La lingua cinese è una delle più antiche al mondo, infatti grazie a
varie testimonianze storiche (iscrizioni su gusci di tartaruga e su ossa di bovini), si può dire che tale scrittura risale alla dinastia Shang (1751-1122 a.C) e grazie ad un processo di evoluzione lineare è arrivata fino ai nostri giorni. Lingua , cultura e storia sono strettamente collegate poiché nonostante i vari periodi di crisi imperiale, la coesione da parte degli han (cinesi) non è mai stata logorata grazie alla loro lingua, in particolare alla forma scritta. La lingua cinese (scritta) è composta da caratteri che grammaticalmente corrispondono a dei morfemi, mentre foneticamente corrispondono a delle sillabe. Proprio poiché la lingua scritta era uguale per tutto il popolo cinese, ciò fu simbolo di coesione e aggregazione etnico-culturale, oltre che linguistica, nonostante nel territorio si erano formate varie forme dialettali.
Durante il corso della storia cinese si hanno però, diversi tipi di
lingua scritta: il wenyan, lingua colta spesso associata ai funzionari (per questo motivo vi era un legame tra lingua scritta e potere politico). Dopo il wenyan si sviluppò il baihuà (lingua piana) che deriva da una forma dialettale delle regioni settentrionali ma comunque rimase costante nel corso dei secoli, dunque non si formarono altre varietà linguistiche (come invece accadde in Europa, dal latino alle varie lingue neolatine). Il baihuà veniva esclusivamente utilizzato in ambito teatrale e narrativo. Per ciò che concerne la lingua orale invece vi erano e vi sono tutt’ora vari dialetti a cui in passato, vi erano affiancate delle lingue franche non ufficiali che consentivano la comunicazione tra i funzionari provenienti da aree geografiche diverse. Dopo il dominio della dinastia Yuan (1271-1368) si formò il guanhuà (lingua dei funzionari o lingua mandarina) dal quale deriva l’attuale lingua orale.
La formazione della lingua moderna
All’inizio del secolo scorso la situazione linguistica in Cina era
alquanto confusa a causa delle varietà di cinese parlato (predominava il dialetto settentrionale di Pechino poiché essa era capitale amministrativa). Ma la forma scritta del dialetto settentrionale, derivante dal baihua, era vista in maniera negativa dai letterati che preferivano usare il wenyan, che era appunto la lingua dei colti, dell’èlite cinese.
Dopo la prima Guerra dell’oppio (1840-1842) e i primi conflitti e
contatti col mondo occidentale si arrivò a comprendere che una lingua nazionale unica era più che necessaria. Ora, poiché il wenyan era una lingua colta, e il popolo cinese era per lo più composto di contadini, era necessaria una nuova lingua scritta: in un primo momento si provò con il guanhuà zimu, “alfabeto della lingua dei funzionari”, che era ispirato all’alfabeto katakana giapponese e composto di 61 segni, ma successivamente, nel 1900, questa proposta fu bocciata dagli organi ufficiali. Soluzione finale fu allora l’espansione del nuovo baihuà cui gli venne riconosciuto lo status di stile scritto nazionale, a differenza del wenyan che era utilizzato da una cerchia ristretta di intellettuali. Per ciò che concerne la trascrizione fonetica inizialmente si usò il guoyu luomazi: lettere latine per la lingua nazionale, il sistema costituiva una registrazione del dialetto di Pechino abbastanza complicata, infatti i 4 toni venivano segnalati con un metodo inusuale, creando una variazione nella grafia di ciascuna sillaba, esempio: MA = mha, ma, maa, mah. Nonostante il guoyu luomazi fu approvato formalmente, questo non ebbe molto successo e quindi si passò al ladinghua xin wenzi = nuova scrittura latinizzata, trascrizione fonetica molto più semplice tanto che il tono era previsto solo in caso di assoluta ambiguità). Successivamente però anche il baihua, con i suoi residui di baihua antico e wenyang, cominciò ad essere utilizzato per lo più da persone altolocate e per questo la nuova alternativa divenne il dazhongyu = lingua di massa utilizzata dal proletariato urbano emergente.
