto, cioè i
/ [n, r] __#sC;
c) cambiare l’ordine dei segmenti (metatesi): frequente in diacronia, ad es. in spagnolo le parole peligro
e milagro, derivate dal lat. periculum e miraculum.
d) cancellare un segmento, ad es. una vocale: vino + aio vinaio
Tra gli effetti della produzione quasi contemporanea di suoni successivi o coarticolazione (nelle sillabe e
nelle parole) vi sono:
1. le assimilazioni, suddivise in 1a. totale regressiva: in+ragionevole irragionevole; 1b. parziale
regressiva: in+probabile improbabile; 1c. totale progressiva: inglese want to wanna; 1d. parziale
progressiva: inglese dog + [s] dog[z]; 1e. metafonesi o Umlaut (assimilazioni a distanza): ad es. in
umbro nero pl. niri (= neri); 1f. Sandhi o fusione tra parole: ad es. il francese les amis [lεza’mi].
2. le elisioni, ad esempio ingl. [juənmi] per you and me, o we asked him [wiæstəm]
La sillaba e altri aspetti sovrasegmentali
sillaba
La sillaba è un’unità prosodica
costituita da uno o più foni
agglomerati attorno a un picco di
intensità. Essa è formata da un Testa o attacco Rima
nucleo sempre presente
(vocalico o che funge da vocale),
eventualmente preceduto da un Nucleo Coda
attacco o testa e seguito da una
coda. Nucleo più coda formano
la rima. La sillaba priva di coda
è detta aperta.
Consonante/i Vocale Consonante/i
La morfologia studia le parole, i processi fondamentali grazie ai quali vengono create e le varie forme
che possono assumere, occupandosi delle unità minime dotate di significato che le compongono o
morfemi (le cui realizzazioni concrete sono gli allomorfi).
La nozione di parola, sebbene intuitivamente presente alla consapevolezza dei parlanti (a differenza di
quella di morfema, che in sede descrittiva appare tuttavia di facile individuazione) è stata ed è tuttora
oggetto di dibattito in linguistica perché nessun criterio adottato sinora per definirla si è dimostrato del
tutto soddisfacente. Sono state proposte infatti definizioni di tipo fonologico, morfologico, sintattico e
semantico, ma probabilmente la definizione più completa deve tener conto di tutti questi livelli allo
stesso tempo.
La definizione fonologica: è ‘parola’ qualunque segmento che si raggruppa attorno a un accento
primario. In base a tale prospettiva stazione sarebbe una parola ma non altrettanto potrebbe dirsi del
composto capostazione, perché presenta due accenti ['kaposta'tsione].
La definizione morfologica: è ‘parola’ ogni forma coesa internamente e libera esternamente (Bloomfield:
“forma libera minima”): capostazione è dunque una parola (è un composto coeso perché non è
possibile dire, ad es., *stazionecapo); vi sono però casi come testa di ponte o macchina da scrivere (i
cosiddetti paralessemi) o alcune espressioni c.d. polirematiche (es. capro espiatorio) in cui
verifichiamo una coesione interna relativamente meno rigida (posso dire infatti, cambiando il
significato dell’espressione e trasformadola in un sintagma, ponte di testa; o posso creare un altro
paralessema come testa di rapa). Tutti questi esempi non hanno sufficiente coesione morfologica, ma
sintatticamente sono da considerarsi vere e proprie parole). Un utile corollario alla definizione
bloomfieldiana è il criterio della non interrompibilità: poiché non è possibile dire *testa grossa di
ponte mentre testa acerba di rapa non mantiene la significazione del paralessema, bisogna
concludere che si tratta di vere e proprie parole.
La parola: definizioni (segue). Processi di formazione delle parole
La definizione sintattica: è ‘parola’ ogni elemento sintatticamente semplice (che, cioè, non è costituito
da più unità in relazione sintagmatica). Questa definizione, come è ovvio, finisce per non considerare
parole i paralessemi e le espressioni polirematiche ma anche parole che intuitivamente
considereremmo unitarie come le costruzioni italiane con pronomi clitici: prendimelo infatti non
sarebbe una parola èerché costituito da tre unità sintattiche (prendi – quello – a me).
