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Riassunto "Storia romana"

Geraci Marcone
Storia Romana
Università degli Studi di Milano
110 pag.

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GIOVANNI GERACI – ARNALDO MARCONE

STORIA ROMANA
E DITIO M AIOR

Introduzione
Datazione e cronologia
Il modo di indicare le date in riferimento alla nascita di Cristo non è mai stato utilizzato nel mondo antico;
la cosiddetta era “cristiana” è stata introdotta dal monaco DIONIGI ESIGUO detto DIONIGI IL PICCOLO (un
Monaco nativo della Scozia che visse tra V e VI secolo d.C.): il sistema creato da Dionigi comprendeva
solo gli eventi accaduti d.C., mentre quelli accaduti precedentemente venivano calcolati partendo dalla
creazione del mondo. Tale sistema si diffonde in Italia a partire dal VII sec e si diffuse in tutta l’Europa
occidentale nel X sec. La consuetudine di contare gli anni prima di Cristo venne invece introdotta nel
XVIII secolo per unificare il punto di riferimento dal quale conteggiare le date.
A Roma, a partire dall’età repubblicana gli anni erano indicati mediante i nomi dei magistrati eponimi
(lett. “che danno il nome all’anno”) dunque in genere tramite la menzione dei due consoli; parallelamente
in Grecia la datazione degli eventi era ricondotta alle Olimpiadi. All’inizio dell’età imperiale a Roma,
negli ambienti dotti, divenne uso comune esprimere la data partendo dalla fondazione di Roma: 753 a.C.,
data fissata da MARCO TERENZIO VARRONE che, partendo dall’inizio della repubblica del 509 a.C.
ipotizzò che ogni re avesse regnato 35 anni circa. In epoca imperiale, nei testi epigrafici, prevalse l’uso
di annotare il numero progressivo dei rinnovi (annuali) del potere di ciascun imperatore.
Il calendario romano repubblicano rimase in vigore sino alla riforma di Cesare del 46 a.C. e prevedeva
355 giorni divisi in dodici mesi (quattro da 31 giorni, sette da 29 e uno da 28), primo dei quali era marzo.
Il mese da 28 giorni, febbraio, veniva diviso in due parti: la prima di 23 giorni e la seconda di 5 giorni
(dopo le feste di Terminalia del 23 febbraio). Dopo febbraio, ad anni alterni, veniva aggiunto un “mese
intercalar” di 22 giorni. Si trattava di un artificio che aveva lo scopo di uguagliare l’anno civile a quello
solare e al ciclo delle stagioni. Un’importanza notevole ebbero, in queste scansioni, i giorni di mercato
(nundinae) che si tenevano ogni 8 giorni, dunque “ogni nono giorno” (di qui il temine nundinae), ed
erano segnati sui calendari con un ciclo di lettere dalla A alla H (il giorno di mercato era sempre
contraddistinto dalla lettera A).
Onomastica romana
I cittadini romani, nell’età antica, possedevano un solo nome; col tempo se ne aggiunsero altri due sino
a diventare tre (tria nomina):

 Il primo era il prenomen: nome personale.

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 Il secondo era il gentilizio nomen: nome che indica il gruppo familiare, la gens di provenienza
dell’individuo e viene tramandato di padre in figlio.
 Il terzo era il cognomen: soprannome individuale assegnato in base a determinata caratteristica fisica,
in base alla carica di alcuni esponenti della famiglia o in base al luogo di provenienza. Esso tese a
divenire ereditario per gli aristocratici, per distinguere le varie famiglie appartenenti alla stessa gens.

In caso di adozione l’adottato ereditava i tria nomina di chi lo adottava al quale si aggiungeva un quarto
nome che corrispondeva al nomen modificato della famiglia d’origine es. Lucio Emilio Paolo viene
adottato da Publio Cornelio Scipione e diviene Publio Cornelio Scipione Emiliano. Le donne romane di
regola non avevano un prenomen, ricevevano come nome il solo nomen paterno, adattato al femminile,
che mantenevano anche da sposate. Gli schiavi erano abitualmente denominati con un unico nome
personale mentre i liberti ereditavano il prenome ed il gentilizio del proprio ex padrone e portavano come
cognomen il loro antico nome da schiavo.
Il mondo di Roma
Il mondo di Roma è definito “uno, duplice e molteplice”. “Uno” perchè sotto Roma furono unificati
amministrazione, cittadinanza, esercito e diritto. “Duplice” perché il mondo romano fu fortemente
influenzato da quello greco, soprattutto dal punto di vista linguistico e culturale (il greco rimase sempre
il modo di espressione principale). “Molteplice” perché a Roma si creò una fitta rete interculturale che
comprendeva molteplici popoli, particolarità locali, condizioni politiche, sociali e personali che
convivevano tra loro sotto il comune denominatore della romanità.
Il sistema monetario
Età repubblicana
Denario Sesterzio Asse
(argento) (argento) (rame)
10 assi 2 ½ assi -
4 sesterzi - -
Sotto Augusto
Aureo Denario Sesterzio Asse
(oro) (argento) (rame e zinco) (rame)
400 assi 16 assi 4 assi -
100 sesterzi 4 sesterzi - -
25 denari - - -
Sotto Diocleziano
Aureo Nummus argentus (argenteo) Follis Nummo radiato (denaro)
(oro) (argento) (rame) (rame)
1250 denari 50 denari 5 denari -
250 follis 10 follis - -
25 argentei - - -

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Parte prima
I popoli dell’Italia antica e le origini di Roma
Capitolo 1
L’Italia preromana
Le fonti
La protostoria dei popoli italici, a causa della mancanza di fonti scritte, si basa sui resti materiali ritrovati
(utensili, armi, sepolcri, sculture, resti di abitazioni etc.). Le fonti letterarie e storiografiche successive
hanno ricostruito la genealogia dei popoli italici individuandone tre: Etruschi, Latini, Italici.

L’Italia dell’età del Bronzo e dell’età del Ferro


Nella penisola italiana, tra III e I a.C. si passa da piccoli centri a grandi organizzazioni protostatali.

In Italia l’età del Bronzo (XXII-X sec a.C.) si


contraddistingue per la sua uniformità: l’intera penisola è
popolata da piccoli centri dislocati ovunque, soprattutto
lungo la dorsale appenninica che doneranno il nome alla
cultura detta “cultura appenninica”. Si regista
un’importante aumento demografico. A poco a poco gli
insediamenti diminuiscono in numero ma aumentano in
estensione, assumendo forme trapezoidali circondate da
un argine ed un fossato attraversabile tramite vie
perpendicolari: i villaggi sono composti da capanne
costruite su impalcature di legno con scopo di difesa da
animali e dall’acqua dette “terramare” perché formate da
terra scura e grassa (cultura terramaricola). L’età del
bronzo è caratterizzata dall’intensificazione della
circolazione di prodotti e persone che favoriranno la
Figura 1 L'Italia preromana (V sec. a.C.)
formazione di aggregazioni più complesse e differenti le
une dalle altre.

Con l’inizio dell’età del Ferro (IX sec. A.C.) l’Italia presenta un quadro di colture locali diversificate tra
di loro per diversi motivi (es. metodo di sepoltura: al Nord, lungo costa tirrenica e Campani si usa la
cremazione mentre nel resto dell’Italia si utilizza la sepoltura).

La diversità di cultura in Italia causa una forte diversificazione sul piano linguistico, queste lingue sono
distinguibili in due grandi famiglie:

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 Lingue indoeuropee che condividono un ceppo comune di origine; sono il latino, il falisco (Lazio
settentrionale), il celtico (pianura padana) e il messapico (Puglia meridionale).
 Lingue non indoeuropee come l’etrusco (Toscana), il retico (alta valle dell’Adige), il ligure e il sardo.

Rilevante è il ruolo delle colonie della Magna Grecia fondate nell’Italia meridionale a partire del VII sec
a.C. che esercitano grande influenza sulle popolazioni indigene. In Sardegna, tra età bronzo e ferro si
sviluppa civiltà nuragica così chiamata per le “nuraghe”, strutture coniche difensive che corrispondono
ai sardi.

Prime forme di differenziazione


L’età del Bronzo in Italia ha caratteristiche meno brillanti di quella greca. Va considerato però che nel
Mediterraneo il centro dei commerci alla fine dell'età del bronzo era la Sicilia in cui sorgevano piccoli
regni simili a quelli della Grecia micenea.
Con la tarda fase del Bronzo medio iniziano a delinearsi le prime differenziazioni tra l'Italia settentrionale
e medio-adriatica da una parte e l'Italia medio-tirrenica e meridionale dall’altra: al Nord vi era la cultura
delle Terramare abbastanza evoluta mentre del Meridione abbiamo scarsa documentazione ma sappiamo
che le popolazioni dell’Italia centro-meridionale vivevano in piccoli agglomerati isolati.

Il Lazio
Come confermano gli scavi realizzati nell'area del Campidoglio, possiamo affermare con certezza che
l'archeologia romana è precedente all'età del Bronzo. Il Lazio era infatti popolato già nell'età paleolitica
e a Roma c’era un insediamento già nel II millennio a.C.
L’antichità dell’insediamento di Roma è stata provata per la prima volta dalla scoperta, all’inizio del
secolo scorso, di un cimitero risalente all'età del ferro all'interno del Foro Romano.

I primi frequentatori dell’Italia meridionale


Le prime notizie sulle origini dei popoli italici si devono principalmente agli storici greci che, però,
iniziano a trattare dell’Italia solo nel V sec. a.C.
Tra loro ricordiamo DIONIGI DI ALICARNASSO il quale afferma che, nel 1700 a.C. circa, i primi
frequentatori greci dell’Italia meridionale furono gli Arcadi che attraversarono l’Adriatico e si
stanziarono in Italia. Le ricerche storiche condotte nel tratto di costa calabrese che si affaccia sullo Ionio
mostrano come proprio il periodo indicato da Dionigi fosse effettivamente un momento di grande svolta
demografica. All’origine di questo riassetto, tuttavia, difficilmente può esserci stato l’arrivo di una
popolazione greca, come suggerisce Dionigi. I dati archeologici lasciano presupporre una cultura
dell’Italia meridionale dai tratti prettamente indigeni. Nel racconto di Dionigi vi è, tuttavia, una verità
storica poiché proprio in questo periodo le Coste del meridione italico iniziarono a stabilire rapporti con
popolazioni orientali inizialmente di carattere commerciale successivamente i più complessi.
Dopo un'interruzione di quasi quattro secoli, legata alla crisi del mondo miceneo, in cui gli scambi con
il Mediterraneo orientale si erano ridotti alle soli merci rilevanti come il ferro, le importazioni di
ceramiche prodotte in Grecia ripresero nelle coste calabresi nella prima età del Ferro (VIII sec. a.C.). Ciò

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testimonia un interesse dei greci per l'Italia meridionale che si tradurrà poi in una grande impresa di
colonizzazione che porterà alla creazione della Magna Grecia.

Le trasformazioni dell’Italia centrale


Tra VIII e V a.C. assistiamo ad un fenomeno di espansione delle
popolazioni dell’Appennino centro-meridionale. Ne è un esempio, sul
versante tirrenico, l’espansionismo dei Sanniti /che ha il suo apice nel
V a.C.). Sul versante adriatico, tra il IX e VII a.C. (nella prima età del
Ferro), inizierà invece a svilupparsi una civiltà importante, quella
Picena, che svilupperà una cultura simile a quella dell'Etruria e del
Lazio, in cui vi è una ristretta élite distinta dal resto della società per il
lusso che persegue e dove l'arrivo di prodotti nuovi, espressioni della
cultura orientalizzante, favorisce l'attività dell'artigianato locale, del
commercio e di nuove forme artistiche. Le prime testimonianze scritte
ci parlano di un’organizzazione sociale articolata secondo gruppi
Figura 2 Sanniti e Piceni
etnici con alla testa principi e re.

Il nome Italia
Il nome Italia nel V a.C. era riferito alla penisola calabrese. L’ipotesi più probabile fa derivare il nome
dal temine osco "viteliu", il territorio in questione doveva infatti essere ricco di bovini (vitelli), animali
sacri secondo il culto tipico dell'Italia centro-meridionale. La caduta dell’iniziale “V” è conseguente alla
pronuncia delle genti della Magna Grecia, che la passarono ai romani.
Alla metà del IV a.C. il nome Italia abbraccia il Mezzogiorno continentale a sud di Paestum, sulla costa
tirrenica. Verso gli inizi del III include la Campania e alla fine dello stesso secolo comprende quasi
l’intera penisola.

Capitolo 2
Gli Etruschi
Le fonti
Non disponiamo di narrazioni degli etruschi risalenti agli etruschi stessi, tutto ciò che sappiamo oggi
sugli etruschi proviene da fonti greche e latine.
Ciò che sappiamo dell'organizzazione delle città etrusche, della loro società e delle loro vicende dipende
dalla documentazione archeologica, dalla ricerca topografica e dai dati onomastici nelle iscrizioni (ad
esempio le epigrafi costituiscono prezioso informazioni socio culturali della civiltà etrusca).
Molte delle tradizioni etrusche sono giunte e noi grazie al influenza che le istituzioni etrusche hanno
esercitato sulla civiltà romana. Conosciamo meglio, infatti, la fase terminale della storia etrusca, a partire
dall'ingresso di Roma sulla scena dell'Etruria meridionale.

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Origine ed espressione degli Etruschi
Gli etruschi sono la più importante popolazione dell'Italia preromana. Essi erano chiamati Tirreni dai
Greci ed è incerto come chiamassero se stessi. L’origine di questo popolo è stata lungo dibattuta e sono
emerse diverse teorie:
 Secondo ERODOTO gli etruschi erano dei Lidi (popolo dell’Asia Minore) giunti in Italia nel V secolo
a.C., guidati dal re Tirreno.
 Secondo DIONIGI DI ALICARNASSO, storico dell’età augustea, gli etruschi erano genti autoctone,
indigene della penisola italica.
 Secondo ELLANICO DI LESBO gli antichi Tirreni corrispondono ai Pelasgi, un antico e misterioso
popolo che precedette i greci nel Mediterraneo orientale e poi emigrò in Italia.
La ricerca archeologica e linguistica moderna colloca l'origine etnica degli Etruschi attorno all'VIII a.C.
nella regione compresa tra l'Arno e il Tevere. Si crede che questa etnia sia in realtà un punto di incontro
di due processi: da un lato si pensa a un’evoluzione della struttura interna delle società e delle economie
locali, dall’altro di riconosce l’importanza delle influenze esterne, in particolare si sottolineano i rapporti
con le colonie greche dell’Italia meridionale.

Anche se, nella fase della loro massima espansione (VII-VI


secolo a.C.) gli etruschi controllavano gran parte dell'Italia centro
occidentale, non diedero mai vita ad uno stato unitario. Si erano
piuttosto organizzati in città indipendenti governate da sovrani
detti lucumoni sostituiti poi da magistrati eletti annualmente: gli
zilath.
L'unica forma di aggregazione vigente nelle comunità etrusche
che ci è nota è la Lega Etrusca, un’unione, principalmente di tipo
religioso, delle dodici città principali (Veio, Cere, Tarquinia,
Vulci, Roselle, Tonia, Volterra, Chiusi, Cortona, Perugia, Arezzo
e Fiesole).
La società etrusca possedeva un carattere fortemente
aristocratico e il governo delle città era nelle mani dei proprietari
terrieri o ricchi commercianti.
Il processo di espansione degli Etruschi subì una battuta d’arresto
Figura 3 La lega etrusca (VII-VI sec. a.C.) nel 530 a.C. in seguito alla sconfitta nella battaglia navale contro
i Focei, un popolo proveniente dall'Asia minore che aveva
fondato una colonia in Corsica. Dal 474 anche l'espansionismo degli Etruschi verso l'Italia meridionale
fu arrestato dopo essere stati sconfitti a Cuma dai greci di Siracusa. Decisivi per la decadenza etrusca
furono altri due eventi che si verificarono all’inizio del IV secolo a.C.: la presa della città di Veio a opera
dei romani (396 a.C.) e la perdita dei possedimenti in val Padana caduti in mano ai celti (originari
dell’Europa centrale). Nel corso del III secolo a.C. l’Etruria passò progressivamente in mano romana.

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Religione e cultura
La sfera religiosa etrusca appare, ed appariva anche agli antichi, estremamente vasta ed interessante,
questa comprendeva una ricchezza di riti, culti, scritti sacri e tecniche magiche. Nella religiosità etrusca
ha un’importanza particolare la concezione dell'aldilà: secondo gli etruschi il defunto continuava la
propria esistenza nella tomba perciò, al suo interno, dovevano essere inseriti elementi della dimora del
vivo come cibi, bevande e simboli del suo status sociale. In un secondo tempo quest'idea dell’aldilà mutò
e l'oltretomba venne considerato come una destinazione alla quale si giungeva dopo un lungo viaggio da
intraprendere a piedi, con un carro o con un cavallo.
Le divinità del pantheon etrusco sono assimilabili a quelle greche e organizzate in un sistema simile a
quello dell'Olimpo ellenico dove, al di sopra di Zeus, dominava il Fato; anche per gli etruschi al di sopra
della divinità etrusca suprema, Tinia (dispensatrice di folgori) appare il Fato. Gli altri dei sono disposti
gerarchicamente e organizzati in collegi per competenze.
Gli etruschi ritenevano molto importante la corretta interpretazione dei segni della volontà divina visibili
in terra, si affidavano dunque all'arte dell’aruspicina, ossia la tecnica di interpretare la volontà divina ad
attraverso l'esame delle viscere degli animali sacrificati.

Romani ed Etruschi
I romani ereditarono moltissimo dagli etruschi. In particolare per quanto riguarda la sfera religiosa; gli
etruschi avevano la fama di essere molto legati alla religione e di saperne compiere con maestria i riti.
La religione etrusca era ritenuta una vera e propria scienza trasmessa attraverso i libri specifici a cui i
romani attinsero. I romani erano talmente impressionati dalle capacità divinatorie etrusche da far spesso
ricorso agli aruspici etruschi. L’intera vita politica e religiosa di Roma era basata sugli auspicia. È per
questo motivi che le personalità romane di maggior rilievo si circondavano di aruspici etruschi.

Il problema della lingua


I testi etruschi possono essere letti con facilità poiché l'alfabeto, composto da ventisei lettere, è un
riadattamento di quello greco. Ciononostante, la difficoltà principale nell’interpretare l'etrusco deriva dal
fatto che essa non è una lingua indoeuropea e che dunque non disponiamo di elementi di confronto con
altre lingue a noi note. Inoltre esistono pochissimi testi in etrusco e sono costituiti per lo più da brevi
formule. Secondo i linguisti la lingua etrusca non può essere ricollegata a nessuna lingua del passato oggi
conosciuta, infatti non sappiamo nemmeno come gli etruschi si definissero se stessi.

La questione delle origini


Nell'isola egea di Lemno è stata ritrovata un’iscrizione su una stele e diverse epigrafi frammentarie
risalenti al VI secolo a.C. che risultano strettamente imparentate con l'etrusco. Una possibilità
nell’interpretazione di queste scoperte è che probabilmente gli etruschi fossero indigeni dell'Italia
emigrati in Oriente.
Sembra però maggiormente condivisibile la possibilità che alcuni gruppi umani provenienti dalla Grecia
siano migrati in Italia alla ricerca di metalli, qui, questi piccoli gruppi, avrebbero poi fondato unitamente
ad altri gruppi indigeni, la civiltà etrusca. Possiamo dunque affermare che la civiltà etrusca si sia formata
in Italia alla fine dell'età del Ferro sotto influenze esterne orientali.
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Gli etruschi sembrano quindi essere gli eredi dei Villanoviani ossia quelle popolazioni che praticavano
la cremazione dei morti durante la prima età del Ferro soprattutto in Toscana ma anche nella pianura
padana e nella zona di Capua in Campania. Poco a poco le società villanoviane, che sino ad allora si
caratterizzavano per un fondamentale egualitarismo, diverranno grossi centri che daranno vita le città
etrusche. Le coste etrusche saranno frequentate dai coloni greci che trasmetteranno agli etruschi alcune
tradizioni come, ad esempio, la pratica del banchetto aristocratico. L'Etruria era compresa tra l'Arno e il
Tevere e basava la propria ricchezza sulla ricchezza mineraria del territorio e sull'agricoltura (grano, vino
e olio) che divenne sempre più fiorente grazie alle capacità tecniche del popolo etrusco (ad esempio, in
campo idraulico, la capacità di irrigazione dei campi). Gli etruschi possedevano anche un buon controllo
delle risorse metallurgiche e del mare etrusco (Adriatico) che li rendevano la principale potenza della
penisola italica.
Predominio etrusco sull’Italia
L'Italia fu quasi completamente sottoposta al dominio etrusco, organizzato in dodici città autonome
federate in una lega e governate prima da dei lucumoni (figure assimilabili a re, espressione delle
aristocrazie guerriere) e successivamente da magistrati detti zilath, che presentavano qualche tratto di
somiglianza con quelli della Republica romana. Esisteva poi una dodecapoli Padana che aveva sede a
Felsina (Bologna) e una campana con sede a Capua. La lega campana fu travolta dai Sanniti nel V secolo
a.C., quella padana dai galli nel IV secolo a.C.

Tecnica e arte
Le principali manifestazioni dell'arte etrusca sono state ritrovate nelle necropoli che possiamo annoverare
tra le più estese del mondo antico. L’architettura delle necropoli etrusche era intesa ad avvicinare la casa
dei morti a quella dei vivi, dunque si trattava di vere e proprie abitazioni sotterranee per i defunti in cui
sono stati ritrovati molti reperti di statuaria, terrecotte, pittura e oreficeria oltreché affreschi raffiguranti
scene di vita quotidiana. Le più evolute sepolture a camera avevano una struttura architettonica
complessa: costruite come veri e propri appartamenti per i membri della stessa famiglia, formate da
numerosi ambienti, celle, corridoi e nicchie.
Uno dei campi forti della civiltà etrusca oltre all'agricoltura alla metallurgia era l'artigianato artistico in
particolar modo la produzione di oggetti in bronzo e oreficeria che raggiunsero amie aree del
Mediterraneo attraverso il commercio. Gli Etruschi furono abili sia nell’estrazione dei minerali (ferro e
rame soprattutto) sia nel trattamento dei metalli in fornaci. La lavorazione dell’oro e dei metalli nobili
era mirata a produrre accessori personali, come collane, spille, anelli o orecchini.

L’Etruscologia
Etruscologia, intesa come interesse per il mondo etrusco ed è nata a partire dal I secolo d.C. e il primo
degli etruscologi fu l'imperatore romano Claudio a cui seguirono molti intellettuali romani.
L’etruscologia come disciplina scientifica nacque invece nel XIX secolo.

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Capitolo 3
Roma
Le fonti
La ricostruzione della storia di Roma arcaica richiede il ricorso a fonti di diversa natura: archeologiche,
letterarie e storiografiche. Le fonti letterarie ci offrono un quadro narrativo chiaro e una cronologia
articolata ma spesso contengono elementi leggendari che rendono il racconto inverosimile. Roma non
sembra aver suscitato grande interesse negli storiografi greci fino al IV secolo a.C., solo dopo quest’epoca,
a causa dell’espansionismo romano in Italia meridionale, ci si preoccupò di organizzare le informazioni
disponibili.
Le origini di Roma sono state molto dibattute; la versione canonica risale all'età augustea e consiste in
una rielaborazione della tradizione precedente, in cui lo spazio dedicati a elementi leggendari prende il
sopravvento sull’attendibilità storica.

La leggenda
La versione più nota e diffusa della leggenda delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa
e la dinastia dei Re Albani tra l'arrivo di Enea nel Lazio e il regno di Romolo. Nel primo libro dell’Eneide,
VIRGILIO (I secolo a.C.) si ispira a questa tradizione; Alba Longa è fondata dal figlio di Enea. Ascanio,
trent’anni dopo la fondazione di Lavinium, la città a cui Enea diede il nome della moglie Lavinia.
Secondo la leggenda il fondatore e primo re di Roma è Romolo, figlio di Marte, dio della guerra, e di
Rea Silvia, figlia di Numitore, l'ultimo re di Alba Longa che era stato illegittimamente privato del trono
dal fratello più giovane, Amulio.

I sette re di Roma
La tradizione fissa la nascita di Roma nel 753 a.C. e la fondazione della Repubblica nel 509 a.C.: durante
questo periodo su Roma avrebbero regnato sette re:

 ROMOLO: fondatore di Roma a cui sono state attribuite le prime istituzioni politiche tra cui il senato;
 NUMA POMPILIO: creatore dei primi istituti religiosi;
 TULLO OSTILIO: promotore di alcune campagne militari (tra cui la distruzione di Alba Longa);
 ANCO MARZIO: fondatore della colonia di Ostia;
 TARQUINIO PRISCO: di origini etrusche, iniziatore della seconda fase della monarchia Romana;
 SERVIO TULLIO: costruì le prime Mura della città e istituì le assemblee elettorali e i comizi centuriati;
 TARQUINIO IL SUPERBO: ultimo sovrano caratterizzato con i tratti tipici del tiranno.

Le fonti del racconto tradizionale


Il problema fondamentale che ci si pone rispetto a un racconto come quello sulle origini di Roma riguarda
la sua attendibilità di fondo, dal momento che esso risale a una fase molto successiva ed evoluta della
storia di Roma e buona parte degli eventi narrati hanno una coloritura leggendaria. Di solito gli storici
romani non si sono preoccupati di condurre ricerche originali, ma semplicemente di presentare una
vicenda nota in forme diverse solo dal punto di vista dell’elaborazione letteraria. Le fonti su cui basavano
i propri racconti erano:
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1. Annales: opere storiche, per noi oggi perdute, di autori noti come “annalisti” che hanno organizzato
il materiale storico in ordine cronologico, secondo una successione anno per anno.
2. Tradizione familiare: la struttura della società romana in età repubblicana era dominata dalla
competizione tra le principali famiglie aristocratiche. Ciascuna di esse cercava di accreditare il
proprio titolo di superiorità sulle altre celebrando le glorie degli antenati. Poiché i primi storici erano
membri dell’aristocrazia senatoria è probabile che attingessero come fonti anche alle tradizioni delle
varie famiglie:
3. Tradizione orale: tipica dei canti celebrativi recitati durante i banchetti. La struttura di parecchie
leggende legate all’origine di Roma ha caratteristiche tali da rendere credibile che si siano tramandate
oralmente di generazione in generazione. Il problema è che la tradizione orale è soggetta a distorsioni;
4. Documenti d'archivio: consentono di apprendere i principali eventi di anno in anno e i magistrati
principali in carica.

L'attuale ricostruzione della storia romana arcaica si basa anche sulle informazioni fornite dai cosiddetti
“antiquari” ossia eruditi che, a partire dal II a.C., si dedicarono ad una serie di ricerche su vari aspetti
del passato romano.

Tradizione orale e storiografia


A Roma la letteratura la storiografia e il dramma ebbero origine nella seconda metà del III secolo a.C. a
partire da allora vi furono testi scritti e, dunque, tramandabili. Naturalmente non si deve però pensare
che i romani non si siano precedentemente sull'origine della loro comunità e non si può credere che non
avessero un modo per esprimere l’idea che avevano di loro stessi pur non facendolo con testi di natura
scritta.

La documentazione archeologica e la scoperta del Lapis Niger


La documentazione archeologica offre importanti riscontri alla tradizione confluita nella leggenda
canonica. Nel 1899, ad esempio, GIACOMO BONI scoprì all'interno del Foro Romano il Lapis Niger ossia
un frammento di pavimentazione in marmo nero distinta dalla restante pavimentazione in travertino posta
vicino alla la tomba di Romolo che consiste in una dedica fatta al re in cui sono presenti minacce di pene
terribili rivolte a chiunque violi questo luogo. È interessante sottolineare che il re in questione doveva
essere un vero monarca, il che riconduce questo complesso a un’età molto arcaica. Naturalmente,
quand’anche si trattasse davvero di un luogo di culto di Romolo, la cosa non deve essere necessariamente
intesa come una prova dell’esistenza storica del primo re di Roma ma, semplicemente, dell’antichità della
tradizione che ne faceva il fondatore della città.

La storiografia moderna
Le origini di Roma sono a volte nell'incertezza per noi, come lo erano per gli antichi.
A partire dalla fine dell’Ottocento, a rivoluzionare prospettive e metodi di ricerca contribuì soprattutto
l’archeologia con nuove scoperte che in molti casi sembrarono confermare la veridicità del racconto
tradizionale sulla Roma arcaica.

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L’impegno degli storici moderni è consistito nel sottoporre a un esame critico, e a un confronto tra loro,
i dati della tradizione, molti dei quali difficilmente accettabili. A questo scopo i risultati della ricerca
archeologica hanno fornito elementi preziosi. Sembra oggi accertato che nel racconto tradizionale devono
essere state fuse due versioni di diverso tipo sulle origini di Roma: una greca, che ricollegava la
fondazione di Roma alla leggenda di Enea, e una indigena, nella quale Romolo rappresentava un mitico
re-fondatore autoctono. Va sottolineato, tuttavia, che il racconto, per quanto fondamentalmente
leggendario, recepisce alcuni elementi che si possono definire sicuramente storici (in particolare la
convivenza tra Latini e Sabini all’origine della storia di Roma.

Roma prima di Roma


I dati più problematici della tradizione riguardano l'episodio leggendario della fondazione di Roma e la
figura del suo fondatore. È difficile infatti immaginare che Roma sia sorta dall’oggi al domani per una
scelta individuale: la nascita della città dovette essere piuttosto il risultato di un processo formativo lento
e graduale, per il quale si deve presupporre una sorta di federazione di comunità separate che già vivevano
sparse sui singoli colli. Sappiamo infatti dell'esistenza di alcuni villaggi sul Palatino già a partire dell'VIII
a.C. mentre secondo la leggenda all'arrivo di Romolo l'aria era disabitata.
Il Palatino è un colle poco più alto di 50 metri sul livello del mare dalla forma di un grosso dado a pianta
trapezoidale. Le origini di Roma si comprendono meglio considerando la posizione della città stessa: a
ridosso del corso del Tevere sul confine di due aree etnicamente differenti ossia la zona etrusca e il Lazio
antico.
Le origini del nome Roma, secondo alcuni è ricondotta al fondatore Romolo anche se probabilmente è il
contrario. Il termine Roma potrebbe derivare dal termine latino “ruma” che significa “mammella” oppure
da “Rumon”: termine del latino arcaico per indicare il fiume Tevere.
Secondo la leggenda Romolo fu esposto nel Tevere insieme al fratello Remo e furono salvati da una Lupa
che li allevò fino a far diventare Romolo il primo re di Roma. La leggenda suggerisce, cioè, che l’area di
Roma fosse sostanzialmente disabitata prima della fondazione della città. Le ricerche archeologiche
hanno però confermato la presenza di tracce di occupazione umana permanente nel sito di Roma a partire
dal 1000 a.C. il che confuta la tradizione. La cultura che si sviluppa in questo periodo è la cultura Laziale
che accresce sempre più la propria importanza sviluppando primi villaggi formati da capanne primitive
realizzati con canne, argilla, paglia e pali di legno. I villaggi, formati da un centinaio persone l'uno,
avevano una struttura interna semplice basata sui legami di parentela, in cui a determinare la posizione
personale erano l'età, il sesso e i ruoli rivestiti all'interno della famiglia e del gruppo. L'attività economica
principale era un’agricoltura di sussistenza, l'allevamento di capi di bestiame e la lavorazione dei metalli.
Verso la fine del IX secolo gruppi di villaggi iniziarono a fondersi e a formare centri abitati più ampi.
Il momento di svolta si ebbe nel VII secolo quando le comunità del Latium vetus (parte del Lazio più
vicina alla sponda sinistra del Tevere) conobbero un forte incremento della popolazione che porto alla
crescita del livello di ricchezza e prosperità, legato probabilmente a un miglioramento delle tecniche
agricole e artigianali.
Secondo quanto delineato da questo quadro risulta quasi impossibile raccordare le ricerche archeologiche
alla tradizione letteraria.
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Il dibattito recente
Per cercare di accordare l’archeologia alle fonti storiografiche è stata privilegiata la leggenda canonica.
La ricerca di tale accordo è finalizzata alla valorizzazione del fondatore di una vera città-Stato eliminando
le versioni non ortodosse e trascurando i dubbi degli stessi antichi.
Purtroppo non ci è pervenuto alcun ricordo della data di fondazione di Roma, la data che conosciamo
(753 a.C.) è frutto di calcoli e ricostruzioni a posteriori. Se questa data appare il prodotto di una
ricostruzione e non di una vera tradizione, è poco plausibile che il fondatore e lo stesso atto di fondazione
possano essere stati invece autenticamente tramandati.

Il pomerio e i riti di fondazione


Il rito di fondazione di una città Italica, ci è stato tramandato da Varrone:
“Molti fondavano nel Lazio le città secondo il rito etrusco, segnando con l’aratro un solco –
ciò era fatto a scopo religioso nel giorno indicato dagli auspici – impiantando poi il muro e la
fossa. Il terreno che si trovava subito oltre le mura era detto pomerio”

Come si desume da questo passo, nella formazione di una città un’importanza fondamentale dal punto di
vista religioso era rivestita dal pomerio (dal latino postmoerium: “ciò che si trova al di là del muro”).
Esso era una linea sacra che delimitava il perimetro della città subito oltre le mura.
Il pomerio però non sempre combaciava con le mura reali, poiché esso era tracciato secondo una
procedura religiosa, mentre le mura rispondevano alle esigenze di difesa del territorio. Poteva così
capitare che tra le due linee ci fosse una notevole distanza.

Lo Stato romano arcaico


Alla base dell'organizzazione sociale dei latini c’era la famiglia, alla cui testa stava il pater, la figura
depositaria del potere assoluto su tutti i componenti della famiglia (compresi schiavi e clienti). Tutte le
famiglie che riconoscevano di avere un antenato comune formavano la gens, un gruppo organizzato
politicamente e religiosamente. La gens fu una componente molto importante in età arcaica e conservò
anche in seguito un ruolo di grande rilievo nella vita politica.
La popolazione dello Stato romano era divisa in gruppi religiosi e militari chiamati curie che
comprendevano tutti gli abitanti del territorio (eccetto gli schiavi) ma non conosciamo le loro modalità
di organizzazione né la loro funzione in età arcaica.
La stessa incertezza regna a proposito di un altro importante raggruppamento, le tribù, la cui creazione
fu attribuita allo stesso Romolo. Le tribù erano originariamente tre: Tities, Ramnes e Luceres (nomi che
fanno pensare ad un origine etrusca). In età più tarda lo Stato si organizzerà suddividendo ogni tribù in
dieci curie e da ogni tribù un saranno scelti cento senatori.

La monarchia romana
La monarchia romana era elettiva ed originariamente il re era affiancato da un consiglio di anziani
composto dai capi delle famiglie più nobili e ricche (questi uomini rappresentavano il nucleo di quello
che successivamente sarebbe stato il senato). Il re era anche il supremo capo religioso e celebrava riti di
culto affiancato da sacerdoti e pontefici

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Patrizi e plebei
Sull'origine della divisione sociale tra patrizi e plebei a Roma regna l’incertezza:
1. Secondo la tradizione i patrizi erano i discendenti dei primi senatori la cui nomina si faceva risalire a
Romolo e i plebei sarebbero stati i loro clienti;
2. Secondo alcuni i patrizi sarebbero stati i latini abitanti nel Palatino mente i plebei sarebbero i Sabini
abitanti del Quirinale, entrati a far parte della città in una condizione di inferiorità;
3. Secondo altri i patrizi sarebbero i grandi proprietari terrieri mentre i plebei corrisponderebbero alle
classi degli artigiani e dei ceti emergenti economicamente, tenuti in una condizione politica di
inferiorità.
Nessuna di queste teorie appare del tutto soddisfacente, è probabile che la differenziazione tra patrizi e
plebei sia il punto di arrivo di un’evoluzione sociale complessa. Essa forse non esisteva neppure nella
fase più arcaica della storia di Roma.

L’influenza etrusca
Roma ebbe un notevole sviluppo nel sesto secolo soprattutto grazie l'influenza etrusca che ha lasciato
segni visibili nella tradizione. Una figura importante di origine etrusca è quella di Tarquinio Prisco che
secondo la tradizione è figlio di un greco, Demarato, che giunto Tarquinia sposa una giovane aristocratica
locale. Alla morte del padre Tarquinio, che non poteva accedere al governo della città poiché straniero,
decide di trasferirsi a Roma, città che accoglieva calorosamente gli stranieri. Qui si guadagna il favore
di Anco Marzio e, alla morte di quest'ultimo, viene eletto come suo successore.

Servio Tullio e Tarquinio il Superbo


Servio Tullio nato una schiava di nome Ocresia e da un Tullio, signore di Cornicoli, sarà molto caro a
Tanaquilla, moglie di Tarquinio e verrà educato alla corte del re. Si dice che da bambino fosse scampato
alla morte durante un incendio e quel momento gode di una protezione a corte che lo condurrà a sposare
la figlia di Tarquinio. Quando Tarquinio fu assassinato dai figli di Anco Marzio, Servio assunse i poteri
regi grazie a Tarquinia che, nascondendo la morte del marito, gli affida una carica provvisoria, così che
il popolo potesse abituarsi alla sua figura come nuovo re. Servio Tullio sarà subito benvoluto dal popolo
così dopo circa una settimana verrà rivelata la morte effettiva di Tarquinio e Servio ne prenderà
ufficialmente il posto come re. L’ascesa al trono di Servio Tullio non sarà dunque pienamente legittima
dato che non fu mai eletto.
La figura di Tarquinio il Superbo possiede i connotati tipici del tiranno greco. Fu promotore di grandi
opere pubbliche e di una politica espansionistica, ma fu sempre malvisto dal popolo. Secondo la
tradizione fu cacciato da una congiura capeggiata da Publio Valerio detto Publicola che avrebbe poi
instaurato la Repubblica.

La “grande Roma” dei Tarquini


Il quadro politico del Lazio appare, al momento dell’avvento dei Tarquini, decisamente condizionato
dalle espansionismo romano. Roma partecipa, a partire dalle seconda metà del VII secolo al generale
sviluppo urbanistico dell'Italia centrale che darà origine alle primavere organizzazioni politiche con
caratteristiche di città. Il primo segnale di cambiamento certo risale al 650 a.C. quando venne realizzata
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la prima pavimentazione dibattuto rudimentale; di lì a poco si formeranno le prime case permanenti in
pietra con tetti di tegole e si costruiranno i primi edifici pubblici, il più antico dei quali è la regia, luogo
di residenza del re nel foro. Successivamente verranno realizzati diversi complessi monumentali.
La famiglia
La famiglia romana è la prima forma di aggregazione che si sostituisce al primitivo legame basato sui
vincoli di sangue. La famiglia era un raggruppamento sociale molto ampio, diverso dal concetto di
famiglia nucleare odierno. La familia era presieduta dal capofamiglia, il paterfamilias, a cui spettava il
controllo dell’intero gruppo e dei suoi beni e che possedeva autorità su tutti i membri della famiglia. Il
vincolo principale della famiglia romana non era rappresentato dai legami contratti con il matrimonio,
ma piuttosto dal potere (potestas) del pater sulle persone che riconoscevano la sua autorità (moglie, figli
nati dal matrimonio, figli adottati, clienti, schiavi). In età arcaica il primo diritto del padre era quello di
rifiutare i figli alla nascita, persino i figli legittimi potevano divenire parte della famiglia solo mediante
atto formale. Tra i vincoli fondamentali della famiglia romana vi era quello religioso, infatti i riti familiari
(sacra privata) si trasmettevano di padre in figlio e la loro osservanza era assolutamente doverosa.
Un aspetto particolare del diritto romano prevedeva che un figlio, a prescindere dall’età, rimanesse sotto
l’autorità del padre sino a quando esso era in vita.

La donna
Nella Roma arcaica il ruolo della donna aristocratica che riceveva l'educazione intellettuale non si
esauriva nella sulla vita domestica La moglie accompagnava il marito durante la vita pubblica e
condivideva con lui il compito dell'educazione dei figli. La donna era soggetta all’autorità dell'uomo, il
potere del marito sulla moglie (manus) non aveva limiti, egli poteva punirla se aveva commesso una
mancanza (per esempio aver bevuto vino durante un convitto) o ucciderla impunemente in caso di
adulterio. I matrimoni romani erano vietati prima dei dodici anni di età ma venivano comunque combinati
molto prima dai padri attraverso un’apposita cerimonia di fidanzamento detta sponsalia. Lo scopo
principale del matrimonio era quello di avere figli legittimi, così le donne sterili venivano quasi sempre
ripudiate e costrette a tornare alla casa del padre.
Esistevano tre forme diverse per contrarre un matrimonio:
- Confarreatio: divisione di una focaccia di farro tra i due sposi;
- Mancipatio: una sorta di atto di compravendita
- Usus: interrotta convivenza dei coniugi per un anno.
Il matrimonio poteva essere interrotto attraverso:
- Divorzio: un atto informale e consensuale
- Ripudio: consisteva nella separazione di fatto dei coniugi, di solito quando la moglie veniva cacciata.

Agricoltura e alimentazione
L'agricoltura di Roma nell'età arcaica era un’agricoltura di sussistenza, limitata dalle condizioni
sfavorevoli del terreno e consisteva nella produzione di cereali, farro, orzo e farrago (legume). Questi
cereali erano la base del sostenimento sia della popolazione romana sia del bestiame da allevamento.

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La proprietà della terra in Roma antica
La questione sull’originaria forma di proprietà agraria a Roma è ancora aperta e controversa. Rispetto a
un’originaria proprietà collettiva della terra, la prima forma di proprietà era limitata alla casa e all'orto
circostante (heredium) mentre le terre arabili e adibite al pascolo erano escluse.

L’ideologia “indoeuropea” nei racconti sulle origini di Roma


Il termine indoeuropei identifica una popolazione vissuta nella grande pianura russa tra il VI e il III
millennio a.C. che successivamente (tra il III e il II millennio a.C.) si spostò in diverse direzioni. In
genere gli indoeuropei imponevano la loro lingua i popoli conquistati ma ne adottavano la scrittura. Sono
così, almeno in parte, ricostruibili i rapporti di dipendenza tra le varie lingue e quella madre, che si
presuppone originaria. Nel corso secondo millennio a.C. sono presenti Indoeuropei in Turchia, Grecia,
Italia, India, Iran, Francia, Est Europa.
Uno studioso francese, GEORGES DUMÉZIL, ha cercato di ricostruire l’universo mentale degli Indoeuropei.
L’idea centrale che ci dà un’immagine del mondo secondo gli Indoeuropei è quella che Dumézil definisce
ideologia trifunzionale. Il presupposto è che gli indoeuropei cogliessero e analizzassero il mondo
attraverso un riferimento costante a tre ambiti o “funzioni” distinte ma tra loro complementari:
- La potenza del sovrano che si manifesta secondo l'aspetto magico e giuridico;
- La forza fisica in particolar modo quella del guerriero;
- La fecondità degli uomini degli animali della natura.

