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Geraci Marcone
Storia Romana
Università degli Studi di Milano
110 pag.
STORIA ROMANA
E DITIO M AIOR
Introduzione
Datazione e cronologia
Il modo di indicare le date in riferimento alla nascita di Cristo non è mai stato utilizzato nel mondo antico;
la cosiddetta era “cristiana” è stata introdotta dal monaco DIONIGI ESIGUO detto DIONIGI IL PICCOLO (un
Monaco nativo della Scozia che visse tra V e VI secolo d.C.): il sistema creato da Dionigi comprendeva
solo gli eventi accaduti d.C., mentre quelli accaduti precedentemente venivano calcolati partendo dalla
creazione del mondo. Tale sistema si diffonde in Italia a partire dal VII sec e si diffuse in tutta l’Europa
occidentale nel X sec. La consuetudine di contare gli anni prima di Cristo venne invece introdotta nel
XVIII secolo per unificare il punto di riferimento dal quale conteggiare le date.
A Roma, a partire dall’età repubblicana gli anni erano indicati mediante i nomi dei magistrati eponimi
(lett. “che danno il nome all’anno”) dunque in genere tramite la menzione dei due consoli; parallelamente
in Grecia la datazione degli eventi era ricondotta alle Olimpiadi. All’inizio dell’età imperiale a Roma,
negli ambienti dotti, divenne uso comune esprimere la data partendo dalla fondazione di Roma: 753 a.C.,
data fissata da MARCO TERENZIO VARRONE che, partendo dall’inizio della repubblica del 509 a.C.
ipotizzò che ogni re avesse regnato 35 anni circa. In epoca imperiale, nei testi epigrafici, prevalse l’uso
di annotare il numero progressivo dei rinnovi (annuali) del potere di ciascun imperatore.
Il calendario romano repubblicano rimase in vigore sino alla riforma di Cesare del 46 a.C. e prevedeva
355 giorni divisi in dodici mesi (quattro da 31 giorni, sette da 29 e uno da 28), primo dei quali era marzo.
Il mese da 28 giorni, febbraio, veniva diviso in due parti: la prima di 23 giorni e la seconda di 5 giorni
(dopo le feste di Terminalia del 23 febbraio). Dopo febbraio, ad anni alterni, veniva aggiunto un “mese
intercalar” di 22 giorni. Si trattava di un artificio che aveva lo scopo di uguagliare l’anno civile a quello
solare e al ciclo delle stagioni. Un’importanza notevole ebbero, in queste scansioni, i giorni di mercato
(nundinae) che si tenevano ogni 8 giorni, dunque “ogni nono giorno” (di qui il temine nundinae), ed
erano segnati sui calendari con un ciclo di lettere dalla A alla H (il giorno di mercato era sempre
contraddistinto dalla lettera A).
Onomastica romana
I cittadini romani, nell’età antica, possedevano un solo nome; col tempo se ne aggiunsero altri due sino
a diventare tre (tria nomina):
In caso di adozione l’adottato ereditava i tria nomina di chi lo adottava al quale si aggiungeva un quarto
nome che corrispondeva al nomen modificato della famiglia d’origine es. Lucio Emilio Paolo viene
adottato da Publio Cornelio Scipione e diviene Publio Cornelio Scipione Emiliano. Le donne romane di
regola non avevano un prenomen, ricevevano come nome il solo nomen paterno, adattato al femminile,
che mantenevano anche da sposate. Gli schiavi erano abitualmente denominati con un unico nome
personale mentre i liberti ereditavano il prenome ed il gentilizio del proprio ex padrone e portavano come
cognomen il loro antico nome da schiavo.
Il mondo di Roma
Il mondo di Roma è definito “uno, duplice e molteplice”. “Uno” perchè sotto Roma furono unificati
amministrazione, cittadinanza, esercito e diritto. “Duplice” perché il mondo romano fu fortemente
influenzato da quello greco, soprattutto dal punto di vista linguistico e culturale (il greco rimase sempre
il modo di espressione principale). “Molteplice” perché a Roma si creò una fitta rete interculturale che
comprendeva molteplici popoli, particolarità locali, condizioni politiche, sociali e personali che
convivevano tra loro sotto il comune denominatore della romanità.
Il sistema monetario
Età repubblicana
Denario Sesterzio Asse
(argento) (argento) (rame)
10 assi 2 ½ assi -
4 sesterzi - -
Sotto Augusto
Aureo Denario Sesterzio Asse
(oro) (argento) (rame e zinco) (rame)
400 assi 16 assi 4 assi -
100 sesterzi 4 sesterzi - -
25 denari - - -
Sotto Diocleziano
Aureo Nummus argentus (argenteo) Follis Nummo radiato (denaro)
(oro) (argento) (rame) (rame)
1250 denari 50 denari 5 denari -
250 follis 10 follis - -
25 argentei - - -
Con l’inizio dell’età del Ferro (IX sec. A.C.) l’Italia presenta un quadro di colture locali diversificate tra
di loro per diversi motivi (es. metodo di sepoltura: al Nord, lungo costa tirrenica e Campani si usa la
cremazione mentre nel resto dell’Italia si utilizza la sepoltura).
La diversità di cultura in Italia causa una forte diversificazione sul piano linguistico, queste lingue sono
distinguibili in due grandi famiglie:
Rilevante è il ruolo delle colonie della Magna Grecia fondate nell’Italia meridionale a partire del VII sec
a.C. che esercitano grande influenza sulle popolazioni indigene. In Sardegna, tra età bronzo e ferro si
sviluppa civiltà nuragica così chiamata per le “nuraghe”, strutture coniche difensive che corrispondono
ai sardi.
Il Lazio
Come confermano gli scavi realizzati nell'area del Campidoglio, possiamo affermare con certezza che
l'archeologia romana è precedente all'età del Bronzo. Il Lazio era infatti popolato già nell'età paleolitica
e a Roma c’era un insediamento già nel II millennio a.C.
L’antichità dell’insediamento di Roma è stata provata per la prima volta dalla scoperta, all’inizio del
secolo scorso, di un cimitero risalente all'età del ferro all'interno del Foro Romano.
Il nome Italia
Il nome Italia nel V a.C. era riferito alla penisola calabrese. L’ipotesi più probabile fa derivare il nome
dal temine osco "viteliu", il territorio in questione doveva infatti essere ricco di bovini (vitelli), animali
sacri secondo il culto tipico dell'Italia centro-meridionale. La caduta dell’iniziale “V” è conseguente alla
pronuncia delle genti della Magna Grecia, che la passarono ai romani.
Alla metà del IV a.C. il nome Italia abbraccia il Mezzogiorno continentale a sud di Paestum, sulla costa
tirrenica. Verso gli inizi del III include la Campania e alla fine dello stesso secolo comprende quasi
l’intera penisola.
Capitolo 2
Gli Etruschi
Le fonti
Non disponiamo di narrazioni degli etruschi risalenti agli etruschi stessi, tutto ciò che sappiamo oggi
sugli etruschi proviene da fonti greche e latine.
Ciò che sappiamo dell'organizzazione delle città etrusche, della loro società e delle loro vicende dipende
dalla documentazione archeologica, dalla ricerca topografica e dai dati onomastici nelle iscrizioni (ad
esempio le epigrafi costituiscono prezioso informazioni socio culturali della civiltà etrusca).
Molte delle tradizioni etrusche sono giunte e noi grazie al influenza che le istituzioni etrusche hanno
esercitato sulla civiltà romana. Conosciamo meglio, infatti, la fase terminale della storia etrusca, a partire
dall'ingresso di Roma sulla scena dell'Etruria meridionale.
Romani ed Etruschi
I romani ereditarono moltissimo dagli etruschi. In particolare per quanto riguarda la sfera religiosa; gli
etruschi avevano la fama di essere molto legati alla religione e di saperne compiere con maestria i riti.
La religione etrusca era ritenuta una vera e propria scienza trasmessa attraverso i libri specifici a cui i
romani attinsero. I romani erano talmente impressionati dalle capacità divinatorie etrusche da far spesso
ricorso agli aruspici etruschi. L’intera vita politica e religiosa di Roma era basata sugli auspicia. È per
questo motivi che le personalità romane di maggior rilievo si circondavano di aruspici etruschi.
Tecnica e arte
Le principali manifestazioni dell'arte etrusca sono state ritrovate nelle necropoli che possiamo annoverare
tra le più estese del mondo antico. L’architettura delle necropoli etrusche era intesa ad avvicinare la casa
dei morti a quella dei vivi, dunque si trattava di vere e proprie abitazioni sotterranee per i defunti in cui
sono stati ritrovati molti reperti di statuaria, terrecotte, pittura e oreficeria oltreché affreschi raffiguranti
scene di vita quotidiana. Le più evolute sepolture a camera avevano una struttura architettonica
complessa: costruite come veri e propri appartamenti per i membri della stessa famiglia, formate da
numerosi ambienti, celle, corridoi e nicchie.
Uno dei campi forti della civiltà etrusca oltre all'agricoltura alla metallurgia era l'artigianato artistico in
particolar modo la produzione di oggetti in bronzo e oreficeria che raggiunsero amie aree del
Mediterraneo attraverso il commercio. Gli Etruschi furono abili sia nell’estrazione dei minerali (ferro e
rame soprattutto) sia nel trattamento dei metalli in fornaci. La lavorazione dell’oro e dei metalli nobili
era mirata a produrre accessori personali, come collane, spille, anelli o orecchini.
L’Etruscologia
Etruscologia, intesa come interesse per il mondo etrusco ed è nata a partire dal I secolo d.C. e il primo
degli etruscologi fu l'imperatore romano Claudio a cui seguirono molti intellettuali romani.
L’etruscologia come disciplina scientifica nacque invece nel XIX secolo.
La leggenda
La versione più nota e diffusa della leggenda delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa
e la dinastia dei Re Albani tra l'arrivo di Enea nel Lazio e il regno di Romolo. Nel primo libro dell’Eneide,
VIRGILIO (I secolo a.C.) si ispira a questa tradizione; Alba Longa è fondata dal figlio di Enea. Ascanio,
trent’anni dopo la fondazione di Lavinium, la città a cui Enea diede il nome della moglie Lavinia.
Secondo la leggenda il fondatore e primo re di Roma è Romolo, figlio di Marte, dio della guerra, e di
Rea Silvia, figlia di Numitore, l'ultimo re di Alba Longa che era stato illegittimamente privato del trono
dal fratello più giovane, Amulio.
I sette re di Roma
La tradizione fissa la nascita di Roma nel 753 a.C. e la fondazione della Repubblica nel 509 a.C.: durante
questo periodo su Roma avrebbero regnato sette re:
ROMOLO: fondatore di Roma a cui sono state attribuite le prime istituzioni politiche tra cui il senato;
NUMA POMPILIO: creatore dei primi istituti religiosi;
TULLO OSTILIO: promotore di alcune campagne militari (tra cui la distruzione di Alba Longa);
ANCO MARZIO: fondatore della colonia di Ostia;
TARQUINIO PRISCO: di origini etrusche, iniziatore della seconda fase della monarchia Romana;
SERVIO TULLIO: costruì le prime Mura della città e istituì le assemblee elettorali e i comizi centuriati;
TARQUINIO IL SUPERBO: ultimo sovrano caratterizzato con i tratti tipici del tiranno.