La definizione semantica: è ‘parola’ ogni unione di un particolare significato con un particolare insieme
di suoni, suscettibile di un particolare uso grammaticale. Se stazione e capostazione soddisfano tale
criterio (l’ultima espressione andrebbe infatti analizzata come parola unica in virtù del particolare
significato denotativo di cui è espressione) lo stesso sembra valere per unità legate (ovvero non
libere da un punto di vista morfologico) quali in- e -bil- di intrattabile che non possono esser
considerate parole sebbene la prima sia all’incirca equivalente a ‘non’ (cfr. I’espressione quasi
sinonima non trattabile) e la seconda significhi ‘che si può’ (cfr. l’espressione quasi sinonima che non
si può trattare).
Fra i processi di formazione delle parole vanno ricordati:
- la coniazione o invenzione (aspirina, nylon kleenex; eponimi come sandwich, jeans, in italiano aggettivi come
cartesiano, giuliano ecc.)
- il prestito, ossia l’adozione di parole di un’altra lingua, fenomeno di grande importanza in linguistica storica. Esistono
prestiti adattati (es. il giapponese suupaamaaketto per ‘supermarket’), non adattati (l’italiano computer, film ecc.) o
parzialmente adattati (bar da cui barista, sport da cui sportivo ecc.). Infine c’è il calco, o traduzione diretta degli
elementi costituitenti la parola originaria nella lingua che adotta il prestito: skyscraper > gratta-cielo; Hinterland > retro-
terra ecc.
- la composizione, o creazione di una nuova parola a partire da due parole già esistenti;
- l’incrocio o clipping, combinazione di due forme separate in un unico termine quale esito di fusione: smog, bit,
motel, telethon, telex, modem ecc.)
Processi di formazione delle parole (segue)
- l’abbreviazione, o riduzione di una parola formata da molte sillabe (es. auto, aereo, foto, bici, bus ecc.)
- la retroformazione, riduzione di una parola appartenente a una certa classe per formarne una appartenente a un’altra
classe: television > televise; donation > donate; accordare > accordo; purgare > purga.
- la conversione o suffissazione zero, cambiamento della funzione di una parola (ovvero quando un nome viene
usato come verbo o viceversa): bottle, to bottle; chair, to chair; mangiare > il mangiare.
- la reduplicazione, ovvero il raddoppiamento di un segmento che può essere parziale (greco antico lyo > lelyka) o
totale (indonesiano kursi ‘sedia’, kursi kursi ‘sedie’).
- la parasintesi, ovvero l’unione di una base più un prefisso e un suffisso in cui tuttavia nè la sequenza prefisso + base
né quella base + suffisso sono parole dell’italiano (ad es. ingiallire, in cui *ingiallo e *giallire non sono sequenze
grammaticali; sfegatato, abbottonato; inglese en-light-en ecc.)
- gli acronimi, ossia nuove parole formate con le lettere iniziali di altre parole che pssono restare combinazioni di lettere
(CD, VCR) o esser pronunciati come singole parole (NATO, UNESCO). Acronimi non trasparenti vengono talora
combinati con uno dei loro elementi, ad es. PIN number
- La derivazione è la modificazione di una parola ottenuta attraverso l’aggiunta di una forma o morfema legato (affisso)
a una forma libera; essa raggruppa tre diversi processi:
Derivazione (affissi)
La flessione “aggiunge” alla parola di base informazioni relative a generi, numero, caso, tempo, modo diatesi,
persona e si applica tanto a parole semplici quanto a parole complesse (ossia derivate e/o composte).
Classi di parole (o classi di forme)
Tradizionalmente le parole di ogni lingua sono state raggruppate in classi o parti del discorso,
dette anche categorie lessicali e definite spesso su basi contenutistiche o funzionali. Quelle
identificate di solito sono:
• nome
• verbo
• aggettivo
• pronome
• articolo
• preposizione
• avverbio
• congiunzione
• interiezione
Tali classi possono ulteriormente esser suddivise in variabili vs invariabili, aperte vs chiuse. La
cosiddetta definizione “nozionale” o “concettuale” che ne dà la grammatica tradizionale, tuttavia (i
nomi designano “entità” o “oggetti”, i verbi “azioni” o “processi” ecc.) è inadeguata e va sostituita con
una definizione puramente distribuzionale.