La lingua nella Cina di oggi
Dopo svariati anni di guerre, all’inizio del secolo scorso la Cina
era sia economicamente che socialmente distrutta, inoltre il Paese contava 500 milioni di abitanti con l’80 % di analfabeti, dunque il problema linguistico si faceva sempre più grande. Alla fine nel 1949 si arrivò alla soluzione: il putonghua = lingua comune basata sulla pronuncia del dialetto di Pechino (il dialetto del nord è più semplice dal punto di vista fonologico) e sulle strutture grammaticali del baihua. Ma per far si che il putonghua diventasse lingua nazionale, bisognava fare della scrittura una priorità e per questo motivo che nel 1956 fu approvato lo SCHEMA DI SEMPLIFICAZIONE DEI CARATTERI CINESI che fu affiancato nel 1964 dall’ELENCO GENERALE DEI CARATTERI SEMPLIFICATI che contava 2238 caratteri che avevano un corrispondente semplificato più facile da scrivere e da ricordare. Mentre nel 1958 venne adottato il sistema di traduzione fonetica pinyin zimu costituito da 26 lettere. Grazie a queste riforme linguistiche il tasso di analfabetismo scese dal 80% del 1949 al 23% del 1982. Comunque sia dopo tali riforme vi furono 2 schieramenti: chi voleva che il pinyin diventasse una lingua scritta a tutti gli effetti (e non solo una trascrizione fonetica) e chi voleva rimanere con la scrittura in caratteri poiché questi rappresentavano un elemento di continuità tra la cultura classica e contemporanea.
Oggi la lingua nazionale in Cina è il putonghua: viene insegnato
nelle scuole, viene utilizzato dai mass media ecc… Però, al di fuori dell’area di Pechino, questo è parlato raramente poiché nelle altre zone si predilige un compromesso tra dialetti locali e la lingua ufficiale.
I Dialetti
Come già specificato in precedenza, i dialetti in Cina sono
un’infinità tant’è che si potrebbe parlare più di famiglie linguistiche che semplici varietà regionali. Le varietà di dialetti settentrionali sono parlate nella Pianura Centrale, nell’altopiano Nord-Occidentale, in Menciuria, a nord del fiume Yangzi e nelle provincie del Guizhou e dello Yunnan mentre le varietà meridionali sono parlate a sud del basso corso dello Yangzi. Bisogna dire però che i dialetti settentrionali sono abbastanza omogenei, mentre i dialetti meridionali sono abbastanza diversi. Tutto ciò poiché a nord vi erano grandi territori estesi che raggruppavano tutta la popolazione mentre a sud vi erano vari “ostacoli naturali” quali fiumi, montagne ecc… che impedivano la comunicazione e di conseguenza vi era la nascita di varie forme dialettali. Altro motivo che causò tale varietà dialettale è che, il popolo cinese ha cominciato a svilupparsi a nord del territorio cinese, sviluppando poi verso sud un processo di sino-integrazione che ha spazzato via le altre culture stabilitesi precedentemente; dunque i dialetti del sud sono anche il risultato dell’influenza esercitata dalle lingue non siniche di quelle culture scomparse.
Tutti i dialetti hanno delle caratteristiche in comune: la semplicità
della struttura sillabica, la presenza dei toni e il monosillabismo di quasi tutti i morfemi. Anche le strutture grammaticali sono quasi del tutto simili fra i vari dialetti, con delle minime differenze. D’altra parte le differenze più eclatanti riguardano l’aspetto fonologico, infatti la pronuncia dei vari fonemi può cambiare da dialetto a dialetto.