L'attuale ricostruzione della storia romana arcaica si basa anche sulle informazioni fornite dai cosiddetti
“antiquari” ossia eruditi che, a partire dal II a.C., si dedicarono ad una serie di ricerche su vari aspetti
del passato romano.
La storiografia moderna
Le origini di Roma sono a volte nell'incertezza per noi, come lo erano per gli antichi.
A partire dalla fine dell’Ottocento, a rivoluzionare prospettive e metodi di ricerca contribuì soprattutto
l’archeologia con nuove scoperte che in molti casi sembrarono confermare la veridicità del racconto
tradizionale sulla Roma arcaica.
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Come si desume da questo passo, nella formazione di una città un’importanza fondamentale dal punto di
vista religioso era rivestita dal pomerio (dal latino postmoerium: “ciò che si trova al di là del muro”).
Esso era una linea sacra che delimitava il perimetro della città subito oltre le mura.
Il pomerio però non sempre combaciava con le mura reali, poiché esso era tracciato secondo una
procedura religiosa, mentre le mura rispondevano alle esigenze di difesa del territorio. Poteva così
capitare che tra le due linee ci fosse una notevole distanza.
La monarchia romana
La monarchia romana era elettiva ed originariamente il re era affiancato da un consiglio di anziani
composto dai capi delle famiglie più nobili e ricche (questi uomini rappresentavano il nucleo di quello
che successivamente sarebbe stato il senato). Il re era anche il supremo capo religioso e celebrava riti di
culto affiancato da sacerdoti e pontefici
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L’influenza etrusca
Roma ebbe un notevole sviluppo nel sesto secolo soprattutto grazie l'influenza etrusca che ha lasciato
segni visibili nella tradizione. Una figura importante di origine etrusca è quella di Tarquinio Prisco che
secondo la tradizione è figlio di un greco, Demarato, che giunto Tarquinia sposa una giovane aristocratica
locale. Alla morte del padre Tarquinio, che non poteva accedere al governo della città poiché straniero,
decide di trasferirsi a Roma, città che accoglieva calorosamente gli stranieri. Qui si guadagna il favore
di Anco Marzio e, alla morte di quest'ultimo, viene eletto come suo successore.
La donna
Nella Roma arcaica il ruolo della donna aristocratica che riceveva l'educazione intellettuale non si
esauriva nella sulla vita domestica La moglie accompagnava il marito durante la vita pubblica e
condivideva con lui il compito dell'educazione dei figli. La donna era soggetta all’autorità dell'uomo, il
potere del marito sulla moglie (manus) non aveva limiti, egli poteva punirla se aveva commesso una
mancanza (per esempio aver bevuto vino durante un convitto) o ucciderla impunemente in caso di
adulterio. I matrimoni romani erano vietati prima dei dodici anni di età ma venivano comunque combinati
molto prima dai padri attraverso un’apposita cerimonia di fidanzamento detta sponsalia. Lo scopo
principale del matrimonio era quello di avere figli legittimi, così le donne sterili venivano quasi sempre
ripudiate e costrette a tornare alla casa del padre.
Esistevano tre forme diverse per contrarre un matrimonio:
- Confarreatio: divisione di una focaccia di farro tra i due sposi;
- Mancipatio: una sorta di atto di compravendita
- Usus: interrotta convivenza dei coniugi per un anno.
Il matrimonio poteva essere interrotto attraverso:
- Divorzio: un atto informale e consensuale
- Ripudio: consisteva nella separazione di fatto dei coniugi, di solito quando la moglie veniva cacciata.
Agricoltura e alimentazione
L'agricoltura di Roma nell'età arcaica era un’agricoltura di sussistenza, limitata dalle condizioni
sfavorevoli del terreno e consisteva nella produzione di cereali, farro, orzo e farrago (legume). Questi
cereali erano la base del sostenimento sia della popolazione romana sia del bestiame da allevamento.
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Secondo Dumézil le vicende intorno all’origine di Roma; dal ratto delle Sabine (fecondità), alla figura
di Servio Tullio (potenza del sovrano), alla teologia romana (forza); sono in realtà il frutto di schemi
narrativi e scenari ereditati dal sostrato indoeuropeo, che ciascuna cultura ha poi utilizzato secondo
parametri propri.
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I fasti
I Fasti sono liste di magistrati eponimi della Repubblica, di quei magistrati cioè che davano il nome
all’anno in corso, secondo il computo cronologico dei Romani. I Fasti ci sono giunti sia attraverso la
tradizione letteraria sia attraverso alcuni documenti epigrafici.
Le incongruenze tra le diverse versioni dei Fasti, l’inserimento di alcuni anni di anarchia in cui non
vennero eletti magistrati o nei quali la funzione eponima venne assolta da un dittatore e non dai due
consoli e la comparsa fra i consoli eponimi, nella prima metà del V secolo a.C., di diversi personaggi di
gentes plebee, hanno suscitato diversi dubbi sull’attendibilità delle liste di magistrati, almeno per la fase
più antica.
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Le alte magistrature
Le crescenti esigenze dello Stato indussero alla progressiva creazione di nuove magistrature che
sollevassero i consoli di alcune competenze. Risalirebbero al periodo regio o al primo anno della
Repubblica i questori, due magistrati che assistevano i consoli nelle attività finanziarie, disegnati in un
primo tempo dai consoli stessi e successivamente designati in seguito a elezione. Nel 443 a.C., poi, il
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La dittatura
In caso di necessità, i supremi poteri della repubblica potevano essere affidati ad un dittatore, magistrato
che non veniva eletto ma da un’assemblea popolare ma nominato dal senato. Il dittatore non era
affiancato da colleghi con eguali poteri ma era assistito da un magister equitum (comandante della
cavalleria) da lui personalmente scelto e a lui subordinato. Contro il volere del dittatore non valeva
l’appello al popolo o l’opposizione del veto da parte dei tribuni della plebe. Dati i poteri straordinari di
questa magistratura, la sua durata venne limitata a un massimo di sei mesi, anche se, quasi sempre, il
dittatore deponeva la carica non appena la situazione di crisi per la quale era stato nominato veniva risolta.
Il senato
Il vecchio consiglio regio, formato dai capi delle famiglie nobili, sopravvisse alla caduta della monarchia
prendendo il nome di senato, divenne il perno della nuova Repubblica a guida patrizia (dai patres). Il
principale strumento istituzionale in possesso del senato per influire sulla vita politica della Repubblica
era costituito dalla auctoritas patrum, cioè il potere di convalida, da parte del senato, delle deliberazioni
delle assemblee popolari. Inoltre, a fronte di magistrati la cui carica durava in genere un solo anno, quella
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- I comizi tributi a cui viene affidata l'elezione dei questori. In questa assemblea il popolo votava per
tribù territoriali che, secondo la tradizione, erano state istituite da Servio Tullio. Questi comizi
apparentemente sono più equi rispetto ai comizi centuriati (dove i ricchi e gli anziani erano
privilegiati), sappiamo però che vi erano comunque delle disuguaglianze: il numero di tribù rurali
crebbe nel tempo (arrivando a 31) mentre il numero di tribù urbane rimase fisso a 4 avvantaggiando
le popolazioni delle campagne che possedevano così un peso maggiore durante la votazione.
- I concili della plebe che avevano il compito di eleggere i tribuni della plebe e gli edili plebei
(magistrati rappresentanti la plebe).
I poteri di tutte queste assemblee popolari erano però limitati poiché esse non potevano autoconvocarsi
né assumere alcuna decisione autonoma: spettava infatti ai magistrati che le presiedevano indire il
comizio, stabilire l’ordine del giorno e sottoporre al voto le proposte di legge, che l’assemblea poteva
accettare o respingere ma non modificare. Inoltre, un presagio infausto poteva far decidere au consoli, su
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Capitolo 2
Il conflitto tra patrizi e plebei
Le fonti
A partite dalla nascita della Repubblica sino al 287 a.C. Roma è caratterizzata dai contrasti tra patriziato
e plebe. La differenza tra patrizi e plebei si reggeva su diversi fattori: origine, ricchezza, attività esercitata,
prestigio sociale. Le principali fonti narrative riguardanti la politica interna di Roma nel V secolo a.C. e,
dunque, anche il conflitto patrizi-plebei sono Dionigi di Alicarnasso, Livio, Diodoro, Cassio Dione,
Plutarco e in generale tutta la letteratura antiquaria.
Il problema economico
Il conflitto tra patrizi e plebei interessò diversi piani, il primo fu quello economico. La caduta dei Tarquini
del V a.C. e il crollo del dominio Etrusco in Campania causò indirettamente un grave danno a Roma, che
era prosperata anche grazie alla sua funzione di punto di passaggio tra l’Etruria e la Campania. Lo stato
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Il problema politico
Gli strati più ricchi della plebe erano meno interessati alla crisi economica e rivendicavano invece equità
sul piano politico, in particolare veniva chiesta una parificazione dei diritti politici tra i due ordini e la
stesura di un codice scritto di leggi, che ponesse i cittadini al riparo dalle applicazioni arbitrarie delle
norme da parte di coloro che fino a quel momento erano depositari del potere giuridico: i patrizi riuniti
nel collegio dei pontefici.
La prima secessione approda a un risultato essenzialmente politico: il riconoscimento da parte dello Stato
a guida patrizia dell’organizzazione interna della plebe, con la sua assemblea e i suoi rappresentanti. Il
problema dei debiti rimase invece per il momento irrisolto. Della crisi economica cerco di approfittare Il
console SPURIO CASSIO nel 486 proponendo una legge che ridistribuisse le terre, egli venne accusato di
aspirare alla tirannide e condannato a morte (con la collaborazione della plebe stessa). Da questa vicenda
possiamo supporre che il disagio economico della plebe povera sia stato in qualche misura
strumentalizzato dalle famiglie plebee più facoltose ed influenti per raggiungere le conquiste politiche
alle quali maggiormente erano interessate.
Nel 366 vennero inoltre create due nuove cariche riservate ai patrizi, considerate come una sorta di
compenso per la perdita del monopolio sul consolato:
- Il pretore che aveva compito di amministrare la giustizia tra i cittadini romani e poteva, in caso di
necessità, essere messo alla testa di un esercito, anche se i suoi poteri erano subordinati a quelli dei
consoli.
- Gli edili curuli che avevano il compito di organizzare i Ludi maximi e i Ludi romani, i giochi connessi
al culto di Giove Ottimo Massimo che in precedenza erano gestiti dai consoli. Si occupavano inoltre,
come gli edili plebei, dell’ordine pubblico, della sicurezza, delle strada, degli edifici pubblici e
dell’approvvigionamento dei mercati.
La legge Ortensia
Nel 287 a.C. venne promulgata la legge Ortensia considerata il punto di arrivo della lunga lotta fra patrizi
e plebei: essa fu emanata dal plebeo QUINTO ORTENSIO nominato dittatore e stabiliva che i plebisciti
votati dall’assemblea della plebe dovevano avere valore per tutta la cittadinanza.
La nobilitas patrizio-plebea
L'emanazione delle leggi Licinie Sestie e le grandi conquiste fatte della plebe tra la fine del IV e gli inizi
del III secolo a.C. chiusero per sempre l'età del dominio esclusivo dei patrizi sullo stato e causarono le
eclissarsi di molte stirpi patrizie a dispetto invece dello sviluppo di famiglie plebee più ricche: si creò la
cosiddetta nobiltà patrizio-plebea anche chiamata nobilitas (cioè formata da nobilis che significa noti,
illustri, cioè coloro che avevano già raggiunto il consolato o discendevano in linea diretta da un console).