Definizione di morfema e classificazione dei morfemi
2a) categorie selettive, ossia classi grammaticali con un’appartenenza fissa e limitata in
confronto ad alcune classi più estese (le categorie selettive primarie, o categorie lessemiche,
corrispondono all’incirca alle tradizionali parti del discorso) e ovviamente può trattarsi di
categorie manifeste (ad es. la distinzione tra verbi e nomi in latino) o latenti (ad es. la
distinzione tra nomi e aggettivi sempre in latino: est gladius, est bonus ma est bona e non *est
gladia)
2b) categorie modulari, ovvero applicabili e rimuovibili a piacere (come le “flessioni” in
indoeuropeo): ad es. il participio presente in inglese, manifestato da una sigla -ing. In lingue
diverse da quelle indoeuropeee le categorie modulari possono riguardare anche aspetti
comunemente ascritti alle classi selettive: ad es. in yana e nelle lingue semitiche nomi e verbi
sono moduli (in ebraico e-e è un morfema discontinuo o sigla di stativazione, ā-a di verbazione:
berek, ‘ginocchio’ vs bārak, ‘si inginocchiò’), e lo stesso lessico inglese soggetto al processo di
conversione (head, hand, stand ecc.).
3) categorie isosemantiche, ovvero parole distinte per configurazione ma identiche per
significato, a loro volta suddivise in 3a) selettive (declinazioni e coniugazioni, ad es. lat. rosa vs
populus); 3b) alternative che manifestano differenze stilistiche piuttosto che grammaticali (ad
es. inglese don’t vs do not, electric vs electrical ecc.)
Il metodo descrittivo e l’analisi dello strutturalismo americano
F
[ SN [ Art [il] N [ragazzo]] SV [ V [incontra] SN [Art [la] Agg [sua] N [amica]]]]
[
F SN Art N V SN Art Agg N
[ [il] [ragazzo]
I diagrammi ad albero
La rappresentazione che fa uso di diagrammi ad albero è considerata la più chiara sia perché
consente di identificare immediatamente i “nodi” strutturali in cui si organizzano i sintagmi o
gruppi di parole, sia perché mette in luce le due possibili interpretazioni di frasi strutturalmente
ambigue. Si prenda ad es. la frase Andrea guarda le ragazze con gli occhiali. Essa
ammette due interpretazioni, a seconda che consideriamo “con gli occhiali” un SP circostanziale
che può riferirsi all’oggetto del verbo (= “guarda le ragazze che hanno gli occhiali”) o al modo di
guardare del S (= “guarda le ragazze, e lo fa con gli occhiali”).
F F
SN V’ SV SP
N V’ P’
N V SN
SN SP V SN P SN
SD N P’ SD N SD N
D P SN D D
SD N
Andrea guarda le ragazze con gli occhiali Andrea guarda le ragazze con gli occhiali
Soggetto e predicato
Come le nozioni di parola e frase (quest’ultima definita in base alla presenza di predicazione),
anche le definizioni tradizionali di soggetto si rivelano elusive e incomplete. La più diffusa
(“soggetto è chi compie l’azione o, nelle frasi passive, chi la subisce”) ha molti controesempi
(quel ragazzo ha sofferto molti stenti), ma anche quella che vede nel soggetto “la persona (o
cosa) di cui parla il predicato” è inadeguata (così Al mio vicino piace il salame non intende
parlare del salame, ma del mio vicino; eppure il soggetto grammaticale è proprio “il salame”).
Sul terreno distribuzionale è possibile formulare una definizione più affidabile di soggetto: in
italiano soggetto è l’argomento che deve obbligatoriamente accordarsi con il numero e
persona del verbo. Termini quali “soggetto” e “predicato”, in effetti, possono essere definiti a
tre differenti livelli: sintattico, semantico (o dei ruoli semantici) e pragmatico-
comunicativo, che solo in alcuni casi coincidono.