Secondo Dumézil le vicende intorno all’origine di Roma; dal ratto delle Sabine (fecondità), alla figura
di Servio Tullio (potenza del sovrano), alla teologia romana (forza); sono in realtà il frutto di schemi
narrativi e scenari ereditati dal sostrato indoeuropeo, che ciascuna cultura ha poi utilizzato secondo
parametri propri.

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Parte seconda
La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi
Capitolo 1
La nascita della Repubblica
Le fonti
Le fonti narrative che descrivono la nascita della Repubblica risalgono ad autori essenziali già per il
periodo monarchico come: DIONIGI DI ALICARNASSO, TITO LIVIO, DIODORO SICULO, PLUTARCO e CASSIO
DIONE.
Le opere storiografiche di questi autori hanno in comune il fatto di essere state scritte a notevole distanza
di tempo degli eventi che narravano. Esse si fondavano su opere per noi oggi perdute di carattere
annalistico. Di grande importanza per lo studio delle istituzioni di Roma è la letteratura antiquaria: le
opere di PLINIO IL VECCHIO, MACROBIO e TERENZIO.
Rari ma importanti sono i documenti epigrafici come i Fasti consolari e i Fasti Capitolini che consistono
nelle liste dei magistrati eponimi della Repubblica i quali davano il nome all'anno in corso; essi sono
giunti fino ai giorni nostri attraverso la tradizione letteraria.

La tradizione storiografica sulla nascita della Repubblica


La storiografia antica sulla nascita della Repubblica presenta un quadro chiaro: Sesto Tarquinio, figlio
dell'ultimo re etrusco di Roma, respinto dalla giovane aristocratica Lucrezia la violenta. La giovane prima
di suicidarsi narra tutto al padre Spurio Lucrezio, al marito Lucio Tarquinio Collatino e agli amici Giunio
Bruto e Publio Valerio Publicola. Guidata da questi aristocratici, scoppia una rivolta, che porta alla caduta
della monarchia (nel 510 a.C.) l'anno successivo, il 509 a.C. è il primo anno della Repubblica in cui poteri
del re vengono conferiti a due magistrati eletti dal popolo chiamati consoli uno dei quali è Bruto.
Questa tradizione presenta tratti leggendari e concentra la propria attenzione su elementi drammatici
senza spiegare i reali motivi che hanno portato alla caduta del regime monarchico a Roma. La ricerca
storiografica si è dunque posta come obiettivo quello di discernere gli elementi autentici da quelli che
sono semplicemente frutto di un abbellimento letterario.

I fasti
I Fasti sono liste di magistrati eponimi della Repubblica, di quei magistrati cioè che davano il nome
all’anno in corso, secondo il computo cronologico dei Romani. I Fasti ci sono giunti sia attraverso la
tradizione letteraria sia attraverso alcuni documenti epigrafici.
Le incongruenze tra le diverse versioni dei Fasti, l’inserimento di alcuni anni di anarchia in cui non
vennero eletti magistrati o nei quali la funzione eponima venne assolta da un dittatore e non dai due
consoli e la comparsa fra i consoli eponimi, nella prima metà del V secolo a.C., di diversi personaggi di
gentes plebee, hanno suscitato diversi dubbi sull’attendibilità delle liste di magistrati, almeno per la fase
più antica.
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La fine della monarchia e la creazione della Repubblica
La storia della violenza subita da Lucrezia contiene elementi di drammatizzazione che ricordano le
vicende della caduta di diverse tirannidi greche e che ne minano la credibilità. Sia essa autentica o meno,
comunque non spiega i motivi profondi della caduta della monarchia. Il ruolo preminente che un ristretto
gruppo di aristocratici ebbe nella caduta dei Tarquini e il ruolo di rilievo che il patriziato ebbe nei primi
anni della Repubblica, inducono a pensare che la fine della monarchia sia da attribuire a una rivolta del
patriziato contro il carattere autocratico della monarchia nei suoi ultimi anni.
Questo non significa che, subito dopo la caduta dei Tarquini, si sia immediatamente stabilito un regime
repubblicano. È quasi certo che subito dopo la caduta della monarchia vi fu un periodo confuso in cui
Roma appare in balia di re e condottieri.

La data della creazione della Repubblica


Gli antichi avevano fissato una coincidenza cronologica tra la storia di Roma e quella di Atene: infatti il
510 a.C. corrisponde all'anno in cui il tiranno Ippia, dei Pisistratidi, era stato cacciato da Atene. Dal
momento che si possono rintracciare altre analogie tra la fine dei Tarquini e quella dei Pisistratidi, il
sospetto che la cronologia della fondazione della Repubblica a Roma sia stata adattata per creare un
parallelismo con Atene non è illegittimo. Tuttavia alcuni elementi avvalorano la datazione tradizionale
della creazione della Repubblica romana, seppure non esatta all’anno, non lontana dalla realtà.

I supremi magistrati della Repubblica, i loro poteri e i loro limiti


La tradizione storiografica antica concorda nell’affermare che i poteri appartenenti al re passarono
immediatamente in blocco a due consules, o praetores, cioè i massimi magistrati della neonata
Repubblica. Eletti dai comizi centuriati, ai consoli spettava il compito di comandare l'esercito, mantenere
l'ordine all'interno della città, esercitare la giurisdizione civile e criminale, convocare il senato e le
assemblee popolari, occuparsi del censimento e compilare le liste dei senatori. Solo alcune della funzioni
religiose dei monarchi sarebbero state trasferite ai consoli, le altre spettavano a un sacerdote di nuova
istituzione, il rex sacrorum (re delle cose sacre) che non poteva rivestire alcuna carica politica, ma solo
quella religiosa. I poteri autocratici di cui erano dotati i due consoli erano sottoposti ad alcuni importanti
limiti, in primo luogo la loro carica era limitata a un anno (annualità), ciascuno dei magistrati aveva
eguali poteri e poteva quindi opporsi all'azione del collega se ritenuta dannosa per lo Stato (collegialità),
erano inoltre legati al volere del popolo che li aveva eletti e ogni cittadino, in caso di condanne capitali
inflitte dai consoli, poteva appellarsi alla provocatio ad populum: il giudizio di un’assemblea popolare
che poteva revocare la condanna stessa. La versione tradizionale sull’origine dei consoli è stata messa in
dubbio poiché alcuni studiosi ritengono che i poteri del re siano stati trasferiti inizialmente ad un solo
magistrato affiancato da alcuni assistenti e solo più tardi i consoli siano diventati due.

Le alte magistrature
Le crescenti esigenze dello Stato indussero alla progressiva creazione di nuove magistrature che
sollevassero i consoli di alcune competenze. Risalirebbero al periodo regio o al primo anno della
Repubblica i questori, due magistrati che assistevano i consoli nelle attività finanziarie, disegnati in un
primo tempo dai consoli stessi e successivamente designati in seguito a elezione. Nel 443 a.C., poi, il
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compito di tenere il censimento fu sottratto alle competenze dei consoli e affidato a due nuovi magistrati,
i censori.

La dittatura
In caso di necessità, i supremi poteri della repubblica potevano essere affidati ad un dittatore, magistrato
che non veniva eletto ma da un’assemblea popolare ma nominato dal senato. Il dittatore non era
affiancato da colleghi con eguali poteri ma era assistito da un magister equitum (comandante della
cavalleria) da lui personalmente scelto e a lui subordinato. Contro il volere del dittatore non valeva
l’appello al popolo o l’opposizione del veto da parte dei tribuni della plebe. Dati i poteri straordinari di
questa magistratura, la sua durata venne limitata a un massimo di sei mesi, anche se, quasi sempre, il
dittatore deponeva la carica non appena la situazione di crisi per la quale era stato nominato veniva risolta.

I sacerdozi e la sfera religiosa


A Roma, in età repubblicana, non si può tracciare una distinzione netta tra cariche politiche e cariche
religiose: la medesima persona poteva rivestire contemporaneamente una magistratura e un sacerdozio.
Costituiscono un’eccezione in questo senso, oltre al rex sacrorum, i flamini considerati la
personificazione terrena del dio stesso, in particolar modo le tre supreme divinità a Roma: Giove, Marte
e Quirino erano rappresentate dai flamines Dialis, flamines Martialis e flamines Quirinalis; vi erano
poi dodici flamini ricondotti ad altrettante divinità.
I tre più importanti collegi religiosi, quello dei pontefici, degli àuguri e dei duoviri sacris faciundis,
avevano poteri che sfociavano anche nella politica.
Il collegio dei pontefici guidato dal pontefice massimo, costituiva la massima autorità religiosa dello
Stato, nominava i tre flamini maggiori e, al di fuori dalla sfera religiosa, aveva il controllo sulla tradizione
e l'interpretazione delle norme giuridiche.
Il collegio degli àuguri aveva invece la funzione di assistere i magistrati durante gli auspici e di
interpretare la volontà degli dei attraverso l’osservazione del volo degli uccelli o di altri fenomeni naturali,
come ad esempio tuoni e fulmini.
Infine, il collegio dei duoviri sacris faciundis aveva il compito di custodire i Libri Sibillini,
un'antichissima raccolta di oracoli in greco, nel caso si verificassero prodigi nefasti il senato chiedeva al
collegio di consultare i Libri per trovarvi una soluzione.
Accanto ai tre collegi sacerdotali maggiori si possono ricordare gli aruspici, incaricati di chiarire la
volontà divina al pari degli àuguri, mediante l’esame delle viscere delle vittime sacrificali. I feziali
avevano invece un’importanza rilevante in politica estera, essi infatti avevano la funzione di dichiarare
guerra attenendosi scrupolosamente al cerimoniale previsto per assicurare a Roma il favore degli dei.

Il senato
Il vecchio consiglio regio, formato dai capi delle famiglie nobili, sopravvisse alla caduta della monarchia
prendendo il nome di senato, divenne il perno della nuova Repubblica a guida patrizia (dai patres). Il
principale strumento istituzionale in possesso del senato per influire sulla vita politica della Repubblica
era costituito dalla auctoritas patrum, cioè il potere di convalida, da parte del senato, delle deliberazioni
delle assemblee popolari. Inoltre, a fronte di magistrati la cui carica durava in genere un solo anno, quella
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dei senatori (ex magistrati) era vitalizia. Nel senato insomma si concentrò l’esperienza politica della
repubblica e trovò espressione continuativa e compiuta la leadership politica dell’élite sociale ed
economica di Roma, costituita prima dal patriziato e in un secondo momento dalla nobiltà patrizio-plebea.

La cittadinanza e le assemblee popolari


Il terzo pilastro, oltre alle magistrature e al senato, sul quale si ressero le istituzioni romane è costituito
dalle assemblee popolari alle quali partecipavano i maschi adulti di libera condizione in possesso del
diritto di cittadinanza che si acquisiva per nascita. A Roma non esisteva una sola assemblea popolare ma
quattro:
- I comizi curiati i cui compiti sono riferibili al diritto familiare (delle gentes);
- I comizi centuriati fondati sulla ripartizione della cittadinanza in classi di censo e all'interno di queste,
in centurie. La funzione più importante dell’assemblea era quella elettorale: spettava ai comizi
centuriati l’elezione dei consoli e degli altri magistrati. Il meccanismo dei comizi centuriati prevede
che le risoluzioni siano prese non a maggioranza dei voti individuali ma a maggioranza delle unità di
voto costituite dalle centurie, assicurando così un consistente vantaggio all’elemento più facoltoso e
anziano. Le centurie infatti non avevano tutte lo stesso numero di componenti:

Classe Censo Centurie


Cavalieri oltre 100.000 assi 18 Centurie
I Classe oltre 100000 assi 80 Centurie 98 centurie
II Classe oltre 75000 assi 20 Centurie
III Classe oltre 50000 assi 20 centurie
IV classe oltre 25000 assi 20 Centurie
V Classe oltre 11000 assi 30 Centurie 95 centurie
VI Classe Fabbri oltre 11000 assi 2 Centurie
VII Classe Suonatori di corno oltre 11000 assi 2 Centurie
VIII Classe meno di 11000 assi 1 Centuria

- I comizi tributi a cui viene affidata l'elezione dei questori. In questa assemblea il popolo votava per
tribù territoriali che, secondo la tradizione, erano state istituite da Servio Tullio. Questi comizi
apparentemente sono più equi rispetto ai comizi centuriati (dove i ricchi e gli anziani erano
privilegiati), sappiamo però che vi erano comunque delle disuguaglianze: il numero di tribù rurali
crebbe nel tempo (arrivando a 31) mentre il numero di tribù urbane rimase fisso a 4 avvantaggiando
le popolazioni delle campagne che possedevano così un peso maggiore durante la votazione.
- I concili della plebe che avevano il compito di eleggere i tribuni della plebe e gli edili plebei
(magistrati rappresentanti la plebe).

I poteri di tutte queste assemblee popolari erano però limitati poiché esse non potevano autoconvocarsi
né assumere alcuna decisione autonoma: spettava infatti ai magistrati che le presiedevano indire il
comizio, stabilire l’ordine del giorno e sottoporre al voto le proposte di legge, che l’assemblea poteva
accettare o respingere ma non modificare. Inoltre, un presagio infausto poteva far decidere au consoli, su
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avvertimento degli àuguri, di non convocare i comizi popolari: talvolta si è fatto uso di questa prerogativa
al fine di bloccare risoluzioni indesiderate.

Le assemblee popolari in età repubblicana

Il dibattito sulla natura del regime repubblicano


Il carattere frammentario poco organico delle istituzioni repubblicane deriva dal fatto che esse si
svilupparono gradualmente nel tempo e senza un ordine politico e amministrativo.

Capitolo 2
Il conflitto tra patrizi e plebei
Le fonti
A partite dalla nascita della Repubblica sino al 287 a.C. Roma è caratterizzata dai contrasti tra patriziato
e plebe. La differenza tra patrizi e plebei si reggeva su diversi fattori: origine, ricchezza, attività esercitata,
prestigio sociale. Le principali fonti narrative riguardanti la politica interna di Roma nel V secolo a.C. e,
dunque, anche il conflitto patrizi-plebei sono Dionigi di Alicarnasso, Livio, Diodoro, Cassio Dione,
Plutarco e in generale tutta la letteratura antiquaria.

Il problema economico
Il conflitto tra patrizi e plebei interessò diversi piani, il primo fu quello economico. La caduta dei Tarquini
del V a.C. e il crollo del dominio Etrusco in Campania causò indirettamente un grave danno a Roma, che
era prosperata anche grazie alla sua funzione di punto di passaggio tra l’Etruria e la Campania. Lo stato

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quasi permanente di guerra tra Roma e gli stati vicini provocò inoltre continue razzie e devastazioni dei
campi, ciò causò gravi carestie che lasciarono la popolazione, indebolita dalla fame, in balìa di continue
epidemie. Gli effetti di questa crisi colpirono soprattutto i piccoli agricoltori che per sopravvivere furono
costretti di indebitarsi nei confronti dei più ricchi proprietari terrieri, in particolare chiedendo loro in
prestito le sementi. Accadeva di frequente che il debitore, per estinguere il proprio debito fosse costretto
a mettersi al servizio del creditore: è l’istituto del nexum, che riduceva coloro che ne erano vincolati ad
una condizione simile a quella di uno schiavo. Davanti alla crisi economica la plebe richiedeva una
mitigazione delle norme sui debiti, in particolare riguardo il tasso massimo di interesse e la condizione
dei debitori insolventi e una più equa distribuzione dei terreni statali.

Il problema politico
Gli strati più ricchi della plebe erano meno interessati alla crisi economica e rivendicavano invece equità
sul piano politico, in particolare veniva chiesta una parificazione dei diritti politici tra i due ordini e la
stesura di un codice scritto di leggi, che ponesse i cittadini al riparo dalle applicazioni arbitrarie delle
norme da parte di coloro che fino a quel momento erano depositari del potere giuridico: i patrizi riuniti
nel collegio dei pontefici.

Le strutture militari e la coscienza della plebe


Col passare del tempo i plebei presero coscienza della propria importanza all'interno della società
rivendicando equità anche sul piano civile. A Roma l’esercizio dei diritti civili era direttamente connesso
alle sue capacità di difendere lo Stato con le armi. È così comprensibile come la definitiva presa di
coscienza della plebe si verificò proprio durante il V secolo a.C., quando si affermò definitivamente un
nuovo modello tattico in cui i fanti con armatura pesante (opliti) combattevano l'uno al fianco dell'altro
in una formazione chiusa chiamata falange. Il sistema chiamato oplitico-falangitico, proveniente dal
mondo greco, eclissa il modello di combattimento aristocratico fondato sulla cavalleria. La fanteria
pesante il perno dell’esercito romano È importante il fatto che la legione fosse reclutata su base censitaria,
dunque senza fare distinzione tra patrizi e plebei. A questo proposito era impensabile che degli uomini
decisivi sul campo di battaglia potessero essere esclusi dalla vita politica, economica e sociale dello Stato.

La prima secessione e il tribunato della plebe


Il conflitto tra i due ordini si apre nel 494 a.C., anno in cui la plebe, esasperata dalla crisi economica,
organizza uno sciopero generale lasciando la città priva della sua forza lavoro e indifesa contro le
aggressioni esterne. Questa forma di protesta viene attuata dalla plebe ritirandosi sull’Aventino
(secessione dell’Aventino o prima secessione).
La plebe si dette propri organismi politici:
- Un’assemblea generale chiamata concilia plebis tributa che poteva emanare dei provvedimenti che
prendevano il nome di plebiscita (decisioni della plebe).
- Furono scelti dei rappresentanti: i tribuni della plebe inizialmente due poi, col passare del tempo,
crebbero fino a dieci. I tribuni della plebe possedevano diversi poteri tra i quali lo Ius auxilii, ossia
il diritto di intervenire a favore di un cittadino contro l'azione di un magistrato, lo Ius intercessionis,
ossia il diritto di porre il veto su qualsiasi provvedimento di un magistrato e lo Ius sacrosanctitas,
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ossia di inviolabilità personale (chi avesse commesso violenza contro i rappresentanti della plebe
dopo un regolare voto del concilium plebis sarebbe divenuto sacer, consacrato alla divinità, cioè
messo a morte). I tribuni assunsero il potere di convocare e presiedere l'assemblea della plebe e di
sottoporre ad essa le proprie proposte. Il tribuno aveva obblighi nei confronti della plebe, infatti non
poteva trascorrere la notte al di fuori della città e la porta della sua casa doveva sempre essere lasciata
aperta in caso di necessità di assistenza ai plebei.
- Gli edili plebei, altri due rappresentanti della plebe affiancati ai tribuni, che avevano il compito di
organizzare i giochi, sorvegliare i mercati, controllare le strade, i templi e gli edifici pubblici.

La prima secessione approda a un risultato essenzialmente politico: il riconoscimento da parte dello Stato
a guida patrizia dell’organizzazione interna della plebe, con la sua assemblea e i suoi rappresentanti. Il
problema dei debiti rimase invece per il momento irrisolto. Della crisi economica cerco di approfittare Il
console SPURIO CASSIO nel 486 proponendo una legge che ridistribuisse le terre, egli venne accusato di
aspirare alla tirannide e condannato a morte (con la collaborazione della plebe stessa). Da questa vicenda
possiamo supporre che il disagio economico della plebe povera sia stato in qualche misura
strumentalizzato dalle famiglie plebee più facoltose ed influenti per raggiungere le conquiste politiche
alle quali maggiormente erano interessate.

Il Decemvirato e le leggi delle XII tavole


Dopo aver ottenuto il riconoscimento di una propria organizzazione politica interna, la plebe incominciò
a premere affinchè fosse redatto un codice di leggi scritto. Nel 451 a.C. venne nominata una commissione
composta da dieci uomini, unicamente patrizi, chiamata decemvirato e incaricata di stendere il primo
codice giuridico scritto. Le tradizionali magistrature repubblicane vennero sospese per impedire che, con
i loro veti incrociati, potessero paralizzare l’azione dei decemviri. Nel corso del primo anno di attività
i decemviri compilarono un complesso di norme che vennero pubblicate su dieci tavole di legno esposte
nel Foro. Rimanevano tuttavia dei punti irrisolti perciò nel 450 a.C. venne convocata una seconda
commissione decemvirale in cui vi erano anche i plebei. La nuova commissione aggiunse altre due tavole
alle precedenti, portandole a un totale di XII Tavole. La commissione, sotto la spinta del suo membro
più influente, APPIO CLAUDIO, cerco di prorogare i propri poteri assoluti. Il tentativo si scontrò con
l’opposizione della plebe e degli elementi più moderati del patriziato. Come ai tempi della caduta della
monarchia, è la violenza nei confronti di una giovane e far precipitare la situazione: la violenza di Appio
Claudio nei confronti di Virginia, figlia di un valoroso centurione, provoca una seconda secessione a
seguito della quale i decemviri furono costretti a deporre i loro poteri.

Tribuni militari con poteri consolari


Il plebiscito fatto votare da CAIO CANULEIO, nel 445 a.C., era volto a riconoscere la legittimità dei
matrimoni misti tra patrizi e plebei, vietati precedentemente dalle XII tavole. Il sangue plebeo poteva
dunque legittimamente mescolarsi con quello patrizio, diventava così difficile escludere un plebeo, nelle
cui vene scorresse almeno un po’ di sangue patrizio, dal consolato.
Il patriziato, vedendo minacciato il suo monopolio al consolato, ricorre, a partire dal 444 a.C., a un
espediente: i due consoli, esclusivamente patrizi, sarebbero stati assistiti nei loro compiti da alcuni
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tribuni militum, che potevano essere anche plebei, dotati di poteri equiparati a quelli dei consoli. Tuttavia,
almeno fino al 401 a.C. tutti i tribuni militari furono comunque di provenienza patrizia.

Le leggi Licinie Sestie


Nel 387a.C. per rispondere al bisogno di terre da coltivare dalla plebe indigente, parte del territorio di
Veio e di Capena, conquistato pochi anni prima, viene suddiviso in piccoli appezzamenti e distribuito ai
cittadini romani, con la creazione di quattro nuove tribù territoriali.
La produttività dei campi restava però tuttavia insufficienti per l’autosussistenza di una sola famiglia;
per questa ragione, i contadini romani, speravano di poter coltivare, oltre ai terreni di loro proprietà
privata, anche porzioni di ager publicus (campi pubblici). Ogni cittadino romano aveva infatti il diritto
di occupare tanto ager publicus quanto era in grado di coltivarne, ma questa consuetudine andava a
vantaggio dei patrizi che, grazie ai loro mezzi economici e ai loro clienti potevano procurarsi una
numerosa manodopera dipendente, finendo così per occupare tutte le terre pubbliche. Tale situazione è
il principale motivo delle lotte agrarie a Roma.
Nel 387 a.C. MARCO MANLIO CAPITOLINO propose una riduzione dei debiti e una nuova legge agraria
ma nella sua riforma fu vista una minaccia alla tirannide perciò egli venne condannato a morte.
Nel 376 a.C. i tribuni della plebe CAIO LICINIO STOLONE e LUCIO SESTIO LATERANO tentarono una nuova
iniziativa in questo senso presentando una serie di proposte riguardanti il problema dei debiti, la
distribuzione delle terre e l'accesso dei plebei al consolato. Le proposte dei due tribuni infine assunsero
valore di legge (leggi Licine Sestie):
1. La prima legge facilitava il pagamento dei debiti eliminando gli interessi e prevedendo che il debito
stesso potesse essere restituito in tre rate annuali.
2. La seconda legge consentiva una migliore distribuzione delle terre a favore dei plebei più poveri.
3. La terza stabiliva che i plebei potessero accedere al consolato: uno dei due consoli doveva essere
necessariamente plebeo

Nel 366 vennero inoltre create due nuove cariche riservate ai patrizi, considerate come una sorta di
compenso per la perdita del monopolio sul consolato:
- Il pretore che aveva compito di amministrare la giustizia tra i cittadini romani e poteva, in caso di
necessità, essere messo alla testa di un esercito, anche se i suoi poteri erano subordinati a quelli dei
consoli.
- Gli edili curuli che avevano il compito di organizzare i Ludi maximi e i Ludi romani, i giochi connessi
al culto di Giove Ottimo Massimo che in precedenza erano gestiti dai consoli. Si occupavano inoltre,
come gli edili plebei, dell’ordine pubblico, della sicurezza, delle strada, degli edifici pubblici e
dell’approvvigionamento dei mercati.

Verso un nuovo equilibrio


Le leggi Licinie Sestie 367 a.C. segnarono la fine della fase di contrapposizione tra patrizi e plebei. Nel
342 a.C. venne proposto un plebiscito di LUCIO GENUCIO che ammise la possibilità che i consoli fossero
entrambi i plebei, da questo momento almeno uno dei due consoli eletti ogni anno fu di origine plebea.
La prima coppia di consoli entrambi i plebei risale al 172 a.C. Dopo aver consentito ai plebei di rivestire
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la massima magistratura dello repubblicana, nei decenni successivi questi ebbero progressivamente
accesso a tutte le altre cariche dello Stato.
Nel 326 a.C. la legge Petelia Papiria aboliva la schiavitù per debiti. La fine di questo istituto non segnò
la soluzione del problema dei debiti ma fu comunque un importante momento di trasformazione delle
condizioni economiche, imponendo di sostituire in qualche modo i nexi come forza lavoro: nei decenni
successivi in effetti si assiste a un sempre più massiccio impegno di prigionieri di guerra ridotti in
condizione di schiavitù. Al di là degli effetti della legge Petelia Papiria, la più efficace risposta ai
problemi economici della plebe venne dalla conquiste, che misero a disposizione vaste estensioni di terre.

La censura di Appio Claudio Cieco


Il censore APPIO CLAUDIO CIECO è ricordato come un deciso riformatore. Egli, in occasione della censura
del 312 a.C., incluse nella lista dei senatori anche persone che non avevano mai rivestito alcuna
magistratura. Una seconda misura riguardò la composizione delle tribù: il suo scopo era quello di favorire
i membri della plebe urbana, tra i quali anche numerosi liberti, consentendo loro di iscriversi in qualunque
delle tribù esistenti.
Entrambe le riforme incontrarono una decisa opposizione, infatti nel 311 a.C. i consoli rifiutarono di
riconoscere la nuova lista di senatori e continuarono a convocare il senato sulla base dei vecchi elenchi.
Nel 304 a.C. respinsero anche la seconda riforma, confinando ancora una volta i plebei di Roma nelle
quattro tribù urbane.
È opportuno ricordare un altro provvedimento che, pur non essendo attribuito ad Appio Claudio, si
inquadra perfettamente sulla stessa linea politica del censore. Il censo dei singoli cittadini, fino ad allora
calcolato in base ei terreni e ai capi di bestiame posseduti, fu valutato a partire da questa età anche in
base al capitale mobile, in metallo prezioso, consentendo anche a coloro che non erano impegnati nelle
tradizionali attività agricole e nell’allevamento, in particolare artigiani e commercianti, di avere un nuovo
peso politico. Sarà in questi stessi anni che Roma conierà la sua prima vera e propria moneta.
Ad Appio Claudio è invece attribuita la costruzione di due opere pubbliche di importanza epocale:
l’acquedotto della città e la via che congiungeva Roma a Capua (la via Appia)

La legge Ortensia
Nel 287 a.C. venne promulgata la legge Ortensia considerata il punto di arrivo della lunga lotta fra patrizi
e plebei: essa fu emanata dal plebeo QUINTO ORTENSIO nominato dittatore e stabiliva che i plebisciti
votati dall’assemblea della plebe dovevano avere valore per tutta la cittadinanza.

La nobilitas patrizio-plebea
L'emanazione delle leggi Licinie Sestie e le grandi conquiste fatte della plebe tra la fine del IV e gli inizi
del III secolo a.C. chiusero per sempre l'età del dominio esclusivo dei patrizi sullo stato e causarono le
eclissarsi di molte stirpi patrizie a dispetto invece dello sviluppo di famiglie plebee più ricche: si creò la
cosiddetta nobiltà patrizio-plebea anche chiamata nobilitas (cioè formata da nobilis che significa noti,
illustri, cioè coloro che avevano già raggiunto il consolato o discendevano in linea diretta da un console).
La nobiltà patrizio-plebea si rivelò chiusa e legata ai propri privilegi tanto quanto il vecchio patriziato.
L’accesso alle magistrature superiori era di regola riservato ai membri di poche famiglie. La nobilitas
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divenne tanto esclusiva che i pochi personaggi pur non avendo antenati nobili raggiunsero i vertici della
carriera politica venivano definiti homines novi. Per poter accedere alle cariche politiche, pur non
appartenendo alla nobiltà, bisognava necessariamente discendere da una famiglia facoltosa, il limite di
censo richiesto per poter intraprendere la carriera politica era infatti inizialmente di 100.000 assi e
successivamente venne elevato a 1.000.000 di assi.

Le magistrature in età repubblicana


Magistratura Numero Durata carica Elezione Poteri
Dittatore 1 6 mesi massimo Nominato da un console Potere supremo, soprattutto in
ambito militare
Censori 2 18 mesi Eletti dai comizi Censimento, compilazione delle
centuriati liste dei senatori
Consoli 2 1 anno Eletti dai comizi Comando esercito, presidenza
centuriati del senato e dei comizi, controllo
degli auspici.
Pretore 1 1 anno Eletti dai comizi Amministrare la giustizia tra i
centuriati cittadini romani e poteva, in caso
di necessità, essere messo alla
testa di un esercito
Edili plebei 2 1 anno Eletti dal concilio della Tesorieri della plebe.
plebe
Edili curiati 2 1 anno Eletti dai comizi tributi Organizzare i Ludi maximi e i
Ludi romani, i giochi connessi al
culto di Giove Ottimo Massimo.

Tribuni della In origine 2 1 anno Eletti dal concilio della Presidenza del concilio della
plebe poi 10 plebe plebe
Questori Inizialmente 2 1 anno Inizialmente designati Competenze finanziarie
poi aumentano dai consoli, poi eletti dai
concili tributi

Capitolo 3
La conquista dell’Italia
Le fonti
Le principali fonti letterarie riguardanti le conquiste di Roma in Italia sono DIONIGI DI ALICARNASSO,
DIODORO SICULO, LIVIO, CASSIO DIONE, APPIANO DA ALESSANDRIA, PLUTARCO e POLIBIO; a questi si
sommano alcuni documenti epigrafici come i Fasti trionfali o le laminette auree di Pyrgi (città lungo la
costa tirrenica a nord di Roma) e numerose fonti archeologiche.

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La situazione del Lazio alla caduta della monarchia di Roma
Alla caduta della monarchia Roma controllava
un territorio Laziale che si estendeva dal Tevere
alla Regione Pontina. Tra la fine del VI e
l’inizio del V secolo a.C. buona parte delle città
latine, approfittando delle difficoltà interne di
Roma, si unirono in una lega in cui i cittadini
condividevano alcuni diritti:
 Ius connubi che permetteva di contrarre
matrimoni legittimi concittadini di altre
città latine appartenenti alla Lega;
 Ius commercii che permetteva di avere
contratti legali tra cittadini appartenenti a
diverse città latine;
 Ius migrationis con il quale un latino
poteva assumere i diritti civici di altre Figura 4 Territorio romano alla fine dell'età monarchica (510 a.C.)
comunità prendendovi residenza.
La lega era governata da un dittatore che aveva anche la carica di supremo comandante dell’esercito.

La battaglia del lago Regillo e il foedus Cassianum


La lega latina tentò di affermarsi definitivamente attaccando Roma: secondo la tradizione questa guerra
fu combattuta nel tentativo di ricollocare Tarquinio il Superbo sul trono di Roma. Nel 496 a.C. i romani
sconfissero la lega sul lago Regillo e nel 493 a.C. stipularono un trattato chiamato Cassiano (foedus
Cassianum) perché sigillato dal console spurio Cassio che avrebbe regolati i rapporti tra Roma e latini:
le due parti si impegnavano a mantenere la pace e creare un’alleanza difensiva (prestarsi aiuto reciproco
se fossero stati attaccati). L’eventuale bottino delle campagne di guerra comuni sarebbe stato equamente
diviso, sia per quanto riguardava i beni mobili che per quanto riguarda le terre.
Nel 486 Roma completò il proprio sistema di alleanze stringendo un accordo con gli Ernici, popolazione
che abitava a sud-est di Roma, tra gli equi e i volsci.

I conflitti con Sabini, Equi e Volsci


L'alleanza stretta da Roma con la Lega latina e gli Ernici si rivelò preziosa per fronteggiare la minaccia
delle popolazioni che dagli Appennini premevano verso la piana costiera del Lazio a causa delle scarse
condizioni di sopravvivenza del territorio appenninico (Sabini, Equi e Volsci). Le fonti riportano che nel
quinto secolo i conflitti tra Roma e le popolazioni appenniniche furono moltissimi e finirono per logorare
le forze di Roma, tanto da essere considerati come una delle concause della crisi economica che colpì la
città nel V sec. a.C.

Volsci
I volsci discesero dagli Appennini verso la fine del IV secolo a.C. e occuparono tutta la parte meridionale
del Lazio, un tempo parte del regno di Tarquinio il Superbo.
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Equi
Gli Equi riuscirono a conquistare i monti prenestini e alcune importanti città latine come Tivoli e Preneste.
Roma, insieme ai suoi alleati Latini ed Ernici, riuscì a bloccare questa popolazione ai Colli Albani.

Sabini
I sabini minacciarono direttamente Roma e furono i primi ad essere integrati nel l'impero: tale
integrazione possedeva sia un volto pacifico sia uno minaccioso, infatti i romani organizzarono una serie
di campagne contro la Sabina. Presto nel territorio sabino vennero create due nuove tribù rustiche.

Il conflitto con Veio


Se, per bloccare l’avanzata delle popolazioni montanare, Roma
poté contare sull'aiuto dei latini e degli ernici, per sconfiggere la
città etrusca di Veio, posta a 15 km a nord di Roma, si trovò da
sola. Il contrasto tra Roma e Veio durò per tutto il V secolo a.C. e
si sviluppò in particolare in tre guerre.

Prima guerra veiente (483-474 a.C.): i veienti riuscirono ad


occupare un’importante città sulla riva sinistra del Tevere
chiamata Fidene. Il tentativo di reazione di Roma finì con una
tragedia: un esercito di circa 300 soldati, composto esclusivamente
da membri della gens Fabia e dai loro clienti, venne annientato sul
Figura 5 Prima guerra veiente
fiume Cremera, piccolo affluente di sinistra del Tevere. A seguito
della vittoria, Veio si vide riconoscere il possesso su Fidene.
Seconda guerra veiente (437-426 a.C.): i romani riuscirono a vendicare la sconfitta grazie a AULO
CORNELIO COSSO che uccise in duello il tiranno di VEIO LARS Tolumnio e Fidene venne conquistata e
distrutta dai romani.
Terza guerra veiente (405-396 a.C.): il teatro delle operazioni si spostò lungo le mura di Veio che godeva
di un’invidiabile posizione difensiva, dal momento che sorgeva su una collina, difesa da ripide scarpate
e dal corso di due torrenti. Veio fu assediata per 10 anni dai romani e infine distrutta. La presa di Veio
segnò una grande svolta per Roma infatti a causa del lunghissimo assedio venne introdotta una paga lo
stipendium al fine di assicurare il sostentamento dei soldati dei loro familiari; fu poi introdotta anche una
tassa straordinaria chiamata tributum basata sul censo, gravava cioè in misura proporzionale sulle diverse
classi dell’ordinamento censitario.
La vittoria su Veio fruttò soprattutto la conquista di un ampio e fertile territorio, che venne inglobato
nello stato romano e in parte ridistribuito a coloni a titolo di proprietà privata, in parte lasciato indiviso
in qualità di ager publicus.

L’invasione gallica: il sacco di Roma


I risultati ottenuti da Roma con il successo su Veio furono messi in crisi dalla Calata dei Galli in Italia
intorno alla metà del VI secolo a.C. Questa prima ondata celtica, dopo aver battuto gli Etruschi, avrebbe
dato vita alla tribù degli Insubri, e alla fondazione di Mediolanum, l’odierna Milano. Nei decenni seguenti

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si sarebbero aggiunte via via nuove tribù che, spingendosi sempre verso est e verso sud, avrebbero
occupato tutta la pianura Padana. L’ultima tribù a entrare in Italia sarebbe stata quella dei Senoni, che
avrebbe occupato il territorio corrispondente alla Romagna meridionale e alle Marche settentrionali. La
presenza celtica nella pianura Padana derivò da una lenta infiltrazione di popolazioni dall’Europa centro-
settentrionale che assorbirono e si fusero con i popoli ivi insediati in precedenza, non fu quindi a seguito
di un’invasione violenta.

Nel 390 a.C. i Senoni guidati da Brenno invasero l'Italia centrale puntando alla città etrusca Chiusi e poi
su Roma. L’esercito romano, frettolosamente arruolato per affrontare i Senoni fu sconfitto e riparò a
Veio, lasciando la città indifesa. Roma verrà così saccheggiata dai Galli che poi scompariranno
rapidamente (sacco di Roma).

La ripresa
La calata dei Galli fu sicuramente traumatica per Roma ma ebbe, in realtà, conseguenze meno gravi di
quelle che le fonti antiche lasciano intendere. A testimoniarlo è la rapidità con cui Roma organizzo
un'ampia politica estera partire dal 390 a.C.; inoltre iniziarono a sentirsi gli effetti positivi della conquista
e della distribuzione del vasto territorio fertile di Veio ai cittadini romani. Negli stessi saranno anche
costruite le mura Serviane. Nonostante la costruzione di questa grande opera difensiva, dopo il sacco
gallico, l'atteggiamento di Roma è decisamente offensivo:

 Vengono consolidati i confini settentrionali spingendosi al confine con la città etrusca di Tarquinia,
fronte che venne reso ancora più sicuro dalla stretta intesa con Cere.
 Sul fonte sud-orientale gli equi furono rapidamente annientati. Più dura e difficile fu la lotta contro i
volsci, che trovarono appoggio negli ernici e in altre città latine che speravano di riconquistare
l’autonomia da Roma. Anche i volsci furono costretti a cedere, nel 358 a.C.

Gli studiosi hanno ipotizzato tre diverse tipologie relative al concetto di imperialismo che ha portato
l'espansione dell'Impero Romano durante questo periodo:

1. Imperialismo difensivo - secondo il quale Roma ha espanso il proprio dominio grazie ad alcune
guerre difensive casuali e sparse nel territorio.
2. Roma aggressore - secondo il quale Roma si è espansa perché mossa da una volontà espansionistica
e per perseguire un duplice scopo: militarismo e benefici economici
3. Anarchia interstatale multipolare - secondo la quale Roma si è espansa grazie alla propria bravura
nel tessere alleanze favorevoli.

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La prima guerra sannitica
Roma nel 354 a.C. conclude un trattato con i
Sanniti nel quale viene fissato il confine tra le
zone di egemonia delle due potenze che
combacia con il fiume Liri. I Sanniti
occupavano un area più vasta di quella di
Roma lungo la catena appenninica centro-
meridionale (chiamata Sannio) che era però
povera dal punto di vista territoriale e quindi
incapace di sostenere una forte crescita
demografica: l’unico rimedio alle carestie era
l’immigrazione verso terre più fertili.
Durante il V secolo a.C. alcune popolazioni
sannitiche si allontanarono dal Sannio e
occuparono alcune regioni della Campania
adottando la politica della città stato e alcune Figura 6 Prima guerra sannitica
di queste città stato si riunirono nella Lega
campana, che aveva il suo centro nella città di Capua. Nonostante le affinità etniche i contrasti politici
tra Sanniti e Campani si vennero sempre più acuendo. Nel 343 a.C. scoppiò quella che poi verrà definita
prima guerra sannitica. I sanniti attaccarono la città di Teano occupata dai sidicini che si rivolsero a
Capua la quale, a sua volta, chiese aiuto a Roma. Quest'ultima decise di intervenire nonostante trattato
stipulato poco prima, poiché giudicava imperdibile l’occasione di impadronirsi della Campania, la
regione più ricca e fertile della penisola, e per paura che se ne potessero impadronire i sanniti. La prima
guerra sannitica (343-341 a.C.) si risolse rapidamente con il successo parziale dei romani che
acconsentirono alle richieste di pace avanzate dai Sanniti nel 341a.C. rinnovando l'alleanza del 354 a.C.
e riconoscendo a Roma la Campania e ai Sanniti Teano.

La grande guerra latina


L'accordo del 341 a.C. portò ad un ribaltamento delle
alleanze costringendo Roma a combattere contro i vecchi
alleati: Latini, Campani, Sidicini, Volsci e Aurunci.
L’insoddisfazione di Campani e Sidicini per gli esiti della
prima guerra sannitica si saldò con la volontà dei latini di
distaccarsi dall’alleanza con Roma, al desiderio di
rivincita dei Volsci e al timore degli Aurunci di vedersi
accerchiati dalla crescente potenza romana.
Il conflitto (noto come Grande guerra Latina) fu
durissimo e si svolse tra il 341 e il 338 a.C. ma alla fine il Figura 7 Grande guerra latina
successo fu dei Romani.

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La lega Latina viene disciolta:
 Alcune città vennero incorporate nello Stato romano in qualità di municipi,
 Alcune conservarono la propria indipendenza ma non poterono intrattenere alcuna relazione tra loro,
 Altre città colonie furono fondate ex novo e quindi acquisirono una nuova concezione dello status
latino divenendo soci cioè alleati. Essi erano privilegiati perché possedevano i soliti diritti e i loro
rapporti erano regolati da trattati che lasciavano ampia autonomia interna a consentivano comunque
a Roma di ampliare la propria egemonia. I soci come ad esempio le città di Tivoli e Preneste dovevano
pagare a proprie spese i contingenti delle truppe
 Altre città definite civitas sine suffragio consentivano i cittadini di ottenere la cittadinanza ma senza
diritto di voto mantenendo comunque un autonomia interna.