La nobiltà patrizio-plebea si rivelò chiusa e legata ai propri privilegi tanto quanto il vecchio patriziato.
L’accesso alle magistrature superiori era di regola riservato ai membri di poche famiglie. La nobilitas
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Tribuni della In origine 2 1 anno Eletti dal concilio della Presidenza del concilio della
plebe poi 10 plebe plebe
Questori Inizialmente 2 1 anno Inizialmente designati Competenze finanziarie
poi aumentano dai consoli, poi eletti dai
concili tributi
Capitolo 3
La conquista dell’Italia
Le fonti
Le principali fonti letterarie riguardanti le conquiste di Roma in Italia sono DIONIGI DI ALICARNASSO,
DIODORO SICULO, LIVIO, CASSIO DIONE, APPIANO DA ALESSANDRIA, PLUTARCO e POLIBIO; a questi si
sommano alcuni documenti epigrafici come i Fasti trionfali o le laminette auree di Pyrgi (città lungo la
costa tirrenica a nord di Roma) e numerose fonti archeologiche.
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Volsci
I volsci discesero dagli Appennini verso la fine del IV secolo a.C. e occuparono tutta la parte meridionale
del Lazio, un tempo parte del regno di Tarquinio il Superbo.
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Sabini
I sabini minacciarono direttamente Roma e furono i primi ad essere integrati nel l'impero: tale
integrazione possedeva sia un volto pacifico sia uno minaccioso, infatti i romani organizzarono una serie
di campagne contro la Sabina. Presto nel territorio sabino vennero create due nuove tribù rustiche.
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Nel 390 a.C. i Senoni guidati da Brenno invasero l'Italia centrale puntando alla città etrusca Chiusi e poi
su Roma. L’esercito romano, frettolosamente arruolato per affrontare i Senoni fu sconfitto e riparò a
Veio, lasciando la città indifesa. Roma verrà così saccheggiata dai Galli che poi scompariranno
rapidamente (sacco di Roma).
La ripresa
La calata dei Galli fu sicuramente traumatica per Roma ma ebbe, in realtà, conseguenze meno gravi di
quelle che le fonti antiche lasciano intendere. A testimoniarlo è la rapidità con cui Roma organizzo
un'ampia politica estera partire dal 390 a.C.; inoltre iniziarono a sentirsi gli effetti positivi della conquista
e della distribuzione del vasto territorio fertile di Veio ai cittadini romani. Negli stessi saranno anche
costruite le mura Serviane. Nonostante la costruzione di questa grande opera difensiva, dopo il sacco
gallico, l'atteggiamento di Roma è decisamente offensivo:
Vengono consolidati i confini settentrionali spingendosi al confine con la città etrusca di Tarquinia,
fronte che venne reso ancora più sicuro dalla stretta intesa con Cere.
Sul fonte sud-orientale gli equi furono rapidamente annientati. Più dura e difficile fu la lotta contro i
volsci, che trovarono appoggio negli ernici e in altre città latine che speravano di riconquistare
l’autonomia da Roma. Anche i volsci furono costretti a cedere, nel 358 a.C.
Gli studiosi hanno ipotizzato tre diverse tipologie relative al concetto di imperialismo che ha portato
l'espansione dell'Impero Romano durante questo periodo:
1. Imperialismo difensivo - secondo il quale Roma ha espanso il proprio dominio grazie ad alcune
guerre difensive casuali e sparse nel territorio.
2. Roma aggressore - secondo il quale Roma si è espansa perché mossa da una volontà espansionistica
e per perseguire un duplice scopo: militarismo e benefici economici
3. Anarchia interstatale multipolare - secondo la quale Roma si è espansa grazie alla propria bravura
nel tessere alleanze favorevoli.
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Sul lato dell'Adriatico già nel 290 a.C. vennero sconfitti i Sabini e i Pretuzzi. La conquista della Sabina
diede a Roma grandi vantaggi economici se si pensa alla fertilità della terra sulla sponda sinistra del
Tevere. Nell’Adriatico settentrionale venne ammesso un territorio un tempo appartenuto ai Senoni che
portò Roma ad affacciarsi alla Pianura padana e, allo stesso tempo, a sbarrare le vie d’accesso a possibili
incursioni galliche nell’Italia centrale. Nelle Marche meridionali i Piceni tentarono una disperata guerra
contro Roma nel 269 a.C. ma furono costretti alla resa.
Dopo circa 30 anni dalla battaglia di Sentino Roma, grazie a queste operazioni militari, era riuscita a
portare i confini settentrionali del territorio sotto il suo controllo lungo la linea che andava dall'Arno a
Rimini.
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L’intervento di Pirro
Taranto ben presto si trovò in difficoltà e fu costretta a chiedere soccorso alla madrepatria greca, aiuto
che arrivò nella figura Pirro, re dei Molossi e comandante della Lega epirotica, che organizza una
spedizione con carattere di crociata in difesa dei Greci d'occidente procurandosi l'appoggio delle potenze
ellenistiche.
Nel 280 a.C. Pirro sbarca in Italia con 22mila fanti, 3mila cavalieri e 20 elefanti da guerra costringendo
Roma ad arruolare, per la prima volta, i capite censi, i nullatenenti, fino ad allora esentati dal servizio
militare.
La battaglia di Eraclea segnò una grave sconfitta per i romani, nonostante questi ultimi fossero in
1 superiorità numerica e più abili in battaglia, il devastante effetto psicologico dovuto agli elefanti diede i
Eraclea
suoi risultati. Questa battaglia mise a rischio le alleanze romane in Italia meridionale: Lucani e Bruzi si
schierarono dalla parte dell'epirota, a questi seguirono anche i Sanniti. Il tentativo di Pirro era quello di
suscitare una ribellione tra gli alleati di Roma anche nell’Italia centrale e collegarsi con gli Etruschi.
Pirro, consapevole di avere un esercito insufficiente per assediare Roma, propose delle trattative di pace
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Roma che chiedevano libertà e autonomia per le città greche dell’Italia meridionale e la restituzione dei territori
strappati a Lucani, Bruzi e Sanniti; le richieste furono però rifiutate dal senato romano.
Questo rifiuto causò un attacco di Pirro che, dopo aver rafforzato il suo esercito, mosse verso l'Apulia
3 settentrionale minacciando le colonie latine. Lo scontro con l’esercito romano inviato per bloccare la sua
Ausculum avanzata avvenne ad Ausculum nel 279 a.C.: la vittoria fu nuovamente di Pirro, ma il suo esercito subì
gravissime perdite. Pirro aveva già vinto due importanti battaglie ma non riuscivo a concludere la guerra
e Roma sembrava invece disposta a resistere all'infinito.
Pirro accolse le richieste di aiuto di Siracusa pensando di riuscire a ottenere il controllo della ricchissima
4 Sicilia. Decise quindi di recarsi sull’isola con una parte del suo esercito, lasciando intanto una forte
Lilibeo
guarnigione a Taranto. Nello stesso anni Roma strinse un’alleanza difensiva con Cartagine che prevedeva
la mutua collaborazione militare contro i Molossi. Cartagine venne in aiuto con 120 navi da guerra ma,
in un primo momento furono più volte sconfitti da Pirro, il quale assediò Lilibeo, all’estremità occidentale
dell’isola: un assedio in realtà è inutile poiché la città riceveva aiuti via mare dove i Cartaginesi godevano
di un’assoluta superiorità.
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La vittoria venne completata negli anni seguenti con operazioni nel Salento e a Reggio; Taranto fu
costretta a diventare alleata romana mentre le città greche meridionali non subirono danni. I territori
italici che avevano appoggiato Pirro furono costretti a donare dei territori. Nel 267- 266 a.C. i Romani
passarono all'offensiva anche in Puglia costringendo le comunità locali alla conclusione di trattati di
alleanza.
Il concetto di romanizzazione
Il termine romanizzazione è inteso come il processo di uniformazione modelli romani dell’Italia e, in
seguito, del Mediterraneo, sotto un profilo giuridico istituzionale socio-economico e culturale. Questo
processo può essere considerato solo in parte imposto da Roma poiché significativa sarebbe stata
l’adesione spontanea delle comunità soggette al controllo di Roma agli schemi della città egemone (si
parla di “autornomanizzazione”). È cioè impensabile pensare che questa adesione ai modelli romani sia
derivata da un processo unilaterale e unidirezionale, sembra corretto affermare che in realtà ogni popolo
assoggettato ai Romani subì un processo di romanizzazione differente, derivato dal contesto geografico
cronologico nel quale si trovava.
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Qualche anno dopo Roma intervenne di nuovo in Illiria, a seguito degli atti ostili del vecchio alleato di
Faro, Demetrio, di cui si temeva anche l’alleanza con Filippo V di Macedonia. Anche la seconda guerra
illirica (219 a.C.) dal punto di vista militare fu un’impresa di poco conto per i Romani: Demetrio fuggì
presso Filippo V e Faro entrò nel protettorato romano, questo episodio gettò però le premesse per
un’ostilità tra Roma e Macedonia.
Negli anni tra le due guerre puniche Roma avviò la conquista dell’Italia settentrionale (conclusa solo nel
II sec. a.C.). L’attenzione di Roma in questa zona venne richiamata dall’incursione dei Galli del 236 a.C.,
che si arrestò davanti alla colonia latina di Rimini. Quattro anni dopo, il tribuno della plebe CAIO
FLAMINIO propose di distribuire a singoli cittadini romani l’ager Gallicus, la regione strappata qualche
decennio prima ai Senoni. Il massiccio insediamento di cittadini romani in un territorio non organizzato,
almeno inizialmente, in centri urbani, rese necessario affrontare il problema dell’amministrazione di un
territorio caratterizzato da un popolamento sparso: la soluzione fu la creazione di centri preurbani, detti
fora o conciliabula, non dotati di autonomia e in cui la giustizia era gestita da prefetti che rispondevano
direttamente al pretore di Roma.
1
Imperium: potere di stampo militare che conferisce al suo titolare la facoltà di impartire ordini ai quali i destinatari non
possono sottrarsi (simboli esteriori di questo potere sono i fasci littori).
2
Giochi Istmici: giochi se si svolgevano ogni quattro anni a Corinto e dai quali erano esclusi i barbari. Ammettere Roma ai
giochi significava dunque insignirla di una sorta di certificato di grecità.