1. Dialetti settentrionali o mandarini: parlato da circa
800milioni di persone, si suddivide in 4 sottogruppi: mandarino settentrionale, mandarino nordoccidentale, mandarino sudoccidentale e mandarino meridionale. Fra i vari sottogruppi non vi sono grandi differenza linguistiche, al contrario sono molto di più i tratti in comune. La desonorizzazioni di consonanti occlusive e affricate (b, d, k, dz,) e la perdita delle consonanti finali (p, t, k, m) 2. Dialetti wù: parlati da 95 milioni di persone nelle aree di Shanghai e nello Zhejiang. A differenza dei dialetti settentrionali le consonanti occlusive e affricate godono di una certa sonorità, e i toni sono di più, 5 nel dialetto di Shanghai e 7-8 nelle altre zone. Minori sono le differenze lessicali. In campo sintattico la differenza più importante è che l’oggetto diretto precede anziché seguire l’oggetto indiretto 3. Dialetti gan: parlati nel Jiangxi da 26 milioni di persone. Si possono definire come il punto di incontro tra dialetti settentrionali e meridionali poiché da un lato hanno preso la desonorizzazione delle consonanti e dall’altro il numero elevato di toni 4. Dialetti xiang: parlati nello Hunan da 53 milioni di persone. Vengono distinti in due gruppi: nuovo e vecchio Xiang. Il nuovo xiang, parlato a nordovest dello Hunan è stato influenzato dai dialetti mandarini mentre il vecchio xiang, più diffuse in aree rurali e di montagna, è un dialetto più conservatore, di fatti non influenzato dai dialetti settentrionali. Entrambi le due tipologie possiedono 6 toni 5. Dialetti min: parlati nel Fujian, Guangdong nord orientale e Taiwan da 45 milioni di persone in Cina e altre milioni di persone in Tailandia, Malesia, Indonesia e Singapore. In questo dialetto mancano alcuni suoni come la consonante labiodentale “f”, ma come negli altri dialetti meridionali vi sono molti toni, 7-8 6. Dialetti keijia o hakka: parlato nel Guangdong centrosettentrionale e varie località del Sichuan e del Taiwan. È parlato da 41 milioni di persone. Presentano tratti tipici del nord (come la desonorizzazione di alcune consonanti) ma nonostante ciò si sono sviluppati al sud. 7. Dialetti yuè o cantonesi: parlati nello Guanxi e nel Guangdong occidentale da 55 milioni di persone. Qui si mantengono le consonanti finali e si hanno 8 toni, mentre le consonanti iniziali sono diventate per lo più sorde. Si ha una preferenza per le parole formate da monosillabi piuttosto che dai composti polisillabici. Vi sono anche differenze grammaticali: l’oggetto diretto precede l’oggetto indiretto e gli avverbi seguono il verbo. È l’unico dialetto a godere di una tradizione letteraria fiorente.
Parte seconda: la lingua moderna
Fonetica
Le sillabe cinesi hanno 3 componenti: l’iniziale (la consonante la
semivocale di testa), la finale (il restante segmento fonico costituito da un gruppo vocalico obbligatorio e da una consonante terminale obbligatoria), e il tono. (Guardare pagina 64 e 65)à è come la linguistica generale di Andorno.
Le iniziali nel cinese (putonghua) possono cominciare con una
consonante o con una semivocale. Caratteristica importante del putonghua è che le consonanti occlusive e affricate non sono sonore. Invece per ciò che riguarda le semivocali iniziali ne abbiamo 3: una bilabiale sonora e due palatali, una sorda e l’altra sonora: (guardare schema pag 65).
Le finali invece hanno un gruppo vocalico obbligatorio e una
consonante terminale non obbligatoria. La consonante terminale può essere la n [n] o ng [ŋ] (n nasale). Il gruppo vocale può essere composto da una vocale semplice, da un dittongo o da un trittongo. (guardare schemi a pag 71 e 72) In genere la finale viene suddivisa in 3 segmenti: un primo segmento vocalico (detto mediale) un secondo segmento vocalico (detto centrale) e un segmento vocalico o consonantico terminale. Talvolta le finali possono essere costituite solo dal segmento centrale, altre volte da quello mediale e quello centrale oppure da quello centrale e quello terminale.
Terzo e ultimo componente della sillaba è il tono da cui dipende la
variazione melodica della sillaba. Abbiamo 4 toni contraddistinti da 4 accenti: piano, acuto, circonflesso e grave. Tale convenzione grafica viene usata qualora i caratteri vengano trascritti in pinyin. Inoltre le sillabe cinesi possono essere atone e dunque contraddistinte da un tono neutro non contrassegnato in pinyin da alcun accento. Fenomeno spesso ricorrente nelle successione fra sillabe è il sandhi tonale dove certe sillabe sono sottoposte a cambiamenti di tono. Per esempio una sillaba in terzo tono si trasforma in secondo tono se precede un altro terzo tono. O la sillaba bù di negazione, quando precedo una sillaba in quarto tono, si trasforma in secondo tono.