Così nella frase Gianni soffre il freddo noteremo che Gianni è soggetto sintattico ma esperiente
(dunque non agente) a livello semantico, perché il temere non è un’azione ma uno stato; inoltre
è tema a livello pragmatico, mentre il predicato sarà rema. Viceversa in A Mario piace il salame
Mario continuerà ad essere esperiente ma cesserà di essere soggetto sintattico, e in Giuseppe
picchia Mario Giuseppe sarà non solo soggetto e tema della frase ma anche agente (posto che
picchiare rappresenta un vero e proprio predicato d’azione ed ha funzione pragmatica di rema).
Attenzione: non bisogna confondere il tema inteso come ruolo semantico dell’entità su cui
l’azione ha effetto o coinvolta in esso (meglio indicato con i termini oggetto o paziente) dal tema
inteso a livello comunicativo come argomento (ciò intorno a cui qualcosa è detto) e
contrapposto al rema (ciò che è detto a proposito di un tema) cui si sovrappone la distinzione
fra dato = (ciò che si presuppone conosciuto, informazione nota) e nuovo (= ciò che si
presuppone non conosciuto = informazione nuova).
La valenza
Si tratta di un aspetto essenziale della sintassi linguistica, legato alla constatazione che i verbi (o, in
generale, gli elementi con funzione predicativa) debbono essere accompagnati da un
determinato numero di altri elementi o argomenti, in numero variabile. Il concetto di valenza,
introdotto dal linguista francese Lucien Tesnière, sottolinea l’importanza di questo aspetto
individuando, proprio come in chimica, la presenza di diverse valenze verbali. In italiano perciò
esistono:
1) verbi avalenti o zerovalenti, privi di argomento (ad es. i cosiddetti verbi ‘metereologici’ o
assolutamente impersonali come piove);
2) verbi monovalenti (tradizionalmente noti come ‘intransitivi’, ad es. camminare);
3) verbi bivalenti (tradizionalmente noti come “transitivi” ad es. comprare);
4) verbi trivalenti (i verbi c.d. di ‘dire’ e di ‘dare’, ad es. X ha dato Y a Z).
Naturalmente agli argomenti necessari a “saturare” le valenze verbali in una frase possono
aggiungersi ulteriori elementi facoltativi che Tesnière chiamava circostanziali e che si
caratterizzano distribuzionalmente per una maggiore “mobilità” posizionale: così NON posso
dire *Mario ha baciato (perché la valenza o il “posto” dell’oggetto VA saturata, dunque dovrò
dire Mario ha baciato Serena); ma mentre l’aggiunta di un circostanziale come Ieri sera mi
consentirebbe di formulare frasi tutte egualmente grammaticali come Ieri sera Mario ha baciato
Serena, Mario ha baciato Serena ieri sera, Mario ieri sera ha baciato Serena e Mario ha baciato
ieri sera Serena, le cosa vanno in modo del tutto diverso per gli argomenti verbali: basta
pensare alla frase Serena ha baciato Mario, dotata di senso completamente diverso dalla
precedente.
Sintagmi o gruppi di parole
L’identica funzione di argomento o circostanziale svolta parole singole può essere anche
manifestata da gruppi di parole o sintagmi, definiti sulla base del criterio di coesione
sintagmatica che ne impone il movimento congiunto all’interno della frase (così in Mio fratello ha
mangiato la torta di mele i “gruppi” sintagmatici mio fratello e la torta di mele non si possono
scindere, pena l’assoluta agrammaticalità della frase risultante: non potrò dire, cioè, *fratello
mele di torta mangiato ha la mio, pur potendo dire, con gli opportuni aggiustamenti dovuti alla
dislocazione a sinistra dell’oggetto tematizzato, la torta di mele, l’ha mangiata mio fratello.