37
I successi di Annibale
La questione di Sagunto venne sfruttata da ANNIBALE per far esplodere il conflitto: alle prime minacce
dei Cartaginesi i Saguntini chiesero aiuto a Roma che però effettivamente si mobilitò solo dopo che
Annibale aveva già espugnato Sagunto. Annibale riteneva che Roma avesse vinto la prima guerra punica
soprattutto grazie all’immenso capitale umano e finanziario assicurato dal suo dominio dell’Italia, il suo
piano era dunque quello di colpire Roma cercando di separarla dai suoi alleati italici. Tuttavia, poiché a
causa del trattato di pace i Cartaginesi avevano un’assoluta inferiorità navale, Annibale decise di invadere
l’Italia via terra, dalle Alpi, sperando nel frattempo di guadagnare l’appoggio delle tribù galliche da poco
sottomesse a Roma. Nel 218 Annibale partendo da Nuova Cartagine valicò i Pirenei e le Alpi, perdendo
molti uomini ma riuscendo ad ottenere il sostegno di Boi e Insubri. Vinse le prime battaglie sui fiumi
Ticino e Trebbia contro l’esercito di PUBLIO CORNELIO SCIPIONE. L’anno seguente vinse contro le truppe
del dittatore CAIO FLAMINIO al Lago Trasimeno, facendo capire a Roma che vincere contro Annibale a
campo aperto era impossibile. Per questo motivo, sotto la spinta dell’ex console QUINTO FABIO MASSIMO
(detto il Temporeggiatore) Roma escogitò una strategia attendista: evitò tutti i possibili scontri a campo
aperto e impedì a Cartagine di ricevere aiuti. Questa strategia che avrebbe sicuramente nel lungo periodo
sfiancato l’esercito di Annibale, nel frattempo avrebbe causato la distruzione dell’Italia da parte dei
cartaginesi. Per questo motivo, scaduti i sei mesi della dittatura di Fabio Massimo, si decise di passare
38
Dopo Canne alcune comunità alleate dell’Italia meridionale abbandonarono Roma: tra di esse ricordiamo
Sanniti, Lucani e Bruzi. Anche alcune polis della Magna Grecia si schierarono con Cartagine come
Metaponto, Turi, Capua, Crotone, Locri e Siracusa ora sotto il controllo del nipote Ieronimo del defunto
Ierone. Nello stesso anno Cartagine strinse un’alleanza con Filippo V di Macedonia.
Contemporaneamente Roma riuscì a fronteggiare con una flotta di 50 quinquiremi l’invasione di Filippo
V in Italia. Le operazioni della prima guerra macedonica interessarono in modo limitato gli eserciti
romani poiché Roma riuscì ad avvalersi dell’azione di una coalizione di Stati greci ostili a Filippo V, tra
i quali primeggiava la Lega Etolica. Gli scontri si conclusero nel 205 a.C. con la pace di Fenice.
La svolta decisiva per la seconda guerra punica fu in Spagna. Dopo la sconfitta del fiume Trebbia, PUBLIO
CORNELIO SCIPIONE aveva raggiunto nella penisola iberica il fratello CNEO. I due fratelli Scipioni
riuscirono per diversi anni a impedire l’arrivo di rinforzi ad Annibale dalla Spagna. Nel 211 a.C. i due
fratelli si trovarono ad affrontare le superiori forze cartaginesi. I romani riuscirono a ritirarsi e a difendere
la Spagna settentrionale fino a quando fu eletto comandante dell’esercito il figlio omonimo di PUBLIO
CORNELIO SCIPIONE, noto col cognomen di AFRICANO. Nel 209 a.C. Africano si impadronì di Nuova
Cartagine e sconfisse l’anno seguente il fratello di Annibale, ASDRUBALE, nella località di Baecula.
Nel frattempo in Italia, Annibale non potendo ricevere soccorsi dalla madrepatria si ritirò a Bruzio.
Scipione contemporaneamente sconfisse definitivamente Cartagine in Spagna nella battaglia di Ilipa nel
206 a.C. e, tornato in Italia, dopo essere stato eletto console, progettò l’invasione dell’Africa.
Essenziale per la riuscita delle operazioni in Africa fu l’alleanza con MASSINISSA re dei Numidi. Lo
sbarco in Africa avvenne nel 204 a.C. e l’anno dopo Scipione e Massinissa colsero un’importante vittoria
nella battaglia dei Campi Magni. Le trattative di pace però fallirono a cause delle dure condizioni di
Roma, che mirava a eliminare per sempre la minaccia punica. Nello stesso anno Annibale tornò in Africa
e, nel 202 a.C., combatté l’ultima e decisiva battaglia a Zama, vinta dai Romani. Nel 201 a.C. fu firmato
il trattato di pace che imponeva a Cartagine di: consegnare tutte le navi, eccetto dieci; pagare una forte
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L’eredità di Annibale
L’impresa di Annibale ha dato origine ad una trasformazione di Roma: si crearono nuove e più rigide
forme di controllo. Roma punì le comunità traditrici imponendo un censimento rigido, secondo le regole
romane; Capua fu privata dell’autogoverno e amministrata da Roma e le vennero sottratti ampi porzioni
dell’ager publicus così come a Bruzio, Lucania, Apulia, Sannio. Partì inoltre un progetto di fondazione
di otto colonie tra il 197 e 192 con il fine di creare capisaldi di controllo: Volturno, Literno, Pozzuoli,
Manfredonia, Salerno, Policastro, Lamezia, Crotone; ad esse si aggiunsero Copia e Valentia. Alcune di
esse iniziarono a spopolarsi in breve tempo mentre altre divennero importanti centri economici.
Sul piano economico si verificò una crisi dei piccoli e medi proprietari terrieri causata dalla crisi
demografica portata dalla guerra, distruzioni materiali causate dagli eserciti.
Nel II a.C. si definì un nuovo modello di sfruttamento del territorio a quello un tempo prevalente della
famiglia di agricoltori che coltivava per autoconsumo: l’aristocrazia investì nelle terre, talvolta usurpando
territori statali. Nei terreni degli aristocratici lavorava una massa sempre crescente di schiavi, i quali non
erano soggetti al servizio militari quindi erano sempre disponibili e non dovevano essere pagati.
Principalmente le coltivazioni prevedevano cereali, ulivi e viti e erano destinate ai mercati, assicurando
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La guerra siriaca
Negli stessi anni in cui Flaminino regolava gli affari della Grecia, il re ANTIOCO III di Siria, approfittando
della debolezza dell’Egitto e della Macedonia stava estendendo la propria egemonia in Asia Minore:
alcune città, come Smirne e Lampasco, sostenute dal re di Pergamo EUMENE II, chiesero aiuto a Roma.
Antioco aveva infatti attraversato con un esercito l’Ellesponto reclamando i possedimenti della costa
della Tracia. Roma chiedeva la cessazione degli attacchi contro le città autonome dell’Asia Minore e
l’immediata evacuazione dell’Europa. Antioco però respinse le richieste, egli da un lato assicurò di non
nutrire ostilità nei confronti di Roma, dall’altro reclamò la fondatezza delle sue pretese su Asia Minore
e Tracia.
La guerra siriaca scoppiò nel 192 a.C. quando la Lega Etolica costrinse Antioco III a liberare la Grecia
dal controllo romano. Antioco, rispondendo all’appello, decise di recarsi con un piccolo esercito nei
territori degli Etoli. Egli aveva però sopravvalutato il sostegno del quale avrebbe potuto godere, la Lega
41
42
La Spagna
Roma era riuscita ad annientare Cartagine ma non aveva ancora risolto la situazione in Spagna. Nel 197
a.C. nei territori occupati in Spagna vennero organizzate due nuove province: Spagna Citeriore (a Nord)
e Spagna Ulteriore (a Sud) governate da due pretori; le due province dovevano pagare un tributo a Roma
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MOMMSEN: Nella seconda metà dell’Ottocento e prima del Novecento si sviluppa la teoria
dell’imperialismo difensivo secondo cui Roma è divenuta un impero a causa della risposta a minacce
di altre potenze;
HARRIS: Nella seconda metà del Novecento si sviluppa la teoria dell’imperialismo offensivo secondo
cui Roma con la sua politica aggressiva ha intrapreso numerose guerre che l’hanno resa un impero;
ECKSTEIN: in anni più recenti si è sviluppato il modello realistico basato sulla constatazione che tra
il III e II sec a.C. il Mediterraneo era multipolare e Roma per perseguire la propria sicurezza ed
espandersi ha intrapreso una serie di guerre che l’hanno resa impero.
Tutte le teorie hanno punti di forza e punti deboli ma di sicuro Roma ha accelerato la propria espansione
in modo aggressivo e spietato, come si può assumere con la distruzione di città come Corinto e Cartagine.
È importante ricordare che Roma non possedeva un’unica volontà precisa ma era costellata da diverse
visioni politiche. Una caratteristica dell’imperialismo Romano riguarda la dimensione etica della guerra
connessa a quella religiosa (come dichiarare guerra, come condurre la guerra, come trattare i vinti etc.).
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Rivolte servili
Il moltiplicarsi di queste grandi tenute a personale schiavile e il dilatarsi delle zone destinate al pascolo
in cui il bestiame era difeso e vegliato da schiavi-pastori armati, crearono i presupposti per il ripetuto
esplodere di rivolte servili.
La prima rivolta si verificò ad Enna nelle tenute del proprietario terriero DAMOFILO e si diffuse poi in
tutta l’isola. I mezzi ordinari non furono sufficienti ad arginare la ribellione e Roma fu costretta ad inviare
nell’isola tre consoli e solo l’ultimo, PUBLIO RUPILIO, riuscì nel 132 a.C. a domare la ribellione.
La crisi della piccola proprietà fondiaria fece sì che la maggior parte dell’ager publicus si concentrasse
nelle mani dei grandi proprietari terrieri accentuando lo sfruttamento dei più piccoli: era necessaria una
serie di norme che regolasse la dimensione dell’ager publicus. L’ultima di tali leggi è attribuita a CAIO
LELIO, il suo progetto attirò però l’opposizione dei senatori tanto che egli si ritirò.
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Caio Gracco
Nel 123 a.C. fu eletto Tribuno della plebe CAIO GRACCO, fratello minore di Tiberio, il quale ampliò i
poteri della commissione triumvirale introdotta dalla legge agraria del fratello Tiberio.
Dato che molte delle terre erano già state distribuite egli propose l’istituzione di nuove colonie di cittadini
romani sia in Italia sia nei territori della distrutta Cartagine. Propose una legge frumentaria assicurando
a tutti i cittadini residenti a Roma una quota mensile di grano a prezzo agevolato. Il grano necessario era
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Caio istituì una legge giudiziaria volta a limitare il potere del Senato integrando molti Cavalieri nel corpo
da cui attingere per la formazione degli albi dei Giudici; in questo modo i senatori non sarebbero più stati
giudicati esclusivamente da giudici provenienti dal senato stesso ma anche da Cavalieri.
Il Senato, i cui privilegi venivano messi in discussione, per contrastare Caio utilizzò il tribuno MARCO
LIVIO DRUSO che fece proposte opposte. Infatti, al momento Caio si trovava in Africa per procedere alla
fondazione della colonia presso Cartagine. Al suo ritorno, nel 122 a.C. Caio si rese conto del proprio
declino e, candidato al tribunato, non fu rieletto nel 121 a.C.
Per demolire definitivamente il prestigio di Caio il Senato decise di revocare la fondazione la colonia
Cartaginese poiché fu associata a presagi funesti; Gracco e l’altro membro della commissione per la
fondazione della colonia, FULVIO FLACCO, si opposero ma scoppiarono disordini generali che causarono
l’istituzione del senatus consultum ultimum, una misura eccezionale che permise al console LUCIO
OPIMIO di ordinare il massacro dei sostenitori di Gracco. Flacco morì negli scontri e Gracco si fece
uccidere da uno schiavo.
3
Annona: l’intera serie di operazioni indispensabili per rifornire i mercati di Roma di derrate di prima necessità, sufficienti
a soddisfare le esigenze alimentari della popolazione.