Scrittura
Dal punto di vista fonologico la scrittura cinese è sillabica poiché
ad ogni carattere corrisponde una sillaba, il problema è che una stessa sillaba è rappresentata da diversi caratteri che segnalano le unità di significato ad essa associate. Ci sono circa 1200 sillabe nella lingua cinese che però si dividono in decine di migliaia di caratteri diversi. Invece dal punto di vista grammaticale i caratteri corrispondono a singoli morfemià unità linguistica che identifica l’unità di scrittura.
I caratteri sono unità grafiche costituite da un numero variabile di
trattià tracciato che il pennello percorre senza venire staccato dal foglio (vedere tratti principali a pag 91). Inoltre nella scrittura dei tratti vi sono delle regole di successione da seguire (vedere schema a pag 92). Tali regole di successione non sono esageratamente rigide, ma servono per lo più per mantenere un certo ordine estetico. Inoltre la corretta successione dei tratti diventa indispensabile quando si scrive in corsivo onde ridurre i tempi di scrittura. Il carattere più semplice è composto da un singolo tratto mentre i più complessi arrivano ad averne una trentina. Proprio per questo motivo si decise di introdurre i termini jiantizi e fantizi tutt’ora impiegati per indicare i caratteri semplificati e tradizionali. Tale distinzione può essere ancora più antica se indicata con i termini zhengtizi (caratteri corretti) e sutizi (caratteri volgari). Nel 1935 il governo decise di pubblicare e ufficializzare un elenco di 324 caratteri con le rispettive forme semplificate. Poi nel 1956 e nel 1964 (vedi appunti di sopra). Nel 1977 vennero aggiunti altri 853 caratteri semplificati che però furono subito declinati e per questo non apparvero nella successiva versione del 1980.
Principi di semplificazione (guardare pag 98)
Comunque sia oggi in pochi utilizzano i caratteri tradizionali, anche nel mercato letterario, in genere i testi scritti coi caratteri tradizionale vengono destinati solamente ad Hong Kong e Taiwan che inoltre mantengono anche la scrittura verticale (dall’alto verso il basso), nonostante la grafia verticale fu abbandonata nei primi anni ’50.
Spesso in Cina, il livello di cultura è proporzionale al numero di
caratteri conosciuti da una persona; diciamo che una persona colta saprà scrivere e riconoscere circa 6000-7000 caratteri, mentre per leggere un normale quotidiano bastano 2500-3000 caratteri. Durante il corso della storia i caratteri sono aumentati, basti pensare che durante la dinastia Shang erano circa 4000 mentre nel dizionario “ ” del 1991 se ne contano 56000.
Molte parole nel vocabolario cinese derivano da altre lingue, le
quali spesso sono alfabetiche: per questo motivo abbiamo 3 metodi di traduzione: 1. (il primo metodo non l’ho capito) (rivedere a pag 104) 2. il secondo metodo è basato su una trascrizione fonetica della parola originaria es: caffèàkafei, SiciliaàXixili. 3. terzo metodo è il suddetto calco semantico basato su una traduzione dei concetti espressi delle parole originarie indipendentemente dalla loro forma fonetica es: jinhualunà evoluzionismo (jinhuaà evoluzione, lunà teoria)
Grammatica
Il cinese è una lingua isolante, priva di flessione tant’è che ogni
unità lessicale è invariabile e rimane identica qualunque sia la posizione grammaticale che assume. Come nella linguistica generale, anche il cinese costruisce il periodo combinando unità fonetiche in morfemi che a loro volta si combinano in parole fino a combinarsi in frasi. Informazioni quali numero, genere, tempo vengono in genere fornite dal contesto in cui ci si trova, nel caso in cui il contesto non sia chiaro non vengono utilizzati contrassegni grammaticali ma si aggiungono elementi contestuali. Il numero in genere può essere specificato con dei numerali o col classificatore di pluralità o talvolta col suffisso Mentre il genere può essere specificato mettendo prima del nome o . Non esiste la concordanza in relaziona al numero, al genere e alla persona. Così come le forme verbali non contengono indicatori di tempo e di modo: tali informazioni vengono comprese grazie alla presenza di forme nominali di tempo, verbi ausiliari, avverbi, particelle o congiunzioni. Anche l’aspetto è indicato grazie ad “accorgimenti contestuali” come , à dopo il verbo per aspetto perfettivo. La voce (attiva o passiva) invece è segnalata dalla posizioni assunta dall’agente e dal paziente: quando l’agente precede il verbo e il paziente lo segue allora la frase attiva, al contrario la frase è passiva. Inoltre per il passivo possiamo utilizzare la struttura con , mentre per le costruzione attive possiamo utilizzare il .