La seconda guerra sannitica


La causa della seconda guerra sannitica (326-304 a.C.) è da ricercare nelle divisioni interne di Napoli,
l’ultima città greca della Campania rimasta indipendente, in cui si fronteggiavano le masse popolari,
favorevoli ai Sanniti e le classi più agiate filoromane. Nei primi anni il conflitto si sviluppò a favore dei
Romani che riuscirono a sconfiggere i Sanniti più volte, il protagonista di queste vicende fu PUBLILIO
FILONE. Egli conquistò è un primo successo in Campania mentre il secondo tentativo di penetrare nel
Sannio e raggiungere Luceria fu un fallimento: nel 321 a.C. gli eserciti Romani furono circondati è
costretti alla resa.
A casa di questa sconfitta vi fu una breve interruzione delle operazioni militari che costituì una tregua
momentanea della quale i romani approfittarono per compensare la perdita di alcune colonie e rinforzare
le proprie posizioni allacciando alleanze con Apulia e Lucania. La battaglia riprese nel 316 a.C. quando
i romani attaccarono Saticula: i primi successi furono a favore dei Sanniti ma negli anni successivi Roma,
grazie alla propria strategia e tenacia conquista la città e le colonie perdute. In questi anni Roma riformò
il proprio esercito abbandonando lo schieramento al falange e suddividendo la legione in 30 reparti
chiamati manipoli, risultanti dall’unione di due centurie (120 uomini) e tripartita su tre linee ciascuna
composta da 10 manipoli. Questa nuova organizzazione consentiva flessibilità all'esercito che fu in grado
di affrontare la minaccia dei Sanniti a sud in contemporanea agli Etruschi a nord che attaccarono nel
311a.C. L’esercito Etrusco fu bloccato e le città ostili a Roma furono costrette a una tregua nel 308 a.C.
Infine, nel 304 a.C., venne stipulata una pace che portò il rinnovo dell'alleanza tra Roma e i Sanniti del
354 a.C. Al termine della seconda guerra sannitica Roma, grazie alle annessioni territoriali, era diventata
lo stato più forte dell'intera penisola.

La terza guerra sannitica


La sconfitta subita nel 304 a.C. era stata grave per i Sanniti ma non decisiva infatti nel 298 a.C. Sanniti
attaccarono la alcune comunità della Lucania con la quale confinavano a Sud, i romani accorsero in aiuto
dei Lucani dando via alla terza guerra sannitica.

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I Sanniti misero in piedi una potente coalizione antiromana
che comprendeva anche gli Etruschi, i Galli e gli Umbri.
Lo scontro decisivo tra Roma e l'alleanza avvenne nel 295
a.C. a Sentino al confine tra l'Umbria e le Marche. Gli
eserciti romani di QUINTO FABIO RULLIANO e PUBLIO DECIO
MURE riuscirono a prevalere sui Sanniti e i Galli. Il sistema
di egemonia, che aveva preso forma dopo la grande guerra
latina cominciava a dare i suoi frutti, assicurando a Roma
un potenziale militare preponderante. I Sanniti si videro
obbligati a chiedere la pace nel 290 a.C.
Gli Umbri e gli Etruschi furono costretti a concludere trattati
che li legavano a Roma già all’indomani della battaglia di
Figura 8 Terza guerra sannitica
Sentino.
Un decennio più tardi ci fu un tentativo dei galli, alleati di alcune città etrusche, di penetrare nuovamente
nell’Italia centrale; la controffensiva romana le città dell’etrusche e umbre. Queste operazioni portarono,
nel 264 a.C., tutte le comunità dell'Umbria e dell'Etruria a diventare socii di Roma ad eccezione di Cere
che divenne civitas sine suffragio. Sul lato dell'Adriatico nel 290 vennero sconfitti i sabini e i Pretuzzi e
parte del loro territorio fu conquistato per dar vita a nuove colonie romane.

Sul lato dell'Adriatico già nel 290 a.C. vennero sconfitti i Sabini e i Pretuzzi. La conquista della Sabina
diede a Roma grandi vantaggi economici se si pensa alla fertilità della terra sulla sponda sinistra del
Tevere. Nell’Adriatico settentrionale venne ammesso un territorio un tempo appartenuto ai Senoni che
portò Roma ad affacciarsi alla Pianura padana e, allo stesso tempo, a sbarrare le vie d’accesso a possibili
incursioni galliche nell’Italia centrale. Nelle Marche meridionali i Piceni tentarono una disperata guerra
contro Roma nel 269 a.C. ma furono costretti alla resa.

Dopo circa 30 anni dalla battaglia di Sentino Roma, grazie a queste operazioni militari, era riuscita a
portare i confini settentrionali del territorio sotto il suo controllo lungo la linea che andava dall'Arno a
Rimini.

Il conflitto con Taranto


Nel Mezzogiorno alcune popolazioni come Lucani e Bruzi mantenevano la loro indipendenza, così come
la città greca più ricca e potente d’Italia: Taranto. Un motivo di grande tensione si ebbe dalla spinta
espansionistica delle popolazioni italiche verso le città greche della costa che portarono alla formazione
di un'alleanza tra le vecchie colonie della Magna Grecia chiamata Lega italiota capitanata da Taranto.
Nel 360 a.C. la Lega italiota andò incontro a un processo di disgregazione che la costrinse in pratica
all’impotenza, costringendo le vari città ad opporsi in modo autonomo alle pressioni delle popolazioni
italiche. Taranto, chiese aiuto alla madrepatria: Sparta e siglò un accordo con i Romani, con il quale
Roma si impegnava a non penetrare nelle acque del golfo di Taranto. I Tarantini si stancarono presto dei
loro “liberatori” e, intorno al 300 a.C., si rivolsero ad AGATOCLE, re di Siracusa, per avere protezione.

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La morte di Agatocle, nel 289 a.C., privò però i Greci dell’Italia meridionale di un protettore e, nel 285
a.C. e poi nel 282 a.C. Turi, una città nel Golfo di Taranto, chiese aiuto a Roma per difendersi dai Lucani.
I Romani insediarono una guarnigione nella città e inviarono una flotta nel golfo di Taranto. Allo stesso
tempo Roma rispose anche alle richieste di soccorso delle altre città del Mezzogiorno. Roma prefigurava
per sé il ruolo di patrona degli Italioti e di egemone dell’Italia meridionale.
Di fronte alla provocazione causata dallo sconfinamento della flotta i Tarantini attaccarono le navi
romane affondandone alcune e poi marciarono su Turi espellendo la guarnigione romana. La guerra
divenne così inevitabile.

L’intervento di Pirro
Taranto ben presto si trovò in difficoltà e fu costretta a chiedere soccorso alla madrepatria greca, aiuto
che arrivò nella figura Pirro, re dei Molossi e comandante della Lega epirotica, che organizza una
spedizione con carattere di crociata in difesa dei Greci d'occidente procurandosi l'appoggio delle potenze
ellenistiche.
Nel 280 a.C. Pirro sbarca in Italia con 22mila fanti, 3mila cavalieri e 20 elefanti da guerra costringendo
Roma ad arruolare, per la prima volta, i capite censi, i nullatenenti, fino ad allora esentati dal servizio
militare.

La battaglia di Eraclea segnò una grave sconfitta per i romani, nonostante questi ultimi fossero in
1 superiorità numerica e più abili in battaglia, il devastante effetto psicologico dovuto agli elefanti diede i
Eraclea
suoi risultati. Questa battaglia mise a rischio le alleanze romane in Italia meridionale: Lucani e Bruzi si
schierarono dalla parte dell'epirota, a questi seguirono anche i Sanniti. Il tentativo di Pirro era quello di
suscitare una ribellione tra gli alleati di Roma anche nell’Italia centrale e collegarsi con gli Etruschi.

Pirro, consapevole di avere un esercito insufficiente per assediare Roma, propose delle trattative di pace
2
Roma che chiedevano libertà e autonomia per le città greche dell’Italia meridionale e la restituzione dei territori
strappati a Lucani, Bruzi e Sanniti; le richieste furono però rifiutate dal senato romano.

Questo rifiuto causò un attacco di Pirro che, dopo aver rafforzato il suo esercito, mosse verso l'Apulia
3 settentrionale minacciando le colonie latine. Lo scontro con l’esercito romano inviato per bloccare la sua
Ausculum avanzata avvenne ad Ausculum nel 279 a.C.: la vittoria fu nuovamente di Pirro, ma il suo esercito subì
gravissime perdite. Pirro aveva già vinto due importanti battaglie ma non riuscivo a concludere la guerra
e Roma sembrava invece disposta a resistere all'infinito.

Pirro accolse le richieste di aiuto di Siracusa pensando di riuscire a ottenere il controllo della ricchissima
4 Sicilia. Decise quindi di recarsi sull’isola con una parte del suo esercito, lasciando intanto una forte
Lilibeo
guarnigione a Taranto. Nello stesso anni Roma strinse un’alleanza difensiva con Cartagine che prevedeva
la mutua collaborazione militare contro i Molossi. Cartagine venne in aiuto con 120 navi da guerra ma,
in un primo momento furono più volte sconfitti da Pirro, il quale assediò Lilibeo, all’estremità occidentale
dell’isola: un assedio in realtà è inutile poiché la città riceveva aiuti via mare dove i Cartaginesi godevano
di un’assoluta superiorità.

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Anche in Italia la situazione stava cambiando: i Romani, in assenza Pirro, avevano riconquistato le loro
2 posizioni costringendo il re epirota a tornare in Italia subendo gravi perdite nella traversata dello stretto
Beneventodi Messina ad opera dei cartaginesi. Queste perdite furono colmate il reclutamento di alcuni mercenari.
In assenza del denaro sufficiente per pagare questi soldati, Pirro fu costretto a imporre un contributo
speciale a Taranto e successivamente a saccheggiare i beni sacri di alcune città della Magna Grecia,
decisioni che fecero perdere al re le simpatie delle colonie greche dell'Italia meridionale. Lo scontro
decisivo con Roma avvenne nel 275 a.C. a Benevento dove le truppe di Pirro, in grave inferiorità
numerica, furono messe in fuga. Pirro morirà nel 272 a.C. nel Peloponneso.

La vittoria venne completata negli anni seguenti con operazioni nel Salento e a Reggio; Taranto fu
costretta a diventare alleata romana mentre le città greche meridionali non subirono danni. I territori
italici che avevano appoggiato Pirro furono costretti a donare dei territori. Nel 267- 266 a.C. i Romani
passarono all'offensiva anche in Puglia costringendo le comunità locali alla conclusione di trattati di
alleanza.

Figura 9 La spedizione di Pirro

Il concetto di romanizzazione
Il termine romanizzazione è inteso come il processo di uniformazione modelli romani dell’Italia e, in
seguito, del Mediterraneo, sotto un profilo giuridico istituzionale socio-economico e culturale. Questo
processo può essere considerato solo in parte imposto da Roma poiché significativa sarebbe stata
l’adesione spontanea delle comunità soggette al controllo di Roma agli schemi della città egemone (si
parla di “autornomanizzazione”). È cioè impensabile pensare che questa adesione ai modelli romani sia
derivata da un processo unilaterale e unidirezionale, sembra corretto affermare che in realtà ogni popolo
assoggettato ai Romani subì un processo di romanizzazione differente, derivato dal contesto geografico
cronologico nel quale si trovava.

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Capitolo 4
La conquista del Mediterraneo
Le fonti
Le fonti migliori sono: Polibio, Storie; importante per il vissuto di Polibio che fu deportato a Roma dove
scrisse storia universale dal 264 a.C. sino alla distruzione di Cartagine in 40 libri di cui e restano
solamente i primi 5 integri ed alcuni frammenti. Livio di cui possediamo integralmente del libro XXI-
XLV e degli altri abbiamo riassunti (perioche). TROGO, Storia universale composta da 44 libri. Cassio
DOIONE, Storia Romana nota in frammenti. PAOLO OROSIO, storia universale dell’umanità dall’origine
sino alla sua morte. Appaiano che ha scritto una serie di trattati dedicati alle guerra. FLORO, Epitomi di
Storia Romana e Tutte le guerra di 700 anni in due libri. CORNELIO NEPOTE, Vite di condottieri stranieri.
PLUTARCO, Vite parallele. DIORO pervenuto in frammenti. Annales dell’epoca poiché tutti, eccetto
Polibio che fu contemporaneo a quanto accaduto, scrissero delle guerre puniche dopo molti anni e di
conseguenza attinsero necessariamente agli Annales. POMPONIO, Echiridium. CICERONE, Orazioni contro
Verre. MACROBIO, Saturnali. PUSANIA, Guida alla Grecia. SESTO GIULIO FRONTINO, Stratagemmi.
Trattato tra Roma e lega etolica. Elogio a Duilio inciso su colonna. Iscrizioni giuridiche

Il contrasto tra Roma e Cartagine


Nel 264 a.C. Roma controllava tutta l’Italia peninsulare e i suoi interessi entrarono in conflitto con quelli
di Cartagine a partire dal caso dei Mamertini, mercenari italici che si erano impadroniti con la forza di
Messina e saccheggiavano le città vicine. I Siracusani, comandati da Ierone, si mobilitarono e sconfissero
i Mamertini i quali accolsero l’offerta di aiuto dei cartaginesi. Presto i Mamertini si stancarono della
tutela cartaginese e chiesero aiuto a Roma che ponderò bene la decisione di schierarsi contro Cartagine:
nonostante vi fossero numerosi motivi per mantenere la pace (come ad esempio il fatto di violare una
clausola del trattato stipulato con i Cartaginesi), alla fine Roma inviò un esercito in soccorso ai Mamertini
intimorita dalla possibilità che Cartagine conquistasse la zona strategica dello stretto se non l’intera
Sicilia.

La prima guerra punica (264-241 a.C.)


Roma non aveva ancora dichiarato guerra formalmente a Cartagine ma l’attraversamento dell’esercito
romano dello stretto era aprì la guerra. Nei primi anni Cartagine alleata con i Siracusani riuscì ad avere
la meglio senza nemmeno combattere ma presto Siracusa comprese che l’alleanza con Cartagine era
pericolosa perciò si schierò dalla parte di Roma siglando un trattato di pace con i punici che prevedeva
il pagamento di un indennizzo. Il sostegno dei Siracusani sarà essenziale nelle attività di rifocillamento
delle navi romane durante la battaglia del 262-261 a.C. ad Agrigento in cui i Romani ebbero la meglio e
formularono l’idea di espugnare definitivamente i Cartaginesi dalla Sicilia.
Roma vinse anche nel 260 a.C. a Milazzo e subito dopo conquistò altre città sicule. Roma pensò di
vincere definitivamente attaccando i possedimenti africani di Cartagine nel 265 a.C.: all’inizio il
comandante romano ATTILIO REGOLO ebbe la meglio ma propose un trattato cin condizioni durissime
che Cartagine non accettò. Nel 255 a.C., a guerra ripresa, Regolo fu sconfitto e la flotta romana fu
distrutta da una tempesta, facendo crollare la possibilità di concludere la guerra precocemente. Nel 249
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a.C. fu persa anche la flotta di
PUBLIO CLAUDIO PULCRO a
Trapani. Roma non possedeva il
denaro per poter creare
nuovamente una nuova flotta.
Parallelamente Cartagine, esausta,
non riuscì a sfruttare la superiorità
marina infliggendo solo attacchi di
disturbo a Roma che solamente nel
242 a.C. riuscì a creare una nuova
potente flotta grazie ad un prestito
dei cittadini più facoltosi. La flotta
sferrò il primo attacco nel 242 a.C.
a Trapani e Lilibeo. Lo scontro
finale che imputò la vittoria ai
Romani fu alle isole Egadi nel 241
a.C. le conseguenze furono la
richiesta di un trattato di pace da
parte di Amilcare Barca, incaricato
dai Cartaginesi: esso prevedeva Figura 10 Possedimenti di Roma e Cartagine precedentemente alla prima
pagamento di un indennizzo, la guerra punica
restituzione dei prigionieri di guerra e lo sgombero dell’intera Sicilia.

La prima provincia romana


A seguito della prima guerra punica Roma era entrata in possesso di un ampio terreno al di fuori della
penisola italiana, costituito della Sicilia centro-occidentale (un tempo parte del dominio cartaginese), un
territorio sentito come diverso e distinto dall’Italia. Il sistema con il quale Roma integrò questi nuovi
possedimenti segnò una svolta nella sua storia istituzionale. Nella penisola, città e popolazioni erano state
direttamente incorporate nello stato romano oppure legate da trattati che prevedevano l’invio di truppe
in aiuto della potenza egemone ma non il pagamento di un’imposizione in denaro e lasciavano alle
comunità sociae una larga autonomia interna. In Sicilia, invece, venne creata una provincia: alle
comunità un tempo soggette a Cartagine venne imposto un tributo annuale in cereali, il grano fiscale che
della Sicilia affluiva a Roma fu uno dei presupposti per il decollo demografico della città, ma anche per
l’approvvigionamento degli eserciti romani impegnati sempre più spesso in campagne di conquista. I
nuovi possedimenti siciliani vennero affidati a un magistrato romano inviato annualmente sull’isola, il
quale doveva garantire il mantenimento dell’ordine e la difesa di questi territori; poco dopo furono
istituiti due nuovi pretori, che andarono ad affiancarsi al pretore urbano e al pretore pellegrino (uno in
Sicilia e uno in Sardegna). In breve il termine provincia, che originariamente indicava semplicemente e
genericamente la sfera di competenza di un magistrato, assunse un significato più specifico: territorio
soggetto all’autorità di un magistrato romano.
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Nei suoi compiti il governatore era assistito da personale piuttosto limitato e così composto:
 Questore: assisteva il governatore in materia di finanze;
 Legati: giovani aristocratici all’inizio della loro carriera politica che collaboravano con il governatore
nell’amministrazione della giustizia:
 Un gruppo di funzionari e impiegati di livello inferiore;
 Publicani: compagnie di privati cittadini che esercitavano l’attività di esazione delle tasse. I publicani
spesso abusavano del popolo, in questi casi i loro reati, se rilevanti, erano giudicati dal governatore
provinciale mentre se minori dai tribunali locali.
La prima provincia romana non comprendeva l’intera Sicilia ma vi erano stati indipendenti e comunità
speciali che godevano di privilegi guadagnati in seguito al modo in cui erano entrate nel dominio romano:
 Stati indipendenti, come gli alleati Siracusa e Messina;
 Civitates liberae et immunes, città all’interno del territorio provinciale che erano però libere dal
controllo amministrativo e giudiziario del governatore ed esenti dal pagamento del tributo, in base a
una decisione unilaterale di Roma che poteva essere revocata in qualsiasi momento. Ne è un esempio
la città di Centuripe, che si era consegnata spontaneamente ai Romani.
 Civitates foederatae, con statuto simile a quello delle civitates liberae et immunes, privilegi che erano
però il risultato di un accordo bilaterale che in linea di principio poneva Roma e la città alleata sullo
stesso piano.
Il resto delle città siciliane (la maggior parte) erano invece civitates stipendiariae poiché soggette al
pagamento del tributo. L’elenco delle comunità era contenuto in un documento descrittivo che prendeva
il nome di formula provinciae che definisce l’estensione della provincia stessa.
Di regola i principi dell’amministrazione delle province erano regolate dalla lex provinciae, documento
che comprendeva una serie di regole, a volte queste erano dettate dal conquistatore o dal senato anche
molto dopo la conquista, talvolta invece non venivano mai emanate. L’ampia distanza tra Roma e le
province consentiva ai governatori provinciali un’ampia autonomia d’azione ma non li esentava dal
redigere una relazione da inviare al senato, fu proprio questo meccanismo che impedì alle province di
diventare feudi privati dei loro governatori e, di conseguenza, delle potenziali minacce per Roma.

La rivolta dei mercenari e la conquista di Sardegna e Corsica


Nel periodo che va dalla fine della prima guerra punica (241 a.C.) e lo scoppio della seconda (218 a.C.)
Roma e Cartagine consolidarono le proprie potenze in vista dello scontro decisivo.
Per Cartagine i primi anni dopo la sconfitta furono drammatici: la città non era in grado di assicurare il
pagamento delle numerose truppe mercenarie che avevano combattuto contro i Romani. I mercenari,
stanchi di attendere, si ribellarono, coinvolgendo anche alcune popolazioni dell’Africa settentrionale
soggette a Cartagine. Il compito di sedare la rivolta fu affidato ad AMILCARE BARCA, che represse le
agitazioni con successo. In breve, però, la ribellione dei mercenari dell’Africa si estese alle guarnigioni
della Sardegna, che chiesero aiuto a Roma. Quando i cartaginesi, liberi dalla minaccia in patria,
allestirono una spedizione per sedare le rivolte in Sardegna, Roma decise di intervenire e si disse pronta
a dichiarare guerra a Cartagine, la quale fu accusata di prepararsi ad aprire le ostilità contro Roma stessa.
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I Cartaginesi, non avendo la possibilità di sostenere una nuova guerra, si chinarono alle dure condizioni
di pace imposte: cedere Sardegna e Corsica (che andarono a formare la seconda provincia romana dopo
la Sicilia). L’umiliazione subita dai Cartaginesi in questo frangente e il conseguente sentimento di rivalsa
saranno tra le ragione dello scoppio della seconda guerra punica.
La buona produzione cerealicola della Sardegna diede a Roma un secondo e importante granaio, dopo la
Sicilia. D’altra parte, il possesso della Sardegna non fu certo facile per Roma, che nei primi anni della
creazione della provincia si vide costretta a inviare regolarmente eserciti nell’isola per sedare la resistenza
degli indigeni. Per domare la Sardegna Roma decise infine, nel 227 a.C., di introdurre altri due magistrati
provinciali dotati di imperium1, uno per la Sicilia ed uno per la Sardegna e Corsica.

Le campagne di Roma nell’Adriatico e in Italia settentrionale


Pochi anni dopo questa impresa nel Tirreno, Roma si affacciò sull’Adriatico dove le scorrerie dei pirati
illiri, spesso frutto di iniziative personali, arrecavano danni considerevoli alle città greche della costa
orientale dell’Adriatico. Queste città si rivolsero a Roma che, anche a tutela di un interesse strategico
sull’Adriatico rispose positivamente: il senato romano inviò proteste alla regina degli Illiri, TEUTA, la
quale però le rifiutò causando una dichiarazione di guerra da parte di Roma. Iniziava così la prima guerra
illirica (229 a.C.) che vide presto la vittoria di Roma. Teuta fu costretta a cedere il trono, mentre agli
Illiri fu proibito di navigare con più di due navi disarmate. Demetrio, un collaboratore di Teuta che era
passato dalla parte di Roma, venne ricompensato con la concessione di possedimenti intorno all’isola di
Faro. Roma fece annunciare la propria vittoria in molte città greche importanti come Corinto portando
alla partecipazione ai Giochi Istimici2 dei romani.

Qualche anno dopo Roma intervenne di nuovo in Illiria, a seguito degli atti ostili del vecchio alleato di
Faro, Demetrio, di cui si temeva anche l’alleanza con Filippo V di Macedonia. Anche la seconda guerra
illirica (219 a.C.) dal punto di vista militare fu un’impresa di poco conto per i Romani: Demetrio fuggì
presso Filippo V e Faro entrò nel protettorato romano, questo episodio gettò però le premesse per
un’ostilità tra Roma e Macedonia.

Negli anni tra le due guerre puniche Roma avviò la conquista dell’Italia settentrionale (conclusa solo nel
II sec. a.C.). L’attenzione di Roma in questa zona venne richiamata dall’incursione dei Galli del 236 a.C.,
che si arrestò davanti alla colonia latina di Rimini. Quattro anni dopo, il tribuno della plebe CAIO
FLAMINIO propose di distribuire a singoli cittadini romani l’ager Gallicus, la regione strappata qualche
decennio prima ai Senoni. Il massiccio insediamento di cittadini romani in un territorio non organizzato,
almeno inizialmente, in centri urbani, rese necessario affrontare il problema dell’amministrazione di un
territorio caratterizzato da un popolamento sparso: la soluzione fu la creazione di centri preurbani, detti
fora o conciliabula, non dotati di autonomia e in cui la giustizia era gestita da prefetti che rispondevano
direttamente al pretore di Roma.

1
Imperium: potere di stampo militare che conferisce al suo titolare la facoltà di impartire ordini ai quali i destinatari non
possono sottrarsi (simboli esteriori di questo potere sono i fasci littori).
2
Giochi Istmici: giochi se si svolgevano ogni quattro anni a Corinto e dai quali erano esclusi i barbari. Ammettere Roma ai
giochi significava dunque insignirla di una sorta di certificato di grecità.
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La lex Flaminia fu motivo di allarme per i Galli Boi, che abitavano la regione intorno all’attuale bologna,
e fu una delle cause dello scoppio della guerra gallica che scoppiò poco dopo. I Galli Boi, alleati agli
Insubri (stanziati nella regione di Milano), e ai Gesati (provenienti dalla Transalpina) dichiararono
guerra a Roma, che aveva invece dalla sua i Galli Cenomani (del territorio bresciano e pavese) e i Veneti.
I Galli riuscirono a penetrare in Etruria ed ottenere qualche successo ma nel 225 a.C. vennero annientati
dai romani. A questo punto, Roma puntò alla conquista del nord Italia, per allontanare definitivamente
la minaccia delle incursioni galliche. Nel 223 a.C. furono fondate numerose colonie, tra le quali
Mediolanum, che si andavano ad aggiungere alle vecchie colonie romane settentrionali di Piacenza e
Cremona (218 a.C.), Bologna (189 a.C.), Parma (183 a.C.), Aquileia (181 a.C.), Lucca (180 a.C.) e Luni
(177 a.C.). Venne creata anche una fitta rete stradale: nel 220 a.C. fu creata da Via Flaminia che collega
Rimini e Roma, nel 187 a.C. la via Emilia che collega Rimini e Piacenza, e nel 148 a.C. la via Postumia
che collega Genova ad Aquileia.

La seconda guerra punica


Mentre Roma guadagnava posizioni nell’Adriatico e nell’Italia settentrionale, Cartagine cercava di
costruire una nuova base in Spagna, affidandola alla famiglia Barca (prima Annibale, poi il genero
Asdrubale e infine Annibale, figlio di Amilcare). L’avanzata dei Barca destò allarme nella città greca di
Marsiglia che aveva interessi economici nella Spagna settentrionale, e di Roma, di cui Marsiglia era
alleata. Nel 226 il senato romano concluse con ASDRUBALE un trattato, detto trattato dell’Ebro, per il
quale gli eserciti cartaginesi non potevano oltrepassare a nord il fiume Ebro. Un potenziale motivo di
conflitto tra Roma e Cartagine era però il trattato di alleanza stretto da Roma con la città di Sagunto, che
si trovava a sud dell’Ebro.

I successi di Annibale
La questione di Sagunto venne sfruttata da ANNIBALE per far esplodere il conflitto: alle prime minacce
dei Cartaginesi i Saguntini chiesero aiuto a Roma che però effettivamente si mobilitò solo dopo che
Annibale aveva già espugnato Sagunto. Annibale riteneva che Roma avesse vinto la prima guerra punica
soprattutto grazie all’immenso capitale umano e finanziario assicurato dal suo dominio dell’Italia, il suo
piano era dunque quello di colpire Roma cercando di separarla dai suoi alleati italici. Tuttavia, poiché a
causa del trattato di pace i Cartaginesi avevano un’assoluta inferiorità navale, Annibale decise di invadere
l’Italia via terra, dalle Alpi, sperando nel frattempo di guadagnare l’appoggio delle tribù galliche da poco
sottomesse a Roma. Nel 218 Annibale partendo da Nuova Cartagine valicò i Pirenei e le Alpi, perdendo
molti uomini ma riuscendo ad ottenere il sostegno di Boi e Insubri. Vinse le prime battaglie sui fiumi
Ticino e Trebbia contro l’esercito di PUBLIO CORNELIO SCIPIONE. L’anno seguente vinse contro le truppe
del dittatore CAIO FLAMINIO al Lago Trasimeno, facendo capire a Roma che vincere contro Annibale a
campo aperto era impossibile. Per questo motivo, sotto la spinta dell’ex console QUINTO FABIO MASSIMO
(detto il Temporeggiatore) Roma escogitò una strategia attendista: evitò tutti i possibili scontri a campo
aperto e impedì a Cartagine di ricevere aiuti. Questa strategia che avrebbe sicuramente nel lungo periodo
sfiancato l’esercito di Annibale, nel frattempo avrebbe causato la distruzione dell’Italia da parte dei
cartaginesi. Per questo motivo, scaduti i sei mesi della dittatura di Fabio Massimo, si decise di passare

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nuovamente all’offensiva, sparando di poter schiacciare Annibale con la semplice superiorità numerica:
ma nel 216 a.C. Annibale riuscì ad annientare l’esercito romano a Canne (in Puglia). Questa grande
sconfitta consentì ad Annibale di mettere in atto la propria strategia di disgregazione del sistema di
egemonia romana in Italia.

Dopo Canne alcune comunità alleate dell’Italia meridionale abbandonarono Roma: tra di esse ricordiamo
Sanniti, Lucani e Bruzi. Anche alcune polis della Magna Grecia si schierarono con Cartagine come
Metaponto, Turi, Capua, Crotone, Locri e Siracusa ora sotto il controllo del nipote Ieronimo del defunto
Ierone. Nello stesso anno Cartagine strinse un’alleanza con Filippo V di Macedonia.

La ripresa di Roma e la vittoria


La guerra sembrava ormai persa per Roma che però riuscì a riprendersi dopo Canne, principalmente
grazie al mantenimento della fedeltà degli alleati dell’Italia centrale, dimostrando che Annibale aveva
sottovalutato i legami tra Roma e i territori sotto il suo dominio. Anche le divisioni interne dell’Italia
meridionale permisero di ribaltare la situazione a favore di Roma: nel 212 a.C. Taranto si schierò con i
Cartaginesi ma i Romani l’assediarono impedendo l’invio di rinforzi; nello stesso anno Roma riuscì a
conquistare e saccheggiare Siracusa riprendendone il controllo; nel 211 a.C. anche Capua fu riconquistata
dai Romani.

Contemporaneamente Roma riuscì a fronteggiare con una flotta di 50 quinquiremi l’invasione di Filippo
V in Italia. Le operazioni della prima guerra macedonica interessarono in modo limitato gli eserciti
romani poiché Roma riuscì ad avvalersi dell’azione di una coalizione di Stati greci ostili a Filippo V, tra
i quali primeggiava la Lega Etolica. Gli scontri si conclusero nel 205 a.C. con la pace di Fenice.

La svolta decisiva per la seconda guerra punica fu in Spagna. Dopo la sconfitta del fiume Trebbia, PUBLIO
CORNELIO SCIPIONE aveva raggiunto nella penisola iberica il fratello CNEO. I due fratelli Scipioni
riuscirono per diversi anni a impedire l’arrivo di rinforzi ad Annibale dalla Spagna. Nel 211 a.C. i due
fratelli si trovarono ad affrontare le superiori forze cartaginesi. I romani riuscirono a ritirarsi e a difendere
la Spagna settentrionale fino a quando fu eletto comandante dell’esercito il figlio omonimo di PUBLIO
CORNELIO SCIPIONE, noto col cognomen di AFRICANO. Nel 209 a.C. Africano si impadronì di Nuova
Cartagine e sconfisse l’anno seguente il fratello di Annibale, ASDRUBALE, nella località di Baecula.

Nel frattempo in Italia, Annibale non potendo ricevere soccorsi dalla madrepatria si ritirò a Bruzio.
Scipione contemporaneamente sconfisse definitivamente Cartagine in Spagna nella battaglia di Ilipa nel
206 a.C. e, tornato in Italia, dopo essere stato eletto console, progettò l’invasione dell’Africa.

Essenziale per la riuscita delle operazioni in Africa fu l’alleanza con MASSINISSA re dei Numidi. Lo
sbarco in Africa avvenne nel 204 a.C. e l’anno dopo Scipione e Massinissa colsero un’importante vittoria
nella battaglia dei Campi Magni. Le trattative di pace però fallirono a cause delle dure condizioni di
Roma, che mirava a eliminare per sempre la minaccia punica. Nello stesso anno Annibale tornò in Africa
e, nel 202 a.C., combatté l’ultima e decisiva battaglia a Zama, vinta dai Romani. Nel 201 a.C. fu firmato
il trattato di pace che imponeva a Cartagine di: consegnare tutte le navi, eccetto dieci; pagare una forte

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indennità; consegnare prigionieri di guerra; cedere tutti i possedimenti eccetto l’Africa e le fu vietato di
dichiarare guerra senza il permesso di Roma (questa grave limitazione mise Cartagine in difficoltà di
fronte alla crescente aggressività di Massinissa).

Figura 11 Il percorso di Annibale nella seconda guerra punica


.

L’eredità di Annibale
L’impresa di Annibale ha dato origine ad una trasformazione di Roma: si crearono nuove e più rigide
forme di controllo. Roma punì le comunità traditrici imponendo un censimento rigido, secondo le regole
romane; Capua fu privata dell’autogoverno e amministrata da Roma e le vennero sottratti ampi porzioni
dell’ager publicus così come a Bruzio, Lucania, Apulia, Sannio. Partì inoltre un progetto di fondazione
di otto colonie tra il 197 e 192 con il fine di creare capisaldi di controllo: Volturno, Literno, Pozzuoli,
Manfredonia, Salerno, Policastro, Lamezia, Crotone; ad esse si aggiunsero Copia e Valentia. Alcune di
esse iniziarono a spopolarsi in breve tempo mentre altre divennero importanti centri economici.
Sul piano economico si verificò una crisi dei piccoli e medi proprietari terrieri causata dalla crisi
demografica portata dalla guerra, distruzioni materiali causate dagli eserciti.
Nel II a.C. si definì un nuovo modello di sfruttamento del territorio a quello un tempo prevalente della
famiglia di agricoltori che coltivava per autoconsumo: l’aristocrazia investì nelle terre, talvolta usurpando
territori statali. Nei terreni degli aristocratici lavorava una massa sempre crescente di schiavi, i quali non
erano soggetti al servizio militari quindi erano sempre disponibili e non dovevano essere pagati.
Principalmente le coltivazioni prevedevano cereali, ulivi e viti e erano destinate ai mercati, assicurando

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cospicui guadagni. Si afferma il modello economico della villa: fattoria di 25 ettari che consentì il
passaggio dall’agricoltura di sostentamento a quella “capitalista”.

La seconda guerra macedonica


Pochi anni dopo la guerra contro Cartagine, Roma si impegnò in un altro conflitto di grandi proporzioni
contro Filippo V di Macedonia. Causa della guerra fu soprattutto l’attivismo di Filippo V nell’area
dell’Egeo e delle coste dell’Asia Minore, alla quale il re macedone si era volto dopo che le sue ambizioni
nella regione illirica erano state bloccate dalla pace di Fenice del 205 a.C. Filippo dunque attaccò alcune
alleate della Lega Etolica e soprattutto a scontrarsi con le due maggiori potenze dell’area, il regno di
Pergamo e la repubblica di Rodi. Le tensioni sfociarono nel 201 a.C. in guerra aperta. I coalizzati
compresero che da soli non sarebbero riusciti ad allontanare la minaccia macedone e si rivolsero a Roma.
Roma decise di inviare un ultimatum a Filippo chiedendogli di ripagare i danni di guerra inflitti agli
alleati di Roma e di astenersi dall’attaccare gli Stati greci (mossa propagandistica per presentare Roma
come la protettrice della Grecia e che gli fa acquistare sostegno di alcuni stati tra cui Atene). Filippo
ignora l’ultimatum e nel 200 a.C. l’esercito romano sbarca nella città alleata di Apollonia. I primi due
anni di guerra furono statici. La svolta ci fu nel 198 a.C. quando Roma, guidata da TITO QUINZIO
FLAMININO, vinse su Filippo. Molti stati greci, compresa la lega Achea (da sempre alleata della
Macedonia), passarono dalla parte di Roma. Nel 197 a.C. la battaglia di Cinocefale, in Tessaglia, vede
annientato l’esercito di Filippo che è costretto ad accettare le condizioni di pace imposte da Roma: ritiro
guarnigioni macedoni ancora presenti in Grecia, pagamento delle indennità, consegna della flotta (tranne
5 navi).
Filippo riuscì tuttavia a mantenere il suo regno di Macedonia, con disappunto degli Etoli che
desideravano il suo smembramento o quantomeno un forte ridimensionamento.
Nel 195 a.C. Flaminio conduce una breve campagna contro il RE NABIDE di Sparta, il quale era entrato
in contrasto con gli Achei per la città di Argo, e che rappresentava una minaccia per la stabilità sociale
dell’intera Grecia. Nabide fu battuto e costretto a cedere Argo. Infine, nel 194 a.C., l’esercito romano
evacua dalla Grecia.

La guerra siriaca
Negli stessi anni in cui Flaminino regolava gli affari della Grecia, il re ANTIOCO III di Siria, approfittando
della debolezza dell’Egitto e della Macedonia stava estendendo la propria egemonia in Asia Minore:
alcune città, come Smirne e Lampasco, sostenute dal re di Pergamo EUMENE II, chiesero aiuto a Roma.
Antioco aveva infatti attraversato con un esercito l’Ellesponto reclamando i possedimenti della costa
della Tracia. Roma chiedeva la cessazione degli attacchi contro le città autonome dell’Asia Minore e
l’immediata evacuazione dell’Europa. Antioco però respinse le richieste, egli da un lato assicurò di non
nutrire ostilità nei confronti di Roma, dall’altro reclamò la fondatezza delle sue pretese su Asia Minore
e Tracia.
La guerra siriaca scoppiò nel 192 a.C. quando la Lega Etolica costrinse Antioco III a liberare la Grecia
dal controllo romano. Antioco, rispondendo all’appello, decise di recarsi con un piccolo esercito nei
territori degli Etoli. Egli aveva però sopravvalutato il sostegno del quale avrebbe potuto godere, la Lega

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Achea, infatti, si schierò dalla parte di Roma, l’unico appoggio ad Antioco proveniva dalla Lega Etolica.
Antioco venne così duramente battuto, l’anno seguente, alle Termopili e fuggì in Asia Minore.
Roma, decisa a distruggere definitivamente Antioco, nel 190 a.C. si prepara a invadere l’Asia Minore: i
due fratelli Scipioni (Publio Cornelio Scipione Africano e il meno famoso Lucio Cornelio Scipione)
invasero l’Asia Minore sia via terra che via mare. Lo scontro finale fu nella città Magnesia al Sipilo; qui
Antioco fu annientato.
Nel 188 a.C. fu stipulata la pace di Apamea che imponeva ad Antioco di pagare un’enorme indennità di
guerra, affondare tutta la sua flotta (tranne 10 navi), consegnare i nemici di Roma che avevano trovato
rifugio alla sua corte e liberare i territori a Nord e a Ovest del massiccio montuoso del Tauro (che non
furono annessi al dominio romano ma spartiti tra Pergamo e Rodi). La Lega etolica fu cosi ridimensionata
e resa innocua.

Le tensioni politiche dei primi decenni del II secolo a.C.


L’ampliamento degli orizzonti di Roma a seguito delle vittorie tra il III e il II secolo porta ad alcuni
cambiamenti:
 Processo degli Scipioni (187 a.C.): Lucio Scipione è accusato di essersi impadronito di parti
dell’indennità di guerra versata al Re di Siria; grazie ai tribuni della plebe fu cagionato dal dover
pagare una multa. Lo stesso anno anche Scipione Africano sarà accusato per lo stesso motivo: egli si
rifiuterà di rispondere alle accuse e si ritirerà in esilio politico in Campania dove morirà l’anno dopo.
 Legge Villia (180 a.C.): introduce l’obbligo di un età minima per le cariche di magistratura e
l’intervallo di un biennio da una carica all’altra, proibisce inoltre di rivestire un secondo consolato
entro i 10 anni dalla prima elezione.
 Culto di Bacco: negli stessi anni si diffuse in tutta Italia il culto di Bacco. I baccanali, seguaci di
Bacco, furono severamente puniti da parte del Senato a partire dal 186 a.C., i sacerdoti di tale credo
furono uccisi o imprigionati mentre la devozione a Bacco fu sottoposta a una rigida regolamentazione.
Ciò che aveva indotto il Senato ad adottare misure tanto drastiche non era tanto la necessità di
reprimere le pratiche orgiastiche e i supposti crimini che si attribuivano ai baccanali, quanto piuttosto
il fatto che i devoti di Bacco si fossero dati un’organizzazione interna che poteva configurarsi come
una sorta di stato all’interno dello Stato romano.

La terza guerra macedonica


Dopo la pace di Apamea si crearono i primi contrasti tra Roma e la Macedonia, quando le ambizioni di
Filippo V sulle città della costa trace vennero frustrate da Roma. Negli stessi anni la posizione di Roma
in Grecia si faceva delicata, questa zona infatti pullulava di controversie tra le diverse città che vi
abitavano. Roma, per risolvere queste controversie adottò una linea che privilegiava i gruppi aristocratici,
filoromani, e penalizzava le fazione democratiche.
Nel 179 a.C., alla morte di Filippo V, la Macedonia passò al figlio PERSEO, che si liberò del fratellastro
Demetrio che godeva dell’appoggio di Roma (ciò destò non poche preoccupazioni agli occhio dei
Romani).

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Nel 172 a.C. iniziarono i preparativi per la guerra che cominciò nel 171 a.C. Nel 168 ci fu una svolta:
Perseo fu sconfitto dall’esercito del nuovo comandante romano, il console LUCIO EMILIO PAOLO e fu
condotto come prigioniero in Italia. Il territorio macedone fu diviso in quattro repubbliche indipendenti
che non potevano intrattenere rapporti tra di loro: erano proibiti i matrimoni tra gli abitanti di due diversi
stati, non era concesso possedere terreni o case in più di uno stato. I quattro stati dovevano versare un
tributo a Roma.
La terza guerra macedonica ebbe come effetto l’abolizione del tributum, imposta pagata dai cittadini
romani per finanziare la paga dei soldati, poiché il bottino di guerra era stato decisamente ricco.

La quarta guerra macedonica e la guerra arcaica


In appena vent’anni divenne evidente che la sistemazione data da Roma all’area greca era inadeguata.
Roma e i suoi governatori avevano esercitato spesso il loro potere in forma tiranniche nei confronti della
Grecia suscitando tensioni sociali e tentativi di secessione che sfociarono in una rivolta in Macedonia.
Qui ANDRISCO, facendosi passare per il figlio di Perseo e assumendo il nome di Filippo, si schierò contro
i Romani contro i quali perse nel 148 a.C.
Il Senato ordinò il distacco dalla Lega achea delle città di Sparta, Argo e Corinto il che segnava la fine
della Lega stessa come organismo di rilevanza politica. L’assemblea della lega decise di tentare una
guerra contro Roma che durò poco e causò la definitiva fine dell’ultimo esercito acheo e la distruzione
di Corinto nel 146 a.C. La Macedonia venne ridotta a provincia romana e tutte le leghe vennero sciolte.