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indipendenza delle città greche, ma senza successo, si rivolse allora alle popolazioni dell’interno a cui
fece promesse di miglioramento sociale promulgando l’instaurazione di uno stato utopico, una “città del
sole” dove tutti sarebbero stati liberi e uguali. Il compito di combattere Eumene III fu sostenuto
inizialmente soprattutto dai re alleati di Roma, dalle comunità locali e dalle poleis. Solamente nel 130
a.C. la rivolta fu arginata e Eumene III fu catturato. I territori di Pergamo furono riorganizzati nella
provincia d’Asia (che comprendeva Misia, Troade, Lidia, Frigia e Caria).
Gallia
La Gallia meridionale, che consentiva il passaggio terrestre dalle regioni liguri alla Spagna, attirò
l’attenzione e l’impegno romano. Rispondendo a una richiesta d’aiuto dell’alleata Marsiglia contro tribù
celto- liguri e
galliche, fu inviato
nel 125 a.C. un
esercito che
sconfisse
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Baleari
Nel 123 a.C. furono conquistate le isole Baleari che erano divenute basi di attività piratiche dannose ai
traffici marittimi. Le Baleari furono annesse alla provincia di Spagna Citeriore e sottoposte a un prefetto
nominato dal governatore.
Dalmazia danubiana
Nel contempo, tra il 119 a.C. e il 110 a.C., furono condotte molte campagne militari contro le tribù
illiriche della Dalmazia (Scordisci e Taurisci).
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4
Legato: comandante dell’esercito
51
La guerra sociale
La differenza di stato giuridico e sociale tra i cittadini di Roma e gli alleati Latini e Italici non aveva
suscitato grandi contestazioni agli inizi del II secolo, quando essa trovava effettivo riscontro in differenze
etniche e culturali e quando l’organizzazione politica era pensata in una dimensione pressoché locale.
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Capitolo 2
I primi grandi scontri armati
Le fonti
Fonti dalla guerra mitridatica a Silla (88-78):
APPIANO, PATERCOLO, FLORO, OROSIO, DIONE, DIORO SICULO, CICERONE, LICINIANO. Epigrafiche:
lex municipi terantini, tabula bantina.
Fonti da morte di Silla al consolato Pompeo e Crasso (78-70):
APPIANO, PLUTARDO, PATERCOLO, FLORO. Epigrafiche: lex antonia de termessibus e decreto di gizio.
Fonti dalla guerra piratica di Pompeo al ritorno in Oriente (70-62):
APPIANO, DIONE, LIVIO, OROSIO, VALERIO MASSIMO, PATERCOLO, FLORO, SALLUSTIO, CICERONE,
PLUTARCO, FLAVIO GIUSEPPE.
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Capitolo 3
Dal “primo triunvirato” alle idi di marzo
Le fonti
Fonti dal ritorno di Pompeo alla guerra gallica (62-50 a.C.):
Orosio, Dione, Valerio Massimo, Velleio Patercolo, Floro, Cicerone, Plutarco, Flavio Giuseppe, Cesare.
Epigrafiche: lex gabinia.
Fonti dalla guerra civile alle idi di marzo (50-44 a.C.):
Appiano, Dione, Cesare, Livio, Nicola di Damasco, Cicerone, Varrone, Sallustio.
Epigrafiche: tavola di eraclea, lex rubia.
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Cesare in Gallia
Quando Cesare giunse nelle proprie province, gli Elvezi stavano minacciando la provincia romana che
dall’attuale Svizzera stavano migrando verso occidente. Cesare attaccò e sconfisse gli Elvezi, pur con
pesanti perdite. Cominciava così la lunga conquista cesariana della Gallia (58 a.C.).
Nel frattempo un gruppo di Svevi, una tribù germanica stanziata oltre il Reno e guidata da Ariovisto era
passata sulla sponda sinistra del fiume. Roma intervenne inducendo Ariovisto a ritirare le sue genti al di
là del Reno. Poiché le migrazioni verso l’Alsazia erano riprese Cesare, dopo aver intimato ad Ariovisto
di ritararsi, procedette a marce forzate e, fallito un estremo tentativo di accordo con l’avversario, lo
affrontò in battaglia e lo sconfisse nell’Alsazia superiore, costringendolo a ripassare il Reno (58 a.C.).
La presenza romana in Gallia centrale suscitò a nord le reazioni delle tribù dei Belgi (che occupavano le
regioni a nord della Senna e della Mosella), allarmate dalla vicinanza delle legioni. Cesare riuscì a
impadronirsi delle loro piazze forti, riducendo alla resa le loro tribù (57 a.C.).
Nel frattempo un legato di Cesare, PUBLIO LICINIO CRASSO (figlio maggiore di Crasso), si spinse in
Normandia e in Bretagna, sottomettendo numerose tribù (57-56 a.C.).
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Crasso e i Parti
Crasso giunto in Siria (54 a.C.) aveva cercato di inserirsi nella contesa dinastica per il regno dei Parti
conteso dai figli re Fraate III: ORODE e MITRIDATE. Divenuto re Orode II, Crasso si schierò con il fratello
rivale e attaccò il primo. Nel 53 a.C. accompagnato dal figlio Publio, Crasso, invece di invadere il paese
da nord, si rimise in marci attraverso le steppe della Mesopotamia senza aver mai incontrato prima il
grosso dell’esercito partico, né aver assunto informazioni sufficienti sul luogo o sui nemici. Venuti a
contatto con i parti, guidati da SURENA in una vasta pianura della Mesopotamia nord-occidentale, i
romani furono travolti dalla cavalleria corazzata partica e massacrati dalle frecce degli arcieri a cavallo.
Lo stesso figlio di Crasso cadde sul campo di battaglia. Fu una delle sconfitte più gravi mai patite da
Roma, la stessa provincia di Siria si trovò minacciata. Mentre si ritirava Crasso fu preso e ucciso. Il primo
triumvirato perdeva così uno dei suoi protagonisti.
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Le idi di marzo
L’eccessiva concentrazione di poteri, il moltiplicarsi di onori senza precedenti, il fatto che ogni carriera
politica potesse svolgersi solo sotto il consenso di Cesaree l’inclinazione verso la regalità, crearono
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Capitolo 4
Agonia della Repubblica
Le fonti
Dall’assassinio di Cesare ad Azio (44-31):
DIONE, APPIANO, CICERONE, ORAZIO, VIRGILIO, VELLEIO PATERCOLO, FLORO, PLUTARCO, SVETONIO;
Epigrafiche:
Città di Afrodisia di Caria, lettera di Ottaviano, ricco Dossier su Seleuco, lettera Ottaviano ai Mylasani,
monumento commemorativo Azio, Laudatio turie e res gesta.
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Antonio in Oriente
Negli anni successivi le battaglie di Filippi, Antonio aveva concentrato le proprie attenzioni sulle Oriente:
sperando di terminare i progetti di Cesare contro i Parti. Egli aspirava ad un’alleanza con il regno più
potente della zona: l’Egitto guidato da CLEOPATRA VII insieme al figlio (avuto da Cesare) Tolomeo
Cesare. Antonio trascorse l’inverno 41-40 a.C. in Egitto e ebbe due gemelli da Cleopatra. Nella primavera
del 40 a.C. i Parti di ORODE II invasero la Siria, l’Asia Minore e la Giudea. Nelle 39 a.C. il generale
PUBLIO VENTIDIO BASSO respinse i Parti e divenne governatore della Siria; nel 37 a.C. si aprì in Partia
una crisi dinastica che consentì a Erode (re di Giudea) di espellere i Parti dalla Giudea.
Antonio ritorno in Oriente nel 37 a.C. e cercò di dare un nuovo assetto a quei territori, attraverso la
creazione di principati a lui fedeli, qui ritrovò Cleopatra e riconobbe i suoi gemelli. Nel 36 a.C. Antonio
inizia una spedizione contro i Parti che si concluderà solo nel 34 a.C. con la sola conquista dell’Armenia.
Nel 35 a.C. vi fu la definitiva rottura tra Antonio e Ottaviano: Ottaviano restituì solo 70 delle 120 navi
da lui ricevute così Antonio non accettò la restituzione parziale e ripudiò la moglie Ottavia. A questo
punto l’offeso divenne Ottaviano poiché, la sorella, una nobile romana, era stata rifiutata a causa di
un’amante orientale. Antonio, per contro, celebrò la presa dell’Armenia, riconobbe a Cleopatra e a
Tolomeo Cesare il trono d’Egitto e attribuì altri territori ai figli da lui avuti con Cleopatra. Ottaviano,
non gradì l’innalzamento del figlio naturale di Cesara.
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Dal 31 al 23 a.C. Augusto fu continuamente eletto console. Essere console significava ricoprire la più
alta carica dello stato quanto a completezza di imperium.
Nel 28 a.C. Ottaviano fu fatto princeps senatus, furono indotti alle dimissioni circa 190 senatori, per la
maggior parte antoniani, che furono sostituiti con alcuni fedelissimi. Sempre nel 28 a.C. fu realizzata una
nuova moneta che ritraeva Ottaviano trionfante, con le iscrizioni: Imp(erator) Caesar Divi f(ilius)
co(n)s(ul) VI / leges et iura p(opuli) r(omani).
Dal 26 al 23 a.C.
Tra il 27 e il 25 a.C. Augusto fu assente da Roma per recarsi in Gallia e in Spagna settentrionale. In
questo mondo dimostrava di provvedere in prima persona alla pacificazione dei territori provinciali che
gli erano stati assegnati. Augusto, negli anni successivi, alternò periodi triennali di permanenza nelle
province a periodi biennali di residenza a Roma.
Consolati di Ottaviano
Anno Console 1 Console 2
31 a.C. Ottaviano Augusto Marco Antonio
30 a.C. Ottaviano Augusto Marco Licinio Grasso
29 a.C. Ottaviano Augusto Sesto Appuleio
28 a.C. Ottaviano Augusto Agrippa
27 a.C. Ottaviano Augusto Agrippa
26 a.C. Ottaviano Augusto Tito Statillo Tauro
25 a.C. Ottaviano Augusto Marco Giunio Silano
24 a.C. Ottaviano Augusto Caio Norbano Flacco
23 a.C. Ottaviano Augusto Terenzio Varrone Murena (sostituito da Cneo
Calpurnio Pisone poiché condannato per una congiura)
1. In Spagna Augusto si era ammalato gravemente e, pensando di essere sul puto di morte, cercò delle
soluzioni per una sua eventuale successione; teoricamente, dopo la sua morte la gestione dello stato
sarebbe tornata agli organi istituzionali poiché i suoi poteri erano personali e non trasferibili. Inoltre
egli non aveva figli maschi, dunque puntò sulla figlia Giulia, la quale aveva sposato il cugino MARCO
CLAUDIO MARCELLO (figlio di Ottavia, sorella di Augusto), che era già stato introdotto in politica.
Contro ogni aspettativa Augusto si riprese riassumendo tutti i propri incarichi contrariamente, mentre
Marcello morì nel 23 a.C. e giulia fu data in moglie ad Agrippa.