Parti del discorso:
• Nomi: hanno in genere funzione di soggetto o oggetto. Abbiamo anche due sottogruppo: i nomi di tempo e i localizzatori. • Classificatori: Seguono il numerale o il dimostrativo e precedono il nome. Sono obbligatori. • Numeri: l’insieme delle forme che ricorrono con i classificatori in qualità di modificatori nominali o complementi verbali • Verbi • Sostituti: insieme delle parole che ne sostituiscono altre ( nomi, verbi ecc…). esempio di sostituti sono i pronomi personali (wo,ni,ta,women,nimen,tamen). • Avverbi: precedono sempre il verbo. In questa classe sono incluse le negazioni • Preposizioni (gruppi preposizionali): anche in questo caso precedono il verbo • Congiunzioni: forme impiegate per collegare diverse frasi • Particelle: forme atone e quasi sempre monosillabiche che indicano il tipo di frase • Interiezioni: particelle che danno espressione e reazione emotiva alla frase
Morfologia
Dal punto di vista morfologico esistono 4 tipi di parole:
1. Parole monomorfemiche monosillabiche: in numero assai elevato, comprendono tutti gli elementi base del lessico 2. Parole monomorfemiche polisillabiche: sono le parole di origine non cinese entrate nel lessico come prestiti fonetici (kafeiàcaffè) 3. Parole polimorfemiche monosillabiche: parole costituite da morfemi di base a cui poi va aggiunto il suffisso subsillabico . 4. Parole polimorfemiche polisillabiche: si possono dividere in tre gruppi: • Parole derivate: tramite l’impiego di affissi come il . • Parole composte: aggregazione di due morfemi nessuno dei quali è un affisso, si distinguono in: composti coordinati (fumuàpadre-madreàgenitori). Composti modificatore-elemento reggente (heibanànero tavolaà lavagna). Composti soggetto- predicato (dizhenàterra tremaà terremoto). Composti verbo-oggetto (fanghiàrilasciare cuoreàrilassarsi). Composti verbo-complemento (shuomingà dire chiaroà spiegare). • Parole raddoppiate: ripetizione dello stesso morfema es: à . Kan: guardare, kankan: dare un’occhiata. Anche i classificatori possono essere raddoppiati: à ogni uomo. Dunque tutti i gruppi delle parole polimorfemiche polisillabiche sono composte da unità bisillabiche, ma abbiamo anche parole trisillabiche o quadrisillabiche ( ). Altre espressioni quadrisillabiche sono i così detti chengyu equivalenti ai nostri modi di dire: sono espressioni fatte, locuzioni fisse, esempio: à non 3 non 4à né carne né pesce.
Sintassi
La frase cinese è composta dal tema e dal commento. Il tema si
trova in posizione iniziale di frase e fissa le coordinate del discorso, mentre il commento ci da le informazioni sul tema ed è costituito da una frase. Il commento, inoltre, è costituito da una sequenza fissa SVO. Abbiamo solo un’eccezione: talvolta l’oggetto può anticipare il verbo per enfatizzare di più la frase. Il verbo in genere regge vari tipi di oggetto: l’oggetto diretto, tipico dei verbi transitivi che per lo più sono monosillabici e hanno bisogno obbligatoriamente di un oggetto per dare senso alla frase. Alcuni verbi transitivi hanno come oggetto indiretto il destinatario dell’azione, facendolo precedere all’oggetto diretto: wo gei ni qian. Alcuni verbi che in italiano sono intransitivi, in cinese costruiscono un oggetto locativo che ha il luogo connesso al moto descritto: esempi sono il verbo andare (qu), o stare (zai). I verbi che indicano esistenza, come il verbo you, costruiscono come oggetto di esistenza il referente di cui predicano l’esistenza. Il verbo you è particolare perché può indicare oltre che esistenza anche possesso.