La terza guerra punica


Nel 146 a.C. fu distrutta anche Cartagine in seguito alla terza guerra punica. Dopo la seconda guerra
punica Cartagine si era ripresa bene sia dal punto di vista economico pagando nei termini previsti
l’indennità di guerra, sia dal punto di vista politico intraprendendo una serie di riforme democratiche.
Cartagine era in conflitto con la Numidia di MASSINISSA che avanzava pretese espansionistiche sempre
maggiori inducendo Cartagine a chiedere a Roma il permesso di dichiarare guerra alla Numidia
(Cartagine infatti in base alla pace successiva alla seconda guerra punica, non poteva dichiarare guerra
senza il consenso di Roma). Roma negò più volte il consenso ma nel 151 a.C. a Cartagine prevalse il
partito della guerra e fu inviato contro Massinissa un esercito capitanato da ASDRUBALE. L’esercito
cartaginese fu clamorosametne sconfitto e a Roma si decise per la definitiva distruzione di Cartagine.
Nel 149 a.C. un esercito romano sbarco in Africa a Utica, città consegnatasi spontaneamente ai romani.
Per evitare la guerra Cartagine consegnò volontariamente una notevole quantità di armamenti e ostaggi
ma si rifiuto di abbandonare la citta di Cartagine, poichè ciò ne avrebbe determinato la definitiva
estinzione, resistendo all’attacco dei romani che si trasformo in un lungo assedio. La situazione si sblocco
nel 146 a.C. sotto il comando di Publio Cornelio Scipione Emiliano, quando la città fu rasa al suolo,
saccheggiata e trasformata nella nuova provincia d’Africa con capitale Utica.

La Spagna
Roma era riuscita ad annientare Cartagine ma non aveva ancora risolto la situazione in Spagna. Nel 197
a.C. nei territori occupati in Spagna vennero organizzate due nuove province: Spagna Citeriore (a Nord)
e Spagna Ulteriore (a Sud) governate da due pretori; le due province dovevano pagare un tributo a Roma
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e fornire truppe ausiliarie all’esercito romano. L’importanza economica del nuovo dominio Romano nella
penisola iberica si basava sulla riscossione delle tasse e sullo sfruttamento delle risorse minerarie.
Inizialmente le due province romane comprendevano solamente le regioni costiere della Spagna
Meridionale e Orientale. La penetrazione verso l’interno fu lenta e difficile tanto che la sottomissione
della penisola iberica fu completata solo con Augusto.

Il dibattito sull’imperialismo romano


Roma può essere considerata un impero già prima che esso sia creato istituzionalmente poiché formata
da un nucleo centrale dominante e aree periferiche subordinate. La valutazione dell’imperialismo romano
muta in base allo sguardo dello storico. L’unica cosa certa è che a Roma la guerra era considerata normale
infatti durante l’intero periodo repubblicano solamente un anno (il 235 a.C.) è stato interamente di pace
mentre in tutti gli altri Roma era in guerra.
Riguardo alle ragioni che hanno determinato questo perenne “stato di guerra” ci sono diverse teorie:

 MOMMSEN: Nella seconda metà dell’Ottocento e prima del Novecento si sviluppa la teoria
dell’imperialismo difensivo secondo cui Roma è divenuta un impero a causa della risposta a minacce
di altre potenze;
 HARRIS: Nella seconda metà del Novecento si sviluppa la teoria dell’imperialismo offensivo secondo
cui Roma con la sua politica aggressiva ha intrapreso numerose guerre che l’hanno resa un impero;
 ECKSTEIN: in anni più recenti si è sviluppato il modello realistico basato sulla constatazione che tra
il III e II sec a.C. il Mediterraneo era multipolare e Roma per perseguire la propria sicurezza ed
espandersi ha intrapreso una serie di guerre che l’hanno resa impero.

Tutte le teorie hanno punti di forza e punti deboli ma di sicuro Roma ha accelerato la propria espansione
in modo aggressivo e spietato, come si può assumere con la distruzione di città come Corinto e Cartagine.
È importante ricordare che Roma non possedeva un’unica volontà precisa ma era costellata da diverse
visioni politiche. Una caratteristica dell’imperialismo Romano riguarda la dimensione etica della guerra
connessa a quella religiosa (come dichiarare guerra, come condurre la guerra, come trattare i vinti etc.).

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Parte terza
La crisi della Repubblica e le guerre civili
Capitolo 1
Dai Gracchi alla guerra sociale
Le fonti
Fonti sull’età dei Gracchi (133-121 a.C.)
La maggior parte delle opere di questo periodo è andata perduta: ci si deve perciò basare su scrittori più
tardi, che possono anche presentare, nelle loro ricostruzioni o interpretazioni, il rischio di anacronismi.
 Le fonti di annalistica media sono quasi tutte scomparse come Fannio, Gellio, Calpurnio Pisone,
Sempronio Asellione.
 Le fonti annalistica recente sono andate perdute come MACRO, QUADRIGARIO, ANZIATE, TEBURONE,
RUFO, CATULO, SISENNA.
 Tra gli autori latini posteriori vi erano CICERONE, LIVIO, PATERCOLO, FLORO, OROSIO, GELLIO,
VALERIO MASSIMO, DIONE etc.
 La documentazione epigrafica si basa sulla tabula bembina che conserva la lex reputandarum (reati
di concussione), l’iscrizione pergamena OGIS e il monumento di Efeso.

Fonti dai Gracchi alla guerra sociale (121-88 a.C.)


 Periocae di LIVIO, PATERCOLO, FLORO, DIODORO SICULO, DIOE, SALLUSTIO, CICERONE
 Documenti diretti: cippi confinari iscritti, sententia minuciorum, tabula contrebiensis, deditio di
Alcantara, tabula bantina e alcune lex.

L’età dei Gracchi: una svolta epocale?


La tradizione storiografica riconduce ai Gracchi l‘origine della degenerazione dello Stato Romano e
l’inizio del tempo delle guerre civili.

Mutamento degli equilibri sociali


A causa delle numerose guerre degli anni passati i Romani erano rimasti lontani dalle proprie case e dai
campi per molto tempo; contemporaneamente queste guerre avevano condotto a Roma grandi bottini
monetari caduti però nelle mani di pochi, un ampliamento di orizzonti e delle occasioni di sfruttamento
e di mercato, un’enorme massa di schiavi, una massiccia penetrazione di idee greche.
I romani entrarono nel grande commercio di olio, vino, grano, schiavi etc. Erano diventati amministratori
bancari favorendo la fortuna di molti senatori e formando gli equites cioè i cavalieri appartenenti alle 18
centurie (censo 400.000 sesterzi) cui era dato inizialmente un cavallo che doveva poi essere sostentato a
proprie spese. A Roma si diffuse l’ellenismo infatti tutti i giovani romani venivano educati da precettori
di cultura greca.

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Crisi della piccola proprietà fondiaria e inurbamento
Lo sviluppo degli scambi commerciali aveva modificato la fisionomia dell’agricoltura italica: il
massiccio ricorso alla manodopera servile, l’importazione di grandi quantità di grano (dalla Sicilia) e di
materie prime, la spinta verso colture più speculative costituirono una concorrenza all’agricoltura
tradizionale di autosussistenza.
I piccoli proprietari terrieri, già impoveriti dagli effetti della seconda guerra punica, trattenuti a lungo
lontani dai propri campi, furono costretti a vendere i propri terreni e a divenire schiavi di grandi
proprietari terrieri. L’agricoltura si concentrò dunque nelle mani di grandi proprietari terrieri i quali,
attraverso l’uso di schiavi, destinavano i propri prodotti al commercio e non alla sussistenza dell’unità
familiare.
I contadini che non divenivano schiavi dei grandi proprietari, tendenzialmente migravano verso Roma
attirati dalle possibilità che la città offriva. Roma crebbe di dimensioni iniziando la sua trasformazione
in grande metropoli, con tuti i problemi di sussistenza e di approvvigionamento che di lì a poco
cominciarono a rilevarsi in tutta la loro gravità.

Rivolte servili
Il moltiplicarsi di queste grandi tenute a personale schiavile e il dilatarsi delle zone destinate al pascolo
in cui il bestiame era difeso e vegliato da schiavi-pastori armati, crearono i presupposti per il ripetuto
esplodere di rivolte servili.
La prima rivolta si verificò ad Enna nelle tenute del proprietario terriero DAMOFILO e si diffuse poi in
tutta l’isola. I mezzi ordinari non furono sufficienti ad arginare la ribellione e Roma fu costretta ad inviare
nell’isola tre consoli e solo l’ultimo, PUBLIO RUPILIO, riuscì nel 132 a.C. a domare la ribellione.

Due fazioni dell’aristocrazia: optimates e populares


L’accelerarsi dei mutamenti sociali fece venire meno l’equilibrio nella classe dirigente romana, la
nobilitas, che si divise in due fazioni:
 Optimates: che si richiamavano alle tradizioni degli avi e si autodefinivano boni, cioè “gente da bene”.
Questa fazione cercava di ottenere l’approvazione dei benpensanti, sostenendo l’autorità del Senato.
 Populares: che si proponevano come difensori del popolo, auspicando una serie di riforme in campo
politico e sociale.

La questione dell’ager publicus e il tentativo di riforma agraria di Caio Lelio


Le guerre di conquista avevano fatto crescere a dismisura l’ager publicus (terreno demaniale), parti di
essi erano spesso cedute in uso a privati a titolo di occupatio, dietro il pagamento di un canone. Lo Stato
restava proprietario di questi terreni e si riservava la facoltà di revocarne il possesso a sua discrezione. Il
canone preteso dallo stato (vectigal) era irrisorio e non sempre veniva riscosso.

La crisi della piccola proprietà fondiaria fece sì che la maggior parte dell’ager publicus si concentrasse
nelle mani dei grandi proprietari terrieri accentuando lo sfruttamento dei più piccoli: era necessaria una
serie di norme che regolasse la dimensione dell’ager publicus. L’ultima di tali leggi è attribuita a CAIO
LELIO, il suo progetto attirò però l’opposizione dei senatori tanto che egli si ritirò.

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Tiberio Gracco
TIBERIO GRACCO figlio maggiore di Tiberio Sempronio Gracco (trionfatore sulla Spagna) e di Cornelia
(figlia di Scipione l’Africano) propose una riforma agraria per limitare la quantità di terreno pubblico
posseduto. Il progetto di legge agrario, proposto ai comizi tributi, nel 133 a.C., fissava il limite massimo
di terreno pubblico a 500 iugeri con l’aggiunta di 250 iugeri per ogni figlio fino ad un massimo di 1000
iugeri per famiglia.
Istituì un collegio di triumviri, eletto dal popolo e composto da lui stesso, il fratello CAIO GRACCO e il
suocero APPIO CLAUDIO PULCRO, il cui compito sarebbe stato quello di ripartire i lotti e recuperare i
terreni in eccesso. Questi ultimi sarebbero stati distribuiti ai cittadini più poveri in piccolo lotti (30 iugeri).
Il tutto sarebbe stato finanziato utilizzando il tesoro del Re Attalo III di Pergamo che, non avendo eredi,
lo aveva lasciato al popolo romano.
Il progetto era politicamente legittimo ed accurato ma l’utilizzo del tesoro di Pergamo come
finanziamento invadeva prerogative che normalmente spettavano al Senato. Inoltre il progetto sollevò le
proteste dei grandi proprietari che vedevano le proprie terre espropriate. Il giorno della presentazione del
progetto un tribuno della plebe, MARCO OTTAVIO, oppose il suo veto impedendo l’approvazione del
progetto. Tiberio chiese all’assemblea di destituire Ottavio perché, con il suo veto stava venendo meno
al suo mandato di difensore del popolo. Ottavio fu rimosso e la riforma approvata. Tiberio decise di
ricandidarsi anche l’anno successivo, fu così che gli avversari insinuarono che egli mirava
esclusivamente all’affermazione di un proprio potere personale. Tiberio fu assalito e ucciso da un gruppo
di senatori avversari capitanati dal pontefice massimo PUBLIO CORNELIO SCIPIONE NASICA.

Da Tiberio a Caio Gracco


La morte di Tiberio non pose fine all’attività del triumvirato che portò alla riassegnazione di nuovi
territori nel Piceno, in Campania e in Lucania. Ciò scatenò il malcontento di latini e italici, le cui
aristocrazie di ricchi proprietari avevano occupati grandi porzioni di ager publicus, e che ora si trovavano
a dover restituire le parti in eccesso a beneficio dei nullatenenti romani.
SCIPIONE EMILIANO si occupò di questa problematica ma alla sua morte il successore, il console FULVIO
FLACCO, propose che tutti gli alleati italici potessero ottenere la cittadinanza romana o il diritto di
appellarsi al popolo in caso di abusi da parte di magistrati romani. La proposta non fu neppure discussa
date le molte opposizioni e Flacco vi rinunciò.
Nel frattempo si erano registrate rivolte ad Asculum e a Fregellae che fu rasa al suolo e nel 124 a.C. e
divenne colonia romana.

Caio Gracco
Nel 123 a.C. fu eletto Tribuno della plebe CAIO GRACCO, fratello minore di Tiberio, il quale ampliò i
poteri della commissione triumvirale introdotta dalla legge agraria del fratello Tiberio.
Dato che molte delle terre erano già state distribuite egli propose l’istituzione di nuove colonie di cittadini
romani sia in Italia sia nei territori della distrutta Cartagine. Propose una legge frumentaria assicurando
a tutti i cittadini residenti a Roma una quota mensile di grano a prezzo agevolato. Il grano necessario era

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conservato in granai pubblici appositamente costruiti. Con questa riforma Roma garantiva la presenza
continua e regolare di grano nel mercato finalizzata anche all’annona3.

Caio istituì una legge giudiziaria volta a limitare il potere del Senato integrando molti Cavalieri nel corpo
da cui attingere per la formazione degli albi dei Giudici; in questo modo i senatori non sarebbero più stati
giudicati esclusivamente da giudici provenienti dal senato stesso ma anche da Cavalieri.
Il Senato, i cui privilegi venivano messi in discussione, per contrastare Caio utilizzò il tribuno MARCO
LIVIO DRUSO che fece proposte opposte. Infatti, al momento Caio si trovava in Africa per procedere alla
fondazione della colonia presso Cartagine. Al suo ritorno, nel 122 a.C. Caio si rese conto del proprio
declino e, candidato al tribunato, non fu rieletto nel 121 a.C.
Per demolire definitivamente il prestigio di Caio il Senato decise di revocare la fondazione la colonia
Cartaginese poiché fu associata a presagi funesti; Gracco e l’altro membro della commissione per la
fondazione della colonia, FULVIO FLACCO, si opposero ma scoppiarono disordini generali che causarono
l’istituzione del senatus consultum ultimum, una misura eccezionale che permise al console LUCIO
OPIMIO di ordinare il massacro dei sostenitori di Gracco. Flacco morì negli scontri e Gracco si fece
uccidere da uno schiavo.

Progressivo smantellamento della riforma agraria


I sostenitori dei Gracchi furono perseguitati ma le loro leggi furono mantenute poiché utili, anche se col
tempo la loro rigidità venne progressivamente mitigata. Nel 121 a.C. fu sancita per legge che i lotti
attribuiti fossero alienabili, ciò fece sì che tornassero nelle mani dei più abbienti. Nel 119 a.C. venne
posta fine alle operazioni di recupero delle terre che furono lasciate ai detentori attuali dietro pagamento
di un canone e fu abolita la commissione agraria. Nel 111 a.C. un'altra legge soppresse il tributo e le terre
furono trasformate in proprietà private.

Provincie, espansionismo e nuovi mercati: Asia, Gallia, Baleari, Dalmazia


danubiana
Prima del 133 a.C. Roma aveva costruito sei province:
1. Sicilia (241 a.C.),
2. Sardegna e Corsica (237 a.C.),
3. Spagna Citeriore e Spagna Ulteriore (197 a.C.),
4. Macedonia (148 a.C.)
5. Africa (146 a.C.).
L’annessione di una provincia è da considerare come un atto non di annessione ma di guerra. Le linee di
riferimento della provincia (amministrazione, ager publicus, regole etc.) era definita da un decemvirato
che emanava una lex provincae.

3
Annona: l’intera serie di operazioni indispensabili per rifornire i mercati di Roma di derrate di prima necessità, sufficienti
a soddisfare le esigenze alimentari della popolazione.
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Asia
Nel 133 a.C. il re di Pergamo ATTALO III aveva lasciato il proprio regno ai romani ma ARISTONICO, forse
figlio naturale di Eumene (padre di Attalo), assunto il nome di EUMENE III si pose a capo di una rivolta
che tenne testa per tre anni alle rivendicazioni di Roma. Egli prima fece appello allo spirito di

Figura 12 Provincia d'Asia

indipendenza delle città greche, ma senza successo, si rivolse allora alle popolazioni dell’interno a cui
fece promesse di miglioramento sociale promulgando l’instaurazione di uno stato utopico, una “città del
sole” dove tutti sarebbero stati liberi e uguali. Il compito di combattere Eumene III fu sostenuto
inizialmente soprattutto dai re alleati di Roma, dalle comunità locali e dalle poleis. Solamente nel 130
a.C. la rivolta fu arginata e Eumene III fu catturato. I territori di Pergamo furono riorganizzati nella
provincia d’Asia (che comprendeva Misia, Troade, Lidia, Frigia e Caria).

Gallia
La Gallia meridionale, che consentiva il passaggio terrestre dalle regioni liguri alla Spagna, attirò
l’attenzione e l’impegno romano. Rispondendo a una richiesta d’aiuto dell’alleata Marsiglia contro tribù
celto- liguri e
galliche, fu inviato
nel 125 a.C. un
esercito che
sconfisse

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definitivamente i Galli meridionali nel 121 a.C. In questi territori fu così creata la provincia narbonese,
che fu organizzata intorno alla città di Narbona.

Figura 13 Provincia di Gallia Narbonese

Baleari
Nel 123 a.C. furono conquistate le isole Baleari che erano divenute basi di attività piratiche dannose ai
traffici marittimi. Le Baleari furono annesse alla provincia di Spagna Citeriore e sottoposte a un prefetto
nominato dal governatore.

Dalmazia danubiana
Nel contempo, tra il 119 a.C. e il 110 a.C., furono condotte molte campagne militari contro le tribù
illiriche della Dalmazia (Scordisci e Taurisci).

Figura 14 Provincia di Dalmazia danubiana

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I commercianti italici e l’Africa; Giugurta; Caio Mario
Molti commercianti e uomini d’affari romani
e italici erano stati attirati in Africa dalle
potenzialità economiche della regione e dalla
sua grande produttività in grano e olio. Nel
118 a.C. alla morte di Micipsa, figlio di
Massinissa e anch’egli filoromano, il regno fu
conteso tra i suoi tre eredi. Uno di essi,
GIUGURTA, suo nipote e figlio adottivo, uccise
uno dei due: IEMPSALE, mentre l’altro,
ADERBALE, fu costretto a rifugiarsi a Roma
chiedendo l’arbitrato del Senato che, nel 116
a.C. optò per la divisione della Numidia tra i
due contendenti. Ad Aderbale andò la parte
Figura 15 Regno di Numidia diviso tra Giugurta e Aderbale
orientale più ricca, a Giugurta quella
occidentale più vasta. Non contento quest’ultimo volle tentare di conquistare la parte di Aderbale cosi
attaccò Cirta, la capitale, in cui uccise il rivale e trucidò anche uomini romani e gli italici che vi
svolgevano la loro attività. Roma nel 111 a.C. fu dunque costretta a scendere in guerra. Le operazioni
militari furono condotte da LUCIO CALPURNIO BESTIA che, dopo una serie di successi, si limitò a
pretendere che Giugurta chiedesse la pace. A Roma si gridò allo scandalo, Calpurnio venne accusato di
corruzione e Giugurta fui condotto a Roma per un’inchiesta. Giugurta sfuggì all’interrogatorio e tornò in
patria, cosi la guerra fu ripresa sotto il comando di SPURIO POSTUMIO ALBINO ma senza successi e i
romani furono costretti ad abbandonare la Numidia. Nel 109 a.C., quindi, la guerra fu affidata a QUINTO
CECILIO METELLO e CAIO MARIO, suo legato4. Metello riprese le redini del conflitto e sconfisse Giugurta
ma non riuscì a concludere la campagna dunque gli subentrò Caio Mario. Caio Mario era un homo novus
e nuovo modello di politico, eletto console nel 107 a.C.

L’arruolamento dei nullatenenti e la fine della guerra giugurtina


Mario che necessitava nuove truppe per far fronte alle perdite nella guerra giugurtina, apri l’arruolamento
volontario ai capite censi, cioè coloro senza il minimo bene patrimoniale: i nullatenenti. Con il suo nuovo
esercito ritorno in Africa e dopo tre anni, nel 105 a.C., riuscì a catturare Giugurta che condusse
prigioniero a Roma e uccise due anni dopo. La Numidia orientale fu assegnata a un nipote di Massinissa,
GAUDA, fratellastro di Giugurta ma fedele a Roma, la parte rimanente a BOCCO, suocero di Giugurta, con
cui venne stipulato un trattato di alleanza. Caio Mario fu rieletto console nel 104 a.C.

4
Legato: comandante dell’esercito
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Cimbri e Teutoni; ulteriori trasformazioni dell’esercito
Nel frattempo due popolazioni
germaniche i Cimbri e i Teutoni,
provenienti dall’attuale Danimarca,
stavano migrando verso sud.
Oltrepassato il Danubio furono
affrontati al di là delle Alpi CNEO
PAPIRIO CARBONE, inviato a
proteggere i confini d’Italia. La
battaglia si svolse a Noreia, qui i
romani subirono una disastrosa
sconfitta, nel 113 a.C.
Continuando il loro cammino verso
occidente, nel 110 a.C. Cimbri e
Teutoni comparvero in Gallia,
minacciando la nuova provincia
narbonese. Anche in Gallia i romani
furono sconfitti dai germanici, nel
Figura 16 Cimbri e Teutoni
105 a.C., a Arausio (attuale Orange).
A Roma crebbe il terrore che i Cimbri e i Teutoni invadessero l’Italia e crebbe l’insoddisfazione verso i
generali dell’esercito di origine aristocratica. Caio Mario, nel 104 a.C. venne rieletto console e gli fu
affidato il comando della guerra, egli in attesa che i barbari si facessero vivi di nuovo (i Teutoni si erano
recati in Gallia e i Cimbri in Spagna) riorganizzò l’esercito: ogni legione fu articolata in 10 coorti di
circa 600 uomini ciascuna, ognuna delle quali poteva operare con una certa autonomia. Il suo lavoro di
riorganizzazione riguardò anche l’addestramento, l’equipaggiamento, l’armamento, le insegne e la
logistica degli approvvigionamenti. Non appena i Germani comparvero nel 103 a.C. Roma stermino
prima i Teutoni a Aquae Sextiae (l’attuale Aix en Provence) e poi i Cimbri a Vercellae (forse l’attuale
Vercelli, forse una regione veneta).
In queste circostanze fu messa in atto una particolare procedura di conferimento della cittadinanza
romana: Caio Mario attribuì la cittadinanza romana direttamente sul campo di battaglia a 1000 soldati
umbri schierati in favore di Roma.

Eclissi politica di Mario; Saturnino e Glaucia


Mentre era impegnato in campagne militari Mario aveva creduto utile appoggiarsi a LUCIO APPULEIO
SATURNINO, il quale era stato aiutato proprio da Mario ad essere eletto tribuno della plebe nel 103 a.C.
Nel 100 a.C. Mario fu eletto al suo sesto consolato, Saturnino al tribunato della plebe per la seconda volta
e CAIO SERVILIO GLAUCIA, suo compagno di parte popolare, pretore. Contando sulla legge di Mario,
Saturnino, presentò una legge agraria che prevedeva assegnazioni di terre nella Gallia meridionale e la
fondazione di colonie in Sicilia, Acaia e Macedonia. Per poter sviluppare il suo programma Saturnino
ottenne la rielezione a tribuno per l’anno successivo mentre Glaucia si candidava al consolato. Durante
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le votazioni scoppiarono dei tumulti in cui un competitore di Glaucia finì assassinato. Il senato non
attendeva altro per proclamare il senatus consultum ultimum. Mario, in qualità di console, fu costretto
ad applicarlo contro i suoi stessi alleati politici e Saturnino e Glaucia furono uccisi. Il prestigio di Mario
fu fortemente compromesso dalla vicenda tanto che egli preferì allontanarsi da Roma per intraprendere
ufficialmente una missione diplomatica.

Pirati; schiavi; Cirenaica


L’istallazione di Roma in Anatolia l’aveva condotta a stretto contatto con un problema tipico della zona:
la pirateria. L’azione dei pirati era particolarmente pericolosa per la sicurezza e gli affari dei
commercianti romani nei mari greci e nell’Egeo orientale. Nel 102 a.C. Roma decise di intervenire
inviando nella zona il pretore MARCO ANTONIO, con il compito di distruggere le basi dei pirati e
impadronirsene. L’azione si protrasse per un paio d’anni accompagnata dalla costituzione della provincia
costiera di Cilicia con la funzione di proteggere il commercio marittimo d’Asia. Roma, per affrontare le
guerre cimbriche, chiese aiuto militare agli alleati italici e a quelli di oltremare. Tra essi NICOMEDE III di
Bitinia si rifiutò sostenendo di aver subito una forte perdita di uomini a causa dei pirati o perché
ingiustamente sequestrati e venduti come schiavi per debiti. Fu così che Roma ordinò ai governatori
provinciali di condurre rigorose inchieste in merito, decretando che nessun alleato di condizione libera
potesse essere ridotto in schiavitù e ordinando che fosse restituita la libertà a chi l’avesse persa in tal
modo. Una prima fase la legge fu applicata, successivamente si scatenarono le opposizioni dei detentori
di schiavi e ciò fece sì che la misura non fosse in gran parte applicata. Ne scaturirono numerose rivolte
servili represse da MANIO AQUILIO.
Nel 96 a.C. venne lasciata per testamento a Roma una parte del territorio tolemaico, la Cirenaica
(l’attuale Libia). Seguendo una politica di non farsi coinvolgere direttamente in zone lontane dai propri
interessi al lascito non fu dato alcun seguito e la questione fu ripresa solo nel 75 a.C. quando vi fu dedotta
una provincia.

Marco Livio e la concessione della cittadinanza agli italici


Il decennio successivo al 100 a.C. fu caratterizzato da tensioni politiche e sociali. In questa atmosfera fu
eletto tribuno della plebe Marco Livio Druso, nel 91 a.C. Egli tentò di fare da intermediari tra le varie
parti che in quegli anni si scontravano all’interno della politica romana, da un lato promulgò
provvedimenti di evidente contenuto popolare come la legge agraria volta alla distribuzione di nuovi
appezzamenti e alla deduzione di nuove colonia, e una legge frumentaria che abbassava il prezzo politico
delle distribuzioni granarie; dall’altro restituì ai senatori i tribunali per i reati di concussione, proponendo
però l’ammissione dei cavalieri in senato, che venne aumentato da 300 a 600 membri. Inoltre volle
proporre la concessione della cittadinanza romana a tutti gli alleati italici destando una vasta opposizione,
tanto che egli fu assassinato e tutte le sue leggi dichiarate nulle.

La guerra sociale
La differenza di stato giuridico e sociale tra i cittadini di Roma e gli alleati Latini e Italici non aveva
suscitato grandi contestazioni agli inizi del II secolo, quando essa trovava effettivo riscontro in differenze
etniche e culturali e quando l’organizzazione politica era pensata in una dimensione pressoché locale.
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Successivamente, con l’espansione di Roma nel Mediterraneo, i suoi domini si erano sempre più unificati
sotto una matrice ellenistica e ciò face sì che la concessione della cittadinanza diventasse un problema
sentito. Inoltre vi era una forte disparità di trattamento tra coloro che erano cittadini e chi non godeva di
questo privilegio. La condizione di cittadino romano era diventata sempre più vantaggiosa e ciò
aumentava le rivendicazioni degli Italici che avevano contribuito ai successi militari di Roma e che non
potevano beneficiare delle distribuzioni agrarie e frumentarie né delle assegnazioni di terre, anzi spesso
gli venivano sottratte a favore dei cittadini romani. Gli Italici non aveva parte nelle decisioni politiche,
economiche e militari nonostante queste li toccassero da vicino.
L’assassino di Druso fece scattare la rivolta delle popolazioni italiche contro Roma, chiamata guerra
sociale perché combattuta contro i socii di Roma, cioè i suoi stessi alleati. Le ostilità partirono da Ascoli
nel 90 a.C. dove un pretore e tutti i romani residenti furono massacrati. L’insurrezione si estese sul
versante adriatico, nell’Appennino centrale e in quello meridionale. Solo Etruschi, Umbri, città latine e
quelle della Magna Grecia non aderirono. La guerra fu lunga e sanguinosa poiché Roma si trovava così
a combattere contro gente armata e addestrata nel suo stesso esercito e che dunque combatteva nel suo
stesso modo. Gli insorti nel frattempo si erano dati istituzioni comuni, una capitale (Confirmuim, nel
Sannio, ribattezzata Italica) e una moneta. A Roma, già dal 90 a.C., si cercò una soluzione politica del
conflitto e, l’anno successivo la cittadinanza fu estesa agli Italici che si fossero registrati entro 60 giorni
presso il pretore di Roma (Lex Plautia Papiria proposta da CAIO PAPIRIO CARBONE e MARCO PLAUTIO
SILVANO). Tali misure circoscrissero la rivolta anche se essa si trascinò ancora con una certa virulenza
fino all’88 a.C. quando la concessione della cittadinanza fu estesa a tutta l’Italia fino alla Transpadana,
inaugurando sia un processo di unificazione politica, sia una nuova fase della storia delle istituzioni di
Roma.

Capitolo 2
I primi grandi scontri armati
Le fonti
 Fonti dalla guerra mitridatica a Silla (88-78):
APPIANO, PATERCOLO, FLORO, OROSIO, DIONE, DIORO SICULO, CICERONE, LICINIANO. Epigrafiche:
lex municipi terantini, tabula bantina.
 Fonti da morte di Silla al consolato Pompeo e Crasso (78-70):
APPIANO, PLUTARDO, PATERCOLO, FLORO. Epigrafiche: lex antonia de termessibus e decreto di gizio.
 Fonti dalla guerra piratica di Pompeo al ritorno in Oriente (70-62):
APPIANO, DIONE, LIVIO, OROSIO, VALERIO MASSIMO, PATERCOLO, FLORO, SALLUSTIO, CICERONE,
PLUTARCO, FLAVIO GIUSEPPE.

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Mitridate VI Eupatore
Mentre Romani e Italici combattevano la guerra sociale, in Oriente, a partire dalle coste del Mar Nero,
si stava sviluppando una situazione allarmante. MITRIDATE VI EUPATORE, divenuto re del Ponto nel
112a.C., ed era riuscito ad impadronirsi del Bosforo Cimmerio, della Crimea e della Colchide. Egli
riteneva di essere stato immotivatamente depredato da Roma perché essa gli aveva tolto, alla morte di
suo padre MITRIDATE V EVERGETE, le donazioni territoriali che aveva fatto a quest’ultimo dopo la guerra
contro Aristonico. Esse erano state riunite alla provincia d’Asia. Approfittando della guerra sociale
Mitridate aveva intrapreso una politica espansionistica facendo invadere la Cappadocia da suo genero
Tigrane, re di Armenia e spodestando dalla Bitinia il nuovo re NICOMEDE IV. A questo punto verso la
fine del 90 a.C. Roma inviò in
Oriente una truppa capeggiata
da MANLIO AQUILIO con
l’intento di rimettere sul trono i
legittimi sovrani di Cappadocia
e Bitinia. Mitridate dichiarò
guerra a Roma: egli intraprese
un’opera di propaganda
antiromana rivolta al mondo
greco. Egli si presentò come un
benefattore che ripristinava le
autonomie locali e concedeva
l’immunità dai tributi. Riuscì
presto a conquistare tutta Figura 17 Prima guerra mitridatica
l’Asia. Manlio Aquilio fu
costretto a fuggire e rifugiarsi prima a Pergamo e poi a Mitilene dai cui abitanti venne consegnato a
Mitridate e ucciso. La guerra era diventata così una grande sollevazione del mondo ellenico contro quello
romano. Roma decise allora di reagire affidando il comando della guerra a LUCIO CORNELIO SILLA.

Il tribunato di Publio Sulpicio Rufo e il ritorno di Mario; Silla marcia su Roma


Nel frattempo a Roma il tribuno della plebe PUBLIO SULPICIO RUFO riprendeva il problema
dell’inserimento dei cittadini italici nelle tribù romane. Ma il fatto che essi, al pari di tutti gli altri cittadini,
dovessero venire iscritti nelle tribù, poteva produrre mutamenti radicali. Il loro numero infatti era tale
che, se fossero stati ripartiti tra tutte e 35 le tribù e si fossero recati in massa a Roma per votare, sarebbero
stati in maggioranza in ciascuna tribù, si era cercato allora di immetterli in un numero limitato di tribù.
In questo modo, poiché nei comizi tributi i cittadini votavano entro la tribù e si contava un voto per ogni
tribù, i neocittadini avrebbero potuto influire soltanto sul voto di poche tribù mentre i vecchi cittadini
avrebbero continuato a mantenere la prevalenza complessiva dell’organismo.
La guerra sociale e la campagna contro Mitridate avevano prodotto una profonda crisi economica. Per
far fronte a questo problema Rufo propose una serie di provvedimenti:
 Richiamo dall’esilio di quanti erano stati perseguiti per collusione con gli italici,
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 Inserimento dei neo cittadini in tutte le 35 tribù,
 Limite massimo di indebitamento di 2000 denari per ciascun senatore, superando il quale sarebbe
stata decretata l’espulsione dal senato,
 Trasferimento del comando della guerra contro Mitridate da Silla a Mario.
Appresa la notizia della sostituzione Silla marciò su Roma uccidendo Sulpicio e proponendo alcune
norme che anticipavano la sua opera riformatrice. Mario invece riuscì a fuggire in Africa.

Silla e la prima fase della prima guerra mitridatica


Sbarcato nell’Epiro nell’87 Silla conquistò Atene, saccheggio i tesori di Delfi e Olimpia e si diresse in
Grecia centrale dove sconfisse le truppe di Mitridate, il quale aveva così definitivamente perso il suo
predominio in Grecia. Anche in Asia minore la situazione stava cambiando: Mitridate stava perdendo il
forte consenso di cui godeva in precedenza a causa dei suoi tratti tirannici e dispotici.

Lucio Cornelio Cinna e l’ultimo consolato di Mario


Uno dei due consoli dell’87 a.C., Lucio Cornelio Cinna, aveva riproposto la legge che iscriveva i cittadini
italici all’interno delle 35 tribù, la proposta fu rifiutata ed egli fu cacciato da Roma e rifugiò in Campania
dove venne raggiunto da Mario, ritornato dall’Africa e insieme marciano su Roma. La città fu presa con
la forza e Silla fu dichiarato nemico pubblico. Cinna e Mario furono eletti consoli nell’86 a.C. (Mario
morì poco dopo) mentre Cinna fu rieletto nell’84 a.C. e risolse definitivamente l’immissione dei cittadini
italici nelle 35 tribù, inoltre affrontò il problema dei debiti riducendone l’ammontare e fissando un nuovo
rapporto tra la moneta di bronzo e quella d’argento. Verso la fine dell’84 a.C. alla notizia del ritorno di
Silla cercò di anticiparlo ma fu ucciso dai suoi stessi soldati ammutinati.

Conclusione della prima guerra mitridatica


Nell’86 a.C. due armate romane opposte occupavano la Grecia parallelamente, una capeggiata da Silla e
non riconosciuta ufficialmente e l’altra da LUCIO VALERIO FLACCO, inviata da Cinna. Esse non si
scontrarono mai ma agirono parallelamente ricacciando Mitridate in Asia. Flacco riprese la Macedonia
e la Tracia fino al Bosforo, poi passò in Asia, dove i suoi soldati ammutinatisi lo assassinarono,
sostituendogli al comando CAIO FLAVIO FINBRIA, quest’ultimo riconquistò Pergamo cacciando Mitridate.
La posizione di Mitridate era ora assai precaria e molti dei suoi alleati defezionarono, si giunse così a
trattative di pace, che fu stipulata a Dardano, nella Troade, nell’85 a.C. Mitridate conservava il proprio
regno ma doveva evacuare il resto dell’Asia, era obbligato a versare una forte indennità di guerra e
consegnare la propria flotta. Silla incorporò l’esercito di Fimbria al proprio e sbarcò in Italia, a Brindisi,
con un ricco bottino nell’83 a.C.
La pace di Dardano non pose però fine alle ostilità in Anatolia dove LUCIO LICINIO MURERA, governatore
d’Asia lasciato da Silla, non cessò di effettuare incursioni nel Ponto accusando Mitridate di prepararsi a
riprendere le armi. Mitridate reagì sconfiggendo Murera e dilagando di nuovo in Cappadocia, finché
entrambi i contendenti non furono fermati da un intervento personale di Silla. Questo prolungamento del
conflitto viene talora definito seconda guerra mitridatica (83-81 a.C.)

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Le proscrizioni; Silla dittatore per la riforma dello Stato
A Brindisi raggiunsero Silla il giovane CNEO POMPEO e altri suoi fautori in armi. Silla impiegò due anni
per trionfare sugli avversari. Si impadronì di Roma e, grazie all’aiuto di MARCO LICINIO CRASSO,
distrusse le ultime resistenze avversarie. Restavano da eliminare gli oppositori mariani rifugiatisi in
Africa e in Sicilia. In queste operazioni si distinse Cneo Pompeo. Per rendere definitiva la sua vittoria,
Silla introdusse le liste di proscrizione, elenchi di avversari politici i cui nomi venivano notificati al
pubblico: chiunque poteva ucciderli impunemente, i loro beni erano confiscati e venduti all’asta, i loro
figli e discendenti esclusi da ogni carica.
Ciò ebbe conseguenze importanti, perché contribuì a modificare la composizione dell’aristocrazia
romana. Un certo numero di famiglie scomparve, altre si arricchirono a loro spese. Le comunità italiche
che avevano parteggiato per i mariani subirono confische territoriali che furono utilizzate per dedurre
colonie a favore dei veterani di Silla. Poiché entrambi i consoli dell’82 a.C. erano morti nel conflitto il
senato nomino, secondo la tradizione, un interrex, il princeps senatus LUCIO VALERIO FLACCO, il quale
invece che designare nuovi consoli presentò ai comizi una proposta (lex valeria) che nominava Silla
dictatori legibus scribundis et reipublicae costituendae (dittatore con l’incarico di redigere leggi e
organizzare lo Stato). Diversamente da quelle tradizionale, tale dittatura costituente, non era a tempo
determinato, 6 mesi, ma illimitato; essa non era inoltre incompatibile col consolato che Silla rivestì
nell’80 a.C.
Compiuta la riorganizzazione dello Stato Silla abdicò alla dittatura. Nel 79 a.C., dopo le elezioni
consolari per l’anno successivo, si ritirò a vita privata in Campania dove morì l’anno successivo.

Il tentativo di reazione antisillana di Marco Emilio Lepido


Nel 78 a.C. uno dei consoli MARCO EMILIO LEPIDO cercò di ridimensionare l’ordinamento Sillano
richiamando gli esiliati, distribuendo il frumento a prezzo politico, restituendo delle terre confiscate a
favore dei coloni insediati da Silla agli antichi proprietari. I suoi progetti incontrarono diverse opposizioni,
così, in Etruria, si scatenò una rivolta di quanti erano invece in accordo con Lepido, poiché volevano
vedersi restituite le proprie terre. Lepido fece causa comune con questi ribelli e marciò su Roma
reclamando un secondo consolato e la restaurazione dei poteri dei tribuni della plebe. Il senato attuò
contro di lui il senatus consultum ultimum, la rivolta venne così stroncata e Lepido fuggì in Sardegna
dove morì poco dopo.

L’ultima resistenza mariana; Sertorio


Nell’82 a.C. QUINTO SERTORIO era giunto in Spagna Citeriore col ruolo di governatore, qui aveva creato
una sorta di stato mariano in esilio. Tutti i tentativi di abbatterlo si erano rivelati vani. Nel 77 a.C. alcune
truppe superstiti di Lepido si erano unite a Sertorio. A Roma il senato decise di ricorrere a Pompeo che
fu inviato in Spagna con l’attribuzione di un imperium straordinario. Egli arrivato in Spagna, subì alcune
sconfitte da Sertorio, tanto che fu costretto a richiedere al senato l’invio di rifornimenti e rinforzi,
ottenutili nel 74 a.C. la situazione migliorò e riuscì a vincere anche grazie ai dissapori creatisi contro
Sertorio che fu assassinato.

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La rivolta servile di Spartaco
Nel 73 a.C. scoppia la terza rivolta di schiavi, a Capua in una scuola di gladiatori, dove una settantina
di essi ribellatisi si erano rifugiati sul Vesuvio. Là furono raggiunti da gladiatori, schiavi e uomini di
condizione libera ridotti in miseria e la rivolta si estese a tutti il sud Italia. A capo della rivolta furono
posti tre gladiatori: SPARTACO, un trace, CRISSO ed ENOMAO, celti. Spartaco intendeva condurre i
rivoltosi aldilà delle Alpi e farli tornare nei propri paesi di origine, gli altri preferivano darsi alla razzia e
al saccheggio. Il senato decise di affidare il comando a MARCO LICINIO CRASSO, console, che riuscì a
bloccare Spartaco e i suoi in Calabria, sconfiggendoli definitivamente in Lucania. Lo stesso Spartaco
cadde in battaglia.

Il consolato di Pompeo e Crasso e lo smantellamento dell’ordinamento sillano


Pompeo (pur non avendo l’età e non avendo affrontato l’iter di carriere necessario) e Crasso furono eletti
consoli nel 70 a.C. e smantellarono la riforma sillana:
 Restauro della pienezza dei poteri dei tribuni della plebe,
 Distribuzione del grano a prezzo politico,
 Elezione di censori che epurarono il senato da 64 membri definiti indegni e condussero il censimento.