I sintagmi, inoltre, sono individuabili in base al criterio dell’enunciabilità in isolamento: alla
domanda chi ha mangiato la torta di mele? dovrò necessariamente rispondere mio fratello e
non, ad esempio, *mio fratello ha. Anche la prova della coordinabilità serve infine a identificare
gruppi di parole o sintagmi diversi, che non possono mai esser coordinati fra loro: così alla frase
mio fratello ha mangiato la torta di mele potrò coordinare il sintagma e quella di lamponi
(anch’esso nominale, SN) ma non dietro la dispensa (sintagma preposizionale, SP): *mio
fratello ha mangiato la torta di mele e dietro la dispensa non è infatti una frase grammaticale.
Ogni sintagma o gruppo di parole è composto da una testa o elemento centrale (fratello in mio
fratello, dietro in dietro la dispensa, ha mangiato in ha mangiato la torta [SV, formato da V+SN],
alto in troppo alto [SA] ecc.); la testa è inoltre l’unico elemento necessario, e di questo ci si
rende conto in tutti i casi di sintagmi formati da parola singola (ad es. posso sostituire Mario a
mio fratello nella frase precedente).
Criteri di classificazione delle frasi e tipi di frase
semplici
coordinate
complessità frasi
complesse
subordinate
principali
dichiarative “sì-no”
dipendenza frasi
dipendenti interrogative
modalità “wh-”
imperative
esclamative
affermativ attive
e
polarità frasi diatesi frasi
negative passive
a sinistra
dislocate
a destra
segmentate a tema sospeso
segmentazione focalizzate
frasi
non segmentate scisse
Classificazione delle frasi dipendenti
soggettive oggettive
argomentali completive
nominali
interrogative
indirette
restrittive
relative
appositive
Argomentali: sono le dipendenti che fungono da argomento del verbo presente nella
frase principale (ad es. Ho detto che tu hai comprato il giornale; Mi chiese cosa
avevo fatto; Credo che tu abbia mentito). Essenziale è che l’argomento frasale
possa esser sempre sostituito come costituente da un argomento sintagmatico: Ho
detto una battuta; Mi chiese una matita; Credo alle tue parole. Ci sono argomentali
oggettive o completive, completive nominali, soggettive, interrogative indirette,
relative (restrittive e appositive).
Circostanziali: sono le dipendenti che prendono il posto dei costituenti circostanziali in
una frase, ad es. Quando sono arrivato (sostituibile con Ieri, verso sera ecc.) ha
iniziato a piovere. Le circostanziali possono essere temporali, causali, finali,
consecutive, condizionali, concessive, comparative.
Infine le dipendenti possono essere esplicite (quando contengono un verbo di modo
finito) o implicite (quando contengono un verbo di modo non finito):
Ti ho promesso che verrò o ti ho promesso di venire. Si notino le restrizioni sulla
trasformazione causativa nel caso delle implicite: Ti ho fatto promettere che (tu)
verrai o Ti ho fatto promettere che (lui) verrà, ma Ti ho fatto promettere di t venire,
dove la “traccia” t è necessariamente riferita a ti (non c’è un’altra interpretazione
possibile).
La sintassi è autonoma?
Si tratta di una problematica particolarmente complessa, su cui la teoria linguistica ha dibattuto a lungo, Chomsky, in
particolare, e la scuola linguistica che viene denominata grammatica generativo-trasformazionale, si è fatto
interprete di una concezione modulare del linguaggio (che sarebbe organizzato in componenti autonome)
insistendo soprattutto sull’autonomia del livello sintattico da quello semantico e giungendo addirittura a negare
l’importanza di quest’ultimo livello nella comprensione degli enunciati: “di fatto la maggior parte della teoria del
significato si chiama sintassi”, in quanto “è con la sintassi che spieghiamo perché una frase ha un certo
significato e non un altro”.
Il ragionamento di Chomsky si basa sulla possibilità di generare frasi prive di significato ma grammaticali e,
all’opposto, costruire frasi sensate ma agrammaticali; ad es.
Colourless green ideas sleep furiously (incolori idee verdi dormono furiosamente)
Jakobson fa notare che esistono analisi di questa frase che possono tranquillamente assegnare ad essa un senso
(Hymes ha scritto una poesia “del tutto sensata” usando la frase come titolo, proprio per contestare la posizione
chomskiana). Se ne può concludere che l’autonomia della grammatica è un fatto relativo, poiché accanto a casi
limite di enunciati grammaticali e insensati e agrammaticali ma dotati di senso esistono numerose sfumature
intermedie; la frase di Chomsky è una di queste, mentre nel caso di (*)a me mi piace sempre sedermici sul
divano (obiettivamente agrammaticale in italiano standard) siamo in presenza di una frase che in una varietà
colloquiale del repertorio di livello più basso può rivelarsi perfettamente accettabile.