La determinazione è altra caratteristica importante della sintassi
cinese. Utilizziamo la particella per indicare il rapporto di determinazione tra determinante e determinato. In linea di massima questa particella viene utilizzata quando c’è una relazione di possesso o di specificazione tra determinante e determinato. Inoltre viene usata anche per costituire le frasi relative. Per la determinazione verbale invece usiamo il di determinazione verbale che ci indica in che modo viene svolta un’azione. In genere questa particella viene utilizzato dopo un verbo attributivo raddoppiato e prima di un predicato es: (dovresti riposare per bene). I complementi verbali, stanno alla destra del verbo (oltre all’oggetto). Per esempio nel complemento di grado utilizziamo la particella per indicare la qualità o l’intensità di un’azione es:
Abbiamo poi il complemento risultativo costituite da forme
verbali che seguono il verbo reggente. Il complemento direzionale costituito da verbi di moto (hui, jin,shang,chu ecc…). I complementi quantitativi indicano la durata, l’incidenza o l’estensione di un’azione.
Come in italiano abbiamo predicato verbale (di cui fanno parte i
verbi attributivi e la copula shi) e i predicati nominali (costituiti da gruppi nominali comprendenti espressioni quantitative). Oltre ai 2 predicati abbiamo le costruzioni di verbi in serie costituiti dalla successione di due gruppi verbali: il primo contiene un verbo di movimento, il secondo ci dice lo scopo del movimento. Le costruzioni telescopiche hanno pure due verbi, però l’oggetto del primo verbo svolge la funzione di soggetto nel secondo verbo, esempio: àvi consiglio di non fidarvi troppo di lui.
Abbiamo 4 tipi di frasi: dichiarative, interrogative, iussive ed
esclamative. Le altre frasi credo le sappiate spiegare quindi vi dico solo le iussive: praticamente sono i corrispondenti al nostro imperativo, solo che qui si mette il soggetto e dopo il verbo si mettono delle particelle come
Parte terza: Storia della lingua
Periodizzazione
La periodizzazione offre uno schema ben preciso sul mutamento
delle forme linguistiche durante il corso degli anni. Alcuni schemi si basano su criteri fonologici, altri su criteri grammaticali e altri su entrambi. Noi ci baseremo su quest’ultimo schema: esso si suddivide in 3 periodi principali, divisi a loro volta in tre fasi: 1. cinese antico (1300 a.C – 100 d.C): • primo (1300 -700 a.C) • medio (700 – 200 a.C) • tardo (200 a.C – 100 d.C) 2. cinese medioevale (100 – 1200 d.C) • primo (100 – 600) • medio (600 – 900) • tardo (900 – 1200) 3. cinese mandarino (1200 d.C - ) • primo (1200 - 1400) • medio (1400 – 1910) • moderno (1910 - )
L’epoca che precede il periodo antico (1300 a.C) viene definita
periodo arcaico.
Fonologia
La finalità dell’indagine fonologica è disporre un metodo con cui
rappresentare i suoni della lingua. Il primo metodo utilizzato fu il duruò dove ad un carattere X corrispondeva un carattere Y che forniva l’informazione fonologica: ovviamente questo metodo era problematico poiché vi sono tantissimi caratteri omofoni. Per questo motivo si passò alla tecnica del fanqie: la pronuncia del carattere veniva descritta attraverso la fusione del suono di due caratteri: il primo carattere segnalava il suono consonantico iniziale della sillaba, il secondo indicava l’informazione relativa alla finale e al tono. Questa tecnica tutt’oggi è in uso, spesso affiancata al pinyin. Nello Yunjing (una specie di dizionario), i caratteri sono ordinati in base alle caratteristiche fonologiche delle loro iniziali e finali.