Pompeo in Oriente; operazioni contro i pirati; nuova guerra mitridatica


Negli anni tra l’80 e il 70 a.C. in Oriente erano riemerse le minacce dei pirati e di Mitridate. La pirateria,
che Roma aveva scacciato dal Mediterraneo, era ancora libera in oriente, le sue basi principali erano
disseminate lungo l’Asia Minore e minacciava i commerci navali. Cosi nel 74 a.C. fu inviato MARCO
ANTONIO per sedare la pirateria: egli si concentrò su Creta dove fu sconfitto così le operazioni furono
affidate a QUINTO CECILIO METELLO che riconquistò l’isola. Sempre nel 74 a.C. si riapri la guerra con
Mitridate, quando, alla morte di Nicomede IV il suo regno di Bitinia fu lasciato in eredità ai romani, con
un documento che si sospettava essere falso. Mitridate decise di invadere la Bitinia e contro di lui furono
inviati MARCO AURELIO COTTA e LUCIO LICINIO LUCULLO che costrinse Mitridate a fuggire in Armenia.
Lucullo sospese momentaneamente le operazioni per ristabilire la situazione in Asia per poi procedere
ancora verso Mitridate ma sua marcia fu fermata dai suoi stessi soldati e dai finanzieri romani (contrari
alle sue riforme in Asia) che vollero destituirlo. Mitridate e Tigrane ne approfittarono per riaprire le
ostilità.
Nel 67 a.C. il tribuno della plebe AULO GABINIO propose una soluzione drastica contro i pirati:
attribuendo per tre anni a Pompeo un imperium infinitum su tutto il Mediterraneo. Pompeo che risolse la
questione dei pirati, cacciandoli dal Mediterraneo occidentale, e assunse il comando contro Mitridate
costringendolo a fuggire nel Mar Nero dove si uccise. Pompeo intanto creò una provincia romana in Siria,
giunse poi in Palestina e conquistò Gerusalemme costituendo uno stato autonomo ma tributario di Giudea
sottoposto al controllo del governatore di Siria, ampliò la Cilicia fino al confine con la Siria per poi
rientrare a Roma trionfante.

Il consolato di Cicerone e la congiura di Catilina


Durante l’assenza di Pompeo a Roma si era verificata una grave crisi: LUCIO SERGIO CATILINA si era
arricchito durante gli eccidi dell’età sillana ma aveva speso somme enormi per il suo elevato tenore di
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vita e per la sua campagna politica e fu accusato di concussione. Prosciolto dell’accusa di concussione si
candido per il consolato nel 63 a.C. ma venne battuto da MARCO TULLIO CICERONE, homo novus,
sostenitore di Pompeo. Catilina riprovò l’anno dopo senza successo e decise di intraprendere una
cospirazione contro i consoli: organizzo un esercito ma il piano fu scoperto da Cicerone che fece attuare
il senatus consultum ultimum che costrinse Catilina ad allontanarsi da Roma; Cicerone arrestò cinque
tre capi della congiura che furono messi a morte e Catilina affrontato di lì a poco da un esercito consolare
mori in battaglia.

Egitto, Cipro, Cirenaica


Alla morte di TOLOMEO VIII EVERGETE II (116 a.C.) il suo regno (Egitto, Cirenaica e Cipro) fu contesa
tra i suoi successori. Ciò fece sì che alcuni di questi si rivolgessero ai Romani come garanti del trono. Il
problema egiziano divenne attuale per Roma dal 64-63 a.C. quando Pompeo ridusse la Siria a provincia
romana e regolò il territorio palestinese. Nel 63 a.C. con una legge agraria, l’Egitto fu incluso in un
progetto di assegnazione di terre, questa legge fu combattuta strenuamente da Cicerone che riuscì a farla
annullare. Nel 58 a.C. seguì la rivendicazione di Roma su Cipro che fu annesso.

Capitolo 3
Dal “primo triunvirato” alle idi di marzo
Le fonti
Fonti dal ritorno di Pompeo alla guerra gallica (62-50 a.C.):
Orosio, Dione, Valerio Massimo, Velleio Patercolo, Floro, Cicerone, Plutarco, Flavio Giuseppe, Cesare.
Epigrafiche: lex gabinia.
Fonti dalla guerra civile alle idi di marzo (50-44 a.C.):
Appiano, Dione, Cesare, Livio, Nicola di Damasco, Cicerone, Varrone, Sallustio.
Epigrafiche: tavola di eraclea, lex rubia.

Il ritorno di Pompeo e il cosiddetto “primo triumvirato”


POMPEO, CRASSO e CESARE, nel 60 a.C., stringono un accordo di sostegno reciproco, chiamato “primo
triumvirato”. Fu un accordo privato e segreto in base al quale, Cesare eletto console per il 59 a.C. avrebbe
goduto degli appoggi necessari per esercitare a pieno il suo mandato e inoltre varare un legge agraria che
sistemasse i veterani di Pompeo; Crasso avrebbe ottenuto vantaggi per i cavalieri e le compagnie di
appaltatori che gli erano legati. L’accordo fu cementato con il matrimonio tra Pompeo e la figlia di Cesare
Giulia.

Caio Giulio Cesare console


L’accordo diede i suoi frutti durante il consolato di Cesare: egli fece votare in due leggi agrarie che
prevedevano la distribuzione di tutto l’agro pubblico rimanente in Italia (ad eccezione della Campania)
ai veterani di Pompeo, per i fondi necessari sarebbero stati utilizzati i bottini di guerra di Pompeo. Furono
poi fatte ratificare tutte le decisioni prese da Pompeo in Oriente. Fu approvata la lex Julia de repetundis
per i procedimenti di concussione. Un altro provvedimento prevedeva la pubblicazione dei verbali delle

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sedute senatorie e delle assemblee popolari. Verso la fine del consolato, il tribuno della plebe Publio
Vatinio fece votare un provvedimento che conferiva a Cesare il proconsolato della Gallia Cisalpina e
dell’Illirico per 5 anni, con tre legioni. Successivamente, su proposte di Pompeo, venne assegnato a
Cesare anche il proconsolato della Gallia Narbonese, con una quarta legione.

Il tribunato di Publio Clodio Pulcro


Cesare, prima di partire per la Gallia (58 a.C.), appoggiò la candidatura al tribunato della plebe di PUBLIO
CLODIO PULCRO, un ex patrizio che, successivamente ad uno scandalo per il quale non avrebbe più potuto
concorrere alle magistrature della sua classe di appartenenza, si fece adottare da una famiglia plebea per
potersi presentare al tribunato della plebe. Eletto tribuno approvò una serie di leggi. Con una di queste si
comminava l’esilio a chiunque condannasse o avesse condannato a morte un cittadino romano senza
concedergli di appellarsi al popolo. CICERONE che aveva fatto giustiziare i catilinari ne era il bersaglio
evidente, prima ancora che la legge fosse votata si era allontanato da Roma. Anche CATONE fu fatto
allontanare da Roma con l’incarico di riconquistare Cipro invasa da Tolemeo, l’isola fu infine aggregata
alla provincia Cilicia.

Cesare in Gallia
Quando Cesare giunse nelle proprie province, gli Elvezi stavano minacciando la provincia romana che
dall’attuale Svizzera stavano migrando verso occidente. Cesare attaccò e sconfisse gli Elvezi, pur con
pesanti perdite. Cominciava così la lunga conquista cesariana della Gallia (58 a.C.).
Nel frattempo un gruppo di Svevi, una tribù germanica stanziata oltre il Reno e guidata da Ariovisto era
passata sulla sponda sinistra del fiume. Roma intervenne inducendo Ariovisto a ritirare le sue genti al di
là del Reno. Poiché le migrazioni verso l’Alsazia erano riprese Cesare, dopo aver intimato ad Ariovisto
di ritararsi, procedette a marce forzate e, fallito un estremo tentativo di accordo con l’avversario, lo
affrontò in battaglia e lo sconfisse nell’Alsazia superiore, costringendolo a ripassare il Reno (58 a.C.).
La presenza romana in Gallia centrale suscitò a nord le reazioni delle tribù dei Belgi (che occupavano le
regioni a nord della Senna e della Mosella), allarmate dalla vicinanza delle legioni. Cesare riuscì a
impadronirsi delle loro piazze forti, riducendo alla resa le loro tribù (57 a.C.).
Nel frattempo un legato di Cesare, PUBLIO LICINIO CRASSO (figlio maggiore di Crasso), si spinse in
Normandia e in Bretagna, sottomettendo numerose tribù (57-56 a.C.).

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Gli accordi di Lucca e la prosecuzione della conquista della Gallia
Cesare si riunì con Crasso e
Pompeo a Lucca dove idearono un
piano: Cesare avrebbe prolungato
il suo comando in Gallia per altri 5
anni con un aumento a 10 del
numero delle legioni a sua
disposizione; i tre si sarebbero
impegnati a far eleggere Pompeo e
Crasso come consoli per il 55 a.C.,
dopo il consolato, questi ultimi
avrebbero ricevuto come province
per 5 anni rispettivamente Pompeo
le due Spagne e Crasso la Siria.
Tutto si svolse esattamente come i
tre avevano programmato.
Tornato in Gallia Cesare trovo la
Bretagna in rivolta, le popolazioni
costiere potevano contare
sull’appoggio della loro flotta.
Cesare fece costruire sulla Loira
un’armata di piccoli e leggeri
battelli, che ebbe la meglio sui
poderosi vascelli oceanici
avversari, permettendo così alle Figura 18 Campagne di Cesare in Gallia
legioni di dominare sulla
terraferma. Cesare si concentrò poi sul fronte del Reno, dove due tribù germaniche Usipeti e Tencteri
avevano attraversato il fiume. Cesare li annientò (55 a.C.). Nello stesso anno fu compiuta un’esplorazione
in Britannia.
Nel 54 a.C. in Britannia vi fu una vera e propria campagna militare, con un contingente di 5 legioni, che
consenti di raggiungere il Tamigi e portò alla sottomissione di numerose tribù costiere.

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Nel 52 vi fu una grande crisi nella Gallia Occidentale, qui sotto la guida di VERCINGETORIGE, re degli
Arverni. Cominciata con lo sterminio di romani e italici, la sollevazione si estese rapidamente. Cesare
pose l’assedio al grande centro fortificato di Gergovia. Non riuscendo a mantenere il blocco per l’esiguità
delle sue forze, tentò di espugnare la città e fu respinto. Cesare fu costretto a dirigersi verso nord per
congiungersi alle forze del suo legato
TITO LABIENO, che aveva sconfitto
tribù insorte presso Parigi e insieme si
misero a inseguire Vercingetorige che
preferì non affrontare una battaglia ma
attendere rinforzi. Dopo un lungo e
durissimo scontro l’assedio romano
darà i suoi frutti, Vercingetorige si
arrese e fu portato come prigioniero a
Roma dove fu ucciso.
Cesare provvide, una volta sconfitte
tutte le tribù, a dare un primo
ordinamento alla provincia, senza
attendere istruzioni dal senato, creando
la provincia di Gallia Comata. Figura 19 Conquiste di Cesare in Gallia

Crasso e i Parti
Crasso giunto in Siria (54 a.C.) aveva cercato di inserirsi nella contesa dinastica per il regno dei Parti
conteso dai figli re Fraate III: ORODE e MITRIDATE. Divenuto re Orode II, Crasso si schierò con il fratello
rivale e attaccò il primo. Nel 53 a.C. accompagnato dal figlio Publio, Crasso, invece di invadere il paese
da nord, si rimise in marci attraverso le steppe della Mesopotamia senza aver mai incontrato prima il
grosso dell’esercito partico, né aver assunto informazioni sufficienti sul luogo o sui nemici. Venuti a
contatto con i parti, guidati da SURENA in una vasta pianura della Mesopotamia nord-occidentale, i
romani furono travolti dalla cavalleria corazzata partica e massacrati dalle frecce degli arcieri a cavallo.
Lo stesso figlio di Crasso cadde sul campo di battaglia. Fu una delle sconfitte più gravi mai patite da
Roma, la stessa provincia di Siria si trovò minacciata. Mentre si ritirava Crasso fu preso e ucciso. Il primo
triumvirato perdeva così uno dei suoi protagonisti.

Pompeo console unico; guerra civile tra Cesare e Pompeo


Nel 54-53 a.C. cominciarono a venir meno i vincoli politici e familiari che univano Pompeo e Cesare:
nel 54 a.C. era morta Giulia, la moglie di Pompeo, figlia di Cesare e Pompeo aveva sposato Cornelia
Metella, figlia di Quinto Cecilio Metello Pio Scipione, un esponente ottimate. L’anno seguente era
scomparso Crasso. A partire da questo momento Pompeo iniziò ad accostarsi alla fazioni ottimate
anticesariana. Intanto la violenza e il caos politico dilagavano a Roma. Nel 53 a.C. tra veti e controveti
non si era riusciti ad eleggere in tempo i consoli e fu proposto di nominare Pompeo dittatore. Nel 52 a.C.
l’anarchia giunse al colmo, le bande di due magistrati: Clodio e Milone si affrontarono e Clodio rimase

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ucciso. Per ristabilire l’ordine Pompeo fu nominato console senza collega. Egli fece votare
immediatamente leggi repressive in materia di violenza e di broglio elettorale che consentirono la
condanna di Milone e il ristabilimento di un equilibrio precario.
Approfittando dell’occasione, i nemici di Cesare, avevano tentato ogni mezzo per rimuoverlo in anticipo
dalla sua carica e farlo tornare a Roma da privato cittadino, così che potesse essere processato per il modo
in cui aveva condotto la guerra in Gallia. Per evitare ogni provvedimento contro di sé, Cesare doveva
rivestire di nuovo il consolato, senza interruzioni dopo il proconsolato, così da non dover mettere piede
a Roma da privato cittadino. Per egli era dunque indispensabile poter presentare la propria candidatura
in assenza, privilegio che gli fu concesso con un provvedimento ad personam dai dieci tribuni della plebe
nel 52 a.C.
Sempre nello stesso anno, però, Pompeo aveva emanato una legge che prescriveva un intervallo di 5 anni
tra una magistratura e una promagistratura. La costituiva in pratica una minaccia per Cesare che, anche
riuscendo a diventare console, alla fine della carica sarebbe divenuto privato cittadino.
Nel 50 a.C. il tribuno della plebe Caio Scribonio Curione propose che per uscire dalla crisi si dovessero
abolire tutti i comandi straordinari, sia quello di Pompeo, sia quello di Cesare. Il senato si pronunciò a
grandissima maggioranza per far deporre ai due proconsoli la loro carica. Nel 49 a.C. Cesare inoltrò al
senato una lettera nella quale si dichiarava disposto a deporre il comando solo se lo avesse fatto anche
Pompeo, ma i suoi avversari ottennero invece che solo Cesare ponesse fine alla sua carica. Il senato votò
il senatus consultum ultimum affidando ai consoli e a Pompeo il compito di difendere lo stato. Vennero
inoltre nominati i sostituiti di Cesare al governo delle provincie assegnategli. Appresa questa decisione
Cesare varcò il Rubicone, che segnava il confine tra la Gallia Cisalpina e il territorio civico di Roma,
dando inizio alla guerra civile.
Pompeo fuggì a Durazzo con i consoli e buona parte dei senatori. Cesare lo rincorse invano, non
riuscendo a bloccare Pompeo che, dalla Grecia, mirava a bloccare con le sue flotte i rifornimenti e
affamare l’Italia, per poi tentare la rivalsa su Cesare.
Cesare riuscì, nell’inverno del 48 a.C. a porre l’assedio a Durazzo ma fu duramente respinto. Avanzo
allora verso la Tessaglia inseguito da Pompeo. Lo scontro decisivo fu proprio in Tessaglia nel 48 a.C. e
si tradusse nella disfatta di Pompeo che fuggi verso l’Egitto, dove contava di trovare rifugio presso i figli
di re Tolomeo XII Aulete. Ma in Egitto era in corso una contesa dinastica tra il giovane Tolomeo XIII e
la sorella maggiore Cleopatra VII (che il padre aveva destinato a succedergli). I consiglieri del re,
giudicando compromettente l’accogliere Pompeo, lo fecero assassinare.
Cesare, arrivato anch’egli ad Alessandria, si trattenne il Egitto per un anno (48-47 a.C.) allo scopo di
dirimere le lotte tra i due fratelli e di assicurarsi l’appoggio di quel regno ricchissimo e grande produttore
di grano. Assediato dai partigiani di Tolomeo ad Alessandria, fu costretto ad attendere rinforzi prima di
poter affrontare in battaglia il re che, sconfitto fu ucciso. Cleopatra VII fu confermata regina d’Egitto
insieme a suo fratello minore Tolomeo XIV e, partito Cesare, diede alla luce un figlio di lui, a cui impose
il nome di Tolomeo Cesare.

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Nel 47 a.C. Cesare giunse a Roma per poi ripartire subito per l’Africa dove si erano rifugiati Catone e i
pompeiani vinti. Cesare conseguì la vittoria a Tapso (in Tunisia) nel 46 a.C., proclamando in queste terre
la provincia di Africa nova.
Tornato a Roma, Cesare, celebrò i suoi tronfi e poco dopo organizzo una spedizione per la Spagna, dove
avevano ripreso fiato i suoi avversari, sotto la guida dei figli di Pompeo, li affrontò a Munda (nel 45 a.C.)
dove vinse.

Cesare dittatore perpetuo


Nel 44 a.C. a Cesare venne conferito il titolo di dittatore a vita (dictator perpetuus). Gli fu riconosciuta
la facoltà di sedere tra i tribuni della plebe che gli conferiva tutte le prerogative proprie dei tribuni come
l’inviolabilità personale e il diritto di veto, pur senza ricoprirne la carica che, in quanto patrizio, non
poteva esercitare; e ancora gli fu attribuito il potere di fare trattati di pace o dichiarazioni di guerra senza
consultare il senato e il popolo, di presiedere all’attribuzione delle magistrature e di designare i suoi
candidati alle elezioni, di assegnare a propri legati le provincie pretorie; e infine gli vennero offerti gli
onori del primo posto in senato, del titolo di imperator (detentore dell’imperium) a vita e di quello di
padre dalla patria (parens patriae). Già dal 49 aveva ideato una serie di riforme:

 Concesso il perdono e il richiamo in patria agli esuli e condannati politici,


 Vennero accordate facilitazioni ai debitori,
 Diritto di cittadinanza romana fu esteso agli abitanti della Transpadana,
 Il senato fu portato da 600 a 900 membri con l’immissione di un grande numero di seguaci di Cesare,
 Aumentati da 20 a 40 i questori, da 4 a 6 gli edili, da 8 a 16 i pretori per dare maggiori possibilità di
carriera politica ai suoi sostenitori,
 Abbassato il censo minimo per l’ammissione all’ordine equestre,
 Reintrodotte le giurie tribunali equamente distribuite, inflitte pene più severe ai colpevoli di
malversazioni
 Legge suntuaria per porre freno agli sperperi e all’ostentazione di ricchezza
 Disciolte le associazioni popolari che avevano contribuito alle guerre civili degli anni precedenti.
 Distribuzioni gratuite di grano (il numero dei beneficiari fu ridotto a 150.000 tramite il depennamento
degli abusivi),
 Fu realizzato un programma di colonizzazione e distribuzione delle terre per i veterani di Cesare e i
cittadini meno abbienti,
 Intraprese attività urbanistiche e di edilizia, che contribuì a fornire lavoro ad abbondante manodopera,
 Combattuta la disoccupazione,
 Riformato il calendario civile con l’aiuto dell’astronomo SOSIGENE, introducendo l’alternarsi di anni
ordinari e bisestili.

Le idi di marzo
L’eccessiva concentrazione di poteri, il moltiplicarsi di onori senza precedenti, il fatto che ogni carriera
politica potesse svolgersi solo sotto il consenso di Cesaree l’inclinazione verso la regalità, crearono

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allarme a Roma. Nei primi mesi del 44 a.C. Cesare aveva preparato una grande campagna militare contro
i Parti. A Roma circolò un oracolo secondo cui i Parti potevano essere sconfitti solo da un re e, anche a
causa di questo oracolo aumentarono le voci sulle aspirazioni monarchiche di Cesare. Questo evento
sommato all’accentrarsi di potere su Cesare fece sì che di spargessero dissapori sul suo conto infatti il 15
marzo del 44 a.C. (idi di marzo) Cesare fu ucciso da una congiura organizzata da MARCO GIUNIO BRUTO,
CAIO CASSIO LONGINO e DECIMO GIULIO BRUTO ALBINO, in Campo Marzio.

Capitolo 4
Agonia della Repubblica
Le fonti
Dall’assassinio di Cesare ad Azio (44-31):
DIONE, APPIANO, CICERONE, ORAZIO, VIRGILIO, VELLEIO PATERCOLO, FLORO, PLUTARCO, SVETONIO;
Epigrafiche:
Città di Afrodisia di Caria, lettera di Ottaviano, ricco Dossier su Seleuco, lettera Ottaviano ai Mylasani,
monumento commemorativo Azio, Laudatio turie e res gesta.

L’eredità di Cesare; la guerra di Modena


Ucciso Cesare i cesaricidi non si erano preoccupati di eliminare MARCO EMILIO LEPIDO e MARCO
ANTONIO. Inoltre i cesaricidi dimostrando di non avere alcun programma, si ritirarono sul Campidoglio
per discutere sul da farsi. Lepido voleva assalire immediatamente i congiurati sul Campidoglio ma
prevalse la linea di Marco Antonio che mirava ad ottenere un compromesso che venne ratificata dal
senato: amnistia per i congiurati, convalida degli atti del defunto Cesare e consenso ai suoi funerali di
Stato.
Il successore al consolato di Cesare sarebbe stato PUBLIO CORNELIO DOLABELLA insieme Antonio e le
province sarebbero state confermate: Antonio prese la macedonia, Dolabella la Siria. Antonio approfittò
del possesso delle carte private di Cesare per far passare nel corso dell’anno tutta una serie di progetti di
legge che egli sostenne di avervi trovato, assicurandosi una grande popolarità, facendone l’autentico
interprete della politica di Cesare e il suo continuatore ed erede spirituale. Alla lettura del testamento di
Cesare, morto senza figli naturali tranne quello avuto da Cleopatra, si scoprì che il dittatore aveva lasciato
tre quarti dei suoi beni aa un giovane di soli 18 anni, il figlio adottivo CAIO OTTAVIO (suo pronipote) e
la parte restante ad altri due parenti Lucio Pinario e Quinto Pedio. Al popolo romano venivano legati i
giardini di Trastevere e a ogni cittadino romano la somma di 300 sesterzi.
Ottavio, appena saputo del testamento, giunse a Roma per ottenere l’eredità e celebrare il padre,
ottenendo apprezzamenti del senato. Antonio, per controllare più da vicino l’Italia, si era fatto assegnare
il controllo della Gallia Cisalpina e Comata. Quando poi mosse verso la Gallia Cisalpina il suo originario
possessore Decimo Giunio Bruto Albino si oppose e si richiuse a Modena, assediata da Antonio, dando
inizio alla guerra di Modena (43 a.C.). Il senato ordino ai due consoli do muovere a favore di Albino;
ad essi venne associato con un imperium propretorio Ottavio. Vicino a Modena Antonio fu battuto e
costretto a ritirarsi verso la Narbonese dove contava di riunire le sue forze a quelle di Lepido.

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Il triumvirato costituente; le proscrizioni; Filippi
Poiché entrambi i consoli erano scomparsi Ottavio chiese al Senato il consolato per sé e ricompense per
i suoi soldati ma gli fu negato cosi marcio su Roma. Nell’agosto 43 a.C. fu eletto console insieme a suo
cugino e coerede QUINTO PEDIO: insieme fecero revocare le misure di amnistia e istituire un tribunale
speciale per perseguire i congiurati di Cesare. Ottavio fece anche riconoscere dai comizi curiati la sua
adozione, facendosi, da quel momento, chiamare Caio Giulio Cesare Ottaviano (Ottaviano non fu mai
usato da lui in prima persona). In Gallia Antonio si era unito a Lepido. Decimo Giunio Bruto Albino
isolato e abbandonato dai suoi soldati, fu ucciso mentre cercava di passare le alpi orientali per
congiungersi agli altri cesaricidi. Annullato il provvedimento senatorio che aveva dichiarato Antonio
nemico pubblico (in occasione della guerra di Modena) nell’ottobre del 43 a.C. Antonio, Ottaviano e
Lepido stipulare un accordo nei pressi di Bologna, in base al quale veniva istituito un Triumvirato
Costituente per la riorganizzazione dello stato dalla durata di 5 anni (fino alla fine del 38 a.C.).
Vennero riaperte le liste di proscrizione, con i nomi degli assassini di Cesare e dei nemici dei Triumviri
e dei loro seguaci. Centinaia di senatori e cavalieri furono uccisi e i loro beni confiscati. Rimesse in sesto
anche in questo modo le loro finanze, i triumviri poterono rivolgere le armi verso Oriente dove Bruto e
Cassio si erano costituiti una solida base di potere e avevano raccolto un consistente esercito. Ma prima
(42 a.C.) si provvide alla divinizzazione di Cesare e all’istituzione del suo culto.
Antonio e Ottaviano partirono alla volta della Grecia, lo scontro decisivo ebbe luogo a Filippi, in
Macedonia, in due battaglie successive: Cassio e Bruto si suicidarono.
Le guerre civili e le battaglie, avevano decimato la vecchia aristocrazia senatoria, il suo posto fu preso
da una nuova aristocrazia, composta in larga parte da membri delle classi dirigenti italiche, che non
avevano la stessa autorità né lo stesso prestigio di quella precedente, e da persone di fiducia dei Triumviri
(élite assai più incline a rapporti di dipendenza politica e personale, premessa indispensabile per il
passaggio al regime imperiale).

Consolidamento di Ottaviano in Occidente; la guerra di Perugia; Sesto


Pompeo; gli accordi di Brindisi, di Miseno e di Taranto; Nauloco
Antonio conservò il possesso sulle Gallie al quale si aggiunse il comando su tutto l’Oriente, Lepido
ottenne l’Africa, Ottaviano ebbe le due Spagne oltre al compito di sistemare in Italia i veterani delle
legioni e contrastare Sesto Pompeo in Sicilia. L’incarico di riassegnare le terre veterani era molto difficile
perché non essendoci più agro pubblico a disposizione era necessaria l’espropriazione di terreni italici,
venivano colpiti soprattutto gli interessi di piccoli e medi proprietari terrieri. Nel 41 a.C., a causa di
questa situazione, scoppiò una rivolta affrontata da Ottaviano.
Sospettando un’alleanza tra Antonio e Sesto Pompeo Ottaviano si avvicinò a quest’ultimo sposando
SCRIBONIA (sorella del suocero di Sesto Pompeo). Antonio si mosse dell’Oriente verso l’Italia. Ottaviano
e Antonio si incontrarono a Brindisi qui stipularono un’intesa (accordo di Brindisi) nel 40 a.C. per cui
ad Antonio spettava l’Oriente mentre ad Ottaviano l’Occidente (tranne l’Africa, assegnata a Lepido).
Antonio sposò inoltre OTTAVIA, sorella maggiore di Ottaviano.
La situazione divenne critica quando Sesto Pompeo venne a conoscenza dell’intesa: blocca le forniture
di grano che dovevano giungere a Roma dalle regioni oltremare. Antonio fu così costretto a presenziare,
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insieme a Ottaviano, l’accordo di Miseno (39 a.C.): a Sesto Pompeo fu riconosciuto il governo di Sicilia,
Sardegna, Corsica e Peloponneso.
L’equilibrio durò tuttavia assai poco: infatti, di fronte alle resistenze di Antonio alla consegna del
Peloponneso, Sesto Pompeo riprese le azioni di scorreria contro l’Italia (38 a.C.). Ottaviano, allora,
ripudiò Scribonia e passò a nuove nozze con LIVIA DRUSILLA (ex moglie di Tiberio Caio Nerone). Nel
frattempo Sesto aveva perso Sardegna e Corsica e lottava per il possesso della Sicilia: Ottaviano in Sicilia
fu sconfitto e fu costretto a chiedere l’appoggio di Antonio che gli donò 120 navi e con cui concluse
l’accordo di Taranto (37 a.C.).
Nel frattempo AGRIPPA (console per il 37 a.C.) amico di Ottaviano aveva addestrato una flotta consistente
con cui nel 36 a.C. sconfisse Sesto Pompeo a Milazzo e a Nauloco. Sesto Pompeo fugge in Oriente dove
venne catturato e ucciso l’anno dopo.
Lepido, che aveva preso parte alle operazioni contro Sesto, rivendicò il diritto di possesso della Sicilia
ma le sue truppe lo abbandonarono e Ottaviano lo fece decadere dai poteri di triumviro e si impossessò
dell’Africa. Quando Ottaviano ritorno a Roma o ricolmato di onori, tra questi l’inviolabilità propria dei
tribuni della plebe che costituì la base per fondare il principato.

Antonio in Oriente
Negli anni successivi le battaglie di Filippi, Antonio aveva concentrato le proprie attenzioni sulle Oriente:
sperando di terminare i progetti di Cesare contro i Parti. Egli aspirava ad un’alleanza con il regno più
potente della zona: l’Egitto guidato da CLEOPATRA VII insieme al figlio (avuto da Cesare) Tolomeo
Cesare. Antonio trascorse l’inverno 41-40 a.C. in Egitto e ebbe due gemelli da Cleopatra. Nella primavera
del 40 a.C. i Parti di ORODE II invasero la Siria, l’Asia Minore e la Giudea. Nelle 39 a.C. il generale
PUBLIO VENTIDIO BASSO respinse i Parti e divenne governatore della Siria; nel 37 a.C. si aprì in Partia
una crisi dinastica che consentì a Erode (re di Giudea) di espellere i Parti dalla Giudea.
Antonio ritorno in Oriente nel 37 a.C. e cercò di dare un nuovo assetto a quei territori, attraverso la
creazione di principati a lui fedeli, qui ritrovò Cleopatra e riconobbe i suoi gemelli. Nel 36 a.C. Antonio
inizia una spedizione contro i Parti che si concluderà solo nel 34 a.C. con la sola conquista dell’Armenia.
Nel 35 a.C. vi fu la definitiva rottura tra Antonio e Ottaviano: Ottaviano restituì solo 70 delle 120 navi
da lui ricevute così Antonio non accettò la restituzione parziale e ripudiò la moglie Ottavia. A questo
punto l’offeso divenne Ottaviano poiché, la sorella, una nobile romana, era stata rifiutata a causa di
un’amante orientale. Antonio, per contro, celebrò la presa dell’Armenia, riconobbe a Cleopatra e a
Tolomeo Cesare il trono d’Egitto e attribuì altri territori ai figli da lui avuti con Cleopatra. Ottaviano,
non gradì l’innalzamento del figlio naturale di Cesara.

Lo scontro finale; Azio


Il 32 a.C. il triumvirato ebbe la sua scadenza naturale e i due consoli del 32 a.C. chiesero la ratifica delle
decisioni prese da Antonio in Oriente, ma Ottaviano ne impedì al senato l’approvazione. Svelando un
testamento in cui Antonio disponeva di essere sepolto ad Alessandria accanto a Cleopatra, Ottaviano
ottenne che Antonio fosse privato di tutti i suoi poteri di triumviro, affermando che si era fatto soggiogare
dalla regina d’Egitto. La dichiarazione di guerra venne infatti formalizzata verso la sola Cleopatra e lo

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scontro definitivo avvenne ad Azio (31 a.C.) con un successo navale di Agrippa per Ottaviano, in seguito
a cui Antonio e Cleopatra si rifugiarono in Egitto dove si suicidarono. L’Egitto fu proclamato provincia
romana. Tolomeo Cesare fu eliminato mentre i figli di Antonio e Cleopatra furono risparmiati, portati a
Roma e allevati da Ottavia.

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Parte quarta
L’impero da Augusto alla crisi del III secolo
Capitolo 1
Augusto
Le fonti
Il principato di Augusto diede una forte impostazione politica e culturale che si riflette nella produzione
letteraria dell’epoca e nei lavori di urbanizzazione e monumentalizzazione.
Fonti:
 Tema politico: SVETONIO, DIONE, NICOLA DAMASCO, TITO LIVIO;
 Autori di poesia: CORNELIO, GALLO, FILE, VIRGILIO, ORAZIO, TIBULLO, PROPERZIO, OVIDIO,
STRABONE, FLORO, VITTORE, TACITO, PATERCOLO, FILONE ALESSANDRINO, FLAVIO GIUSEPPE,
SENECA, PLINIO IL VECCHIO, STAZIO, MARZIALE, GIOBENALE, STAZIO, QUINTILIANO
 Fonti epigrafiche: res gestae, tempio di augusto a Roma e Ankara, documenti ufficiali, giuramenti di
fedeltà, 5 editti di Augusto, i decreta pisana, diverse tabule, lex de imperio vespasiani, iscrizioni
municipali, regolamenti della citta, iscrizioni di opere pubbliche, editto di caracalla, papiri e monete,
petizioni, atti processuali, censi, tasse etc. di vita comune

“Impero romani” e “impero dei Cesari”: Azio e la cesura tra storia


repubblicana e storia del principato
Con il 31 a.C. si indica l’inizio del principato, un regime istituzionale incentrato sulla figura di un unico
reggitore, il princeps.
Nel 31 a.C. grazie alla vittoria di Azio, Ottaviano divenne l’unico padrone dello stato romano, superata
l’emergenza egli dovette riportare la normalità e fu difficile a causa dei problemi in corso.

Il processo di formazione dell’impero non fu immediato ma fu un adattamento naturale e molto graduale.


Quello che noi chiamiamo impero non è stato fondato e concepito in un solo momento ma si è consolidato
col tempo, in tappe successive.

Il triennio 30-27 a.C.


Gli anni 30-27 furono dedicati da Ottaviano al ristabilimento della normalità senza però rinunciare
all’acquisita posizione di preminenza. Le fonti antiche descrivono questo periodo in modi diversi:
 CASSIO DIONE (scrive nel III sec. d.C.) pone l’attenzione sui discorsi di Agrippa, sostenitore della
repubblica, e di Mecenate, sostenitore della monarchia: Agrippa pone in evidenza le insidie della
monarchia e i vantaggi di un ripristino della democrazia e dei valori di libertà. Mecenate, al contrario,
era promotore di una nuova monarchia come condizione necessaria per garantire un corretto
funzionamento dello stato. Prevalse, secondo Dione, Mecenate.
 TACITO (scrive nel II sec. d.C.) delinea l’ascesa al potere di Ottaviano Augusto: dopo l’eliminazione
di tutti gli altri capi, Ottaviano rimase l’unica giuda in grado di tutelare la plebe e mantenere la pace.
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 VELLEIO PATERCOLO (scrive nell’età tiberiana) insiste sul ripristino degli ordinamenti antichi: era il
senato ad offrire a Ottaviano le continue cariche di console e il popolo ad attribuirgli la carica di
dittatore (anche contro la sua volontà);
 STRABONE ribadisce come fosse difficile amministrare un così ampio territorio se non affidandolo ad
un solo uomo: necessità della monarchia;
 AUGUSTO stesso, nella sua autobiografia, le res gestae definisce la proprie gesta e la propria autorità
superiore a tutti ma precisa che i suoi poteri non erano superiori a quelli degli altri magistrati che lo
hanno affiancato.

Dal 31 al 23 a.C. Augusto fu continuamente eletto console. Essere console significava ricoprire la più
alta carica dello stato quanto a completezza di imperium.
Nel 28 a.C. Ottaviano fu fatto princeps senatus, furono indotti alle dimissioni circa 190 senatori, per la
maggior parte antoniani, che furono sostituiti con alcuni fedelissimi. Sempre nel 28 a.C. fu realizzata una
nuova moneta che ritraeva Ottaviano trionfante, con le iscrizioni: Imp(erator) Caesar Divi f(ilius)
co(n)s(ul) VI / leges et iura p(opuli) r(omani).

Figura 20 Moneta aurea augustea

Il rapporto tra organismi repubblicani e potere del principe


Nel 27 a.C. Ottaviano entrò nel suo settimo consolato con Agrippa e rinunciò formalmente a tutti i suoi
poteri straordinari accettando solo il comando delle province non pacificate (Gallia, Siria, Cilicia, Cipro,
Egitto) per disporre della maggior parte delle legioni; fu ridato invece al popolo il potere decisionale
sulle provincie pacificate in cui cioè non c’era bisogno di forti contingenti militari.
Nello stesso anno venne proclamato Augusto dal senato: dal latino augere, innalzare che implica uno
spostamento dalla dimensione politica a quella religiosa; gli fu donata una corona in foglie di quercia in
onore della difesa dei cittadini e uno scudo d’oro in cui erano elencate le sue virtù.
La riorganizzazione statale non era tuttavia sinonimo di abolizione delle istituzioni repubblicane, il loro
funzionamento divenne anzi più regolare. Magistrature ordinarie, senato e comizi mantennero la propria
funzione elettorale e legislativa. In tale sistema, tuttavia, si era imposta la figura del princeps, comandate
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dell’esercito e detentore di poteri sempre più ampi (i poteri attribuitigli erano quelli della tradizione ma
si sommavano in un’unica persona invece che essere suddivisi in più figure).

Dal 26 al 23 a.C.
Tra il 27 e il 25 a.C. Augusto fu assente da Roma per recarsi in Gallia e in Spagna settentrionale. In
questo mondo dimostrava di provvedere in prima persona alla pacificazione dei territori provinciali che
gli erano stati assegnati. Augusto, negli anni successivi, alternò periodi triennali di permanenza nelle
province a periodi biennali di residenza a Roma.

Consolati di Ottaviano
Anno Console 1 Console 2
31 a.C. Ottaviano Augusto Marco Antonio
30 a.C. Ottaviano Augusto Marco Licinio Grasso
29 a.C. Ottaviano Augusto Sesto Appuleio
28 a.C. Ottaviano Augusto Agrippa
27 a.C. Ottaviano Augusto Agrippa
26 a.C. Ottaviano Augusto Tito Statillo Tauro
25 a.C. Ottaviano Augusto Marco Giunio Silano
24 a.C. Ottaviano Augusto Caio Norbano Flacco
23 a.C. Ottaviano Augusto Terenzio Varrone Murena (sostituito da Cneo
Calpurnio Pisone poiché condannato per una congiura)

La crisi del 23 a.C.


Nel 23 a.C. si verificò una grave crisi per tre avvenimenti: una grave malattia di Augusto, un processo di
stato, una congiura.

1. In Spagna Augusto si era ammalato gravemente e, pensando di essere sul puto di morte, cercò delle
soluzioni per una sua eventuale successione; teoricamente, dopo la sua morte la gestione dello stato
sarebbe tornata agli organi istituzionali poiché i suoi poteri erano personali e non trasferibili. Inoltre
egli non aveva figli maschi, dunque puntò sulla figlia Giulia, la quale aveva sposato il cugino MARCO
CLAUDIO MARCELLO (figlio di Ottavia, sorella di Augusto), che era già stato introdotto in politica.
Contro ogni aspettativa Augusto si riprese riassumendo tutti i propri incarichi contrariamente, mentre
Marcello morì nel 23 a.C. e giulia fu data in moglie ad Agrippa.
2. Motivo di irritazione per molti fu che a partire dal 31 a.C. Augusto aveva occupato stabilmente un
posto nel consolato, limitando le ambizioni di molti. Nel 23 a.C. Augusto depose il consolato e non
lo ricoprì più se non brevemente nel 5 e nel 2 a.C. in sostituzione ottenne un imperium proconsolare
a vita, grazie al quale poteva agire anche sulle province pacificate. Augusto fu inoltre insignito della
tribunicia potestas vitalizia, grazie alla quale godeva di tutti i diritti dei tribuni della plebe senza però
l’obbligo di non allontanarsi da Roma; gli fu dato il diritto di convocare il senato. Le elezioni
potevano essere influenzate da Augusto attraverso due procedure: la nominatio cioè l'accettazione

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delle candidature da parte del magistrato che sovrintendeva alle elezioni; la commendatio cioè la
raccomandazione da parte dell'imperatore.
3. La congiura organizzata da FANNIO CEPIONE e dal console TERENZIO VARRONE MURENA fu sventata
e quest’ultimo fu sostituito al consolato da CNEO CALPURNIO PISONE.

Il perfezionamento della posizione di preminenza


Negli anni successivi Augusto assunse altre cariche. Nel 22 a.C. a seguito di una carestia, rifiutò la
dittatura offertagli dal popolo e assunse la cura annonae cioè l’incarico di provvedere
all’approvvigionamento pubblico. Nel 23 a.C. anche Agrippa assunse un imperium proconsolare per 5
anni per potersi recare in Oriente e risolvere diversi problemi.
A partire dal 17 a.C. non vi furono variazioni nei poteri di Augusto, salvo nel 12 a.C., quando morì
Lepido, ad Augusto fu conferito il ruolo di pontefice massimo che lo poneva anche alla guida della vita
religiosa. L’ultima espressione di riconoscimento ufficiale fu il conferimento del titolo di pater patriae
(padre della patria) che senato, cavalieri e popolo gli attribuirono nel 2 a.C.

I ceti dirigenti (senatori ed equites)


L’attribuzione dell’imperium proconsolare e del potere tribunizio insieme alla atre prerogative di
Augusto crearono un potere personale più forte della somma di tutte le magistrature di Roma. Si ebbe
una duplice sfera di competenza: quella tradizionale repubblicana e quella del princeps.
Il Senato negli ultimi anni di Repubblica aveva visto una profonda trasformazione della sua
composizione tradizionale con un notevole aumento dei membri, in seguito all’inclusione dei seguaci di
Cesare e, poi, dei triumviri: era cresciuto da 600 a 1000 membri. Augusto agì su questa situazione
attraverso dei provvedimenti volti a ripristinare la dignità e il prestigio del Senato, favorendo l’accesso
delle élite provinciali più fortemente romanizzate. Augusto si fece conferire la potestà censoria e
procedette con la lectio senatus, cioè alla revisione delle liste dei senatori espellendo dall’assemblea le
persone indegne. Nel 18 a.C. condusse una più radicale revisione del Senato, portando il numero di
senatori di nuovo a 600 e rese la dignità senatoria una prerogativa ereditaria.
Durante la Repubblica chi possedeva un censo pari a 400.000 sesterzi e rispondeva ad alcune
caratteristiche che ne definivano la dignità (nascita libera, esercizio di professioni non disonorevoli)
apparteneva al ceto equestre. Quindi anche i figli dei senatori, finché non accedevano alla questura erano
semplici cavalieri. I senatori si distinguevano dagli equites solo perché avevano intrapreso una carriera
politica che assicurava loro l’ingresso in senato e avevano la possibilità di mostrarlo esteriormente
portando il laticlavio (una larga striscia color porpora sulla toga).
Augusto innalzò il censo minimo per entrare in senato ad un milione di sesterzi, separando
definitivamente i due ceti in base al censo. In alcuni casi Augusto concesse l’ingresso in senato a chi non
apparteneva ad una famiglia senatoria. Augusto realizzò così una distinzione netta tra ordo equestre e
senatus creando un vero e proprio ordo senatorius formato dalle famiglie senatorie da cui l’assemblea
poteva scegliere i propri membri. I senatori possedevano tutte le più importanti magistrature a Roma e le
principali posizioni di comando civile e militare in provincia. Poiché il loro numero non era sufficiente
impiegati anche i membri dell’ordo equestre.