2. Motivo di irritazione per molti fu che a partire dal 31 a.C. Augusto aveva occupato stabilmente un
posto nel consolato, limitando le ambizioni di molti. Nel 23 a.C. Augusto depose il consolato e non
lo ricoprì più se non brevemente nel 5 e nel 2 a.C. in sostituzione ottenne un imperium proconsolare
a vita, grazie al quale poteva agire anche sulle province pacificate. Augusto fu inoltre insignito della
tribunicia potestas vitalizia, grazie alla quale godeva di tutti i diritti dei tribuni della plebe senza però
l’obbligo di non allontanarsi da Roma; gli fu dato il diritto di convocare il senato. Le elezioni
potevano essere influenzate da Augusto attraverso due procedure: la nominatio cioè l'accettazione
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Figura 22 Figura 21
Circoscrizioni Regioni
di Roma sotto italiane
Augusto sotto
Augusto
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Leggi augustee
A partire dagli anni 19-18 a.C. Augusto fece votare una serie di leggi che rimisero in vigore le
consuetudini degli antenati ormai in disuso:
Leges iuliae su famiglia, matrimonio, celibato, adulterio,
Leggi suntuarie che ponevano limiti alla sontuosità dei banchetti e introducevano differenze tra
quanto era lecito spendere nei giorni feriali e festivi,
Leggi per un più corretto ed equo funzionamento degli organi publici,
Lex maiestatis.
La lex iulia maritandi e rafforzato poi dalla lex papia poppaea incentiva le unioni matrimoniali e la
procreazione con privilegi economici e sanzioni per i celibi (25-60 anni) e le nubili (20-50 anni), che
erano esclusi dal testamento. Erano introdotte agevolazioni per chi aveva figli. Con la lex papea poppea
venivano accresciuti i premi per chi avesse figli.
Con la lex iulia de adulteriis coercendis erano tramutati in crimini pubblici e puniti pubblicamente i reati
sessuali (stupro e adulterio: un padre poteva uccidere figlia e amante mentre un marito non poteva
uccidere la moglie, solo l’amante).
Altre leggi regolarono le questioni dei reati di corruzione, la speculazione sul grano, scindevano la vita
privata da quella pubblica, assegnavano i posti a teatro, restringevano il diritto di manomettere gli schiavi.
Una legge particolare era la maiestatis che puniva severamente chi attentava al principe con la pena
capitale o con l’esilio e la confische dell’intero patrimonio.
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Figura 23
Espansione
Impero sotto
Augusto
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Epigrafia: tebula hebana, ilicitana, siarensis, lex portorii asiae, numistica e pariracea.
Una dinastia?
Augusto mori in Campania nel 14 d.C., vi trasportato a Roma e le sue ceneri tumulate nel mausoleo di
famiglia. Il senato volle sancire la divinizzazione di Augusto. Tiberio ottenne i poteri di Augusto per
volere del senato e resto in carica fino al 37 d.C.
Il potere restò nelle mani della famiglia Giulio Claudia da 14 al 68 d.C.
Alla morte di Tiberio il progetto di Augusto di far governare insieme il figlio di Tiberio, Druso e
Germanico non poté realizzarsi poichè morirono entrambi. Il potere andò a Caio, detto CALIGOLA, figlio
di Germanico. Alla sua morte il potere rimase nella famiglia di Germanico e fu eletto princeps CLAUDIO,
primo non appartenente alla dinastia Giulia. Alla morte di Claudio salì NERONE, figlio di un aristocratico
estraneo alla famiglia augusta, ma erede per parte di madre in quanto figlio di Agrippina, figlia di
Germanico.
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A capo di essi vi erano i liberti, che acquisivano un potere immenso (per questo motivo il suo impero è
ricordato come “impero dei liberti”). L’imperatore miglioro molti servizi: costruì il porto di Ostia per
l’attracco ed il deposito delle merci; miglioro il sistema delle distribuzioni dei granai, costruì due nuovi
acquedotti e bonificò la piana del Fucino per aumentare la superfice coltivabile in Italia.
Intervenne in Oriente e modificò l’assetto di regni clienti creati da Caligola, tornando alle decisioni
Tiberiane.
L’impresa militare più rilevante fu nel 43 d.C. la conquista della Britannia ridotta a provincia.
Claudio prese come terza moglie Messalina che in sua assenza si legò in modo manifesto ad un giovane
console e venne eliminata; la quarta moglie fu Agrippina minore che costrinse Claudio ad adottare il
figlio Nerone, affiancato da Seneca per la formazione. Claudio morì misteriosamente nel 54 d.C. e
Agrippina fu accusata di avvelenamento per garantire al figlio il principato.
La società imperiale
Alla base della società romana vi era l’assunto per cui vi doveva essere una distinzione tra gli status
giuridici delle persone. Già Augusto introdusse elementi di distinzione per i ceti tra senatori ed equites.
La schiavitù era diventata un fenomeno caratteristico della società e dell’economia della repubblica
romana e costituiva il 40% della popolazione in Italia; grandi quantità di schiavi erano impiegati in
agricoltura ma vi era anche una notevole presenza di schiavi domestici impiegati in attività artigianali e,
soprattutto tra gli schiavi di origine greca più istruiti, nell’ambito dei servizi (istruttori, medici, segretari,
amministratori). Una categoria particolarmente importante era costituita dagli schiavi imperiali la
famiglia Caesaris, che si occupava della gestione finanziaria ed amministrativa dell’impero.
Lo schiavo che riusciva ad acquistare la propria libertà diventava liberto, schiavo liberato dalla propria
condizione, che però rimaneva legato all’ex padrone da un rapporto di clientela e aveva limitazione per
l’accesso alla vita pubblica e alle magistrature.
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Capitolo 3
I quattro imperatori e la dinastia Flavia
Le fonti
SVETONIO, TACITO, PLUTARCO, VITTORE, OROSIO, EUTROPIO, FLAVIO GIUSEPPE, QUINTILIANO, PLINIO IL
GIOVANE E PLINIO IL VECCHIO, DIONE, EPITTERO, EUSEBIO, FILOSTRATO, GELLIO, STAZIO, MARZIALE,
GIOVENALE, FRONTINO;
Epigrafia:
Lex impero vespasiani; lex flavia municipalis, papiro Fouad 8, editto di tiberio giulio Alessandro.
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All’inizio del 69 d.C., in occasione del rinnovo annuale del giuramento di fedeltà all’imperatore, due
delle tre legioni della Germania Superiore si rifiutarono di prestarlo e si ribellarono. Il loro esempio fu
seguito dall’esercito della Germania Inferiore che proclamò imperatore il proprio legato, AULO VITELLIO.
A tale designazione aderirono tutti gli eserciti delle Germanie. Galba cercò di mantenere il proprio ruolo
assumendo un collaboratore, Lucio Calpurnio Pisone, ma la nomina non fu gradita ai pretoriani e
soprattutto a MARCO SALVIO OTONE (che lo aveva aiutato nella sua ascesa al potere). Dopo pochi giorni
i pretoriani acclamarono Otone imperatore e massacrarono Galba, Pisone e i loro seguaci.
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Nel corso del suo impero ristabilì l’ordine delle zone di confine lasciate sguarnite dalle truppe che
avevano partecipato alle guerre civili, tanto sul Danubio che in Britannia.
In Oriente fu abbandonata la politica degli Stati cuscinetto retti da re clienti, aggregando i territori delle
province esistenti o creandone di nuove. Al momento dell’ascesa di Vespasiano i territori dell’Asia
Minore non erano tutti sotto il controllo romano: vi sopravvivevano due stati vassalli che si frapponevano
tra i territori romani e quelli partici: la Commagene (sotto ANTIOCO IV) e l’Armenia Minore (sotto
ARISTOBULO). Nel 72 d.C. il governatore di Siria accuso Antioco IV di infedeltà: il sovrano venne
deposto. Il regno di Commagene fu preso, disciolto e incorporato nella provincia di Siria. Nello stesso
anno l’Armenia minore fu annessa alla provincia di Cappadocia.
Complessivamente Vespasiano riuscì a godere di un certo consenso, gli unici episodi di opposizione
furono da parte di alcuni senatori appartenenti al circolo dei filosofi cinici e stoici, contro l’idea del
principato ereditario, e furono sedate facilmente bandendo alcuni filosofi da Roma.
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Negli anni 82-83 d.C. intraprese campagne contro i Catti, una popolazione stanziata sulla riva destra del
medio Reno; dopo la vittoria si fregiò del titolo di Germanicus e intraprese la costruzione di opere
difensive sulla linea esterna del Reno (limes5).
Nel 84-85 d.C. Domiziano affrontò il problema della Dacia in cui il re DECEBALO aveva unificato diverse
tribù: Domiziano respinse i daci oltre il fiume Reno e torno a Roma affidando le operazioni al prefetto
del pretorio CORNELIO FUSCO che nel 86 d.C. condusse una spedizione ma fu attaccato e ucciso insieme
a parte del suo esercito. Nell’88 d.C. la guerra riprese e Roma conseguì la vittoria. Domiziano celebrò a
Roma il trionfo ma Decebalo ottenne la pace anche a causa della rivolta di Lucio Antonio Saturnino,
governatore della Germania Superiore, proclamato imperator dalle sue legioni, sollevazione che
costrinse Domiziano a stipulare una tregua provvisoria. Decebalo firmò un foedus (trattato di pace) che
gli permetteva di mantenere tutto il suo territorio sottomettendosi al dominio romano e ricevendo in
cambio un sussidio in denaro.
Domiziano, successivamente alla rivolta di Saturnino, si sentì sempre più minacciato e inaugurò un’epoca
di persecuzioni ed eliminazioni di persone sospettate di tramare contro di lui.
L’aspetto moralistico, talora esasperato, fu un elemento tipico della politica di Domiziano. I rapporti di
Domiziano con la parte più conservatrice del Senato si modificarono col tempo a causa
dell’accentuazione del carattere autocratico dell’imperatore. Dopo soli due anni dall’avvento di
Domiziano al principato i suoi oppositori in senato erano sottoposti a processi. Il contrasto divenne più
aspro all’accentuarsi delle manifestazioni assolutistiche dell’imperatore quali la rimozione di generali,
l’autocelebrazione e la celebrazione dei trionfi, la moltiplicazione dei ludi nei quali veniva glorificato
accanto alle divinità. Domiziano processò tutti coloro che avrebbero potuto sottrargli la carica: Sabino,
il cugino; Tito Flavio Clemente, suo parente e collega al consolato e altri.
Nel 96 d.C. cadde vittima di una congiura da parte di alcuni senatori, i nuovi prefetti del pretorio, vari
funzionari di palazzo e forse anche la moglie, e verrà sottoposto dal senato alla damnatio-memorie cioè
la cancellazione del suo nome e volto dalle iscrizioni e dai monumenti finalizzata a cancellarne il ricordo.
Fu proclamato imperatore MARCO COCCEIO NERVA.
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Limes: strade che si inoltravano nei territori non ancora conquistati dotate di posti fortificati e destinate a facilitare la
penetrazione romana; assunse poi il significato di frontiera artificiale in cui le strade servivano a collegare tra loro gli
accampamenti e a disegnare di fatto la linea di separazione tra l’impero e i territori esterni.
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Capitolo 4
Il II secolo
Le fonti
Fonti: Panegirico e l’epistolario di PLINIO IL GIOVANE, VITTORE, OROSIO, EUSEBIO, ERODIANO, DIONE
DI PRUSA, LUCIANO DI SAMOSATA, ERODE ATTICO, Orazione a Roma di ELIO ARISTIDE, PLUTARCO,
LUCIANO, FILOSTRATO, PUSANIA, FRONTINO, GAIO, FRONTONE, MARCO AURELIO, Nuovo Testamento,
Apologia di GIUSTINO, Dialogo di IRENEO, Atti dei martiri; documenti: colonne aureliana e traiana;
Epigrafia:
Iscrizioni colonne, regolamenti fiscali è economici, tavole bronzee dalla Lusitania, archivi amministrativi
e privati, papiri scoperti nel deserto di Giuda offrono notizie sulle province orientali.