Solo in tempi relativamente moderni (1600 d.C) si è capito che il
sistema fonologico era cambiato dal cinese antico ad oggi. Infatti la ricostruzione fonologica del cinese antico si basa su informazioni fonetiche ricavate dai caratteri di testi antichi come lo Shijing. La ricostruzione fonologica del cinese medievale è basata su dati forniti dal rimario Qieyun (601). Ogni sillaba apparteneva ad una categoria tonale. Invece il cinese mandarino (come già scritto in precedenza), deriva dal baihua e dal guanhua. La transizione dal cinese antico a quello medievale comportò la perdita dei gruppi consonantici iniziali, delle nasali sorde e di alcune consonanti terminali, vi fu quindi una riduzione del sistema consonantico. Nelle epoche successive vi fu un ulteriore impoverimento fonologico, a causa della riduzione dei suoni vocalici e alla desonorizzazione di vocali occlusive.
Scrittura
Secondo una leggenda scritta nello Shuowen jiezi, la scrittura
cinese è attribuita agli imperatori Fu Xi, Sheng Nong e Huangdi. Altra leggenda dice invece che i caratteri furono un dono del Cielo a Huangdi spediti tramite un drago e una tartaruga. Parlando di fatti più seri, i primi segni grafici trovati in Cina, risalgono al V millennio a.C, e molti dicono che alcuni caratteri usati in epoche successiva derivino da questi segni grafici. Dal III millenio a.C cominciarono ad apparire altre immagini semplici che rappresentavano fatti reali (vedi pag 162). Intorno al XIV secolo a.C cominciarono ad essere trovati alcune ossa oracolari (usate per la divinazione) dove vi era raffigurato un primo sistema di scrittura.
Nelle epoche successive si cominciò a scrivere in vasi di bronzo,
dove cominciarono ad apparire le prime centinaia di caratteri, inoltre il lessico era costituito da più di 3000 forme.
Con lo Shuowen jiezi vi fu un primo studio dei caratteri, che
avrebbe costituito la base per gli studi successivi. Xu Shen distinse due tipi di caratteri: WEN: caratteri semplici che non possono essere suddivisi in componenti e gli ZI caratteri composti mediante la combinazione di più elementi. Xu Shen stesso fece un ulteriore categorizzazione dividendo i caratteri nei liu shu (6 principi di scrittura): • Zhishi: simboli indicati o ideogrammi semplici • Xiangxing: pittogrammi • Xingsheng: composti fonetici • Huiyi: aggregati logici o ideogrammi complessi • Zhuanzhu: caratteri il cui principio formativo ancora non è stato reso chiaro dagli studi attuati • Jiajie: presiti fonetici ovvero caratteri già esistenti, scelti per una semplice affinità di suono per contrassegnare un diverso significato, senza legame col carattere originario. (Guardare schema a pag 168-169) I caratteri, nel corso dei secoli, si sono evoluti: da una parte si puntava ad una semplificazione delle linee, dall’altra si spingeva verso la codificazione di forme regolari facilmente riconoscibili. Distinguiamo 5 tappe della storia evolutiva: 1. iscrizioni su ossa oracolari: i caratteri venivano incisi con il coltello, dunque linee dritti e angoli appuntiti 2. iscrizioni su bronzi: c’è una tendenza a dare regolarità alle forme, in maniera alquanto decorativa. 3. grafia dei sigilli: linee allungate e angoli smussati, forma dei caratteri meno rigida e più armoniosa 4. grafia degli scribi: utilizzata dai funzionari del governo nacque dall’esigenza di semplificare la struttura lineare dei caratteri: i tratti tondeggianti vennero raddrizzati e le curve si trasformarono in angoli 5. grafia regolare: rappresenta l’evoluzione dalla grafia degli scribi, della quale è una semplice rielaborazione. Il formato è più semplice e allungato creando così un effetto di maggiore slancio. _____________________________________________________ ___________________________
Ogni carattere è la somma di 3 componenti: suono, senso e forma.