Il triangolo di Ogden e Richards e i rapporti di significazione
SIGNIFICATO
Significante
Significato } DESIGNAZIONE
OGGETTO
Rapporti di
}
significazione DESIGNAZIONE
Significante OGGETTO
Significato
I rapporti di significazione (segue)
E C
connotazione
E C
E [E R C] R C
denotazione
Metafora e metonimia
ATTO FONETICO
ATTO LOCUTORIO ATTO FÀTICO
ATTO RETICO
DIRE QUALCOSA +
= ATTO ILLOCUTORIO
(“con questo io” + performativo)
+
ATTO PERLOCUTORIO
Il principio di cooperazione e le massime di H. P. Grice
“Dai il tuo contributo alla conversazione nel modo richiesto, allo stadio in cui
è richiesto dallo scopo condiviso o dalla direzione dello scambio
comunicativo in cui sei impegnato”
Massima di Quantità
1. Fai in modo che il tuo contributo sia tanto informativo quanto richiesto dagli scopi
dello scambio in corso
2. Non dare un contributo più informativo del necessario
Massima di Qualità
Cerca di dare un contributo di informazioni vere, e in particolare
1. Non dire cose che ritieni false
2. Non dire cose per le quali non hai prove adeguate
Massima di Relazione
Sii pertinente
Massima di Modo
Sii perspicuo, e in particolare
1. Evita espressioni ambigue
2. Evita espressioni oscure
3. Sii breve (evita inutili prolissità)
4. Procedi ordinatamente
Le dimensioni comunicative di un enunciato
secondo Grice
Significato comunicativo
detto implicato
Parlante Ascoltatore
- credenze - credenze
- desideri - desideri
- intenzioni - intenzioni
Relazioni sociali
SCELTE
LINGUISTICHE
La cortesia, la “faccia” e l’analisi del discorso
La “finzione dell’omogeneità” tipica dell’approccio teorico allo studio della lingua trascura
l’ampia variazione esistente in ogni comunità linguistica, soprattutto nel parlato. La
geografia linguistica e la dialettologia si occupano della variazione linguistica nello
spazio (c.d. variazione diatopica).
Accanto alla varietà standard (versione accettata istituzionalmente, normata e
riconosciuta come varietà ufficiale di una determinata lingua), ogni parlante usa una
varietà comunque caratterizzata da un particolare accento, o una varietà dialettale
definita da specifiche caratteristiche morfologiche e lessicali oltre che fonetiche.
In genere il criterio di “mutua comprensibilità” è usato per distinguere due dialetti della
stessa lingua da due lingue diverse; i dialetti locali e regionali sono individuati sulla base
di isoglosse (spesso scegliendo informatori stanziali, anziani, contadini e maschi, su cui
si riteneva fossero meno importanti gli influssi esterni, ma ricavando così una
descrizione della varietà dialettale probabilmente molto più antica e conservativa di
quella reale). Le isoglosse sono indicate .con delle linee di confine su una carta
geografica, e un insieme di carte va a costituire i c.d. atlanti linguistici. Una
sovrapposizione tra più isoglosse individua in genere un confine dialettale.
La variazione regionale rappresenta in realtà un continuum e non una serie di
suddivisioni nette tra una regione e l’altra (da cui l’esistenza di parlanti bidialettofoni o
bilingui).
In ambienti sociali e comunità plurilingui, la scelta relativa alle varietà di lingue parlate
vadano impiegate in contesti ufficiali è parte delle politiche di pianificazione
linguistica, che spesso conducono alla scelta di uno standard “alto” in base a
considerazioni di prestigio o semplice opportunità politica (l’ebraico in Israele, l’hindi in
India).
Bilinguismo, diglossia, dilalia