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Roma, l’Italia, le province
Roma contava già circa un milione di abitanti e possedeva un assetto urbano caotico, Augusto cercò di
migliorare l’urbe dal punto di vista monumentale e da quello dei servizi.
Per quanto riguarda la parte monumentale:
 Non diede alcun rilievo alla propria abitazione, e accanto ad essa fece costruire un tempio ad Apollo
 Proseguì i progetti del foro di romano:
 Costruì un tempio per Cesare divinizzato,
 Nell’arco partico furono esposte le lastre dei fasti consolari e trionfali,
 Restaurò la sede del senato,
 Costruì un nuovo foro il forum augusti con al centro il tempio di Marte Ultore,
 Modificò il campo marzio, dove fu edificato il Pantheon
 Costruì un proprio mausoleo davanti al quale furono incise le Res Gestae (autobiografia)
 Costruì l’Ara Pacis,
 Molti acquedotti, terme, teatri, edifici pubblici e mercati.

Per quanto riguarda servizi:


 Servizi per l’approvvigionamenti e per la protezione da incendi e inondazioni.
 Divise la citta in 14 regiones (circoscrizioni) a loro volta suddivise in in vici (quartieri) che servano
ad articolare il sistema di gestione della città: più vivi insieme eleggevano i propri magistri, che si
occupavano dell’ordine pubblico e della vita religiosa e culturale del quartiere.
 Istituì un servizio di rifornimento granario dalle province con a capo un prefetto equestre.
 Creò un corpo di vigili del fuoco.
 Il governo era attribuito ad un prefectus urbi appartenente all’ordine senatorio.
 L’Italia non fu interessata da riforme amministrative: Augusto divise semplicemente l’Italia in 11
regioni che servivano per il censimento delle persone e delle proprietà.
 Vennero redatti dei provvedimenti per l’organizzazione di un sistema di strade e vie di
comunicazione.

Figura 22 Figura 21
Circoscrizioni Regioni
di Roma sotto italiane
Augusto sotto
Augusto

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L’amministrazione delle Province vide un cambiamento di natura politica: le provincie non pacificate
crebbero da 5 a 13 e venivano governate da appositi legati, scelti tra i senatori, che governavano la
provincia e comandavano le legioni ma non riscuotevano tasse o si occupavano dei beni fondiari, miniere
e cave la cui organizzazione era affidata a procuratori di rango equestre. Nelle altre province, quelle
pacificate, i governatori erano senatori scelti a sorte tra i magistrati e restavano in carica solo un anno,
comandavano le forze militari assistiti dai questori (anche nelle province del popolo Augusto poteva
intervenire in virtù del suo imperium maius). Unica eccezione era l’Egitto assegnato a un prefetto
equestre nominato da Augusto che comandava le legioni ed era responsabile dell’amministrazione e della
giustizia.
Augusto stabilì, per determinare l’ammontare dei tributi delle province, un nuovo sistema che aveva
come presupposto la misurazione dei terreni su cui era imposta una tassa fondiaria e il censimento della
popolazione con cui determinare il numero dei provinciali che dovevano pagare la tassa.

L’esercito, la “pacificazione” e l’espansione


Dopo la battaglia di Azio i soldati nell’esercito erano troppi, superavano di gran lunga le necessità e i
mezzi dell’impero, ma Roma non poteva permettersi di pagare la liquidazione dei veterani poiché era un
costo troppo elevato: all’inizio furono affrontati con il bottino di guerra e il patrimonio personale di
Augusto, ricevettero inizialmente terre e successivamente denaro.
Augusto rese il servizio militare riservato ai volontari professionisti, in carica per almeno 20 anni per
225 denari annui, l’esercito era formato da 28 legioni (170.000 uomini).
Fu istituita un guardia pretoriana permanente, cioè un corpo militare d’élite composto da circa 9000
uomini reclutati tra i cittadini romani residenti in Italia. Vi erano inoltre truppe ausiliarie di fanteria e
cavalleria reclutate tra i popoli soggetti all’impero e comandate da ufficiali romani e capi di tribù locali,
al congedo chi vi aveva militato riceveva la cittadinanza romana. La flotta militare (cittadini non romani)
stazionava nei porti di Miseno e Ravenna ed era sotto il comando equestre, anche i marinai una volta
congedati diventavano cittadini romani.
Augusto ottenne molti successi nella politica estera: compì in tre occasioni la chiusura del tempio di
Giano (simbolo dell’inizio di un periodo di pace). Tuttavia condusse una politica di consolidamento e di
espansione mai vista prima tanto da controllare un territorio vastissimo (imperium sine fine).
Affidò alla diplomazia le questioni orientali e in Egitto furono estesi i confini e stabilizzati
diplomaticamente grazie a rapporti pacifici con gli stati vicini detti stati cuscinetto (regni clienti). Una
zona critica era l’Armenia dove gli interessi di Roma si scontravano con quelli dei Parti, in Armenia fu
insediato allora il re cliente Tigrane II.
In Occidente Augusto conquistò la penisola iberica dividendola in 3 province (Spagna Ulteriore, Spagna
Citeriore e Lusitania). Anche la Gallia, esclusa la Narbonese fu divisa in 3 province (Aquitania, Belgica,
Lugdunese).
La campagna di Augusto riuscì ad ottenere la Germania: Druso era al comando ma venne sostituito da
Tiberio che era pronto a sferrare l’attacco decisivo ma che a causa delle rivolte scoppiate in Pannonia e
Illirico fu costretto a fornire truppe di rinforzo. Sempre nello stesso anni il generale Varo tento un attacco
mal riuscito in Germania: egli perse, si uccise e Roma decise di non oltrepassare il Reno.
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Anche ad Oriente la situazione si stava deteriorando, in Armenia, alla morte di Tigrane II, mentre i romani
tentavano di mettere sul trono il fratello del re deceduto, Artavasde II, i parti ne sostenevano la
discendenza diretta costituita da Tigrane III. Si giunse a un punto talmente critico da richiedere l’invio
di Tiberio e di Caio Cesare (nipote di Augusto), scoppiò una nuova rivolta (2 d.C.) che si protrasse a
lungi e Caio fu ferito (4 d.C.) e morì in Licia.

Leggi augustee
A partire dagli anni 19-18 a.C. Augusto fece votare una serie di leggi che rimisero in vigore le
consuetudini degli antenati ormai in disuso:
 Leges iuliae su famiglia, matrimonio, celibato, adulterio,
 Leggi suntuarie che ponevano limiti alla sontuosità dei banchetti e introducevano differenze tra
quanto era lecito spendere nei giorni feriali e festivi,
 Leggi per un più corretto ed equo funzionamento degli organi publici,
 Lex maiestatis.
La lex iulia maritandi e rafforzato poi dalla lex papia poppaea incentiva le unioni matrimoniali e la
procreazione con privilegi economici e sanzioni per i celibi (25-60 anni) e le nubili (20-50 anni), che
erano esclusi dal testamento. Erano introdotte agevolazioni per chi aveva figli. Con la lex papea poppea
venivano accresciuti i premi per chi avesse figli.
Con la lex iulia de adulteriis coercendis erano tramutati in crimini pubblici e puniti pubblicamente i reati
sessuali (stupro e adulterio: un padre poteva uccidere figlia e amante mentre un marito non poteva
uccidere la moglie, solo l’amante).
Altre leggi regolarono le questioni dei reati di corruzione, la speculazione sul grano, scindevano la vita
privata da quella pubblica, assegnavano i posti a teatro, restringevano il diritto di manomettere gli schiavi.
Una legge particolare era la maiestatis che puniva severamente chi attentava al principe con la pena
capitale o con l’esilio e la confische dell’intero patrimonio.

Prove dinastiche e strategie di successione


Augusto, senza eredi maschi, doveva trovare il modo in cui il suo ruolo non andasse perduto dopo la sua
morte ma che potesse spettare a qualcuno della sua famiglia senza però imporre una svolta apertamente
monarchica alle istituzioni. La prima mossa di Augusto fu quella di integrare la propria dinastia nel nuovo
sistema politico e nella propaganda ideologica celebrandone l’ascendenza divina. L’erede scelto
all’interno della famigli avrebbe ereditato anche un privilegio per l’accesso alla carriera politico militare
e un ruolo singolare nello stato. Nel 23 a.C. attraverso il matrimonio di Giulia con Marcello, Augusto
tentò di inserire un discendente maschio nella famiglia ma Marcello mori poco dopo; ripiegò allora su
Agrippa che fu indotto anch’egli a sposare Giulia, e ebbero cinque figli. Agrippa morì però nel 12 a.C.
Augusto adottò i due figli maschi di Giulia e Agrippa: Caio e Lucio.
Considerata la tenera età dei due figli di Giulia, Augusto si concentro sui figli della sua terza moglie,
Livia, Tiberio e Druso, entrambi introdotti in politica. Tiberio, fu indotto a sposare Giulia, ricoprì due
volte il consolato, gli fu conferito l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia ma successivamente si

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ritirò dalla vita politica e si autoesiliò a Rodi (a causa dei pessimi rapporti con Giulia o della predilezione
di Augusto per i fogli di Agrippa). Druso morì.
Intanto Caio e Lucio Cesari erano stati elevati alle alte cariche dello stato ma morirono precocemente.
Tiberio tornò a Roma dal suo autoesilio nel 2 a.C. e, sciolto il matrimonio con Giulia (colpita da uno
scandalo e condannata all’esilio dal padre) adottò Germanico, figlio di suo fratello Druso e di Antonia
figlia di Marco Antonio e di Ottavia, sotto ordine di Augusto per rafforzare la parentela, anche se egli
aveva già un proprio figlio di nome Druso (minore). Augusto adottò Tiberio. A Tiberio furono attribuiti
la potestà tribunizia e l’imperium proconsolare su Germania e Gallie. Nel 13 d.C. Tiberio celebrò il
trionfo sui Germani. Alla morte di Augusto esisteva così già una persona con pari poteri civili e militari
che potesse sostituirlo.

L’organizzazione della cultura


Il programma edilizio di Augusto voleva completare i progetti di Giulio Cesare e celebrare il ritorno della
tradizione repubblicana. Augusto puntava a esaltare la pacificazione dell’impero e la discendenza da
Venere e Enea. La celebrazione della figura provvidenziale di Augusto si manifestò anche in pubbliche
cerimonie, nella monetazione e nella letteratura, e in generale nel coinvolgimento degli intellettuali nella
promozione del consenso al suo programma di restaurazione morale. Uno dei documenti letterari che
mostrano come Augusto intendesse la propria opera sono le res gestae, in cui egli ripercorre la propria
storia illustrando come abbia reso il mondo soggetto al potere del popolo romano e abbia portato pace e
prosperità estendendo i confini del potere romano. Fu istituito il culto della persona di Augusto e celebrati
i Ludi Saeculares, tenuti a Roma nel 17 a.C. per proclamare la rigenerazione di Roma.
Inoltre in Oriente venne introdotto il culto dell’imperatore celebrato insieme a quello della dea Roma,
mentre in Occidente il culto di Roma era affiancato a quello di Cesare divinizzato.

Figura 23
Espansione
Impero sotto
Augusto

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Capitolo 2
I Giulio Claudi
Le fonti
DIONE, SVETONIO, TACITO, PATERCOLO, VITTORE, OROSIO, MASSIMO, PLINIO, FILONE, SENECA,
LUCANO, PETRONIO, SICULO etc.:

Epigrafia: tebula hebana, ilicitana, siarensis, lex portorii asiae, numistica e pariracea.

Una dinastia?
Augusto mori in Campania nel 14 d.C., vi trasportato a Roma e le sue ceneri tumulate nel mausoleo di
famiglia. Il senato volle sancire la divinizzazione di Augusto. Tiberio ottenne i poteri di Augusto per
volere del senato e resto in carica fino al 37 d.C.
Il potere restò nelle mani della famiglia Giulio Claudia da 14 al 68 d.C.
Alla morte di Tiberio il progetto di Augusto di far governare insieme il figlio di Tiberio, Druso e
Germanico non poté realizzarsi poichè morirono entrambi. Il potere andò a Caio, detto CALIGOLA, figlio
di Germanico. Alla sua morte il potere rimase nella famiglia di Germanico e fu eletto princeps CLAUDIO,
primo non appartenente alla dinastia Giulia. Alla morte di Claudio salì NERONE, figlio di un aristocratico
estraneo alla famiglia augusta, ma erede per parte di madre in quanto figlio di Agrippina, figlia di
Germanico.

Tiberio (14-37 d.C.)


Nonostante TIBERIO godesse di poca simpatia e popolarità il suo governo è considerato una positiva
prosecuzione di quello Augusteo. I tratti negativi del carattere di Tiberio, orgoglio misto a timidezza,
scarsa flessibilità, frustrazione, incertezze personali e invidia oscurano il fatto che egli abbia rispettato le
forme di governo valorizzate da Augusto.
Tiberio dovette fronteggiare l’opposizione senatoria che rivendicava maggiore autonomia decisionale.
Alla morte di Augusto alcune legioni in Pannonia si ammutinarono protestando contro la durezza della
disciplina e fu inviato DRUSO MINORE a calmarle. GERMANICO condusse alcune campagne oltre il Reno
aspirando ad ottenere successi in piena continuità con la politica augustea ma Tiberio lo richiamò a Roma
perché aveva decretato che la frontiera germanica non dovesse andare oltre il Reno e gli assegnò il
controllo delle province orientali. In Oriente, infatti, Augusto aveva lasciato molte cose irrisolte.
Archelao di Cappadocia fu convocato a Roma perché sospettato di infedeltà e morì nel 17 d.C., la
Cappadocia divenne allora provincia romana. Stessa sorte toccò alla Commagene alla morte del re
ANTIOCO III. Germanico rivolse la sua attenzioni in Armenia incoronandovi Zenone che assunse il nome
di ARTASSIAX e poi si recò in Egitto, qui scatenò un incidente diplomatico in quanto ai romani era
impedito di entrare in Egitto senza il permesso del principe, Tiberio disapprovò il gesto ma Germanico
aprì i granai di Alessandria durante una carestia. Germanico morì improvvisamente nel 19 a.C., egli
incarnava perfettamente tutte le qualità fisiche e morali di un buon imperatore, per questo motivo si
sospettò che Tiberio fosse il regista occulto dietro alla sua morte.

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Nel 23 a.C. vi fu una svolta nel principato di Tiberio, quando SEIANO, collaboratore di Tiberio, cerco di
aspirare al potere personale. Dopo la morte improvvisa di Druso Minore Seiano ritenne di avere maggiore
spazio per la propria ascesa personale. Contemporaneamente si moltiplicarono i processi e le condanne
di molti personaggi politici romani e si intensificò l’attività dei delatori, coloro che accusavano uomini
di alto rango (se questi ultimi venivano condannati i loro beni passavano ai delatori). Seiano mirò a
rendere sempre più stretti suoi legami con l’imperatore e aspirava ad entrare nella famiglia del principe
chiedendo il consenso di sposare Livilla, vedova di Druso Minore, Tiberio però si oppose.
Nel 26 a.C. Tiberio lasciò definitivamente Roma per trasferirsi in Campania e poi a Capri lasciando
maggior spazio d’azione a Seiano che nel 31 a.C. ricoprì il consolato ma poco dopo fu colto di sorpresa
dalla lettura di un dispaccio di accusa di Tiberio, venne processato e ucciso.
Gli ultimi anni del principato di Tiberio non furono felici perché scoppiò una crisi finanziaria e i rapporti
con il Senato si incrinarono ma questo scenario non fu l’unico aspetto della parte finale del principato di
Tiberio che ha agito tempestivamente per risolvere la crisi creditizia del 33 a.C. (in cui crollò il valore
dei terreni e contemporaneamente aumentarono i debiti) dando delle somme in prestito senza interesse.
Condusse attività di rilievo nelle province: in Tracia, in Gallia, Africa, Palestina e Armenia.
In Tracia territorio venne suddiviso e Tiberio fondò una città chiamata Tiberia; in Gallia scoppiò una
rivolta guidata da due notabili gallici romanizzati che venne repressa senza difficoltà; in Africa erano
sorti contrasti con le popolazioni dei musulami e dei mauri che furono sedati dalle forze romane soltanto
nel 24 d.C.; in Giudea fu rimosso il prefetto Ponzio Pilato accusato di incapacità e malefatte. Nel 34 d.C.
si riaprì il problema in Armenia relativo ai rapporti con la Partita e si giunse a un compromesso.
Tiberio mori nel 37 d.C. in Campania e fu subito riconosciuto come successore il maggiorenne Caio,
detto CALIGOLA, figlio di Germanico.

Caligola (37-41 d.C.)


Il principato di Caio, detto CALIGOLA, duro poco. Egli fu ben accolto dall’esercito e dal popolo, nel
ricordo di Germanico, mentre mal visto dal senato. Morto Tiberio, nonostante il suo testamento
designasse come coeredi Caligola insieme al figlio di Druso minore, Tiberio Gemello, il senato riconobbe
come solo erede al principato Caligola, che adottò come figlio Tiberio Gemello. Caligola divenne
princeps e dichiarò nulli i processi degli ultimi anni di Tiberio, richiamando gli esiliati e restituendo la
libertà ai detenuti, bruciando pubblicamente gli atti processuali, compresi quelli riguardanti la madre e i
fratelli. Celebrò la sua famiglia e riportò le ceneri della madre e del fratello a Roma per porle nel
mausoleo di Augusto. Fu eletto console ogni anno eccetto nel 38 d.C. Nel 37 d.C. si ammalò gravemente
e a questa malattia la maggior parte delle fonti attribuisce il carattere dispotico del resto del suo
principato: fece uccidere Tiberio Gemello ed eliminò Silano. Intraprese numerosi progetti di costruzione,
megalomani.
In Oriente affidò una serie di stati cuscinetto a principi con i quali aveva stretto legami di amicizia.
Nel 39 a.C. si reco improvvisamente in Germania forse per proseguire il progetto espansionistico o
perchè sospettava una congiura: qui fece uccidere Lepido, marito di Drusilla, ed esilio le sue stesse sorelle
a Ponza.

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Vi fu un pesante conflitto con gli ebrei causato dalla sua pretesa di inserire nel tempo di Gerusalemme
una propria statua. Nel 41 a.C. fu ucciso da una congiura di equestri e senatori; poco dopo furono uccise
anche la moglie e figlia.

Claudio (41-45 d.C.)


Neppure il suo successore, suo zio CLAUDIO, fu ben visto dalle fonti antiche che lo descrivono come uno
sciocco ed inetto mentre da fonti più recenti e dal suo operato egli risulta molto attento e colto. Fratello
di Germanico, sempre tenuto in disparte perché considerato non all’altezza, egli salì al principato nei 41
a.C. dopo la congiura contro Caligola: egli condannò a morte i congiurati ma ritirò molti provvedimenti
di Caligola e abolì l’accusa di lesa maestà. Ripristino i rapporti con il senato che rese più credibile e vivo.
Riformo l’amministrazione che divenne centrale, organizzata in quattro uffici:
 Un segretario generale
 Uno per le finanze,
 Uno per le suppliche e la corrispondenza istituzionali
 Uno per i procedimenti da tenersi davanti all’imperatore.

A capo di essi vi erano i liberti, che acquisivano un potere immenso (per questo motivo il suo impero è
ricordato come “impero dei liberti”). L’imperatore miglioro molti servizi: costruì il porto di Ostia per
l’attracco ed il deposito delle merci; miglioro il sistema delle distribuzioni dei granai, costruì due nuovi
acquedotti e bonificò la piana del Fucino per aumentare la superfice coltivabile in Italia.
Intervenne in Oriente e modificò l’assetto di regni clienti creati da Caligola, tornando alle decisioni
Tiberiane.
L’impresa militare più rilevante fu nel 43 d.C. la conquista della Britannia ridotta a provincia.
Claudio prese come terza moglie Messalina che in sua assenza si legò in modo manifesto ad un giovane
console e venne eliminata; la quarta moglie fu Agrippina minore che costrinse Claudio ad adottare il
figlio Nerone, affiancato da Seneca per la formazione. Claudio morì misteriosamente nel 54 d.C. e
Agrippina fu accusata di avvelenamento per garantire al figlio il principato.

La società imperiale
Alla base della società romana vi era l’assunto per cui vi doveva essere una distinzione tra gli status
giuridici delle persone. Già Augusto introdusse elementi di distinzione per i ceti tra senatori ed equites.
La schiavitù era diventata un fenomeno caratteristico della società e dell’economia della repubblica
romana e costituiva il 40% della popolazione in Italia; grandi quantità di schiavi erano impiegati in
agricoltura ma vi era anche una notevole presenza di schiavi domestici impiegati in attività artigianali e,
soprattutto tra gli schiavi di origine greca più istruiti, nell’ambito dei servizi (istruttori, medici, segretari,
amministratori). Una categoria particolarmente importante era costituita dagli schiavi imperiali la
famiglia Caesaris, che si occupava della gestione finanziaria ed amministrativa dell’impero.
Lo schiavo che riusciva ad acquistare la propria libertà diventava liberto, schiavo liberato dalla propria
condizione, che però rimaneva legato all’ex padrone da un rapporto di clientela e aveva limitazione per
l’accesso alla vita pubblica e alle magistrature.

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I provinciali liberi, categoria che comprendeva antichi abitanti delle polis greche e quelli dei villaggi dei
britanni o nomadi del deserto.
Il princeps poteva conferire la cittadinanza a singoli individui per meriti particolari, a città o a categorie
di persone, così alcuni gruppi godevano di uno status giuridico privilegiato.
L’esercito fu uno dei più importanti fattori di promozione sociale in età imperiale, i veterani delle legioni,
tornati nelle località d’origine, entravano a far parte delle élite municipali e potevano rivestire le
magistrature locali.

Nerone (54-68 d.C.)


NERONE assunse il principato a soli 16 anni e fu affiancato dal prefetto Burro, dal suo precettore Seneca
e dalla madre Agrippina. Il principato rivestito da Nerone non era più quello ideato da Augusto: la res
publica era nelle mani di un solo individuo. All’inizio Nerone assecondò l’influenza che avevano su di
lui il prefetto Burro e Seneca, seguendone i consigli e cercando di collaborare con il Senato ma ben presto
se ne distaccò. Il passaggio da Claudio a Nerone fu senza scosse: la morte di Claudio era stata
inizialmente tenuta nascosta per il tempo necessario a predisporre la successione. Burro fece giurare alle
milizie stanziate a Roma fedeltà al solo Nerone e Britannico, figlio naturale di Claudio, fu escluso dal
principato, nonostante la volontà del defunto imperatore. L’elogio funebre di Nerone e il suo discorso
davanti al senato furono composti da Seneca: in essi dichiarava di assumere come modello Augusto.
Nerone intraprese una linea politica controllata dalla madre che ne approfitto per eliminare i suoi nemici
come Narcisso e Britannico. Il rapporto tra Nerone e la madre si incrinò a causa della sua relazione con
Poppea Sabina e il suo disinteresse nei confronti della moglie Ottavia. Nerone si sbarazzò della madre
tentando di farla annegare manomettendo la sua imbarcazione, il tentativo fallì ma egli la fece uccidere
da Aniceto, insinuando che si fosse uccisa (come narra Tacito).
Nel frattempo si delineava un altro aspetto del carattere di Nerone: l’inclinazione per la cultura e per le
arti, per i giochi, per lo spettacolare e lo scenografico. Dal 59 d.C., dopo aver vietato i combattimenti tra
gladiatori, organizzò i Ludi teatrali-musicali di tipo greco e diede vita ai neronia quinquennali ad
imitazione dei giochi olimpici. Nel 61 d.C. fece costruire a Roma un ginnasio e delle Terme. Nel 62 morì
burro e vi fu una svolta decisiva: Seneca si defila gradualmente mentre Nerone cercava di annientare
l’opposizione eliminando i propri nemici e ripudiando la moglie Ottavia.
Nel 64 d.C. Roma fu bruciata per due terzi della sua estensione: Nerone tornò che si trovava ad Anzio
tornò immediatamente a Roma e cercò di risolvere la crisi ma venne accusato di essere il responsabile
quindi per discolparsi accusò il popolo Cristiano che venne severamente perseguito.
Nella ricostruzione furono costruiti nuovi edifici tra cui la sfarzosa Domus Aurea (motivo per cui Nerone
fu accusato). La ricostruzione costò molto e contribuì ad incrinare i rapporti con il senato e la plebe.
Cercò di rimediare alla crisi finanziaria nel 64 d.C. proponendo una riforma monetale: le monete d’oro
furono ridotte da un 1/42 a 1/45 di libra mentre le monete argentee da 1/84 a 1/96. Per rimpinguare le
casse dello Stato Nerone ricorse a processi e confische attirando su di sé i dissapori del Senato che
organizzo nel 65 d.C. una congiura detta congiura dei Pisoni perché ha ispirata da Pisone che si poneva
come obiettivo quello di assassinare Nerone in pubblico: il complotto fu scoperto e i congiurati furono

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uccisi. L’opposizione però non era stata eliminata e nel 66 d.C. venne organizzata una nuova congiura,
la congiura viniciana organizzata da VINICIANO, anche questa scoperta e stroncata.
In politica estera, nel 64 d.C. il regno del Ponto fu annesso alla provincia Galazia e la Panfilia fu separata
dalla Licia e riunita alla Galazia, mentre nel 65 d.C. vennero annesse anche le Alpi Cozie. Principali
teatri di intervento furono: l’Armenia in cui dopo una lunga e travagliata vicenda venne riconosciuto
come re Tiridate nel 66 d.C.; la Britannia popolata da ribellioni locali che i romani riuscirono a sedare e
a richiamare l’ordine; in Giudea venne requisito parte del tesoro del tempio di Gerusalemme causando
una rivolta contro i romani che Vespasiano riuscì a sedare riportando il controllo in Palestina. Nel
frattempo Nerone nel 66 d.C. partì per la Grecia dove ottenne molti premi agonistici.
Nel 68 d.C. a Roma iniziò una catena di sollevazioni e il senato dichiarò Nerone “nemico pubblico”,
riconoscendo Galba come nuovo imperatore. Nerone si suicidò (aveva trentun anni). La sua fine segnò
anche quella della dinastia giulio-claudia poiché Nerone non aveva figli né vi erano esponenti della
dinastia imperiale che potessero essere proposti per la successione.

Capitolo 3
I quattro imperatori e la dinastia Flavia
Le fonti
SVETONIO, TACITO, PLUTARCO, VITTORE, OROSIO, EUTROPIO, FLAVIO GIUSEPPE, QUINTILIANO, PLINIO IL
GIOVANE E PLINIO IL VECCHIO, DIONE, EPITTERO, EUSEBIO, FILOSTRATO, GELLIO, STAZIO, MARZIALE,
GIOVENALE, FRONTINO;
Epigrafia:
Lex impero vespasiani; lex flavia municipalis, papiro Fouad 8, editto di tiberio giulio Alessandro.

L’anno dei quattro imperatori: 68-69 d.C.


Si erano create le condizioni per una nuova guerra civile che vide contrapporsi senatori, truppe urbane,
governatori di provincia e comandanti militari che forti del sostegno dei loro eserciti, assunsero il titolo
di “imperatore”.
La crisi del 69 d.C., con quattro imperatori:
 GALBA esponente dell’aristocrazia senatoria,
 OTONE esponente dei pretoriani,
 VITELLIO esponente dell’esercito,
 VESPASIANO esponente dell’esercito (vincitore).
I quattro si combatterono l’uno contro l’altro per il titolo imperiale.

Galba (giugno 68-gennaio 69)


SERVIO SULPICIO GALBA era un anziano senatore, allora governatore della Spagna Tarraconense. I suoi
soldati lo avevano proclamato imperatore ma egli rifiuto a quel titolo ritenendo che essi non avessero
diritto a conferirlo. Ciò nonostante cercò di avvicinarsi agli oppositori di Nerone (tra cui l’ex marito di
Poppea, Marco Salvio Otone), ottenendo l’appoggio dei pretoriani e venendo riconosciuto imperatore

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del Senato. Galba non seppe tuttavia guadagnarsi la popolarità e gli appoggi necessari per mantenere il
suo potere: non rispettò la promessa di un donativo ai pretoriani, si rese impopolare sia alla plebe sia ai
soldati per i tagli alle spese con cui cercò di rimediare alla crisi finanziaria creatasi sotto Nerone, si accanì
nell’epurazione dei suoi veri e presunti oppositori.

All’inizio del 69 d.C., in occasione del rinnovo annuale del giuramento di fedeltà all’imperatore, due
delle tre legioni della Germania Superiore si rifiutarono di prestarlo e si ribellarono. Il loro esempio fu
seguito dall’esercito della Germania Inferiore che proclamò imperatore il proprio legato, AULO VITELLIO.
A tale designazione aderirono tutti gli eserciti delle Germanie. Galba cercò di mantenere il proprio ruolo
assumendo un collaboratore, Lucio Calpurnio Pisone, ma la nomina non fu gradita ai pretoriani e
soprattutto a MARCO SALVIO OTONE (che lo aveva aiutato nella sua ascesa al potere). Dopo pochi giorni
i pretoriani acclamarono Otone imperatore e massacrarono Galba, Pisone e i loro seguaci.

Otone (15 gennaio 69 – 14 aprile 69)


MARCO SALVIO OTONE era popolare soprattutto tra i pretoriani e l’ordine equestre. Dopo il linciaggio di
Galba nel foro fu riconosciuto imperatore dal Senato e da molte province (Danubiane, Africa, Oriente).
Fu proclamato imperatore il 15 gennaio e il suo principato durò tre mesi. Fu subito costretto con ciò che
era accaduto in Germania (acclamazione di Vitellio), l’avanzata delle armate germaniche verso l’Italia
era iniziata nel segno della ribellione a Galba; ma non si fermò alla notizia della morte dell’imperatore e
della successione di Otone.

Vitellio (15 aprile 69 – 21 dicembre 69)


AULO VITELLIO era un senatore di rango consolare che aveva investito molti incarichi importanti sotto
tutti i Giulio-Claudi. I suoi legati sconfissero le truppe di Otone (battaglia di Bedriaco) che si uccise e
Vitellio venne proclamato unico imperatore mentre si trovava ancora in Gallia (giunse a Roma soltanto
in giugno). Egli ebbe grandi difficoltà a frenare i soldati di Otone e la disciplina dei propri che si diedero
a saccheggi e devastazioni. Congedò numerosi pretoriani, rimpiazzati con soldati provenienti dalle
regioni renane.
Mentre Vitellio si era installato a Roma con parte delle sue truppe, le legioni delle province danubiane,
che non erano riuscite a dare supporto ad Ottone, si ribellarono. Nessuno dei governatori delle tre
province danubiane era però di rango tale da essere contrapposto a Vitellio come imperatore; la
personalità più notevole Marco Antonio Primo, era soltanto legato della settima legione pannonica. La
scelta cadde dunque su Vespasiano comandante delle truppe in Giudea.

L’ascesa di Vespasiano e la fine di Vitellio


TITO FLAVIO VESPASIANO, appartenente a una famiglia italica di Rieti, nella Sabina, era stato inviato da
Nerone in Giudea per sedare una rivolta nel 66 d.C. con tre legioni. Vespasiano fu proclamato imperatore
dalle sue truppe, successivamente fu riconosciuto come tale anche in Egitto e in Giudea. Dalla Pannonio
ANTONIO PRIMO marciò subito verso l’Italia con le legioni danubiane attaccando le truppe inviate da
Vitellio per tamponare la situazione e li sconfisse in battaglia combattuta di nuovo a Bedriaco. Le truppe

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di Antonio Primo entrarono a Roma il 20 dicembre 69 d.C. e Vitellio venne ucciso mentre si trovava ad
Alessandria d’Egitto Vespasiano fu proclamato imperatore dal Senato.

La dinastia flavia (69-96 d.C.)


Con Vespasiano ebbe inizio la dinastia dei Flavi compresa tra il 69 e il 96 d.C. che vide susseguirsi
Vespasiano e poi i suoi figli Tito e Domiziano secondo il principio della trasmissione dinastica. La
dinastia si estinse nel 96 d.C. quando Domiziano fu ucciso (senza eredi) e fu proclamato un nuovo
princeps dal Senato.

Vespasiano (69-79 d.C.)


Vespasiano rimase fino al 70 d.C. ad Alessandria d’Egitto, nel frattempo i suoi generali ponevano fine
ai problemi militari rimasti aperti su due fronti: la guerra in Giudea e la rivolta batava guidata da GIULIO
CIVILE.
I batavi erano un popolo stanziato presso le foci del Reno, a lungo alleati di Roma. Il loro territorio era
entrato a far parte della Gallia Belgica. Gli accampamenti romani posti nel loto paese erano considerati
basi militari per un’eventuale espansione. Giulio Civile si era messo a capo di una rivolta batava nei
confronti della durezza degli ufficiali di Vitellio addetti all’intensiva politica di reclutamento richiesta
dall’imperatore. Civile aveva ottenuto rinforzi dalle coorti veterane batave in Britannia. Civile attaccò
vittoriosamente alcune posizioni romane e giunse ad assediare Castra Vetera ottenendo ulteriori consensi.
In seguito alla seconda battaglia di Bedriaco del 69 d.C. le truppe renane delle due Germanie prestarono
giuramento a Vespasiano, Civile si trovava così in una situazione scomoda: i motivi della rivolta, dopo
la morte di Vitellio, aveva cessato di esistere. Poco dopo le truppe galliche decisero di sollevarsi contro
Roma nella prospettiva creare un autonomo Imperium galliarum. Dopo una serie di successi, la reazione
del nuovo governo imperiale non si fece attendere e gli insorti furono sconfitti. La rivolta ebbe
conseguenze di rilievo anche per quanto riguarda il reclutamento militare di tali regioni, infatti per evitare
rivolte analoghe la difesa dei territori del Reno furono affidati a una legione di nuova costituzione
proveniente da altre parti dell’Impero e, allo stesso modo, le truppe tratte dalle tribù galliche e germaniche
furono destinate a servire in luoghi diversi dalla patria d’origine, sotto il comando di capi di origine
diversa dalla loro.
Al momento della sua acclamazione Vespasiano era già riuscito a reprimere le ribellioni in Palestina e
stava rivolgendo le sue forze nella capitale della Giudea, Gerusalemme. Il comando fu lasciato al figlio
Tito che nel 70 d.C. riuscì a impadronirsi della città e ne distrusse il tempio, vero cuore dell’ebraismo.
Da allora in Giudea fu lasciata di stanza permanente una legione e la provincia venne governata da un
legato imperiale di rango pretorio.
I tre imperatori della dinastia Flavia è vero in delle diverse tra loro ma tutti ebbero rigidi impegni
dell’amministrazione.
Il principato di Vespasiano rappresenta un sensibile progresso anche nella razionalizzazione dei poteri
dell’imperatore e nel consolidamento della figura del Princeps come istituzione. Tra il 70 e il 79 d.C.
Vespasiano rivestì il consolato otto volte (sette delle quali insieme a Tito). Lo stesso fece Tito, due

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consolati durante il suo bravissimo impero. Domiziano quando subentrò nel principato era già stato
console sette volte, successivamente ricoprì ininterrottamente la carica fino all’88 d.C.
Il principato Vespasiano fu connotato da grandi capacità organizzative: uno dei problemi fu quello di
dover fronteggiare il grave deficit di bilancio provocato da Nerone e dalla guerra civile, nonché di
ricostruire molto di quanto era andato distrutto. I provvedimenti presi gli diedero la fama di imperatore
tirchio ma in realtà permisero di risanare il bilancio dello stato.
Vespasiano ricostruì il Campidoglio, costruì il Colosseo, tempio della pace nel nuovo foro di Vespasiano.
Riorganizza l’erario e il fisco Romano. Recupero i territori pubblici abusivamente occupati da privati.
Intervenne il campo dell’istruzione prevedendo esenzioni fiscali per gli insegnanti ed istituendo due
cattedre (retorica greca e latina) finanziate dal fisco. Il patrimonio imperiale venne separato dalla res
privata del princeps.
Estese la cittadinanza ai provinciali e coscrisse sempre più spesso i legionari delle provincie.

Nel corso del suo impero ristabilì l’ordine delle zone di confine lasciate sguarnite dalle truppe che
avevano partecipato alle guerre civili, tanto sul Danubio che in Britannia.
In Oriente fu abbandonata la politica degli Stati cuscinetto retti da re clienti, aggregando i territori delle
province esistenti o creandone di nuove. Al momento dell’ascesa di Vespasiano i territori dell’Asia
Minore non erano tutti sotto il controllo romano: vi sopravvivevano due stati vassalli che si frapponevano
tra i territori romani e quelli partici: la Commagene (sotto ANTIOCO IV) e l’Armenia Minore (sotto
ARISTOBULO). Nel 72 d.C. il governatore di Siria accuso Antioco IV di infedeltà: il sovrano venne
deposto. Il regno di Commagene fu preso, disciolto e incorporato nella provincia di Siria. Nello stesso
anno l’Armenia minore fu annessa alla provincia di Cappadocia.
Complessivamente Vespasiano riuscì a godere di un certo consenso, gli unici episodi di opposizione
furono da parte di alcuni senatori appartenenti al circolo dei filosofi cinici e stoici, contro l’idea del
principato ereditario, e furono sedate facilmente bandendo alcuni filosofi da Roma.

Tito (79-81 d.C.)


Tito era cresciuto nella corte di Claudio; aveva ricevuto una buona istruzione e si era reso noto per le sue
doti fisiche e intellettuali e per il suo amore per la musica e il canto. Oltre a ricoprire alcune magistrature
insieme al padre, tra cui il consolato e la censura, era stato anche prefetto del pretorio. Già dal 71 d.C.
aveva ricevuto l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia e, alla morte del padre, i titoli di augusto
e di pater patriae. Tito è stato celebrato dalla tradizione come “amore e delizia del genere umano”, ma
fino all’epoca del suo breve principato era stato molto temuto per la durezza mostrata sia in Giudea sia a
Roma come prefetto del pretorio. La popolarità di Tito fu inoltre accresciuta da una politica di
magnificenza, che si discostava dalla parsimonia del padre. In parte indotta dal dover far fronte ad eventi
catastrofici ed a calamità naturali come, ad esempio, nel 79 d.C. l’eruzione del Vesuvio che distrusse
Pompei, Ercolano e Stabia. Tito intervenne finanziando con somme rilevanti la ricostruzione. Inoltre,
nell'80 d.C., a Roma vi furono una grande epidemia di peste e un incendio che fece gravi danni. Tito
morì nell’81 d.C., egli aveva una sola figlia femmina, Giulia, di 13 anni, il suo potere passò al fratello
Domiziano.

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Domiziano (81-96 d.C.)
Domiziano gode, nelle fonti, di una cattiva nomea. Tuttavia, se il suo principato fu contraddistinto da
uno stile di governo crescentemente autocratico (e quindi sempre più inviso) la sua azione politica fu
certamente efficace e utile per l’impero. Egli rivestì, durate il suo impero, il consolato per dieci volte, a
cui vanno sommate le sette volte in cui lo aveva ricoperto precedentemente con il padre e il fratelli, per
un totale di diciassette consolati.
Verso l’85-86 d.C. pretese per sé l’appellativo di dominus et deus e alla moglie, Domizia Longina, fu
conferito il titolo di Augusta.

Negli anni 82-83 d.C. intraprese campagne contro i Catti, una popolazione stanziata sulla riva destra del
medio Reno; dopo la vittoria si fregiò del titolo di Germanicus e intraprese la costruzione di opere
difensive sulla linea esterna del Reno (limes5).
Nel 84-85 d.C. Domiziano affrontò il problema della Dacia in cui il re DECEBALO aveva unificato diverse
tribù: Domiziano respinse i daci oltre il fiume Reno e torno a Roma affidando le operazioni al prefetto
del pretorio CORNELIO FUSCO che nel 86 d.C. condusse una spedizione ma fu attaccato e ucciso insieme
a parte del suo esercito. Nell’88 d.C. la guerra riprese e Roma conseguì la vittoria. Domiziano celebrò a
Roma il trionfo ma Decebalo ottenne la pace anche a causa della rivolta di Lucio Antonio Saturnino,
governatore della Germania Superiore, proclamato imperator dalle sue legioni, sollevazione che
costrinse Domiziano a stipulare una tregua provvisoria. Decebalo firmò un foedus (trattato di pace) che
gli permetteva di mantenere tutto il suo territorio sottomettendosi al dominio romano e ricevendo in
cambio un sussidio in denaro.
Domiziano, successivamente alla rivolta di Saturnino, si sentì sempre più minacciato e inaugurò un’epoca
di persecuzioni ed eliminazioni di persone sospettate di tramare contro di lui.
L’aspetto moralistico, talora esasperato, fu un elemento tipico della politica di Domiziano. I rapporti di
Domiziano con la parte più conservatrice del Senato si modificarono col tempo a causa
dell’accentuazione del carattere autocratico dell’imperatore. Dopo soli due anni dall’avvento di
Domiziano al principato i suoi oppositori in senato erano sottoposti a processi. Il contrasto divenne più
aspro all’accentuarsi delle manifestazioni assolutistiche dell’imperatore quali la rimozione di generali,
l’autocelebrazione e la celebrazione dei trionfi, la moltiplicazione dei ludi nei quali veniva glorificato
accanto alle divinità. Domiziano processò tutti coloro che avrebbero potuto sottrargli la carica: Sabino,
il cugino; Tito Flavio Clemente, suo parente e collega al consolato e altri.

Nel 96 d.C. cadde vittima di una congiura da parte di alcuni senatori, i nuovi prefetti del pretorio, vari
funzionari di palazzo e forse anche la moglie, e verrà sottoposto dal senato alla damnatio-memorie cioè
la cancellazione del suo nome e volto dalle iscrizioni e dai monumenti finalizzata a cancellarne il ricordo.
Fu proclamato imperatore MARCO COCCEIO NERVA.