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Nel 136 d.C. Adriano ebbe un tracollo di salute, con una patologia che gli infliggeva dolori insopportabili
e ne inaspriva il carattere. Si aprì la questione della successione: Adriano scelse come proprio successore
Tito Aurelio Antonino che sali in carica nel 138 d.C. alla morte di Adriano, e fu detto Antonino Pio.
Marco Aurelio (161-180 d.C.) e Lucio Vero (161-169 d.C.), Marco Aurelio e
Commodo (177-180 d.C.)
MARCO AURELIO succedette ad Antonino Pio senza problemi e sorprese tutti recuperando i desideri di
Adriano e proponendo che il fratello LUCIO VERO condividesse con lui il principato. Era il primo caso di
doppio principato, cioè di coreggenza piena nella storia imperiale romana. Le fonti letterarie descrivono
Marco Aurelio pieno di virtù mentre Lucio Vero un uomo vizioso.
All'inizio del principato vi furono agitazioni sulle frontiere di Britannia, Germania e Rezia sedate con
facilità. Nel 161 d.C. si riaprì il problema partico, il re Vologese IV, alla notizia della morte di Antonino
Pio decise di occupare l’Armenia. Il legato romano della Cappadocia accorso per fronteggiare la
situazione fu pesantemente sconfitto e trovò la morte. Contemporaneamente i parti invasero la Siria, fu
inviato in Oriente Lucio Vero (162 d.C.). I romani penetrarono in Armenia che fu sottomessa e vi
lasciarono un presidio permanente.
Le legioni di Siria verso la fine del 163 d.C. diedero inizio all’offensiva contro la Partia, dopo che i parti
avevano cacciato il re d’Osroene alleato dei romani. Tra il 165 e il 166 d.C. gli eserciti romani
penetrarono in Media. Più o meno contemporaneamente furono organizzate spedizioni contro gli arabi,
che probabilmente si erano alleati con i parti. La pace fu conclusa nel 166 d.C.
Nella primavera del 166 d.C. Lucio Vero partì alla volte di Roma, i due imperatori vi celebrarono il
trionfo e ai due figli di Marco Aurelio, Lucio Aurelio Commodo ed Annio Vero, fu conferito il titolo di
Cesare.
La guerra partica fu responsabile della crisi che travagliò l’impero negli anni successivi. Infatti l’esercito
portò con se la pestilenza che causò lutti e devastazioni con gravi conseguenze demografiche ed
economiche. Contemporaneamente lo sguarnimento della frontiera settentrionale tra Alto Reno e Alto
Danubio creò le condizioni perché i popoli confinanti, soprattutto Marcomanni e Quadi, si facessero
pericolosi. Nel 168 d.C. Marco Aurelio e Lucio Vero mossero verso settentrione e presero le necessarie
misure per far fronte alla situazione. L’invasione fu momentaneamente contenuta e respinta. Verso la
fine del 168 d.C. i due imperatori ripresero la strada per Roma, ma durante il percorso di ritorno Lucio
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Nel 175 d.C. Marco Aurelio abbandonò il fronte danubiano e partì per l’Oriente accompagnato dalla
moglie Faustina e dal giovane COMMODO, durante il viaggio Faustina morì improvvisamente e Marco
proseguì ugualmente il viaggio con Commodo, toccando Siria, Palestina, Egitto e Grecia e tornò a Roma
nel 176 d.C. All’inizio del 177 d.C. si associò al figlio Commodo che divenne imperatore coreggente.
Nel 178 d.C. i Marcomanni e i Quadi si ribellarono contro le dure condizione che erano state loro imposte.
Nell’estate Marco Aurelio e Commodo ripartirono per il fronte danubiano dove riportarono una grande
vittoria nel 180 d.C., stesso anno in cui Marco Aurelio si ammalò e morì.
In politica interna Marco Aurelio mantenne una linea di continuità con i propri predecessori. Il fatto che
con lui si tornasse alla successione dinastica fui ampiamente criticato, ma egli per garantire stabilità al
principato affiancò al giovane Commodo une serie di consiglieri ed esperti che guidarono con efficacia i
primi passi del nuovo imperatore.
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Tendenze assolutistiche
È al nuovo ruolo dell’esercito, in particolare, che si deve la trasformazione del potere imperiale verso
forme sempre più marcatamente assolutistiche. Cambia nello stesso tempo anche il rapporto tradizionale
tra l’imperatore e il senato: ormai l’imperatore riconosceva al senato solo la funzione di organismo
burocratico soggetto alla propria autorità assoluta.
Settimio Severo
Il governatore della Pannonia SETTIMIO SEVERO si diresse a Roma condannando il comportamento dei
pretoriani. Fece condannare a morte gli assassini di Pertinace e sciolse la guardia pretoriana che sostituì
con uomini tratti dalle sue legioni. Nel mese che trascorse a Roma Severo si preoccupò di consolidare il
proprio rapporto con il senato. Settimio Severo trascorso gran parte del suo regno in spostamenti continui
in larga misura dovuti a campagne militari. Egli nominò suo figlio Bassiano (noto poi con il nome di
CARACALLA) come suo successore dell’Impero. Caracalla fu definitivamente riconosciuto come
successore designato. Nel medesimo tempo elevò il figlio minore, GETA, al rango di Cesare. I contrasti
ormai riguardavano però Caracalla e il fratello minore. Severo aveva desiderato che dopo di lui l’Impero
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La minaccia persiana
In Persia, alla testa del regno partico alla dinastia degli Arsacidi succedette quella, dei Sasanidi. Da tempo
il regno partico non era stato più in grado di opporre un’efficace resistenza a Roma. Questa serie di
insuccessi fu all’origine di una ribellione che si concluse con la conquista del potere di ARDASHIR che
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Severo Alessandro reagì muovendo incontro al nemico nell’estate del 232 d.C. alla testa di tre diversi
eserciti. La mancanza di fiducia che i soldati avevano in lui gli fu fatale. All’inizio del 235 d.C. un soldato
di modeste origini, a quel che narrano le nostre fonti dall’aspetto fisico terrorizzante, noto con il nome di
MASSIMINO IL TRACE, fu proclamato imperatore dalle reclute che gli erano state affidate da addestrare.
Severo Alessandro e la madre furono strangolati nella loro tenda a Magonza.
Valeriano
Sul confine gallico e su quello germanico premevano le popolazioni degli Alamanni e dei Franchi; la
frontiera del basso Danubio era attaccata dai Goti mentre in Oriente i Persiani si stavano impadronendo
della Siria. VALERIANO, un anziano senatore, arrivò al trono imperiale dopo una serie di effimeri
imperatori militari. Data la gravità della situazione, Valeriano ebbe l’accortezza di associare a se il figlio
Gallieno e di decentrare il governo dell’impero. La sua campagna contro i Persiani finì tragicamente,
Valeriano fu sconfitto, fatto prigioniero e morì in cattività nel 260 d.C.
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Le riforme di Diocleziano
Le riforme di Diocleziano furono profonde e riguardarono tutti i principali settori della vita pubblica. Le
province furono ridotte di dimensioni per renderne più efficace il governo. Nell’insieme furono istituite
un centinaio di province affidate a governatori di rango diverso provenienti per lo più dal ceto equestre.
Nelle province di frontiera essi erano affiancati da comandanti militari (duces). Le province furono a
loro volta raggruppate in dodici ampi distretti amministrativi, detti “diocesi” retti da un “vicario” cioè
un rappresentante diretto del prefetto del pretorio che operava a stretto contatto con l’imperatore.
Le diocesi furono a loro volta raggruppate in quattro grandi aree corrispondenti grosso modo a:
1. Oriente,
2. Illirico e Grecia,
3. Italia e Africa,
4. Gallia, Britannia e Spagna.
Le pressanti esigenze militari determinarono una riforma anche dell’esercito. Per fronteggiare meglio le
guerre che si combattevano contemporaneamente su più fronti, fu creato un esercito mobile composto di
unità di cavalleria e di fanteria. Questo esercito mobile, distinto da quello stanziato in modo permanente
lungo le frontiere (i cosiddetti limitanei), era concepito come forza di pronto intervento per fronteggiare
improvvise situazioni di emergenza. Le crescenti necessità militari e di organizzazione burocratica resero
necessaria anche una riforma del sistema fiscale. L’articolazione dell’Impero in diocesi era funzionale
all’espletamento delle pratiche di censimento capillare dei terreni, che implicava la realizzazione di una
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Quanto alla riforma monetaria, si deve tener presente che, al momento della salita al trono di Diocleziano,
la moneta maggiormente usata dalla popolazione, il denario, era di fatto ormai una moneta di bronzo
appena rivestita d’argento il cui valore veniva imposto per legge dallo Stato senza corrispondere alla sua
natura intrinseca. Per le necessità quotidiane della gente comune fu coniata una monete divisionale di
rame, nota con il nome di follis, di valore all’incirca dimezzato rispetto a quello di Aureliano. Per
bloccare la continua ascesa dei prezzi delle merci come dei servizi, Diocleziano tentò la via per imporre,
nel 301 d.C., un calmiere con il quale si indicava, voce per voce, il prezzo massimo che non era consentito
superare (Edictum de pretiis). Malgrado le buone intenzioni l’editto non sembra aver prodotto risultati
concreti: la svalutazione della moneta circolante proseguì e i prezzi delle merci continuarono a salire.
In campo militare Diocleziano riuscì a stabilizzare le frontiere e ad arrestare le minacce di invasioni.
Capitolo 2
Da Costantino a Teodosio Magno: la Tarda Antichità e la
cristianizzazione dell’Impero
Le fonti
Le fonti sulla tarda antichità cioè sul quarto secolo sono ricche ed eterogenee: AMMIANO MARCELLINO,
VITTORE che scrisse Cesari, il breviario di EUTROPIO; molti scrittori cristiani sia Latini sia greci come
GIROLAMO, AGOSTINO e AMBROGIO; EUSEBIO autore di una vita di Costantino, storia ecclesiastica; vita
di Martino di SEVERO e storia lausiaca di PALLADIO; l’epistolografia presenta molti testi di autori Latini
Pagani come SIMMACO, BASILIO, AMBROGIO, AGOSTINO, SINESIO; Due fonti importanti sono il Trattato
anonimo intitolato sulle cose della guerra e la notizia dignitatum; Mi sono poi fonti giuridiche come il
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Le incursioni barbariche che colpirono l’Italia come gran parte dell’Impero romano determinarono, con
la rottura del limes, delle frontiere, la chiusura dei circuiti commerciali mediterranei. L’effetto della crisi
sull’economia nel corso del III secolo d.C. è un aumento della pressione fiscale.
Costantino
Gli anni che seguirono la morte di Costanzo Cloro e che videro, con la proclamazione imperiale di suo
figlio Costantino e del figlio di Massimiano, Massenzio, il sostanziale fallimento del sistema tetrarchico.
Costantino ebbe la meglio su Massenzio nel 312 d.C. nella battaglia di ponte Milvio, sul Tevere, alle
porte di Roma, e poté impadronirsi della città. Questa vittoria ha un significato che trascende dalla storia
strettamente politica, perché essa fu ottenuta nel segno di Cristo, da un imperatore che dichiarava di aver
abbandonato in quella circostanza il paganesimo per il cristianesimo. La conversione di Costantino fu un
evento di portata rivoluzionaria, perché significò l’inserimento delle strutture della Chiesa in quelle dello
Stato. All’inizio del 313 d.C. LICINIO (Augusto d’Oriente) e Costantino si incontrarono a Milano dove si
accordarono sulle questioni fondamentali di politica religiosa (impropriamente detto “editto di Milano”).