Il primo dizionario cinese è l’Erya, compilato nel II sec a.C. Vi sono più di 4300 caratteri elencati per materia (persone, cielo, terra, animali, musica ecc…) Altro dizionario importante è il Fangyan che raccoglie oltre 11000 voci anch’esse divise per materia. Invece lo Shiming si differenzia dagli altri dizionari perché ad ogni carattere ne è associato un altro simile per suono e significato. Un tipo ulteriore di classificazione (oltre a quella per materia), è la classificazione per rima, dove si da la priorità al suono del carattere trascritto mediante il sistema fanqie. Comunque sia il sistema migliore, che è anche arrivato fino ai giorni nostri, è la classificazione per radicale, di fatti Xu Shen classificò i caratteri in base alle loro componenti strutturali: il radicale che ha valore semantico e l’altra componente che ha valore fonetico. Con questo metodo, lo stesso Xu Shen, distinse ben 540 radicali, in tal modo riuscì ad ordinare i 9353 caratteri presenti nel dizionario (della sua epoca).
Grammatica
Con “cinese classico” ci si riferisce al cinese antico che si trovava
in testi come lo Zhuangzi, il Mozi, ecc… proprio per questo motivo si potrebbe affermare che il cinese classico rifletteva la lingua colta parlata del tempo. La lingua cinese classica è una lingua invariante: cioè è invariabile per tutte le sue unità lessicali: non ci sono flessioni e solo pochissimi affissi. Per ciò che concerne le parti del discorso del cinese classico, si può dire che sono le stesse del cinese moderno: • Nomi: soggetto, oggetto, nomi di tempo • Numeri: morfemi impiegati per la quantificazione • Classificatori: impiegati dopo un dimostrativo o insieme ai numeri per una costruzione numerale • Verbi: che in genere hanno valore predicativo e attributivo • Sostituti: “forme impiegate in sostituzione di costituenti della frase di cui assumono la funzione grammaticale” (?) • Avverbi: in posizione pre-verbale • Preposizioni: parole di origine verbale che insieme ai gruppi nominali specificano le circostante dello svolgimento di una determinata azione • Congiunzioni: per unire più frasi • Particelle: queste si distinguono in particelle iniziali e finali • Interiezioni: per relazioni emotive
Nel cinese classico non vi è né distinzione di numeri, né di
genere; non c’è nemmeno specificazione di caso, se non in modo indiretto attraverso le varie preposizioni. Non c’è concordanza tra nome e verboàrimane invariato indifferentemente dal numero di persona. Unica differenza sostanziale col cinese moderno è che nel cinese classico, per la negazione, si usano molte forme diverse (wuà non avere/non esserci) (feiànon essere). Anche nel cinese classico per la sintassi abbiamo una struttura Tema-Commento. Distinguiamo 2 tipi di frasi: frasi verbali e frasi nominali: • Le frasi nominali sono costituiti dalla successione di due gruppi nominali seguiti da una particella finale (ye); per la negazione si usa il fei • Le frasi verbali hanno la stessa struttura che si trova nel cinese moderno: SVO. Ma se l’oggetto, in frase negativo, è costituito da un sostituto (tipo “ciascuno” o “che cosa”), allora l’oggetto viene messo prima del verbo.
Le espressioni di tempo ricorrono sia all’inizio della frase oppure
in posizione pre-verbale.
Punteggiatura
Da vari documenti pervenutici notiamo come la punteggiatura sia
cambiata nel corso dei secoli, infatti prima per separare le frasi venivano usate delle linee verticali, anche se l’impiego di tali segni non era obbligatorio tant’è che nella maggior parte dei testi non vi era nessuna punteggiatura, stava al lettore porre delle “pause” da una frase all’altra. Dopo il periodo “Primavere e Autunni” cominciarono ad essere utilizzati due segni di punteggiatura: “goccia” e “uncino”. Il sistema di punteggiatura moderno, ispirato a quello occidentale, fu introdotto soltanto nel 1920 dal ministro dell’educazione sotto suggerimento dei promotori del baihua.
Nikodinovska, Radica - Il colore ‘nero’ nelle espressioni fraseologiche italiane e mаcedoni, in Un secol de italianisticǎ la Bucureşti , Editura universităţii din Bucureşti, Bucureşti, 2011, pp. 495-501.