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Limes: strade che si inoltravano nei territori non ancora conquistati dotate di posti fortificati e destinate a facilitare la
penetrazione romana; assunse poi il significato di frontiera artificiale in cui le strade servivano a collegare tra loro gli
accampamenti e a disegnare di fatto la linea di separazione tra l’impero e i territori esterni.
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Il sorgere del cristianesimo
Tra il primo e il secondo secolo si sviluppa il cristianesimo derivato dall’ebraismo è scaturito dalla
predicazione di Gesù ritenuto il Cristo venuto in terra a portare il messaggio universale di salvezza. Le
prime comunità cristiane sorsero grazie all’annuncio degli apostoli della morte e resurrezione di Gesù.
Nel corso del II secolo prevalse la struttura di comunità guidate da un singolo responsabile detto
episcopos. I rapporti tra cristiani e impero furono travagliati, infatti l’autorità imperiale aveva affrontato
la questione giudaica non distinguendo tra ebrei e cristiani, considerandola un problema di nazionalità
piuttosto che di religione. Augusto aveva concesso alle comunità ebraiche libertà di culto, a conservare
i propri costumi e di mantenere il proprio legame con il tempio di Gerusalemme. Le comunità ebraiche
furono però spesso avvertite come elemento estraneo, gli ebrei che furono espulsi da Roma sotto Tiberio,
Claudio poi ristabilì la tolleranza di Augusto, ma anch’egli nel 49 d.C. espulse gli ebrei da Roma, sotto
Nerone, divenne evidente il contrasto tra l’autorità imperiale e la nuova religione cristiana, la quale
veniva considerata come sovversiva e pericolosa, in quanto non poteva integrarsi in nessun modo con la
religione tradizionale e il culto imperiale, anche l’opinione pubblica riteneva che i seguaci della setta
fossero dediti a pratiche mostruose. Nerone né approfittò per accusare i cristiani dell’incendio di Roma
avvenuto nel 64 d.C. Sotto Vespasiano e Tito fu distrutto il tempio di Gerusalemme e stroncata la rivolta,
ma non furono poste limitazioni di culto. Ebrei e cristiani subirono invece l’ostilità di Domiziano che per
attuare una politica di legittimazione religiosa volle promuovere la figura del principe come
rappresentante di Giove sulla terra.
Nel corso del II secolo d.C. il cristianesimo mise salde radici in tutto l’Impero, diventando un fenomeno
che non poteva più essere ignorato dalle autorità.

Capitolo 4
Il II secolo
Le fonti
Fonti: Panegirico e l’epistolario di PLINIO IL GIOVANE, VITTORE, OROSIO, EUSEBIO, ERODIANO, DIONE
DI PRUSA, LUCIANO DI SAMOSATA, ERODE ATTICO, Orazione a Roma di ELIO ARISTIDE, PLUTARCO,
LUCIANO, FILOSTRATO, PUSANIA, FRONTINO, GAIO, FRONTONE, MARCO AURELIO, Nuovo Testamento,
Apologia di GIUSTINO, Dialogo di IRENEO, Atti dei martiri; documenti: colonne aureliana e traiana;
Epigrafia:
Iscrizioni colonne, regolamenti fiscali è economici, tavole bronzee dalla Lusitania, archivi amministrativi
e privati, papiri scoperti nel deserto di Giuda offrono notizie sulle province orientali.

Nerva (96-98 d.C.)


Il II secolo è considerato l’età più prospera per l’impero romano che gode di uno sviluppo economico e
culturale soprattutto grazie alla figura di NERVA che ha instaurato la successione per adozione (di colui
che in assoluto poteva dare maggiori garanzie di saper governare bene). L’adozione di Traiano da parte
di Nerva fu accolta positivamente dall’aristocrazia senatoria. Il principato di Nerva durò solo due anni e
vide ripristinati i buoni rapporti tra imperatore e Senato. I motivi per cui la scelta come nuovo imperatore

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fosse caduta su Nerva non sono chiari e possono essere molteplici: egli non aveva mai assunto cariche
militari, dunque non aveva legami con gli eserciti, aveva un’età avanzata, uno stato di salute non buono
e non aveva figli, forse fu scelto per la sua mitezza di carattere e la sua estraneità ai gruppi di potere
precedenti.
Il primo pensiero di Nerva fu quello di controllare le reazioni successive alla morte di Domiziano, il
popolo era rimasto sostanzialmente indifferente all’assassinio ma non altrettanto i pretoriani, che vennero
però tenuti a freno dai loro capi e dai donativi. Nerva fece subito in modo di ottenere i giuramenti delle
truppe provinciali e fece abolire le misure più impopolari di Domiziano, richiamando gli esiliati e
avvallando in senato la damnatio memoriae del tiranno, fece inoltre sospendere l’accusa di lesa maestà
riportando la pace interna.
Successivamente fu votata una legge agraria per assegnare lotti di terreno ai nullatenenti, emanò il
programma delle istituzioni alimentari (prestiti concessi dallo stato agli agricoltori che ne beneficiavano
ipotecando i propri terreni, l’interesse dell’ipoteca serviva a sostentare i fanciulli indigenti), realizzò così
un incentivo di miglioramento sulla produttività di fondi e un sostegno dei meno abbienti per contrastare
il calo demografico. Trasferì alla cassa imperiale il costo del mantenimento delle strade e delle stazioni
di cambio per i messaggeri imperiali.
Il Principato di Nerva ebbe scarsa opposizione ma nel 97 d.C. vi furono alcuni problemi economici e
politico-militari. Sul versante politico i pretoriani chiesero la punizione degli assassini di Domiziano,
Nerva venne messo a tacere e i responsabili della congiura messi a morte, in questo modo venivano però
puniti coloro che lo avevano portato al potere, compromettendo la sua immagine e il suo prestigio. Nerva,
consapevole che il suo successore avrebbe dovuto affermarsi militarmente e essere in grado di opporsi
ai pretoriani, adottò Traiano che salì in carica tre mesi dopo, quando Nerva morì.

Traiano (98-117 d.C.)


MARCO ULPIO TRAIANO nacque nel municipio spagnolo di Italica da una famiglia di remote origini
italiane. Nel 91 d.C. aveva ricoperto il consolato per la prima volta e nel 96-97 d.C. era divenuto legato
della Germania Superiore.
Nel 98 d.C., mentre si trovava il Germania, fu nominato princeps dal senato alla morte di Nerva. Sì reco
a Roma solo un anno preferendo prima completare il consolidamento delle difese sul Reno e sul Danubio
(Pannonia e Mesia).
Egli univa nella sua persona le caratteristiche di esperienza militare e senso di appartenenza allo stato
che lo resero, agli occhi dell’opinione pubblica, optimus princeps. Le fonti letterarie a nostra
disposizione su Traiano sono favorevoli all’imperatore. PLINIO IL GIOVANE definisce Traiano “uno di
noi”, esprimendo in questo modo tutta la popolarità che il princeps aveva negli ambienti senatori, ma
anche l’atteggiamento di rispetto che manifestò verso l’assemblea stessa.
Il principato di Traiano segna un cambiamento importante nella politica estera della Roma imperiale,
soprattutto nel settore orientale: l’espansione territoriale ha avuto un posto di rilievo nei suoi programmi.
Nel lungo periodo intercorso da quando Domiziano aveva posto fine alle ostilità in dacia (89 d.C.)
Decebalo non aveva cessato di rafforzarsi. Ma minaccia per la Mesia si profilava grave e imminente. La
difesa del settore era indispensabile per ripristinare la sicurezza contro il rischio di incursioni. Nel 101
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Traiano concentrò un forte esercito in Mesia Superiore, attraversò il Danubio e avanzò rapidamente verso
la Dacia senza che Decebalo accettasse mai lo scontro aperto. L’esito della guerra era a favore dei romani
ma lo sviluppo delle operazioni aveva sguarnito le zone del basso Danubio e i daci sferrarono una violenta
offensiva contro la Mesia Inferiore alla fine del 101 d.C. L’imperatore fu costretto ad accorrere. Nel 102
d.C. Traiano riprese l’offensiva contro i daci in seguito alla quale Decebalo fu costretto a chiedere la
pace accettando condizioni molto dure. A Decebalo fu lasciato il so regno ma sotto stretto controllo
romano. Il dispositivo militare intorno alla Dacia venne mantenuto e rafforzato. Nel 105 d.C. le ostilità
furono riprese anche in seguito ad un attacco molto violento dei daci contro le guarnigioni romane.
Traiano partì da Roma per raggiungere il fronte danubiano, i daci furono sconfitti, Decebalo si uccise e
la Dacia fu annessa e ridotta a provincia romana. Il bottino ricavato contribuì a risanare le casse dello
Stato Romano.
Tra il 106 e 107 la Pannonia fu divisa in Superiore ed Inferiore; venne creata la provincia dell’Arabia.
Grazie alla a questa provincia Roma completava il possesso del Medio Oriente. Dal 107-113 la
Cappadocia e la Galizia furono separate mentre Traiano cercò una soluzione per l’Armenia. Traiano fece
imprigionare e uccidere il nuovo re d’Armenia PARTAMASIRIS, e il regno fu annesso alla provincia di
Cappadocia. Verso la fine del 114 d.C. Traiano occupò completamente la Mesopotamia costituendovi la
provincia di Mesopotamia. Contemporaneamente era scoppiata una rivolta ebraica indusse Traiano ad
abbandonare le operazioni. Traiano morì nel 117 d.C. sulla via del ritorno verso Roma e le truppe
acclamarono imperatore Adirano.
Il principato traianeo fu caratterizzato da un grande interesse per i bisogni dell’impero e dell’Italia con
molta attenzione all’amministrazione a alle infrastrutture: Traiano miglioro il rifornimento granaio e le
comunicazioni marittime italiane, miglioro porti italiani di Ostia, Rimini e Ancona, costruì una serie di
vie ed edifici in Italia e nelle province, regolarizzò le rive del Tevere per evitare le frequenti inondazioni.
Adriano (117-138 d.C.)
Adriano nacque una famiglia di origine italica emigrata in Spagna e rimasto orfano di padre ebbe tra i
suoi tutori Traiano grazie al quel percorse le cariche senatorie. Nel 117 d.C. fu acclamato imperatore
dalle sue truppe e in seguito fu ratificato senza problemi dal senato. Adriano rimase in Asia per un lungo
periodo prima di rientrare a Roma e qui decise di abbandonare la politica espansionistica di Traiano
arrestando la frontiera sull’Eufrate. La successione di Adriano non era stata gradita dai collaboratori di
Traiano che organizzarono una congiura contro il neoimperatore, i responsabili furono eliminati prima
che Adriano rientrasse a Roma causando grande scalpore nella città e un certo astio verso di lui. Per
acquistare la simpatia del Senato e dell’opinione pubblica Adriano alleviò il malessere economico:
cancellò i debiti con la cassa Imperiale, fece donazioni al popolo, reintegrò il patrimonio dei senatori che
erano stato privati del loro censo, potenziò il programma alimentare già inaugurato da Traiano.
Riorganizzò l’esercito e la disciplina militare e favori il reclutamento dei provinciali. Adriano fu inoltre
un uomo di grande cultura e favorì l'arte, la letteratura e la cultura costruendo palazzi e fondando nuove
città, edificando un mausoleo per sé stesso (odierno Castel Sant’Angelo) e curando la restaurazione del
Pantheon. Il principe vuole restituire splendore ad Atene alle poleis greche trasformandole
urbanisticamente e aumentando il controllo della situazione finanziaria e dell'amministrazione.

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Dopo essere rimasto per tre anni a Roma passo in rassegna tutte le province. Tra il 121 e il 125 percorse
prima la Gallia e le regioni renane e danubiane, curando la disciplina e l'allenamento dell'esercito, e
rinforzando i nuovi confini sulle Reno; poi passò in Britannia, dove iniziò la costruzione del vallo
sull’istmo Tyne-Solway a difesa della zona meridionale pacificata contro le tribù non romanizzate a nord.
Successivamente si recò in Gallia meridionale, in Spagna, in Mauretania e in Africa; poi in Asia dove
erano sorti problemi lungo la frontiera partica; prosegui per la Cappadocia, il Ponto e l’Asia Minore.
Trascorse poi gli anni dal 125 al 129 d.C. tra Roma e l'Africa, dove inizio la costruzione del fossatum
Africae, una serie di fortificazioni che avevano lo scopo di controllare gli spostamenti delle popolazioni
nomadi e le attività economiche legate alla transumanza.
Dal 129 al 134 d.C. intraprese un viaggio in Grecia e nelle province orientali. In Giudea volle far risorgere
Gerusalemme come colonia romana sotto il nome di Aelia Capitolina con un tempio dedicato a Giove
Capitolino sul sito del distrutto Tempio giudaico. Nel 132 d.C., dopo il suo passaggio, era scoppiata in
Palestina una grave rivolta guidata da Simone Bar Kochbà (figlio della stella) che come un nuovo Messia
si era posto a capo di una resistenza fatta soprattutto di azioni di guerriglia; la situazione si risolse grazie
con una violenta repressione. Ai Giudei fu vietato non solo di abitare ad Aelia Capitolina ma persino di
recarvisi, se non per un giorno all’anno fissato dall’autorità. Per eliminare poi ogni riferimento al popolo
ebraico, il nome della provincia di Giudea venne mutato in provincia di Syria Palaestina.

Nel 136 d.C. Adriano ebbe un tracollo di salute, con una patologia che gli infliggeva dolori insopportabili
e ne inaspriva il carattere. Si aprì la questione della successione: Adriano scelse come proprio successore
Tito Aurelio Antonino che sali in carica nel 138 d.C. alla morte di Adriano, e fu detto Antonino Pio.

Antonino Pio (138-161 d.C.)


Antonino, detto Pio per la sua dirittura morale, era un ricco senatore. Egli si propose come continuatore
del predecessore ma non si interessò ai viaggi nelle province e non si spostò mai dall’Italia. Mantenne
rapporti di collaborazione con il senato. Le operazioni militari furono condotte tutte dai suoi luogotenenti.
Nel 139 d.C. fu conquistata la Scozia meridionale; nel 155 d.C. vennero espansi i confini della Germania
Superiore; altri conflitti furono affrontati in Dacia e in Armenia.
Antonino fu un grande amministratore e sotto il suo impero vennero realizzate molte opere pubbliche,
vennero introdotti sussidi alle giovani orfane italiche. Antonino morì nel 161 d.C. e fu sostituito dal figlio
maggiore Marco Aurelio.

Lo statuto delle città


Nell’età di Antonino Pio l’impero raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo: le città rappresentavano il
segno distintivo della civiltà rispetto alla rozzezza di altri popoli. Nell’impero romano vi erano diverse
tipologie di citta:
 Città peregrine preesistenti alla conquista e riorganizzate nell’ impero, con uno status giuridico nei
confronti di Roma che le poteva renderle:
1. Città stipendiarie, che sottomesse a Roma pagano un tributo
2. Città libere, con diritti speciali concessi unilateralmente da Roma
3. Citta libere e immuni, esentate dal pagamento del tributo
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4. Città federate, che hanno concluso con Roma un trattato su un piede di uguaglianza.
 Municipi cioè città cui Roma ha concesso di elevare il suo status precedente di città peregrina e ai
cui abitanti è accordato o il diritto latino o quello romano.
 Colonie cioè città di nuova fondazione in territori vinti, che godono della cittadinanza romana e hanno
pieno diritto romano. Organizzate a immagine di Roma. A partire da Claudio le città potevano
ricevere lo status di colonia anche come privilegio onorario, senza che ci fosse né una nuova
fondazione né un effettivo trasferimento nella città di nuovi coloni, ma come riconoscimento del
grado di romanizzazione raggiunto dalla comunità.
In questo modo si realizzava una gerarchia di città tale da favorire lo spirito di emulazione delle città che
aspiravano a migliorare sempre più, dato che le città peregrine aspiravano a diventare municipi e questi
ultimi desideravano ottenere il diritto romano e sollecitavano il titolo di colonia onoraria.

Marco Aurelio (161-180 d.C.) e Lucio Vero (161-169 d.C.), Marco Aurelio e
Commodo (177-180 d.C.)
MARCO AURELIO succedette ad Antonino Pio senza problemi e sorprese tutti recuperando i desideri di
Adriano e proponendo che il fratello LUCIO VERO condividesse con lui il principato. Era il primo caso di
doppio principato, cioè di coreggenza piena nella storia imperiale romana. Le fonti letterarie descrivono
Marco Aurelio pieno di virtù mentre Lucio Vero un uomo vizioso.
All'inizio del principato vi furono agitazioni sulle frontiere di Britannia, Germania e Rezia sedate con
facilità. Nel 161 d.C. si riaprì il problema partico, il re Vologese IV, alla notizia della morte di Antonino
Pio decise di occupare l’Armenia. Il legato romano della Cappadocia accorso per fronteggiare la
situazione fu pesantemente sconfitto e trovò la morte. Contemporaneamente i parti invasero la Siria, fu
inviato in Oriente Lucio Vero (162 d.C.). I romani penetrarono in Armenia che fu sottomessa e vi
lasciarono un presidio permanente.
Le legioni di Siria verso la fine del 163 d.C. diedero inizio all’offensiva contro la Partia, dopo che i parti
avevano cacciato il re d’Osroene alleato dei romani. Tra il 165 e il 166 d.C. gli eserciti romani
penetrarono in Media. Più o meno contemporaneamente furono organizzate spedizioni contro gli arabi,
che probabilmente si erano alleati con i parti. La pace fu conclusa nel 166 d.C.

Nella primavera del 166 d.C. Lucio Vero partì alla volte di Roma, i due imperatori vi celebrarono il
trionfo e ai due figli di Marco Aurelio, Lucio Aurelio Commodo ed Annio Vero, fu conferito il titolo di
Cesare.

La guerra partica fu responsabile della crisi che travagliò l’impero negli anni successivi. Infatti l’esercito
portò con se la pestilenza che causò lutti e devastazioni con gravi conseguenze demografiche ed
economiche. Contemporaneamente lo sguarnimento della frontiera settentrionale tra Alto Reno e Alto
Danubio creò le condizioni perché i popoli confinanti, soprattutto Marcomanni e Quadi, si facessero
pericolosi. Nel 168 d.C. Marco Aurelio e Lucio Vero mossero verso settentrione e presero le necessarie
misure per far fronte alla situazione. L’invasione fu momentaneamente contenuta e respinta. Verso la
fine del 168 d.C. i due imperatori ripresero la strada per Roma, ma durante il percorso di ritorno Lucio

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Vero morì improvvisamente per un attacco apoplettico, all’inizio del 169 d.C., lasciando Marco Aurelio
solo al Principato.
I successivi 11 anni furono quasi tutti impegnati sulle frontiere danubiane. Dopo aver proceduto ad una
vendita all’asta dei beni del tesoro imperiale per potersi procurare fondi atti a finanziare le spese di guerra
e a rimediare alle emergenze causate dalla pestilenza, Marco si recò in Pannonia Inferiore e poi Superiore.
L’offensiva ebbe scarso successo. Nel frattempo in Dacia era stato battuto e ucciso il governatore. Sul
limes danubiano le azioni militari si alternavano a quelle diplomatiche, con l’intento di spezzare la
coalizione nemica. I Marcomanni e i Quadi furono sconfitti e sottomesso.

Nel 175 d.C. Marco Aurelio abbandonò il fronte danubiano e partì per l’Oriente accompagnato dalla
moglie Faustina e dal giovane COMMODO, durante il viaggio Faustina morì improvvisamente e Marco
proseguì ugualmente il viaggio con Commodo, toccando Siria, Palestina, Egitto e Grecia e tornò a Roma
nel 176 d.C. All’inizio del 177 d.C. si associò al figlio Commodo che divenne imperatore coreggente.

Nel 178 d.C. i Marcomanni e i Quadi si ribellarono contro le dure condizione che erano state loro imposte.
Nell’estate Marco Aurelio e Commodo ripartirono per il fronte danubiano dove riportarono una grande
vittoria nel 180 d.C., stesso anno in cui Marco Aurelio si ammalò e morì.

In politica interna Marco Aurelio mantenne una linea di continuità con i propri predecessori. Il fatto che
con lui si tornasse alla successione dinastica fui ampiamente criticato, ma egli per garantire stabilità al
principato affiancò al giovane Commodo une serie di consiglieri ed esperti che guidarono con efficacia i
primi passi del nuovo imperatore.

Commodo (180-192 d.C.)


Commodo divenne unico Imperatore a meno di 19 anni e assunse il nome di Marco Aurelio Commodo
Antonino. È identificato dalle fonti come l’antitesi del genitore ed emblema della degenerazione del
potere imperiale. Il governo di Commodo fu connotato dalla presenza di collaboratori che agirono al suo
fianco, delineando il profilo di un principe disinteressato a impegnarsi della conduzione dello stato.
Commodo non si mosse dal fronte per oltre sette mesi dopo la morte del padre. Dopo aver proseguito la
campagna con qualche successo decise di abbandonare l’espansione oltre il Danubio e rafforzo i limes.
Nel 182 d.C. ci fu la prima congiura organizzata dalla sorella Lucilla che, una volta sventata la congiura,
fu relegata Capri e poi uccisa. Ci furono una serie di processi per tradimento volti a confiscare bene di
illustri senatori e cavalieri volti a rimpinguare le casse dello stato, che venivano sistematicamente
svuotate per organizzare giochi per la plebe. Nel 188 d.C. un disertore, Materno, corse l’occasione per
penetrare in Italia e attentare alla vita dell’imperatore, il tentativo fallì. L’imperatore era incline a
mostrare la sua prodezza nell’arena combattendo come i gladiatori, egli si identificava infatti con Ercole.
Le sue inclinazioni dispotiche, la sua stravaganza, le sue innovazioni in campo religioso determinarono
la definitiva rottura con il senato di cui egli perseguitò numerosi membri. Alla fine del 192 d.C. fu ordita
una congiura e Commodo fu ucciso.
Durante il proprio principato comodo non dimostra particolare interesse per le province né per l’esercito.
Sotto il suo comando si svilupparono fenomeni di integrazione e l’accoglimento di molte divinità

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straniere, egli stesso aveva deciso di proporsi come divinità in terra. Commodo, dopo la morte, fu
condannato alla damnatio memorie.

L’economia romana in età imperiale


Uno dei fattori che caratterizzarono la storia economica dell’impero è rappresentato dall’eccezionale
fabbisogno alimentare di Roma. La gestione del complesso dei servizi finalizzati al vettovagliamento di
Roma era affidata alla prefettura dell’annona, riservata a un personaggio di rango equestre. Il grano
veniva fatto confluire dall’Egitto e dall’Africa settentrionale, l’Olio dalla Betica (Spagna Meridionale) e
il vino dalle Gallie. L’esercito permanente assorbiva gran parte del bilancio dell’impero e ne
condizionava l’economia. Il grande sviluppo conosciuto dall’economia romana all’inizio dell’età
Imperiale è stato tanto importante da portare ad una trasformazione dell’economia, considerata come una
“peculiare economia preindustriale”.

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Parte quinta
Crisi e rinnovamento (III e IV secolo d.C.)
Capitolo 1
La crisi del III secolo e le riforme di Diocleziano
Le Fonti
I due principali autori contemporanei del terzo secolo sono CASSIO DIONE e ERODIANO che scrisse storia
dell'impero dalla morte di Marco; per il periodo successivo la qualità delle fonti è più modesta: i Cesari
di VITTORE, il breviario di EUTROPIO, epitome de caesaribus e storia Augusta, Dexippo, TERTULLIANO e
CIPRIANO, LATTANZIO; sono state conservate anche numerosi iscrizione come il marmo di Thrigny o
l’editto dei prezzi.

Una radicale trasformazione dell’Impero


Il periodo che va dalla morte di Commodo, il 31 dicembre 192 d.C., all’accessione al trono di Diocleziano
nel 284 d.C. trasformò la natura dell’impero romano: Gli attacchi, provenienti dall’esterno alle frontiere
posero una parte consistente della popolazione sotto una grande pressione. L’integrità dell’impero fu
minacciata e rischiò di venir meno. In particolare emerse in modo evidente il problema rappresentato
dalla mancanza di un sistema di successione rigorosamente definito alla carica imperiale. Cambiò
radicalmente anche il panorama religioso dell’Impero.

Tendenze assolutistiche
È al nuovo ruolo dell’esercito, in particolare, che si deve la trasformazione del potere imperiale verso
forme sempre più marcatamente assolutistiche. Cambia nello stesso tempo anche il rapporto tradizionale
tra l’imperatore e il senato: ormai l’imperatore riconosceva al senato solo la funzione di organismo
burocratico soggetto alla propria autorità assoluta.

La crisi del 192-193 d.C.


Commodo fu ucciso il 31 dicembre 192. Nell’incertezza del momento la scelta si indirizzò verso un
anziano senatore PERTINACE, che aveva alle spalle una prestigiosa carriera. Si riproduceva in qualche
modo, la situazione che l’Impero aveva già conosciuto al momento dell’uccisione di Domiziano, nel 96
d.C., quando a reggere l’Impero era stato chiamato il vecchio Nerva. Tuttavia la soluzione non ebbe
successo. Pertinace fu assassinato dopo meno tre mesi nel palazzo imperiale dalla guardia pretoriana.

Settimio Severo
Il governatore della Pannonia SETTIMIO SEVERO si diresse a Roma condannando il comportamento dei
pretoriani. Fece condannare a morte gli assassini di Pertinace e sciolse la guardia pretoriana che sostituì
con uomini tratti dalle sue legioni. Nel mese che trascorse a Roma Severo si preoccupò di consolidare il
proprio rapporto con il senato. Settimio Severo trascorso gran parte del suo regno in spostamenti continui
in larga misura dovuti a campagne militari. Egli nominò suo figlio Bassiano (noto poi con il nome di
CARACALLA) come suo successore dell’Impero. Caracalla fu definitivamente riconosciuto come
successore designato. Nel medesimo tempo elevò il figlio minore, GETA, al rango di Cesare. I contrasti
ormai riguardavano però Caracalla e il fratello minore. Severo aveva desiderato che dopo di lui l’Impero
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fosse retto congiuntamente da Caracalla e da Geta che, infatti fece nominare consoli ordinari insieme nel
205 e nel 208. Ma il governo congiunto di Caracalla e Geta alla morte di Severo a York nel 211 fu di
breve durata. Caracalla fese infatti assassinare Geta nel dicembre dello stesso anno. Si può dire che
Severo abbia lasciato all’Impero un’eredità contraddittoria. Da una parte alla sua morte lo Stato romano
era ancora territorialmente integro ma i successori da lui designati erano indegni e inetti. I privilegi
concessi da Severo all’esercito avrebbero avuto gravi conseguenze sulle condizioni economiche
dell’impero. Il carattere assolutistico del regime instaurato da Severo ci viene confermato dall’enorme
estensione raggiunta dai suoi beni personali che finirono per non essere più distinguibili da quelli dello
Stato.

Caracalla (213-218 d.C.)


I cinque anni di regno di Caracalla sono caratterizzati da una serie di atti di crudeltà, da abusi di vario
genere e da dissesto finanziario. La sua prima preoccupazione fu quella di eliminare i sostenitori di Geta.
La memoria di Geta fu soppressa: il suo nome cancellato dagli atti ufficiali e così pure ogni sua
raffigurazione. La concessione nel 212, della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero, ad
eccezione forse dei cosiddetti dediticii, forse da riferire ai barbari non ancora assimilati. A partire dal 213
d.C. Caracalla fu impegnato in una serie di campagne militari che rappresentavano il tentativo di
proseguire la politica aggressiva del padre. Caracalla fu assassinato da un soldato in forza alla guardia
pretoriana nell’aprile del 218 d.C.

Macrino e i regni di Elagabalo e di Severo Alessandro


Dopo l’assassinio di Caracalla per qualche giorno l’Impero romano si trovò senza guida. A profittare
della situazione fu OTELLIO MACRINO che non era neppure membro del senato. Macrino prese
rapidamente il controllo della situazione. A un certo momento cominciò a circolare la voce che
ELAGABALO, pronipote di Severo, era figlio naturale di Caracalla. Fu acclamato con il nome di Antonino.
Nella battaglia combattuta nei pressi di Antiochia con l’esercito che sosteneva Elagabalo, Macrino fu
sconfitto. Fu giustiziato. Il regno di questo ragazzino, arrivato quattordicenne al trono imperiale, segna
dei momenti più scuri di tutta la storia imperiale. A parte le sue innumerevoli stranezze, che
comportarono lo sperpero di ingenti risorse, Elagabalo è ricordato soprattutto per il suo intenso
misticismo e per il tentativo di imporre come religione di Stato un culto esotico e stravagante, quello del
dio Sole. Nel 222 d.C. Elagabalo fu assassinato dai pretoriani, che proclamarono imperatore Bassiano,
che gli successe con il nome di SEVERO ALESSANDRO. Al momento della sua ascesa al trono, nel marzo
del 222 d.C., Severo Alessandro era un ragazzino di tredici anni, dunque troppo giovane per poter
governare davvero. Molti suoi provvedimenti furono intesi come una rottura con la prassi seguita dai
predecessori e dopo un lungo periodo di conflittualità, le relazioni tra imperatore e senato tornarono ad
essere improntate a uno spirito di collaborazione.

La minaccia persiana
In Persia, alla testa del regno partico alla dinastia degli Arsacidi succedette quella, dei Sasanidi. Da tempo
il regno partico non era stato più in grado di opporre un’efficace resistenza a Roma. Questa serie di
insuccessi fu all’origine di una ribellione che si concluse con la conquista del potere di ARDASHIR che

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nel 226 d.C. si fece incoronare Re dei Re a Persopodi dando vita alla nuova dinastia. Ardashir promosse
immediatamente una grande campagna al fine di riconquistare tutti i territori persi a favore di Roma.

Severo Alessandro reagì muovendo incontro al nemico nell’estate del 232 d.C. alla testa di tre diversi
eserciti. La mancanza di fiducia che i soldati avevano in lui gli fu fatale. All’inizio del 235 d.C. un soldato
di modeste origini, a quel che narrano le nostre fonti dall’aspetto fisico terrorizzante, noto con il nome di
MASSIMINO IL TRACE, fu proclamato imperatore dalle reclute che gli erano state affidate da addestrare.
Severo Alessandro e la madre furono strangolati nella loro tenda a Magonza.

Massimino il Trace e l’anarchia militare


Nel periodo, noto in genere con il nome di “anarchia militare” che comprende il cinquantennio che va
dall’assassinio di Severo Alessandro all’accessione al trono di Diocleziano (235-284 d.C.) il potere fu
detenuto da una ventina di imperatori, cui si devono aggiungere numerosi usurpatori, che rimasero in
carica in media non più di due anni e mezzo ciascuno. All’origine di questa situazione c’è un problema
strutturale: ogni volta che il sovrano legittimo si doveva concentrare su una parte dell’Impero altrove
entravano in agitazione capi militari e funzionari ambiziosi e scontenti che cercavano di porre in atto
progetti di usurpazione. Il regno del rude soldato Massimino il Trace, impressionò molto i contemporanei.
Massimino ottenne dei successi nelle sue campagne contro i barbari. La durezza del suo regime, che
impose una fortissima pressione fiscale per far fronte alla grave situazione militare in cui si trovava
l’Impero, spiega la ritrovata forza di coesione del senato che giunge a dichiararlo nemico dello stato. Il
senato aderì subito alla proclamazione dell’anziano GORDIANO, proconsole in Africa, che si associò il
figlio. La rivolta fu repressa dai soldati fedeli a Massimino e i due Gordiani trovarono la morte. Nel 238
d.C. Massimino mosse alla volta dell’Italia ma cadde assassinato dai suoi stessi soldati. Massimino fu il
primo imperatore a non recarsi mai a Roma. A Roma i pretoriani proclamarono Augusto il giovanissimo
nipote di Gordiano I, GORDIANO III. Alla morte di quest’ultimo, nel 244 d.C. nel corso di una battaglia,
fu acclamato imperatore FILIPPO, detto l’Arabo per le sue origini. Malgrado alcuni successi conseguiti
nella difesa delle frontiere, anche il regno di Filippo terminò in modo cruento.

Decio e la persecuzione dei cristiani


L’esercito proclamò imperatore al posto di Filippo il suo prefetto urbano, il senatore MESSIO DECIO. Il
breve regno del tradizionalista ed energico Decio (249-251 d.C.) è caratterizzato da un’evidente volontà
di rafforzare l’osservanza dei culti tradizionali, tra cui quello ufficiale dell’imperatore, inteso come
strumento di coesione interna. Questo significava per i cristiani una forte discriminazione. Chi non
accettava di sacrificare agli dei e al Genio dell’imperatore veniva condannato a morte. Per questo Decio,
responsabile di una violenta persecuzione contro i cristiani ci è stato presentato dalle fonti cristiane come
una sorta di mostro. Decio morì nei Balcani nel 251 d.C., combattendo contro i Goti. La sua morte
avvenne mentre l’Impero si trovava minacciato su più fronti e sembrava messa in discussione la sua
stessa sopravvivenza.

Valeriano
Sul confine gallico e su quello germanico premevano le popolazioni degli Alamanni e dei Franchi; la
frontiera del basso Danubio era attaccata dai Goti mentre in Oriente i Persiani si stavano impadronendo
della Siria. VALERIANO, un anziano senatore, arrivò al trono imperiale dopo una serie di effimeri
imperatori militari. Data la gravità della situazione, Valeriano ebbe l’accortezza di associare a se il figlio
Gallieno e di decentrare il governo dell’impero. La sua campagna contro i Persiani finì tragicamente,
Valeriano fu sconfitto, fatto prigioniero e morì in cattività nel 260 d.C.

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Gallieno
GALLIENO si trovò quindi da solo a reggere l’Impero tra il 260 e il 268 d.C. Rimasto a guardia
dell’Occidente per gran parte del suo regno riuscì a bloccare l’avanzata degli Alemanni e dei Goti, anche
se fu costretto ad arretrare tutta la linea di frontiera del Danubio, con la perdita di fatto della Dacia.
Gallieno dovette tollerare che all’interno dell’Impero si formassero due regni separatisti: quello delle
Gallie, retto da Postumo ed esteso anche alla Spagna e alla Britannia, e quello di Palmira, comprendente
la Siria, la Palestina e la Mesopotamia. Gallieno, per porre rimedio alle continue ribellioni dei comandanti
militari di estrazione senatoria, sottrasse il comando delle legioni ai senatori e lo affidò ai cavalieri contro
quella che era stata la prassi seguita sino ad allora.
Gallieno, tra l’altro, pose definitivamente fine alla persecuzione contro i cristiani. Dispose la restituzione
dei beni sequestrati alle comunità stabilendo una sorta di tregua che sarebbe durata per una quarantina di
anni durante i quali la Chiesa poté consolidare la propria organizzazione soprattutto in Oriente. Le
comunità cristiane si organizzarono in province ecclesiastiche rette da un vescovo. Al vescovo di Roma,
in particolare, si iniziò ad attribuire una posizione di direzione generale su tutte le comunità ecclesiastiche.

Aureliano. Gli imperatori illirici


L’uccisione di Gallieno, avvenuta nel 268 d.C. in una congiura ordita dai suoi ufficiali, portò al potere il
comandante della cavalleria. CLAUDIO II (268-270 d.C.) è il primo di una serie di imperatori detti “illirici”
perché originari di questa regione. Morto Claudio II di peste nel 270 d.C. la sua opera fu completata da
AURELIANO (270-275 d.C.) che riuscì definitivamente ad avere ragione delle popolazioni barbariche che
erano penetrate di nuovo nella pianura padana. Aureliano fece circondare Roma con un’imponente cinta
muraria. Egli riuscì a sottomettere i due stati autonomi che si erano formati negli anni precedenti: Siria e
Gallie. Aureliano promosse una decisa riorganizzazione dello Stato e diede impulso al processo di
divinizzazione del monarca. In campo religioso l’introduzione del culto ufficiale di Sol invictus, una
divinità particolarmente cara ai soldati, era funzionale al rafforzamento dell’autorità imperiale:
l’autocrazia mili tare diventava così quasi una teocrazia, e il culto solare si identificava col culto
dell’imperatore. Ucciso Aureliano nel 275 d.C., durante il successivo governo di PROBO, anch’egli un
soldato di origine illirica, si ebbero vari pronunciamenti militari e una rinnovata pressione barbarica sulle
frontiere renana e danubiana. Probo riuscì ad ottenere significativi successi su questi fronti, ma fu ucciso
mentre preparava una campagna contro la Persia. Il suo successore, il prefetto del pretorio CARO,
condusse a felice compimento tale campagna conquistando la capitale nemica ne, 283 d.C. Nonostante
questo successo anch’egli morì ucciso nel corso di una congiura militare. Alla fine, solo detentore del
potere si trovò ad essere, nel 285 d.C., l’illirico DIOCLEZIANO che era stato proclamato imperatore
dall’esercito l’anno prima. Il suo regno durò circa un ventennio, durante il quale egli riuscì a riorganizzare
lo stato romano e creare le condizioni per la sua sopravvivenza.

Diocleziano (285-305 d.C.)


Con il suo regno (285-305 d.C.) si chiuse definitivamente l’età travagliata che aveva caratterizzato gran
parte del III secolo.
È convenzionale nella storiografia moderna fa del regno di Diocleziano e di quello di Costantino (306-
337 d.C.) il momento iniziale di un’età di rinnovamento complessivo nella storia del mondo antico,
culturale oltre che politica, che si vuole designare come Tarda Antichità. Il regno di Diocleziano è
contraddistinto da una forte volontà restauratrice dello Stato a tutti i livelli, politico-militare,
amministrativo ed economico. Una prima importante decisione, riguardo il luogo di residenza
dell’imperatore: Roma era troppo lontana dalle frontiere più esposte ai pericolo di invasioni. Diocleziano
stabilì la propria sede in Oriente, a Nicomedia, la capitale della Bitinia. Diocleziano riuscì a conseguire
l’obiettivo di consolidare il potere monarchico. La difficile situazione dell’impero, sottoposto a minacce
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costanti lungo i suoi estesi confini, richiedeva la presenza di più di un imperatore con capacità di
intervento militare. Nello stesso tempo era necessario prevenire le usurpazioni. Diocleziano concepì un
sistema originale in base al quale al vertice dell’Impero c’era un collegio imperiale composto da quattro
monarchi, detti tetrarchi, due dei quali (detti Augusti) erano di rango superiore ai secondi (detti Cesari).
Tale sistema aveva come fine quello di fronteggiare meglio le varie crisi regionali attraverso una
ripartizione territoriale del potere e, nello stesso tempo, di garantire una successione ordinata, senza
nuove guerre intestine. Il principio che veniva così introdotto era quello della “cooptazione” al collegio
stesso: i due Augusti cooptavano i due Cesari e così era previsto che facessero a loro volta questi ultimi
una volta divenuti Augusti. Nel 285 Diocleziano nominò Cesare MASSIMIANO, che si era distinto per le
sue qualità di comandante militare, designandolo quindi come suo successore. L’anno successivo lo elevò
al rango di Augusto, dunque di coreggente. Nel giro di poche anni completò la sua riconfigurazione dei
vertici dello Stato che fu portata a termine con la nomina a Cesari di due ufficiali, GALERIO, destinato a
succedere allo stesso Diocleziano, e Costanzo Cloro, successore designato di Massimiano.
DIOCLEZIANO dalla sua residenza di Nicomedia governava le province orientali; MASSIMIANO, da
Milano, reggeva l’Italia, l’Africa e la Spagna; GALERIO, da Tessalonica, esercitava la sua autorità sulla
penisola balcanica e sull’area danubiana; COSTANZO CLORO da Treviri sulla Gallia e la Britannia. E’
implicita in questa nuova articolazione del potere la svalutazione degli organi di tradizione repubblicana,
il senato e le magistrature annuali il cui significato decadde in misura irreparabile. Una connotazione
fondativa del nuovo potere imperiale derivava dal suo essere espressione di una forma di “religione
politica”: il sovrano era considerato partecipe dell’essenza della divinità di cui portava in sé lo spirito.
Diocleziano si rifaceva agli dei romani tradizionali Giove ed Ercole, divinità tra l’altro popolari presso i
soldati.

Le riforme di Diocleziano
Le riforme di Diocleziano furono profonde e riguardarono tutti i principali settori della vita pubblica. Le
province furono ridotte di dimensioni per renderne più efficace il governo. Nell’insieme furono istituite
un centinaio di province affidate a governatori di rango diverso provenienti per lo più dal ceto equestre.
Nelle province di frontiera essi erano affiancati da comandanti militari (duces). Le province furono a
loro volta raggruppate in dodici ampi distretti amministrativi, detti “diocesi” retti da un “vicario” cioè
un rappresentante diretto del prefetto del pretorio che operava a stretto contatto con l’imperatore.

Le diocesi furono a loro volta raggruppate in quattro grandi aree corrispondenti grosso modo a:
1. Oriente,
2. Illirico e Grecia,
3. Italia e Africa,
4. Gallia, Britannia e Spagna.

Le pressanti esigenze militari determinarono una riforma anche dell’esercito. Per fronteggiare meglio le
guerre che si combattevano contemporaneamente su più fronti, fu creato un esercito mobile composto di
unità di cavalleria e di fanteria. Questo esercito mobile, distinto da quello stanziato in modo permanente
lungo le frontiere (i cosiddetti limitanei), era concepito come forza di pronto intervento per fronteggiare
improvvise situazioni di emergenza. Le crescenti necessità militari e di organizzazione burocratica resero
necessaria anche una riforma del sistema fiscale. L’articolazione dell’Impero in diocesi era funzionale
all’espletamento delle pratiche di censimento capillare dei terreni, che implicava la realizzazione di una

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sorta di catasto. La provincializzazione dell’Italia, organizzata nella diocesi italiciana, significò per i
cittadini residenti nella penisola la perdita dell’antico privilegio, che durava dal 167 a.C., di non essere
soggetti al versamento di imposte dirette.

Quanto alla riforma monetaria, si deve tener presente che, al momento della salita al trono di Diocleziano,
la moneta maggiormente usata dalla popolazione, il denario, era di fatto ormai una moneta di bronzo
appena rivestita d’argento il cui valore veniva imposto per legge dallo Stato senza corrispondere alla sua
natura intrinseca. Per le necessità quotidiane della gente comune fu coniata una monete divisionale di
rame, nota con il nome di follis, di valore all’incirca dimezzato rispetto a quello di Aureliano. Per
bloccare la continua ascesa dei prezzi delle merci come dei servizi, Diocleziano tentò la via per imporre,
nel 301 d.C., un calmiere con il quale si indicava, voce per voce, il prezzo massimo che non era consentito
superare (Edictum de pretiis). Malgrado le buone intenzioni l’editto non sembra aver prodotto risultati
concreti: la svalutazione della moneta circolante proseguì e i prezzi delle merci continuarono a salire.
In campo militare Diocleziano riuscì a stabilizzare le frontiere e ad arrestare le minacce di invasioni.