In merito alla questione “cristianesimo” le decisioni prese a Milano da Costantino e Licinio dovettero
essere relativamente semplici. Concordarono che in tutto l’Impero i cristiani dovessero godere di quella
libertà di culto di cui essi avevano già goduto in Occidente e ottenere la restituzione delle proprietà
confiscate.
I contrasti tra Costantino e Licinio, che ormai avevano il controllo su tutto l’Impero, incominciarono però
molto presto: lo scontro finale si ebbe nel 324 d.C., dopo averlo sconfitto ad Adrianopoli, divenne il solo
imperatore.
Attività edilizia
La parte finale del 312 d.C., dopo la vittoria su Massenzio, è anche un periodo di notevoli interventi di
Costantino a Roma, a cominciare dalla definitiva soppressione delle coorti pretorie che si erano rivelate
un prezioso strumento a sostegno del figlio di Massimiano. Fece costruire un grande edificio riservato al
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Il sacco di Roma
La morte di Stilicone provocò un ulteriore aggravamento della situazione in Italia ed è all’origine della
crisi finale. Alarico aumentava le proprie pretese, trattando direttamente con il senato e ponendo Roma
sotto un durissimo assedio già nell’inverno del 408 d.C. Ad Alarico in realtà premeva costringere Onorio
alla trattativa. Le richieste fondamentali di Alarico erano due: la carica di generale al servizio di Roma
per sé, con tutto il valore simbolico che questa aveva, e l’insediamento, verosimilmente concepito a scopi
agricoli, nelle Venezie. Alarico, a fronte dell’intransigenza di Onorio, tornò ad assediare Roma nel 409
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Gli Unni
Le origi degli Unni sono controverse. Noi sappiamo solo con sicurezza che erano un popolo nomade
proveniente dalla grande steppa Eurasiatica. Non siamo in grado di ricostruire le cause che spinsero gli
Unni verso Occidente dopo la metà del IV secolo. Non c’è però dubbio che fu la loro pressione a spingere
i Goti sul Danubio nell’estate del 476 d.C.
Gli Unni erano grandi cavalieri ed abilissimi arcieri. Cavalcavano senza staffe ma utilizzavano pesanti
selle di legno che consentivano una forte presa e che creavano una piattaforma di tiro stabile. È accertato
che una gran massa di unni si era stabilita nell’Europa Orientale verso la metà del V secolo occupando
la grande pianura ungherese a Ovest dei Carpazi. Fu l’arrivo degli Unni nella pianura ungherese che
provocò la necessità di varcare le frontiere dell’impero romano da parte dei vandali, degli Alani, degli
Svevi e dei Burgundi.
Roma era ancora in grado di tentare un efficace riscossa. FLAVIO EZIO, originariamente un militare di
carriera al servizio dell’Impero d’Oriente, aveva acquisito il controllo del potere alla corte di Ravenna.
Egli riuscì a respingere Franchi e Alamanni al di là del Reno e a sottomettere Burgundi e Alamanni. Ma
a sconvolgere questo tentativo di ristabilimento dell’Occidente intervenne l’invasione condotta dai
Vandali di Genserico nel 439 d.C. delle ricche province dell’Africa settentrionale. I Vandali arrivarono
a Cartagine e il tentativo di contrattacco organizzato a partire dalla Sicilia nel 440 d.C. congiuntamente
con Costantinopoli non ebbe seguito perché improvvisamente si palesò una minaccia ancor più grave.
Con Genserico fu stipulato un trattato nel 442 d.C. con il quale fu riconosciuta la sua posizione di re
vassallo dell’impero. Il pericolo da fronteggiare con la massima urgenza veniva da nord ed era
rappresentato dal re unno ATTILA. Gli unni attraversarono il Danubio e conquistarono una serie di forti
e di città di frontiera, erano ormai in grado di minacciare la stessa Costantinopoli. Attila costrinse
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1. Le prime erano la conseguenza dello spostamento di gruppi nomadi poco numerosi che si stabilirono
in zone periferiche dell’Impero organizzandosi secondo le proprie leggi e tradizioni ma senza
intaccare quelle delle comunità romane che continuavano a vivere in conformità alle istituzioni
giuridiche precedenti. È il caso degli Ostrogoti in Italia e dei Visigoti e Burgundi in Gallia. Per
sottolineare questa coesistenza tali regni sono detti romano-barbarici.
2. Il secondo tipo di invasioni furono invece portate aventi da popolazioni che si erano stabilite ai confini
dell’impero romano e che una volta entrate furono in grado di imporre la propria organizzazione alla
popolazione romana. È il caso dei Longobardi in Italia, dei Franchi in Gallia e degli Angli e Sassoni
in Britannia.
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La società romano-germanica
La maggioranza dei barbari, con l’eccezione dei Franchi, era cristiana ma di credo ariano. Gli invasori
della Britannia erano addirittura pagani. Per quanto questo creasse le premesse per una segregazione
completa tra i gruppi etnici, ogni regione conobbe realtà differenti. In taluni casi si ebbe una piena fusione,
in altri si realizzò un dualismo amministrativo, con Romani e barbari sottoposti a gerarchie differenti. In
ogni caso l’arrivo dei barbari non produsse la rottura dell’ordine sociale rigorosamente articolato in classi
sociali rigide e ereditarie del mondo romano.
Il monachesimo
Una delle conseguenze delle invasioni germaniche del V secolo d.C. fu l’affermarsi del monachesimo.
C’erano comunità di religiosi che vivevano attorno al loro vescovo. C’erano poi delle vere e proprie
fondazioni monastiche che si susseguirono a distanza di pochi anni l’una dall’altra. I monasteri ebbero
una funzione importante come centri di cultura. Mentre la cultura classica si conservò solo negli ambienti
dell’aristocrazia laica; l’istruzione cristiana, che avvertiva l’inconciliabilità tra i propri valori e quelli
degli scrittori pagani, promosse esclusivamente la cultura latina di stampo cattolico/morale, escludendo
del tutto quella greca. Nel VI secolo scomparve definitivamente qualsiasi forma di istruzione pubblica,
gli unici centri di vita culturale e di istruzione furono i monasteri.
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Capitolo 3
Bisanzio
L’Impero d’Oriente fino al regno di Giustiniano
Le vicende dell’Impero d’Oriente risultano distinte da quelle dell’Occidente a partire dal 395 d.C., dal
momento, cioè, della divisione dell’Impero da parte di Teodosio I tra i suoi figli. Alla morte di Arcadio
(cui era toccato l’Oriente), nel 408 d.C., gli successe il figlio Teodosio II, un bambino di 8 anni, in vece
del quale governava il prefetto del pretorio. Nel corso del regno di Teodosio (dal 408 al 450 d.C.) anche
l’Impero d’Oriente dovette fronteggiare il pericolo barbarico, soprattutto degli Unni, che arrivarono a
minacciare la stessa Costantinopoli. Ma nel complesso l’Oriente riuscì ad uscire da questa difficile fase
senza rilevanti perdite territoriali e mantenendo la propria compattezza interna. A travagliare Bisanzio in
questo periodo furono soprattutto le controversie di natura religiosa relative alla natura di Cristo. La
critica situazione interna fu affrontata con successo da Anastasio (451-518 d.C.). Ad Anastasio
succedette un ufficiale già avanti negli anni, Giustino. Alla sua morte, nel 527 d.C., sul trono pervenne
il nipote GIUSTINIANO.
Il regno di Giustiniano
Il regno di Giustiniano (527-565 d.C.) rappresenta l’estrema conclusione del mondo antico. La più grande
eredità lasciata da Giustiniano è la raccolta normativa del 535 d.C., conosciuta come Corpus Iuris Civilis,
una compilazione omogenea della legge romana, tutt’oggi alla base del diritto civile.
Di grande rilievo fu l’attività edilizia di Giustiniano. Forte impatto fu dato anche al commercio e a nuove
attività economiche, tra le quali spicca la produzione della seta.
Giustiniano non godette del favore degli storici contemporanei. In realtà noi abbiamo notizia di come
egli abbia attuato varie forme amministrative, cercando anche di reprimere gli abusi in campo fiscale che
rappresentavano una delle maggiori ragioni di vessazione per la popolazione civile.
I problemi interni non distolsero Giustiniano dal suo grande disegno di riconquista dell’Occidente. Nel
533 d.C. l’Africa del Nord, la Sardegna e la Corsica passarono sotto il controllo bizantino. Ben più lunga
e difficile fu invece la guerra per il dominio dell’Italia.
Costantinopoli
Costantinopoli, la nuova capitale inaugurata da Costantino nel 330 d.C., al posto dell’antica Bisanzio sul
Bosforo, già nel corso del IV secolo d.C. contava una popolazione di 100.000 abitanti. Durante il regno
di Teodosio II la sua superficie fu più che raddoppiata. In età di Giustiniano la popolazione in città
contava mezzo milione di abitanti. Una tale densità abitativa si spiega con le distribuzioni gratuite di
generi alimentari, ma soprattutto con un’intensa attività economica.
A Costantinopoli il re e la sua corte vivevano all’interno di un aerea fortificata, isolati dal resto della città.
Tra le attrattive della vita a Costantinopoli c’erano le cerimonie, con le fastose processioni e i giochi, in
particolare le corse di carri.
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La Chiesa bizantina
Nel mondo bizantino un ruolo di grande rilievo fu svolto dalla Chiesa. Tra il IV e il VI secolo d.C. la
funzione pubblica dei vescovi e l’importanza da loro assunta all’interno delle città era una caratteristica
della vita urbana in Oriente. I vescovi erano organizzati secondo una gerarchia: vescovi (operavano nelle
città), arcivescovi (operavano nelle metropoli più importanti), patriarchi (operavano nelle tre città
principali: Costantinopoli, Alessandria e Antiochia). Forte era anche la presenza di monasteri: il
monachesimo bizantino era concepito come rifiuto della società urbana e votazione all’eremismo come
prova di vicinanza a Dio.
All’interno dell’impero bizantino si era aperta una disputa teologica che costituì un fattore di grave crisi.
Le scuole teologiche che si contrapponevano erano quella di Antiochia che, privilegiando la natura
umana di Gesù, sosteneva che Maria non poteva dirsi “madre di Dio”, ma solo “madre di Cristo”, in
quanto in Cristo coesistono due nature distinte; l’altra scuola invece, quella di Alessandria, affermava la
piena unità della natura divina e umana di Gesù.
Il cesaropapismo
Il sistema politico caratteristico dell’Impero d’Oriente sin dalla fondazione di Costantinopoli è detto
“cesaropapismo”. Il cesaropapismo consisteva nell'accentrare nelle mani dell'imperatore il potere
spirituale e temporale, dandogli così pieni poteri sulla religione. Questa teoria politica sosteneva il diritto
dello Stato - in quanto potere civile = Cesare - di estendere le su competenze ed esercitare la sua autorità
anche in campo religioso, cioè nel territorio spirituale riservato alla Chiesa = papa. Il potere ecclesiastico
era quindi considerato sottoposto a quello civile, il quale esercitava la sua autorità anche in
ambito teologico e disciplinare.
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