La persecuzione dei cristiani


Diocleziano aveva promosso un’intensificazione del culto imperiale. La violenta persecuzione contro i
cristiani (303-304 d.C.) le cui motivazioni sembravano riconducibili alla volontà di rafforzare l’unità
dell’Impero anche sul piano religioso, iniziò verso la fine del regno di Diocleziano. Nel febbraio del 303
d.C. un primo editto dispose la distruzione delle chiese cristiane, la consegna e il rogo dei libri sacri e il
divieto delle assemblee liturgiche. Un secondo e un terzo editto decretarono di arrestare i sacerdoti. Un
quarto editto scatenò una persecuzione generalizzata contro i cristiani. Tuttavia nell’applicazione degli
editti i comportamenti dei tetrarchi non furono omogenei: la persecuzione fu condotta con durezza
soprattutto in Oriente, nei territori controllati da Diocleziano e Galerio. In Occidente e specialmente nelle
regioni sottoposte al governo di Costanzo Cloro, essa cessò quasi subito. Nel 311 d.C. Galerio promulgò
un decreto con il quale il cristianesimo otteneva lo status di religio licita in tutto l’Impero. Si tratta
comunque di una svolta importante perché l’editto veniva dopo una lunga e complessa persecuzione in
cui il potere imperiale si era particolarmente impegnato. Come previsto dal sistema tetrarchico, il 1°
maggio del 305 d.C. Diocleziano e Massimiano abdicarono e al loro posto subentrarono i due Cesari,
Costanzo Cloro per l’Occidente e Galerio per l’Oriente. Essi nominarono a loro volta come Cesari,
rispettivamente, SEVERO e MASSIMINO DAIA. Il sistema tetrarchico entrò subito in crisi, Già nel 306 d.C.,
alla morte di Costanzo Cloro a York, l’esercito proclamò imperatore il figlio COSTANTINO.

Capitolo 2
Da Costantino a Teodosio Magno: la Tarda Antichità e la
cristianizzazione dell’Impero
Le fonti
Le fonti sulla tarda antichità cioè sul quarto secolo sono ricche ed eterogenee: AMMIANO MARCELLINO,
VITTORE che scrisse Cesari, il breviario di EUTROPIO; molti scrittori cristiani sia Latini sia greci come
GIROLAMO, AGOSTINO e AMBROGIO; EUSEBIO autore di una vita di Costantino, storia ecclesiastica; vita
di Martino di SEVERO e storia lausiaca di PALLADIO; l’epistolografia presenta molti testi di autori Latini
Pagani come SIMMACO, BASILIO, AMBROGIO, AGOSTINO, SINESIO; Due fonti importanti sono il Trattato
anonimo intitolato sulle cose della guerra e la notizia dignitatum; Mi sono poi fonti giuridiche come il
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codice di teodosiano composto da 16 libri è il codice di Giustiniano composto da 12 libri; vi sono
numerose fonti epigrafiche come la tavola di Trinitapoli e il rescritto di SPELLO; le documentazioni
archeologiche sono soprattutto ceramiche che hanno aiutato a comprendere gli sviluppi in ambito
commerciale.
Un età di rinnovamento e non di decadenza
Il periodo che va da Costantino a Giustiniano merita un posto a sé stante nella periodizzazione storica.
Questa lunga età di transizione viene detta “Tarda Antichità”. Oggi il pregiudizio negativo sulla Tarda
Antichità, che veniva considerata come un periodo di decadenza che anticipa il Medioevo, può
considerarsi superato, perché si è imposta la coscienza della vitalità e della ricchezza delle esperienze
culturali e artistiche di quest’età così complessa. Il sento non ha più un potere reale anche se le tappe
fondamentali della carriera senatoria rimangono (questura, pretura, consolato), si tratta ormai di
magistrature che non implicano alcuna vera capacità decisionale. Ai questori e ai pretori è
fondamentalmente delegato l’onere di organizzare dei giochi per la plebe di Roma. Il consolato è ormai
un titolo onorifico, conferito dall’imperatore.
La tarda Antichità è un’età di forti contraddizioni. E’ innegabile come essa presenti, malgrado la
cristianizzazione della società e della legislazione, caratteri autoritari e repressivi. E’ possibile parlare di
un imbarbarimento delle pene, di una vera e propria crudeltà giudiziaria.

Le incursioni barbariche che colpirono l’Italia come gran parte dell’Impero romano determinarono, con
la rottura del limes, delle frontiere, la chiusura dei circuiti commerciali mediterranei. L’effetto della crisi
sull’economia nel corso del III secolo d.C. è un aumento della pressione fiscale.

Costantino
Gli anni che seguirono la morte di Costanzo Cloro e che videro, con la proclamazione imperiale di suo
figlio Costantino e del figlio di Massimiano, Massenzio, il sostanziale fallimento del sistema tetrarchico.
Costantino ebbe la meglio su Massenzio nel 312 d.C. nella battaglia di ponte Milvio, sul Tevere, alle
porte di Roma, e poté impadronirsi della città. Questa vittoria ha un significato che trascende dalla storia
strettamente politica, perché essa fu ottenuta nel segno di Cristo, da un imperatore che dichiarava di aver
abbandonato in quella circostanza il paganesimo per il cristianesimo. La conversione di Costantino fu un
evento di portata rivoluzionaria, perché significò l’inserimento delle strutture della Chiesa in quelle dello
Stato. All’inizio del 313 d.C. LICINIO (Augusto d’Oriente) e Costantino si incontrarono a Milano dove si
accordarono sulle questioni fondamentali di politica religiosa (impropriamente detto “editto di Milano”).
In merito alla questione “cristianesimo” le decisioni prese a Milano da Costantino e Licinio dovettero
essere relativamente semplici. Concordarono che in tutto l’Impero i cristiani dovessero godere di quella
libertà di culto di cui essi avevano già goduto in Occidente e ottenere la restituzione delle proprietà
confiscate.
I contrasti tra Costantino e Licinio, che ormai avevano il controllo su tutto l’Impero, incominciarono però
molto presto: lo scontro finale si ebbe nel 324 d.C., dopo averlo sconfitto ad Adrianopoli, divenne il solo
imperatore.

Attività edilizia
La parte finale del 312 d.C., dopo la vittoria su Massenzio, è anche un periodo di notevoli interventi di
Costantino a Roma, a cominciare dalla definitiva soppressione delle coorti pretorie che si erano rivelate
un prezioso strumento a sostegno del figlio di Massimiano. Fece costruire un grande edificio riservato al

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culto della nuova religione, la Basilica Lateranense in una zona aristocratica abitata da ricche famiglie.
Tra le conseguenze della vittoria di Adrianopoli su Licinio nel 324 d.C. ci fu la fondazione, da parte di
Costantino, di Costantinopoli (o “città di Costantino”, l’odierna Istanbul) quale “nuova Roma” nel 330
d.C.

Il problema della conversione


Con il battesimo nel 337 d.C. Costantino chiude un itinerario religioso e completa la propria adesione al
cristianesimo che risaliva a un quarto di secolo prima. La decisione di ricevere il Battesimo solo in punto
di morte può spiegarsi con l’uso corrente all’epoca secondo cui questo era il modo per essere sicuri,
venendo lavati con essi tutti i peccati, della vita eterna. Costantino morì il giorno di Pentecoste, il 22
maggio del 337 d.C., un giorno che dovette apparire carico di significato. L'imperatore si era spento
infatti nel giorno in cui la Chiesa festeggia la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Costantino venne
santificato.

La morte di Costantino e la fine della dinastia costantiniana


Sorprende che, a fronte di un’opera di riforma così sistematica dello Stato, Costantino non abbia
affrontato in modo coerente il problema della successione. Si può supporre che egli prevedesse per
ciascuna il governo di uno dei suoi figli e forse anche dei due nipoti. Dalmazio e Annibaliano, nipoti del
defunto sovrano, potevano rappresentare un’alternativa alla successione, furono eliminati. COSTANTINO
II (cui fu attribuito il governo delle Gallie, Britannia e della Spagna), COSTANTE (cui furono riservate
l’Italia e l’Africa) e COSTANZO (cui toccò l’Oriente) raggiunsero un accordo per il governo congiunto
dell’Impero. Esso però si rilevò assai precario. Costantino II pagava con la vita l’incursione compiuta
nei territori affidati al governo di Costante. Quest’ultimo moriva a sua volta per mano di un usurpatore.
Rimasto unico imperatore, Costanzo II fu costretto a cercare un collega cui affidare il governo
dell’Occidente: la scelta cadde sull’unico sopravvissuto, in ragione della sua tenera età, alla strage del
337 d.C., il cugino GIULIANO. Costanzo muore nel 361 d.C.

Il regno di Giuliano (361-363 d.C.)


Giuliano regnò come imperatore unico per soli due anni, dal 361 al 363 d.C., quando perì nel corso di
una campagna contro i Persiani, in pieno territorio nemico. Il suo regno è ricordato soprattutto per un
effimero tentativo di reintrodurre la religione pagana. Tale progetto, che si tradusse nell’abrogazione dei
privilegi fiscali che erano stati concessi alla chiesa cristiana, determinò resistenze e attriti e non incontrò
un’accoglienza del tutto favorevole neppure presso gli stessi pagani.

La morte di Giuliano. Il regno di Valentiniano


L’ascesa di VALENTINIANO alla carica imperiale si deve fondamentalmente alla crisi politica determinate
dalla morte di Giuliano in Persia e agli eventi successivi. Valentiniano era un ufficiale di origine
pannonica. Nel giro di pochi giorni fu convocato l’esercito che procedette all’elezione imperiale di
Valentiniano. Egli provvide immediatamente, anche in risposta a una sollecitazione dell’esercito, a
scegliersi un collega nella persona del fratello VALENTE che fu associato al trono con il titolo di Augusto
nel 364 d.C. a Costantinopoli. Come prima residenza scelse Milano nell’autunno del 364. Ma è in Gallia
che Valentiniano concentrò le proprie energie. Qui si recò nel 365 d.C. e vi rimase fino a qualche mese
prima della morte nella primavera del 375 d.C.
Il suo impegno nella riorganizzazione militare della regione e nella difesa della frontiera renana fu
costante e sistematico. Al fine di consolidare la propria posizione Valentiniano procedette a proclamare

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Augusto il figlioletto Graziano. Nel 368 d.C. fu pianificata una grande spedizione transrenana. Si tratta
della più importante spedizione militare di Valentiniano e l’ultima che vide un esercito romano vittorioso
oltre il Reno. Valentiniano morì improvvisamente nel 375 d.C., qualche giorno dopo, all’insaputa di
Valente e Graziano fu elevato al trono dai soldati anche il secondo figlio VALENTINIANO II che aveva
solo quattro anni. Ciò al fine di rafforzare la dinastia e di rafforzare la stabilità politica.

La sconfitta di Adrianopoli. Teodosio I


L’Europa centro-orientale si trovava sconvolta dall’incursione di una popolazione nomade, gli Unni, che
avevano abbandonato le loro sedi abituali in Asia e sottoponevano a una pressione molto forte i Goti.
Questi ultimi a loro volta premevano sulla frontiera danubiana. Falliti vari tentativi di insediarli
pacificamente entro i confini, quando irruppero in Tracia Valente li affrontò in una battaglia campale. La
sconfitta da lui patita ad Adrianopoli nel 378 d.C. (lo stesso Valente vi perse la vita) è di estrema gravità
e rappresenta uno degli episodi che annunciano la fine dell’Impero romano d’Occidente. L’inesperto
Graziano, rimasto imperatore da solo con il piccolo Valentiniano II, chiamò un generale spagnolo,
TEODOSIO, a condividere con lui il governo dell’Impero. Teodosio, consapevole dell’impossibilità di
ricacciare i Goti al di là del Danubio, concluse nel 382 d.C. un accordo con il loro capo: i goti ricevevano
delle terre all’interno dell’Impero come popolazione autonoma e mantenevano i loro capi e le loro leggi,
pur essendo tenuti a fornire dei soldati in caso di necessità.
Intanto in Occidente le cose si andavano complicando. Nel 383 d.C. ci fu un’usurpazione in Britannia da
parte di un ufficiale spagnolo, Magno Massimo. Quando questi invase la Gallia, Graziano, abbandonato
dall’esercito, si tolse la vita. Massimo regnò per qualche anno sulla Gallia: la sua invasione dell’Italia
provocò la risposta di Teodosio che sconfisse Massimo nel 388 d.C. Nel 392 d.C. Valentiniano II muore.
Teodosio manifestò una particolare attenzione per il problema religioso. Fondamentale è l’editto del 380
d.C., con il quale la religione cristiana veniva elevata al rango di religione ufficiale dell’Impero.

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Parte sesta
La fine dell’Impero romano d’Occidente e Bisanzio
Capitolo 1
La fine dell’impero romano d’Occidente
Le fonti
le fonti relative al periodo finale di Roma sono ricche anche se diseguali per importanza; ricordiamo
OLIMPIODORO DI TEBE, PRISCO DI PANION, EVAGRIO con storia ecclesiastica, cronografia di GIOVANNI
MALALA, Chronicon di MARCELLINO COMES, storia della persecuzione vandalica in Africa, l’epistolario
e storia dei Goti di CASSIODORO, GIORDANO autore di romana, MEMMIO SIMMACO autore di storia
romana, AGOSTINO, GEROLAMO, SALVIANO, PAOLINO DI PELLA, ENNODIO, PALLADIO, RUTILIO
NAMANZINO, ELIO ARISTIDE, SIDONIO APOLLINARE, PROCOPIO DI CESAREA, GREGORIO MAGNO,
ANONIMO VALESIANO, EUSEBIO DI CESAREA, SOZOMENO, TEODORETO, FILOSTORGIO, ZOSIMO,
PROCOPIO, COSTANTINO VII;
Storiografia: nouvelle post’teodosine, codice di giustinano, notitia dignitum, tabula peutingeriana.
L’impero romano e i barbari
Attorno alla metà del IV secolo d.C. i Goti erano la forza predominante nella regione del Ponto, operando
nei due raggruppamenti fondamentali dei Greutungi e dei Tervingi. Per buona parte del IV sec. d.C. le
relazioni tra Roma e i Goti furono condizionate dal trattato di pace di Costantino che faceva dei Goti uno
stato cliente dei romani. Il trattato del 332 d.C. conteneva un importante elemento di novità, perché
poneva le condizioni per l’impiego di barbari Goti come soldati al servizio di Roma. La stabilità delle
relazioni romano-gotiche, fino a poco dopo il 360 d.C. è da ritenersi sicura. La situazione ebbe una svolta
drammatica quando i vari regni gotici entrarono a loro volta in crisi per la pressione esercitata su di loro
dagli unni. Fu allora stipulato un accordo che permetteva ai Goti di insediarsi all’interno delle frontiere
imperiali in cambio di un impegno a fornire soldati in caso di necessità. Il trattato del 382 d.C. con cui si
chiude questa fase critica, finì per consentire definitivamente l’insediamento di Goti in Tracia, all’interno
dunque delle frontiere dell’Impero. Questa situazione aveva anche importanti risvolti sociali.
L’integrazione di individui, tribù e popolazioni, è stata indubbiamente una prassi usuale di Roma ma è
soprattutto in un settore che si nota una presenza sempre più massiccia di germani, l’esercito. L’influsso
dei germani sulla politica interna romana si basa quasi esclusivamente sulla loro posizione guadagnata
all’interno della gerarchia militare.

Cristianesimo e mondo barbarico


Una considerazione particolare deve essere riservata alla risposta data dalla Chiesa alla questione
barbarica già alla fine del IV sec., così come risulta dalla letteratura patristica e dai decreti conciliari. Le
delibere conciliari non si interessano dei barbari in quanto tali, ma solo indirettamente, quando si
occupano di eresie e di eretici. Tre leggi, emanate dal figlio e successore di TEODOSIO in Occidente,
ONORIO, tra la fine del IV e l’inizio del V sec a.C., comminano gravi pene a chiunque, libero o schiavo,
assuma modi di vestire e di acconciarsi propri dei barbari. La maggiore presenza barbarica all’interno
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dell’impero romano è, d’altra parte, un chiaro effetto degli sviluppi della politica Teodosiana. Il risultato
più importante del trattato del 382 d.C. fu quello di far sì che i Goti venissero insediati da Teodosio nella
zona di frontiera Danubiana nella Mesia Inferiore e in Tracia. L’aspetto delicato di questo insediamento
risiede nel fatto che, a prescindere dall’atto di formale sottomissione a Roma, i Goti dovettero continuare
a mantenere, all’interno dell’impero romano, la loro struttura tribale.

La divisione dell’Impero. Stilicone e Alarico


La morte di TEODOSIO nel 395 d.C. segnò u momento di svolta decisivo per la storia dell’Impero romano.
Per la prima volta esso fu diviso territorialmente di fatto in due parti tra i due figli di Teodosio, ARCADIO,
cui toccò l’Oriente e ONORIO, cui toccò l’Occidente. L’esito di tale smembramento risultò
particolarmente rovinoso per l’occidente, minacciato dalle sempre più frequenti e pericolose incursioni
barbariche mentre l’Oriente, superata la crisi gotica del 378 d.C. era chiamato a fronteggiare soprattutto
il tradizionale nemico persiano. Nelle intenzioni di Teodosio, in realtà, il principio unitario doveva essere
mantenuto vivo dal generale STILICONE, cui affidò in tutela i due figli, che erano ancora ragazzini. Il
compito di Stilicone però si rilevò impossibile da realizzarsi, in ragione del costante aggravarsi della
situazione militare. Nel 398 d.C. Stilicone riuscì a reprimere una rivolta suscitata in Africa, ma all’inizio
del V secolo d.C. una serie di invasioni barbariche scosse l’Impero. Nel 402-406 d.C. l’Italia fu invasa
dai Goti, guidati da ALARICO. Stilicone riuscì a fermare la loro avanzata. Ma alla fine del 406 d.C. la
frontiera renana fu travolta da numerose popolazioni germaniche: Vandali, Alamanni, Burgundi,
Franchi, Svevi e Alani dilagarono in Gallia meridionale e in Spagna. Mentre la Britannia si staccava
definitivamente dall’Impero. Successivamente Stilicone decise di contrapporsi a Costantinopoli
rivendicando per sé il controllo della Dacia e della Macedonia. Per ottenere questo risultato cercò di
stipulare un’alleanza con Alarico, che da tempo puntava a un patto militare con Roma in cambio di terre.
L’accordo prevedeva che i Goti, nell’attacco contro Costantinopoli, sarebbero stati affiancati da forze
romane. Il progetto non ebbe tuttavia modo di essere messo in pratica a causa dell’invasione barbarica
della Gallia nel 407 d.C.
Stilicone si trovò quindi in una situazione critica su più fronti. Non era in grado di soddisfare il patto con
Alarico e doveva fronteggiare una situazione di emergenza in Occidente. Il malcontento nei suoi
confronti era crescente. In una situazione di questo genere era inevitabile che Stilicone cercasse una
soluzione di compromesso almeno con i Goti che minacciavano direttamente l’Italia. Il suo piano suscitò
la violenta reazione di una parte della corte imperiale. Lo stesso Onorio si schierò contro Stilicone, che
fu accusato di intesa con i barbari, fu catturato e ucciso.

Il sacco di Roma
La morte di Stilicone provocò un ulteriore aggravamento della situazione in Italia ed è all’origine della
crisi finale. Alarico aumentava le proprie pretese, trattando direttamente con il senato e ponendo Roma
sotto un durissimo assedio già nell’inverno del 408 d.C. Ad Alarico in realtà premeva costringere Onorio
alla trattativa. Le richieste fondamentali di Alarico erano due: la carica di generale al servizio di Roma
per sé, con tutto il valore simbolico che questa aveva, e l’insediamento, verosimilmente concepito a scopi
agricoli, nelle Venezie. Alarico, a fronte dell’intransigenza di Onorio, tornò ad assediare Roma nel 409

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d.C. Ma l’attacco che gli mosse Onorio mentre si recava a Ravenna per rinegoziare la pace, lo esacerbò
al punto da decidere di muovere contro Roma. Dunque il Sacco di Roma (410 d.C.) arriva a conclusione
del terzo assedio posto dai Goti alla città, dopo che per due volte in due anni l’avevano tolto nella
speranza di poter arrivare ad un accordo con Onorio. Dopo aver saccheggiato Roma, Alarico si diresse
verso il Sud dell’Italia. La morte improvvisa di Alarico, avvenuta in Calabria quando forse stava
progettando di recarsi in Africa, risparmiò ulteriori traversie all’Italia: i Goti, infatti, si ritirarono nella
Gallia meridionale, dove dettero vita a uno stato vero e proprio, con capitale Tolosa.

Uno shock senza precedenti


Il sacco di Roma rappresentò uno shock emotivo senza precedenti. Già il lungo assedio che la città aveva
subito due anni prima del sacco, nel 408 d.C. sempre ad opera di Alarico, dovette determinare, con la
carestia e, quindi, l’insorgenza di una pestilenza, le condizioni che anticiparono alcuni radicali
cambiamenti nello stile di vita, tra i quali si segnalano le prime sepolture urbane, di emergenza,
all’interno delle mura; un costume che si sarebbe poi stabilizzato a partire dal VI secolo.
L’irruzione dei Goti a Roma, se non ebbe immediati esiti rovinosi sulle condizioni strutturale dei grandi
monumenti pubblici, sembra aver determinato l’avvio di un processo di destrutturazione che si tradusse
in un’appropriazione sempre più estesa dello spazio urbano da parte di privati e delle comunità cristiane.

Gli Unni
Le origi degli Unni sono controverse. Noi sappiamo solo con sicurezza che erano un popolo nomade
proveniente dalla grande steppa Eurasiatica. Non siamo in grado di ricostruire le cause che spinsero gli
Unni verso Occidente dopo la metà del IV secolo. Non c’è però dubbio che fu la loro pressione a spingere
i Goti sul Danubio nell’estate del 476 d.C.
Gli Unni erano grandi cavalieri ed abilissimi arcieri. Cavalcavano senza staffe ma utilizzavano pesanti
selle di legno che consentivano una forte presa e che creavano una piattaforma di tiro stabile. È accertato
che una gran massa di unni si era stabilita nell’Europa Orientale verso la metà del V secolo occupando
la grande pianura ungherese a Ovest dei Carpazi. Fu l’arrivo degli Unni nella pianura ungherese che
provocò la necessità di varcare le frontiere dell’impero romano da parte dei vandali, degli Alani, degli
Svevi e dei Burgundi.
Roma era ancora in grado di tentare un efficace riscossa. FLAVIO EZIO, originariamente un militare di
carriera al servizio dell’Impero d’Oriente, aveva acquisito il controllo del potere alla corte di Ravenna.
Egli riuscì a respingere Franchi e Alamanni al di là del Reno e a sottomettere Burgundi e Alamanni. Ma
a sconvolgere questo tentativo di ristabilimento dell’Occidente intervenne l’invasione condotta dai
Vandali di Genserico nel 439 d.C. delle ricche province dell’Africa settentrionale. I Vandali arrivarono
a Cartagine e il tentativo di contrattacco organizzato a partire dalla Sicilia nel 440 d.C. congiuntamente
con Costantinopoli non ebbe seguito perché improvvisamente si palesò una minaccia ancor più grave.
Con Genserico fu stipulato un trattato nel 442 d.C. con il quale fu riconosciuta la sua posizione di re
vassallo dell’impero. Il pericolo da fronteggiare con la massima urgenza veniva da nord ed era
rappresentato dal re unno ATTILA. Gli unni attraversarono il Danubio e conquistarono una serie di forti
e di città di frontiera, erano ormai in grado di minacciare la stessa Costantinopoli. Attila costrinse

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l’impero d’Oriente ad una pace umiliante nel 442-443 d.C. Nel 447 d.C. scatenò una nuova invasione
sperando anche di approfittare del terremoto che aveva colpito la capitale danneggiando gravemente le
stesse mura. Attila non riuscì però a stringere d’assedio la capitale ma fu comunque libero di devastare i
Balcani e le coste dell’Egeo. Nel frattempo era riuscito a organizzare una sorta di impero assorbendo
sotto il proprio controllo tutte le popolazioni barbariche che via via aveva incontrato nel corso delle sue
conquiste. Il re unno decise alla fine di muovere guerra in Occidente. Nel 451 d.C. alla testa di un grande
esercito Attila varcò il Reno e penetrò in Gallia. La risposta di Ezio fu all’altezza della situazione. Egli
era riuscito a fermare gli Unni. Attila trascorse l’inverno preparando un’altra grande campagna militare.
Nella primavera del 452 d.C. varcò le Alpi e assediò Aquileia e riuscì ad espugnarla e ad impadronirsi in
rapida successione di molte città della Pianura Padana. Non molto tempo dopo Attila decise di ritornare
sui suoi passi, egli era infatti privo del supporto logistico indispensabile per una lunga campagna
soprattutto a causa di un gran numero di armati al suo seguito. Inoltre Ezio stava per ricevere rinforzi da
Costantinopoli che iniziavano ad attaccare le retrovie unne a Nord del Danubio. Attila si trovava di fatto
chiuso in una morsa che lo indusse a stipulare una tregua e a ritirarsi verso l’Europa centrale. Ad ogni
modo Attila preparava una nuova guerra in grande stile ma morì e con lui finì anche la minaccia unna.

La fine dell’Impero romano d’Occidente


Malgrado la fortunata conclusione della crisi unna la situazione dell’Impero rimaneva estremamente
precaria. Ezio fu ucciso nel 450 d.C. dopo essere caduto in disgrazia. VALENTINIANO III fu assassinato
l’anno dopo. Nel 455 d.C. Roma fu saccheggiata per la II volta dal re dei Vandali, GENSERICO. Ormai
mancavano le forze per tentare una reazione che potesse avere qualche concreta possibilità di successo.
MAGGIORIANO che fu imperatore dal 457 al 461 d.C. è l’ultimo detentore del potere in Occidente che
abbia tentato una riscossa militare, oltre ad avviare qualche riforma capace di alleviare la grave crisi
sociale ed economica. Da quel momento sul trono di Ravenna si succedettero imperatori sempre più
effimeri e privi di vero potere, in balia dei vari contingenti barbarici che di volta in volta li proclamavano
imperatori.
Nel 474 d.C. l’imperatore d’Oriente, Zenone, nominò imperatore Giulio Nepote. Contro Nepote si ribellò
un altro generale, Oreste. Formalmente la fine dell’impero romano d’Occidente si ebbe nel 476 d.C.
quando Romolo, detto scherzosamente Augustolo per la sua giovane età, il figlio che Oreste aveva
insediato sul trono imperiale, fu scacciato da Odoacre, quest’ultimo però non rivendicò per sé il titolo di
imperatore ma rimise le insegne del potere a Zenone accontentandosi del titolo di re del suo popolo.
Cadde così, “senza rumore”, l’Impero d’Occidente.

Il problema della caduta dell’Impero romano


Due sono i tipi di spiegazione che nella storiografia moderna si è cercato di dare per la caduta dell’impero
romano, uno monocausale e uno pluricausale. La spiegazione monocausale individua la ragione della
fine dell’impero o nella crisi economica e politica, o nel successo del cristianesimo nell’Impero, oppure
la pressione dei barbari all’esterno. La spiegazione pluricausale privilegia la ricerca dei fattori che in
parallelo possono aver determinato il declino dell’impero.

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Capitolo 2
I regni romano-barbarici
Il regno di Teoderico in Italia
Mentre l’Italia rimaneva sotto il controllo di ODOACRE, l’imperatore d’Oriente ZENONE cercò di porre
riparo alla situazione attraverso l’intervento di popolazioni barbariche amiche. Il re dei Goti TEODERICO
che aveva familiarità con le istituzioni romane per una lunga presenza alla corte di Costantinopoli, scese
il Italia nel 488 d.C. con il titolo ufficiale di patricius (patrizio) e la missione di eliminare Odoacre. Nel
493 d.C. Odoacre fu sconfitto e ucciso. Iniziava così una sorta di regno ostrogoto dell’Italia comprendente
anche alcune parti della Dalmazia. Teoderico voleva una collaborazione tra greci e romani. Se ne ha una
prova nell’emanazione di un complesso di leggi con il quale si cercava di regolare i rapporti tra le due
comunità etniche su una base di sostanziale eguaglianza. Teoderico scelse i suoi principali collaboratori
tra i più qualificati esponenti dell’aristocrazia romana. Nel complesso il periodo di regno di Teoderico
rappresentò un momento positivo per l’Italia, dopo che questa era stata tormentata da lunghi decenni di
invasioni e di permanente instabilità di governo. Anche l’economia dopo un lungo declino, diede qualche
segno di ripresa. Purtroppo però alla lunga, la collaborazione tra Goti e Romani si rivelò impraticabile. I
Goti erano ariani e la differenza tra le due diverse confessioni cristiane ebbe il sopravvento sulle ragioni
di tolleranza che avevano ispirato Teoderico nei confronti dei cattolici. Ad un certo momento sembrò
che si realizzassero le condizioni per una convergenza antiariana di cattolici e Bizantini. Teoderico reagì
facendo imprigionare il Papa Giovanni I. Nel 526 d.C. Teoderico moriva lasciando il regno alla figlia
AMALASUNTA. La politica di conciliazione tra Goti e Romani non era più praticabile, anche per le
interferenze di Costantinopoli, che cercava un pretesto per intervenire in Italia. L’occasione fu fornita
dall’assassinio di Amalasunta nel 535 d.C.

I regni romano-barbarici d’Occidente


Le invasioni barbariche nell’Impero d’Occidente furono di due tipi:

1. Le prime erano la conseguenza dello spostamento di gruppi nomadi poco numerosi che si stabilirono
in zone periferiche dell’Impero organizzandosi secondo le proprie leggi e tradizioni ma senza
intaccare quelle delle comunità romane che continuavano a vivere in conformità alle istituzioni
giuridiche precedenti. È il caso degli Ostrogoti in Italia e dei Visigoti e Burgundi in Gallia. Per
sottolineare questa coesistenza tali regni sono detti romano-barbarici.
2. Il secondo tipo di invasioni furono invece portate aventi da popolazioni che si erano stabilite ai confini
dell’impero romano e che una volta entrate furono in grado di imporre la propria organizzazione alla
popolazione romana. È il caso dei Longobardi in Italia, dei Franchi in Gallia e degli Angli e Sassoni
in Britannia.

Il dominio Ostrogoto in Italia coincide con il regno di Teoderico.


Più complesse sono le vicende del regno Visigotico che fu creato da VALLIA nel 418 d.C. e comprendeva
la Gallia sud-occidentale. Fu riconosciuto da Roma e tra il 470 e il 480 d.C. riuscì a conquistare quasi
tutta la Spagna e la Provenza. Di grande importanza sarà la conversione al cattolicesimo del re RECAREDO

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nel 589 d.C. poiché a partire da questo momento divenne religione di Stato. Il regno Visigotico durò fino
al 711 d.C. quando fu piegato dagli arabi.
Il più importante regno barbarico fu quello dei Franchi. La figura decisiva è quella di Clodoveo, della
dinastia dei Merovingi, che divenne re nel 481 d.C. La sua conversione al cattolicesimo verso la fine del
V secolo fu fondamentale nel favorire l’integrazione dei Franchi con gli esponenti dell’aristocrazia gallo-
romana.
Nell’Europa del Nord le azioni di pirateria condotte dalle popolazioni germaniche di Angli e Sassoni
portarono all’occupazione di territori sempre più vasti, taluni dei quali erano stati romanizzati. Nasce
così la Britannia Anglosassone.

La società romano-germanica
La maggioranza dei barbari, con l’eccezione dei Franchi, era cristiana ma di credo ariano. Gli invasori
della Britannia erano addirittura pagani. Per quanto questo creasse le premesse per una segregazione
completa tra i gruppi etnici, ogni regione conobbe realtà differenti. In taluni casi si ebbe una piena fusione,
in altri si realizzò un dualismo amministrativo, con Romani e barbari sottoposti a gerarchie differenti. In
ogni caso l’arrivo dei barbari non produsse la rottura dell’ordine sociale rigorosamente articolato in classi
sociali rigide e ereditarie del mondo romano.

Il monachesimo
Una delle conseguenze delle invasioni germaniche del V secolo d.C. fu l’affermarsi del monachesimo.
C’erano comunità di religiosi che vivevano attorno al loro vescovo. C’erano poi delle vere e proprie
fondazioni monastiche che si susseguirono a distanza di pochi anni l’una dall’altra. I monasteri ebbero
una funzione importante come centri di cultura. Mentre la cultura classica si conservò solo negli ambienti
dell’aristocrazia laica; l’istruzione cristiana, che avvertiva l’inconciliabilità tra i propri valori e quelli
degli scrittori pagani, promosse esclusivamente la cultura latina di stampo cattolico/morale, escludendo
del tutto quella greca. Nel VI secolo scomparve definitivamente qualsiasi forma di istruzione pubblica,
gli unici centri di vita culturale e di istruzione furono i monasteri.

Le trasformazioni della città alla fine del mondo antico


Le trasformazioni della città romana tra la fine del mondo antico e l’Alto Medioevo sono diverse a
seconda delle varie aree geografiche. Il caso dell’Italia, dove la tradizione urbanistica romana era
particolarmente forte, è per certi aspetti esemplare.
Nella maggior parte delle città il foro romano continuò a svolgere la sua funzione di centro economico
in quanto sede del mercato, ma perse il suo ruolo di direzione politica con il venir meno dei consigli
cittadini. L’età tardoantica è caratterizzata dalla costruzione di chiese di notevoli dimensioni all’interno
delle città, non solo nelle capitali (Roma, Milano, Ravenna) ma anche in città minori. Le aree urbane
furono inoltre dotate, tra la fine del IV e l’inizio del V sec., di mura difensive.

L’Italia durante la guerra tra Goti e Bizantini


L’età di Teoderico (488-526 d.C.) nel complesso aveva significato un periodo di ripresa economica per
l’Italia. La guerra tra Bizantini e Goti, con i suoi spostamenti di truppe da una parte all’altra della penisola,

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vanificò la possibilità che la ripresa si consolidasse. La guerra, le gravi distruzioni delle città e la fame
(determinata dall’arresto della produzione agricola) provocarono a loro volta un forte calo demografico.

Capitolo 3
Bisanzio
L’Impero d’Oriente fino al regno di Giustiniano
Le vicende dell’Impero d’Oriente risultano distinte da quelle dell’Occidente a partire dal 395 d.C., dal
momento, cioè, della divisione dell’Impero da parte di Teodosio I tra i suoi figli. Alla morte di Arcadio
(cui era toccato l’Oriente), nel 408 d.C., gli successe il figlio Teodosio II, un bambino di 8 anni, in vece
del quale governava il prefetto del pretorio. Nel corso del regno di Teodosio (dal 408 al 450 d.C.) anche
l’Impero d’Oriente dovette fronteggiare il pericolo barbarico, soprattutto degli Unni, che arrivarono a
minacciare la stessa Costantinopoli. Ma nel complesso l’Oriente riuscì ad uscire da questa difficile fase
senza rilevanti perdite territoriali e mantenendo la propria compattezza interna. A travagliare Bisanzio in
questo periodo furono soprattutto le controversie di natura religiosa relative alla natura di Cristo. La
critica situazione interna fu affrontata con successo da Anastasio (451-518 d.C.). Ad Anastasio
succedette un ufficiale già avanti negli anni, Giustino. Alla sua morte, nel 527 d.C., sul trono pervenne
il nipote GIUSTINIANO.

Il regno di Giustiniano
Il regno di Giustiniano (527-565 d.C.) rappresenta l’estrema conclusione del mondo antico. La più grande
eredità lasciata da Giustiniano è la raccolta normativa del 535 d.C., conosciuta come Corpus Iuris Civilis,
una compilazione omogenea della legge romana, tutt’oggi alla base del diritto civile.
Di grande rilievo fu l’attività edilizia di Giustiniano. Forte impatto fu dato anche al commercio e a nuove
attività economiche, tra le quali spicca la produzione della seta.
Giustiniano non godette del favore degli storici contemporanei. In realtà noi abbiamo notizia di come
egli abbia attuato varie forme amministrative, cercando anche di reprimere gli abusi in campo fiscale che
rappresentavano una delle maggiori ragioni di vessazione per la popolazione civile.
I problemi interni non distolsero Giustiniano dal suo grande disegno di riconquista dell’Occidente. Nel
533 d.C. l’Africa del Nord, la Sardegna e la Corsica passarono sotto il controllo bizantino. Ben più lunga
e difficile fu invece la guerra per il dominio dell’Italia.

Costantinopoli
Costantinopoli, la nuova capitale inaugurata da Costantino nel 330 d.C., al posto dell’antica Bisanzio sul
Bosforo, già nel corso del IV secolo d.C. contava una popolazione di 100.000 abitanti. Durante il regno
di Teodosio II la sua superficie fu più che raddoppiata. In età di Giustiniano la popolazione in città
contava mezzo milione di abitanti. Una tale densità abitativa si spiega con le distribuzioni gratuite di
generi alimentari, ma soprattutto con un’intensa attività economica.
A Costantinopoli il re e la sua corte vivevano all’interno di un aerea fortificata, isolati dal resto della città.
Tra le attrattive della vita a Costantinopoli c’erano le cerimonie, con le fastose processioni e i giochi, in
particolare le corse di carri.
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La società bizantina
La separazione tra Oriente e Occidente non fu solo sul piano politico ma coinvolse man mano anche
quello culturale. In oriente si venne a formare una “società bizantina” con alcune caratteristiche sue
proprie. Il mondo bizantino fu caratterizzato da un forte apparato burocratico. Il governo dell’Impero non
era più retto dai magistrati ma da burocrati, cioè da funzionari con funzioni specifiche al servizio diretto
dell’imperatore.
La figura dell’imperatore è quella che meglio sintetizza i caratteri propri della società bizantina.
All’inizio l’imperatore conservava ancora i connotati del capo scelto per volontà popolare, come da
tradizione romana, progressivamente però si rafforzò l’idea che l’investitura imperiale fosse concessa da
Dio. L’inaccessibilità della persona dell’imperatore era fondamentale nell’ideologia bizantina del potere.
La distanza tra il sovrano e il popolo veniva costantemente ribadita. Gli abitanti dell’impero non erano
più cittadini ma sudditi al servizio dell’imperatore. Pochi individui privilegiati avevano la possibilità di
vederlo di persona, ma anche loro dovevano prostrarsi davanti al sovrano.

La Chiesa bizantina
Nel mondo bizantino un ruolo di grande rilievo fu svolto dalla Chiesa. Tra il IV e il VI secolo d.C. la
funzione pubblica dei vescovi e l’importanza da loro assunta all’interno delle città era una caratteristica
della vita urbana in Oriente. I vescovi erano organizzati secondo una gerarchia: vescovi (operavano nelle
città), arcivescovi (operavano nelle metropoli più importanti), patriarchi (operavano nelle tre città
principali: Costantinopoli, Alessandria e Antiochia). Forte era anche la presenza di monasteri: il
monachesimo bizantino era concepito come rifiuto della società urbana e votazione all’eremismo come
prova di vicinanza a Dio.
All’interno dell’impero bizantino si era aperta una disputa teologica che costituì un fattore di grave crisi.
Le scuole teologiche che si contrapponevano erano quella di Antiochia che, privilegiando la natura
umana di Gesù, sosteneva che Maria non poteva dirsi “madre di Dio”, ma solo “madre di Cristo”, in
quanto in Cristo coesistono due nature distinte; l’altra scuola invece, quella di Alessandria, affermava la
piena unità della natura divina e umana di Gesù.

Il cesaropapismo
Il sistema politico caratteristico dell’Impero d’Oriente sin dalla fondazione di Costantinopoli è detto
“cesaropapismo”. Il cesaropapismo consisteva nell'accentrare nelle mani dell'imperatore il potere
spirituale e temporale, dandogli così pieni poteri sulla religione. Questa teoria politica sosteneva il diritto
dello Stato - in quanto potere civile = Cesare - di estendere le su competenze ed esercitare la sua autorità
anche in campo religioso, cioè nel territorio spirituale riservato alla Chiesa = papa. Il potere ecclesiastico
era quindi considerato sottoposto a quello civile, il quale esercitava la sua autorità anche in
ambito teologico e disciplinare.

L’assistenza verso i poveri nel mondo bizantino


Già nei primi secoli dell’Impero bizantino furono create delle specifiche istituzioni assistenziali. Nella
legislazione giustinianea fu riservano molto spazio ai poveri. La legislazione si preoccupò degli effetti
negativi che la povertà e l’impoverimento potevano avere sull’ordine pubblico. L’afflusso disordinato
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du uomini nella capitale era destinato a far aumentare il numero dei poveri. In un testo del 539 d.C. si
disponeva che i poveri validi di origine non costantinopolitana fossero inviati nelle campagne a lavorare
la terra, mentre i poveri originari della città dovevano essere impiegati in attività di interesse pubblico. I
poveri invalidi furono aiutati attraverso forme di filantropia regolarizzata. I vecchi furono accolti in
luoghi di ricovero e gli orfani in orfanotrofi.

La fine del mondo antico


Il regime creato da Augusto s fondava su un potere personale che cercava il riconoscimento dal popolo
romano secondo i consolidati meccanismi dell’ordinamento repubblicano. Augusti rispetto ai senatori
era il primo tra eguali e cittadino tra gli altri cittadini. La crisi del III secolo, con le sue incessanti guerre,
trasformò l’imperatore in un soldato professionista, un autocrate dallo status sovraumano. Esso fu
riconosciuto dal cristianesimo che ne fece uno strumento di Dio in terra. Nella Tarda Antichità
l’imperatore era riconosciuto tale per “grazia divina”, ciò si realizzò in particolare in Oriente.
In Occidente, invece, nei nuovi regni creatisi dopo le invasioni barbariche, si realizzarono presto le
condizioni per un’organizzazione del tutto nuova dell’economia e della politica. Essi fornirono il
prototipo dell’idea medievale di Stato che si diffuse in Europa attraverso una serie di trasformazioni. La
prima cesura fu rappresentata dalle invasioni barbariche e dal sorgere di Stati che avevano un debole
collegamento con le strutture politiche romane tradizionali. I regni romano-barbarici all’inizio si
organizzarono attorno alla figura di capi militari alla testa di una varietà di gruppi etnici e linguistici.
Questi re, in mancanza di un’autonoma cultura politica, utilizzavano il lessico amministrativo latino.
Tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo un nuovo momento di svolta fu rappresentato dagli Arabi che,
spinti dalla forza della nuova religione predicata da Maometto, occuparono in breve tempo l’Africa
settentrionale e parte del vicino oriente. All’interno dello stesso mondo cristiano a livello di culto le
differenze dottrinali tra papato romano e Costantinopoli si fecero sempre più evidenti. Si perse anche
l’ultimo fattore di unificazione del mondo antico, quello religioso.
Ancora oggi viviamo le conseguenze di quegli eventi.

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